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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Anno CLIV n. 8 (46.550) Città del Vaticano domenica 12 gennaio 2014
.
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Secondo Ban Ki-moon in tre anni di conflitto sono andati perduti decenni di sviluppo
Compromesso in Siria
il futuro di un’intera generazione
NEW YORK, 11. Dopo quasi tre anni
di conflitto e nell'incertezza sugli
esiti della conferenza di pace convo-
cata per il 22 gennaio prima a Mon-
treux e poi a Ginevra, le popolazio-
ni siriane restano in ostaggio di una
crisi spaventosa che in ogni caso ap-
pare destinata a comprometterne il
futuro sviluppo. È quanto emerge
dalle affermazioni fatte ieri dal se-
gretario generale dell'Onu, Ban Ki-
moon, durante la tradizionale confe-
renza stampa di inizio anno al Pa-
lazzo di Vetro di New York. Due
ospedali su cinque, ha dichiarato il
segretario generale, sono stati di-
strutti e lo stesso è accaduto per
molte scuole e altre infrastrutture.
«Le parti in guerra devono rendersi
conto che hanno ormai perso decen-
ni di sviluppo del loro Paese e che
un’intera generazione è a rischio»,
ha detto Ban Ki-moon, dichia-
randosi particolarmente allarmato
per gli effetti regionali e globali del
conflitto.
Tra i pochi aspetti positivi, c’è il
sostanziale rispetto dei programmi
stabiliti dall’Organizzazione per la
proibizione delle armi chimiche
(Opac) e dall’Onu sulla distruzione
dell’arsenale siriano. «Anche se c’è
stato un piccolo ritardo, tutto ora sta
procedendo secondo i programmi e
la missione Onu-Opac sta lavorando
giorno e notte per rispettare l’ambi-
ziosa tabella di marcia della distru-
zione delle armi», ha sottolineato il
segretario dell’Onu. Poco prima era
stata la responsabile della missione,
la diplomatica olandese Sigrid Kaag,
a dichiarare in un’intervista all’emit-
tente Al Arabiya che il Governo si-
riano riuscirà a rispettare il termine
del 31 marzo per la consegna di tutte
le sue armi chimiche.
La diplomazia internazionale, in-
tanto, tenta di sciogliere i nodi legati
alla conferenza di pace, la cosiddetta
Ginevra 2, che proiettano ombre sul-
le sue possibilità di successo. Sem-
bra comunque essere stato raggiunto
uno degli obiettivi, quello di avere al
tavolo dei negoziati una delegazione
sufficientemente rappresentativa
dell’opposizione al presidente siriano
Bashar Al Assad. Con questo esito,
infatti, si sono conclusi due giorni di
riunioni, ieri e l’altro ieri a Córdoba,
in Spagna, tra diversi gruppi appun-
to d’opposizione, compresa la Coali-
zione nazionale siriana, protagonista
dell’originaria insurrezione, quasi tre
anni fa, contro Assad e considerata il
principale interlocutore di tutti quei
Paesi che chiedono l’uscita di scena
del presidente siriano.
Resta invece aperta la questione
della partecipazione dell’Iran, princi-
pale alleato regionale del Governo
Messa del Papa a Santa Marta
Come dev’essere
il prete
È «il rapporto con Gesù Cristo»
che salva il prete dalla tentazione
della mondanità, dal rischio di di-
ventare «untuoso» anziché «unto»,
dalla leziosità e dall’idolatria «del
dio Narciso». Il sacerdote, infatti,
può anche «perdere tutto nella vi-
ta», ma non il suo legame profon-
do con il Signore, altrimenti non
avrebbe più nulla da dare alla gen-
te. È con parole forti, e proponen-
do un vero e proprio esame di co-
scienza, che Papa Francesco si è ri-
volto direttamente ai preti rilan-
ciando il valore autentico della loro
unzione e della loro vocazione. Lo
ha fatto durante l’omelia della mes-
sa celebrata nella mattina di sabato
11 gennaio, nella cappella della Ca-
sa Santa Marta.
PAGINA 7
Le truppe governative riconquistano la città di Bentiu occupata dai ribelli
Stallo nel negoziato per fermare la guerra in Sud Sudan
Piegata la resistenza dei guerriglieri di Al Qaeda
Ramadi di nuovo sotto il controllo
delle forze di sicurezza irachene
NOSTRE INFORMAZIONI
di Damasco. A opporsi sono sia al-
cuni Paesi dell’area, come Arabia
Saudita, Qatar e Turchia, sia soprat-
tutto gli Stati Uniti, organizzatori
della conferenza insieme con l’Onu
e la Russia, che al contrario ritengo-
no positiva, se non indispensabile, la
presenza di Teheran. Una decisione
in merito è attesa dall’incontro, que-
sto lunedì a Parigi, tra l’inviato
dell’Onu e della Lega araba, La-
khdar Brahimi, il segretario di Stato
americano, John Kerry, e il ministro
degli Esteri russo, Serghiei Lavrov.
Ad accrescere le inquietudini c’è
l’intensificazione dei combattimenti
sui fronti siriani, con impatti sempre
più devastanti sulle popolazioni.
Forte preoccupazione in merito ha
ribadito il presidente del Comitato
internazionale della Croce rossa
(Cicr), Peter Maurer, da ieri in Siria
per negoziare un maggiore accesso
dell’organizzazione alle zone teatro
dei combattimenti e ai luoghi di de-
tenzione. Secondo quanto comunica-
to dal Cicr, Maurer incontrerà a Da-
masco alti funzionari del Governo
siriano e responsabili e volontari del-
la società della Mezzaluna rossa si-
riana, principale partner del Cicr in
Siria. «Le nostre attività si sono am-
pliate notevolmente nel corso
dell’ultimo anno, ma abbiamo biso-
gno di poter fare molto di più. Sono
determinato a fare pressione per ot-
tenere un maggiore accesso per il
Cicr e la Mezzaluna Rossa siriana, e
in particolare, per migliorare la con-
segna imparziale di assistenza medi-
ca nelle zone assediate» ha dichiara-
to Maurer al suo arrivo a Damasco.
Quella in Siria è al momento la
più vasta operazione umanitaria del
Cicr in termini di risorse impegnate.
Secondo le ultime stime dell’Onu,
almeno 9,3 milioni di siriani, cioè il
40 per cento della popolazione, han-
no bisogno di aiuti umanitari.
TEL AVIV, 11. L’ex premier israe-
liano, membro del Likud e fon-
datore del Kadima, Ariel Sha-
ron, è morto oggi in un ospeda-
le di Tel Aviv. Era in coma dal 4
gennaio 2006, in seguito a una
grave emorragia cerebrale. Ave-
va 85 anni. Nato il 26 febbraio
1928 nella cooperativa di Kfar
Malal, nel Mandato britannico
della Palestina, Sharon è stato
uno dei principali protagonisti
della storia dello Stato di Israe-
le. Figura controversa, è stato
accusato per il massacro nel
campo profughi palestinese di
Sabra e Shatila, nel 1982 in Li-
bano. E fu lui a decidere il ritiro
unilaterale di Israele dalla Stri-
scia di Gaza nel 2005.
Un soldato iracheno di pattuglia vicino a Ramadi (Reuters)
La rivalutazione
del vangelo secondo Giovanni
Teologico
e dunque storico
YVES SIMOENS A PAGINA 5
Morto l’ex premier
israeliano
Ariel Sharon
JUBA, 11. Non ci sono ancora svolte
nel negoziato ad Addis Abeba per
mettere fine alla guerra civile divam-
pata a metà dicembre in Sud Sudan,
dove si fronteggiano le forze fedeli
al Governo guidato dal presidente
Salva Kiir Mayardit e i ribelli che
fanno riferimento all’ex vicepresi-
dente Rijek Machar, rimosso dall’in-
carico lo scorso luglio.
Mentre gli sforzi diplomatici non
sembrano ancora in grado di sbloc-
care lo stallo negoziale, le uniche
notizie delle ultime ore riguardano
sviluppi militari, in particolare la ri-
conquista da parte delle forze gover-
native di Bentiu, la capitale dello
Stato di Unity, occupata la settima-
na scorsa dai ribelli. Lo stesso Rijek
Machar ha confermato la notizia,
promettendo però di tornare all’of-
fensiva. Nello stesso tempo, peral-
tro, il leader dei ribelli ha conferma-
to il proprio impegno nel negoziato.
Scenari sempre più drammatici,
intanto, vengono delineati dalle
agenzie dell’Onu e da organizzazio-
ni non governative internazionali.
Secondo quanto prospettato ieri
dall’alto commissariato dell’Onu per
i rifugiati (Unhcr), il numero di
sfollati in Sud Sudan potrebbe qua-
si raddoppiare nei prossimi mesi,
passando dai 232.000 attuali a oltre
400.000 entro aprile. L’Unhcr ag-
giunge che anche il numero di rifu-
giati nei Paesi vicini continua a cre-
scere e potrebbe salire a 125.000 dai
43.000 che hanno finora varcato le
frontiere, in particolare quella meri-
dionale con l’Uganda, ma anche
quelle con il Kenya, l’Etiopia e il
Sudan. Sempre ieri, l’organizzazione
International Crisis Group (Icg) ha
sostenuto che in quasi un mese di
combattimenti ci sono stati diecimi-
la morti.
Il Santo Padre ha ricevuto que-
sta mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima
il Signor Cardinale Marc Ouel-
let, Prefetto della Congregazio-
ne per i Vescovi;
Sua Eccellenza Reverendissi-
ma Monsignor Beniamino Stel-
la, Prefetto della Congregazione
per il Clero.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
l’Onorevole Signora Ileana Ar-
gentin.
Erezione di Eparchia
e relativa Provvista
In data 11 gennaio, il Santo
Padre ha eretto l’Eparchia di St.
Thomas the Apostle of Mel-
bourne dei Siro-Malabaresi (Au-
stralia) e ha nominato primo Ve-
scovo Eparchiale l’Eccellentissi-
mo Monsignore Bosco Puthur,
trasferendolo dalla sede titolare
di Foraziana e dall’incarico di
Vescovo della Curia Arcivescovi-
le Maggiore.
Il Santo Padre, nel contempo,
ha nominato Sua Eccellenza Re-
verendissima Monsignor Bosco
Puthur, Vescovo Eparchiale di
St. Thomas the Apostle of Mel-
bourne dei Siro-Malabaresi,
all’ufficio di Visitatore Apostoli-
co per i medesimi fedeli residen-
ti in Nuova Zelanda.
Nomina
di Visitatore Apostolico
In data 11 gennaio, il Santo
Padre ha nominato all’ufficio di
Visitatore Apostolico per i Siro-
Malabaresi residenti in India
fuori del territorio della Chiesa
Arcivescovile Maggiore, Sua Ec-
cellenza Reverendissima Monsi-
gnor Raphael Thattil, Vescovo
titolare di Buruni e Ausiliare di
Trichur.
In data 11 gennaio, il Santo
Padre ha concesso il Suo Assen-
so all’elezione canonicamente
fatta dal Sinodo dei Vescovi del-
la Chiesa Caldea del Reverendo
Sacerdote Habib Al-Naufali alla
sede Arcieparchiale di Bassorah
dei Caldei (Iraq), del Reverendo
Padre Yousif Thomas Mirkis,
O.P, alla sede Arcieparchiale di
Kerkūk dei Caldei (Iraq) e del
Reverendo Sacerdote Saad Sirop
all’ufficio di Vescovo Ausiliare
della Metropolia Patriarcale di
Babilonia dei Caldei (Iraq), al
quale è stata assegnata la sede
titolare vescovile di Hirta.
Il Santo Padre ha assegnato la
sede titolare vescovile di Fora-
ziana a Sua Eccellenza Mar Ba-
wai Soro, in servizio pastorale
nell’Eparchia di Saint Peter the
Apostle of San Diego dei Cal-
dei, in California (Stati Uniti
d’America).
BAGHDAD, 11. Le forze di sicurezza
irachene, con il sostegno delle mi-
lizie tribali filogovernative, hanno
ripreso ieri il controllo di Ramadi,
capoluogo della provincia occiden-
tale di Al Anbar: la città era stata
conquistata, nei giorni scorsi, dai
guerriglieri di Al Qaeda. Rafi Al
Fahdawi, capo delle milizie tribali
locali alleate del Governo, ha af-
fermato che Ramadi è stata «ripu-
lita» dai guerriglieri qaedisti, fatta
eccezione per alcune piccole sac-
che di resistenza e per cecchini an-
cora appostati sui tetti. Intanto,
fonti locali hanno riferito che
l’esercito di Baghdad sta ora am-
massando le sue truppe attorno al-
la località di Khalidiya, a sud di
Ramadi, in vista di un attacco con-
tro le forze quaediste che si sono
trincerate nel centro abitato.
Riferiscono poi le agenzie di
stampa internazionali che il Penta-
gono starebbe valutando la possi-
bilità di addestrare le forze irache-
ne, riguardo a operazioni antiterro-
rismo, in un Paese che non sia
l’Iraq stesso: si accredita, in meri-
to, l’ipotesi della Giordania.
L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 12 gennaio 2014
L’OSSERVATORE ROMANO
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Oltre vent’anni dopo il fallimento della Restore Hope
Soldati statunitensi
a Mogadiscio
MOGADISCIO, 11. Un piccolo nume-
ro di soldati statunitensi, non più
di una ventina, sono dislocati dallo
scorso autunno a Mogadiscio con il
ruolo di consiglieri militari del Go-
verno locale e dell’Amisom, la mis-
sione dell’Unione africana in Soma-
lia. La notizia, diffusa ieri dal quo-
tidiano «The Washington Post»,
che cita come fonti tre ufficiali co-
perti da anonimato, non è stata
smentita dal Pentagono né dalla
Casa Bianca, che peraltro non han-
no rilasciato commenti.
I militari statunitensi, che avreb-
bero incominciato concretamente il
loro lavoro all’inizio di quest’anno,
tornano dunque in Somalia a oltre
vent’anni dall’operazione Restore
Hope, a guida appunto di
Washington, che si svolse fra il 3
dicembre 1992 e il 4 maggio 1993,
nell’ambito della missione Unified
Task Force (Unitaf) dislocata per
mandato del Consiglio di sicurezza
dell’Onu. L’operazione statunitense
e la stessa missione Unitaf si con-
clusero, dopo l’abbattimento di due
elicotteri e l’uccisione di 18 soldati
di Washington, con il ritiro dalla
Somalia delle truppe degli Stati
Uniti e degli altri Paesi che vi par-
tecipavano, in particolare Italia,
Belgio e Nigeria.
Secondo «The Washington
Post», i consiglieri militari statuni-
tensi sono incaricati di contribuire
alla lotta contro le milizie radicali
islamiche somale di al Shabaab, che
il Governo di Washington conside-
ra nel novero delle organizzazioni
terroristiche. Finora non si era avu-
ta notizia di un ritorno di soldati
americani in Somalia, ma più volte,
negli ultimi anni e ancora di recen-
te, aerei statunitensi dislocati in ba-
si del Corno d’Africa, in particolare
a Gibuti, avevano effettuato raid
contro al Shabaab.
Pur in assenza di ammissioni uf-
ficiali, inoltre, è dato per certo da-
gli osservatori che militari delle for-
ze speciali statunitensi abbiano con-
dotto diverse volte in territorio so-
malo, in segreto e con una perma-
nenza di poche ore, operazioni con-
siderate di antiterrorismo, ma anche
volte alla liberazione di ostaggi.
In ogni caso, nella notizia data
dal quotidiano statunitense c’è
un’implicita conferma di un rinno-
vato coinvolgimento dell’Ammini-
strazione di Washington nella vi-
cenda somala, dopo che per molti
anni, gli Stati Uniti si erano esclusi
dal novero dei protagonisti interna-
zionali in quello scenario. Un’esclu-
sione dovuta, appunto, al fallimen-
to dell’operazione Restore Hope,
che fu largamente osteggiata dalle
varie fazioni somale. Per tutta la
durata dell’operazione, agli attacchi
diretti si sommarono diffuse prote-
ste delle masse popolari contro mi-
litari di Paesi considerati, a torto o
a ragione, sostenitori dell’ex dittato-
re Mohammed Siad Barre, destitui-
to nel 1991, esiliato l’anno successi-
vo, dopo un tentativo di riprendere
il potere, e riparato in Nigeria, do-
ve sarebbe morto nel 1995.
A questo si aggiunse, purtroppo,
che soldati dislocati in Somalia sot-
to la bandiera dell’Onu si resero
protagonisti di gravi violenze con-
tro i civili.
Avviato lo sgombero dei cittadini ciadiani dalla Repubblica Centroafricana
La svolta politica
non ferma le armi a Bangui
BANGUI, 11. Non ha fermato le vio-
lenze nella Repubblica Centroafrica-
na la svolta politica registrata ieri
con l’abbandono del potere da parte
dei leader della coalizione Seleka,
responsabile del colpo di Stato che
a marzo scorso aveva rovesciato il
presidente François Bozizé. Il leader
della Seleka, Michel Djotodia, che
si era autoproclamato presidente di
transizione, e il primo ministro, Ni-
colas Tiangaye, avevano rassegnato
le dimissioni durante il vertice della
Comunità economica dell’Africa
centrale (Ceeac), concluso ieri a
N’Djamena, in Ciad. La notizia era
stata accolta nella capitale centro-
africana Bangui dai festeggiamenti
di migliaia di manifestanti. Nella
notte, però, sono di nuovo dilagati
gli scontri tra le milizie della Seleka
e quelle loro contrapposte. La Croce
rossa locale riferisce di almeno tre
morti e di saccheggi e incendi, a
conferma di come sia sostanzialmen-
te fallito finora il disarmo delle mili-
zie per il quale sono stati dislocati
sia i soldati del contingente francese,
sia quelli della Misca, la missione
originariamente inviata dalla Ceeac
e passata lo scorso 19 dicembre, per
mandato dell’Onu, sotto la respon-
sabilità dell’Unione africana.
Oggi è previsto l’avvio delle ope-
razioni di sgombero delle migliaia di
stranieri africani bloccati nel Paese.
In particolare, l’Organizzazione in-
ternazionale delle migrazioni (Oim)
prevede di rimpatriare oggi con un
ponte aereo ottocento dei circa
2.500 cittadini del Ciad, molti dei
quali donne e bambini, che si trova-
no in un campo improvvisato nei
pressi dell’aeroporto di Bangui.
Sempre secondo l’Oim, sessantamila
africani dei Paesi vicini hanno chie-
sto di essere rimpatriati e oltre la
metà — bloccati in zone di confine
ad alto rischio — hanno necessità di
aiuti urgenti.
Civili camminano accanto a mezzi militari francesi nel centro di Bangui (Afp)
Scontri
in Ucraina
tra polizia
e manifestanti
KIEV, 11. Uno dei leader dell’op-
posizione ucraina, Yuri Lutsenko,
è ricoverato in ospedale dopo es-
sere rimasto coinvolto negli scon-
tri a Kiev tra polizia e manife-
stanti filo europei. Le violenze
sono avvenute ieri sera davanti a
un tribunale dove erano stati ap-
pena condannati a sei anni di
carcere tre uomini accusati di
aver ordito nel 2011 un piano per
far esplodere la statua di Lenin
vicino all’aeroporto internaziona-
le. La moglie di Lutsenko, Irina,
ha raccontato che il marito è rico-
verato in terapia intensiva e i me-
dici gli hanno diagnosticato una
commozione cerebrale. Il leader
dell’opposizione ed ex ministro
dell’Interno nel Governo di Yulia
Tymoshenko è arrivato in ospeda-
le con diverse ferite alla testa.
Negli scontri sono rimaste ferite
almeno altre dieci persone.
L’opposizione ucraina da di-
verse settimane contesta in piazza
la decisione del presidente Viktor
Ianukovich di non firmare l’ac-
cordo di associazione e libero
scambio proposto dall’Unione
europea. L’obiettivo del Governo
filorusso di Kiev è stato infatti
quello di rilanciare la cooperazio-
ne economica con Mosca.
E proprio ieri Ucraina e Russia
hanno firmato la nuova versione
dell’accordo sulle forniture di gas
che consentirà la riduzione delle
tariffe di un terzo nel primo tri-
mestre dell’anno. Il ministro
dell’Energia ucraino, Eduard
Stravitski, ha precisato che l’inte-
sa, raggiunta lo scorso mese dai
presidenti dei due Paesi, fissa ini-
zialmente il prezzo del gas russo
venduto all’Ucraina a 268,50 dol-
lari per mille metri cubo. Ogni
trimestre tuttavia il prezzo potrà
essere rivisto. Stravitski ha inoltre
affermato che Kiev comprerà gas
solo da Mosca perché «al mo-
mento è il più conveniente», in-
terrompendo le importazioni da
Polonia e Ungheria. Nel 2013,
l’Ucraina aveva pagato il gas rus-
so 400 dollari per mille metri cu-
bi (erano stati importati 26-27 mi-
liardi di mille metri cubi).
Haiti
a quattro anni
dal devastante
terremoto
PORT-AU-PRINCE, 11. Ancora oggi,
dopo quattro anni dal catastrofico
terremoto che il 12 gennaio del 2010
sconvolse Haiti, oltre 60.000 bam-
bini vivono nei campi per sfollati e
100.000 soffrono di malnutrizione.
L’allarme arriva dall’organizza-
zione umanitaria Save the Children,
che sottolinea come i bambini hai-
tiani stiano crescendo giorno dopo
giorno con grande difficoltà, talvol-
ta impossibilità, ad accedere a beni
e servizi di base come acqua, igie-
ne, cure mediche o la possibilità di
andare a scuola.
In generale, il forte terremoto —
di magnitudo sette sulla scala
Richter, con epicentro localizzato a
circa venticinque chilometri in dire-
zione ovest-sud-ovest della capitale
— ha provocato circa 222.000 vitti-
me, anche se a causa della povertà
e dell'isolamento del Paese, e in se-
guito a gravi danni subiti dalle in-
frastrutture di comunicazione, non
è ancora possibile definire con cer-
tezza il numero esatto di vittime.
Le Nazioni Unite hanno dichia-
rato che il movimento tellurico ha
colpito, direttamente o indiretta-
mente, un terzo della popolazione
nazionale, che a diversi livelli anco-
ra soffre l’impatto e le conseguenze
del devastante sisma.
E mentre l’entità dei danni è an-
cora sconosciuta, fonti dell’Onu sti-
mano che oltre 145.000 persone vi-
vano ancora nei campi sfollati, tra
enormi disagi.
Si segnala anche qualche pro-
gresso. L’incidenza del colera è sta-
ta infatti dimezzata e la grave insi-
curezza alimentare è stata drastica-
mente ridotta.
Annunciati aiuti alle finanze greche
Berlino va in soccorso
di Atene
ATENE, 11. La Grecia potrebbe rice-
vere altri aiuti, se entro il 2015 avrà
mantenuto gli impegni di risana-
mento. Ad annunciarlo, ieri, è stato
il ministro delle Finanze tedesco,
Wolfgang Schäuble, secondo il qua-
le «se la Grecia entro la fine del
2015 avrà mantenuto tutti i suoi im-
pegni e realizzerà un attivo di bilan-
cio, siamo pronti a fare ancora qual-
cosa, se servisse una ulteriore neces-
sità di finanziamento». Schäuble ha
comunque sottolineato che «ciò co-
stituirebbe un aiuto molto più pic-
colo di quello erogato finora».
L’annuncio rappresenta una svolta
nei recenti rapporti tra i due Paesi.
In effetti, solo pochi giorni fa il mi-
nistro degli Esteri tedesco, Frank-
Walter Steinmeier, aveva escluso nel
corso della sua visita ad Atene ogni
ulteriore aiuto alla Grecia, deluden-
do chi sperava che l’arrivo dei so-
cialdemocratici nel Governo di Ber-
lino potesse cambiare l’atteggiamen-
to della Germania sulla crisi greca.
Una certa stampa ha esaltato l’atteg-
giamento rigido di Steinmeier. «Pos-
so solo mettere in guardia dal conti-
nuare a parlare senza sosta di nuovi
aiuti, che all’estero fanno solo solle-
vare dubbi sulla capacità di riforme
del Paese» aveva ammonito il mini-
stro, aggiungendo che «la via più
semplice è spesso quella sbagliata;
adesso non si possono più fare nuo-
vi debiti».
A sottolineare invece la stabilità
dell’Esecutivo greco ci ha pensato di
recente il premier ellenico, Antonis
Samaras, secondo il quale non ci sa-
ranno elezioni prima delle presiden-
ziali del 2015. «Ci aspettiamo che al-
le elezioni europee le forze proeuro-
pee vadano bene — ha detto Sama-
ras — siamo sicuri che la gente capi-
rà che dobbiamo finire il program-
ma e tornare alla normalità, anche
se capiamo le reazioni ai sacrifici
fatti». Quanto alle forze estremiste,
Samaras è scettico sulla possibilità
del formarsi di una coalizione che
comprenda anche il partito della si-
nistra radicale Syriza. Samaras ha
inoltre sottolineato i notevoli pro-
gressi compiuti dal Paese.
Riga nell’euro
è un segnale di fiducia
RIGA, 11. «L’ingresso della Letto-
nia nell’euro è una forte dichiara-
zione di fiducia e uno dei sempre
più numerosi e solidi segnali che
l’Europa sta finalmente uscendo
dalla crisi economica». Lo ha detto
ieri il presidente del Consiglio Ue,
Herman van Rompuy, a Riga con
il presidente della Commissione
europea, José Manuel Durão
Barroso, e il commissario agli Affa-
ri economici, Olli Rehn, per parte-
cipare alla cerimonia di ingresso
della Lettonia nell’euro.
L’adozione della moneta unica
europea da parte della Lettonia, ha
continuato Van Rompuy, «mostra
al mondo la vitalità dell’euro; solo
dodici anni dopo l’introduzione
delle banconote e delle monete
uniche — ha aggiunto — la zona
euro ha ora diciotto membri e 333
milioni di cittadini europei. E mi
aspetto che il prossimo anno anche
la Lituania si aggiunga, diventan-
do il diciannovesimo Paese mem-
bro». Per potere entrare in euro-
landia, la Lettonia ha dovuto af-
frontare un programma di risana-
mento molto duro — simile a
quello che ancora oggi cercano di
applicare Grecia, Portogallo e
Cipro — che ha però dato i suoi
frutti.
Piano di emergenza in Brasile contro le violenze nelle carceri
BRASILIA, 11. Il ministro della Giustizia brasi-
liano, José Eduardo Cardozo, ha annunciato
ieri un vasto piano di emergenza per cercare di
contenere l’ondata di violenza scatenatasi nelle
ultime settimane fuori e dentro le carceri di
São Luís, capitale dello Stato nord-orientale di
Maranhão. Le misure prevedono undici inter-
venti congiunti dei Governi federale e statale.
Si va dal rafforzamento della sicurezza nella
regione, con più uomini della forza nazionale,
al trasferimento in altri penitenziari dei reclusi
ritenuti più pericolosi.
I provvedimenti sono stati decisi al termine
di una riunione tra il ministro della Giustizia e
la governatrice dello Stato del Maranhão,
Roseana Sarney, del Pmdb, partito alleato del
Governo di Brasilia. Per migliorare il sistema
penitenziario nella regione sono stati stanziati
circa 54 milioni di dollari.
Le scene di orrore documentate nei giorni
scorsi soprattutto nel carcere di Pedrinhas —
considerato il più pericoloso del Brasile, con
almeno sessanta omicidi commessi al suo
interno solo nel 2013 — ha provocato l’inter-
vento anche dell’Onu. L’alto commissariato
delle Nazioni Unite per i diritti umani ha in-
fatti chiesto l’avvio di indagini immediate, im-
parziali ed effettive sugli ultimi, efferati episo-
di di violenza, sollecitando l’Esecutivo di Dil-
ma Rousseff a trovare soluzioni rapide per il
cronico problema del sovraffollamento car-
cerario.Poliziotti all’ingresso del carcere Pedrinhas nello Stato brasiliano di Maranhão (Reuters)
Missione
in Mauritania
del presidente
maliano
NOUAKCHOTT, 11. Il presidente
del Mali, Ibrahim Boubacar Keï-
ta, è arrivato ieri a Nouakchott,
la capitale della Mauritania, per
una visita di Stato di tre giorni.
Keïta avrà per la prima volta un
incontro ufficiale col suo omolo-
go mauritano Mohamed Ould
Abel Aziz. Argomento centrale
dei colloqui saranno le questioni
di sicurezza sulle quali i Governi
dei due Paesi appaiono da anni
divisi, soprattutto riguardo alla
lotta ai gruppi armati di matrice
fondamentalista islamica. Le au-
torità mauritane, infatti, negli
anni scorsi accusarono più volte
di lassismo sotto questo aspetto
quelle maliane, all’epoca guidate
dal presidente Amadou Toumani
Touré, deposto con un colpo di
Stato militare nel marzo 2012.
A mutare sostanzialmente la
situazione sono stati gli sviluppi
della situazione in Mali, con l’in-
tervento armato francese, tuttora
in corso, proprio contro i gruppi
islamisti che avevano assunto il
controllo del nord del Paese, e
con la transizione conclusa lo
scorso agosto appunto con l’ele-
zione di Keïta. Nei colloqui, tra
l’altro, si discuterà un possibile
contributo di truppe mauritane
alla Minusma, la missione inter-
nazionale in Mali.
L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 gennaio 2014 pagina 3
Dopo i colloqui a Ginevra
Progressi
nei negoziati
sul nucleare
iraniano
GINEVRA, 11. Anche se non è stata
annunciata una data di avvio
dell’attuazione dell’intesa raggiun-
ta a novembre sul programma nu-
cleare iraniano, Teheran e il grup-
po cinque più uno (i Paesi mem-
bri permanenti del Consiglio di si-
curezza: Stati Uniti, Gran Breta-
gna, Francia, Russia e Cina; più la
Germania) si sono accordate a li-
vello tecnico sulle modalità.
Al termine di due giorni di col-
loqui con il vicesegretario generale
per le Relazioni esterne dell’Ue,
Helga Schmid, il viceministro de-
gli Esteri iraniano, Abbas Araghcì,
ha annunciato che «il risultato
delle discussioni» su «come attua-
re l’accordo di Ginevra è stato tra-
smesso alle capitali». Saranno lo-
ro, ha precisato Araghcì, a prende-
re la «decisione finale» che sarà
annunciata in una dichiarazione
dei ministri degli Esteri dei sette
Paesi.
Il portavoce di Catherine
Ashton, l’alto rappresentante per
la Politica estera e di sicurezza co-
mune dell’Ue e coordinatrice del
gruppo cinque più uno, ha con-
fermato che vi sono stati «pro-
gressi significativi su tutte le que-
stioni» e che la circostanza è ora
al vaglio delle «capitali a livello
politico». Il viceministro e nego-
ziatore iraniano ha previsto che
l’annuncio della data di inizio
dell’attuazione dell’accordo seme-
strale avverrà nei prossimi due
giorni.
Dopo gli annunci di ieri si de-
sume che siano stati superati i dis-
sensi sui dettagli di attuazione
sull’accordo semestrale raggiunto
il 24 novembre a Ginevra sui limi-
ti da porre al programma nucleare
iraniano in cambio dell’allenta-
mento di alcune sanzioni imposte
a Teheran.
In particolare, secondo fonti ci-
tate da media occidentali, i punti
rimasti insoluti fino a ieri riguar-
davano esenzioni chieste dall’Iran
per le attività di arricchimento
dell’uranio nell’impianto di ricerca
e sviluppo di Natanz: Teheran so-
steneva che l’intesa di Ginevra gli
consente di continuare la ricerca e
sviluppo dell’arricchimento al ven-
ti per cento perché il combustibile
viene in seguito “neutralizzato”,
una pretesa che il gruppo cinque
più uno rifiutava.
Pur con difficoltà il progresso
negoziale va dunque avanti e nei
prossimi giorni si dovrebbe sapere
da quale data scatteranno i sei
mesi di durata dell’intesa. Durante
questo tempo è già previsto che
vengano avviati negoziati per rag-
giungere «una soluzione completa
di lungo periodo che assicuri che
il programma nucleare dell’Iran
sarà esclusivamente pacifico», co-
me recita l’accordo.
L’Amministrazione del presi-
dente Obama ha confermato i
progressi, ma ha negato che sia
stato definito un accordo. «Si sta
lavorando», ha affermato la porta-
voce del dipartimento di Stato
americano Jen Psaki, precisando
che «vi sono dettagliate discussio-
ni di natura tecnica e vi sono an-
cora pochi punti da definire, ma
in questa fase non è corretto affer-
mare che tutto è stato risolto».
Un insediamento israeliano in Cisgiordania
L’annuncio di appalti in Cisgiordania e a Gerusalemme est scatena le ire dei palestinesi
Israele va avanti con gli insediamenti
TEL AVIV, 11. Il Governo israeliano ha pubblicato
bandi di appalto per 1.400 nuove case in Cisgior-
dania e a Gerusalemme est. La decisione, che fa
seguito ad altri analoghi annunci avutisi negli ul-
timi giorni, è stata duramente contestata dai pale-
stinesi. Saeb Erekat, capo negoziatore dell’Olp
(l’Organizzazione per la liberazione della Palesti-
na), l’ha definita «un messaggio» diretto a Wa-
shington e al suo segretario di Stato, John Kerry,
«una forma di sabotaggio contro i suoi sforzi per
la pace». È un invito — ha aggiunto Erekat — «a
non tornare nella regione per proseguire gli sforzi
nei negoziati tra Israele e palestinesi».
Ma non sono solo i palestinesi a protestare.
Anche Yar Lapid, il leader del partito centrista
Yesh Atid e attuale ministro delle Finanze israe-
liano, ha criticato la mossa dell’Esecutivo. «Gli
appalti — ha dichiarato Lapid — sono solo dichia-
razioni di intenti, prive di contenuto: una cattiva
idea». Poi ha annunciato che il suo partito farà
«il possibile» affinché questo progetto «non ven-
ga realizzato». Dichiarazioni significative, queste,
tenuto conto del fatto che il partito di Lapid ha
un ruolo chiave nella maggioranza che sostiene il
Governo Netanyahu. Presentatosi per la prima
volta alle elezioni legislative israeliane nel 2013,
Yesh Atid ha ottenuto a sorpresa il secondo posto
dietro il Likud.
Dunque — sottolineano i commentatori — il no-
do degli insediamenti continua a essere uno dei
principali ostacoli sulla strada di una ripresa di-
retta dei negoziati, come invece auspicato da Wa-
shington. Il progetto di Kerry è infatti quello di
presentare entro la metà del 2014 una bozza di
accordo generale per poi raggiungere un’intesa
globale, concernente tutti i punti dello storico
contenzioso, entro la fine dell’anno.
Quella delle nuove case non sembra però l’uni-
co ostacolo in campo: c'è anche lo status di Geru-
salemme. Secondo alte fonti israeliane citate dal
quotidiano «Haaretz», Netanyahu avrebbe detto
ai ministri del Likud (il suo partito, cardine della
destra tradizionale nel Paese) che non accetterà
alcun compromesso su Gerusalemme: il Governo
israeliano la considera «capitale eterna, unica e
indivisibile» dello Stato. Il premier avrebbe inol-
tre ribadito — secondo le stesse fonti — di non es-
sere disposto a un’intesa che menzioni, anche in
modo generale, la creazione di una capitale pale-
stinese in qualsiasi area di Gerusalemme. Anche a
costo — avrebbe aggiunto — di vanificare i collo-
qui stessi.
Da New York, intanto, il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, non ha nascosto l’allar-
me per questi sviluppi della situazione: la politica
di Netanyahu sugli insediamenti in Cisgiordania
e su Gerusalemme est — ha ammonito — «non è
solo illegale, ma rappresenta anche un ostacolo
alla pace».
I segnali negativi che trapelano dalle trattative
— sulle quali Kerry ha imposto alle due parti in
causa uno stretto riserbo — sembrano intanto ri-
flettersi sulle aspettative degli stessi israeliani:
scettici su un eventuale esito positivo. Sondaggi
condotti dai quotidiani «Maariv» e «Israel ha-
Yom» indicano che otto israeliani su dieci sono
persuasi che Kerry non riuscirà a definire un ac-
cordo. Sette su dieci, inoltre, si oppongono a un
ritiro di Israele dalla valle del Giordano, altro no-
do dei colloqui e condizione irrinunciabile per i
palestinesi. In molti, poi, contestano apertamente
la politica degli Stati Uniti nell’area.
In Egitto
un’altra giornata
di sanguinosi
disordini
IL CAIRO, 11. Non si ferma la vio-
lenza in Egitto. È di almeno tre
morti e otto feriti il bilancio degli
scontri di ieri, quando i sostenitori
del presidente deposto il 3 luglio
scorso, Mohammed Mursi, sono
scesi in piazza per chiedere il boi-
cottaggio del referendum del 14 e
15 gennaio sulla nuova Costituzio-
ne. Il movimento dei Fratelli mu-
sulmani — che guida le proteste di
piazza — lo scorso dicembre è sta-
to dichiarato fuorilegge dalle au-
torità del Cairo in quanto «orga-
nizzazione terroristica».
A riferire l’ultimo bilancio dei
violenti scontri è il sito web del
giornale «Al Ahram». A Suez due
persone sono rimaste uccise e altre
sette ferite in scontri tra sostenito-
ri di Mursi e forze di sicurezza.
Ad Alessandria una persona è
morta dopo essere stata colpita da
un proiettile esploso durante i di-
sordini e un’altra è rimasta ferita.
Secondo la ricostruzione del ge-
nerale Nasser Al Abd, citato da
«Al Ahram», «membri del movi-
mento dei Fratelli musulmani
hanno sparato contro abitanti di
Alessandria che tentavano di bloc-
care un corteo». La polizia, stan-
do al generale, è intervenuta per
disperdere la manifestazione e so-
no state arrestate trenta persone.
La vittima sarebbe un venditore
ambulante. Arresti sono stati effet-
tuati anche in altre città del Paese.
Mehdi Jomaa
incaricato
di formare
il Governo tunisino
TUNISI, 11. Il presidente della Re-
pubblica tunisino, Moncef
Marzouki, ha incaricato ieri
Mehdi Jomaa — ministro uscente
dell’Industria del precedente Ese-
cutivo — di formare il prossimo
Governo, il cui compito sarà quel-
lo di fare uscire il Paese dalla pro-
fonda crisi politica e di organizza-
re le elezioni. Lo ha annunciato lo
stesso Jomaa. «Ho incontrato il
presidente Moncef Marzouki che
mi ha dato l’incarico di formare il
Governo» ha dichiarato Jomaa al-
la televisione nazionale.
«Farò del mio meglio — ha ag-
giunto Jomaa — anche se la situa-
zione è difficile, mi sforzerò e lo
stesso farà tutta la mia équipe».
Nel suo breve discorso di cinque
minuti Jomaa ha promesso di for-
mare un Governo «indipendente e
neutro, per nulla astioso nei con-
fronti di movimenti o partiti».
Designato a metà dicembre in
base a un accordo fra maggioran-
za e opposizione, Jomaa dovrà
formare un Esecutivo in un clima
di profonda sfiducia sia tra gli
islamici di Ennahdha (maggioran-
za all’Assemblea nazionale) sia
nell’opposizione laica. A tre anni
dalla rivoluzione dei gelsomini, la
transizione democratica in Tunisia
è ancora tutta in salita.
Spari sui manifestanti
nel centro di Bangkok
Un uomo indica il foro di un proiettile nella vetrina di un caffè a Bangkok (Reuters)
L’opposizione
cambogiana
sfida l’Esecutivo
PHNOM PENH, 11. L’opposizione
cambogiana lancia la sfida al Go-
verno. Nonostante lo smantella-
mento da parte della polizia
dell’area dove abitualmente si mo-
bilitavano gli anti governativi, en-
tra nel vivo la lotta contro il pre-
mier Hun Sen. In un comizio nel-
la provincia di Siem Rap, il leader
del Partito nazionale per la salvez-
za della Cambogia, Sam Rainsy,
ha infatti annunciato davanti a
centinaia di sostenitori che se non
si terranno in tempi brevi nuove
elezioni, verrà lanciata la «campa-
gna finale» contro il premier. Da
ventotto anni al potere, Hun Sen
ha vinto le contestate elezioni le-
gislative dello scorso luglio. Una
vittoria che per l’opposizione sa-
rebbe stata però ottenuta attraver-
so frodi e intimidazioni.
Potrebbe slittare la firma dell’accordo sulla sicurezza
Kabul e Washington ai ferri corti
KABUL, 11. Si sta acuendo in queste
ore la tensione tra Afghanistan e
Stati Uniti. L’accordo sulla sicurez-
za, che ha già conosciuto in passato
fasi travagliate, rischia adesso di slit-
tare ulteriormente. A dare una nuo-
va scossa ai già precari rapporti fra
Kabul e Washington è stata la deci-
sione del presidente afghano, Ha-
mid Karzai, di rilasciare settantadue
talebani che il Pentagono ritiene
«molto pericolosi». Subito dopo
questa decisione è intervenuto l’am-
basciatore statunitense in Afghani-
stan, James Cunningham, il quale —
ha riferito «The Washington Post»
— ha dichiarato che l’accordo sulla
sicurezza non sarà firmato a breve,
come invece vogliono gli Stati Uni-
ti. Cunningham, che guida la dele-
gazione statunitense al tavolo dei
negoziati, si è detto convinto che
Karzai è irremovibile riguardo all’in-
tenzione di siglare l’intesa non pri-
ma di aprile, quando sono fissate le
presidenziali afghane. Una posizio-
ne, quella del capo di Stato afgha-
no, che rischia di scavare un solco
assai ampio tra Kabul e Washin-
gton.
L’accordo sulla sicurezza acquista
particolare rilevanza in funzione del
completo ritiro delle truppe statuni-
tensi dall’Afghanistan, entro la fine
del 2014. Si fanno sempre più insi-
stenti le voci secondo cui se Kabul
continua a voltare le spalle a Wa-
shington, l’Amministrazione Obama
potrebbe anche optare per la cosid-
detta «opzione zero», vale a dire
che nessun soldato rimarrebbe sul
suolo afghano dopo il 2014, nemme-
no con compiti logistici. Infatti
quando erano state avviate le tratta-
tive per la firma dell’accordo, si era
subito pensato di lasciare un nucleo
di soldati statunitensi dopo il 2014,
così da rendere meno traumatico il
passaggio delle consegne della sicu-
rezza alle forze locali. Ecco allora
imporsi con rinnovata forza l’inter-
rogativo su quale futuro attende
l’Afghanistan, qualora, dopo il ritiro
del contingente internazionale, le
unità locali si trovassero completa-
mente sole a fronteggiare l’azione
destabilizzante dei talebani. Il timo-
re, infatti, è che i miliziani possano
innescare una recrudescenza delle
violenze approfittando proprio del
vuoto che verrebbe lasciato dal con-
tingente internazionale una volta
rimpatriato. Nel frattempo si fa stra-
da anche l’ipotesi secondo cui se
l’accordo non verrà firmato in tempi
brevi, gli Stati Uniti potrebbero riti-
rare il sostegno finanziario a Kabul,
stimato intorno agli otto miliardi di
dollari.
Nuovo Parlamento
per il Bangladesh
DACCA, 11. In Bangladesh, si è inse-
diato il nuovo Parlamento scaturito
dalle legislative di domenica scorsa,
boicottate dall’opposizione.
Il voto, vinto dalla Lega Awami
della premier, Sheikh Hasina, che
ha ottenuto 232 dei 300 seggi in pa-
lio, apre un nuovo capitolo istitu-
zionale, ma non chiude il duro con-
fronto nelle piazze, con decine di
morti e gravi danni per il Paese,
che resta fortemente diviso.
Il contrasto, tra la premier e
Khaleda Zia, ex capo del Governo,
ora alla guida dell’opposizione di
diciotto partiti (coalizzata attorno
al Partito nazionalista), è stato acui-
to negli ultimi mesi dall’organizza-
zione del voto anticipato, dall’ac-
cresciuta protesta dei lavoratori del
tessile e dall’ondata di condanne
verso esponenti politici esterni alla
maggioranza per la loro presunta
partecipazione alle violenze che ac-
compagnarono la guerra d’indipen-
denza dal Pakistan, nel 1971.
In questo contesto si inseriscono
anche gli attacchi contro i cristiani.
Come riferisce AsiaNews, nei giorni
scorsi un centinaio di islamisti radi-
cali ha attaccato la comunità catto-
lica del distretto di Jamalpur, «col-
pevole» di aver votato. L'assalto ha
provocato otto feriti.
BANGKOK, 11. Diverse persone sono
rimaste ferite, una gravemente, da
colpi sparati oggi contro un accam-
pamento di oppositori del Governo
thailandese. Lo ha reso noto la po-
lizia, a due giorni dalle grandi ma-
nifestazioni di protesta organizzate
dall’opposizione, che chiede le di-
missioni della premier, Yingluck
Shinawatra, e nuove elezioni.
Due diversi attacchi sono avve-
nuti contro il principale sito dove i
manifestanti sono accampati da più
di due mesi, nel centro storico di
Bangkok. E quasi 15.000 uomini,
tra poliziotti e soldati, saranno mo-
bilitati lunedì prossimo per fronteg-
giare la minaccia di «chiudere
Bangkok» da parte della protesta
anti-governativa, che intende para-
lizzare la capitale con manifestazio-
ni a macchia di leopardo.
Dall’inizio di dicembre — mentre
il Paese asiatico si prepara tra mille
difficoltà alle elezioni legislative del
2 febbraio prossimo, boicottate
dall’opposizione — le proteste han-
no provocato otto morti e oltre 400
feriti, in scontri tra diverse fazioni o
in tafferugli tra manifestanti e agen-
ti in assetto anti sommossa.
L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 12 gennaio 2014
La lezione di Robert Schuman all’Unione Europea nella crisi di oggi
Pensava
al futuro più che ai voti
di HERMAN VAN ROMPUY
C
on questo articolo
voglio rendere
omaggio al padre
dell’Europa moder-
na, che si è chiama-
ta Comunità e che porta oggi il
nome di Unione. Robert Schu-
man ci ha lasciati cinquant’anni
fa (il 4 settembre 1963) e il suo
esempio, il suo pensiero e la sua
azione sono per me fonte di
ispirazione costante.
L’uomo che, il 9 maggio 1950,
ha fatto entrare l’Europa con-
temporanea nella storia non era
né solo né il solo. Altri grandi
d’Europa hanno segnato il cam-
mino o l’hanno portato avanti:
potuto dire Je suis ma conscience,
seguo e “sono” la mia coscienza.
Era al servizio del bene comune
e non esercitava il potere a fini
personali. Uomo di Stato, pen-
sava, come Churchill, alle gene-
razioni successive più che alle
successive elezioni. Cristiano,
spiritualmente e socialmente cat-
tolico, anche lui amava ricaricar-
si con frequenti ritiri in mona-
stero.
Insomma Robert Schuman
esercitava, cosa più rara di
quanto generalmente si pensi,
un potere autentico. Perché, co-
me scriveva Hannah Arendt, «il
potere è esercitato solo là dove
l’atto e la parola non prendono
strade separate, dove i termini
si perde un’identità acquisendo-
ne un’altra. Identità europea,
perché Robert Schuman ha fat-
to dell’Europa l’opera della sua
vita. Il suo progetto, il suo desi-
derio, era l’Europa.
Nella dichiarazione che prece-
de di qualche mese la dichiara-
zione del 9 maggio 1950, diceva
già chiaramente che «la fiducia
tra popoli non si improvvisa né
si impone. Vi potremo arrivare
solo attraverso una cooperazione
in un quadro più ampio in cui
saremo parecchi a dare prova di
buona volontà. Quel quadro è
l’Europa». Dichiarazione che
non ha una ruga. Perché l’Euro-
pa è un’idea generosa. È la mes-
sa in atto del perdono, della ri-
conciliazione. «L’Europa nasce-
rà dalle realtà concrete che cree-
ranno anzitutto una solidarietà
di fatto», scriverà ad Adenauer.
E nel suo libro Per l’Europa,
uscito nel 1963, farà quest’anali-
si: «Tutti i grandi problemi che
affliggono i Paesi usciti dalla
guerra hanno assunto un carat-
tere mondiale e si sottraggono
all’autonomia politica ed econo-
mica dei Paesi, anche i più po-
tenti». Se tralascio le parole
«usciti dalla guerra», che oggi
risultano datate, potrei descrive-
re negli stessi termini la crisi
economica e finanziaria che ci
ha colpiti negli ultimi anni.
Sì, l’Europa era la sua que-
stione primaria, la sua grande
causa. Un’Europa basata sulla
di EMILIO RANZATO
Pierfrancesco Diliberto, noto al pub-
blico televisivo semplicemente come
Pif per i suoi trascorsi nel programma
«Le iene» e in altre trasmissioni che
conciliano il giornalismo con l’intrat-
tenimento, esordisce dietro la macchi-
na da presa con un film che sorpren-
de per molti motivi, malgrado il suo
curriculum parli anche di inaspettate
frequentazioni dei set di Zeffirelli e
Giordana nelle vesti di collaboratore.
La vita di Arturo (Alex Bisconti da
piccolo, Diliberto da grande), nato e
cresciuto a Palermo, sin dal concepi-
mento si intreccia continuamente con
quella di Cosa Nostra. Una realtà,
quella mafiosa, che chi gli sta attorno
sembra però rimuovere o al massimo
accettare con rassegnato disincanto.
Anche di fronte a eventi spaventosi
che ancora non riesce a spiegarsi, il
piccolo si sente rassicurare dai genito-
ri con frasi come quella che dà il tito-
lo al film: «Stai tranquillo, la mafia
uccide solo d’estate». Nel frattempo,
nasce in lui una vera e propria passio-
ne per la figura di Giulio Andreotti,
coscienza civile e di voler denunciare i
rapporti fra malavita e potere. E in
questo aprirà gli occhi anche a Flora,
che ovviamente però non smetterà di
corteggiare.
La locandina del film raffigura la
sua immagine più emblematica: il pic-
colo Arturo travestito da Andreotti.
Un’immagine che contiene tutto lo
spirito dell’opera, dato che fa sorride-
sta, miscelando sapientemente, e in
modo tecnicamente mirabile, scene ri-
costruite ad hoc con immagini di re-
pertorio, che sanno emozionare al
momento giusto e che testimoniano
con intelligenza la voglia dei siciliani
di ribellarsi al fenomeno mafioso. For-
se a livello espressivo si tratta del mo-
do più semplice per risolvere il pro-
blema della rappresentazione della
violenza. Ma è evidente come in tale
atteggiamento non ci sia furbizia,
bensì una sana umiltà e un doveroso
pudore.
Come tutte le opere didattiche, poi,
bisogna prendere anche questa soltan-
to come un primo passo verso una co-
noscenza che va in seguito approfon-
dita altrove. Le semplificazioni sono
infatti in certi casi inevitabili. Merite-
rebbe una sede più opportuna, per
esempio, tutto il discorso sul comples-
so rapporto fra la criminalità organiz-
zata e la classe dirigente di quegli an-
ni. Non perché non vi siano state le
collusioni inquietanti e gravi che il
film adombra, ma perché non è intel-
lettualmente giusto confondere il ma-
chiavellismo anche cinico e proteso a
pericolosi compromessi, con la pro-
strazione spontanea e arbitraria nei
confronti della malavita. E nel circo-
scrivere le responsabilità a poche per-
sonalità note, si rischia in realtà di
sminuire un fenomeno che invece ha
purtroppo interessato una fetta enor-
me della società italiana a tutti i livel-
li, e di cui la politica è stata spesso
solo la punta dell’iceberg.
Anche in questo però Diliberto si
dimostra intelligente. Nel prendere la
Leggerezza e impegno nel film di Pierfrancesco Diliberto
La mafia
uccide solo d’estate
Le contraddizioni del Ghana attraverso la storia di una famiglia nel primo romanzo della scrittrice anglo-americana Taiye Selasi
Elogio della fragilità
Aristide Briand e Gustav Strese-
mann — che hanno ricevuto il
premio Nobel per la Pace nel
1926 — poi Winston Churchill,
Charles de Gaulle, Konrad Ade-
nauer, Alcide De Gasperi e
Paul-Henri Spaak; senza dimen-
ticare quel mentore del progetto
europeo che fu Jean Monnet, né
il braccio operativo che affiancò
Robert Schuman, il direttore del
suo ministero Bernard Clappier.
Uomini provenienti da oriz-
zonti diversi, di differenti con-
vinzioni politiche, filosofiche e
religiose, ma che hanno in co-
mune il fatto di avere iscritto
l’Europa e il progetto europeo
nella storia.
Hanno tracciato il cammino
di un’Europa forte dei suoi valo-
ri nell’immanenza della sua real-
tà, e di un’Europa condotta a
superarsi nella trascendenza del
“di più” che vive in ciascun cit-
tadino europeo. «Di più è in
noi»; «di più è in voi», come ci
ricorda il bel motto della fami-
glia van Gruuthuse a Bruges.
Il pensiero e l’azione di questi
grandi d’Europa sono oggi sco-
nosciuti o, peggio, ignorati.
Dunque è anche nei loro con-
fronti che voglio testimoniare
tutta la mia riconoscenza attra-
verso questa riflessione dedicata
a Robert Schuman. Sì, Schu-
man: uomo semplice, modesto,
calmo, onesto e retto, di tempe-
ramento pacato, dotato di pron-
tezza di spirito e senso
dell’umorismo, che detestava la
demagogia ed era impermeabile
alle mode intellettuali.
Quest’uomo, che non faceva
gesti teatrali, aveva come qualità
riconosciute «la chiarezza, la
precisione e i modi riflessivi di
presentare le argomentazioni»
(citazione dall’eccellente lavoro
di François Roth, Robert Schu-
man, du Lorrain des frontières au
père de l’Europe, 2008). Avrebbe
laggio.
Perché ogni uomo ha bisogno
di essere “riconosciuto”: cono-
sciuto e riconosciuto. Per esiste-
re e non solo per essere. E il ri-
conoscimento passa attraverso
riferimenti, punti fermi. Riferi-
menti che uno si dà e che gli al-
tri gli riconoscono. Riferimenti
Vita e pensiero
Anticipiamo stralci di uno degli articoli
che saranno pubblicati sul prossimo
numero della rivista «Vita e Pensiero».
fatti di legami sociali e familiari,
ma anche di legami storici e
geografici. L’uomo fa parte
dell’umanità, viene da qualche
parte ed esiste, in quanto uomo,
da qualche parte. Negare la sua
appartenenza cittadina e cultu-
rale vuol dire negare lui in
quanto uomo. Essere un euro-
peo senza legami non ha senso.
E potrebbe provocare solo una
sensazione di paura e ripiega-
mento, derivante da una perdita
di riferimenti. Robert Schuman
l’aveva capito bene.
Era di Evrange, di Lorena, di
Francia, di Europa. Non “o”,
ma “e”. Perché le identità non si
annullano. Al contrario, si arric-
chiscono reciprocamente e non
di una parola rivolta a ogni uo-
mo. Al contrario dell’universali-
smo che considera la realtà co-
me un tutto unico.
L’Europa che era per Schu-
man, ed è sempre per noi, un
progetto in perpetuo divenire.
Perché l’Europa come la cono-
sciamo oggi è il risultato di un
doppio moto di unificazione e
frantumazione.
E la tensione è parte integran-
te della nostra eredità. Una ten-
sione non distruttiva ma, al con-
trario, vitale. Perché ci impedi-
sce di cadere in una forma di le-
targia politicamente mortale e ci
obbliga costantemente a inqua-
drare di nuovo il progetto euro-
peo.
solidarietà e sulla respon-
sabilità. Su valori che
mettono l’uomo al centro.
L’uomo in quanto perso-
na, quell’uomo — inteso
come uomo o donna —
che si presenta non come
un individuo puramente
autonomo, bensì come un
individuo in un rapporto
di solidarietà, un indivi-
duo dotato di diritti e di
doveri; insomma, l’uomo
che sa di essere interpel-
lato dal volto dell’altro.
L’altro e dunque, necessa-
riamente, la diversità.
È proprio la diversità a
costituire la ricchezza sto-
rica europea. Ed è l’uni-
versalità a costituire il no-
stro messaggio politico.
L’universalità, non l’uni-
versalismo. L’universalità
non sono vuoti di
senso e gli atti crediti
di violenza».
Era uomo di aper-
tura, uomo delle fron-
tiere che si incontra-
no; per lui amare
l’Europa non voleva
dire trascurare il pro-
prio Paese, la propria
regione, il proprio vil-
di cui assume addirittura le sembianze
alla festa scolastica di carnevale di
fronte allo sguardo stupito degli altri
bambini.
Diventato giornalista anche grazie
ai consigli di un mentore (Claudio
Gioè), Arturo da ragazzo si fa le ossa
in una scalcinata televisione locale. È
qui che rincontra Flora (Cristiana Ca-
potondi), di cui è innamorato fin dai
tempi della scuola, e che ora è impe-
gnata nell’entourage del deputato de-
mocristiano Salvo Lima. Arturo si
unirà alla causa per amore, ma non
per questo smetterà di formarsi una
re e inquieta allo stesso
tempo. Inquieta, se non al-
tro, perché ci parla imme-
diatamente di un’infanzia
in qualche modo costretta a
trovarsi di fronte al mondo
degli adulti, alle sue violen-
ze e — forse quel che è peg-
gio — alle sue laceranti con-
traddizioni, come è quella
che vuole la politica zimbello di un
male che dovrebbe al contrario estin-
guere.
Oltre alla disinvoltura di un lin-
guaggio cinematografico già molto
consapevole, che procede senza intop-
pi e anche con qualche pretesa ben ri-
posta, dell’esordio di Diliberto sor-
prende appunto il coraggio di aver
scelto un argomento così spinoso non
rinunciando però ai toni da comme-
dia, e trovando un equilibrio fra leg-
gerezza e rispetto per la materia trat-
tata che ricorda La vita è bella. Come
nel film di Benigni, infatti, il contra-
sto fra le situazioni farsesche e quelle
drammatiche non sminuisce affatto il
senso di orrore, ma al contrario ne en-
fatizza l’effetto senza mai rischiare di
risultare fuori posto.
Ma soprattutto si tratta di un regi-
stro che permette al film di svolgere
un’importantissima funzione didattica
nei confronti dei più giovani, i quali
difficilmente potranno trovare nei libri
o nel piccolo schermo un compendio
altrettanto veloce e coinvolgente sulla
recente storia della mafia in Italia.
Per il resto però non ci sono trucchi
o eccessive reticenze. Diliberto non si
tira indietro quando si tratta di mo-
strare la realtà più cruda, quella delle
conseguenze degli attentati. E in que-
sto rispolvera il suo piglio da giornali-
figura di Andreotti come esempio di
un anello di congiunzione fra due
mondi che dovrebbero rimanere di-
stinti, non si lancia in spericolate ana-
lisi né in giudizi trancianti, ma opta
per una direzione grottesca facendo
dell’esponente democristiano l’immo-
tivato idolo del protagonista da picco-
lo. In tal modo mette direttamente lo
spettatore nella posizione di poter
scegliere se provare o meno imbarazzo
nei confronti di una vicenda umana e
politica che col senno di poi assume
contorni a dir poco sfaccettati e con-
troversi.
Vista la facilità espressiva e di scrit-
tura dimostrata, nonché l’ottima dire-
zione degli attori, compresi quelli più
piccoli, il regista e sceneggiatore pote-
va poi approfondire di più un paio di
aspetti narrativi, come il rapporto fra
il piccolo Arturo e il giornalista che lo
instraderà all’impegno civile, o una vi-
cenda d’amore usata semplicemente
come filo d’Arianna per inoltrarsi nei
meandri della storia italiana.
Ciò non gli impedisce tuttavia di
essere romantico e persino poetico nei
momenti che contano. E nell’epilogo
si toglie anche lo sfizio di commuove-
re con semplicità. Ma forse potremmo
addirittura dire con una levità da nou-
velle vague.
Pierfrancesco Diliberto
e Cristiana Capotondi
in una scena del film
Konrad Adenauer, Robert Schuman e Joseph Bech
a Bruxelles nel settembre del 1956
Un Renoir
al mercatino
delle pulci
Un dipinto originale di Pierre-
August Renoir del 1879 è stato
comprato in un mercatino del-
le pulci per soli sette dollari.
Ne ha dato notizia la Cnn.
Paysage Bords De Seine, un
olio di piccole dimensioni, era
stato rubato nel 1951 dal museo
di Baltimora. Quattro anni fa,
quasi sessant’anni dopo, dopo
aver rovistato tra i banchi di
un mercatino della West Virgi-
nia, una signora ha acquistato
il dipinto di Renoir in una
cornice rococò, una mucca di
plastica e una bambolina di
pezza per un costo totale di
sette dollari.
Qualche tempo dopo il qua-
dro viene portato alla casa
d’asta Potomack per essere va-
lutato: secondo gli esperti, è
uno dei capolavori di Renoir e
vale tra i 75 mila e i 100 mila
dollari.
Sorprende in un’opera prima
il coraggio di aver scelto
un argomento estremamente spinoso
Senza rinunciare
ai toni della commedia
Importante la funzione didattica
nei confronti dei più giovani
che difficilmente potranno trovare
un compendio altrettanto coinvolgente
sulla recente storia di Cosa Nostra
di CLAUDIO TOSCANI
«Kweku muore scalzo, una domenica all’alba,
le pantofole all’uscio della camera, come ca-
ni». È la prima frase del primo romanzo di
Taiye Selasi, scrittrice anglo-americana di pa-
dre del Ghana e madre nigeriana (La bellezza
delle cose fragili, Einaudi, 2013, pagine 332, eu-
ro 19). Narratrice salutata, negli Stati Uniti,
tra i migliori venti under 40, laurea a Yale e
master a Oxford, vita tra Londra, New York e
Roma, Taiye Selasi è poliglotta e “afropolitan”
(figlia dell’immigrazione anni Sessanta-Settan-
ta), secondo un termine da lei stessa coniato.
Protagonista del libro e per tutto il libro,
ancorché scomparso d’acchito in apertura,
Kweku, geniale medico chirurgo, è sposato
con Fola (in prime nozze e, in seconde, con
Ama), ha quattro figli: Olu, Taiwo, Kehinde e
Sadie, ma è un non-padre di una non-fami-
glia, sebbene le non poche pagine di que-
st’opera prima siano incardinate proprio
sull’idea di casa, di consanguineità, di convi-
venza: in altri termini, sul presupposto di una
sacralità, ma terrena, di quel nucleo di forze
che si formano tra genitori e figli, valore uni-
versale ed eterno, spesso difficile, raro, e persi-
no amaro.
Era stato studente modello, clinico esempla-
re, padre affettuoso e marito fedele, ma
all’apice della carriera, muore, lontano da tutti
e riverso sul prato, tra «gocce di rugiada su fi-
li d’erba come diamanti caduti dal sacchetto
di un generoso spiritello che è passato agile e
leggero nel giardino». Lontano da Fola, la
prima moglie, che «aveva avuto la sensazione
che Kweku fosse un uomo con cui si poteva
vivere, con cui si poteva costruire una vita»;
dal figlio Olu, medico a sua volta, che ipotiz-
za distanze inimmaginabili tra lui e il padre
(«chilometri, oceani, fusi orari» e cuore spez-
zato, rabbia, dolore calcificato). Lontano da
Taiwo e da Kehinde, fratelli gemelli, l’una e
l’altro che ricordano bene l’uomo mai chiama-
to “padre” o “papà”, come attraverso la crepa
in un muro eretto negli anni. E lontano, infi-
ne, dalla più giovane di tutti, Sadie, vittima
del sentimento di essere inadeguata.
Nel giorno in cui l’assente, ma al tempo
stesso più acutamente presente protagonista
muore, la famiglia non può essere più in dia-
spora di come la introduce l’autrice, memore
di un’altra disintegrazione, quella dell’intero
popolo del Ghana negli anni della guerra civi-
le, dell’annientamento etnico, della violenza e
dell’ingiustizia sociale, della disintegrazione
culturale, politica e morale del Paese.
Il Ghana, «una contraddizione, un vaso
d’argilla incrinato: l’odore di siccità e umidità
allo stesso tempo, l’umido della terra e l’aridi-
tà della polvere». Dalla prima all’ultima riga,
il romanzo vive tra le ore in cui i congiunti
apprendono la notizia dell’infarto di Kweku e
il rito funebre, rivelando poco a poco le vite
di ciascun personaggio in un vortice di decli-
nazioni temporali presenti-passate che cattura-
no per rapidità, incisività, coinvolgimenti dia-
logici e scorci di paesaggio naturale e umano.
Esperienze, confessioni e ferite, ritorsioni, mi-
nacce e riconciliazioni, diventano però, in pro-
spettiva, l’inatteso cammino, quasi impalpabi-
le ma effettivo, di una progressiva polverizza-
zione delle distanze, da fisiche a emotive.
È un percorso tormentato, un itinerante
cammino a ritroso da un iniziale e protratto
reciproco allontanamento a una rotta di ricon-
versione degli animi, in se stessi e tra di loro:
da una silente, solitaria disperazione, consu-
mata da ogni singolo componente della fami-
glia, alla presa di coscienza di una indebita di-
stanza, di fatto e d’anima, dagli altri, dopo
che ciascuno ha pagato il suo tributo di soffe-
renza e di sradicato rimpianto dell’antica casa,
del caldo bozzolo dei momenti uniti, solidali,
prestati gli uni gli altri in gratuita comunità
d’intenti. E sembra un’illusione quella che «fi-
nalmente sono di nuovo insieme, in quel mo-
mento, dopo che fra di loro c’erano state tutte
quelle cose dette e non dette»: i successi, i ta-
lenti, i doni della vita, disgregati, chiusi, in-
condivisi. Invece la remota realtà si va ricom-
ponendo, il futuro ha vecchie porte, anche se
non è facile varcarle di nuovo e il lettore teme
sempre che succeda l’imprevisto a rovinare il
quadro. Infatti, fino alle ultime pagine, ogni
gesto, parola, pensiero, sono in tensione sul fi-
lo di un possibile, irreparabile dramma.
Invece. «Più tardi, molto più tardi, dopo
che la luna è sorta e il giorno ha vissuto la
sua spettacolare morte in un tripudio di rosso
e arancio iniettato di sangue, blu e magenta,
un tramonto mozzafiato che nessuno di loro
ha visto, si siedono di nuovo a tavola (...) poi
scivolano via ognuno verso la propria stanza,
ognuno seguito da una debole scia di ferite e
flebili speranze, che si insinuano sotto le porte
che si chiudono».
L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 gennaio 2014 pagina 5
Dal segretario generale della Kek
Appello a partecipare
alla settimana
di preghiera per l’unità
La colletta
delle comunità religiose dei Paesi Bassi
La rivalutazione del vangelo secondo Giovanni
Teologico
e dunque storico
Nella ricerca di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
Gesù di Nazaret
di YVES SIMOENS
L’attendibilità storica del quarto
Vangelo è stata rivalutata, negli ulti-
mi anni, secondo il punto di vista di
ciò che ci insegna su Gesù e i suoi
discepoli. (...) La dichiarazione sulla
venuta nella carne del Verbo e sulla
visione della sua gloria è solo pensa-
bile nella fede, anche se può prove-
nire da un’indagine fuori della stessa
fede. Si deve quindi giustificare il
carattere storico dell’atto di credere
che presuppone Giovanni, 1, 14.
Questo è il punto sul quale vorrei
condividere la mia attenzione. Lo
sforzo è facilitato in quanto l’autore
del quarto Vangelo ci ha pensato
prima di noi. Secondo la sequenza
dei versi del prologo, la menzione
della incarnazione avviene al termi-
ne dei precedenti due versi, i più di-
scussi e controversi del prologo, sen-
za dubbio perché costituiscono il
suo centro letterario e teologico. (...)
Questa discussione ci porta al
cuore del problema che stiamo trat-
tando. La vita del “credere” non
esclude la storia e le sue esigenze.
Essa invece situa il credente nell’at-
tualità storica. La ricerca storica sul-
la Scrittura e sul quarto Vangelo, in
questo caso, è guidata dal desiderio
di comprendere la fede della quale
essi rappresentano i riferimenti prin-
cipali. Questa ricerca fa parte, nella
tradizione, dell’intelligenza della fe-
de che porta il marchio d’un patri-
monio cristiano a un mondo secola-
rizzato. La rivalutazione storica del
quarto Vangelo procede da tale oriz-
zonte culturale. Ci costringe a risco-
prire la dimensione storica del suo
asse maggiore: la fede vissuta, l’atto
di credere. Perciò, la rivalutazione
storica del Vangelo secondo Giovan-
ni coincide con la rivalutazione
dell’esistenza storica dei credenti.
Essa non può essere fatta senza va-
gliare storicamente i suoi effetti nel-
la Chiesa, compresa come «incarna-
zione di complemento», per prende-
re in prestito una espressione di Eli-
sabetta della Trinità. (...)
I presupposti della fede fanno
prendere in considerazione, fin dal
prologo, la testimonianza di Giovan-
ni in entrambi i brani dedicati a lui,
cioè in Giovanni, 1, 6-8 e 1, 15. La
mediazione del testimone Giovanni
è indispensabile all’atto di fede. (...)
Qualsiasi logica di violenza è con-
traria alla logica di Gesù e dei Suoi
discepoli, alla luce dei testi più ap-
passionati, come la parte centrale
del discorso della Cena, cioè Gio-
vanni, 15, 1 - 16, 3. La comunità gio-
vannea non è una conventicola di
tendenza gnostica ripiegata su se
stessa, ignara del grande respiro uni-
versale di amore dei nemici (Matteo,
5, 44). L’autore del quarto Vangelo
sostiene l’amore reciproco sulla base
dell’amore di Gesù per i suoi disce-
poli come l’unica valida risposta alle
tensioni che possono portare a
esclusioni reciproche. La doppia ri-
presa del comandamento nuovo
dell’amore reciproco si verifica, in
modo significativo, al centro del di-
scorso della Cena (Giovanni, 15, 12-
17) e perciò nel cuore del testamento
di Gesù. Ciò non è indice di un ri-
piegarsi su se stesso ma il segno di
un grande realismo spirituale. I cri-
stiani hanno continuato a frequenta-
re la sinagoga per un periodo pro-
lungato. Si è potuto anche affermare
che a un certo punto i capi della
Chiesa hanno cercato di allontanare
i cristiani dalla sinagoga, piuttosto
che il fatto che gli Ebrei stessi li ab-
biano esclusi. Secondo Giovanni, là
dove i rispettivi comportamenti de-
gli uni e degli altri hanno ceduto al-
la violenza, è là dove Gesù e il Van-
gelo sono stati traditi e rinnegati.
Pertanto, la questione posta da Gio-
vanni, 15, 1-16, 3, nel contesto della
tensione tra la vigna e il mondo —
senza tracce di un dualismo che si
attribuisce a torto al corpus giovan-
neo, consiste nel sapere chi è Ebreo
prima di sapere chi è cristiano. Per
riprendere il cuore del messaggio di
Giovanni, 13-17 — che coincide con
quello del Vangelo, con il Nuovo
Testamento legato all’Antico, e
quindi con la Bibbia nel suo insieme
— la questione è fondamentalmente
sapere chi è eletto. «Non voi elegge-
ste me, ma io elessi voi» (Giovanni,
15, 16a). L’elezione di tutti passa ir-
revocabilmente attraverso l’elezione
di Israele e degli ebrei al prezzo del-
la incarnazione, della morte e della
risurrezione del Verbo in Gesù di
Nazaret. Così ritroviamo il parados-
so di un “credere” che trascende la
storia, fondandola.
La questione risuona oggi sullo
sfondo della Shoah. La rivalutazione
storica del quarto Vangelo non può
ignorare i disastri della storia. L’an-
tisemitismo cristiano non è radicato
nel Vangelo giovanneo, ma in alcu-
ne delle sue interpretazioni tenden-
ziose che conviene controllare e cri-
ticare. I genocidi che ne seguono la-
sciano piuttosto il campo libero alle
forze polimorfiche del male: il bu-
giardo e il padre della menzogna
(Giovanni, 8, 44), il diabolos, il “divi-
sore” (Giovanni, 13, 2), l’omicida fin
dal principio (Giovanni, 8, 44), il
Satanas, “accusatore” (Giovanni, 13,
27), il capo del mondo (Giovanni,
14, 30), il Figlio della Perdizione
(Giovanni, 17, 12), il Cattivo (Giovan-
ni, 17, 15).
Rivalutare il carattere storico del
Vangelo giovanneo si confronta con
le questioni fondamentali della ese-
gesi del Nuovo Testamento. L’ope-
razione consente anche di rivalutare
ciò che si intende per storia, senza
limitarsi agli approcci troppo positi-
vi, se non neo-positivisti. La storia
di Gesù crea la storia dei credenti.
Si nota nei testi affrontati e molti al-
tri: i viaggi di Gesù e le sue salite a
Gerusalemme per le tre Pasque della
sua vita pubblica, la cronologia della
Passione fino alle tradizioni sulla Ri-
surrezione a Gerusalemme e in Gali-
lea, il più teologico dei vangeli si ri-
vela più vicino alla verosimiglianza
storica.
La sua teologia del credere fa im-
mergersi nel più vivo dell’esperienza
umana storica, perché credere è ne-
cessario per vivere — o persino, a
volte per sopravvivere — nella storia.
Credere costituisce la condizione del
legame sociale. Quando questo lega-
me appare fragile, il Vangelo gio-
vanneo si offre nel mondo e nella
Chiesa come un punto di riferimen-
to importante per prendere parte al-
la storia in corso, ciascuno secondo
la luce che gli è stata data.
Il patriarca Bartolomeo incontra il primate anglicano e a fine gennaio accoglie una delegazione della diocesi di Milano
Per un’amicizia ancora più grande
Pubblichiamo in parte uno dei
saggi compresi negli atti, appena
usciti, del convegno internazionale
sui Vangeli tenutosi a Roma dal 24
al 26 ottobre scorsi. Si tratta di
due volumi (I Vangeli: storia e
cristologia, Città del Vaticano,
Libreria Editrice Vaticana, 2013,
pagine 633 + 285, euro 28 + 21)
pubblicati dalla Fondazione
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
che ha promosso l’importante
iniziativa.
conto della sua natura di opera
ispirata da Dio e canonica per la
Chiesa. Esaminato il testo dal
punto di vista letterario e storico, è
necessario passare all’analisi dello
stesso alla luce dell’unità e del
contenuto dell’intera Sacra
Scrittura, tenendo vero conto della
tradizione viva di tutta quanta la
Chiesa, utilizzando infine il
decisivo concetto dell’“analogia
della fede”».
ISTANBUL, 11. Dapprima il 13 e il 14
gennaio l’arcivescovo di Canterbury
e primate della Comunione anglica-
na, poi alla fine del mese l’arcivesco-
vo di Milano con una delegazione
della diocesi ambrosiana: calendario
fitto di incontri per il patriarca di
Costantinopoli, Bartolomeo, che, do-
po la sua visita in Grecia in occasio-
ne dell’inizio della presidenza seme-
strale greca dell’Unione europea, in
pochi giorni incontrerà a Istanbul,
nella sede del Fanar, Justin Welby e
il cardinale Angelo Scola. Nel ri-
spondere al fraterno invito — si legge
in un comunicato sul sito on line
dell’arcivescovo di Canterbury — il
primate anglicano ha sottolineato
«l’importante contributo» dato da
Bartolomeo al mondo cristiano e più
in generale alla società, e ha ricorda-
to tutto ciò che unisce anglicani e
ortodossi.
Nell’intensa due giorni è previsto
un incontro privato, un ricevimento
ufficiale nella Sala del Trono e un
colloquio con il Comitato sinodale
per le questioni inter-cristiane. Il pri-
mate anglicano auspica che la visita
serva a sviluppare un’amicizia più
grande tra le due comunità, contri-
buendo a raggiungere l’obiettivo
dell’unità fra i cristiani.
Per quanto riguarda il viaggio del
cardinale Scola a Istanbul, esso è di-
retta conseguenza della visita effet-
tuata dal patriarca Bartolomeo nel
maggio scorso a Milano in occasione
del diciassettesimo centenario
dell’editto di Costantino. Al termine
della celebrazione ecumenica nella
basilica di Sant’Ambogio, il porpo-
rato annunciò che dal 31 gennaio al
2 febbraio 2014 avrebbe guidato il
pellegrinaggio di una delegazione
ambrosiana al Fanar, sede del pa-
triarcato di Costantinopoli, acco-
gliendo l’invito di Bartolomeo. «Vo-
gliamo approfondire l’unità e la co-
munione di pensiero tra le nostre
due Chiese. Intendiamo così mostra-
re — disse Scola — la risorsa che le
nostre Chiese rappresentano nell’edi-
ficazione del bene comune, soprat-
tutto nella società plurale, perché la
ricerca dell’unità si basa sulla testi-
monianza reciproca e ci costringe a
superare ogni tentazione di egemo-
nia».
Gli incontri con Welby e Scola si
situano a cavallo della Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani (18-
25 gennaio). E alla fine di maggio
sarà Papa Francesco a incontrare a
Gerusalemme il patriarca.
«Il simposio — si legge nella
prefazione firmata dai tre curatori,
Bernardo Estrada, Ermenegildo
Manicardi e Armand Puig i
Tàrrech — ha fatto cogliere in
modo coinvolgente come Joseph
Ratzinger - Benedetto XVI sia
partito dalla necessità di poggiare
la riflessione teologica sul
confronto con la ricerca storico-
critica più rigorosa. Questo aspetto
è stato percepito da molti
partecipanti come un significativo
sviluppo dottrinale nel modo di
fare teologia». Proprio in seguito
alla ricerca di Papa Benedetto,
continua il testo, ci si rende conto
che «non è possibile pensare a una
cristologia a riguardo della persona
di Gesù di Nazaret senza un
confronto profondo e sistematico
con il carattere storico dei Vangeli.
La loro affidabilità è un dato che
va assunto da una esegesi
consapevole del valore della
tradizione radicata nella vita di
Gesù e nella riflessione dei primi e
diretti testimoni della sua attività
salvifica».
L’approfondimento storico-critico
«diventa così un irrinunciabile
punto di partenza per arrivare
davvero a una riflessione teologica.
L’ermeneutica cattolica della Sacra
Scrittura, ricapitolata dalla
costituzione dogmatica conciliare
Dei Verbum, 12, prevede due tappe
ugualmente necessarie. La prima è
quella che cerca con cura
l’intenzione dell’autore umano,
attraverso il quale Dio si esprime,
misurandosi nella maniera più
nitida possibile con le circostanze
storiche e con la portata letteraria
autentica del testo che si studia.
La seconda tappa è quella che
s’impegna, con pari serietà, a
trattare il testo biblico tenendo
L’opera su Gesù è dunque,
continua la prefazione, «un
esempio, serio e luminoso, di
corretto impiego del metodo
storico-critico, e, al contempo, di
un esercizio maturo di una esegesi
credente e teologica, capace di
tener conto di tutta la storia della
tradizione fino alla vita più recente
e attuale della Chiesa. Con il suo
vasto e impegnato trittico Joseph
Ratzinger - Benedetto XVI ha
offerto — non solo alla Chiesa, ma
anche alla cultura e al mondo
degli studi accademici — un
eccellente esempio concreto di
ermeneutica biblica cattolica, così
com’è stata proposta nella sintesi e
nell’approfondimento del concilio
ecumenico Vaticano II. Nella
prefazione al secondo volume, lo
stesso autore raccoglie le reazioni
al primo, e ricorda studiosi come
Martin Hengel, Peter Stuhlmacher
e Franz Mussner — per menzionare
solo alcuni dei connazionali
tedeschi — che, pur senza essere
forse d’accordo su ogni particolare,
guardano l’opera come un
importante contributo esegetico.
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
ha così completato un’avvincente
parabola teologica personale. Da
giovanissimo teologo era stato
perito conciliare del cardinale
Joseph Frings, collaborando di
fatto all’elaborazione della
costituzione Dei Verbum. Di questo
documento — sottolinea la
prefazione — era stato nei tempi
postconciliari uno dei
commentatori più autorevoli e
significativi. Con il trittico Gesù di
Nazaret egli ha fatto un dono
ancora maggiore: ha offerto un
avvincente esempio di applicazione
del modello ermeneutico» della
costituzione dogmatica conciliare.
ROMA, 11. Un appello affinché tutte
le 115 Chiese che aderiscono alla
Conferenza delle Chiese europee
(Kek) si uniscano alla Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani è
stato lanciato nei giorni scorsi dal
segretario generale della Kek, Guy
Liagre. La Settimana si celebra
ogni anno dal 18 al 25 gennaio.
«Pregare insieme per l’unità della
Chiesa — si legge in un comunicato
di Liagre diffuso dal Sir — è il mo-
do più forte che le nostre 115 Chiese
hanno per mostrare il loro spirito
ecumenico. Ecco perché noi le invi-
tiamo a partecipare alla Settimana
di preghiera per l’unità dei cri-
stiani».
Quest’anno come tema di medi-
tazione e riflessione per la Settima-
na di preghiera è stata scelta l’affer-
mazione tratta dalle lettere
dell’apostolo Paolo ai Corinzi:
«Cristo non può essere diviso!».
(Corinzi 1, 1-17). E a redigere que-
st’anno il testo di preparazione
all’iniziativa ecumenica — congiun-
tamente pubblicato poi dal Pontifi-
cio Consiglio per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani e dal Consi-
glio ecumenico delle Chiese (Cec o
World Council of Churches) attra-
verso la sua Commissione Fede e
costituzione — è stato un gruppo di
rappresentanti di diverse regioni del
Canada. «Consideriamo l’afferma-
zione categorica dell’apostolo Paolo
“Cristo non può essere diviso!” —
conclude nel comunicato Guy Lia-
gre — come un pressante invito alla
preghiera e a un esame di coscienza
come cristiani singoli e in comu-
nità».
Come è tradizione della Società
Biblica in Italia, anche quest‘anno
sono offerti alla meditazione dei
cristiani alcuni testi biblici scelti da
un gruppo internazionale ecumeni-
co composto da rappresentanti del
Cec e del Pontificio Consiglio per
la Promozione dell’Unità dei Cri-
stiani.
AMSTERDAM, 11. Ha preso il via
giovedì la tradizionale campagna di
“Kerkbalans”, iniziativa delle comu-
nità religiose olandesi che raccoglie
fondi per sostenere la vita delle co-
munità locali. Tema di quest’anno:
“Quanto vale per me la Chiesa?”.
«All’inizio di ogni anno — spiegano
gli organizzatori — più di cinque-
centomila volontari vanno per le
strade e rivolgono ai fedeli delle
proprie Chiese un appello a donare
un contributo economico». Ogni
comunità del Paese raccoglie i soldi
dei propri fedeli. Si tratta della più
grande iniziativa di fundraising in
Olanda ed è la maggiore fonte di
sostentamento delle diverse comu-
nità religiose locali. «In tutti questi
anni di attività insieme — ha scritto
il cattolico Emile Duijsens, presi-
dente del comitato di coordinamen-
to di Kerkbalans, attraverso il sito
della Conferenza episcopale olande-
se — non c’è mai stata dissonanza
tra le Chiese». Per la Chiesa cattoli-
ca, nel 2012 l’iniziativa Kerkbalans
ha portato nelle casse delle parroc-
chie circa cinquantasette milioni di
euro. Ogni comunità destina i fon-
di raccolti in modo diverso: attività
pastorali, personale, edifici. È dal
1973 che la Chiesa cattolica, i prote-
stanti, i vetero-cattolici, la comunità
mennonita e i remostranti lavorano
insieme.
Eugène Burnand, «Gli apostoli Pietro e Giovanni corrono al sepolcro la mattina
della Resurrezione» (particolare, 1898, Museo d’Orsay, Parigi)
L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 12 gennaio 2014
Aperto l’anno giudiziario del tribunale vaticano
Un passaggio epocale
di MARIO PONZI
Un passaggio epocale che va colto
anche nel suo divenire. È questa la
chiave di lettura per entrare nella
esatta dimensione delle trasforma-
zioni che hanno segnato, negli anni
più recenti, il sistema giuridico dello
Stato della Città del Vaticano. Lo si
comprende leggendo l’ampia rela-
zione che il promotore di Giustizia
Gian Piero Milano ha svolto sabato
mattina, 11 gennaio, in occasione
dell’apertura dell’anno giudiziario
del Tribunale dello Stato Vaticano.
Rimodulare infatti all’interno della
Curia romana certi profili — la tesi
sostenuta dal relatore — è materia
assai delicata che richiede attenta ri-
flessione. Dunque occorre agire con
una gradualità che deve essere asse-
condata con una valutazione nel
tempo.
È anche vero che nello spazio di
pochissimi anni il sistema giuridico
dello Stato è profondamente muta-
to. Soprattutto dopo l’ampia rifor-
ma del codice penale vaticano che,
insieme ad alcune innovazioni nel
sistema amministrativo e finanziario,
si è resa necessaria a partire dalla
stipula della convenzione monetaria
fra l’Unione europea e lo Stato già
dal 2009. Anzi è proprio a questi
anni recenti che Gian Piero Milano
fa risalire anche una certa mutazio-
espressione, la tratta delle persone,
la tortura. Un discorso a parte è de-
dicato alle disposizioni per i delitti
contro i minori. Tra le tipologie per-
seguite figurano la vendita del mi-
nore, l’induzione o la gestione della
prostituzione minorile, gli atti e gli
abusi anche sessuali nei loro con-
fronti, la pedopornografia o la sola
detenzione di materiale a essa riferi-
bile, l’arruolamento di minori.
Conclusa l’esposizione, seppur
per sommi capi, della più recente
normativa, la relazione del promoto-
re di Giustizia entra nell’ambito del-
la cooperazione internazionale. E si
sofferma sul carattere quasi sempre
transazionale dei nuovi reati finan-
ziari contemplati e sulle difficoltà,
sul piano operativo o anche sempli-
cemente formale, che essi comporta-
no. Soprattutto quando si tratta di
riciclaggio, la cui stessa struttura ri-
chiede a monte la commissione di
un reato grave, il più delle volte
consumato fuori i confini dello Sta-
to vaticano, ma che poi magari si
trasforma e si perfeziona proprio
entro le mura. L’orientamento è
quello di seguire la Cassazione ita-
liana, la quale non ha dubbi quan-
do si trova davanti a una prova logi-
ca della provenienza illecita del-
l’utilità oggetto delle operazioni
compiute. In questo quadro fa rien-
trare anche l’illecito fiscale commes-
Il cardinale Leo Burke celebra la messa per l’inaugurazione
Servitori prima di Dio
poi dello Stato
Essere specchio della giustizia per
tutti gli ordinamenti giuridici «so-
prattutto nella difesa della dignità
inviolabile dell’uomo». È questa la
testimonianza che deve dare l’ordi-
namento giuridico dello Stato della
Città del Vaticano, secondo il cardi-
nale Raymond Leo Burke, prefetto
del Supremo Tribunale della Segna-
tura Apostolica. Il porporato lo ha
detto sabato mattina, 11 gennaio,
durante la messa celebrata in occa-
sione dell’apertura dell’anno giudi-
ziario del tribunale dello Stato della
Città del Vaticano, nella cappella di
Maria, Madre della famiglia, nel Pa-
lazzo del Governatorato.
Dopo aver riproposto la figura
eroica di san Tommaso Moro, il
santo patrono dei ministri di giusti-
zia, il cardinale, rivolgendosi ai pre-
senti come ministri di giustizia, li ha
invitati a implorare «l’aiuto dello
Spirito Santo che abita nelle nostre
anime, che ci rivela la legge di Dio,
la sua giustizia e ci rafforza a obbe-
dire alla sua legge e a fare ciò che è
retto e giusto a beneficio del nostro
prossimo senza condizione e li-
mite».
E ha poi chiesto per quanti ope-
rano nella giustizia «la grazia di es-
sere buoni servitori dello Stato e
prima buoni servitori di Dio». La
partecipazione a questa messa, ha
aggiunto, richiama la verità: «Il ser-
vizio di giudici, di avvocati di pro-
fessionisti legali ha la sua fonte ori-
ginaria in Dio, che solo è giusto e
che solo ci insegna nell’intimo dei
nostri cuori come giudicare giusta-
mente per il bene dei nostri fratelli
e per il bene dello Stato intero». In-
fatti, la forma tradizionale della de-
cisione definitiva dei giudici è «sem-
pre preceduta dalla formula: “Aven-
do solo Dio dinanzi agli occhi”».
E ancora una volta, rivolgendosi
ai ministri della giustizia, ha detto
che «la partecipazione alla messa
dona sempre nuove ispirazioni e
nuova forza per l’insostituibile e im-
pegnativo ministero». Infatti, ammi-
nistrare la giustizia è «veramente un
dono spirituale», una manifestazio-
ne dello Spirito Santo «attivo nei
membri del corpo di Cristo per il
bene comune, per il bene di tutto il
corpo». In pratica, è «un servizio
per tutti i fratelli per i quali Cristo
ha dato la sua vita sulla croce».
Tra i presenti, il cardinale Manuel
Monteiro de Castro e il vescovo
Giorgio Corbellini; il presidente del
Tribunale dello Stato della Città del
Vaticano, Giuseppe Dalla Torre, i
giudici Piero Antonio Bonnet Paolo
Papanti-Pelletier, il giudice aggiunto
Venerando Marano, il promotore di
Giustizia, Gian Piero Milano, e il
promotore di Giustizia aggiunto,
Pierfrancesco Grossi; il direttore dei
Servizi di Sicurezza e Protezione ci-
vile del Governatorato, Domenico
Giani. Ha animato la liturgia il coro
della Cappella Giulia, diretta dal
maestro Pierre Paul.
Al termine della messa è seguita,
nel vicino Palazzo del Tribunale, la
cerimonia di inaugurazione dell’an-
no giudiziario, con la relazione del
promotore di Giustizia. Vi hanno
partecipato anche i cardinali Dome-
nico Calcagno, Attilio Nicora e Gio-
vanni Lajolo. Erano inoltre presenti
l’arcivescovo Pietro Parolin, segreta-
rio di Stato, e i monsignor Peter
Bryan Wells, assessore della Segrete-
ria di Stato, e Gianpaolo Montini,
promotore di Giustizia della Corte
di Cassazione. Presenti anche rap-
presentanti dei diversi uffici del Go-
vernatorato e numerose autorità ci-
vili italiane.
zionale. Troppo spesso infatti a essa
si guarda per cogliere, nelle pieghe
delle notizie divulgate a volte in
modo tutt’altro che preciso ed equi-
librato, elementi di giudizio per raf-
forzare quel pregiudizio che alimen-
ta superficiali e fuorvianti forme di
curiosità».
Dunque, per farsi un’idea giusta e
precisa di ciò che è alla base di una
così abbondante produzione norma-
tiva, di carattere in prevalenza pena-
le, pienamente maturata a cavallo di
due pontificati e in un momento
particolarmente sensibile come l’at-
tuale, a livello sia economico-finan-
ziario sia ecclesiale e sociale, non si
può prescindere da una considera-
zione di fondamentale importanza.
E non a caso il promotore di Giusti-
zia lo sottolinea sin dalle prime pa-
gine della sua esauriente relazione.
Il processo di adeguamento «perse-
guito nella consapevolezza della
funzione di alta testimonianza che
la Santa Sede avverte nel novero
delle nazioni — prosegue il testo —
si rende possibile, con la relativa in-
cisività e tempestività, grazie ad al-
cuni tratti caratterizzanti il sistema
delle fonti, delineato dalla Legge n.
LXXI dell’ottobre 2008». Un sistema
cioè che non prevede una ripresa
tout court di normative internazio-
nali di riferimento, ma che è al con-
trario «costruito attraverso la strut-
ne geopolitica dello Sta-
to: da enclave della Re-
pubblica italiana a encla-
ve dell’Unione europea,
pur mantenendo quella
sua capacità «di interagi-
re e recepire le realtà or-
dinamentali esterne — si
legge infatti nella relazio-
ne — senza derivarne
contaminazioni estranee
alla sua natura e confor-
mazione».
Con questo il promo-
tore di Giustizia ha inte-
so puntualizzare che no-
nostante l’adeguamento
alla normativa internazio-
nale sia stato fortemente
voluto, ciò «non significa
che il Vaticano si stia sta-
tualizzando o laicizzan-
dosi». Certamente «que-
sta normativa — ha spie-
gato all’Osservatore Ro-
mano — è recepita dal-
l’ordinamento internazio-
nale. Il Vaticano è uno
Stato; come tale svolge
delle attività statuali e ha
anche una sua economia
che risente di flussi mo-
netari evidentemente da
regolamentare. Ma non si
so all’estero e penalmente
rilevante per l’ordina-
mento straniero.
Qualunque sia la stra-
da che si seguirà, ciò che
sembra necessario oggi è
l’adeguamento delle pro-
fessionalità ai nuovi reati
configurati. «Ci troviamo
infatti a operare — ci ha
detto il promotore di
Giustizia — in un conte-
sto che, devo dire, ho
trovato di alta professio-
nalità in tutti i settori del
tribunale e negli organi
investigativi». Bisogna ri-
cordare che Gian Piero
Milano, preside della Fa-
coltà di Giurisprudenza
dell’università romana di
Tor Vergata, è stato no-
minato promotore di
Giustizia del Tribunale
vaticano lo scorso anno.
«Il lavoro del Corpo del-
la Gendarmeria — ha
proseguito — è stato ine-
sauribile e di inestimabile
preziosità, e sempre ade-
guato alle continue e
nuove richieste investiga-
tive. Credo però, e gli
stessi vertici ne avvertono
può dimenticare che sarebbe ridutti-
vo contenere e limitare queste attivi-
tà nei confini, seppure importanti,
delle politiche di stabilità economi-
ca e finanziaria, come tali recepite
all’interno dello Stato. Ci sono in-
fatti ragioni di ordine ecclesiale che
offrono ben più alte motivazioni per
un impegno con questi contenuti».
Ragioni, si legge infatti nella rela-
zione, «legate all’ineludibile esigen-
za che le strutture politiche, econo-
miche e giuridiche riscoprano, valo-
rizzino e testimonino la vocazione
alla fraternità e alla solidarietà come
dimensioni costitutive dell’uomo e
della sua dimensione interpersona-
le». Anzi, è proprio la centralità
dell’uomo il segno evidente della
continuità che caratterizza tutta la
serie delle disposizioni di leggi ema-
nate in questi ultimissimi tempi,
seppure a cavallo di due pontificati.
«Una centralità — ci ha detto an-
cora Milano — che si manifesta nella
valorizzazione dell’uomo, protagoni-
sta e non vittima del mercato. La
pace è frutto della giustizia, giusti-
zia anche di mercato. Ecco, è pro-
prio nella dimensione etica della
giustizia e della finanza ciò che gli
altri Stati possono apprendere dalla
nuova legislazione vaticana».
Il 2013 è dunque stato un anno di
forte impegno. Nei primi mesi di
pontificato di Papa Francesco sono
giunte a compimento importanti in-
novazioni già anticipate in alcune
disposizioni emanate da Benedetto
XVI, in particolare in materia di rici-
claggio e di finanziamento del terro-
rismo. Disposizioni di cui le crona-
che si sono ampiamente occupate
nei mesi scorsi. «Credo però — ci ha
detto ancora il promotore di Giusti-
zia — che a questo proposito ci sia
bisogno di alcune precisazioni. So-
prattutto per offrire ai media, e
dunque all’opinione pubblica, una
visione corretta circa gli accadimenti
che riguardano quella particolarissi-
ma entità giuridica che è il Vatica-
no, che rimane unica nonostante
l’apertura alla dimensione interna-
turazione gerarchica tra principi
fondanti l’ordinamento ecclesiale,
fonti suppletive emanate dallo Stato
italiano e come tali recepite dalle
autorità vaticane, e norme di diritto
internazionale generale e pattizio
cui si conforma l’ordinamento vati-
cano».
In questo modo «il sistema di
produzione normativa per un verso
— precisa la relazione — esprime le
due dimensioni costitutive dell’ordi-
namento, cioè quella di ascendenza
ecclesiale e quella di impronta sta-
tuale; per altro verso salvaguarda il
principio che l’ordinamento canoni-
co è la prima fonte normativa e il
primo criterio di riferimento inter-
pretativo dell’ordinamento giuridico
vaticano».
Messo questo punto fermo, la re-
lazione passa poi dettagliatamente
in rassegna le leggi più significative
dell’anno appena concluso, soffer-
mandosi naturalmente sulle princi-
pali novità apportate all’interno del-
lo Stato e nei suoi rapporti con
l’esterno, soprattutto per ciò che ri-
guarda la prevenzione e il contrasto
dei reati finanziari e la necessità di
un continuo adeguamento ai sempre
più elevati standard internazionali.
Particolare attenzione la relazione
dedica alla Legge n. VIII dell’11 lu-
glio 2013, contenente norme com-
plementari in materia penale, nella
quale si configurano soggetti penali
prima non considerati ma che oggi,
vista l’«evoluzione dei comporta-
menti maggiormente offensivi della
pacifica convivenza», finiscono nel
novero delle figure delinquenziali.
Gli ambiti di interesse riguardano la
persona, i minori, l’umanità, i crimi-
ni di guerra, i delitti in materia di
terrorismo o eversione, i delitti me-
diante ordigni esplosivi o concer-
nenti materiali nucleari, i delitti in
materia di sostanze stupefacenti o
psicotrope. Suscita particolare inte-
resse la normativa nella sfera dei de-
litti contro la persona, nella quale
sono ricomprese tra l’altro la discri-
minazione razziale in ogni sua
la necessità, che oggi ci sia bisogno
di una nuova figura investigativa
con particolari competenze sulla cri-
minalità economico-finanziaria. Si-
nora hanno sopperito egregiamente;
ma io credo che l’applicazione e il
relativo controllo dell’intera norma-
tiva richiederà qualche sforzo in
più». E «dobbiamo tener conto —
ha aggiunto — anche dell’estensione
di competenze del Tribunale vatica-
no verso tutti i dicasteri della Santa
Sede». Si tratta in sostanza di rece-
pire queste riforme e di pensare a
preparare figure professionali che
sappiano ottimizzarle.
Infine, numeri e curiosità rilevabi-
li dalla relazione. In materia civile il
Tribunale ha tenuto quattro udienze
riguardanti altrettante cause pen-
denti, ha pronunciato un decreto e
due sentenze. In sede penale il tri-
bunale in cinque procedimenti ha
tenuto sette udienze, pronunciato
quattro sentenze e tre ordinanze.
Ha ricevuto sette rogatorie da auto-
rità giudiziarie straniere, cinque
dall’Italia. E per la prima volta nella
storia dello Stato ha inoltrato una
rogatoria alla Procura della Repub-
blica di Roma in merito a una vi-
cenda di riciclaggio. Significativo il
dato relativo al giudice istruttore del
Tribunale: ha ricevuto 36 richieste e
pronunciato 36 decreti di archivia-
zione, cinque relativi però ad anni
precedenti. Il promotore di Giusti-
zia ha disposto 109 notifiche richie-
ste da procure italiane restituendone
tre per incompetenza. Attualmente
ci sono in corso una decina di
istruttorie sommarie e indagini per
due denunce-querela. In due proce-
dimenti, ultimata l’istruttoria, il pro-
motore di Giustizia ha chiesto il rin-
vio a giudizio. A seguito di una sen-
tenza a condanna a pena restrittiva
della libertà personale ha emesso un
ordine di cattura. Infine in seguito a
due provvedimenti di grazia del
Santo Padre ha curato gli adempi-
menti previsti dalla legge.
Iniziativa della parrocchia di Sant’Anna
Cento poveri a cena
Una cena per un centinaio di poveri che sono assistiti dalla Pontificia
parrocchia di Sant’Anna in Vaticano è stata organizzata per lunedì sera,
13 gennaio. L’iniziativa è nata per offrire un gesto di solidarietà e di vici-
nanza alle tante persone che la Caritas parrocchiale aiuta durante tutto
l’arco dell’anno. Molti di loro, racconta il parroco, padre Bruno Silvestri-
ni, bussano alla porta della comunità agostiniana e degli uffici parroc-
chiali per chiedere sostegno economico e morale. La cena, che si svolge-
rà al bar Moretto, a pochi passi dal Vaticano, vuole essere dunque un
momento di amicizia e di condivisione fraterna. Il parroco spiega che la
titolare dell’esercizio, Fausta Fedeli, ha messo a disposizione il locale co-
me gesto concreto per rispondere all’appello del vescovo di Roma all’ac-
coglienza e alla solidarietà. Alla cena parteciperà anche l’arcivescovo
Konrad Krajewski, elemosiniere di Papa Francesco.
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Due ospedali su cinque, ha dichiarato il segretario generale, sono stati di- strutti e lo stesso è accaduto per molte scuole e altre infrastrutture. «Le parti in guerra devono rendersi conto che hanno ormai perso decen- ni di sviluppo del loro Paese e che un’intera generazione è a rischio», ha detto Ban Ki-moon, dichia- randosi particolarmente allarmato per gli effetti regionali e globali del conflitto. Tra i pochi aspetti positivi, c’è il sostanziale rispetto dei programmi stabiliti dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) e dall’Onu sulla distruzione dell’arsenale siriano. «Anche se c’è stato un piccolo ritardo, tutto ora sta procedendo secondo i programmi e la missione Onu-Opac sta lavorando giorno e notte per rispettare l’ambi- ziosa tabella di marcia della distru- zione delle armi», ha sottolineato il segretario dell’Onu. Poco prima era stata la responsabile della missione, la diplomatica olandese Sigrid Kaag, a dichiarare in un’intervista all’emit- tente Al Arabiya che il Governo si- riano riuscirà a rispettare il termine del 31 marzo per la consegna di tutte le sue armi chimiche. La diplomazia internazionale, in- tanto, tenta di sciogliere i nodi legati alla conferenza di pace, la cosiddetta Ginevra 2, che proiettano ombre sul- le sue possibilità di successo. Sem- bra comunque essere stato raggiunto uno degli obiettivi, quello di avere al tavolo dei negoziati una delegazione sufficientemente rappresentativa dell’opposizione al presidente siriano Bashar Al Assad. Con questo esito, infatti, si sono conclusi due giorni di riunioni, ieri e l’altro ieri a Córdoba, in Spagna, tra diversi gruppi appun- to d’opposizione, compresa la Coali- zione nazionale siriana, protagonista dell’originaria insurrezione, quasi tre anni fa, contro Assad e considerata il principale interlocutore di tutti quei Paesi che chiedono l’uscita di scena del presidente siriano. Resta invece aperta la questione della partecipazione dell’Iran, princi- pale alleato regionale del Governo Messa del Papa a Santa Marta Come dev’essere il prete È «il rapporto con Gesù Cristo» che salva il prete dalla tentazione della mondanità, dal rischio di di- ventare «untuoso» anziché «unto», dalla leziosità e dall’idolatria «del dio Narciso». Il sacerdote, infatti, può anche «perdere tutto nella vi- ta», ma non il suo legame profon- do con il Signore, altrimenti non avrebbe più nulla da dare alla gen- te. È con parole forti, e proponen- do un vero e proprio esame di co- scienza, che Papa Francesco si è ri- volto direttamente ai preti rilan- ciando il valore autentico della loro unzione e della loro vocazione. Lo ha fatto durante l’omelia della mes- sa celebrata nella mattina di sabato 11 gennaio, nella cappella della Ca- sa Santa Marta. PAGINA 7 Le truppe governative riconquistano la città di Bentiu occupata dai ribelli Stallo nel negoziato per fermare la guerra in Sud Sudan Piegata la resistenza dei guerriglieri di Al Qaeda Ramadi di nuovo sotto il controllo delle forze di sicurezza irachene NOSTRE INFORMAZIONI di Damasco. A opporsi sono sia al- cuni Paesi dell’area, come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, sia soprat- tutto gli Stati Uniti, organizzatori della conferenza insieme con l’Onu e la Russia, che al contrario ritengo- no positiva, se non indispensabile, la presenza di Teheran. Una decisione in merito è attesa dall’incontro, que- sto lunedì a Parigi, tra l’inviato dell’Onu e della Lega araba, La- khdar Brahimi, il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov. Ad accrescere le inquietudini c’è l’intensificazione dei combattimenti sui fronti siriani, con impatti sempre più devastanti sulle popolazioni. Forte preoccupazione in merito ha ribadito il presidente del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr), Peter Maurer, da ieri in Siria per negoziare un maggiore accesso dell’organizzazione alle zone teatro dei combattimenti e ai luoghi di de- tenzione. Secondo quanto comunica- to dal Cicr, Maurer incontrerà a Da- masco alti funzionari del Governo siriano e responsabili e volontari del- la società della Mezzaluna rossa si- riana, principale partner del Cicr in Siria. «Le nostre attività si sono am- pliate notevolmente nel corso dell’ultimo anno, ma abbiamo biso- gno di poter fare molto di più. Sono determinato a fare pressione per ot- tenere un maggiore accesso per il Cicr e la Mezzaluna Rossa siriana, e in particolare, per migliorare la con- segna imparziale di assistenza medi- ca nelle zone assediate» ha dichiara- to Maurer al suo arrivo a Damasco. Quella in Siria è al momento la più vasta operazione umanitaria del Cicr in termini di risorse impegnate. Secondo le ultime stime dell’Onu, almeno 9,3 milioni di siriani, cioè il 40 per cento della popolazione, han- no bisogno di aiuti umanitari. TEL AVIV, 11. L’ex premier israe- liano, membro del Likud e fon- datore del Kadima, Ariel Sha- ron, è morto oggi in un ospeda- le di Tel Aviv. Era in coma dal 4 gennaio 2006, in seguito a una grave emorragia cerebrale. Ave- va 85 anni. Nato il 26 febbraio 1928 nella cooperativa di Kfar Malal, nel Mandato britannico della Palestina, Sharon è stato uno dei principali protagonisti della storia dello Stato di Israe- le. Figura controversa, è stato accusato per il massacro nel campo profughi palestinese di Sabra e Shatila, nel 1982 in Li- bano. E fu lui a decidere il ritiro unilaterale di Israele dalla Stri- scia di Gaza nel 2005. Un soldato iracheno di pattuglia vicino a Ramadi (Reuters) La rivalutazione del vangelo secondo Giovanni Teologico e dunque storico YVES SIMOENS A PAGINA 5 Morto l’ex premier israeliano Ariel Sharon JUBA, 11. Non ci sono ancora svolte nel negoziato ad Addis Abeba per mettere fine alla guerra civile divam- pata a metà dicembre in Sud Sudan, dove si fronteggiano le forze fedeli al Governo guidato dal presidente Salva Kiir Mayardit e i ribelli che fanno riferimento all’ex vicepresi- dente Rijek Machar, rimosso dall’in- carico lo scorso luglio. Mentre gli sforzi diplomatici non sembrano ancora in grado di sbloc- care lo stallo negoziale, le uniche notizie delle ultime ore riguardano sviluppi militari, in particolare la ri- conquista da parte delle forze gover- native di Bentiu, la capitale dello Stato di Unity, occupata la settima- na scorsa dai ribelli. Lo stesso Rijek Machar ha confermato la notizia, promettendo però di tornare all’of- fensiva. Nello stesso tempo, peral- tro, il leader dei ribelli ha conferma- to il proprio impegno nel negoziato. Scenari sempre più drammatici, intanto, vengono delineati dalle agenzie dell’Onu e da organizzazio- ni non governative internazionali. Secondo quanto prospettato ieri dall’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), il numero di sfollati in Sud Sudan potrebbe qua- si raddoppiare nei prossimi mesi, passando dai 232.000 attuali a oltre 400.000 entro aprile. L’Unhcr ag- giunge che anche il numero di rifu- giati nei Paesi vicini continua a cre- scere e potrebbe salire a 125.000 dai 43.000 che hanno finora varcato le frontiere, in particolare quella meri- dionale con l’Uganda, ma anche quelle con il Kenya, l’Etiopia e il Sudan. Sempre ieri, l’organizzazione International Crisis Group (Icg) ha sostenuto che in quasi un mese di combattimenti ci sono stati diecimi- la morti. Il Santo Padre ha ricevuto que- sta mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marc Ouel- let, Prefetto della Congregazio- ne per i Vescovi; Sua Eccellenza Reverendissi- ma Monsignor Beniamino Stel- la, Prefetto della Congregazione per il Clero. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Onorevole Signora Ileana Ar- gentin. Erezione di Eparchia e relativa Provvista In data 11 gennaio, il Santo Padre ha eretto l’Eparchia di St. Thomas the Apostle of Mel- bourne dei Siro-Malabaresi (Au- stralia) e ha nominato primo Ve- scovo Eparchiale l’Eccellentissi- mo Monsignore Bosco Puthur, trasferendolo dalla sede titolare di Foraziana e dall’incarico di Vescovo della Curia Arcivescovi- le Maggiore. Il Santo Padre, nel contempo, ha nominato Sua Eccellenza Re- verendissima Monsignor Bosco Puthur, Vescovo Eparchiale di St. Thomas the Apostle of Mel- bourne dei Siro-Malabaresi, all’ufficio di Visitatore Apostoli- co per i medesimi fedeli residen- ti in Nuova Zelanda. Nomina di Visitatore Apostolico In data 11 gennaio, il Santo Padre ha nominato all’ufficio di Visitatore Apostolico per i Siro- Malabaresi residenti in India fuori del territorio della Chiesa Arcivescovile Maggiore, Sua Ec- cellenza Reverendissima Monsi- gnor Raphael Thattil, Vescovo titolare di Buruni e Ausiliare di Trichur. In data 11 gennaio, il Santo Padre ha concesso il Suo Assen- so all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi del- la Chiesa Caldea del Reverendo Sacerdote Habib Al-Naufali alla sede Arcieparchiale di Bassorah dei Caldei (Iraq), del Reverendo Padre Yousif Thomas Mirkis, O.P, alla sede Arcieparchiale di Kerkūk dei Caldei (Iraq) e del Reverendo Sacerdote Saad Sirop all’ufficio di Vescovo Ausiliare della Metropolia Patriarcale di Babilonia dei Caldei (Iraq), al quale è stata assegnata la sede titolare vescovile di Hirta. Il Santo Padre ha assegnato la sede titolare vescovile di Fora- ziana a Sua Eccellenza Mar Ba- wai Soro, in servizio pastorale nell’Eparchia di Saint Peter the Apostle of San Diego dei Cal- dei, in California (Stati Uniti d’America). BAGHDAD, 11. Le forze di sicurezza irachene, con il sostegno delle mi- lizie tribali filogovernative, hanno ripreso ieri il controllo di Ramadi, capoluogo della provincia occiden- tale di Al Anbar: la città era stata conquistata, nei giorni scorsi, dai guerriglieri di Al Qaeda. Rafi Al Fahdawi, capo delle milizie tribali locali alleate del Governo, ha af- fermato che Ramadi è stata «ripu- lita» dai guerriglieri qaedisti, fatta eccezione per alcune piccole sac- che di resistenza e per cecchini an- cora appostati sui tetti. Intanto, fonti locali hanno riferito che l’esercito di Baghdad sta ora am- massando le sue truppe attorno al- la località di Khalidiya, a sud di Ramadi, in vista di un attacco con- tro le forze quaediste che si sono trincerate nel centro abitato. Riferiscono poi le agenzie di stampa internazionali che il Penta- gono starebbe valutando la possi- bilità di addestrare le forze irache- ne, riguardo a operazioni antiterro- rismo, in un Paese che non sia l’Iraq stesso: si accredita, in meri- to, l’ipotesi della Giordania.
  • 2. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 12 gennaio 2014 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano ornet@ossrom.va http://www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Carlo Di Cicco vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione TIPOGRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 segreteria@ossrom.va Servizio vaticano: vaticano@ossrom.va Servizio internazionale: internazionale@ossrom.va Servizio culturale: cultura@ossrom.va Servizio religioso: religione@ossrom.va Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 photo@ossrom.va www.photo.va Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, info@ossrom.va diffusione@ossrom.va Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 segreteriadirezionesystem@ilsole24ore.com Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese Oltre vent’anni dopo il fallimento della Restore Hope Soldati statunitensi a Mogadiscio MOGADISCIO, 11. Un piccolo nume- ro di soldati statunitensi, non più di una ventina, sono dislocati dallo scorso autunno a Mogadiscio con il ruolo di consiglieri militari del Go- verno locale e dell’Amisom, la mis- sione dell’Unione africana in Soma- lia. La notizia, diffusa ieri dal quo- tidiano «The Washington Post», che cita come fonti tre ufficiali co- perti da anonimato, non è stata smentita dal Pentagono né dalla Casa Bianca, che peraltro non han- no rilasciato commenti. I militari statunitensi, che avreb- bero incominciato concretamente il loro lavoro all’inizio di quest’anno, tornano dunque in Somalia a oltre vent’anni dall’operazione Restore Hope, a guida appunto di Washington, che si svolse fra il 3 dicembre 1992 e il 4 maggio 1993, nell’ambito della missione Unified Task Force (Unitaf) dislocata per mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’operazione statunitense e la stessa missione Unitaf si con- clusero, dopo l’abbattimento di due elicotteri e l’uccisione di 18 soldati di Washington, con il ritiro dalla Somalia delle truppe degli Stati Uniti e degli altri Paesi che vi par- tecipavano, in particolare Italia, Belgio e Nigeria. Secondo «The Washington Post», i consiglieri militari statuni- tensi sono incaricati di contribuire alla lotta contro le milizie radicali islamiche somale di al Shabaab, che il Governo di Washington conside- ra nel novero delle organizzazioni terroristiche. Finora non si era avu- ta notizia di un ritorno di soldati americani in Somalia, ma più volte, negli ultimi anni e ancora di recen- te, aerei statunitensi dislocati in ba- si del Corno d’Africa, in particolare a Gibuti, avevano effettuato raid contro al Shabaab. Pur in assenza di ammissioni uf- ficiali, inoltre, è dato per certo da- gli osservatori che militari delle for- ze speciali statunitensi abbiano con- dotto diverse volte in territorio so- malo, in segreto e con una perma- nenza di poche ore, operazioni con- siderate di antiterrorismo, ma anche volte alla liberazione di ostaggi. In ogni caso, nella notizia data dal quotidiano statunitense c’è un’implicita conferma di un rinno- vato coinvolgimento dell’Ammini- strazione di Washington nella vi- cenda somala, dopo che per molti anni, gli Stati Uniti si erano esclusi dal novero dei protagonisti interna- zionali in quello scenario. Un’esclu- sione dovuta, appunto, al fallimen- to dell’operazione Restore Hope, che fu largamente osteggiata dalle varie fazioni somale. Per tutta la durata dell’operazione, agli attacchi diretti si sommarono diffuse prote- ste delle masse popolari contro mi- litari di Paesi considerati, a torto o a ragione, sostenitori dell’ex dittato- re Mohammed Siad Barre, destitui- to nel 1991, esiliato l’anno successi- vo, dopo un tentativo di riprendere il potere, e riparato in Nigeria, do- ve sarebbe morto nel 1995. A questo si aggiunse, purtroppo, che soldati dislocati in Somalia sot- to la bandiera dell’Onu si resero protagonisti di gravi violenze con- tro i civili. Avviato lo sgombero dei cittadini ciadiani dalla Repubblica Centroafricana La svolta politica non ferma le armi a Bangui BANGUI, 11. Non ha fermato le vio- lenze nella Repubblica Centroafrica- na la svolta politica registrata ieri con l’abbandono del potere da parte dei leader della coalizione Seleka, responsabile del colpo di Stato che a marzo scorso aveva rovesciato il presidente François Bozizé. Il leader della Seleka, Michel Djotodia, che si era autoproclamato presidente di transizione, e il primo ministro, Ni- colas Tiangaye, avevano rassegnato le dimissioni durante il vertice della Comunità economica dell’Africa centrale (Ceeac), concluso ieri a N’Djamena, in Ciad. La notizia era stata accolta nella capitale centro- africana Bangui dai festeggiamenti di migliaia di manifestanti. Nella notte, però, sono di nuovo dilagati gli scontri tra le milizie della Seleka e quelle loro contrapposte. La Croce rossa locale riferisce di almeno tre morti e di saccheggi e incendi, a conferma di come sia sostanzialmen- te fallito finora il disarmo delle mili- zie per il quale sono stati dislocati sia i soldati del contingente francese, sia quelli della Misca, la missione originariamente inviata dalla Ceeac e passata lo scorso 19 dicembre, per mandato dell’Onu, sotto la respon- sabilità dell’Unione africana. Oggi è previsto l’avvio delle ope- razioni di sgombero delle migliaia di stranieri africani bloccati nel Paese. In particolare, l’Organizzazione in- ternazionale delle migrazioni (Oim) prevede di rimpatriare oggi con un ponte aereo ottocento dei circa 2.500 cittadini del Ciad, molti dei quali donne e bambini, che si trova- no in un campo improvvisato nei pressi dell’aeroporto di Bangui. Sempre secondo l’Oim, sessantamila africani dei Paesi vicini hanno chie- sto di essere rimpatriati e oltre la metà — bloccati in zone di confine ad alto rischio — hanno necessità di aiuti urgenti. Civili camminano accanto a mezzi militari francesi nel centro di Bangui (Afp) Scontri in Ucraina tra polizia e manifestanti KIEV, 11. Uno dei leader dell’op- posizione ucraina, Yuri Lutsenko, è ricoverato in ospedale dopo es- sere rimasto coinvolto negli scon- tri a Kiev tra polizia e manife- stanti filo europei. Le violenze sono avvenute ieri sera davanti a un tribunale dove erano stati ap- pena condannati a sei anni di carcere tre uomini accusati di aver ordito nel 2011 un piano per far esplodere la statua di Lenin vicino all’aeroporto internaziona- le. La moglie di Lutsenko, Irina, ha raccontato che il marito è rico- verato in terapia intensiva e i me- dici gli hanno diagnosticato una commozione cerebrale. Il leader dell’opposizione ed ex ministro dell’Interno nel Governo di Yulia Tymoshenko è arrivato in ospeda- le con diverse ferite alla testa. Negli scontri sono rimaste ferite almeno altre dieci persone. L’opposizione ucraina da di- verse settimane contesta in piazza la decisione del presidente Viktor Ianukovich di non firmare l’ac- cordo di associazione e libero scambio proposto dall’Unione europea. L’obiettivo del Governo filorusso di Kiev è stato infatti quello di rilanciare la cooperazio- ne economica con Mosca. E proprio ieri Ucraina e Russia hanno firmato la nuova versione dell’accordo sulle forniture di gas che consentirà la riduzione delle tariffe di un terzo nel primo tri- mestre dell’anno. Il ministro dell’Energia ucraino, Eduard Stravitski, ha precisato che l’inte- sa, raggiunta lo scorso mese dai presidenti dei due Paesi, fissa ini- zialmente il prezzo del gas russo venduto all’Ucraina a 268,50 dol- lari per mille metri cubo. Ogni trimestre tuttavia il prezzo potrà essere rivisto. Stravitski ha inoltre affermato che Kiev comprerà gas solo da Mosca perché «al mo- mento è il più conveniente», in- terrompendo le importazioni da Polonia e Ungheria. Nel 2013, l’Ucraina aveva pagato il gas rus- so 400 dollari per mille metri cu- bi (erano stati importati 26-27 mi- liardi di mille metri cubi). Haiti a quattro anni dal devastante terremoto PORT-AU-PRINCE, 11. Ancora oggi, dopo quattro anni dal catastrofico terremoto che il 12 gennaio del 2010 sconvolse Haiti, oltre 60.000 bam- bini vivono nei campi per sfollati e 100.000 soffrono di malnutrizione. L’allarme arriva dall’organizza- zione umanitaria Save the Children, che sottolinea come i bambini hai- tiani stiano crescendo giorno dopo giorno con grande difficoltà, talvol- ta impossibilità, ad accedere a beni e servizi di base come acqua, igie- ne, cure mediche o la possibilità di andare a scuola. In generale, il forte terremoto — di magnitudo sette sulla scala Richter, con epicentro localizzato a circa venticinque chilometri in dire- zione ovest-sud-ovest della capitale — ha provocato circa 222.000 vitti- me, anche se a causa della povertà e dell'isolamento del Paese, e in se- guito a gravi danni subiti dalle in- frastrutture di comunicazione, non è ancora possibile definire con cer- tezza il numero esatto di vittime. Le Nazioni Unite hanno dichia- rato che il movimento tellurico ha colpito, direttamente o indiretta- mente, un terzo della popolazione nazionale, che a diversi livelli anco- ra soffre l’impatto e le conseguenze del devastante sisma. E mentre l’entità dei danni è an- cora sconosciuta, fonti dell’Onu sti- mano che oltre 145.000 persone vi- vano ancora nei campi sfollati, tra enormi disagi. Si segnala anche qualche pro- gresso. L’incidenza del colera è sta- ta infatti dimezzata e la grave insi- curezza alimentare è stata drastica- mente ridotta. Annunciati aiuti alle finanze greche Berlino va in soccorso di Atene ATENE, 11. La Grecia potrebbe rice- vere altri aiuti, se entro il 2015 avrà mantenuto gli impegni di risana- mento. Ad annunciarlo, ieri, è stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, secondo il qua- le «se la Grecia entro la fine del 2015 avrà mantenuto tutti i suoi im- pegni e realizzerà un attivo di bilan- cio, siamo pronti a fare ancora qual- cosa, se servisse una ulteriore neces- sità di finanziamento». Schäuble ha comunque sottolineato che «ciò co- stituirebbe un aiuto molto più pic- colo di quello erogato finora». L’annuncio rappresenta una svolta nei recenti rapporti tra i due Paesi. In effetti, solo pochi giorni fa il mi- nistro degli Esteri tedesco, Frank- Walter Steinmeier, aveva escluso nel corso della sua visita ad Atene ogni ulteriore aiuto alla Grecia, deluden- do chi sperava che l’arrivo dei so- cialdemocratici nel Governo di Ber- lino potesse cambiare l’atteggiamen- to della Germania sulla crisi greca. Una certa stampa ha esaltato l’atteg- giamento rigido di Steinmeier. «Pos- so solo mettere in guardia dal conti- nuare a parlare senza sosta di nuovi aiuti, che all’estero fanno solo solle- vare dubbi sulla capacità di riforme del Paese» aveva ammonito il mini- stro, aggiungendo che «la via più semplice è spesso quella sbagliata; adesso non si possono più fare nuo- vi debiti». A sottolineare invece la stabilità dell’Esecutivo greco ci ha pensato di recente il premier ellenico, Antonis Samaras, secondo il quale non ci sa- ranno elezioni prima delle presiden- ziali del 2015. «Ci aspettiamo che al- le elezioni europee le forze proeuro- pee vadano bene — ha detto Sama- ras — siamo sicuri che la gente capi- rà che dobbiamo finire il program- ma e tornare alla normalità, anche se capiamo le reazioni ai sacrifici fatti». Quanto alle forze estremiste, Samaras è scettico sulla possibilità del formarsi di una coalizione che comprenda anche il partito della si- nistra radicale Syriza. Samaras ha inoltre sottolineato i notevoli pro- gressi compiuti dal Paese. Riga nell’euro è un segnale di fiducia RIGA, 11. «L’ingresso della Letto- nia nell’euro è una forte dichiara- zione di fiducia e uno dei sempre più numerosi e solidi segnali che l’Europa sta finalmente uscendo dalla crisi economica». Lo ha detto ieri il presidente del Consiglio Ue, Herman van Rompuy, a Riga con il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso, e il commissario agli Affa- ri economici, Olli Rehn, per parte- cipare alla cerimonia di ingresso della Lettonia nell’euro. L’adozione della moneta unica europea da parte della Lettonia, ha continuato Van Rompuy, «mostra al mondo la vitalità dell’euro; solo dodici anni dopo l’introduzione delle banconote e delle monete uniche — ha aggiunto — la zona euro ha ora diciotto membri e 333 milioni di cittadini europei. E mi aspetto che il prossimo anno anche la Lituania si aggiunga, diventan- do il diciannovesimo Paese mem- bro». Per potere entrare in euro- landia, la Lettonia ha dovuto af- frontare un programma di risana- mento molto duro — simile a quello che ancora oggi cercano di applicare Grecia, Portogallo e Cipro — che ha però dato i suoi frutti. Piano di emergenza in Brasile contro le violenze nelle carceri BRASILIA, 11. Il ministro della Giustizia brasi- liano, José Eduardo Cardozo, ha annunciato ieri un vasto piano di emergenza per cercare di contenere l’ondata di violenza scatenatasi nelle ultime settimane fuori e dentro le carceri di São Luís, capitale dello Stato nord-orientale di Maranhão. Le misure prevedono undici inter- venti congiunti dei Governi federale e statale. Si va dal rafforzamento della sicurezza nella regione, con più uomini della forza nazionale, al trasferimento in altri penitenziari dei reclusi ritenuti più pericolosi. I provvedimenti sono stati decisi al termine di una riunione tra il ministro della Giustizia e la governatrice dello Stato del Maranhão, Roseana Sarney, del Pmdb, partito alleato del Governo di Brasilia. Per migliorare il sistema penitenziario nella regione sono stati stanziati circa 54 milioni di dollari. Le scene di orrore documentate nei giorni scorsi soprattutto nel carcere di Pedrinhas — considerato il più pericoloso del Brasile, con almeno sessanta omicidi commessi al suo interno solo nel 2013 — ha provocato l’inter- vento anche dell’Onu. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha in- fatti chiesto l’avvio di indagini immediate, im- parziali ed effettive sugli ultimi, efferati episo- di di violenza, sollecitando l’Esecutivo di Dil- ma Rousseff a trovare soluzioni rapide per il cronico problema del sovraffollamento car- cerario.Poliziotti all’ingresso del carcere Pedrinhas nello Stato brasiliano di Maranhão (Reuters) Missione in Mauritania del presidente maliano NOUAKCHOTT, 11. Il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keï- ta, è arrivato ieri a Nouakchott, la capitale della Mauritania, per una visita di Stato di tre giorni. Keïta avrà per la prima volta un incontro ufficiale col suo omolo- go mauritano Mohamed Ould Abel Aziz. Argomento centrale dei colloqui saranno le questioni di sicurezza sulle quali i Governi dei due Paesi appaiono da anni divisi, soprattutto riguardo alla lotta ai gruppi armati di matrice fondamentalista islamica. Le au- torità mauritane, infatti, negli anni scorsi accusarono più volte di lassismo sotto questo aspetto quelle maliane, all’epoca guidate dal presidente Amadou Toumani Touré, deposto con un colpo di Stato militare nel marzo 2012. A mutare sostanzialmente la situazione sono stati gli sviluppi della situazione in Mali, con l’in- tervento armato francese, tuttora in corso, proprio contro i gruppi islamisti che avevano assunto il controllo del nord del Paese, e con la transizione conclusa lo scorso agosto appunto con l’ele- zione di Keïta. Nei colloqui, tra l’altro, si discuterà un possibile contributo di truppe mauritane alla Minusma, la missione inter- nazionale in Mali.
  • 3. L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 gennaio 2014 pagina 3 Dopo i colloqui a Ginevra Progressi nei negoziati sul nucleare iraniano GINEVRA, 11. Anche se non è stata annunciata una data di avvio dell’attuazione dell’intesa raggiun- ta a novembre sul programma nu- cleare iraniano, Teheran e il grup- po cinque più uno (i Paesi mem- bri permanenti del Consiglio di si- curezza: Stati Uniti, Gran Breta- gna, Francia, Russia e Cina; più la Germania) si sono accordate a li- vello tecnico sulle modalità. Al termine di due giorni di col- loqui con il vicesegretario generale per le Relazioni esterne dell’Ue, Helga Schmid, il viceministro de- gli Esteri iraniano, Abbas Araghcì, ha annunciato che «il risultato delle discussioni» su «come attua- re l’accordo di Ginevra è stato tra- smesso alle capitali». Saranno lo- ro, ha precisato Araghcì, a prende- re la «decisione finale» che sarà annunciata in una dichiarazione dei ministri degli Esteri dei sette Paesi. Il portavoce di Catherine Ashton, l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza co- mune dell’Ue e coordinatrice del gruppo cinque più uno, ha con- fermato che vi sono stati «pro- gressi significativi su tutte le que- stioni» e che la circostanza è ora al vaglio delle «capitali a livello politico». Il viceministro e nego- ziatore iraniano ha previsto che l’annuncio della data di inizio dell’attuazione dell’accordo seme- strale avverrà nei prossimi due giorni. Dopo gli annunci di ieri si de- sume che siano stati superati i dis- sensi sui dettagli di attuazione sull’accordo semestrale raggiunto il 24 novembre a Ginevra sui limi- ti da porre al programma nucleare iraniano in cambio dell’allenta- mento di alcune sanzioni imposte a Teheran. In particolare, secondo fonti ci- tate da media occidentali, i punti rimasti insoluti fino a ieri riguar- davano esenzioni chieste dall’Iran per le attività di arricchimento dell’uranio nell’impianto di ricerca e sviluppo di Natanz: Teheran so- steneva che l’intesa di Ginevra gli consente di continuare la ricerca e sviluppo dell’arricchimento al ven- ti per cento perché il combustibile viene in seguito “neutralizzato”, una pretesa che il gruppo cinque più uno rifiutava. Pur con difficoltà il progresso negoziale va dunque avanti e nei prossimi giorni si dovrebbe sapere da quale data scatteranno i sei mesi di durata dell’intesa. Durante questo tempo è già previsto che vengano avviati negoziati per rag- giungere «una soluzione completa di lungo periodo che assicuri che il programma nucleare dell’Iran sarà esclusivamente pacifico», co- me recita l’accordo. L’Amministrazione del presi- dente Obama ha confermato i progressi, ma ha negato che sia stato definito un accordo. «Si sta lavorando», ha affermato la porta- voce del dipartimento di Stato americano Jen Psaki, precisando che «vi sono dettagliate discussio- ni di natura tecnica e vi sono an- cora pochi punti da definire, ma in questa fase non è corretto affer- mare che tutto è stato risolto». Un insediamento israeliano in Cisgiordania L’annuncio di appalti in Cisgiordania e a Gerusalemme est scatena le ire dei palestinesi Israele va avanti con gli insediamenti TEL AVIV, 11. Il Governo israeliano ha pubblicato bandi di appalto per 1.400 nuove case in Cisgior- dania e a Gerusalemme est. La decisione, che fa seguito ad altri analoghi annunci avutisi negli ul- timi giorni, è stata duramente contestata dai pale- stinesi. Saeb Erekat, capo negoziatore dell’Olp (l’Organizzazione per la liberazione della Palesti- na), l’ha definita «un messaggio» diretto a Wa- shington e al suo segretario di Stato, John Kerry, «una forma di sabotaggio contro i suoi sforzi per la pace». È un invito — ha aggiunto Erekat — «a non tornare nella regione per proseguire gli sforzi nei negoziati tra Israele e palestinesi». Ma non sono solo i palestinesi a protestare. Anche Yar Lapid, il leader del partito centrista Yesh Atid e attuale ministro delle Finanze israe- liano, ha criticato la mossa dell’Esecutivo. «Gli appalti — ha dichiarato Lapid — sono solo dichia- razioni di intenti, prive di contenuto: una cattiva idea». Poi ha annunciato che il suo partito farà «il possibile» affinché questo progetto «non ven- ga realizzato». Dichiarazioni significative, queste, tenuto conto del fatto che il partito di Lapid ha un ruolo chiave nella maggioranza che sostiene il Governo Netanyahu. Presentatosi per la prima volta alle elezioni legislative israeliane nel 2013, Yesh Atid ha ottenuto a sorpresa il secondo posto dietro il Likud. Dunque — sottolineano i commentatori — il no- do degli insediamenti continua a essere uno dei principali ostacoli sulla strada di una ripresa di- retta dei negoziati, come invece auspicato da Wa- shington. Il progetto di Kerry è infatti quello di presentare entro la metà del 2014 una bozza di accordo generale per poi raggiungere un’intesa globale, concernente tutti i punti dello storico contenzioso, entro la fine dell’anno. Quella delle nuove case non sembra però l’uni- co ostacolo in campo: c'è anche lo status di Geru- salemme. Secondo alte fonti israeliane citate dal quotidiano «Haaretz», Netanyahu avrebbe detto ai ministri del Likud (il suo partito, cardine della destra tradizionale nel Paese) che non accetterà alcun compromesso su Gerusalemme: il Governo israeliano la considera «capitale eterna, unica e indivisibile» dello Stato. Il premier avrebbe inol- tre ribadito — secondo le stesse fonti — di non es- sere disposto a un’intesa che menzioni, anche in modo generale, la creazione di una capitale pale- stinese in qualsiasi area di Gerusalemme. Anche a costo — avrebbe aggiunto — di vanificare i collo- qui stessi. Da New York, intanto, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, non ha nascosto l’allar- me per questi sviluppi della situazione: la politica di Netanyahu sugli insediamenti in Cisgiordania e su Gerusalemme est — ha ammonito — «non è solo illegale, ma rappresenta anche un ostacolo alla pace». I segnali negativi che trapelano dalle trattative — sulle quali Kerry ha imposto alle due parti in causa uno stretto riserbo — sembrano intanto ri- flettersi sulle aspettative degli stessi israeliani: scettici su un eventuale esito positivo. Sondaggi condotti dai quotidiani «Maariv» e «Israel ha- Yom» indicano che otto israeliani su dieci sono persuasi che Kerry non riuscirà a definire un ac- cordo. Sette su dieci, inoltre, si oppongono a un ritiro di Israele dalla valle del Giordano, altro no- do dei colloqui e condizione irrinunciabile per i palestinesi. In molti, poi, contestano apertamente la politica degli Stati Uniti nell’area. In Egitto un’altra giornata di sanguinosi disordini IL CAIRO, 11. Non si ferma la vio- lenza in Egitto. È di almeno tre morti e otto feriti il bilancio degli scontri di ieri, quando i sostenitori del presidente deposto il 3 luglio scorso, Mohammed Mursi, sono scesi in piazza per chiedere il boi- cottaggio del referendum del 14 e 15 gennaio sulla nuova Costituzio- ne. Il movimento dei Fratelli mu- sulmani — che guida le proteste di piazza — lo scorso dicembre è sta- to dichiarato fuorilegge dalle au- torità del Cairo in quanto «orga- nizzazione terroristica». A riferire l’ultimo bilancio dei violenti scontri è il sito web del giornale «Al Ahram». A Suez due persone sono rimaste uccise e altre sette ferite in scontri tra sostenito- ri di Mursi e forze di sicurezza. Ad Alessandria una persona è morta dopo essere stata colpita da un proiettile esploso durante i di- sordini e un’altra è rimasta ferita. Secondo la ricostruzione del ge- nerale Nasser Al Abd, citato da «Al Ahram», «membri del movi- mento dei Fratelli musulmani hanno sparato contro abitanti di Alessandria che tentavano di bloc- care un corteo». La polizia, stan- do al generale, è intervenuta per disperdere la manifestazione e so- no state arrestate trenta persone. La vittima sarebbe un venditore ambulante. Arresti sono stati effet- tuati anche in altre città del Paese. Mehdi Jomaa incaricato di formare il Governo tunisino TUNISI, 11. Il presidente della Re- pubblica tunisino, Moncef Marzouki, ha incaricato ieri Mehdi Jomaa — ministro uscente dell’Industria del precedente Ese- cutivo — di formare il prossimo Governo, il cui compito sarà quel- lo di fare uscire il Paese dalla pro- fonda crisi politica e di organizza- re le elezioni. Lo ha annunciato lo stesso Jomaa. «Ho incontrato il presidente Moncef Marzouki che mi ha dato l’incarico di formare il Governo» ha dichiarato Jomaa al- la televisione nazionale. «Farò del mio meglio — ha ag- giunto Jomaa — anche se la situa- zione è difficile, mi sforzerò e lo stesso farà tutta la mia équipe». Nel suo breve discorso di cinque minuti Jomaa ha promesso di for- mare un Governo «indipendente e neutro, per nulla astioso nei con- fronti di movimenti o partiti». Designato a metà dicembre in base a un accordo fra maggioran- za e opposizione, Jomaa dovrà formare un Esecutivo in un clima di profonda sfiducia sia tra gli islamici di Ennahdha (maggioran- za all’Assemblea nazionale) sia nell’opposizione laica. A tre anni dalla rivoluzione dei gelsomini, la transizione democratica in Tunisia è ancora tutta in salita. Spari sui manifestanti nel centro di Bangkok Un uomo indica il foro di un proiettile nella vetrina di un caffè a Bangkok (Reuters) L’opposizione cambogiana sfida l’Esecutivo PHNOM PENH, 11. L’opposizione cambogiana lancia la sfida al Go- verno. Nonostante lo smantella- mento da parte della polizia dell’area dove abitualmente si mo- bilitavano gli anti governativi, en- tra nel vivo la lotta contro il pre- mier Hun Sen. In un comizio nel- la provincia di Siem Rap, il leader del Partito nazionale per la salvez- za della Cambogia, Sam Rainsy, ha infatti annunciato davanti a centinaia di sostenitori che se non si terranno in tempi brevi nuove elezioni, verrà lanciata la «campa- gna finale» contro il premier. Da ventotto anni al potere, Hun Sen ha vinto le contestate elezioni le- gislative dello scorso luglio. Una vittoria che per l’opposizione sa- rebbe stata però ottenuta attraver- so frodi e intimidazioni. Potrebbe slittare la firma dell’accordo sulla sicurezza Kabul e Washington ai ferri corti KABUL, 11. Si sta acuendo in queste ore la tensione tra Afghanistan e Stati Uniti. L’accordo sulla sicurez- za, che ha già conosciuto in passato fasi travagliate, rischia adesso di slit- tare ulteriormente. A dare una nuo- va scossa ai già precari rapporti fra Kabul e Washington è stata la deci- sione del presidente afghano, Ha- mid Karzai, di rilasciare settantadue talebani che il Pentagono ritiene «molto pericolosi». Subito dopo questa decisione è intervenuto l’am- basciatore statunitense in Afghani- stan, James Cunningham, il quale — ha riferito «The Washington Post» — ha dichiarato che l’accordo sulla sicurezza non sarà firmato a breve, come invece vogliono gli Stati Uni- ti. Cunningham, che guida la dele- gazione statunitense al tavolo dei negoziati, si è detto convinto che Karzai è irremovibile riguardo all’in- tenzione di siglare l’intesa non pri- ma di aprile, quando sono fissate le presidenziali afghane. Una posizio- ne, quella del capo di Stato afgha- no, che rischia di scavare un solco assai ampio tra Kabul e Washin- gton. L’accordo sulla sicurezza acquista particolare rilevanza in funzione del completo ritiro delle truppe statuni- tensi dall’Afghanistan, entro la fine del 2014. Si fanno sempre più insi- stenti le voci secondo cui se Kabul continua a voltare le spalle a Wa- shington, l’Amministrazione Obama potrebbe anche optare per la cosid- detta «opzione zero», vale a dire che nessun soldato rimarrebbe sul suolo afghano dopo il 2014, nemme- no con compiti logistici. Infatti quando erano state avviate le tratta- tive per la firma dell’accordo, si era subito pensato di lasciare un nucleo di soldati statunitensi dopo il 2014, così da rendere meno traumatico il passaggio delle consegne della sicu- rezza alle forze locali. Ecco allora imporsi con rinnovata forza l’inter- rogativo su quale futuro attende l’Afghanistan, qualora, dopo il ritiro del contingente internazionale, le unità locali si trovassero completa- mente sole a fronteggiare l’azione destabilizzante dei talebani. Il timo- re, infatti, è che i miliziani possano innescare una recrudescenza delle violenze approfittando proprio del vuoto che verrebbe lasciato dal con- tingente internazionale una volta rimpatriato. Nel frattempo si fa stra- da anche l’ipotesi secondo cui se l’accordo non verrà firmato in tempi brevi, gli Stati Uniti potrebbero riti- rare il sostegno finanziario a Kabul, stimato intorno agli otto miliardi di dollari. Nuovo Parlamento per il Bangladesh DACCA, 11. In Bangladesh, si è inse- diato il nuovo Parlamento scaturito dalle legislative di domenica scorsa, boicottate dall’opposizione. Il voto, vinto dalla Lega Awami della premier, Sheikh Hasina, che ha ottenuto 232 dei 300 seggi in pa- lio, apre un nuovo capitolo istitu- zionale, ma non chiude il duro con- fronto nelle piazze, con decine di morti e gravi danni per il Paese, che resta fortemente diviso. Il contrasto, tra la premier e Khaleda Zia, ex capo del Governo, ora alla guida dell’opposizione di diciotto partiti (coalizzata attorno al Partito nazionalista), è stato acui- to negli ultimi mesi dall’organizza- zione del voto anticipato, dall’ac- cresciuta protesta dei lavoratori del tessile e dall’ondata di condanne verso esponenti politici esterni alla maggioranza per la loro presunta partecipazione alle violenze che ac- compagnarono la guerra d’indipen- denza dal Pakistan, nel 1971. In questo contesto si inseriscono anche gli attacchi contro i cristiani. Come riferisce AsiaNews, nei giorni scorsi un centinaio di islamisti radi- cali ha attaccato la comunità catto- lica del distretto di Jamalpur, «col- pevole» di aver votato. L'assalto ha provocato otto feriti. BANGKOK, 11. Diverse persone sono rimaste ferite, una gravemente, da colpi sparati oggi contro un accam- pamento di oppositori del Governo thailandese. Lo ha reso noto la po- lizia, a due giorni dalle grandi ma- nifestazioni di protesta organizzate dall’opposizione, che chiede le di- missioni della premier, Yingluck Shinawatra, e nuove elezioni. Due diversi attacchi sono avve- nuti contro il principale sito dove i manifestanti sono accampati da più di due mesi, nel centro storico di Bangkok. E quasi 15.000 uomini, tra poliziotti e soldati, saranno mo- bilitati lunedì prossimo per fronteg- giare la minaccia di «chiudere Bangkok» da parte della protesta anti-governativa, che intende para- lizzare la capitale con manifestazio- ni a macchia di leopardo. Dall’inizio di dicembre — mentre il Paese asiatico si prepara tra mille difficoltà alle elezioni legislative del 2 febbraio prossimo, boicottate dall’opposizione — le proteste han- no provocato otto morti e oltre 400 feriti, in scontri tra diverse fazioni o in tafferugli tra manifestanti e agen- ti in assetto anti sommossa.
  • 4. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 12 gennaio 2014 La lezione di Robert Schuman all’Unione Europea nella crisi di oggi Pensava al futuro più che ai voti di HERMAN VAN ROMPUY C on questo articolo voglio rendere omaggio al padre dell’Europa moder- na, che si è chiama- ta Comunità e che porta oggi il nome di Unione. Robert Schu- man ci ha lasciati cinquant’anni fa (il 4 settembre 1963) e il suo esempio, il suo pensiero e la sua azione sono per me fonte di ispirazione costante. L’uomo che, il 9 maggio 1950, ha fatto entrare l’Europa con- temporanea nella storia non era né solo né il solo. Altri grandi d’Europa hanno segnato il cam- mino o l’hanno portato avanti: potuto dire Je suis ma conscience, seguo e “sono” la mia coscienza. Era al servizio del bene comune e non esercitava il potere a fini personali. Uomo di Stato, pen- sava, come Churchill, alle gene- razioni successive più che alle successive elezioni. Cristiano, spiritualmente e socialmente cat- tolico, anche lui amava ricaricar- si con frequenti ritiri in mona- stero. Insomma Robert Schuman esercitava, cosa più rara di quanto generalmente si pensi, un potere autentico. Perché, co- me scriveva Hannah Arendt, «il potere è esercitato solo là dove l’atto e la parola non prendono strade separate, dove i termini si perde un’identità acquisendo- ne un’altra. Identità europea, perché Robert Schuman ha fat- to dell’Europa l’opera della sua vita. Il suo progetto, il suo desi- derio, era l’Europa. Nella dichiarazione che prece- de di qualche mese la dichiara- zione del 9 maggio 1950, diceva già chiaramente che «la fiducia tra popoli non si improvvisa né si impone. Vi potremo arrivare solo attraverso una cooperazione in un quadro più ampio in cui saremo parecchi a dare prova di buona volontà. Quel quadro è l’Europa». Dichiarazione che non ha una ruga. Perché l’Euro- pa è un’idea generosa. È la mes- sa in atto del perdono, della ri- conciliazione. «L’Europa nasce- rà dalle realtà concrete che cree- ranno anzitutto una solidarietà di fatto», scriverà ad Adenauer. E nel suo libro Per l’Europa, uscito nel 1963, farà quest’anali- si: «Tutti i grandi problemi che affliggono i Paesi usciti dalla guerra hanno assunto un carat- tere mondiale e si sottraggono all’autonomia politica ed econo- mica dei Paesi, anche i più po- tenti». Se tralascio le parole «usciti dalla guerra», che oggi risultano datate, potrei descrive- re negli stessi termini la crisi economica e finanziaria che ci ha colpiti negli ultimi anni. Sì, l’Europa era la sua que- stione primaria, la sua grande causa. Un’Europa basata sulla di EMILIO RANZATO Pierfrancesco Diliberto, noto al pub- blico televisivo semplicemente come Pif per i suoi trascorsi nel programma «Le iene» e in altre trasmissioni che conciliano il giornalismo con l’intrat- tenimento, esordisce dietro la macchi- na da presa con un film che sorpren- de per molti motivi, malgrado il suo curriculum parli anche di inaspettate frequentazioni dei set di Zeffirelli e Giordana nelle vesti di collaboratore. La vita di Arturo (Alex Bisconti da piccolo, Diliberto da grande), nato e cresciuto a Palermo, sin dal concepi- mento si intreccia continuamente con quella di Cosa Nostra. Una realtà, quella mafiosa, che chi gli sta attorno sembra però rimuovere o al massimo accettare con rassegnato disincanto. Anche di fronte a eventi spaventosi che ancora non riesce a spiegarsi, il piccolo si sente rassicurare dai genito- ri con frasi come quella che dà il tito- lo al film: «Stai tranquillo, la mafia uccide solo d’estate». Nel frattempo, nasce in lui una vera e propria passio- ne per la figura di Giulio Andreotti, coscienza civile e di voler denunciare i rapporti fra malavita e potere. E in questo aprirà gli occhi anche a Flora, che ovviamente però non smetterà di corteggiare. La locandina del film raffigura la sua immagine più emblematica: il pic- colo Arturo travestito da Andreotti. Un’immagine che contiene tutto lo spirito dell’opera, dato che fa sorride- sta, miscelando sapientemente, e in modo tecnicamente mirabile, scene ri- costruite ad hoc con immagini di re- pertorio, che sanno emozionare al momento giusto e che testimoniano con intelligenza la voglia dei siciliani di ribellarsi al fenomeno mafioso. For- se a livello espressivo si tratta del mo- do più semplice per risolvere il pro- blema della rappresentazione della violenza. Ma è evidente come in tale atteggiamento non ci sia furbizia, bensì una sana umiltà e un doveroso pudore. Come tutte le opere didattiche, poi, bisogna prendere anche questa soltan- to come un primo passo verso una co- noscenza che va in seguito approfon- dita altrove. Le semplificazioni sono infatti in certi casi inevitabili. Merite- rebbe una sede più opportuna, per esempio, tutto il discorso sul comples- so rapporto fra la criminalità organiz- zata e la classe dirigente di quegli an- ni. Non perché non vi siano state le collusioni inquietanti e gravi che il film adombra, ma perché non è intel- lettualmente giusto confondere il ma- chiavellismo anche cinico e proteso a pericolosi compromessi, con la pro- strazione spontanea e arbitraria nei confronti della malavita. E nel circo- scrivere le responsabilità a poche per- sonalità note, si rischia in realtà di sminuire un fenomeno che invece ha purtroppo interessato una fetta enor- me della società italiana a tutti i livel- li, e di cui la politica è stata spesso solo la punta dell’iceberg. Anche in questo però Diliberto si dimostra intelligente. Nel prendere la Leggerezza e impegno nel film di Pierfrancesco Diliberto La mafia uccide solo d’estate Le contraddizioni del Ghana attraverso la storia di una famiglia nel primo romanzo della scrittrice anglo-americana Taiye Selasi Elogio della fragilità Aristide Briand e Gustav Strese- mann — che hanno ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 1926 — poi Winston Churchill, Charles de Gaulle, Konrad Ade- nauer, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Spaak; senza dimen- ticare quel mentore del progetto europeo che fu Jean Monnet, né il braccio operativo che affiancò Robert Schuman, il direttore del suo ministero Bernard Clappier. Uomini provenienti da oriz- zonti diversi, di differenti con- vinzioni politiche, filosofiche e religiose, ma che hanno in co- mune il fatto di avere iscritto l’Europa e il progetto europeo nella storia. Hanno tracciato il cammino di un’Europa forte dei suoi valo- ri nell’immanenza della sua real- tà, e di un’Europa condotta a superarsi nella trascendenza del “di più” che vive in ciascun cit- tadino europeo. «Di più è in noi»; «di più è in voi», come ci ricorda il bel motto della fami- glia van Gruuthuse a Bruges. Il pensiero e l’azione di questi grandi d’Europa sono oggi sco- nosciuti o, peggio, ignorati. Dunque è anche nei loro con- fronti che voglio testimoniare tutta la mia riconoscenza attra- verso questa riflessione dedicata a Robert Schuman. Sì, Schu- man: uomo semplice, modesto, calmo, onesto e retto, di tempe- ramento pacato, dotato di pron- tezza di spirito e senso dell’umorismo, che detestava la demagogia ed era impermeabile alle mode intellettuali. Quest’uomo, che non faceva gesti teatrali, aveva come qualità riconosciute «la chiarezza, la precisione e i modi riflessivi di presentare le argomentazioni» (citazione dall’eccellente lavoro di François Roth, Robert Schu- man, du Lorrain des frontières au père de l’Europe, 2008). Avrebbe laggio. Perché ogni uomo ha bisogno di essere “riconosciuto”: cono- sciuto e riconosciuto. Per esiste- re e non solo per essere. E il ri- conoscimento passa attraverso riferimenti, punti fermi. Riferi- menti che uno si dà e che gli al- tri gli riconoscono. Riferimenti Vita e pensiero Anticipiamo stralci di uno degli articoli che saranno pubblicati sul prossimo numero della rivista «Vita e Pensiero». fatti di legami sociali e familiari, ma anche di legami storici e geografici. L’uomo fa parte dell’umanità, viene da qualche parte ed esiste, in quanto uomo, da qualche parte. Negare la sua appartenenza cittadina e cultu- rale vuol dire negare lui in quanto uomo. Essere un euro- peo senza legami non ha senso. E potrebbe provocare solo una sensazione di paura e ripiega- mento, derivante da una perdita di riferimenti. Robert Schuman l’aveva capito bene. Era di Evrange, di Lorena, di Francia, di Europa. Non “o”, ma “e”. Perché le identità non si annullano. Al contrario, si arric- chiscono reciprocamente e non di una parola rivolta a ogni uo- mo. Al contrario dell’universali- smo che considera la realtà co- me un tutto unico. L’Europa che era per Schu- man, ed è sempre per noi, un progetto in perpetuo divenire. Perché l’Europa come la cono- sciamo oggi è il risultato di un doppio moto di unificazione e frantumazione. E la tensione è parte integran- te della nostra eredità. Una ten- sione non distruttiva ma, al con- trario, vitale. Perché ci impedi- sce di cadere in una forma di le- targia politicamente mortale e ci obbliga costantemente a inqua- drare di nuovo il progetto euro- peo. solidarietà e sulla respon- sabilità. Su valori che mettono l’uomo al centro. L’uomo in quanto perso- na, quell’uomo — inteso come uomo o donna — che si presenta non come un individuo puramente autonomo, bensì come un individuo in un rapporto di solidarietà, un indivi- duo dotato di diritti e di doveri; insomma, l’uomo che sa di essere interpel- lato dal volto dell’altro. L’altro e dunque, necessa- riamente, la diversità. È proprio la diversità a costituire la ricchezza sto- rica europea. Ed è l’uni- versalità a costituire il no- stro messaggio politico. L’universalità, non l’uni- versalismo. L’universalità non sono vuoti di senso e gli atti crediti di violenza». Era uomo di aper- tura, uomo delle fron- tiere che si incontra- no; per lui amare l’Europa non voleva dire trascurare il pro- prio Paese, la propria regione, il proprio vil- di cui assume addirittura le sembianze alla festa scolastica di carnevale di fronte allo sguardo stupito degli altri bambini. Diventato giornalista anche grazie ai consigli di un mentore (Claudio Gioè), Arturo da ragazzo si fa le ossa in una scalcinata televisione locale. È qui che rincontra Flora (Cristiana Ca- potondi), di cui è innamorato fin dai tempi della scuola, e che ora è impe- gnata nell’entourage del deputato de- mocristiano Salvo Lima. Arturo si unirà alla causa per amore, ma non per questo smetterà di formarsi una re e inquieta allo stesso tempo. Inquieta, se non al- tro, perché ci parla imme- diatamente di un’infanzia in qualche modo costretta a trovarsi di fronte al mondo degli adulti, alle sue violen- ze e — forse quel che è peg- gio — alle sue laceranti con- traddizioni, come è quella che vuole la politica zimbello di un male che dovrebbe al contrario estin- guere. Oltre alla disinvoltura di un lin- guaggio cinematografico già molto consapevole, che procede senza intop- pi e anche con qualche pretesa ben ri- posta, dell’esordio di Diliberto sor- prende appunto il coraggio di aver scelto un argomento così spinoso non rinunciando però ai toni da comme- dia, e trovando un equilibrio fra leg- gerezza e rispetto per la materia trat- tata che ricorda La vita è bella. Come nel film di Benigni, infatti, il contra- sto fra le situazioni farsesche e quelle drammatiche non sminuisce affatto il senso di orrore, ma al contrario ne en- fatizza l’effetto senza mai rischiare di risultare fuori posto. Ma soprattutto si tratta di un regi- stro che permette al film di svolgere un’importantissima funzione didattica nei confronti dei più giovani, i quali difficilmente potranno trovare nei libri o nel piccolo schermo un compendio altrettanto veloce e coinvolgente sulla recente storia della mafia in Italia. Per il resto però non ci sono trucchi o eccessive reticenze. Diliberto non si tira indietro quando si tratta di mo- strare la realtà più cruda, quella delle conseguenze degli attentati. E in que- sto rispolvera il suo piglio da giornali- figura di Andreotti come esempio di un anello di congiunzione fra due mondi che dovrebbero rimanere di- stinti, non si lancia in spericolate ana- lisi né in giudizi trancianti, ma opta per una direzione grottesca facendo dell’esponente democristiano l’immo- tivato idolo del protagonista da picco- lo. In tal modo mette direttamente lo spettatore nella posizione di poter scegliere se provare o meno imbarazzo nei confronti di una vicenda umana e politica che col senno di poi assume contorni a dir poco sfaccettati e con- troversi. Vista la facilità espressiva e di scrit- tura dimostrata, nonché l’ottima dire- zione degli attori, compresi quelli più piccoli, il regista e sceneggiatore pote- va poi approfondire di più un paio di aspetti narrativi, come il rapporto fra il piccolo Arturo e il giornalista che lo instraderà all’impegno civile, o una vi- cenda d’amore usata semplicemente come filo d’Arianna per inoltrarsi nei meandri della storia italiana. Ciò non gli impedisce tuttavia di essere romantico e persino poetico nei momenti che contano. E nell’epilogo si toglie anche lo sfizio di commuove- re con semplicità. Ma forse potremmo addirittura dire con una levità da nou- velle vague. Pierfrancesco Diliberto e Cristiana Capotondi in una scena del film Konrad Adenauer, Robert Schuman e Joseph Bech a Bruxelles nel settembre del 1956 Un Renoir al mercatino delle pulci Un dipinto originale di Pierre- August Renoir del 1879 è stato comprato in un mercatino del- le pulci per soli sette dollari. Ne ha dato notizia la Cnn. Paysage Bords De Seine, un olio di piccole dimensioni, era stato rubato nel 1951 dal museo di Baltimora. Quattro anni fa, quasi sessant’anni dopo, dopo aver rovistato tra i banchi di un mercatino della West Virgi- nia, una signora ha acquistato il dipinto di Renoir in una cornice rococò, una mucca di plastica e una bambolina di pezza per un costo totale di sette dollari. Qualche tempo dopo il qua- dro viene portato alla casa d’asta Potomack per essere va- lutato: secondo gli esperti, è uno dei capolavori di Renoir e vale tra i 75 mila e i 100 mila dollari. Sorprende in un’opera prima il coraggio di aver scelto un argomento estremamente spinoso Senza rinunciare ai toni della commedia Importante la funzione didattica nei confronti dei più giovani che difficilmente potranno trovare un compendio altrettanto coinvolgente sulla recente storia di Cosa Nostra di CLAUDIO TOSCANI «Kweku muore scalzo, una domenica all’alba, le pantofole all’uscio della camera, come ca- ni». È la prima frase del primo romanzo di Taiye Selasi, scrittrice anglo-americana di pa- dre del Ghana e madre nigeriana (La bellezza delle cose fragili, Einaudi, 2013, pagine 332, eu- ro 19). Narratrice salutata, negli Stati Uniti, tra i migliori venti under 40, laurea a Yale e master a Oxford, vita tra Londra, New York e Roma, Taiye Selasi è poliglotta e “afropolitan” (figlia dell’immigrazione anni Sessanta-Settan- ta), secondo un termine da lei stessa coniato. Protagonista del libro e per tutto il libro, ancorché scomparso d’acchito in apertura, Kweku, geniale medico chirurgo, è sposato con Fola (in prime nozze e, in seconde, con Ama), ha quattro figli: Olu, Taiwo, Kehinde e Sadie, ma è un non-padre di una non-fami- glia, sebbene le non poche pagine di que- st’opera prima siano incardinate proprio sull’idea di casa, di consanguineità, di convi- venza: in altri termini, sul presupposto di una sacralità, ma terrena, di quel nucleo di forze che si formano tra genitori e figli, valore uni- versale ed eterno, spesso difficile, raro, e persi- no amaro. Era stato studente modello, clinico esempla- re, padre affettuoso e marito fedele, ma all’apice della carriera, muore, lontano da tutti e riverso sul prato, tra «gocce di rugiada su fi- li d’erba come diamanti caduti dal sacchetto di un generoso spiritello che è passato agile e leggero nel giardino». Lontano da Fola, la prima moglie, che «aveva avuto la sensazione che Kweku fosse un uomo con cui si poteva vivere, con cui si poteva costruire una vita»; dal figlio Olu, medico a sua volta, che ipotiz- za distanze inimmaginabili tra lui e il padre («chilometri, oceani, fusi orari» e cuore spez- zato, rabbia, dolore calcificato). Lontano da Taiwo e da Kehinde, fratelli gemelli, l’una e l’altro che ricordano bene l’uomo mai chiama- to “padre” o “papà”, come attraverso la crepa in un muro eretto negli anni. E lontano, infi- ne, dalla più giovane di tutti, Sadie, vittima del sentimento di essere inadeguata. Nel giorno in cui l’assente, ma al tempo stesso più acutamente presente protagonista muore, la famiglia non può essere più in dia- spora di come la introduce l’autrice, memore di un’altra disintegrazione, quella dell’intero popolo del Ghana negli anni della guerra civi- le, dell’annientamento etnico, della violenza e dell’ingiustizia sociale, della disintegrazione culturale, politica e morale del Paese. Il Ghana, «una contraddizione, un vaso d’argilla incrinato: l’odore di siccità e umidità allo stesso tempo, l’umido della terra e l’aridi- tà della polvere». Dalla prima all’ultima riga, il romanzo vive tra le ore in cui i congiunti apprendono la notizia dell’infarto di Kweku e il rito funebre, rivelando poco a poco le vite di ciascun personaggio in un vortice di decli- nazioni temporali presenti-passate che cattura- no per rapidità, incisività, coinvolgimenti dia- logici e scorci di paesaggio naturale e umano. Esperienze, confessioni e ferite, ritorsioni, mi- nacce e riconciliazioni, diventano però, in pro- spettiva, l’inatteso cammino, quasi impalpabi- le ma effettivo, di una progressiva polverizza- zione delle distanze, da fisiche a emotive. È un percorso tormentato, un itinerante cammino a ritroso da un iniziale e protratto reciproco allontanamento a una rotta di ricon- versione degli animi, in se stessi e tra di loro: da una silente, solitaria disperazione, consu- mata da ogni singolo componente della fami- glia, alla presa di coscienza di una indebita di- stanza, di fatto e d’anima, dagli altri, dopo che ciascuno ha pagato il suo tributo di soffe- renza e di sradicato rimpianto dell’antica casa, del caldo bozzolo dei momenti uniti, solidali, prestati gli uni gli altri in gratuita comunità d’intenti. E sembra un’illusione quella che «fi- nalmente sono di nuovo insieme, in quel mo- mento, dopo che fra di loro c’erano state tutte quelle cose dette e non dette»: i successi, i ta- lenti, i doni della vita, disgregati, chiusi, in- condivisi. Invece la remota realtà si va ricom- ponendo, il futuro ha vecchie porte, anche se non è facile varcarle di nuovo e il lettore teme sempre che succeda l’imprevisto a rovinare il quadro. Infatti, fino alle ultime pagine, ogni gesto, parola, pensiero, sono in tensione sul fi- lo di un possibile, irreparabile dramma. Invece. «Più tardi, molto più tardi, dopo che la luna è sorta e il giorno ha vissuto la sua spettacolare morte in un tripudio di rosso e arancio iniettato di sangue, blu e magenta, un tramonto mozzafiato che nessuno di loro ha visto, si siedono di nuovo a tavola (...) poi scivolano via ognuno verso la propria stanza, ognuno seguito da una debole scia di ferite e flebili speranze, che si insinuano sotto le porte che si chiudono».
  • 5. L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 gennaio 2014 pagina 5 Dal segretario generale della Kek Appello a partecipare alla settimana di preghiera per l’unità La colletta delle comunità religiose dei Paesi Bassi La rivalutazione del vangelo secondo Giovanni Teologico e dunque storico Nella ricerca di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI Gesù di Nazaret di YVES SIMOENS L’attendibilità storica del quarto Vangelo è stata rivalutata, negli ulti- mi anni, secondo il punto di vista di ciò che ci insegna su Gesù e i suoi discepoli. (...) La dichiarazione sulla venuta nella carne del Verbo e sulla visione della sua gloria è solo pensa- bile nella fede, anche se può prove- nire da un’indagine fuori della stessa fede. Si deve quindi giustificare il carattere storico dell’atto di credere che presuppone Giovanni, 1, 14. Questo è il punto sul quale vorrei condividere la mia attenzione. Lo sforzo è facilitato in quanto l’autore del quarto Vangelo ci ha pensato prima di noi. Secondo la sequenza dei versi del prologo, la menzione della incarnazione avviene al termi- ne dei precedenti due versi, i più di- scussi e controversi del prologo, sen- za dubbio perché costituiscono il suo centro letterario e teologico. (...) Questa discussione ci porta al cuore del problema che stiamo trat- tando. La vita del “credere” non esclude la storia e le sue esigenze. Essa invece situa il credente nell’at- tualità storica. La ricerca storica sul- la Scrittura e sul quarto Vangelo, in questo caso, è guidata dal desiderio di comprendere la fede della quale essi rappresentano i riferimenti prin- cipali. Questa ricerca fa parte, nella tradizione, dell’intelligenza della fe- de che porta il marchio d’un patri- monio cristiano a un mondo secola- rizzato. La rivalutazione storica del quarto Vangelo procede da tale oriz- zonte culturale. Ci costringe a risco- prire la dimensione storica del suo asse maggiore: la fede vissuta, l’atto di credere. Perciò, la rivalutazione storica del Vangelo secondo Giovan- ni coincide con la rivalutazione dell’esistenza storica dei credenti. Essa non può essere fatta senza va- gliare storicamente i suoi effetti nel- la Chiesa, compresa come «incarna- zione di complemento», per prende- re in prestito una espressione di Eli- sabetta della Trinità. (...) I presupposti della fede fanno prendere in considerazione, fin dal prologo, la testimonianza di Giovan- ni in entrambi i brani dedicati a lui, cioè in Giovanni, 1, 6-8 e 1, 15. La mediazione del testimone Giovanni è indispensabile all’atto di fede. (...) Qualsiasi logica di violenza è con- traria alla logica di Gesù e dei Suoi discepoli, alla luce dei testi più ap- passionati, come la parte centrale del discorso della Cena, cioè Gio- vanni, 15, 1 - 16, 3. La comunità gio- vannea non è una conventicola di tendenza gnostica ripiegata su se stessa, ignara del grande respiro uni- versale di amore dei nemici (Matteo, 5, 44). L’autore del quarto Vangelo sostiene l’amore reciproco sulla base dell’amore di Gesù per i suoi disce- poli come l’unica valida risposta alle tensioni che possono portare a esclusioni reciproche. La doppia ri- presa del comandamento nuovo dell’amore reciproco si verifica, in modo significativo, al centro del di- scorso della Cena (Giovanni, 15, 12- 17) e perciò nel cuore del testamento di Gesù. Ciò non è indice di un ri- piegarsi su se stesso ma il segno di un grande realismo spirituale. I cri- stiani hanno continuato a frequenta- re la sinagoga per un periodo pro- lungato. Si è potuto anche affermare che a un certo punto i capi della Chiesa hanno cercato di allontanare i cristiani dalla sinagoga, piuttosto che il fatto che gli Ebrei stessi li ab- biano esclusi. Secondo Giovanni, là dove i rispettivi comportamenti de- gli uni e degli altri hanno ceduto al- la violenza, è là dove Gesù e il Van- gelo sono stati traditi e rinnegati. Pertanto, la questione posta da Gio- vanni, 15, 1-16, 3, nel contesto della tensione tra la vigna e il mondo — senza tracce di un dualismo che si attribuisce a torto al corpus giovan- neo, consiste nel sapere chi è Ebreo prima di sapere chi è cristiano. Per riprendere il cuore del messaggio di Giovanni, 13-17 — che coincide con quello del Vangelo, con il Nuovo Testamento legato all’Antico, e quindi con la Bibbia nel suo insieme — la questione è fondamentalmente sapere chi è eletto. «Non voi elegge- ste me, ma io elessi voi» (Giovanni, 15, 16a). L’elezione di tutti passa ir- revocabilmente attraverso l’elezione di Israele e degli ebrei al prezzo del- la incarnazione, della morte e della risurrezione del Verbo in Gesù di Nazaret. Così ritroviamo il parados- so di un “credere” che trascende la storia, fondandola. La questione risuona oggi sullo sfondo della Shoah. La rivalutazione storica del quarto Vangelo non può ignorare i disastri della storia. L’an- tisemitismo cristiano non è radicato nel Vangelo giovanneo, ma in alcu- ne delle sue interpretazioni tenden- ziose che conviene controllare e cri- ticare. I genocidi che ne seguono la- sciano piuttosto il campo libero alle forze polimorfiche del male: il bu- giardo e il padre della menzogna (Giovanni, 8, 44), il diabolos, il “divi- sore” (Giovanni, 13, 2), l’omicida fin dal principio (Giovanni, 8, 44), il Satanas, “accusatore” (Giovanni, 13, 27), il capo del mondo (Giovanni, 14, 30), il Figlio della Perdizione (Giovanni, 17, 12), il Cattivo (Giovan- ni, 17, 15). Rivalutare il carattere storico del Vangelo giovanneo si confronta con le questioni fondamentali della ese- gesi del Nuovo Testamento. L’ope- razione consente anche di rivalutare ciò che si intende per storia, senza limitarsi agli approcci troppo positi- vi, se non neo-positivisti. La storia di Gesù crea la storia dei credenti. Si nota nei testi affrontati e molti al- tri: i viaggi di Gesù e le sue salite a Gerusalemme per le tre Pasque della sua vita pubblica, la cronologia della Passione fino alle tradizioni sulla Ri- surrezione a Gerusalemme e in Gali- lea, il più teologico dei vangeli si ri- vela più vicino alla verosimiglianza storica. La sua teologia del credere fa im- mergersi nel più vivo dell’esperienza umana storica, perché credere è ne- cessario per vivere — o persino, a volte per sopravvivere — nella storia. Credere costituisce la condizione del legame sociale. Quando questo lega- me appare fragile, il Vangelo gio- vanneo si offre nel mondo e nella Chiesa come un punto di riferimen- to importante per prendere parte al- la storia in corso, ciascuno secondo la luce che gli è stata data. Il patriarca Bartolomeo incontra il primate anglicano e a fine gennaio accoglie una delegazione della diocesi di Milano Per un’amicizia ancora più grande Pubblichiamo in parte uno dei saggi compresi negli atti, appena usciti, del convegno internazionale sui Vangeli tenutosi a Roma dal 24 al 26 ottobre scorsi. Si tratta di due volumi (I Vangeli: storia e cristologia, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 633 + 285, euro 28 + 21) pubblicati dalla Fondazione Joseph Ratzinger - Benedetto XVI che ha promosso l’importante iniziativa. conto della sua natura di opera ispirata da Dio e canonica per la Chiesa. Esaminato il testo dal punto di vista letterario e storico, è necessario passare all’analisi dello stesso alla luce dell’unità e del contenuto dell’intera Sacra Scrittura, tenendo vero conto della tradizione viva di tutta quanta la Chiesa, utilizzando infine il decisivo concetto dell’“analogia della fede”». ISTANBUL, 11. Dapprima il 13 e il 14 gennaio l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglica- na, poi alla fine del mese l’arcivesco- vo di Milano con una delegazione della diocesi ambrosiana: calendario fitto di incontri per il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, che, do- po la sua visita in Grecia in occasio- ne dell’inizio della presidenza seme- strale greca dell’Unione europea, in pochi giorni incontrerà a Istanbul, nella sede del Fanar, Justin Welby e il cardinale Angelo Scola. Nel ri- spondere al fraterno invito — si legge in un comunicato sul sito on line dell’arcivescovo di Canterbury — il primate anglicano ha sottolineato «l’importante contributo» dato da Bartolomeo al mondo cristiano e più in generale alla società, e ha ricorda- to tutto ciò che unisce anglicani e ortodossi. Nell’intensa due giorni è previsto un incontro privato, un ricevimento ufficiale nella Sala del Trono e un colloquio con il Comitato sinodale per le questioni inter-cristiane. Il pri- mate anglicano auspica che la visita serva a sviluppare un’amicizia più grande tra le due comunità, contri- buendo a raggiungere l’obiettivo dell’unità fra i cristiani. Per quanto riguarda il viaggio del cardinale Scola a Istanbul, esso è di- retta conseguenza della visita effet- tuata dal patriarca Bartolomeo nel maggio scorso a Milano in occasione del diciassettesimo centenario dell’editto di Costantino. Al termine della celebrazione ecumenica nella basilica di Sant’Ambogio, il porpo- rato annunciò che dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014 avrebbe guidato il pellegrinaggio di una delegazione ambrosiana al Fanar, sede del pa- triarcato di Costantinopoli, acco- gliendo l’invito di Bartolomeo. «Vo- gliamo approfondire l’unità e la co- munione di pensiero tra le nostre due Chiese. Intendiamo così mostra- re — disse Scola — la risorsa che le nostre Chiese rappresentano nell’edi- ficazione del bene comune, soprat- tutto nella società plurale, perché la ricerca dell’unità si basa sulla testi- monianza reciproca e ci costringe a superare ogni tentazione di egemo- nia». Gli incontri con Welby e Scola si situano a cavallo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18- 25 gennaio). E alla fine di maggio sarà Papa Francesco a incontrare a Gerusalemme il patriarca. «Il simposio — si legge nella prefazione firmata dai tre curatori, Bernardo Estrada, Ermenegildo Manicardi e Armand Puig i Tàrrech — ha fatto cogliere in modo coinvolgente come Joseph Ratzinger - Benedetto XVI sia partito dalla necessità di poggiare la riflessione teologica sul confronto con la ricerca storico- critica più rigorosa. Questo aspetto è stato percepito da molti partecipanti come un significativo sviluppo dottrinale nel modo di fare teologia». Proprio in seguito alla ricerca di Papa Benedetto, continua il testo, ci si rende conto che «non è possibile pensare a una cristologia a riguardo della persona di Gesù di Nazaret senza un confronto profondo e sistematico con il carattere storico dei Vangeli. La loro affidabilità è un dato che va assunto da una esegesi consapevole del valore della tradizione radicata nella vita di Gesù e nella riflessione dei primi e diretti testimoni della sua attività salvifica». L’approfondimento storico-critico «diventa così un irrinunciabile punto di partenza per arrivare davvero a una riflessione teologica. L’ermeneutica cattolica della Sacra Scrittura, ricapitolata dalla costituzione dogmatica conciliare Dei Verbum, 12, prevede due tappe ugualmente necessarie. La prima è quella che cerca con cura l’intenzione dell’autore umano, attraverso il quale Dio si esprime, misurandosi nella maniera più nitida possibile con le circostanze storiche e con la portata letteraria autentica del testo che si studia. La seconda tappa è quella che s’impegna, con pari serietà, a trattare il testo biblico tenendo L’opera su Gesù è dunque, continua la prefazione, «un esempio, serio e luminoso, di corretto impiego del metodo storico-critico, e, al contempo, di un esercizio maturo di una esegesi credente e teologica, capace di tener conto di tutta la storia della tradizione fino alla vita più recente e attuale della Chiesa. Con il suo vasto e impegnato trittico Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ha offerto — non solo alla Chiesa, ma anche alla cultura e al mondo degli studi accademici — un eccellente esempio concreto di ermeneutica biblica cattolica, così com’è stata proposta nella sintesi e nell’approfondimento del concilio ecumenico Vaticano II. Nella prefazione al secondo volume, lo stesso autore raccoglie le reazioni al primo, e ricorda studiosi come Martin Hengel, Peter Stuhlmacher e Franz Mussner — per menzionare solo alcuni dei connazionali tedeschi — che, pur senza essere forse d’accordo su ogni particolare, guardano l’opera come un importante contributo esegetico. Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ha così completato un’avvincente parabola teologica personale. Da giovanissimo teologo era stato perito conciliare del cardinale Joseph Frings, collaborando di fatto all’elaborazione della costituzione Dei Verbum. Di questo documento — sottolinea la prefazione — era stato nei tempi postconciliari uno dei commentatori più autorevoli e significativi. Con il trittico Gesù di Nazaret egli ha fatto un dono ancora maggiore: ha offerto un avvincente esempio di applicazione del modello ermeneutico» della costituzione dogmatica conciliare. ROMA, 11. Un appello affinché tutte le 115 Chiese che aderiscono alla Conferenza delle Chiese europee (Kek) si uniscano alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è stato lanciato nei giorni scorsi dal segretario generale della Kek, Guy Liagre. La Settimana si celebra ogni anno dal 18 al 25 gennaio. «Pregare insieme per l’unità della Chiesa — si legge in un comunicato di Liagre diffuso dal Sir — è il mo- do più forte che le nostre 115 Chiese hanno per mostrare il loro spirito ecumenico. Ecco perché noi le invi- tiamo a partecipare alla Settimana di preghiera per l’unità dei cri- stiani». Quest’anno come tema di medi- tazione e riflessione per la Settima- na di preghiera è stata scelta l’affer- mazione tratta dalle lettere dell’apostolo Paolo ai Corinzi: «Cristo non può essere diviso!». (Corinzi 1, 1-17). E a redigere que- st’anno il testo di preparazione all’iniziativa ecumenica — congiun- tamente pubblicato poi dal Pontifi- cio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dal Consi- glio ecumenico delle Chiese (Cec o World Council of Churches) attra- verso la sua Commissione Fede e costituzione — è stato un gruppo di rappresentanti di diverse regioni del Canada. «Consideriamo l’afferma- zione categorica dell’apostolo Paolo “Cristo non può essere diviso!” — conclude nel comunicato Guy Lia- gre — come un pressante invito alla preghiera e a un esame di coscienza come cristiani singoli e in comu- nità». Come è tradizione della Società Biblica in Italia, anche quest‘anno sono offerti alla meditazione dei cristiani alcuni testi biblici scelti da un gruppo internazionale ecumeni- co composto da rappresentanti del Cec e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cri- stiani. AMSTERDAM, 11. Ha preso il via giovedì la tradizionale campagna di “Kerkbalans”, iniziativa delle comu- nità religiose olandesi che raccoglie fondi per sostenere la vita delle co- munità locali. Tema di quest’anno: “Quanto vale per me la Chiesa?”. «All’inizio di ogni anno — spiegano gli organizzatori — più di cinque- centomila volontari vanno per le strade e rivolgono ai fedeli delle proprie Chiese un appello a donare un contributo economico». Ogni comunità del Paese raccoglie i soldi dei propri fedeli. Si tratta della più grande iniziativa di fundraising in Olanda ed è la maggiore fonte di sostentamento delle diverse comu- nità religiose locali. «In tutti questi anni di attività insieme — ha scritto il cattolico Emile Duijsens, presi- dente del comitato di coordinamen- to di Kerkbalans, attraverso il sito della Conferenza episcopale olande- se — non c’è mai stata dissonanza tra le Chiese». Per la Chiesa cattoli- ca, nel 2012 l’iniziativa Kerkbalans ha portato nelle casse delle parroc- chie circa cinquantasette milioni di euro. Ogni comunità destina i fon- di raccolti in modo diverso: attività pastorali, personale, edifici. È dal 1973 che la Chiesa cattolica, i prote- stanti, i vetero-cattolici, la comunità mennonita e i remostranti lavorano insieme. Eugène Burnand, «Gli apostoli Pietro e Giovanni corrono al sepolcro la mattina della Resurrezione» (particolare, 1898, Museo d’Orsay, Parigi)
  • 6. L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 12 gennaio 2014 Aperto l’anno giudiziario del tribunale vaticano Un passaggio epocale di MARIO PONZI Un passaggio epocale che va colto anche nel suo divenire. È questa la chiave di lettura per entrare nella esatta dimensione delle trasforma- zioni che hanno segnato, negli anni più recenti, il sistema giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Lo si comprende leggendo l’ampia rela- zione che il promotore di Giustizia Gian Piero Milano ha svolto sabato mattina, 11 gennaio, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario del Tribunale dello Stato Vaticano. Rimodulare infatti all’interno della Curia romana certi profili — la tesi sostenuta dal relatore — è materia assai delicata che richiede attenta ri- flessione. Dunque occorre agire con una gradualità che deve essere asse- condata con una valutazione nel tempo. È anche vero che nello spazio di pochissimi anni il sistema giuridico dello Stato è profondamente muta- to. Soprattutto dopo l’ampia rifor- ma del codice penale vaticano che, insieme ad alcune innovazioni nel sistema amministrativo e finanziario, si è resa necessaria a partire dalla stipula della convenzione monetaria fra l’Unione europea e lo Stato già dal 2009. Anzi è proprio a questi anni recenti che Gian Piero Milano fa risalire anche una certa mutazio- espressione, la tratta delle persone, la tortura. Un discorso a parte è de- dicato alle disposizioni per i delitti contro i minori. Tra le tipologie per- seguite figurano la vendita del mi- nore, l’induzione o la gestione della prostituzione minorile, gli atti e gli abusi anche sessuali nei loro con- fronti, la pedopornografia o la sola detenzione di materiale a essa riferi- bile, l’arruolamento di minori. Conclusa l’esposizione, seppur per sommi capi, della più recente normativa, la relazione del promoto- re di Giustizia entra nell’ambito del- la cooperazione internazionale. E si sofferma sul carattere quasi sempre transazionale dei nuovi reati finan- ziari contemplati e sulle difficoltà, sul piano operativo o anche sempli- cemente formale, che essi comporta- no. Soprattutto quando si tratta di riciclaggio, la cui stessa struttura ri- chiede a monte la commissione di un reato grave, il più delle volte consumato fuori i confini dello Sta- to vaticano, ma che poi magari si trasforma e si perfeziona proprio entro le mura. L’orientamento è quello di seguire la Cassazione ita- liana, la quale non ha dubbi quan- do si trova davanti a una prova logi- ca della provenienza illecita del- l’utilità oggetto delle operazioni compiute. In questo quadro fa rien- trare anche l’illecito fiscale commes- Il cardinale Leo Burke celebra la messa per l’inaugurazione Servitori prima di Dio poi dello Stato Essere specchio della giustizia per tutti gli ordinamenti giuridici «so- prattutto nella difesa della dignità inviolabile dell’uomo». È questa la testimonianza che deve dare l’ordi- namento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, secondo il cardi- nale Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segna- tura Apostolica. Il porporato lo ha detto sabato mattina, 11 gennaio, durante la messa celebrata in occa- sione dell’apertura dell’anno giudi- ziario del tribunale dello Stato della Città del Vaticano, nella cappella di Maria, Madre della famiglia, nel Pa- lazzo del Governatorato. Dopo aver riproposto la figura eroica di san Tommaso Moro, il santo patrono dei ministri di giusti- zia, il cardinale, rivolgendosi ai pre- senti come ministri di giustizia, li ha invitati a implorare «l’aiuto dello Spirito Santo che abita nelle nostre anime, che ci rivela la legge di Dio, la sua giustizia e ci rafforza a obbe- dire alla sua legge e a fare ciò che è retto e giusto a beneficio del nostro prossimo senza condizione e li- mite». E ha poi chiesto per quanti ope- rano nella giustizia «la grazia di es- sere buoni servitori dello Stato e prima buoni servitori di Dio». La partecipazione a questa messa, ha aggiunto, richiama la verità: «Il ser- vizio di giudici, di avvocati di pro- fessionisti legali ha la sua fonte ori- ginaria in Dio, che solo è giusto e che solo ci insegna nell’intimo dei nostri cuori come giudicare giusta- mente per il bene dei nostri fratelli e per il bene dello Stato intero». In- fatti, la forma tradizionale della de- cisione definitiva dei giudici è «sem- pre preceduta dalla formula: “Aven- do solo Dio dinanzi agli occhi”». E ancora una volta, rivolgendosi ai ministri della giustizia, ha detto che «la partecipazione alla messa dona sempre nuove ispirazioni e nuova forza per l’insostituibile e im- pegnativo ministero». Infatti, ammi- nistrare la giustizia è «veramente un dono spirituale», una manifestazio- ne dello Spirito Santo «attivo nei membri del corpo di Cristo per il bene comune, per il bene di tutto il corpo». In pratica, è «un servizio per tutti i fratelli per i quali Cristo ha dato la sua vita sulla croce». Tra i presenti, il cardinale Manuel Monteiro de Castro e il vescovo Giorgio Corbellini; il presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Dalla Torre, i giudici Piero Antonio Bonnet Paolo Papanti-Pelletier, il giudice aggiunto Venerando Marano, il promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, e il promotore di Giustizia aggiunto, Pierfrancesco Grossi; il direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione ci- vile del Governatorato, Domenico Giani. Ha animato la liturgia il coro della Cappella Giulia, diretta dal maestro Pierre Paul. Al termine della messa è seguita, nel vicino Palazzo del Tribunale, la cerimonia di inaugurazione dell’an- no giudiziario, con la relazione del promotore di Giustizia. Vi hanno partecipato anche i cardinali Dome- nico Calcagno, Attilio Nicora e Gio- vanni Lajolo. Erano inoltre presenti l’arcivescovo Pietro Parolin, segreta- rio di Stato, e i monsignor Peter Bryan Wells, assessore della Segrete- ria di Stato, e Gianpaolo Montini, promotore di Giustizia della Corte di Cassazione. Presenti anche rap- presentanti dei diversi uffici del Go- vernatorato e numerose autorità ci- vili italiane. zionale. Troppo spesso infatti a essa si guarda per cogliere, nelle pieghe delle notizie divulgate a volte in modo tutt’altro che preciso ed equi- librato, elementi di giudizio per raf- forzare quel pregiudizio che alimen- ta superficiali e fuorvianti forme di curiosità». Dunque, per farsi un’idea giusta e precisa di ciò che è alla base di una così abbondante produzione norma- tiva, di carattere in prevalenza pena- le, pienamente maturata a cavallo di due pontificati e in un momento particolarmente sensibile come l’at- tuale, a livello sia economico-finan- ziario sia ecclesiale e sociale, non si può prescindere da una considera- zione di fondamentale importanza. E non a caso il promotore di Giusti- zia lo sottolinea sin dalle prime pa- gine della sua esauriente relazione. Il processo di adeguamento «perse- guito nella consapevolezza della funzione di alta testimonianza che la Santa Sede avverte nel novero delle nazioni — prosegue il testo — si rende possibile, con la relativa in- cisività e tempestività, grazie ad al- cuni tratti caratterizzanti il sistema delle fonti, delineato dalla Legge n. LXXI dell’ottobre 2008». Un sistema cioè che non prevede una ripresa tout court di normative internazio- nali di riferimento, ma che è al con- trario «costruito attraverso la strut- ne geopolitica dello Sta- to: da enclave della Re- pubblica italiana a encla- ve dell’Unione europea, pur mantenendo quella sua capacità «di interagi- re e recepire le realtà or- dinamentali esterne — si legge infatti nella relazio- ne — senza derivarne contaminazioni estranee alla sua natura e confor- mazione». Con questo il promo- tore di Giustizia ha inte- so puntualizzare che no- nostante l’adeguamento alla normativa internazio- nale sia stato fortemente voluto, ciò «non significa che il Vaticano si stia sta- tualizzando o laicizzan- dosi». Certamente «que- sta normativa — ha spie- gato all’Osservatore Ro- mano — è recepita dal- l’ordinamento internazio- nale. Il Vaticano è uno Stato; come tale svolge delle attività statuali e ha anche una sua economia che risente di flussi mo- netari evidentemente da regolamentare. Ma non si so all’estero e penalmente rilevante per l’ordina- mento straniero. Qualunque sia la stra- da che si seguirà, ciò che sembra necessario oggi è l’adeguamento delle pro- fessionalità ai nuovi reati configurati. «Ci troviamo infatti a operare — ci ha detto il promotore di Giustizia — in un conte- sto che, devo dire, ho trovato di alta professio- nalità in tutti i settori del tribunale e negli organi investigativi». Bisogna ri- cordare che Gian Piero Milano, preside della Fa- coltà di Giurisprudenza dell’università romana di Tor Vergata, è stato no- minato promotore di Giustizia del Tribunale vaticano lo scorso anno. «Il lavoro del Corpo del- la Gendarmeria — ha proseguito — è stato ine- sauribile e di inestimabile preziosità, e sempre ade- guato alle continue e nuove richieste investiga- tive. Credo però, e gli stessi vertici ne avvertono può dimenticare che sarebbe ridutti- vo contenere e limitare queste attivi- tà nei confini, seppure importanti, delle politiche di stabilità economi- ca e finanziaria, come tali recepite all’interno dello Stato. Ci sono in- fatti ragioni di ordine ecclesiale che offrono ben più alte motivazioni per un impegno con questi contenuti». Ragioni, si legge infatti nella rela- zione, «legate all’ineludibile esigen- za che le strutture politiche, econo- miche e giuridiche riscoprano, valo- rizzino e testimonino la vocazione alla fraternità e alla solidarietà come dimensioni costitutive dell’uomo e della sua dimensione interpersona- le». Anzi, è proprio la centralità dell’uomo il segno evidente della continuità che caratterizza tutta la serie delle disposizioni di leggi ema- nate in questi ultimissimi tempi, seppure a cavallo di due pontificati. «Una centralità — ci ha detto an- cora Milano — che si manifesta nella valorizzazione dell’uomo, protagoni- sta e non vittima del mercato. La pace è frutto della giustizia, giusti- zia anche di mercato. Ecco, è pro- prio nella dimensione etica della giustizia e della finanza ciò che gli altri Stati possono apprendere dalla nuova legislazione vaticana». Il 2013 è dunque stato un anno di forte impegno. Nei primi mesi di pontificato di Papa Francesco sono giunte a compimento importanti in- novazioni già anticipate in alcune disposizioni emanate da Benedetto XVI, in particolare in materia di rici- claggio e di finanziamento del terro- rismo. Disposizioni di cui le crona- che si sono ampiamente occupate nei mesi scorsi. «Credo però — ci ha detto ancora il promotore di Giusti- zia — che a questo proposito ci sia bisogno di alcune precisazioni. So- prattutto per offrire ai media, e dunque all’opinione pubblica, una visione corretta circa gli accadimenti che riguardano quella particolarissi- ma entità giuridica che è il Vatica- no, che rimane unica nonostante l’apertura alla dimensione interna- turazione gerarchica tra principi fondanti l’ordinamento ecclesiale, fonti suppletive emanate dallo Stato italiano e come tali recepite dalle autorità vaticane, e norme di diritto internazionale generale e pattizio cui si conforma l’ordinamento vati- cano». In questo modo «il sistema di produzione normativa per un verso — precisa la relazione — esprime le due dimensioni costitutive dell’ordi- namento, cioè quella di ascendenza ecclesiale e quella di impronta sta- tuale; per altro verso salvaguarda il principio che l’ordinamento canoni- co è la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento inter- pretativo dell’ordinamento giuridico vaticano». Messo questo punto fermo, la re- lazione passa poi dettagliatamente in rassegna le leggi più significative dell’anno appena concluso, soffer- mandosi naturalmente sulle princi- pali novità apportate all’interno del- lo Stato e nei suoi rapporti con l’esterno, soprattutto per ciò che ri- guarda la prevenzione e il contrasto dei reati finanziari e la necessità di un continuo adeguamento ai sempre più elevati standard internazionali. Particolare attenzione la relazione dedica alla Legge n. VIII dell’11 lu- glio 2013, contenente norme com- plementari in materia penale, nella quale si configurano soggetti penali prima non considerati ma che oggi, vista l’«evoluzione dei comporta- menti maggiormente offensivi della pacifica convivenza», finiscono nel novero delle figure delinquenziali. Gli ambiti di interesse riguardano la persona, i minori, l’umanità, i crimi- ni di guerra, i delitti in materia di terrorismo o eversione, i delitti me- diante ordigni esplosivi o concer- nenti materiali nucleari, i delitti in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope. Suscita particolare inte- resse la normativa nella sfera dei de- litti contro la persona, nella quale sono ricomprese tra l’altro la discri- minazione razziale in ogni sua la necessità, che oggi ci sia bisogno di una nuova figura investigativa con particolari competenze sulla cri- minalità economico-finanziaria. Si- nora hanno sopperito egregiamente; ma io credo che l’applicazione e il relativo controllo dell’intera norma- tiva richiederà qualche sforzo in più». E «dobbiamo tener conto — ha aggiunto — anche dell’estensione di competenze del Tribunale vatica- no verso tutti i dicasteri della Santa Sede». Si tratta in sostanza di rece- pire queste riforme e di pensare a preparare figure professionali che sappiano ottimizzarle. Infine, numeri e curiosità rilevabi- li dalla relazione. In materia civile il Tribunale ha tenuto quattro udienze riguardanti altrettante cause pen- denti, ha pronunciato un decreto e due sentenze. In sede penale il tri- bunale in cinque procedimenti ha tenuto sette udienze, pronunciato quattro sentenze e tre ordinanze. Ha ricevuto sette rogatorie da auto- rità giudiziarie straniere, cinque dall’Italia. E per la prima volta nella storia dello Stato ha inoltrato una rogatoria alla Procura della Repub- blica di Roma in merito a una vi- cenda di riciclaggio. Significativo il dato relativo al giudice istruttore del Tribunale: ha ricevuto 36 richieste e pronunciato 36 decreti di archivia- zione, cinque relativi però ad anni precedenti. Il promotore di Giusti- zia ha disposto 109 notifiche richie- ste da procure italiane restituendone tre per incompetenza. Attualmente ci sono in corso una decina di istruttorie sommarie e indagini per due denunce-querela. In due proce- dimenti, ultimata l’istruttoria, il pro- motore di Giustizia ha chiesto il rin- vio a giudizio. A seguito di una sen- tenza a condanna a pena restrittiva della libertà personale ha emesso un ordine di cattura. Infine in seguito a due provvedimenti di grazia del Santo Padre ha curato gli adempi- menti previsti dalla legge. Iniziativa della parrocchia di Sant’Anna Cento poveri a cena Una cena per un centinaio di poveri che sono assistiti dalla Pontificia parrocchia di Sant’Anna in Vaticano è stata organizzata per lunedì sera, 13 gennaio. L’iniziativa è nata per offrire un gesto di solidarietà e di vici- nanza alle tante persone che la Caritas parrocchiale aiuta durante tutto l’arco dell’anno. Molti di loro, racconta il parroco, padre Bruno Silvestri- ni, bussano alla porta della comunità agostiniana e degli uffici parroc- chiali per chiedere sostegno economico e morale. La cena, che si svolge- rà al bar Moretto, a pochi passi dal Vaticano, vuole essere dunque un momento di amicizia e di condivisione fraterna. Il parroco spiega che la titolare dell’esercizio, Fausta Fedeli, ha messo a disposizione il locale co- me gesto concreto per rispondere all’appello del vescovo di Roma all’ac- coglienza e alla solidarietà. Alla cena parteciperà anche l’arcivescovo Konrad Krajewski, elemosiniere di Papa Francesco.