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Biopolitica dell'alterità
facciamo la differenza !
Un progetto, realizzato dalle associazioni Luigi Grillo e In
Flusso, sostenuto dal Comune di Alba nell’ambito del bando per
il volontariato 2014, per favorire l'integrazione degli ospiti
stranieri di Casa Pina e per fornire ai volontari una formazione
mirata sui temi del supporto all''interculturalità e trans-
nazionalità.
2015
Alba (CN) Aprile – Ottobre 2015
INDICE
Il progetto in sintesi
Biopolitica dell'alterità, i fenomeni trans-nazionali
• seminari di formazione a cura di M. Grazia Ciofani
Qual'è il luogo in cui l'interculturalità si fa “evento “ ?
• seminari di formazione a cura di Adalberto Geradini
Consapevolezza degli schemi corporei e autopercezione di sforzo e
stress
seminari di formazione a cura di Fabrizia Frigerio
“I conti tornano...se integriamo la diversità”
somministrazione e analisi dei questionari a cura di Emil Eirale
Spunti di riflessione
• a cura di M. Grazia Ciofanih.
1
QUAL'E' IL LUOGO IN CUI L'INTERCULTURALITA' SI FA “EVENTO” ?
a cura di Adalberto Geradini
IPOTESI E PRESUPPOSTI
L'obiettivo formativo, “sviluppare e consolidare la competenza interculturale”, dei
due moduli “Comunicazione, Interculturalità e Lavorare in Gruppo” e le modalità adottate
per conseguirlo, partono dalla considerazione che l'interculturalità prima che nella società,
diventa elemento concreto nel sistema cognitivo delle persone quando in essi si realizza un
"vissuto sintetico-reinterpretativo di più culture" (Duccio Demetrio). L'interculturalità come
esperienza accade nel momento in cui percepisco che nel racconto e nella
rappresentazione dell'altra cultura c'è un pensiero divergente rispetto al mio, che io posso
accogliere o rifiutare.
Interculturalità non significa quindi necessariamente condividere il punto di visto
dell'altro, è sufficiente che lo identifichi come diverso dal mio; poi posso interiorizzarlo
oppure posso mantenerlo esterno, ma diventa e rappresenta comunque un arricchimento,
a patto che lo rispetti poiché riconosco che serve ad altri popoli per dare significato alla
loro storia, alla loro vita.
La competenza interculturale è un insieme di competenze cognitive, affettive,
comportamentali e di attitudini personali che permettono di comprendere i vari significati
culturali e supportano un'interazione comunicativa efficiente ed appropriata in una varietà
di contesti culturali diversi, riconoscendo le identità multiple degli interlocutori in un
contesto specifico.
Comprende quattro componenti:
• consapevolezza della propria visione del mondo
• rispetto per le differenze culturali
• conoscenza delle diverse pratiche culturali
• capacità comportamentali (comunicative, flessibilità, apertura ecc)
adattato da Guo-Ming & William J. Starosta e J.M Bennet (traduzione di A. Geradini)
1
“L’acquisizione delle abilità di comunicazione interculturale passa attraverso tre fasi:
consapevolezza, conoscenza e abilità. Tutto comincia con la consapevolezza: il riconoscere
che ciascuno porta con sé un particolare software mentale che deriva dal modo in cui è
cresciuto, e che coloro che sono cresciuti in altre condizioni hanno, per le stesse ottime
ragioni, un diverso software mentale. L’abilità di comunicare tra culture deriva dalla
consapevolezza, dalla conoscenza e dall’esperienza personale” (G. Hofstede 1991)
Questi approcci si sono declinati nei due moduli che si stanno illustrando, mediante
l'utilizzo formativo degli stessi quattro elementi strutturali che caratterizzano
l'interculturalità (Antonio Nanni):
a) l'interazione: ogni volta che siamo all'interno di un processo unidirezionale di
trasmissione del sapere, e non un viaggio con l'altro e con il suo punto di vista, non si fa
interculturalità. «L'interculturalità è un movimento di reciprocità» P. Bertolini
b) l'empatia: l'interculturalità è un investimento affettivo: proporre elementi di esostismo
o folklore o esterofilìa non è fare interculturalità. Empatia significa che rispetto a
quell'elemento di quella diversa cultura, si possono vivere forme di apprezzamento senza
dover necessariamente condividere gli aspetti profondi della cultura altra.
c) il decentramento: per non essere sempre autocentrati è necessario abituarsi ad
ascoltare i punti di vista esterni al nostro. Questo comporta il "decentramento narrativo"
(noi visti dagli altri). «Far percepire e sperimentare che una cosa può avere un valore per un
altro ma non per se stessi e che, viceversa, una cosa può avere valore per sé, ma non per un
altro» (Lucio Corradini).
d) la transitività cognitiva: la cultura "altra" ci provoca uno spiazzamento cognitivo: è un
pensiero alieno che non si assimila facilmente alle nostre idee. E' sufficiente far spazio al
punto di vista altrui e ne consegue che, nell'esperienza interculturale, avviene una
transitività cognitiva, uno spiazzamento del proprio orizzonte nei riguardi di un pensiero
divergente: l'altro entra in me anche se ciò non conduce necessariamente ad un processo
di assimilazione. «la formazione interculturale opera per la creazione di identità culturali
nuove. Potremmo dire polivalenti o transetniche>> (Duccio Demetrio – Graziella Favaro).
2
METODOLOGIA
Partendo dal presupposto che l'apprendimento ha luogo su tre livelli, differenti ma
strettamente collegati: cognitivo, emozionale e comportamentale, i moduli formativi si
sono sviluppati su ciascuna di queste tre dimensioni e seguendo il ciclo di Kolb (esperienza,
riflessione, concettualizzazione, azione) in cui l'ultima fase si è realizzata sia in aula,
mediante esercitazioni attive, sia durante l'accompagnamento degli ospiti. Il che ha
consentito una ulteriore ultima fase di rielaborazione dell'esperienza e del vissuto
emozionale.
Primo modulo : la comunic-azione con se stessi e con l'altro
In particolare le simulazioni di colloquio, la comunicazione in gruppo le esercitazione di
analisi dei segnali non verbali hanno permesso ai partecipanti, volontari, di costruire una
micro-rete relazionale, apprendere tecniche e strumenti base del processo comunicativo e
sperimentare due degli elementi strutturali dell'interculturalità citati prima (interazione ed
empatia).
Secondo modulo : l'interculturalità e lavorare in gruppo
L'interazione e lo scambio di feedback a 360°, l'illustrazione e la discussione della
polivalenza culturale dei segnali non verbali, hanno fatto emergere l'importanza e la
criticità nelle relazioni interpersonali dei diversi sistemi di valori di cui ognuno è portatore ,
hanno dato concretezza comportamentale al modello di Geert Hofstede e hanno
consentito di sperimentare gli altri due caposaldi dell'interculturalità (decentramento e
transitività cognitiva).
BIBLIOGRAFIA
• L.Corradini “Educazione interculturale” 1992
• D. Demetrio-G.Favaro “Immigrazione e pedagogia interculturale” 1992
• G. Hofstede “Cultures and Organizations: Software of the Mind” (1991)
• A. Nanni “Come educarci all'interculturalità” 1999
3

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La formazione in Biopolitica

  • 1. Biopolitica dell'alterità facciamo la differenza ! Un progetto, realizzato dalle associazioni Luigi Grillo e In Flusso, sostenuto dal Comune di Alba nell’ambito del bando per il volontariato 2014, per favorire l'integrazione degli ospiti stranieri di Casa Pina e per fornire ai volontari una formazione mirata sui temi del supporto all''interculturalità e trans- nazionalità. 2015 Alba (CN) Aprile – Ottobre 2015
  • 2. INDICE Il progetto in sintesi Biopolitica dell'alterità, i fenomeni trans-nazionali • seminari di formazione a cura di M. Grazia Ciofani Qual'è il luogo in cui l'interculturalità si fa “evento “ ? • seminari di formazione a cura di Adalberto Geradini Consapevolezza degli schemi corporei e autopercezione di sforzo e stress seminari di formazione a cura di Fabrizia Frigerio “I conti tornano...se integriamo la diversità” somministrazione e analisi dei questionari a cura di Emil Eirale Spunti di riflessione • a cura di M. Grazia Ciofanih. 1
  • 3. QUAL'E' IL LUOGO IN CUI L'INTERCULTURALITA' SI FA “EVENTO” ? a cura di Adalberto Geradini IPOTESI E PRESUPPOSTI L'obiettivo formativo, “sviluppare e consolidare la competenza interculturale”, dei due moduli “Comunicazione, Interculturalità e Lavorare in Gruppo” e le modalità adottate per conseguirlo, partono dalla considerazione che l'interculturalità prima che nella società, diventa elemento concreto nel sistema cognitivo delle persone quando in essi si realizza un "vissuto sintetico-reinterpretativo di più culture" (Duccio Demetrio). L'interculturalità come esperienza accade nel momento in cui percepisco che nel racconto e nella rappresentazione dell'altra cultura c'è un pensiero divergente rispetto al mio, che io posso accogliere o rifiutare. Interculturalità non significa quindi necessariamente condividere il punto di visto dell'altro, è sufficiente che lo identifichi come diverso dal mio; poi posso interiorizzarlo oppure posso mantenerlo esterno, ma diventa e rappresenta comunque un arricchimento, a patto che lo rispetti poiché riconosco che serve ad altri popoli per dare significato alla loro storia, alla loro vita. La competenza interculturale è un insieme di competenze cognitive, affettive, comportamentali e di attitudini personali che permettono di comprendere i vari significati culturali e supportano un'interazione comunicativa efficiente ed appropriata in una varietà di contesti culturali diversi, riconoscendo le identità multiple degli interlocutori in un contesto specifico. Comprende quattro componenti: • consapevolezza della propria visione del mondo • rispetto per le differenze culturali • conoscenza delle diverse pratiche culturali • capacità comportamentali (comunicative, flessibilità, apertura ecc) adattato da Guo-Ming & William J. Starosta e J.M Bennet (traduzione di A. Geradini) 1
  • 4. “L’acquisizione delle abilità di comunicazione interculturale passa attraverso tre fasi: consapevolezza, conoscenza e abilità. Tutto comincia con la consapevolezza: il riconoscere che ciascuno porta con sé un particolare software mentale che deriva dal modo in cui è cresciuto, e che coloro che sono cresciuti in altre condizioni hanno, per le stesse ottime ragioni, un diverso software mentale. L’abilità di comunicare tra culture deriva dalla consapevolezza, dalla conoscenza e dall’esperienza personale” (G. Hofstede 1991) Questi approcci si sono declinati nei due moduli che si stanno illustrando, mediante l'utilizzo formativo degli stessi quattro elementi strutturali che caratterizzano l'interculturalità (Antonio Nanni): a) l'interazione: ogni volta che siamo all'interno di un processo unidirezionale di trasmissione del sapere, e non un viaggio con l'altro e con il suo punto di vista, non si fa interculturalità. «L'interculturalità è un movimento di reciprocità» P. Bertolini b) l'empatia: l'interculturalità è un investimento affettivo: proporre elementi di esostismo o folklore o esterofilìa non è fare interculturalità. Empatia significa che rispetto a quell'elemento di quella diversa cultura, si possono vivere forme di apprezzamento senza dover necessariamente condividere gli aspetti profondi della cultura altra. c) il decentramento: per non essere sempre autocentrati è necessario abituarsi ad ascoltare i punti di vista esterni al nostro. Questo comporta il "decentramento narrativo" (noi visti dagli altri). «Far percepire e sperimentare che una cosa può avere un valore per un altro ma non per se stessi e che, viceversa, una cosa può avere valore per sé, ma non per un altro» (Lucio Corradini). d) la transitività cognitiva: la cultura "altra" ci provoca uno spiazzamento cognitivo: è un pensiero alieno che non si assimila facilmente alle nostre idee. E' sufficiente far spazio al punto di vista altrui e ne consegue che, nell'esperienza interculturale, avviene una transitività cognitiva, uno spiazzamento del proprio orizzonte nei riguardi di un pensiero divergente: l'altro entra in me anche se ciò non conduce necessariamente ad un processo di assimilazione. «la formazione interculturale opera per la creazione di identità culturali nuove. Potremmo dire polivalenti o transetniche>> (Duccio Demetrio – Graziella Favaro). 2
  • 5. METODOLOGIA Partendo dal presupposto che l'apprendimento ha luogo su tre livelli, differenti ma strettamente collegati: cognitivo, emozionale e comportamentale, i moduli formativi si sono sviluppati su ciascuna di queste tre dimensioni e seguendo il ciclo di Kolb (esperienza, riflessione, concettualizzazione, azione) in cui l'ultima fase si è realizzata sia in aula, mediante esercitazioni attive, sia durante l'accompagnamento degli ospiti. Il che ha consentito una ulteriore ultima fase di rielaborazione dell'esperienza e del vissuto emozionale. Primo modulo : la comunic-azione con se stessi e con l'altro In particolare le simulazioni di colloquio, la comunicazione in gruppo le esercitazione di analisi dei segnali non verbali hanno permesso ai partecipanti, volontari, di costruire una micro-rete relazionale, apprendere tecniche e strumenti base del processo comunicativo e sperimentare due degli elementi strutturali dell'interculturalità citati prima (interazione ed empatia). Secondo modulo : l'interculturalità e lavorare in gruppo L'interazione e lo scambio di feedback a 360°, l'illustrazione e la discussione della polivalenza culturale dei segnali non verbali, hanno fatto emergere l'importanza e la criticità nelle relazioni interpersonali dei diversi sistemi di valori di cui ognuno è portatore , hanno dato concretezza comportamentale al modello di Geert Hofstede e hanno consentito di sperimentare gli altri due caposaldi dell'interculturalità (decentramento e transitività cognitiva). BIBLIOGRAFIA • L.Corradini “Educazione interculturale” 1992 • D. Demetrio-G.Favaro “Immigrazione e pedagogia interculturale” 1992 • G. Hofstede “Cultures and Organizations: Software of the Mind” (1991) • A. Nanni “Come educarci all'interculturalità” 1999 3