Progetto a cura degli studenti del Master in Risorse Umane e Organizzazione Alessandro Murtas, Giorgia Pagano, Giovanni Ferrari, Maria Rita Borracino e Sara Braga
Evoluzione delle comunità professionali in seguito alla trasformazione digitale
Evoluzione delle comunità professionali in seguito alla trasformazione digitale
1. Project work “KiA – Knowledge in Action”
Evoluzione delle comunità professionali. Come
evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di
competenze e mindset, in seguito alla
trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
A cura di:
Alessandro Murtas
Giorgia Pagano
Giovanni Ferrari
Maria Rita Borracino
Sara Braga
2. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
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INDICE
INTRODUZIONE p.2
CAPITOLO I
IL FENOMENO DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE
1.1 La Digital Trasformation p.4
1.2 Insidie e vantaggi derivanti dal cambiamento p.5
1.3 Dai silos verticali alle social organization p.7
CAPITOLO II
MINDSET E NUOVE COMPETENZE NELLA FUNZIONE HR E MKTG
2.1 L’evoluzione delle competenze e del mindset del marketing manager p.9
2.2 Trasformazione delle competenze in ambito HR p.11
2.3 L’ avvento delle communities p.13
2.4 Un nuovo modo di fare Human Resources: e-HRM p.15
2.4.1 La struttura dell’ e-HRM p.15
CAPITOLO III
EVOLUZIONE DEL LAVORO
3.1 Smart working p.17
3.2 Nuovi approcci per nuovi processi lavorativi: i social network p.19
CONCLUSIONE p.22
RINGRAZIAMENTI
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
3. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
2
Introduzione
“L'apprendimento e l'innovazione vanno mano nella mano. L'arroganza del successo è
di pensare che ciò che hai fatto ieri sarà sufficiente per domani.”
W. Pollard
Comunicare, mantenersi in contatto, scambiare idee e saperi non è mai stato così facile,
soprattutto in ambito lavorativo. Questa nuova dimensione non è frutto di un improvviso boom di
invenzioni tecnologiche o software sofisticati. Il percorso evolutivo ha coinvolto diverse generazioni
e famiglie professionali. Non a caso, nell’ecosistema qui di seguito analizzato, le organizzazioni e i
manager all’interno di esse, hanno iniziato ad intraprendere un percorso di cambiamento continuo
ponendo sempre più attenzione al concetto di “innovazione”.
Il protagonista principale sia da un punto di vista economico sia soprattutto sociale, è la persona.
L’accesso immediato ad una quantità di informazioni, forse quasi eccessiva, offre la possibilità di
mantenersi in continuo collegamento con il proprio network relazionale - privato e professionale - e
ciò ha sicuramente contribuito ad aumentare il valore, le competenze e le motivazioni nei confronti
del lavoro.
Nasce quindi un nuovo modo di concepire le professioni e l’azienda nel suo insieme. Infatti gli
stessi manager, della funzione HR e MKTG, hanno dovuto adattarsi alle nuove esigenze e
comprendere, il più in fretta possibile, che oggi è necessario dotarsi dei software, dei social
network e delle competenze IT.
Ai manager HR viene chiesto di porsi in azienda come Strategic Business Partner, spostando la
propria attenzione e i propri sforzi da compiti più operativi e di routine a progetti e attività di
maggior valore aggiunto e impatto strategico. Il fenomeno dell’ e-HRM è il naturale risultato dell’
incontro tra la nascita di questi nuovi strumenti tecnologici e l’evoluzione della attività di Gestione
delle Risorse Umane. Si tratta di un percorso di trasformazione quasi inarrestabile il quale può
comunque comportare alcuni rischi dovuti alla mancanza di un adeguato utilizzo.
Nei primi capitoli si è affrontato in maniera dettagliata il fenomeno della trasformazione digitale,
analizzando contemporaneamente le insidie e le potenzialità che influenzano il management.
All’interno di tale rivoluzione i manager vengono chiamati ad assumersi la responsabilità di una
totale riorganizzazione della propria identità all’interno di un modello di business che migra dai
silos verticali verso la social organization, con una rinnovata concezione di leadership.
Il corpus centrale del progetto si concentra sulle nuove possibili applicazioni degli strumenti
utilizzati dai manager del futuro, soffermandosi in particolar modo sul fenomeno delle communities
e sul cambiamento che un loro uso responsabile può portare sia all’interno della formazione del
personale sia nella semplificazione nello scambio di competenze all’interno dell’ambiente
lavorativo.
All’interno dell’area Marketing, invece, viene analizzato il ruolo del marketing manager che deve
porsi come obiettivo quello di fondare un legame unico che garantisce la fidelizzazione nei
confronti di un prodotto o di un servizio. Da questo conseguirà anche l’analisi del cambiamento del
mindset e la successiva nascita dell’esigenza di formare e assumere nuove figure professionali
richieste dal mercato.
L’applicazione di tali idee si concretizza mediante l’introduzione dello smart working che mira ad
abbattere le mura aziendali e mette le basi per eliminare quei limiti legati al modello dei silos
verticali.
In questo modello non esisteva comunicazione e ognuno aveva la sua specifica competenza che
non riusciva a condividere con gli altri partner aziendali talvolta dislocati dall’altra parte del mondo.
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mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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In ogni campo della progettazione è necessario quindi riuscire a prevedere le opere del futuro
e sforzarsi di comprendere a quali innovazioni saranno assoggettate; è opportuno esplorare ogni
possibilità aprendo la visione progettuale al suo futuro.1
1
"La Visione allargata del Progettista" del libro di Patrizia Boi "Ingegneria Elevato n – Ingegneria del Futuro o Futuro
dell’Ingegneria" scritto con Maurizio Boi ed edito da Dei Merangoli Editrice.
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CAPITOLO I
IL FENOMENO DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE
“All failure is failure to adapt. All success is successful adaptation”
Max McKeown
1.1 La Digital Trasformation
Le nuove tecnologie sono entrate a far parte della nostra vita quotidiana in un tempo brevissimo e
senza che ce ne rendessimo conto, cambiando inevitabilmente anche le abitudini delle persone.
Ad oggi, tramite i devices, la rete mobile ci tiene costantemente connessi permettendo sia
l’accesso ad una moltitudine di informazioni provenienti dal mondo esterno sia di comunicare e
condividere le esperienze con la social community. Il prossimo futuro, che vedrà protagonisti i
giovani, li renderà maggiormente partecipi di questa rapida evoluzione digitale. Ormai non è più un
tabù parlare di tir che guidano autonomamente per lunghe tratte senza la partecipazione attiva del
guidatore o di posta che viene spedita mediante l’utilizzo di droni né tantomeno di pasta prodotta
direttamente a casa mediante una stampante 3D.
Queste sono alcune realtà che, seppur in via di sperimentazione, fino a pochi anni fa erano quasi
impensabili ma che ad oggi risultano così attuali. Una rivoluzione di tale portata non poteva che
tradursi in un parallelo mutamento delle abitudini di consumo e nella fruizione di prodottiservizi da
parte dei consumatori stessi. Il cambiamento delle abitudini di consumo e del relativo stile di vita
sono un vero e proprio driver di tale evoluzione poiché i consumatori in qualità di attori principali,
mediante le loro nuove ed aumentate aspettative, determinano considerevolmente la domanda
presente sul mercato, influenzando e di conseguenza indirizzando i modelli di business delle
aziende.
Tra le principali tendenze innescate dalla digital trasformation vi è la personalizzazione dei prodotti
e dei servizi. Le tecnologie IoT2
hanno reso disponibili in tempo reale una grande quantità di
informazioni sui clienti, in merito, ad esempio, alle modalità di utilizzo/fruizione dei prodotti-servizi
ed i comportamenti d’acquisto. Sulla base di tali dati, l’impresa potrà progettare nuove value
propositions con maggiore precisione rispetto al passato. Vengono offerte soluzioni dedicate,
personalizzate per i singoli clienti, attivando di conseguenza la filiera produttiva per pianificare,
nella maniera più efficiente. Anche i servizi post-vendita e la gestione del customer care più in
generale potranno divenire sempre più contestualizzati e customizzati, con evidenti ripercussioni in
termini di soddisfazione e di fidelizzazione. Pensiamo ad Amazon Go per esempio ove mediante
sensori posti sugli scaffali verranno valutate le abitudini e le preferenze alimentari dei consumatori.
Un’ ulteriore tendenza innescata dalla trasformazione digitale è l’affermazione di nuovi modelli di
business fondati sull’offerta di prodotti-servizi ad alto valore aggiunto. Le tecnologie IoT integrate
alle macchine ed ai prodotti dotati di sensori abiliteranno l’offerta di servizi, identificandone in
tempo reale le condizioni rispetto alle richieste dei clienti ed orientando di conseguenza l’offerta
dell’azienda, andando ad agire inoltre sui prodotti attraverso riprogrammazioni o riconfigurazioni da
remoto. Un esempio già attuale in tal senso è la remote maintenance che, tramite sistemi
preordinati, comunica lo stato delle macchine al produttore il quale, in caso di necessità, può
intervenire proattivamente da remoto.
Altro fattore determinato dalla digital transformation è l’ampliamento delle opportunità di
collaborazione all’interno ed all’esterno della filiera produttiva. Le tecnologie infatti permettono di
2
L’internet delle cose è una famiglia di tecnologie grazie alle quali ogni oggetto può essere collegato alla rete internet
divenendo così digitale ed “intelligente” quindi potrà produrre informazioni su se stesso e sull’ambiente circostante
eseguendo anche i comandi a distanza.
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mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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scambiare dati in tempo reale tra un grandissimo numero di imprese. Grazie a tali informazioni,
sarà possibile sia identificare nuovi partner, sia integrarsi maggiormente con i propri. La possibilità
di allungare le filiere e di comunicare con nuovi collaboratori che prima non si conoscevano, anche
per produzioni temporanee, può creare nuove opportunità di business, in particolare per le PMI3
.
1.2 Insidie e vantaggi derivanti dal cambiamento
Il mondo sta cambiando ed in fretta, forse così tanto che spesso si fa fatica a rendersene conto e
ad adattarsi in maniera repentina. A volte l’animo umano è così restio al cambiamento che nella
maggior parte dei casi rappresenta una sfida con difficoltà e perplessità da affrontare. Questa volta
però il fenomeno ineluttabile della trasformazione digitale è così permeato nella persona da indurre
ad un’evoluzione indolore proprio per il fatto che risponde alle necessità dei consumatori
costantemente alla ricerca di risposte e di soluzioni che rendano più confortevoli e produttive le
loro vite.
Dal canto loro, anche le aziende sono chiamate a sondare il terreno drizzando le antenne per
carpire tutti i segnali, spesso impercettibili del mondo esterno, al fine di individuare i bisogni latenti
per realizzare l’offerta di nuovi prodotti e servizi all’altezza delle aspettative.
Il nuovo approccio strategico risulta di estrema necessità per la sopravvivenza aziendale in un
mercato globale che ormai in maniera frenetica è subito pronto a fagocitare qualsiasi player
rivelatosi indolente e disattento sulle tendenze emergenti. Il successo di interi sistemi economici
dipende dalla capacità delle imprese di attuare i cambiamenti necessari per far fronte,
possibilmente anticipandola, all'evoluzione del contesto competitivo. Nel nuovo millennio, che si
presenta discontinuo e ricco di cambiamenti rapidi e difficilmente prevedibili, le organizzazioni
devono attivare nuovi, efficaci e rapidi sistemi di feed-back, per ricevere flussi di informazioni sulla
soddisfazione dei clienti e dei dipendenti sui risultati, sui concorrenti, sui fornitori e sugli sviluppi
tecnologici. Le aziende moderne vengono così chiamate in causa mettendosi in gioco nel vivo del
mercato globale. Ma questo è tutt’altro che semplice 4
.
Lo strumento tecnologico di per sé non serve a molto se non sorretto da un’attenta e ponderata
valutazione della strategia da adottare. Trasformare l’azienda ha quindi dei rischi ed i manager di
successo devono essere competenti e reattivi nell’individuarli ed evitarli. Qualsiasi scelta deve
essere adottata con responsabilità e consapevolezza poiché porta ad un cambiamento che può
comportare al tempo stesso insidie e potenzialità.
Come sostiene un recente studio5
della McKinsey & Company le aziende si trovano in una partita
ad alto rischio. Molte hanno avviato programmi per reinventare le loro attività. Le ricompense per il
successo sono enormi, mentre le conseguenze del fallimento sono drastiche, persino letali. Diceva
Mario Andretti, uno dei piloti d’ auto da corsa di maggior successo della storia: "Se tutto sembra
sotto controllo, non stai andando abbastanza veloce".
Tale affermazione è sintomatica del modo di procedere delle aziende. Nessuna trasformazione è
senza rischi ma avere il coraggio di prendere decisioni che lavorano sui limiti dell'organizzazione è
ormai diventata una necessità. L’analisi elaborata da McKinsey ha individuato alcune “trappole”
3
Pascucci F., Temperini V. (2017) “Trasformazione digitale e sviluppo delle PMI – Approcci strategici e strumenti
operativi”, pag 6, Giappichelli Editore.
4
De Vito M., “Il cambiamento organizzativo come leva strategica per lo sviluppo di un'azienda di servizi formativi”,
www.aidp.it
5
McKinsey & Company - Arun Arora, Peter Dahlström, Pierce Groover, Florian Wunderlich “A CEO guide for avoiding
the ten traps that derail digital transformations”. www.mckinsey.com
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nelle quali possono incappare le aziende durante una trasformazione digitale. Spesso trascurate o
fraintese, queste trappole si riducono a questioni culturali e di mentalità.
Una delle possibili insidie è l’eccessiva cautela. Per quanto paradossale possa sembrare, le
aziende devono assumersi più rischi e non viceversa. I dati raccontano una storia ma sono poi le
diverse aziende ad interpretarla in maniera del tutto personale. I manager che si assumono più
rischi seguono infatti strategie audaci e dirompenti. Fanno grandi scommesse su nuove tecnologie
e modelli di business sostenendo una cultura di prova e apprendimento ove ogni fallimento è
un'opportunità per migliorare.
Di conseguenza quando le informazioni scarseggiano e ci si trova dinanzi al “timore dello
sconosciuto”, il leader ricorre alla propria esperienza ed all’intuito anche se lo sviluppo di una base
di fatti completa può fare molto per dissipare le comprensibili paure delle persone. Le migliori
aziende iniziano identificando dove il valore viene creato e distrutto, e non limitano la loro analisi al
proprio settore e ai concorrenti. Questa analisi esterna dovrebbe essere accompagnata da una
valutazione interna approfondita e completa.
Come precisa sempre McKinsey, un ulteriore rischio è perdere di vista il focus dell’azienda. Difatti
un approccio così intraprendente genera entusiasmo, ma può anche essere controproducente se
non gestito con cura. Governare troppe iniziative concorrenti distoglie l'attenzione sulla gestione
complessiva. Per evitare questa spreco di energia, qualsiasi trasformazione digitale dovrebbe
iniziare con la comprensione delle esigenze dei clienti e costruire soluzioni che non solo le
affrontino, ma che abbiano il potenziale per generare il massimo impatto. In alcuni casi il problema
da affrontare sono proprio le ristrettezze economiche. Alcuni processi di trasformazione digitale
sono in crisi perché i costi aumentano mentre la crescita dei ricavi richiede più tempo del previsto.
La maggior parte delle aziende sottovaluta però il tempo necessario per sviluppare competenze.
Qualsiasi ricerca di talento efficace dovrebbe iniziare con l'identificazione dei problemi da risolvere
favorendo la nascita di luoghi di lavoro adatti allo sviluppo delle risorse. Creare un ambiente con
spazi informali in cui i dipendenti possano raccogliere e condividere idee può inoltre aiutare ad
attrarre il talento giusto.
Secondo McKinsey le migliori aziende devono tenere frequenti check-in con aspettative esplicite
ed una governance chiara favorendo procedure fluide di risposta, nonché meccanismi efficaci per
consentire la correzione della rotta quando gli esperimenti mancano il bersaglio.
Nessuna trasformazione è immune dalla c.d. change fatigue adattandola in questo caso alle
competenze richieste. Questo approccio può aiutare ad accelerare l'accesso a mercati, a talenti e
tecnologie all’avanguardia. Le aziende agili aumentano la capacità digitale utilizzando le risorse
esistenti, come i software open source, che possono essere personalizzati in base alle esigenze.
Un’ulteriore insidia è la scarsa reattività agli impulsi del mercato. Per quanto velocemente l’azienda
proceda, è probabile che non sia abbastanza veloce. La rapidità è essenziale quando si tratta di
reagire ai cambiamenti del mercato e di cogliere opportunità di guadagno prima che i concorrenti lo
facciano. Un modo per aumentare la velocità è automatizzare i processi e le attività che richiedono
tempo. L'obiettivo è quello di reagire rapidamente piuttosto che assicurarsi che tutto sia "perfetto" e
sotto controllo. Le aziende più efficaci accelerano la velocità rendendo agile lo stile di vita.
Utilizzano cicli di sviluppo brevi per rispondere a esigenze specifiche6
. Come detto, per costruire
un valore reale, i leader aziendali devono assumersi dei rischi. Ma quelli che riusciranno a
superarli saranno coloro che capiranno come gestirli evitando le trappole disseminate lungo la
strada, il tutto mentre spingono le loro organizzazioni al limite coinvolgendo il personale nell’essere
copratogonista dei nuovi traguardi mediante la sua partecipazione attiva. Tale impulso può essere
6
McKinsey & Company - Arun Arora, Peter Dahlström, Pierce Groover, Florian Wunderlich “A CEO guide for avoiding
the ten traps that derail digital transformations”. www.mckinsey.com.
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valutato sia come un rischio sia come un’opportunità di creare ricchezza per l’azienda. Il valore
generato si tradurrebbe anche in benefici per i consumatori come: prezzi più bassi, prodotti di
qualità migliore e tarati sulle preferenze con servizi clienti più efficienti.
Il lungo rapporto sulle potenzialità ancora inespresse dai social media in termini di generazione di
valore per le aziende, pubblicato nel 2012 da McKinsey7
, rivela che c’è un “tesoro nascosto” nelle
tecnologie sociali. Il valore generato è compreso tra 900 e 1300 miliardi di dollari. Il tutto a patto
che le aziende siano disposte a rimettere in discussione i tradizionali modelli organizzativi e
manageriali, nella direzione di una maggiore collaborazione all’interno dell’impresa e tra imprese,
maggiore apertura dei confini organizzativi interni ed esterni e maggiore condivisione delle
competenze prodotte. In altre parole, le aziende devono diventare “connese” lungo tutta la catena
del valore, attraverso un articolato processo di change management.
La potenzialità più rilevante è la semplicità di comunicazione con il conseguente accesso al
mercato internazionale. Per avere un’azienda “sempre connessa” 24/24 365 giorni l’anno è
importante che i processi siano semplificati, standardizzati e replicabili. Questo nuovo tipo di
approccio mediante l’introduzione degli strumenti digitali facilita la comunicazione interna ed
esterna divenendo un enabler all’internazionalizzazione dell’azienda e all’acquisizione di nuovi
clienti 8
.
1.3 Dai silos verticali alle social organization
La crisi che recentemente è esplosa in tutta la sua intensità è legata a vari fattori uno dei quali è il
modello di gestione manageriale e organizzativo che tecnicamente viene definito dal Professor
Minghetti9
scientific managment. Tale sistema è stato teorizzato da Friederick Taylor il quale nel
1911 ha scritto un libro su “i principi dello scientific managment” mettendo nero su bianco la
descrizione di un tipo di impresa che ancora oggi purtroppo connota la maggior parte delle
aziende. Un modello organizzativo basato sulla divisione in tempi e metodi, in silos verticali che
non dialogano fra di loro, sul comando e controllo e sull’antico principio del divide et impera. Sono
fattori teorizzati anche più di cento anni fa ma che comunque sono ad oggi ancora presenti. La
crisi ormai conclamata di questo sistema obsoleto è un tutt’uno con quella economica, politica,
sociale e culturale.
Ferma restando l’importanza ed i vantaggi indiscussi che ha portato lo scientific management, è
necessario un nuovo modo di fare business. Minghetti lo intravede nello humanistic management
ovverosia nel recupero di tutto quel patrimonio culturale dell’azienda che non ribadisce più la
centralità dell’uomo ma il fatto che ormai non si può prescindere dall’aspetto tecnologico. Risulta
quindi essenziale recuperare un nuovo modello d’impresa, che pur avendo radicato fortemente il
proprio essere nel patrimonio umanistico, faccia proprio e sviluppi le nuove digital skills.
Bisogna quindi aiutare le aziende a sviluppare dei modelli organizzativi come le social
organization10
cioè un nuovo modo di fare impresa che consente ad un vasto numero di persone
(mass collaboration), anche se dislocate sul territorio nazionale ed internazionale, di lavorare
collaborativamente valorizzando le singole riserve di competenza, talento e creatività attraverso la
costituzione di communities online finalizzate al raggiungimento di specifici obiettivi aziendali.
Ripensare cioè agli ecosistemi sotto l’ottica digitale nonchè collaborativa. Il fenomeno della digital
desruption sta infatti modificando interi settori dell’economia perchè stanno emergendo nuovi attori
che hanno un mindset e dei modelli organizzativi radicalmente diversi dal passato.
7
www.mckinsey.com.
8
“Digital Transformation – Quali sono i vantaggi che puo’ portare alla tua azienda”, www.sromano.it.
9
www.minghetti.com.
10
Il termine “social” ha un doppio significato rivestendo sia l’ aspetto sociale sia quello di social network.
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8
Queste nuove realtà vengono definite app o meglio platfirm 11
e richiedono un approccio diverso
con la strutturazione dei modelli organizzativi non più verticali e rigidi bensì orizzontali e fluidi in cui
le persone si aggregano in communities online a prescindere dal silos di appartenenza o dal grado
gerarchico di anzianità aziendale ma sulla base del valore aggiunto che possono offrire a quel
particolare processo.
Come precisa Minghetti il termine “comunità” è una parola chiave che si riscontrava già nel
pensiero olivettiano. Oggi le nuove tecnologie ci consentono di riattualizzare la visione del grande
imprenditore italiano creando communities non più offline bensì online in cui i principi di
trasparenza, fiducia, solidarietà che erano propri di quel modello vengono trasposti e ritradotti in un
contesto manageriale rinnovato. Il mercato globale sta evolvendo velocemente non solo negli
aspetti tecnologici ma soprattutto nei modelli mentali, cognitivi e negli stili di vita delle persone.
Questo significa che anche i consumatori stanno cambiando e di conseguenza anche i connessi
comportamenti d’acquisto e se le aziende non ne prendono atto perdono delle fette potenziali di
mercato. Il motore più potente che determina questi mutamenti culturali e comportamentali è
internet con la nascita delle communities che trovano ormai terreno fertile nei social network. Ciò
determina la digital transformation poichè le piattaforme sviluppano comunità di interesse che si
confrontano mediante interazioni conversazionali.
11
Il neologismo nasce dalla fusione dei vocaboli “platform” e “firm” indicando la prospettiva che vede le organizzazioni
come piattaforme.
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CAPITOLO II:
MINDSET E NUOVE COMPETENZE NELLA FUNZIONE HR E MKTG
2.1 L’evoluzione delle competenze e del mindset del marketing manager
La tecnologia sta influenzando sempre di più la vita quotidiana delle persone e sta producendo una
trasformazione nella loro mentalità che, in ambito manageriale, si riflette in un mutamento delle
competenze e delle funzioni anche nell’area del Marketing. Il marketing manager deve possedere
determinate competenze da usare come una bussola nel mercato.
Il manager deve essere costantemente aggiornato dal punto di vista tecnologico, ovvero deve
avere un mindset basato sulla conoscenza del mondo digitale: il digital mindset12
. Le barriere
spazio-temporali si abbattono e la realtà diventa tracciabile. diventa di primaria importanza per il
manager avere coscienza del mondo digital per non perdere competitività: «la differenza è che il
digitale non accorcia i tempi e le distanze, li fa evaporare: Internet permette connessioni con
chiunque e ovunque in tempo reale. Ogni individuo ha infinite opzioni di scelta, accessibili a
distanza di un click. Questo comporta un’accelerazione continua in azienda, sulla possibilità di
innovare e sfidare le innovazioni dei propri competitor».13
In questo senso uno degli strumenti che
può essere fondamentale per il manager è la digital learning, inteso come fruizione autonoma di
contenuti volti al consolidamento della propria formazione digital.
Ciò che il manager deve essere in grado di fare è gestire le proprie soft skills e quelle dei propri
dipendenti, in particolare le cosiddette digital soft skills14
, ossia abilità relazionali e comportamentali
che consentono ai dipendenti d’azienda di utilizzare in maniera efficace i nuovi strumenti digitali.
Queste sono: la knowledge networking, la capacità di identificare, recuperare e organizzare i dati
disponibili in communities e piattaforme virtuali dell’azienda; è indispensabile, inoltre, anche una
conoscenza della virtual communication, ovvero la comunicazione efficace, la coordinazione di
progetti e la gestione della propria identità in ambienti digital. Il manager deve poi saper gestire la
digital awareness,-la protezione dei dati sensibili aziendali-, la self empowerment, ovvero la
capacità di risolvere problemi complessi attraverso l’utilizzo efficiente degli strumenti digital.
Il manager deve poi essere in grado di tenere costantemente monitorato il mercato. Tale
conoscenza può essere raggiunta tramite l’utilizzo di big data. Il compito del manager è
organizzare questa mole considerevole di dati in funzioni dei propri obiettivi strategici.
Il focus del manager deve anche essere orientato ad essere sempre consapevole del mercato
circostante. Essere consapevoli delle necessità dei clienti è una delle capacità fondamentali per
analizzare l’ ambiente sempre più competitivo. Attraverso le communities e i software i clienti, che
condividono le proprie esperienze con altre persone in rete riguardo un determinato prodotto o una
determinata azienda (Branded Customer Experience), influenzano anche coloro che invece sono
distanti da quel brand.15
L’obiettivo del manager deve essere rivolto a creare un’esperienza
soddisfacente e voluta dalla persona. Un esempio che può essere considerato è Vodafone, che ha
12
Cfr. C. INGLEY, The Digital Mindset: How to Retool Your Skills and Rewire Your Brain for the Digital Age,MEDIA
MOGUL Press, 2011.
13
G. XHAËT,Digital skills: la maturità digitale e le competenze del futuro, 19 settembre 2017, in
http://www.ilsole24ore.com/art/management/2017-08-30/digital-skills-maturita-digitale-e-competenze-prova-futuro-
130714.shtml?uuid=AE0belJC.
14
Cfr. Digital soft skill: quali sono e perché ne abbiamo bisogno, 24 giugno 2015, www. competenzemanageriali.it.
15
Etnografia, ascolto delle conversazioni online, incontri frequenti col cliente; si veda l’idea di Vodafone di instaurare un
rapporto fiduciario tra il call center e i clienti.
11. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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dato l’opportunità ai propri clienti di vivere esperienze personalizzate tramite dati raccolti in rete e
nel punto vendita, ma anche gli stessi dipendenti tramite l’iniziativa “Employee as a Customer” si
sono ritrovati a vivere un’esperienza come clienti grazie a una SIM consumer. «È tempo che il
marketing diventi il team che crea valore strategico per il business, spostando il proprio focus sulla
customer experience»16
. Il manager deve tenere presente che il protagonista è il cliente, la
customer –centricity .
La digitalizzazione ha portato alla nascita di figure quali infomediari e content provider, che
forniscono informazioni sul cliente alle imprese dopo averlo monitorato. Nel testo Il cambiamento
indotto dall’IT nelle attività di marketing e nelle relative famiglie professionali sono stati intervistati
esperti e rappresentanti aziendali in merito all’evoluzione delle famiglie professionali e alla
creazione di nuove competenze. Si è assistito alla nascita di una nuova generazione di manager,
che devono concentrarsi sulla velocizzazione dei processi di analisi e operativi.
Tra le nuove figure professionali compaiono il trade marketing manager, i responsabili dei sistemi
di sales force automation, i responsabili dei progetti di loyaltye data wharehouse introdotti dal
business intelligence,il Customer manager, il database marketing manager, gli analisti di marketing
che passano al vaglio tutti i dati e le informazioni dei consumatori, il program manager che unisce
capacità di marketing e strategia con abilità di project management, il web-manager e l’e-
Commerce manager. Viene inoltre rimodellata la figura del brand manager in rapporto all’esigenza
di nuove competenze, nuove figure legate al business development, i data miner, i data
administrator, gli specialist di geo marketing,il purchasing manager per nuove modalità di lavoro.
Per rimediare alla mancanza di queste competenze richieste è necessario un incremento di
formazione specifica che colleghi il marketing con l’ICT anche se non è una visione ancora
condivisa da tutte le aziende. Vi è una difficoltà a livello manageriale di gestione dei momenti di
crisi e più in generale del cambiamento in atto. Diversi sono i pareri che portano a pensare cosa
contraddistingua un’azienda in modo tale da prevalere sulla concorrenza: per la maggior parte
risultano essere le risorse umane; per altri la risorsa caratterizzante è il management, ossia
l’organizzazione che si dà un’azienda anche tenendo conto della tecnostruttura; secondo altri
l’elemento di spicco è il dirigente dell’impresa con la sua capacità di creare relazione e network;
per altri non è da sottovalutare l’elemento finanziario; una minima parte crede che ciò derivi dalla
conoscenza sulla guida del business, dei competitors, della tecnologia, dei processi; per altri
ancora il successo dell’azienda è data dall’imprenditore che l’ha fondata. Il ruolo centrale è assunto
dall’analista di mercato che deve essere abile a individuare il mercato di riferimento per l’azienda
analizzando il portafoglio clienti grazie all’IT (information technology): dalle ricerche di mercato
quantitative, qualitative, estensive o focalizzate, si concentra sui dati transazionali valutando il
grado di fidelizzazione del cliente conquistato. Deve essere in grado anche di interpretare l’offerta
nella prospettiva del cliente per scorgere eventuali segni di distacco.
Il manager non deve mai perdere di vista quelli che sono i suoi obiettivi e deve saper coltivare le
potenzialità di ogni suo collaboratore creando, grazie ai nuovi strumenti di cui è in possesso, nuove
connessioni all’interno dell’azienda.
Il coinvolgimento del marketing nella vita aziendale porta il manager di quest’area a prendere
coscienza, prima degli altri, dell’impatto che la digital transformation potrebbe avere su tutti i
processi aziendali. Tale consapevolezza crea i presupposti per un aggiornamento costante e una
formazione continua dei suoi dipendenti. L’obiettivo primario diventa dunque riuscire a prevedere
16
M. MINGHETTI,La Customer Experience nell’era delle Platfirm, Blog Le Aziende Invisibili, 2017, 1, in
http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2017/05/22/la-customer-experience-nellera-delle-platfirm/.
12. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
11
al meglio l’esigenza tradizionale e innovativa del cliente attraverso la già citata customer centricity,
che vede il cliente come co-produttore e co-creatore del prodotto e del servizio.
2.2 Trasformazione delle competenze in ambito HR
“Puoi sognare, creare, progettare e costruire il più bel sogno del mondo…ma per rendere un sogno
una realtà ti servono le persone”
Walt Disney
Per molto tempo si è accusata la funzione HR di esser poco proattiva, di essere lontana dal
business. Gli stessi manager ed economisti hanno tradizionalmente considerato la Gestione delle
Risorse Umane come una spesa necessaria invece che la fonte di valore per la loro
organizzazione. Oggi le persone risultano cruciali per il successo delle organizzazioni a tal punto
che a fianco di investimenti in tecnologia e qualità per l’aumento della competitività, vengono
portati avanti investimenti nelle pratiche di formazione, sviluppo e gestione del personale.
Attualmente l’HR management è una professione con al suo interno un bagaglio di conoscenze
specifiche. Alla fine degli anni 90, in uno studio basato sui contributi precedentemente sviluppati da
Ulrich17
si sono identificati tre principali domini di competenza per un professionista HR:
Knowledge of the Business, Delivery of HR Practices, Change Management.
Con l’integrazione dell’IT nella Gestione delle Risorse Umane si è aggiunto un quarto dominio,
ovvero Technology Expertise.18
Il modello a quattro dimensioni ha posto maggiore attenzione all’impatto che la tecnologia produce
nei confronti delle competenze di coloro che operano in ambito HR.
Nello specifico “Knowledge of the business” si riferisce a quelle conoscenze che vanno oltre il
campo HR e fanno riferimento all’organizzazione. In pratica questa figura partecipa alla definizione
della strategia.
Le competenze nell’area della “Delivery of HR Practices” si riferiscono alle pratiche HR specifiche
per ogni HR professional. Rientrano in essa competenze inerenti alla remunerazione, la
formazione e la comunicazione interna.
Per quanto riguarda i cosiddetti “ agenti del cambiamento”, questi sono in grado di diagnosticare e
risolvere problemi, creare relationship, stabilire priorità, e raggiungere traguardi. Essi possono
minare quella resistenza individuale al cambiamento tipica in molte organizzazioni. Per essere
effettivamente agenti di cambiamento, i professionisti HR devono essere in grado di anticipare le
nuove sfide e sviluppi, individuare trend e segnali , nonché promuovere flessibilità di fronte al
cambiamento che caratterizza il mondo esterno.
L’ambito sul quale è importante soffermarsi è sicuramente il ruolo prorompente occupato dalla
Technology Expertise.
I manager HR necessitano di soluzioni tecnologiche web based per veicolare i propri servizi nei
confronti dei dipendenti 19
. Devono essere esperti in HRIS (Human Resource Information Systems)
e capaci di insegnare agli altri membri l’utilizzo di tali sistemi.
17
http://www.hr-link.it/modello-di-ulrich: Il modello di Ulrich è un metodo di analisi elaborato nel 1996 a seguito di una
ricerca effettuata su un largo campione di aziende statunitensi. Questo modello interessa la suddivisione della Direzione
delle Risorse Umane e si basa sul ruolo attivo che queste figure professionali devono ricoprire.
18
media.mip.polimi.it/brochure/pe-hr-business-leader_web
19
Brockbank e Ulrich, 2003
13. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
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Infatti interfacciarsi con i fornitori di tecnologia esterni diventa di vitale importanza per i
professionisti HR. Infine tali manager devono essere in grado di raccogliere dati grazie a questi
strumenti per trasformarli in informazioni utili per indirizzare scelte e strategie dell’organizzazione.
A loro è affidato il compito di scovare i bisogni tecnologici, supportare e mettere a disposizione tale
tecnologia alla funzione HR.20
Le 4 aree citate contribuiscono a definire le competenze core che un
professionista in Risorse Umane deve possedere.
A partire dagli anni Novanta lo sviluppo di nuove tecnologie unite al fenomeno della
globalizzazione ha cambiato profondamente il ruolo svolto dalla Funzione Risorse Umane,
passando da un orientamento puramente amministrativo ad uno di tipo strategico.
Tale transizione da HRM (Human Resource Management) a SHRM (Strategic Human Resource
Management) ha comportato un disallineamento fra le competenze e le capacità dei membri della
funzione e le aspettative che gravano su di essa.21
Si può affermare, quindi, che l’innovazione digitale è il principale motore di cambiamento nelle
imprese e i manager HR più attenti, oggi chiamati a svolgere un ruolo delicato e anch’esso di
motore all’interno delle aziende, poiché la digital transformation non è fatta solo di nuovi software,
nuovi hardware, intelligenza artificiale e big data. E’ fatta anche, e soprattutto, di persone che
abbiano competenze digitali e un nuovo mindset, capaci di interpretare nuovi profili professionali,
misurarsi con nuovi processi e incidere positivamente nella trasformazione digitale della propria
organizzazione. Chi seleziona e gestisce queste persone nelle organizzazioni sono proprio gli HR
manager, mai stati prima così strategici
Digital skill gap
Il digital skill gap è oramai cosa nota, soprattutto alle aziende, e viene identificata come
un’emergenza anche a livello istituzionale: i numeri mostrano che è una delle cause principali della
scarsa crescita della produttività del sistema italiano. Infatti la Commissione europea ha stimato
che solo in ambito ICT e nei prossimi due anni, ci saranno 750 mila posti di lavoro vacanti. Ma le
competenze digitali oggi, non sono solo quelle richieste dall’ICT, sono trasversali a molte altre
professioni e sono in continua evoluzione, la conseguenza porterà all’aumento dei posti vacanti.22
In questo scenario di trasformazione digitale e di scarsità di risorse umane digitalmente preparate,
la capacità di un’azienda di attirare talenti diventerà un vantaggio competitivo.
Capire quali sono i nuovi trend di innovazione digitale nell’azienda è dunque un’ impresa ardua ma
fondamentale, che coinvolge soprattutto gli HR Manager, che dovranno poi tradurli in ricerca dei
profili professionali più coerentii ai programmi di trasformazione digitale della propria realtà:
tecnologie come Blockchain, Cloud Computing, Big Data Analytics o Intelligenza Artificiale e
Internet of things, investono oggi direttamente moltissime aziende e in diverse modalità. Infatti le
competenze richieste a un candidato in tali temi si andranno sempre più affinando e
verticalizzando. Un altro punto su cui focalizzarsi sono le cosiddette competenze soft: Le
professioni del domani saranno sempre più ad alta qualificazione e nel mix di skill richieste, oltre a
quelle digitali, vi sono anche competenze di processo, abilità sociali, la capacità di risolvere
problemi complessi, di gestire il cambiamento, di collaborare e relazionarsi, di adattarsi con
flessibilità e di comunicare. 23
20
Cornell Universtity ILR School- Center for Advanced Human Resource Studies (CAHRS) : The Impact of eHR on
Professional Competence in HRM: Implications for the Development of HR Professionals.
21
Vedi capitolo e-HRM
22
www.university2business.it
23
Agid – Osservatorio competenze digitali
14. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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Reskilling
Non ultimo, tra le questioni che questa trasformazione del mondo del lavoro sta ponendo ai
manager HR vi è anche quello del cosiddetto reskilling: il digital skill gap non è solo quello dei ‘new
hires’, ma anche quello dei dipendenti delle aziende che devono essere formati in funzione di
nuove esigenze.
Su un punto però sembrano concordare quasi tutti gli esperti: all’interno della fabbrica 4.0 sarà
necessario insegnare agli addetti nuove mansioni per le quali saranno richieste nuove
competenze. Emerge dunque la necessità per le aziende che intendono restare competitive e non
perdere il treno della quarta rivoluzione industriale, di lavorare anche sul reskilling, ovvero il
processo in base al quale è possibile apprendere modalità di lavoro e professionalità diverse dalla
precedenti. 24
Per mantenere un’azienda competitiva il Responsabile delle Risorse Umane deve sempre avere
chiare quali sono le capacità dei dipendenti in modo da poter intervenire prima che i gap di
competenze possano inficiare la produttività aziendale.
2.3 L’ avvento delle communities
Nell’intervista rilasciataci dal Prof. Minghetti viene marcata individua proprio nella tecnologia e
nelle comunità una modalità di aggiornamento interessante25
.
«Oggi nel momento in cui io devo affrontare il problema di trasformare un processo analogico in un
processo digitale mi confronto a livello metodologico con cinque possibilità teoriche (ricordandoci
sempre di quanto più sfumata possa essere la realtà). Esistono cinque tipi di community base che
corrispondono alle cinque tipologie di community che poi trovo anche su internet. Una prima
tipologia di community è la così detta “Comunità d’interesse”, è il tipo di community che si crea in
facebook in cui si raggruppano tutti coloro che hanno interesse per un determinato argomento. La
stessa cosa può capitare in azienda, ad esempio nei processi di induction le persone che sono
dentro grandi aziende agli inizi sono alle prese con attività estranee. Ad esempio anche la stessa
lettura del cedolino può comportare dei problemi a chi si è appena affacciato alla realtà aziendale.
Sono cose banali ma allo stesso tempo necessarie per la vita in azienda. Una delle modalità che si
possono utilizzare in questi casi è proprio quella di creare delle comunità d’interesse dove alcuni
knowledge-owners si mettono a disposizione per spiegare l’attività. In questo modo
l’apprendimento diventa più diretto e non mediato da manuali cartacei. A lungo andare l’esistenza
delle community d’interesse può anche creare documentazione come FAQ in modo da avere una
modalità più agevole di fruizione dell’informazione. Un esempio che vi porto è ciò che mi è
successo in Biper, la Banca dell’Emilia Romagna. Questa banca ha una caratteristica particolare,
ha sede a Modena ma le persone che ci lavorano abitano in tutta l’Emilia Romagna. Si sono
formate delle communities “blablacar like” dove autonomamente i dipendenti si sono organizzati in
gruppi per gli spostamenti. L’azienda ne ha preso atto ed ha introdotto delle policy per cui favorisce
coloro che mettono a disposizione la propria auto per fare questo servizio. L’azienda avrebbe
potuto ignorare questa comunità di interesse, invece incentivandola è riuscita a creare un clima più
disteso e, anche se difficilmente dimostrabile, ci sono possibilità che ne risenta in positivo anche la
24
www.economyup.it
25 25
https://ricomincioda4.fondirigenti.it/competenze-e-industria-4-0-un-nuovo-fabbisogno/
15. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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produttività. Ci sono tutta una serie di processi che possono essere gestiti tramite le communities
di interesse.
Poi c’è una seconda tipologia di communities che sono le cosiddette “Comunità di pratica”. Sono
quelle comunità che aggregano persone che fanno tutte parte di una stessa famiglia professionale.
Essi hanno un interesse a rimanere reciprocamente aggiornate. Ad esempio posso mettere a
disposizione delle abilità o delle nuove conoscenze acquisite senza la necessità di creare dei corsi
di formazione ad hoc. In automatico dunque circola il know-how. Ci sono vari livelli di governance,
possono essere strutturate con alcune persone responsabili oppure possono essere lasciate alla
libera iniziativa. Queste comunità si integrano nei processi di formazione e sviluppo aziendale e
diventano una parte della formazione, completamente diverse dall’ e-learning. In questo caso le
persone vengono valorizzate. Questa tipologia di comunità si auto-alimenta. Comporta anche una
competenza diversa. Non è più necessario il docente d’aula che fa una lezione di tipo universitario.
Il docente diventa un coach e da’ la possibilità a tutti di collaborare alla formazione. Cambiano
dunque il ruolo, le competenze ma soprattutto il mindset. Il ruolo del formatore viene stravolto
completamente, diventa un community manager. Il direttore HR del futuro deve dunque essere un
community manager.
La terza tipologia di community è la “Community di progetto” che nasce e muore nella gestione di
un progetto.
La quarta tipologia di community è la “Community di processo”, non più solamente progetto. Il
processo viene digitalizzato, quindi tutte le transazioni del processo vengono realizzate in digitale
con una governance di processo che cambia radicalmente rispetto a quella analogica. Ne è un
esempio Barilla, in particolare nel processo di creazione del Pan Bauletto, di cui vengono sfornati
circa tremila pezzi al giorno. In totale è un processo che dura dodici ore. Questo processo è
portato avanti attraverso delle catene di montaggio il cui turno dura però solo otto ore. Questo è un
problema tipico di tutte le catene di montaggio. Se durante un turno sorgeva un problema che
richiedeva un intervento questo veniva segnato sul libro mastro e veniva gestito dal turno
successivo con un evidente rallentamento dei processi di produzione. La direttrice della fabbrica
ha deciso di creare delle communities dotando tutti gli operai di un iPad in modo che essi possano
direttamente fotografare il problema non appena questo si presenta. Possono poi taggare la
community di manutentori che può agire su questo problema e risolverlo immediatamente. Questo
ha portato ad un aumento di produttività ma soprattutto hanno una chat in cui possono dialogare in
tempo reale con gli altri membri della community. In questo caso non sono solamente i millenials
ad utilizzare la tecnologia ma tutti gli operai della fabbrica.
L’ultima tipologia possibile di community è quella di “Social Innovation” dove viene chiesto alle
persone che lavorano sul pezzo di produrre idee innovative o di pensare a soluzioni di problemi.
Sono coloro che lavorano a stretto contatto con i processi produttivi che possono identificare
soluzioni o nuove idee. Le idee vengono poi elaborate in maniera collaborativa in modo da creare
un’idea elaborata. Ad esempio in A2A è stato fatto un contest tra i 350 “under35” dell’azienda e
sono state scelte dodici idee che sono diventate parte del piano industriale. Il sistema di
communities è quindi molto complesso, soprattutto per la formazione. Ognuna di queste lavora in
modo diverso. È però necessario che il direttore HR abbia una visione di tutte queste communities
e comprenda esattamente come intervenire nel momento in cui sorge la necessità di una forma di
digitalizzazione»26
.
Attraverso lo strumento delle communities è dunque possibile anche ripensare ad una formazione
diversa rispetto al passato, in cui si passi da una tipologia frontale, di tipo accademico ad una
26
Tratto dalla nostra intervista a Marco Minghetti.
16. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
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impostata sul coaching. Una delle nuove necessità a cui deve fare fronte il responsabile HR è
conciliare la produttività ed un clima sereno in azienda27
.
Per quanto riguarda in particolare le Competenze Informatiche la situazione italiana rimane
particolarmente arretrata. In Italia infatti il Report OCSE Skills Matters 2017 ha sottolineato come il
24,40% dei lavoratori non abbia alcuna competenza informatica28
.
Il gap di competenze risulta essere particolarmente evidente in quanto all’interno delle aziende le
competenze basilari richieste ai propri dipendenti sono la gestione dei Sistemi ERP, la conoscenza
di software antivirus e la conoscenza dei linguaggi di programmazione. Risultano poi
particolarmente importanti le competenze nella raccolta e gestione dei dati personali. Questi campi
possono dunque essere i punti di partenza per un’efficace alfabetizzazione informatica all’interno
delle aziende.
2.4 Un nuovo modo di fare Human Resources: e-HRM
“La cosa più difficile nell’imparare è imparare ad imparare”
Immanuel Kant
Una metodologia per far fronte alle nuove esigenze è sicuramente quella dell’ e-HR (electronic
human resources), definita come “l’applicazione di strumenti e funzionalità ITC per migliorare
l’efficacia e l’efficienza dei processi di gestione delle risorse umane e per valorizzare al massimo il
capitale umano”.29
La gestione dell’ e-HR è coordinata dall’ e-HRM (electronic human resources management),
definito come la pianificazione, l’implementazione e l’applicazione di tecnologie di rete informatica
a supporto di due o più attori che eseguono la propria attività di risorse umane.
2.4.1 La struttura dell’ e-HRM
Per compredere il processo evolutivo della funzione HR è necessario conoscere quali sono i reali
cambiamenti analizzati per ogni singolo servizio offerto dall’ e-HRM:
E-RECRUITING e E-SELECTION: il processo di selezione di candidati, finalizzato all’assunzione,
attuato attraverso servizi online.
E-LEARNING: l’uso delle tecnologie multimediali e di Internet per supportare l’attività di formazione
e aggiornamento del personale.
E-PERFORMANCE MANAGEMENT SYSTEM: attività e processi che assicurano che gli obiettivi
siano costantemente monitorati e realizzati in modo efficace ed efficiente.
E-COMMUNICATION: l’uso dei portali aziendali o delle newsletter per effettuare una
comunicazione che raggiunga tutti i dipendenti a basso costo.
E-CAREER e E-COMPENSATION: utilizzo di processi e strumenti digitali per la valutazione del
personale e di gestione delle carriere.30
27
https://ricomincioda4.fondirigenti.it/industria-4-0-organizzazione-del-lavoro-modelli-innovativi/
28
https://ricomincioda4.fondirigenti.it/modelli-competenze-industria40/
29
cfr. R. Cesaria, A. Cubello, E-Huaman Resources? Solo una moda se non si ripensa l’identità della funzione, Sviluppo
e Organizzazione, 2002, 191, maggio/giugno.
30
www.bollettinoadapt.it
17. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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La struttura dell’e-HRM è multilivello. Gli attori individuali interagiscono in gruppi all’interno
dell’organizzazione. Come primo aspetto è necessario considerare i fattori di contesto in grado di
condizionare in modo rilevante l’e-HRM: l’attitudine a collaborare in gruppi, la cultura aziendale,
eventuali condizioni legali impattano sul livello di organizzazione.
Non esiste una versione standardizzata di e-HRM, ma una varietà di applicazioni che vanno a
costituire una configurazione customizzata sulla base degli elementi presenti nel contesto di
riferimento.
Secondo il Professor Strohmeir, ogni modello si fonda su quattro elementi principali: attori,
strategie, attività e tecnologie.31
Gli attori sono coloro che pianificano, implementano, performano l’e-HRM e possono essere
professionisti HR, managers di linea, dipendenti, consulenti e candidati. Inoltre sono presenti attori
collettivi, ovvero, i gruppi, le organizzazioni, le unità e tutto ciò che va a costituire il livello macro.
La strategia è la componente funzionale che fa riferimento agli obiettivi posti dall’azienda
nell’implementazione dell’ e-HRM e costituisce l’elemento centrale per comprendere decisioni
inerenti ai processi.
Le attività racchiudono le singole funzioni HR, come il reclutamento, la selezione, la formazione, la
valutazione la gestione dei benefit e hanno l’obiettivo di soddisfare i fabbisogni delle Risorse
Umane. Le tecnologie, infine, sono lo strumento in grado di abilitare gli attori nell’esercizio delle
loro mansioni (portali, sistemi self-service, applicazioni).
La mappatura del contesto e della configuarzione e-HRM permette, in una fase successiva, di
evidenziare gli outputs (le conseguenze) a livello micro e macro che tale modello produrrà.
A livello micro ci si riferisce all’impatto individuale in termini di soddisfazione o accettazione, a
livello macro, invece, alla strutturazione dei risultati a livello operazionale, relazionale e
trasformazionale. Per comprendere fino in fondo questa evoluzione verrano analizzati - qui di
segutito – le tre tipologie: Operational, Trasformational e Relational. La prima vede il suo campo di
applicazione in ciò che concerne con le funzioni amministrative aziendali, quali gestione stipendi e
dati personali del personale.
La modalità trasformational invece punta a sviluppare e gestire le diverse strategie HR
(orientamento strategico, gestione delle conoscenze e delle competenze).
Infine il Relational type esplica la sua funzione coadiuvando i diversi processi di business
approvate dall’azienda, quali la gestione e l’attuazione di recruiting, training e gestione delle
performance individuali e di gruppo.
31
Prof. Dott. Stefan Strohmeir, Presidente della gestione aziendale e dei sistemi informatici di gestione orientata
all'Intelligenza. Università della Saarland, Saarbrücken ,Germania.
18. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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17
CAPITOLO III:
EVOLUZIONE DEL LAVORO
3.1 Smart working
“Lo spazio è costruito dagli uomini, è uno spazio di vita, somma dei luoghi frequentati con
regolarità, come spazio percepito tenendo conto della selezione affettiva che si ha nel proprio
spazio.”
Frémont
Nell’ultimo decennio si è sviluppato nelle aziende lo smart working, un sistema che prevede una
interazione tra persone, luoghi ed orari lavorativi più flessibile, nel tentativo di aumentare la
produttività e l’efficienza del lavoratore in risposta alle nuove esigenze aziendali. Lo smart working
si potrebbe definire come “una nuova filosofia manageriale fondata sul dare alle persone flessibilità
ed autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti a fronte di una responsabilizzazione dei
risultati”.
Lo smart working viene analizzato dal punto di vista strategico e funzionale per quanto riguarda
l’esigenza di mettere in contatto team nazionali ed internazionali al fine di abbattere il perimetro
aziendale tradizionale. Tale modalità si esplica nella cooperazione e nello scambio delle
competenze. Possibilità, questa, realizzabile solo grazie all’utilizzo cosciente dei nuovi strumenti
tecnologici.
Lo Smart Working poggia le sue basi sulle 4P:
- Platform: l’ecosistema di interconnessione digitale;
- Process: l’interazione persona-persona e persona-obiettivo;
- Place: spazi studiati per essere abitanti e collaborativi;
- People: costante abilitazione ed empowerment delle persone affinché producano32
.
Ulteriore punto di forza di questo istituto risiede nella sua trasversalità. Qualora una azienda
decidesse di importare un modello agile quale lo Smart Working, questo non verrebbe influenzato
da distinzioni di genere, gerarchia o mansione.
I lavoratori possono svolgere le loro mansioni senza l’obbligo di sede o di orario, sono più
autonomi nella gestione del lavoro e più responsabili nei confronti non più di un compito da portare
a termine bensì di un obiettivo comune da perseguire, sviluppando una mentalità
autoimprenditoriale e aumentando motivazione e benessere senza che la produttività ne risenta.
La possibilità di amministrare autonomamente il tempo tra lavoro e vita personale si traduce inoltre
in una significativa riduzione della percentuale di assenza dal lavoro; da alcuni rilevamenti
effettuati è risultato, a seconda della divisione aziendale, una riduzione dal 7% allo 0.5/1%.33
Un modello come questo però non può essere introdotto indiscriminatamente in qualunque
contesto lavorativo, è indispensabile che vi sia a priori una condizione favorente l’adattamento al
sistema. Il processo di induction deve essere gestito con attenzione a partire dai manager al fine di
minimizzare l’ostilità naturale che una rivoluzione di pensiero di questa entità porta con sé. Data la
flessibilità dello smart working non esiste un modus univoco di introduzione nei programmi
32
http://www.elis.org
33
Per entrare più nello specifico della realtà italiana aziendale si stima che nella classifica delle regioni italiane dove
sono più diffusi i luoghi di coworking sono la Lombardia con 93 spazi autonomi di lavoro, Milano con 60, infatti non a
caso è la città italiana dove sono più diffusi, seguita dal Veneto e Emilia Romagna che ne hanno 30 ciascuno. Segue,
inoltre, il Piemonte con 20, poi Roma con 22 e circa 15 tra Firenze e Bologna.
33
19. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
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d’azienda. Si possono prendere in esempio due percorsi differenti intrapresi al fine di dare inizio
allo SW: il caso “Lavoro Agile” ed il caso “Siemens Office”. “Lavoro Agile” è un progetto partito dal
Comune di Milano che ha coinvolto tra gli altri il Presidente del gruppo lombardo AIDP Andrea
Orlandini. In questo caso l’induction dello SW è stato pianificato e progettato su scala aziendale
prestando attenzione alle possibili difficoltà che potevano insorgere in seguito ad uno
stravolgimento manageriale di questo peso.
Nel caso del progetto “Siemens Office”, invece, l’induction è stata affrontata come una
sperimentazione sul campo cercando l’adesione volontaria di quanti più dipendenti possibile e ad
oggi sono circa 2000 i partecipanti al progetto. Per semplificare la diffusione e l’introduzione è stato
inoltre sviluppata una video guida, diffusa su YouTube, al fine di illustrare il valore ed il concetto
del programma. E’ stato necessario accompagnare l’implementazione del modello ad un percorso
di change management affinché venisse compreso e accettato il nuovo modello culturale prima del
modello organizzativo. Questo è stato possibile rivedendo lo stile di leadership, i valori ed i
comportamenti, il modello di comunicazione, la capacità dei manager di coinvolgere e condividere
le informazioni e formare il personale sui temi della leadership e le diverse modalità di
implementazione.
Nondimeno è importante il quadro culturale, organizzativo ed emotivo: se a seguito di una gap
analysis si evincesse una sfiducia fra capi e collaboratori sarebbe improbabile che lo smart
working -che si basa sulla responsabilizzazione di ogni elemento al lavoro- possa migliorare il
clima, spiega Andrea Orlandini34
in una recente intervista.
L’introduzione dello SW è un processo che segue tappe precise per la sua buona riuscita, evitando
o minimizzando fenomeni di rifiuto ed errori. Sempre il Presidente AIDP, spiegando la sua
esperienza con il progetto “Lavoro Agile”, definisce indispensabile un percorso composto da gap
analysis tecnologico e culturale, redazione di un business plan, benchmark di mercato,
sponsorship dei vertici aziendali, attività formativa, informativa e di coinvolgimento del personale,
predisposizione delle procedure e dei processi aziendali, piano di comunicazione, creazione di KPI
ed infine verifica dei risultati.
Il vantaggio di un modello manageriale simile non si esplica solo in termini di qualità del lavoro e
dell’efficienza della produzione ma si evince da una maggiore soddisfazione del lavoratore che,
potendo gestire in autonomia il suo lavoro, può realizzare effettivamente il work/life balance
recuperando gli spazi da dedicare alla vita sociale. A sostegno dei vantaggi nella vita del
lavoratore è la risposta favorevole dei sindacati a questo istituto.
Per contro si ritiene che nel lungo periodo possa verificarsi una difficoltà nello scindere tra il lavoro
e la vita privata: il lavoro potrebbe risultare invasivo e provocare una sensazione di total work
privando di momenti di vero recupero.
Per quanto rigurarda la normativa italiana il Senato ha dato il via libera al ddl sul lavoro autonomo
e agile. Il ddl, promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro
subordinato stabilita mediante accordo tra le parti senza precisi vincoli di orario o di luogo di
lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Inoltre le aziende adottano regole interne che tutelino il lavoratore quanto l’amministrazione. Nel
caso, per esempio, del progetto “Siemens Office” come illustrato da Federica Fasoli, capo HR del
dislocamento Siemens in Italia e Grecia, a tutela delle parti sono stati dettati dei paletti minimi ma
indispensabili35
:
34
Andrea Orlandini: Presidente AIDP Lombardia
35
“HREVOLUTION” :HR nell'epoca della social e digital tranformation di Donadio Alessandro, Franco Angeli, 2017.
20. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
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- Permanenza di un quadro normativo di riferimento;
- Obbligo per i collaboratori di disporre correttamente degli strumenti di lavoro e divieto di
lavoro nelle ore notturne;
- Rispetto delle norme di sicurezza previste dal DLgs. 81/08;
- Rimborso spese della connessione di casa;
- Formazione ad hoc;
- Pacchetti assicurativi con coperture più ampie;
- Monitoraggio costante degli indicatori chiave di rischio.
Nell’intervista effettuata alla Dott.ssa Ida Sirolli (Head of Education and Communication at TIM)
viene sottolineato come le nuove modalità di lavoro siano state accettate in maniera sempre più
proattiva da tutti i manager, sia senior sia junior.
Nel caso specifico dello smart working in TIM, si è assistito ad un graduale aumento di persone
che desiderano operare, incontrarsi, lavorare a distanza e fuori dal luogo di lavoro. Infatti è
importante sottolineare che questo - per i manager – è visto come un nuovo modo di intendere il
business. Nonostante ci sia ancora qualche senior manager più lento nell’accettazione di questo
cambiamento, nel complesso questo processo ha ricevuto delle riposte più che positive da tutti i
dipendenti.
La conferma alla nostra tesi è arrivata anche da Francesco del Porto, President Region Italy and
Global Chief, che, durante la nostra visita presso l'Academia Barilla ha riflettuto con noi circa
l'effettivo apporto che lo smart working può fornire all'azienda. In particolare si è soffermato sul
grande vantaggio anche a livello di benessere aziendale e di life balance dei dipendenti. Un dato
fondamentale da lui sottolineato è che al momento lo smart working risulta essere utilizzato
solamente da una percentuale che va dal 20 al 40% dei lavoratori, confermando che ancora una
volta in Italia la digital transformation risulta di difficile attuazione. “I dipendenti Barilla lavorano da
dove vogliono, non devono venire in ufficio necessariamente, quindi significa che due volte alla
settimana o una settimana ogni mese i nostri colleghi, me compreso, possono decidere di lavorare
da casa, dal parco, dalla spiaggia. Naturalmente ci siamo dotati di strumenti che ci permettono di
rimanere connessi, ci sono delle piccole attenzioni però da osservare in quanto sta al singolo
capire quando la propria presenza è necessaria in ufficio. Ad oggi la media dei dipendenti che lo
utilizzano si aggira intorno al 20-40%. Alcuni colleghi poi sono avvantaggiati negli spostamenti. Ad
esempio le mamme giovani oppure tutti coloro che lavorano qui a Parma ma vivono a Milano
usufruiscono maggiormente dello smart working”. Che cosa ha prodotto lo Smart Working? Una
maggiore capacità di performance delle persone che in passato erano costrette ad operare in una
gabbia che in qualche modo faceva in modo che il loro life balance subisse degli stress. Quindi
questo ha messo tutti quanti in condizione di combinare la propria vita privata con la propria vita
personale. La produttività dunque aumenta in quanto anche i talenti che prima erano costretti a
lasciare la compagnia per gestire la propria vita privata adesso sono incentivati a rimanere proprio
grazie allo smart working”.
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3.2 Nuovi approcci per nuovi processi lavorativi: i social network
“I progressi tecnologici ci hanno semplicemente fornito mezzi più efficienti per regredire…”
Aldous Huxley
I social network si confermano fortemente come parte integrante della vita aziendale, che è
caratterizzata dal passaggio da strumenti tradizionali a strumenti nuovi, ovvero digitali. Si parla
infatti di iper-connessione in cui tutte le informazioni di ogni persona, o inerenti anche a nuovi
mercati, viaggiano online. Questo ha modificato e creato nuovi processi lavorativi nelle Human
Resources e nel Marketing. I social network rappresentano a tutti gli effetti il pilastro più importante
per sorreggere le nuove competenze manageriali richeste. Questi offrono la possibilità di generare
nuove conoscenze e competenze, attraverso quelle che sono le communities aziendali di cui si è
già parlato. Quello che viene analizzato brevemente in questo capitolo è l’importanza dell’impatto
dei social network sul ruolo del leader.
La digital transformation ha scatenato due fenomeni che tutte le aziende ormai hanno riscontrato:
lo smart working e l’utilizzo di nuovi strumenti di lavoro, quali soprattutto Skype, Facebook,
Linkedin e Instagram.
L’ evoluzione digitale, come sostiene la Dott.ssa Sirolli, responsabile Research & Education
People Value di Tim, non è ancora del tutto stata assorbita e deve ancora assumere una forma più
completa di utilizzo. Infatti la Dott.ssa Sirolli afferma che “Essendo però una trasformazione
imminente, ci stiamo preparando ad affrontarla adeguatamente. Stiamo aiutando i nostri manager
a rispondere in maniera adeguata e tempestiva rispetto a questa evoluzione. Cerchiamo di dare
una visione futura su come e dove sta andando la nuova tecnologia e il nuovi business che sono
stati stravolti, perché già noi stessi (TIM) siamo stati colpiti improvvisamente da questa
trasformazione. Ad oggi si sono inseriti in azienda alcuni strumenti, che tutti noi conosciamo, che
hanno sostituito alcuni strumenti tradizionali: si passa ad esempio da sms semplici a servizi gratuiti
come Whatsapp o Skype. Strumenti che ad oggi hanno velocizzato sia la trasformazione ed
evoluzione digitale ma sia i processi lavorativi all’interno di ogni azienda, specialmente la
nostra.”36
.
L’obiettivo è sia quello di formare le risorse affinché usino correttamente i social, interni all’azienda
o esternamente e dunque fuori dall’azienda, sia quello di proiettare tali risorse ad un nuovo
approccio comportamentale che richiede, di base, un cambiamento sotto l’aspetto del mindset.
L’esigenza di essere più digitali possibili richiede dunque un diverso approccio nei confronti di tutta
la trasformazione digitale, ma non tutti sono pronti o preparati ad affrontare tale situazione. Non
tutti sono disposti a cambiare le proprie abitudini lavorative e ad accettare positivamente l’ingresso
della digitalizzazione nel luogo di lavoro, che è influenzato specialmente dalla combinazione tra
smart working e strumenti social. Ecco che da qui nasce dunque il bisogno delle aziende, come
manifesta la Dott.ssa Sirolli, di formare e preparare i propri lavoratori o assumere personale che
già possiede le attitudini digitali richieste.
Saper utilizzare i social network all’interno della propria realtà aziendale, è diventato
evidentemente un obbligo. Per ogni azienda, creare un proprio profilo social è uno step cruciale se
c’è la volontà di incrementare popolarità e soprattutto l’intenzione di rafforzare maggiormente il
rapporto con i propri clienti. Per fare questo è infatti inevitabile una preparazione altamente
adeguata nei confronti di questi nuovi strumenti. Le aziende che oggi studiano quotidianamente
36
Sirolli Ida, Intervista, 22/12/17, Baveno
22. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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delle strategie per comunicare un determinato tipo di messaggio non sono tante, perché il mercato
richiede un’importante velocità d’adeguamento che crea diverse difficoltà alle aziende che cercano
di rimanere competitive nel mercato globale e che cercano di cambiare il proprio processo
comportamentale e il loro asset nei confronti di tutta questa trasformazione.
Analizzando però gli ambiti più colpiti da questo fenomeno digitale - le Human Resources e il
Marketing - si possono individuare quelli che sono i principali impatti che la digitalizzazione ha
causato. In riferimento alle Risorse Umane è interessante indagare come, tramite l’utilizzo dei
social network, sia nata quella che oggi è conosciuta come la “social sourcing”37
, uno dei fenomeni
più importanti e significativi nati in questo settore. Questa, rappresenta la modalità secondo cui il
settore delle Risorse Umane ricerca dei profili da inserire all’interno della propria azienda. I social
utilizzati dagli operatori HR sono principalmente LinkedIn, Facebook e Instagram. Sono una
combinazione tra canali di comunicazione e d’informazione, in cui è più semplice individuare la
figura ideale. In questi casi il candidato stesso può raccontare di più di sé, più di quanto possa farlo
in una situazione di colloquio di selezione. È dalla corrispondenza tra quello che si pubblica nei
profili più social come Facebook e Instagram, e ciò che si pubblica sulla piattaforma più formale e
professionale come LinkedIn, che oggi gran parte dei candidati vengono contattati o meno.
Pertanto questa nuova modalità di selezione si concentra totalmente in rete perché è in questa che
attualmente si trovano diverse strategie per individuare la risorsa che possiede le competenze e
conoscenze utili all’azienda.
Nel campo del Marketing invece, la trasformazione digitale ha avuto un impatto molto importante
sotto diversi aspetti. Uno dei più importanti è che le strategie di comunicazione sono
maggiormente basate su tattiche pubblicitarie in rete. Tutto questo offre sempre più margine di
fidelizzazione con gli utenti, che vengono continuamente aggiornati su prodotti e servizi di ogni
natura. Il web è il nuovo driver del cambiamento, che risponde continuamente alle esigenze sia del
mercato sia delle persone. L’impatto dei social network, e dunque della digitalizzazione, ha infine
causato la nascita di questo nuovo modo di fare business e di lavorare all’interno dell’azienda, in
cui è facile vedere specialmente l’aumento delle vendite e la riduzione dei costi nei processi
lavorativi. Ha radicalmente rivoluzionato lo stile di vita aziendale, da un approccio statico e
tradizionale ad uno smart, dinamico e veloce. È un cambiamento, come confermano diverse realtà
aziendali, in cui queste ultime lavorano e progettano strategie d’adeguamento per rimanere
competitive in un mercato in continua evoluzione, in cui l’individuo si avvale di questi nuovi
strumenti per approcciarsi in maniera più semplice e comoda nei confronti del proprio lavoro.
37
Rusconi, Gianni. “Il recruiting è (anche) social: ecco come si diventa un candidato ideale”. IlSole24Ore. Job
Management. www.ilsole24ore.com. 14/06/17
23. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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Conclusione: verso una nuova leadership
Il tema dell’evoluzione delle competenze in ambito HR e Marketing è talmente ampio da affrontare
che in questo breve elaborato si è potuto solamente darne una panoramica. Si sono affrontati i
concetti chiave di un tema che è tutt’ora in evoluzione. Nel complesso scenario manageriale
italiano la fotografia scattata risulta essere estremamente ambivalente. Gli strumenti informatici
sono entrati – a volte anche con prepotenza – nell’ambiente lavorativo, imponendo una nuova
modalità di gestione e la conseguente evoluzione del lavoro. A questo proposito le funzioni Risorse
Umane e Marketing risultano essere coinvolti direttamente in questa rivoluzione, tanto da generare
un mutamento delle competenze aziendali che il responsabile HR deve cogliere al fine di
mantenere l’azienda produttiva e competitiva. Nasce la necessità di creare nuovi modelli di
business per mantenere aggiornata la realtà aziendale, in cui il ruolo della digital transformation si
sviluppa lungo l’intera filiera produttiva creando collaborazioni e nuovi modi di gestire tutto il
processo industriale. L’approccio richiesto è quello di individuare competenze in grado di risolvere i
problemi generati dall’incapacità di utilizzare i nuovi strumenti informatici quando non sono
accompagnati da una formazione adeguata. Il passaggio da una leadership classica ad una
collaborativa ed inclusiva diventa la soluzione più concreta per far fronte al veloce stravolgimento
La funzione marketing risente della trasformazione digitale, rispondendo non solo alle esigenze
tradizionali ma soprattutto a quelle innovative.
L’evoluzione fin qui delineata ed i mutamenti in essa connessi portano inevitabilmente ad una
visione rivisitata del concetto di leadership. L’assetto strategico e le responsabilità decisionali
ruotano attorno alla figura del top manager che, come visto in precedenza, non può rimanere
ancorata ad una concezione atavica e stereotipata ma, come i processi aziendali, deve mutare la
sua natura in relazione alle nuove realtà rimodulando anch’esso le sue competenze.
Il professor Minghetti, da noi personalmente intervistato, definisce la c.d. open leadership o 2.0
come un insieme di caratteristiche e di valori che dovrebbero essere presenti in ogni leader
contemporaneo. Una concezione di “capo” partecipativo e quindi in grado di includere e
coinvolgere tutte le risorse umane a sua disposizione tirando fuori il meglio da ognuna di loro e
cercando di far nascere in maniera del tutto spontanea la voglia di partecipazione identificativa
degli ideali e del progetto comunemente perseguito38
.
Il leader è un autore, un regista e un primo attore. Nel contempo esprime una leadership “debole”,
la cui essenza non sta nel dirigere, ma nel “lasciar fluire” i processi, le attività, i comportamenti,
lungo un percorso di cui ha chiara la meta: non impegnarsi a produrre di più, bensì comprendere
cosa, come e perché produrre. La leadership di un manager “umanista” si fonda in primo luogo
sulla capacità di promuovere e condividere la riflessione sui mezzi e i rischi per fare le cose
(progettualità condivisa). Inoltre è importante la condivisione della conoscenza (e-learning), come
fonte di possibilità esplorabili, di cui occorre riconoscere la specificità, ossia l’esigenza di rendere
dialogico, non gerarchico, non unidirezionale, il suo uso. La conoscenza non è sottoponibile a
gerarchia -perché perderebbe la sua efficacia -. Perciò va ammessa e valorizzata anche se spesso
scomoda e non immediatamente utile. In un contesto turbolento - ovvero soggetto a cambiamenti
estremamente rapidi e caratterizzato da un’elevatissima competitività -, la capacità di ricevere la
massima quantità di stimoli esterni e di elaborarli tempestivamente, per adottare di volta in volta il
profilo più appropriato, sembra invece essere inversamente proporzionale all’intensità del
comando e del controllo.
38
Minghetti M. “L’intelligenza collaborativa” Verso la social organization, Egea editore.
24. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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Mantenere la guida significa sostenere la mission e il ruolo istituzionale dell’organizzazione,
difenderne l’integrità, garantire l’assolvimento della sua responsabilità sociale, supportare gli
individui nelle tensioni derivanti dalle pratiche di autosviluppo personale.
Questa nuova figura deve quindi avere un grado di apertura tale da poter condividere le proprie
informazioni, opinioni ed esperienze sia con i propri dipendenti sia con i propri clienti. Deve poi
essere in grado di prendere decisioni in maniera autonoma senza influenze provenienti dal mondo
esterno. Dove in passato la gestione è stata strutturata attorno al modello del comando e controllo,
le aziende di oggi devono saper esprimere un principio più profondo e più potente di libertà per gli
individui nelle loro organizzazioni, abbattendo quindi i silos verticali. Non può mancare inoltre la
creatività intesa come commistione di fantasia e concretezza. Questo risulta un fattore strategico
nella costituzione di communities online finalizzate alla trasformazione dell’impresa39
.
Un’altra concezione interessante sul tema è quella del Social Organization Strategist Alessandro
Donadio40
. La sua brillante intuizione è quella del c.d. leader liquido.
“Una figura innovativa e maggiormente aderente a quelle che sono le nuove dinamiche aziendali.
Tale nozione parte dalla considerazione che ormai il leader non si trova più al di sopra del sistema
che guida. Questa visione distorta derivava dal fatto che la sua posizione formale sembrava
collocarlo fuori o al di sopra del sistema stesso ma dal punto di vista sostanziale il “capo” si colloca
al suo interno. In ragione di questo è sensibile alla sua cultura, ai pregiudizi che si praticano ed alle
modalità di relazione che la improntano. Questo bagno di realtà, secondo lo studioso, si deve ad
alcuni antropologi del ‘900 che dovettero ammettere che la loro presenza osservativa ancorché
continuativa nei gruppi, cambiava alcune delle dinamiche originarie, ma influenzavano anche le
loro prospettive di osservazioni; insomma, non erano neutri sulla “tribù”, ma la cambiavano e
viceversa. Questo rappresenta il passo successivo della sua analisi; la presa di consapevolezza
del leader di non essere un meccanismo perfetto. Impossibile pensare ad un leader che sia
emozionalevisionario ed al tempo stesso più osservativo ed operativo nella stessa persona, per la
ragione che queste si fondano su attitudini molto diverse fra loro. Proprio per questo motivo tale
figura non deve essere considerata come il “sistema solare” del gruppo. Pertanto le persone sono
quotidianamente in relazione tra loro su diversi piani operativi e di supporto in maniera del tutto
naturale e spontanea ed è ingenuo pensare che il leader sia al centro di tutte queste dinamiche in
maniera omnisciente.
Le risorse umane formano i propri network, le proprie relazioni di valore e diventano l’una per le
altre leader e follower a seconda dei contenuti delle relazioni in modo emergente, fluido ed
autonomo.
In questo contesto il leader liquido è quindi capace di “tirare indietro” più che di governare ogni
aspetto. Non teme quindi l’eventuale emersione di leadership naturali che possono generarsi nel
gruppo di lavoro sempre se ritenute funzionali al compito da svolgere. Di conseguenza non le
ostacola quanto piuttosto offre loro il contesto affinché generino valore addittivo. Come scritto
pocanzi, tale figura non deve presidiare immancabilmente tutte le dimensioni necessarie alla vita
del gruppo ed al tempo stesso se nota cha diverse persone nel team compiono in modo autonomo
e naturale le funzioni assegnategli deve far valere la forza della complementarietà”.
Donadio si rende conto di aver delineato un’immagine di rottura rispetto a quella tradizionale del
leader carismatico e autoritario ma la sua, come quella del Minghetti, è una scelta volontaria di
39
www.marcominghetti.com
40
Donadio A. “Il leader liquido. Buttiamo via le “10 regole per”. www.aledonadio20.com
25. Evoluzione delle comunità professionali. Come evolvono le funzioni HR e MKTG, in termini di competenze e
mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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rompere con il passato consegnando a tale ruolo una nuova dimensione di abilitatore di un sistema
composto da persone responsabilizzate, che si mettono in relazione fra loro per esprimere insieme
tutto il loro meglio. Alla luce di quanto esposto il leader liquido è dunque promotore di
una leadership diffusa. Ma per riuscire in questa missione deve paradossalmente, “fare meno” e
lasciar fare di più, con tutti i rischi che questo comporta. Sarà quindi il “coraggio” il valore principale
che caratterizzerà maggiormente l’identikit del nuovo leader 41
.
41
Donadio A. “Il leader liquido. Buttiamo via le “10 regole per”. www.aledonadio20.com
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mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
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Ringraziamenti
Il nostro più sincero grazie va a tutte quelle persone che con il loro prezioso contributo e la loro
attenta supervisione hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto.
Al Dott. Luigi Serio e alla Dott.ssa Roberta Geusa che, con la loro capacità di indirizzarci, hanno
delineato le linee guida da percorrere fornendoci le coordinate sul tema che abbiamo sviluppato.
Alla Dott.ssa Maria Rita Fiasco che, come un faro per i naviganti, ha rappresentato per noi non
solo la rotta da seguire ma anche un porto sicuro nel quale attraccare nei momenti di difficoltà. A
lei, in qualità di nostra tutor, va la nostra più profonda stima e la nostra speranza di averla resa
orgogliosa del nostro lavoro.
Al Prof. Marco Minghetti, il quale con la sua passione ed entusiasmo è riuscito a trasmetterci in
maniera chiara tutto il suo sapere e la sua esperienza nel settore trattato.
Alla Dott.ssa Ida Sirolli, che con la sua gentilezza si è resa disponibile a confrontarsi con noi circa i
temi da noi analizzati con professionilità e competenza.
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mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
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mindset, in seguito alla trasformazione digitale.
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2017-2018
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Appendice
Intervista Dott.ssa Ida Sirolli
Intro: Abbiamo fatto delle ricerche e abbiamo visto che lei si è interessata al nostro argomento.
Noi facciamo un progetto sulla trasformazione delle competenze HR e MRKT dei manager in
risposta all’evoluzione tecnologica e dunque all’industria 4.0.
Domanda: Come rispondono i manager all’evoluzione digitale? Perché un conto è studiarlo, un
altro è viverlo all’interno della realtà aziendale. Secondo la nostra teoria le competenze sono
cambiate in modo veloce in concomitanza all’evoluzione digitale e quindi anche i manager, chi più
volentieri e chi meno, si sono dovuti adattare a questa trasformazione. Anche per quanto riguarda
l’aspetto del mindset.
Risposta: TIM sta lavorando proprio su questo tema e ci poniamo il quesito su come far evolvere
le competenze digitali delle persone. Non è ancora arrivata la grande ondata di applicazione
dell’Intelligenza Artificiale nelle imprese, che ci costringerà ad essere rapidi e pervasivi nel fare re-
skilling, ma negli ultimi anni le aziende di TLC, come quelle di altre industry, sono state
particolarmente colpite dalla trasformazione tecnologica e di business in corso. Le TLC, ad
esempio, si trovano a competere con aziende OTT (over the Top) che hanno stravolto le logiche
di mercato offrendo, per esempio, gratuitamente o a costo bassissimo, servizi che erano
tradizionalmente redditizie per le aziende di telefonia. Questo fenomeno ha chiaramente insegnato
ai manager a giocare d’anticipo, monitorando trend e scenari evoluti per proporre prodotti e servizi
sempre nuovi e rispondenti ai bisogni della clientela. Infatti, i percorsi di formazione manageriale
sono focalizzati su questi temi e sui nuovi modelli di leadership e di gestione delle persone,
necessari per raggiungere obiettivi sfidanti. Inoltre, i percorsi formativi proposti contengono sempre
più moduli digital e social, che hanno l’obiettivo di esporre per primo il management a tecnologie
più evolute di apprendimento e di lavoro in generale.
Domanda: Come cambia il lavoro del manager?
Risposta: Alcuni progetti come quello sul lavoro Agile stanno cambiando anche il modo con cui i
manager gestiscono le relazioni con le persone e il raggiungimento dei risultati. Infatti, nella
sperimentazione che stiamo facendo, migliaia di persone possono lavorare, incontrarsi e
confrontarsi a distanza e fuori dal luogo abituale di lavoro. Questo per i manager è un nuovo modo
di agire il ruolo di leader. Richiede modi diversi di assegnare gli obiettivi, di monitorare i risultati e
di esercitare la delega e il controllo. Ad oggi le risposte dei manager sono complessivamente
positive, anche se c’è sempre qualcuno che fatica un po’ di più ad affrontare questo processo di
cambiamento.
Domanda: Si legge su internet che voi avreste anche avviato un osservatorio specifico per quanto
riguarda le competenze. Per monitorare appunto l’evoluzione di queste, anche su quello che è il
mercato di lavoro. Cosa ci può dire a riguardo?
Risposta: Proprio di recente abbiamo riunito il comitato per l’ ”Osservatorio delle New Capabilities”
che ha la finalità di valutare proposte arrivate dalle persone interne su competenze e ruoli da
potere sviluppare o introdurre per accompagnare le evoluzioni aziendali in termini tecnologici e di
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business. L’Osservatorio è un meccanismo interno molto strutturato che fa leva su piani strategici
interni, una community di colleghi chiamati “pioneers” e osservatori esterni per monitorare
l’evoluzione del lavoro, dei ruoli e delle competenze che servono all’azienda. In particolare, la
community fa delle proposte che vengono validate da un comitato interno, il quale poi valuta se
occorre definire piani di formazione, sviluppo o recruiting per acquisire le nuove competenze.
Domanda: In quanto azienda di telecomunicazioni, rispetto ad altre aziende che operano in altri
campi, dovreste sentire in maniera più incisiva la digitalizzazione.
Risposta: Sicuramente si, in quanto abilitatore della connessione digitale del Paese, siamo
impattati da quanto accade nell’ecosistema esterno a livello nazionale ed internazionale. Inoltre,
siamo fortemente interconnessi con altre industry ad esempio l’automotive (connected cars) e
quello medico (es. e-health, telemedicina etc), e il nostro ruolo è proprio quello di abilitare gli altri
nel processo di digitalizzazione.
Domanda: Attualmente come assicurate l’aggiornamento delle competenze? Formate personale
interno o lo acquisite dall’esterno?
Risposta: Stiamo facendo leva sull’enorme patrimonio di competenze interne, formando le
persone per garantire loro le competenze giuste per affrontare la digitalizzazione attraverso piani
di riqualificazione e riconversione. In futuro pensiamo di inserire anche risorse nuove dall’esterno.
Domanda: Come hanno risposto i manager MRK all’impatto della rivoluzione digitale?
Risposta: In linea con tutti i manager dell’azienda ma, essendo loro in prima linea sul business,
sono particolarmente coinvolti nel processo di cambiamento e di acquisizione di nuove
competenze e conoscenze.
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Intervista Professor Marco Minghetti
Buongiorno Professor Minghetti, ci potrebbe parlare dell’evoluzione delle figure
professionali all’interno dell’azienda, nello specifico del HR, con una particolare
attenzione all’evoluzione tecnologica, alla trasformazione culturale ed al mindset
con la nuova figura del HR 2.0.
Parlare di HR 2.0 forse è un concetto superato perché ad oggi si tratta già di un 4.0 che,
pur essendo uno slogan un po' improprio per una serie di ragioni (che illustro qui:
http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2016/05/09/una-roadmap-per-la-fabbrica-
intelligente/), descrive comunque in maniera efficace l’evoluzione della digital
trasformation che attualmente è già oltre quello che fino a qualche anno fa era definito 2.0.
Nell’introduzione del mio libro del 2014 (L’intelligenza collaborativa. Vedi
http://www.marcominghetti.com/opere/lintelligenza-collaborativa-verso-la-social-
organization/) cerco rapidamente di spiegare in che cosa è consistito il passaggio dall’1.0
al 2.0.
L’ 1.0 nasce nel 1989 con l’invenzione del codice HTML con la genesi di internet così
come lo conosciamo oggi: una piattaforma che consente all’utente di accedere, grazie al
meccanismo dell’hyperlink, ad una mole straordinaria di informazioni, un salto quantico
rispetto a prima. Tanto che negli anni ‘90 è subentrato il fenomeno dell’overload
informativo per cui erano così tante le informazioni che in realtà era come non averle e
non ci si riusciva a districare in questo mare magnum.
Al di là di questo fondamentalmente non si modificava il rapporto tradizionale fra emittente
dell’informazione e ricevente perché comunque l’utente era ancora completamente
passivo; nello specifico poteva accedere ad una mole di informazioni estremamente vasta
ma non aveva nessuna possibilità di incidere sul contenuto, quindi il rapporto era sempre
quello di un emittente dotata di una autorità predefinita come i giornali, le università, le
corporation, etc…
L’utente poteva al massimo collazionare comunicazioni o informazioni, conoscenze che
comunque venivano fornite in maniera top down da queste fonti di autorità predefinite.
Intorno agli inizi del duemila, con lo sviluppo di wikipedia prima e poi di tutti i siti
collaborativi, poi, a partire dal 20032004 i social network (facebook, twitter, ecc…), è
veramente iniziata una rivoluzione copernicana del 2.0, nel senso che per la prima volta
non solo l’user poteva accedere a molteplici informazioni, ma diventava il protagonista
della comunicazione.
Chiunque di noi può oggi entrare ed influenzare in maniera significativa il flusso
comunicazionale, di conseguenza cambia totalmente l’assetto dei poteri.
In termini di marketing il caso classico che viene citato come punto di inizio del social
media marketing è il famoso caso di Dave Carroll con la sua canzone United Breaks
Guitar (vedi: https://www.youtube.com/watch?v=5YGc4zOqozo). Si tratta del caso di un
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chitarrista country americano a cui, durante un viaggio in aereo, è stata rotta la chitarra
dalla compagnia United Airlines. Gli viene negato un rimborso e lui, per tutta risposta,
carica un video su youtube (ed all’epoca eravamo ancora agli albori della piattaforma in
questione) in cui lui descrive la sua spiacevole esperienza. Il video ottenne milioni di
visualizzazioni e la United Airlines perse clienti in quel periodo per circa 20 milioni di
dollari.
Da quel momento si è capito che il vecchio modello di comunicazione 2.0 era saltato
poiché la persona comune diventava protagonista e non in maniera retorica ma andando
ad incidere su tutto il mindset delle grandi aziende che ormai non potevano più manipolare
i social media utilizzandoli come se fossero giornali o televisioni. Sarebbe bastato leggere
il Cluetrain Manifesto del 1999 per capire che le logiche dei social media erano
esattamente il contrario rispetto alle logiche della comunicazione pubblicitaria. Gli autori
del Cluetrain Manifesto avevano infatti già identificato con le loro tesi esattamente quello
che sarebbe successo negli anni successivi. Ciò è quello che rapidamente ho scritto nel
libro del 2014. In questi ultimi tre anni poi, che sono ovviamente un’era in termini digitali, la
digital trasformation si è sviluppata ed ha avuto un’ulteriore accelerazione andando a finire
in quella che oggi, in maniera seppur discutibile, viene definito il 4.0.
Questo significa che oggi a quello che abbiamo detto si aggiunge il fenomeno del cloud,
dei big data e del fatto che siamo tutti interconnessi attraverso i nostri devices mobili ma
anche attraverso i sensori che abbiamo addosso praticamente ormai ovunque e che a
breve giro ci impianteranno direttamente nel cervello (cfr.
http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2015/07/01/la-digitaldisruption-in-5-parole-
chiave/). Questo determina tutto il tema e lo sviluppo della comunicazione che viene
ulteriormente potenziata non solo fra uomini ed uomini ma anche fra macchine e macchine
piuttosto che l’interazione fra uomo e macchina.
Il 4.0 è tutto questo ed in esso è compresa anche la realtà virtuale, le stampanti 3D, etc...
Il Direttore HR però, nella media della situazione, è ancora rimasto in modelli culturali,
organizzativi e tecnologici pre 1.0.
…per alcuni HR quindi siamo ancora ai silos verticali ?
Si siamo ancora ai silos verticali, al rapporto comando e controllo, al principio del divide et
impera, quindi ancora oggi nonostante tutto, e questo ve lo posso dire perché io lavoro
con grandi aziende in tutti i settori, la realtà è che la direzione HR in particolare sta
facendo una grandissima fatica ad accettare i cambiamenti che negli ultimi 15 anni si sono
succeduti a ritmo frenetico e che hanno completamente travolto l’intero managment delle
aziende di cui poi uno a volte con ruoli importanti a volte con ruoli più defilati è anche
ovviamente il direttore HR. Questo in rapidissima sintesi è il contesto rispetto al quale il
direttore HR deve sfidare innanzi tutto se stesso quindi la propria funzione e di
conseguenza la propria azienda.