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DISLESSIA

e

DISTURBI SPECIFICI
Dell’ APPRENDIMENTO
Quadro clinico del disturbo
Il modello standard della lettura
Modelli teorici interpretativi
Definizione dei DSA
Quadri clinici principali
A cura
Carlo

di :
La Dislessia Evolutiva

è un disturbo settoriale della lettura che si
manifesta in un bambino privo di deficit:
* neurologici- *sensoriali- *cognitivi- * relazionali
La Dislessia ev. si manifesta nonostante il bambino abbia
avuto normali e adeguate opportunità scolastiche.
La Dislessia, spesso, si accompagna a difficoltà nella
scrittura, nei processi di letto-scrittura del numero e del
calcolo.
I bambini dislessici presentano
frequentemente:
Quoziente intellettivo normale e buone potenzialità

cognitive.
Lettura ad alta voce molto lenta e spesso scorretta.
Difficoltà ortografiche nella scrittura.
Difficoltà nella scrittura dei numeri.
Difficoltà nell’apprendimento delle tabelline e del calcolo
mentale
 Difficoltà negli algoritmi del calcolo aritmetico.

Inoltre, più raramente, sono presenti:
Difficoltà di esposizione orale.
Instabilità motoria e disturbi di attenzione.
•I dislessici comunemente non presentano:
Difficoltà di ragionamento.
Difficoltà di comprensione delle spiegazioni orali.
Difficoltà di comprensione del testo.
Difficoltà di comunicazione sociale.

I fattori necessari per un buon successo
abilitativo (secondo il Pentagono prognostico di Critchley) :
•

•
•
•
•

buona condizione cognitiva;
identificazione ed intervento precoce;
adeguato ambiente educativo e familiare;
adeguata assistenza didattico - educativa;
buon equilibrio psicologico del bambino.
Dopo decenni di ipotesi e teorie contrastanti,
esiste, oggi, un’interpretazione univoca della
dislessia ? No!
Mentre c’è un accordo generale sulla definizione clinica del disturbo
(cfr. DSM IV - ICD 10): i ricercatori utilizzano tuttora diversi modelli
di riferimento che fanno capo alle rispettive discipline e metodologie
operanti nell’ambito delle neuroscienze e delle scienze cognitive.

I 3 principali modelli teorici, che rappresentano i diversi
approcci attuali nello studio e nella riabilitazione sono:
L’approccio neuropsicologico - Modello di lettura a due vie.
L’ approccio clinico - Modello di Boder.
L’ approccio neuropsicofisiologico - Balance model di Bakker.
(Morton – Patterson 1980; Sartori 1984; Stella 1995)
Sistema di Analisi VISIVA
Riconoscimento delle LETTERE
Riconoscimento visivo delle PAROLE

Identificazione delle
LETTERE

(Sistema logogen)

Conversione
Sistema
SEMANTICO

Produzione di parole

GRAFEMA-FONEMA

Lessico di uscita fonologico

(scritto – suono)

Buffer fonemico – Sistema articolatorio
= Via FONOLOGICA
= Via VISIVA non Semantica
= Via VISIVA SEMANTICA

E
laborazione grafica
modello semplificato –
Carlo M
UZIO 2000
L’approccio neuropsicologico - Modello di lettura a due vie
di Sartori - Job (1984) e di Coltheart (1978).

Nell’ambito delle teorie modulari delle funzioni cognitive si sono sviluppati
modelli che scompongono il processo di lettura in una serie di operazioni
sequenziali, dall’analisi visiva delle lettere alla produzione della parola (cfr. il
modello di lettura standard). Il lettore adotta due strategie di lettura:

* La via lessicale (accesso diretto) - * La via fonologica o indiretta
Questi modelli sono stati usati per l’interpretazione della dislessia acquisita
nell’adulto, ma successivamente sono stati applicati anche nella D.E.
Sulla base di questo modello sono stati individuati tre sottotipi di dislessia :

La dislessia superficiale in cui è deficitaria la via lessicale ed il lettore legge
nello stesso modo le parole e le non parole, senza alcun vantaggio per le parole
più frequenti, inoltre non è in grado di leggere le parole irregolari.

La dislessia fonologica in cui è deficitaria la via fonologica lessicale ed il

lettore usa solo l’accesso diretto per cui ha difficoltà con le parole irregolari e
con le non parole.

La dislessia profonda in cui sono deficitarie entrambe le vie ed il lettore

commette parafasie semantiche (sostituisce parole di significato affine) ed ha
maggiori difficoltà con le non parole.
L’ approccio clinico: il modello di Boder (1973).
Boder, effettuando un’analisi qualitativa delle prestazioni
deficitarie della lettura ha individuato due sottotipi di dislessia:

La dislessia diseidetica in cui prevale un deficit di tipo

visuopercettivo; perciò il bambino incontra maggiori difficoltà nel
percepire e/o ricostruire la configurazione della parola scritta.
Tipica è la difficoltà significativamente maggiore nella lettura dei
caratteri in corsivo rispetto allo stampato maiuscolo.

La dislessia disfonetica o disfonologica in cui prevalgono

deficit linguistici e fonologici per cui il bambino ha difficoltà
prevalenti nelle operazioni metafonologiche: analisi e sintesi delle
componenti sublessicali, non riesce cioè ad individuare
correttamente i singoli fonemi di una parola o, al contrario, a
ricomporre la parola intera partendo dai singoli fonemi.
La maggioranza dei bambini dislessici presentano questo secondo tipo.
L’ approccio neuropsicofisiologico: il modello dell’equilibrio
o Balance model di Bakker (1980).
Anche il modello di Bakker si basa sulla distinzione tra compiti e
strategie visuo-spaziali e linguistici.

Bakker ha identificato, nell’apprendimento della lettura, una 1° fase in cui
prevalgono le strategie visuopercettive, ed una 2° fase in cui subentra una
predominanza delle strategie linguistiche. Nel passaggio da un processo
all’altro si modificherebbe la distribuzione dell’attività cerebrale
passando da una prevalenza dell’emisfero destro a quello di sinistra .
Nei dislessici si verificherebbe una alterazione di questo equilibrio della
attività interemisferica e sulla base di tale ipotesi ha individuato 2 tipi:

Dislessici P-type (guidati da strategie percettive)- caratterizzati da

lettura molto lenta (parola per parola o sillaba per sillaba) ma corretta e
che, ciononostante, non sviluppano i processi di lettura per deficit dei
processi linguistici.

Dislessici L-type (guidati da strategie linguistiche)- caratterizzati da

deficit dei compiti visuopercettivi, per cui leggono più velocemente ma
commettono molti errori per un’insufficiente mediazione nel corso della
decodifica. Tipicamente effettuano anticipazioni scorrette perché nella
lettura “tirano ad indovinare”.
DISLESSIA EVOLUTIVA
La DE è un disturbo di automatizzazione delle procedure di
transcodifica dei segni scritti in corrispondenti fonologici che emerge
all’inizio della scolarizzazione in soggetti che non abbiano patologie o
traumi cui riferire il deficit (a differenza dei casi di DA).

I soggetti con DE incontrano difficoltà:
 in compiti di codifica fonologica
 nel recupero di informazioni codificate in memoria
(recupero lessicale)
 nell’utilizzo dei codici fonologici per mantenere
l’informazione verbale nella memoria di lavoro
Inoltre non raggiungono una sufficiente consapevolezza della
struttura fonologica del materiale utilizzato (deficit metafonologico).
Sottotipi della DE
In riferimento al modello di lettura sono stati identificati due
tipi prevalenti: Dislessia fonologica (deficit via fonologica) e
Dislessia superficiale (deficit via lessicale); ma diversi studi
hanno evidenziato difficoltà nell’individuare profili riconducibili
ad un deficit selettivo di una delle due vie nella DE.
In particolare nei sistemi ortografici regolari autori tedeschi
(Wimmer 1993) hanno proposto di considerare in particolare
l’aspetto della velocità di decodifica.
Studi recenti condotti in Italia (G.Stella, E.C.Biondino 2001)
hanno confermato tale ipotesi e proposto di differenziare una
forma di D. severa (<3ds = <1 sill/sec) da una forma di D. mediolieve (<2-3ds = >1<1,6 sill/sec) chiaramente individuabile in 3°
elem.
Evoluzione del disturbo nel corso del tempo
Le ricerche condotte sulla lingua tedesca (Klicpera e
Shabmann 1993) avevano evidenziato andamenti
molto diversi per la velocità e l’accuratezza:

la velocità di lettura tende a crescere anche nei DE
ma la distanza dai buoni lettori resta invariata,
mentre l’accuratezza migliora progressivamente e
tende a raggiungere prestazioni nella norma.
Anche in Italia un recente studio ha riscontrato su
di un campione significativo un andamento analogo
(G.Stella, E.C.Biondino 2001).
IL DISTURBO SPECIFICO DI COMPRENSIONE DEL
TESTO

Questo disturbo è tuttora controverso, infatti, sul piano diagnostico è
spesso ricondotto ad altre difficoltà (dist. di linguaggio, di lettura,
deficit di memoria o di studio, r.m. lieve) ed anche nei sistemi
diagnostici ICD-10 e DSM IV è assimilato al disturbo di lettura

Gli studi di psicolinguistica hanno permesso di differenziare nelle
componenti della lettura la decodifica (capacità di riconoscere e
nominare correttamente le parole del testo) dalla comprensione
(capacità di cogliere il significato del testo) ed hanno dimostrato la
sostanziale indipendenza fra queste due componenti che richiedono
differenti processi cognitivi sottostanti (Pazzaglia,Cornoldi e
Tressoldi, 1993).
Le abilità necessarie alla comprensione del testo sono di tipo complesso;
oltre alla decodifica si richiede:

- costruzione della rappresentazione mentale del testo – processi
percettivi – conoscenze pregresse – memoria di lavoro –
individuazione delle informazioni principali – capacità di trarre
inferenze lessicali e semantiche
La valutazione del D. S. di Comprensione del testo
Valutazione del profilo di comprensione
 Prove oggettive di base: Prove MT di comprensione
Misure di controllo:
 Livello intellettivo generale
Svantaggio linguistico
Aspetti emotivo – motivazionali

Analisi del rapporto con altri apprendimenti:
 Decodifica in lettura: Prove MT di correttezza e rapidità
Espressione scritta : Batteria per la competenza ortografica
Problem solving.
Valutazione aspetti sottostanti il processo di
comprensione:
Comprensione da ascolto – Batteria di prove Q1 (De Beni – MT)
 Memoria di lavoro: listening span test
 Metacognizione: Prove di metacomprensione (Pazzaglia e a.94)
 Vocabolario: Prove multidimensionali di vocabolario (Boschi ’89)
 Inferenza nel linguaggio orale: Prova di chiusura verbale
(Cornoldi, Soresi 1981)
I Disturbi della scrittura: DISGRAFIA - DISORTOGRAFIA
Le macrocomponenti della comunicazione scritta (Flowers, Hayes ’81)
Il contesto del compito comprende: l’intenzione comunicativa, attivata
dallo scopo (argomento e destinatario) ed il testo prodotto.
Il processo dello scrivere implica: - memoria di lavoro (recupero
informazioni da comunicare) – capacità di organizzazione e
pianificazione – la trascrizione (discriminazione e analisi fonemica +
componenti ortografica e calligrafica) e – la revisione (lettura,
autovalutazione e correzione).
La trascrizione è l’aspetto più indagato nell’approccio neuropsicologico
la discriminazione fonemica è essenziale nei compiti di dettato (alcune
variazioni fonetiche richiedono <100msec) anche se potrà essere poi
sostituito dall’associazione tra significato e forma ortografica della
parola) e le difficoltà ortografiche sono da considerare il sintomo
elettivo del D.S. di Scrittura (DISORTOGRAFIA), mentre le
DISORTOGRAFIA
difficoltà grafiche sono da ricondurre ai disturbi specifici delle
prassie della scittura (DISGRAFIA) .
DISGRAFIA
I DISTURBI DEL CALCOLO - DISCALCULIE

L’architettura del sistema di elaborazione dei numeri e del calcolo
Gli studi più recenti, a partire dal modello neuropsicologico modulare di
McCloskey, Caramazza e Basili (1985-6) concordano nel sostenere, da un
punto di vista cognitivo, l’indipendenza delle abilità di calcolo dal sistema di
elaborazione dei numeri .
Il modello ipotizza che la rappresentazione mentale della conoscenza
numerica sia strutturata in tre moduli:

-il sistema di comprensione, che trasforma la struttura superficiale dei
numeri (diversa a seconda del codice) in una rappresentazione astratta di
quantità;

-il sistema del calcolo usa tale rappresentazione come input per
manipolarla attraverso il funzionamento di tre componenti: i segni delle
operazioni; i fatti aritmetici (tabelline, calcoli semplici e risultati
memorizzati cui si accede senza esguire l’algoritmo di soluzione) e le
procedure di calcolo (regole per l’esecuzione dell’algoritmo);
- i meccanismi di produzione che forniscono l’output del sistema di
calcolo, le risposte numeriche
I DISTURBI DEL CALCOLO - DISCALCULIE
Il modello di McClosKey e coll. è stato costruito sulla
base delle prestazioni di adulti traumatizzati che
avevano perso selettivamente una o più di queste
componenti, ma si è rivelato molto utile nello studio delle
abilità dei bambini, pur in considerazione del processo di
acquisizione delle abilità di base relative ai numeri e al
calcolo.
Temple (1992) è giunta a definire la DISCALCULIA
EVOLUTIVA come un disturbo delle abilità

numeriche ed aritmetiche che si manifesta in
bambini di intelligenza normale, che non hanno
subito danni neurologici e può presentarsi
associato alla dislessia o in modo indipendente.
Le difficoltà pratiche nella
diagnosi dei DSA
1 – Distinguere i disturbi in questione dalle
normali variazioni nel rendimento scolastico.
– È un momento transitorio di difficoltà
nell’apprendimento?
– Esprime un diverso disagio scolastico da definire?

2 – Occorre considerare l’età del soggetto e la
fase dello sviluppo.
– È indispensabile definire la gravità (ritardo
prestazionale in relazione all’età) ed il
cambiamento delle caratteristiche del disturbo,
perché lo stesso deficit evolve e la sua espressione
cambia con il progredire dell’età.
Le difficoltà pratiche nella diagnosi dei DSA
3- Le abilità scolastiche non sono una semplice
funzione della maturazione neurobiologica: devono
essere imparate ed insegnate.
– Il livello di capacità dipende anche dalla situazione familiare
e scolastica: il bambino ha avuto tutte le oppurtunità di
apprendimento?

4 – I modelli teorici forniscono una traccia delle
possibili anomalie dello sviluppo, ma non è semplice
differenziare nel singolo bambino le anomalie che
causano le difficoltà prestazionali: il singolo disturbo
può essere dovuto a più anomalie dei processi
neuropsicologici e cognitivi.
Le difficoltà pratiche nella diagnosi dei DSA
5 – Esistono tuttora diverse incertezze sul modo
di suddividere i disturbi specifici delle abilità
scolastiche e sui rapporti tra queste ed altre
difficoltà dello sviluppo.
Spesso i DSA si presentano associati ad altre
sindromi cliniche evolutive:
–
–
–
–
–

deficit attentivi e sindromi ipercinetiche,
disturbi della condotta,
disprassia (dist. evol. della funzione motoria),
disturbi del linguaggio,
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Dislessia e dsa: quadri clinici e modelli teorici

  • 1. DISLESSIA e DISTURBI SPECIFICI Dell’ APPRENDIMENTO Quadro clinico del disturbo Il modello standard della lettura Modelli teorici interpretativi Definizione dei DSA Quadri clinici principali A cura Carlo di :
  • 2. La Dislessia Evolutiva è un disturbo settoriale della lettura che si manifesta in un bambino privo di deficit: * neurologici- *sensoriali- *cognitivi- * relazionali La Dislessia ev. si manifesta nonostante il bambino abbia avuto normali e adeguate opportunità scolastiche. La Dislessia, spesso, si accompagna a difficoltà nella scrittura, nei processi di letto-scrittura del numero e del calcolo.
  • 3. I bambini dislessici presentano frequentemente: Quoziente intellettivo normale e buone potenzialità cognitive. Lettura ad alta voce molto lenta e spesso scorretta. Difficoltà ortografiche nella scrittura. Difficoltà nella scrittura dei numeri. Difficoltà nell’apprendimento delle tabelline e del calcolo mentale  Difficoltà negli algoritmi del calcolo aritmetico. Inoltre, più raramente, sono presenti: Difficoltà di esposizione orale. Instabilità motoria e disturbi di attenzione.
  • 4. •I dislessici comunemente non presentano: Difficoltà di ragionamento. Difficoltà di comprensione delle spiegazioni orali. Difficoltà di comprensione del testo. Difficoltà di comunicazione sociale. I fattori necessari per un buon successo abilitativo (secondo il Pentagono prognostico di Critchley) : • • • • • buona condizione cognitiva; identificazione ed intervento precoce; adeguato ambiente educativo e familiare; adeguata assistenza didattico - educativa; buon equilibrio psicologico del bambino.
  • 5. Dopo decenni di ipotesi e teorie contrastanti, esiste, oggi, un’interpretazione univoca della dislessia ? No! Mentre c’è un accordo generale sulla definizione clinica del disturbo (cfr. DSM IV - ICD 10): i ricercatori utilizzano tuttora diversi modelli di riferimento che fanno capo alle rispettive discipline e metodologie operanti nell’ambito delle neuroscienze e delle scienze cognitive. I 3 principali modelli teorici, che rappresentano i diversi approcci attuali nello studio e nella riabilitazione sono: L’approccio neuropsicologico - Modello di lettura a due vie. L’ approccio clinico - Modello di Boder. L’ approccio neuropsicofisiologico - Balance model di Bakker.
  • 6. (Morton – Patterson 1980; Sartori 1984; Stella 1995) Sistema di Analisi VISIVA Riconoscimento delle LETTERE Riconoscimento visivo delle PAROLE Identificazione delle LETTERE (Sistema logogen) Conversione Sistema SEMANTICO Produzione di parole GRAFEMA-FONEMA Lessico di uscita fonologico (scritto – suono) Buffer fonemico – Sistema articolatorio = Via FONOLOGICA = Via VISIVA non Semantica = Via VISIVA SEMANTICA E laborazione grafica modello semplificato – Carlo M UZIO 2000
  • 7. L’approccio neuropsicologico - Modello di lettura a due vie di Sartori - Job (1984) e di Coltheart (1978). Nell’ambito delle teorie modulari delle funzioni cognitive si sono sviluppati modelli che scompongono il processo di lettura in una serie di operazioni sequenziali, dall’analisi visiva delle lettere alla produzione della parola (cfr. il modello di lettura standard). Il lettore adotta due strategie di lettura: * La via lessicale (accesso diretto) - * La via fonologica o indiretta Questi modelli sono stati usati per l’interpretazione della dislessia acquisita nell’adulto, ma successivamente sono stati applicati anche nella D.E. Sulla base di questo modello sono stati individuati tre sottotipi di dislessia : La dislessia superficiale in cui è deficitaria la via lessicale ed il lettore legge nello stesso modo le parole e le non parole, senza alcun vantaggio per le parole più frequenti, inoltre non è in grado di leggere le parole irregolari. La dislessia fonologica in cui è deficitaria la via fonologica lessicale ed il lettore usa solo l’accesso diretto per cui ha difficoltà con le parole irregolari e con le non parole. La dislessia profonda in cui sono deficitarie entrambe le vie ed il lettore commette parafasie semantiche (sostituisce parole di significato affine) ed ha maggiori difficoltà con le non parole.
  • 8. L’ approccio clinico: il modello di Boder (1973). Boder, effettuando un’analisi qualitativa delle prestazioni deficitarie della lettura ha individuato due sottotipi di dislessia: La dislessia diseidetica in cui prevale un deficit di tipo visuopercettivo; perciò il bambino incontra maggiori difficoltà nel percepire e/o ricostruire la configurazione della parola scritta. Tipica è la difficoltà significativamente maggiore nella lettura dei caratteri in corsivo rispetto allo stampato maiuscolo. La dislessia disfonetica o disfonologica in cui prevalgono deficit linguistici e fonologici per cui il bambino ha difficoltà prevalenti nelle operazioni metafonologiche: analisi e sintesi delle componenti sublessicali, non riesce cioè ad individuare correttamente i singoli fonemi di una parola o, al contrario, a ricomporre la parola intera partendo dai singoli fonemi. La maggioranza dei bambini dislessici presentano questo secondo tipo.
  • 9. L’ approccio neuropsicofisiologico: il modello dell’equilibrio o Balance model di Bakker (1980). Anche il modello di Bakker si basa sulla distinzione tra compiti e strategie visuo-spaziali e linguistici. Bakker ha identificato, nell’apprendimento della lettura, una 1° fase in cui prevalgono le strategie visuopercettive, ed una 2° fase in cui subentra una predominanza delle strategie linguistiche. Nel passaggio da un processo all’altro si modificherebbe la distribuzione dell’attività cerebrale passando da una prevalenza dell’emisfero destro a quello di sinistra . Nei dislessici si verificherebbe una alterazione di questo equilibrio della attività interemisferica e sulla base di tale ipotesi ha individuato 2 tipi: Dislessici P-type (guidati da strategie percettive)- caratterizzati da lettura molto lenta (parola per parola o sillaba per sillaba) ma corretta e che, ciononostante, non sviluppano i processi di lettura per deficit dei processi linguistici. Dislessici L-type (guidati da strategie linguistiche)- caratterizzati da deficit dei compiti visuopercettivi, per cui leggono più velocemente ma commettono molti errori per un’insufficiente mediazione nel corso della decodifica. Tipicamente effettuano anticipazioni scorrette perché nella lettura “tirano ad indovinare”.
  • 10. DISLESSIA EVOLUTIVA La DE è un disturbo di automatizzazione delle procedure di transcodifica dei segni scritti in corrispondenti fonologici che emerge all’inizio della scolarizzazione in soggetti che non abbiano patologie o traumi cui riferire il deficit (a differenza dei casi di DA). I soggetti con DE incontrano difficoltà:  in compiti di codifica fonologica  nel recupero di informazioni codificate in memoria (recupero lessicale)  nell’utilizzo dei codici fonologici per mantenere l’informazione verbale nella memoria di lavoro Inoltre non raggiungono una sufficiente consapevolezza della struttura fonologica del materiale utilizzato (deficit metafonologico).
  • 11. Sottotipi della DE In riferimento al modello di lettura sono stati identificati due tipi prevalenti: Dislessia fonologica (deficit via fonologica) e Dislessia superficiale (deficit via lessicale); ma diversi studi hanno evidenziato difficoltà nell’individuare profili riconducibili ad un deficit selettivo di una delle due vie nella DE. In particolare nei sistemi ortografici regolari autori tedeschi (Wimmer 1993) hanno proposto di considerare in particolare l’aspetto della velocità di decodifica. Studi recenti condotti in Italia (G.Stella, E.C.Biondino 2001) hanno confermato tale ipotesi e proposto di differenziare una forma di D. severa (<3ds = <1 sill/sec) da una forma di D. mediolieve (<2-3ds = >1<1,6 sill/sec) chiaramente individuabile in 3° elem.
  • 12. Evoluzione del disturbo nel corso del tempo Le ricerche condotte sulla lingua tedesca (Klicpera e Shabmann 1993) avevano evidenziato andamenti molto diversi per la velocità e l’accuratezza: la velocità di lettura tende a crescere anche nei DE ma la distanza dai buoni lettori resta invariata, mentre l’accuratezza migliora progressivamente e tende a raggiungere prestazioni nella norma. Anche in Italia un recente studio ha riscontrato su di un campione significativo un andamento analogo (G.Stella, E.C.Biondino 2001).
  • 13. IL DISTURBO SPECIFICO DI COMPRENSIONE DEL TESTO Questo disturbo è tuttora controverso, infatti, sul piano diagnostico è spesso ricondotto ad altre difficoltà (dist. di linguaggio, di lettura, deficit di memoria o di studio, r.m. lieve) ed anche nei sistemi diagnostici ICD-10 e DSM IV è assimilato al disturbo di lettura Gli studi di psicolinguistica hanno permesso di differenziare nelle componenti della lettura la decodifica (capacità di riconoscere e nominare correttamente le parole del testo) dalla comprensione (capacità di cogliere il significato del testo) ed hanno dimostrato la sostanziale indipendenza fra queste due componenti che richiedono differenti processi cognitivi sottostanti (Pazzaglia,Cornoldi e Tressoldi, 1993). Le abilità necessarie alla comprensione del testo sono di tipo complesso; oltre alla decodifica si richiede: - costruzione della rappresentazione mentale del testo – processi percettivi – conoscenze pregresse – memoria di lavoro – individuazione delle informazioni principali – capacità di trarre inferenze lessicali e semantiche
  • 14. La valutazione del D. S. di Comprensione del testo Valutazione del profilo di comprensione  Prove oggettive di base: Prove MT di comprensione Misure di controllo:  Livello intellettivo generale Svantaggio linguistico Aspetti emotivo – motivazionali Analisi del rapporto con altri apprendimenti:  Decodifica in lettura: Prove MT di correttezza e rapidità Espressione scritta : Batteria per la competenza ortografica Problem solving. Valutazione aspetti sottostanti il processo di comprensione: Comprensione da ascolto – Batteria di prove Q1 (De Beni – MT)  Memoria di lavoro: listening span test  Metacognizione: Prove di metacomprensione (Pazzaglia e a.94)  Vocabolario: Prove multidimensionali di vocabolario (Boschi ’89)  Inferenza nel linguaggio orale: Prova di chiusura verbale (Cornoldi, Soresi 1981)
  • 15. I Disturbi della scrittura: DISGRAFIA - DISORTOGRAFIA Le macrocomponenti della comunicazione scritta (Flowers, Hayes ’81) Il contesto del compito comprende: l’intenzione comunicativa, attivata dallo scopo (argomento e destinatario) ed il testo prodotto. Il processo dello scrivere implica: - memoria di lavoro (recupero informazioni da comunicare) – capacità di organizzazione e pianificazione – la trascrizione (discriminazione e analisi fonemica + componenti ortografica e calligrafica) e – la revisione (lettura, autovalutazione e correzione). La trascrizione è l’aspetto più indagato nell’approccio neuropsicologico la discriminazione fonemica è essenziale nei compiti di dettato (alcune variazioni fonetiche richiedono <100msec) anche se potrà essere poi sostituito dall’associazione tra significato e forma ortografica della parola) e le difficoltà ortografiche sono da considerare il sintomo elettivo del D.S. di Scrittura (DISORTOGRAFIA), mentre le DISORTOGRAFIA difficoltà grafiche sono da ricondurre ai disturbi specifici delle prassie della scittura (DISGRAFIA) . DISGRAFIA
  • 16. I DISTURBI DEL CALCOLO - DISCALCULIE L’architettura del sistema di elaborazione dei numeri e del calcolo Gli studi più recenti, a partire dal modello neuropsicologico modulare di McCloskey, Caramazza e Basili (1985-6) concordano nel sostenere, da un punto di vista cognitivo, l’indipendenza delle abilità di calcolo dal sistema di elaborazione dei numeri . Il modello ipotizza che la rappresentazione mentale della conoscenza numerica sia strutturata in tre moduli: -il sistema di comprensione, che trasforma la struttura superficiale dei numeri (diversa a seconda del codice) in una rappresentazione astratta di quantità; -il sistema del calcolo usa tale rappresentazione come input per manipolarla attraverso il funzionamento di tre componenti: i segni delle operazioni; i fatti aritmetici (tabelline, calcoli semplici e risultati memorizzati cui si accede senza esguire l’algoritmo di soluzione) e le procedure di calcolo (regole per l’esecuzione dell’algoritmo); - i meccanismi di produzione che forniscono l’output del sistema di calcolo, le risposte numeriche
  • 17. I DISTURBI DEL CALCOLO - DISCALCULIE Il modello di McClosKey e coll. è stato costruito sulla base delle prestazioni di adulti traumatizzati che avevano perso selettivamente una o più di queste componenti, ma si è rivelato molto utile nello studio delle abilità dei bambini, pur in considerazione del processo di acquisizione delle abilità di base relative ai numeri e al calcolo. Temple (1992) è giunta a definire la DISCALCULIA EVOLUTIVA come un disturbo delle abilità numeriche ed aritmetiche che si manifesta in bambini di intelligenza normale, che non hanno subito danni neurologici e può presentarsi associato alla dislessia o in modo indipendente.
  • 18. Le difficoltà pratiche nella diagnosi dei DSA 1 – Distinguere i disturbi in questione dalle normali variazioni nel rendimento scolastico. – È un momento transitorio di difficoltà nell’apprendimento? – Esprime un diverso disagio scolastico da definire? 2 – Occorre considerare l’età del soggetto e la fase dello sviluppo. – È indispensabile definire la gravità (ritardo prestazionale in relazione all’età) ed il cambiamento delle caratteristiche del disturbo, perché lo stesso deficit evolve e la sua espressione cambia con il progredire dell’età.
  • 19. Le difficoltà pratiche nella diagnosi dei DSA 3- Le abilità scolastiche non sono una semplice funzione della maturazione neurobiologica: devono essere imparate ed insegnate. – Il livello di capacità dipende anche dalla situazione familiare e scolastica: il bambino ha avuto tutte le oppurtunità di apprendimento? 4 – I modelli teorici forniscono una traccia delle possibili anomalie dello sviluppo, ma non è semplice differenziare nel singolo bambino le anomalie che causano le difficoltà prestazionali: il singolo disturbo può essere dovuto a più anomalie dei processi neuropsicologici e cognitivi.
  • 20. Le difficoltà pratiche nella diagnosi dei DSA 5 – Esistono tuttora diverse incertezze sul modo di suddividere i disturbi specifici delle abilità scolastiche e sui rapporti tra queste ed altre difficoltà dello sviluppo. Spesso i DSA si presentano associati ad altre sindromi cliniche evolutive: – – – – – deficit attentivi e sindromi ipercinetiche, disturbi della condotta, disprassia (dist. evol. della funzione motoria), disturbi del linguaggio, difficoltà relazionali e disarmoniedello sviluppo…..