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News 51/SA/2017
Lunedì, 18 dicembre 2017
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.50 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 50 (7 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano notificati: dall’Italia per aflatossine in
chicchi di mandorle amare provenienti dal Uzbekistan, via Turchia, per aflatossine in
nocciole sgusciate provenienti dalla Georgia, per riduttore di solfito di Clostridium in
funghi in salamoia provenienti dalla Cina e per aflatossine in nocciole sgusciate
provenienti dall’ Azerbaijan, via Georgia; dalla Croazia per alto livello di
acrilammide in snacks provenienti dall’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e per
alto livello di acrilammide in biscotti provenienti dalla Serbia; dalla Finlandia per
Salmonella enterica ser. Chester e Salmonella enterica ser. Rubislaw in foglia
pandang proveniente dalla Tailandia; dall’Olanda per Salmonella in preparazione
di carne di pollo congelato proveniente dal Brasile, per Salmonella in preparazione
a base di carne di pollame proveniente dal Brasile, per dimetoato e fipronil in fagioli
di valore provenienti dalla Repubblica Dominicana, per Escherichia coli produttrice
di shigatossine in carne di manzo refrigerata proveniente dall’Argentina, per
Salmonella in frozen chicken meat preparation from Brazil; dalla Germania per
aflatossine in pistacchi in guscio provenienti dall’Iran, per Salmonella, Salmonella
enterica ser. Saintpaul and Salmonella enterica ser. San Diego in interiora di agnello
provenienti dalla Turchia, per Salmonella in mezzi petti di pollo congelato con brodo
provenienti dal Brasile e per aflatossine in nocciole intere provenienti dalla Turchia;
dalla Spagna per contenuto troppo alto di solfiti in albicocche provenienti dalla
Turchia e per ocratossina A in uva sultanina proveniente dalla Turchia; dalla
Slovacchia per aflatossine in chicchi di nocciola provenienti dalla Turchia; dal
Regno Unito per Salmonella enterica ser. Enteritidis in filetti di petto di pollo
congelato provenienti dalla Tailandia; dalla Croazia per aflatossine in gherigli di
noce provenienti dalla Serbia; dall’ Austria per acetamipride e imidacloprid e
sostanze non autorizzate tolfenpirad, antrachinone, triazofos e isocarbophos in tè
verde; dal Belgio per certificati sanitari fraudolenti per condroitina solfato
proveniente dalla Cina; dall’Ungheria per Salmonella in carne di manzo macinata
refrigerata proveniente dalla Croazia, con materia prima proveniente dalla Polonia;
dalla Grecia per Salmonella in semi di sesamo provenienti dal Sudan.
Allerta notificati dall’ Italia: per norovirus (present) in ostriche vive provenienti dalla
Francia e per diclorometano (DCM) in acqua minerale naturale proveniente
dall’Italia.
Allerta notificati: dalla Danimarca per 3-monocloro-1,2-propanediolo (3-MCPD) in
olio di palma proveniente dalla Germania; dall’Olanda per arachidi non dichoarate
nella barretta di burro di arachidi al cioccolato proteico proveniente dagli Stati Uniti;
dalla Germania per Salmonella in cioccolato bianco con mirtilli provenienti dalla
Polonia; dalla Polonia per idrocarburi policiclici aromatici in clorella in polvere di
origine sconosciuta; dalla Svezia per non dichiarati arachidi, ingrediente di latte e
soia (lecitina di soia) in caramelle di origine sconosciuta, via Danimarca; dalla
Francia per Salmonella in prosciutto crudo salato refrigerato confezionato
sottovuoto proveniente dalla Francia; dal Belgio per Salmonella enterica ser.
Enteritidis in parti di pollo refrigerato proveniente dal Belgio.
Nella lista delle informative troviamo notificate: dall’ Italia per mercurio in pesce
spada congelato e in pesce spada scongelato proveniente dalla Spagna; dalla
Svezia per Salmonella in carne di manzo macinata proveniente dalla Polonia,
trasformata in Olanda; dall’ Irlanda per migrazione di olio di soia epossidato (ESBO)
dai coperchi di barattoli di vetro contenenti grasso di anatra provenienti dalla
Francia, via Regno Unito e da coperchi di barattoli di vetro contenenti paté di
maiale provenienti dal Regno Unito; dalla Danimarca per aflatossine in fichi secchi
provenienti dalla Turchia, per alto contenuto di zinco in integratori alimentari
provenienti dalla Svizzera, Francia e di origine sconosciuta; dalla Germania per
Escherichia coli produttrice di shigatossine in carne di canguro refrigerata
proveniente dall’Australia, per migrazione di dimetil ftalato (DMP) da cannucce
fluorescenti provenienti dalla Cina e per aflatossine in arachidi kernels parzialemente
sbollentate provenienti dall’Argentina; dall’Olanda per fipronil in uova provenienti
dalla Polonia; dal Belgio per non autorizzato nuovo cibo fave tonka provenienti
dalla Francia.
Fonte: rasff.eu
Gli italiani a tavola: un popolo di tradizionalisti che non è pronto a cambiare
abitudini. La cucina etnica snobbata da metà dei cittadini. Lo studio Demos
analizzato da Teatro Naturale.
Gli italiani restano tradizionalisti in cucina. Secondo uno studio Demos per la
fondazione Barilla Center for Food and Nutrition, tre quarti degli intervistati non si
sento pronti a cambiare abitudini alimentari e preferiscono il cibo italiano. Ne parla
un articolo di Teatro Naturale che ripubblichiamo con piacere.
Quanto cibo “etnico”, è entrato a far parte a tutti gli effetti della alimentazione dei
Paesi occidentali? In Germania, Francia, Italia e Spagna, a fronte di un mercato
alimentare che vale complessivamente 321 miliardi di euro, la quota cosiddetta
“etnica” relativa agli alimenti per uso domestico ammonta a circa tre miliardi di
euro. Un risultato cui hanno contribuito probabilmente sia i flussi migratori, che
stanno contribuendo a cambiare in qualche misura anche le nostre abitudini
alimentari, sia la costante ricerca di nuovi sapori da parte dei cuochi, dei produttori
alimentari e degli stessi consumatori locali. Ma noi italiani siamo davvero così pronti
ad allargare le nostre abitudini a tavola? Demos ha realizzato con la Fondazione
Barilla for Food & Nutrition uno studio, presentato in occasione dell’8° Forum
Internazionale su Alimentazione & Nutrizione di BCFN, per capire come stanno
cambiando le nostre abitudini alimentari.
L’80% circa degli intervistati non mangia mai, o lo fa raramente, piatti etnici
Ebbene, un italiano su due pensa che da qui a 10 anni sulle nostre tavole sarà
visibile, molto o moltissimo, questo cambiamento. Questa percezione di
cambiamento prevale soprattutto tra gli over 65 (61,4% della fascia d’età in esame)
e tra le donne (60,5%). Sono loro, in buona parte, a determinare questo risultato. Di
contro, sono i più giovani (15-24 anni) a percepire meno di tutti questo
cambiamento futuro (38,5% del campione in questa fascia). Le ragioni di questa
differente percezione tra persone più e meno giovani potrebbero essere presto
spiegate: se da una parte i giovani sono stati esposti fin dalla nascita alla presenza
di cibi di altre culture, essi sono anche gli attori che vivono maggiormente questo
cambiamento, tanto da non percepirlo, gli over 65 – che in passato dovrebbero già
aver assistito a qualcosa di simile – potrebbero, invece, percepire con maggiore
lucidità l’avvicinarsi di novità pronte ad affermarsi anche a tavola. Se andiamo poi
ad approfondire meglio questo dato scopriamo, a riprova di quanto detto, che gli
stessi giovani sono la parte più rilevante del campione che è più aperto al cibo
etnico e che ne consuma di più (tre su quattro dichiarano di andare in ristoranti
etnici).
Quali i fattori che influiranno di più? Nella percezione degli italiani intervistati, le
variabili che maggiormente influenzeranno sulle scelte alimentari da qui ai prossimi
10 anni, saranno i “cambiamenti climatici” (citati dal 79,6% del campione), seguiti
dai “prezzi delle materie prime” (78,2%) e dai “social media” (70,4%). In questa
ipotetica graduatoria le “migrazioni e i contatti con le nuove culture” si fermano al
penultimo posto, indicate “solo” dal 65,6% del campione.
Solo a un italiano su tre piace provare nuovi ristoranti di cucina etnica
Ancora più interessante è notare in “come” e in “cosa” questi cambiamenti di
abitudini alimentari si tradurranno sempre nei prossimi 10 anni. Per il 69,8%
aumenterà il “consumo di cibi biologici”, per il 63,2% quello dei “cibi funzionali”
(ossia i senza glutine, senza lattosio, ecc.) e per il 59,7% i “cibi a Km 0”. L’aumento
dei “cibi etnici” si ferma al 47,4%, ben distante, peraltro, dalle altre categorie di
risposte (anche se meglio piazzato rispetto a quelli che molti considerano come i
“cibi del futuro”, ossia “cibi esotici, come gli insetti”, che arrivano appena al 25,2%).
Questi dati fanno pensare che gli italiani siano piuttosto radicati rispetto alle proprie
abitudini alimentari. Non a caso chi crede maggiormente nella possibilità di
diffusione dei cibi etnici sono soprattutto gli studenti, gli stessi che non vedevano
molto i cambiamenti.
Ma che gli italiani, a tavola, siano un popolo di “nazionalisti”, lo conferma sempre la
ricerca Demos-BCFN. È la preferenza per il nostro cibo, infatti, che sembra mettere
d’accordo un po’ tutti, soprattutto a partire dai 34 anni in su. Circa tre intervistati su
quattro, infatti, confermano che “si sentono a loro agio solo quando mangiano cibo
italiano”, “si sentono sicuro solo quando mangiano cibo italiano” e affermano di
“mangiare solo cibo italiano”. Non sarà un caso dunque notare che circa il 50% del
campione non va mai in ristoranti etnici, non compra cibo da asporto etnico né lo
cucina. Eppure, è anche interessante notare che molte di queste posizioni possono
essere dettate da una scarsa conoscenza delle altre cucine (tre italiani su quattro
“non ricercano cibi nuovi e diversi” e solo il 34,9% del campione afferma di
“apprezzare i cibi di culture differenti”). Non stupisce neppure che, dovendo citare
la cucina etnica preferita, quasi allo stesso modo (41,8% e 41,2%) gli intervistati
trovino naturale citare quella cinese e quella giapponese, che sono anche le
cucine cosiddette “etniche” presenti ormai da più tempo e in maniera capillare sul
territorio italiano. Insomma, italiani aperti al cambiamento a tavola ma… con
moderazione.
di C.S. – Teatro Naturale
Fonte immagini: Demos – Fondazione Barilla
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
La scritta senza glutine sull’etichetta di molti alimenti è fuori legge e ingannevole. Lo
spiega l’avvocato Dario Dongo.
Proponiamo un estratto dell’articolo “Senza Glutine? Senza esagerare” di Dario
Dongo, esperto di diritto alimentare, pubblicato sul sito Gift (Great Italian Food
Trade) che spiega perché su molte confezioni viene proposta in modo scorretto
questa dicitura.
“Senza glutine” è un leitmotiv che compare ormai sulle etichette di molti cibi e
persino sulle bevande, al di là delle logiche che in origine ne ispirarono l’impiego. A
volte la scritta risulta anche in contrasto con le regole in tema di etichettatura dei
prodotti alimentari. La celiachia, intolleranza cronica al glutine, è una malattia
endemica che colpisce quote variabili dall’1 al 2%, a seconda delle regioni – della
popolazione. L’unica cura a tutt’oggi disponibile per i pazienti celiaci è una dieta
rigorosamente senza glutine.
Le associazioni dei pazienti – tra le quali spicca AIC, Associazione Italiana per la
Celiachia – hanno profuso straordinari impegni, nel corso degli ultimi decenni, per
garantire un’esistenza sicura e serena ai celiaci e alle loro famiglie. Si sono battute,
tali associazioni, nei diversi contesti:
– a livello regolatorio, per garantire la presenza di informazioni appropriate e ben
visibili sulle etichette degli alimenti (1 e 2);
– presso le industrie, incoraggiando a sviluppare linee di prodotti destinati ai celiaci;
– nei pubblici esercizi (ristoranti, pizzerie, alberghi, gelaterie, laboratori artigiani),
promuovendo l’effettiva applicazione dell’autocontrollo onde prevenire
contaminazioni accidentali;
– in ambito di sanità pubblica, per diffondere consapevolezza e promuovere la
diagnostica (3). Oltreché per garantire assistenza sanitaria adeguata, e garantire ai
celiaci l’erogazione gratuita di prodotti alimentari consoni alle loro specifiche
esigenze dietetiche (4);
– a livello scientifico, sostenendo la ricerca scientifica necessaria ad affrontare le
diverse condizioni dei pazienti e promuovere la loro salute;
“La dieta senza glutine non è una moda!”, ribadisce da anni l’Associazione Italiana
per la Celiachia (AIC). I celiaci non hanno scelte, eliminare questa proteina è per
loro un salvavita, l’unica terapia possibile. Ma il 99% dei consumatori prova interesse
verso i prodotti gluten-free nella convinzione che essi siano in qualche modo
favorevoli per il benessere, o il dimagrimento. Tucco ciò è falso (5). Il 10% della
popolazione europea, 6 milioni di consumatori in Italia, segue una dieta senza
glutine senza alcuna ragione. Un prodotto “senza glutine” su tre viene consumato
da non-celiaci che si illudono così di dimagrire o migliorare la forma fisica (!). Salvo
invece sprecare, solo in Italia, più di 100 milioni di euro per l’acquisto di alimenti di
cui non si ha alcun bisogno (6).
Alcune bevande indicano sull’etichetta la frase senza glutine su prodotti che non hanno mai avuto la proteina tra gli
ingredienti
Come si spiega questo fenomeno? Semplicemente con la viral deception, la
strategia dell’inganno virale che viene portato avanti da Big Food. Da numerosi anni
è in auge l’offerta di prodotti gluten-free, che consentono di risparmiare sui costi di
produzione – sostituendo ai cereali pregiati (come il grano) quelli più economici
(come il mais) – e al contempo permette di aumentare i prezzi. Le campagne sono
anche supportate da alcune star internazionali, che celebrano la dieta senza
bisogno. Da Lady Gaga a Victoria Beckham, Gwyneth Paltrow, Kim Kardashian, la
viral deception si propaga su centinaia di milioni di follower attraverso i social
network. E il lucroso business cresce. Il glutine è invece una proteina preziosa,
presente nei cereali che hanno nutrito le popolazioni europee a partire dal
Neolitico, ed è un campione di sostenibilità, grazie a un’impronta idrica e
ambientale ben inferiore ad altre fonti proteiche.
Gli alimenti “senza glutine” e “a ridotto tenore di glutine”, un tempo qualificati come
“alimenti destinati a un’alimentazione particolare”, sono ora soggetti alle regole
previste per gli alimenti di uso corrente (7). Il regolamento UE 828/2014, “relativo alle
prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla
sua presenza in misura ridotta negli alimenti”, ha confermato le soglie di tolleranza
già definite (8). Introducendo altresì la possibilità di riportare in etichetta, al ricorrere
delle condizioni previste, alcune apposite diciture facoltative.
La dicitura “specificamente formulato per celiaci” o “specificamente formulato per
persone intolleranti al glutine”, (9) può venire utilizzata nell’etichettatura degli
“alimenti sostitutivi”. Vale a dire, i prodotti tradizionalmente realizzati con ingredienti
a base di glutine (es. pasta, pane, etc.), i quali siano stati sostituiti con altre materie
prime naturalmente prive di glutine ovvero con ingredienti “de-glutinati”.
“La dieta senza glutine non è una moda!”, ribadisce da anni l’Associazione Italiana per la Celiachia (AIC)
“Un alimento contenente ingredienti naturalmente privi di glutine dovrebbe inoltre
poter recare un’etichettatura indicante l’assenza di glutine, in conformità delle
disposizioni di cui al presente regolamento, purché siano rispettate le condizioni
generali sulle pratiche leali di informazione di cui al regolamento (UE) n. 1169/2011.
In particolare le informazioni sugli alimenti non dovrebbero indurre in errore
suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti
gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche.” (reg. UE 828/14)
Nel caso di alimenti ove in genere non si riscontra la presenza di glutine – perché
assente in natura nei loro ingredienti essenziali e caratteristici – la regola è cristallina:
– se un cereale contenente glutine è presente (o può esserlo, a causa di
contaminazione accidentale che non si sia in grado di escludere, pure a seguito del
doveroso autocontrollo), si deve citare lo specifico cereale contenente glutine in
lista ingredienti (ove del caso preceduto la dicitura “può contenere”),
– non è viceversa ammesso il vanto “senza glutine”, poiché tale caratteristica è
comune agli altri prodotti simili. È anzi espressamente vietato attribuire a un prodotto
caratteristiche comuni agli altri alimenti che appartengono alla stessa categoria.
(11)
È dunque ora di farla finita con le diciture gluten-free su una moltitudine di prodotti
che con i cereali contenenti glutine hanno poco o nulla a che fare, dai latticini ai
succhi di frutta, le carni e le caramelle. “Senza glutine”? Ci mancherebbe altro!
(Articolo di Dario Dongo)
Note
(1) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 21 e Allegato II. NB: è doveroso specificare la presenza dei singoli
cereali, per tutelare anche i consumatori allergici a ciascuno di essi. Si vedano, al proposito, le recenti
Linee Guida della Commissione europea, su https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/allergeni-
linee-guida
(2) V. reg. UE 1169/11, articolo 44.1.a. Rimane da chiedersi, a tale riguardo, perché le regole europee
vengano tuttora violate dalla quasi totalità dei pubblici esercenti. E perché le autorità sanitarie non
provvedano ai doverosi controlli e sanzioni
(3) L’AIC stima che i celiaci in Italia siano 600.000, di cui solo 190.000 diagnosticati. Vale a dire che il
70% dei celiaci non è consapevole della propria condizione di salute
(4) Attualmente, in Italia, vengono erogati prodotti fino a un tetto massimo mensile di circa 90€ a
paziente
(5) Sono invece state espresse preoccupazioni verso l’adozione di diete senza glutine al di fuori dei
casi strettamente necessari, in una recente ricerca dell’Università di Harvard
(6) Il mercato dei prodotti gluten-free in Italia ha registrato nel 2016 una crescita del 27% rispetto
all’anno precedente. Per un valore complessivo di 320 milioni di euro, di cui solo 215 sono stati spesi
da pazienti con diagnosi (dati Nielsen presentati da AIC a maggio 2017, in occasione della Settimana
della celiachia)
(7) Cfr. reg. UE 609/2013, in vigore dal 20.7.16
(8) 20 ppm e 100 ppm, rispettivamente, per le diciture “senza glutine” e “a ridotto tenore di glutine”
(9) Il decreto del Ministero della Salute 17.5.16 ha poi chiarito che, ai fini dell’inserimento degli alimenti
senza glutine nel registro dei prodotti erogabili ai celiaci, è necessario che essi riportino in etichetta
tali apposite indicazioni
(10) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c
Dario Dongo, FARE (info@fare.email)
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Madagascar. Firmato accordo di finanziamento da 53 milioni di dollari con l’IFAD
per la sicurezza alimentare.
di David Florentin Paqui * –
Un nuovo accordo finanziario, firmato oggi tra il Fondo Internazionale per lo Sviluppo
Agricolo (IFAD) e il Madagascar, farà aumentare in modo sostenibile i redditi, la
sicurezza alimentare e la qualità dell’alimentazione per 320.000 famiglie rurali
malgasce in otto regioni situate nella parte meridionale del paese.
L’accordo per il Programma per lo sviluppo di catene del valore agricole inclusive
(DEFIS) è stato firmato a Roma da Gilbert F. Houngbo, presidente dell’IFAD, e da
Harison Edmond Randriarimanana, ministro dell’agricoltura e dell’allevamento del
Madagascar.
Il valore complessivo del progetto è di 250 milioni di dollari, e comprende un prestito
di 26,5 milioni di dollari e una donazione di 26,5 milioni di dollari da parte dell’IFAD. Il
progetto sarà cofinanziato dal governo del Madagascar (33,7 milioni di dollari),
dalla Banca Africana di Sviluppo (50 milioni di dollari), dal Fondo per lo sviluppo
internazionale dell’OPEC (20 milioni di dollari), dal Fondo Verde per il clima (15 milioni
di dollari) e dai beneficiari stessi del progetto (14,3 milioni di dollari). I restanti 64
milioni di dollari potrebbero essere forniti da successivi stanziamenti di risorse da
parte dell’IFAD o da altri partner finanziari da individuare durante l’attuazione del
DEFIS. Il programma sarà attuato in un periodo di 10 anni, per poter fornire un
sostegno finanziario stabile e prevedibile ai produttori.
In Madagascar, nonostante la grande biodiversità e la varietà delle colture, la dieta
del 76 per cento della popolazione non arriva a coprire il requisito energetico
minimo di 2133 kilocalorie al giorno. L’incidenza della malnutrizione cronica nei
bambini sotto i cinque anni è tra le più alte al mondo, mentre il tasso di povertà nelle
aree rurali supera l’80 per cento. Gli scarsi investimenti nell’agricoltura e nelle aree
rurali sono tra le cause principali della povertà, dell’insicurezza alimentare e della
qualità inadeguata dell’alimentazione in Madagascar.
Sostenendo i sistemi nazionali per lo sviluppo agricolo (Fonds de développement
agricole, Chambre d’agriculture, Centre de services agricole ecc.), il DEFIS
contribuirà all’impegno per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile
riproducendo su scala più vasta programmi rivelatisi efficaci nel paese, tra quelli
finanziati dall’IFAD e dai suoi partner in Madagascar. Tra questi vanno annoverati
anche i risultati ottenuti concentrando gli investimenti in poli produttivi selezionati,
per facilitare la fornitura di servizi agricoli, la concentrazione dei prodotti e l’accesso
ai mercati; rafforzando e sostenendo le istituzioni nazionali di agricoltori che si
occupano di fornire servizi agricoli; e promuovendo l’istituzione di partenariati e di
accordi contrattuali tra agricoltori e imprese del settore privato.
Per aumentare la produttività delle piccole imprese agricole e per collegarle meglio
con i mercati, il nuovo programma concentrerà i suoi investimenti su otto catene del
valore prioritarie: riso, mais, manioca, arachidi, caffè, cipolle, piccoli ruminanti e
miele, con tre prodotti prioritari selezionati in ogni regione. Inoltre, il DEFIS investirà
nella promozione del sorgo per aumentare la capacità di resilienza dei sistemi
produttivi dei piccoli agricoltori nelle zone semiaride delle regioni più meridionali del
paese, particolarmente vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico.
Ci si aspetta che il DEFIS, tra altri risultati, riabiliti 20.000 ettari di sistemi di irrigazione
esistenti, sviluppi 8000 ettari di nuovi sistemi di irrigazione e apporti piccole migliorie
su 7000 ettari. Sosterrà inoltre la costruzione di 300 punti di approvvigionamento
d’acqua e di 50 bacini idrici sotterranei per i piccoli ruminanti.
Inoltre, il DEFIS renderà possibile la formazione di fornitori di servizi finanziari che
operino nell’area del programma, mettendoli in condizione di sviluppare e
diffondere su scala più vasta prodotti e servizi finanziari adeguati alle necessità dei
piccoli agricoltori. Realizzerà anche infrastrutture per immagazzinare i raccolti e per
accedere ai mercati. Queste comprenderanno 490 magazzini, 45 centri di raccolta,
50 mercati locali, nonché 800 km di strade rurali riabilitate. Il programma contribuirà
anche a mitigare i rischi del cambiamento climatico e ambientali, garantendo che
gli investimenti e le nuove infrastrutture siano adeguati agli standard ambientali.
Dal 1979, l’IFAD ha finanziato 16 programmi e progetti di sviluppo rurale in
Madagascar, con un investimento da parte del Fondo pari a 329,5 milioni di dollari,
o a 885,4 milioni di dollari considerando anche i cofinanziamenti, a beneficio di oltre
un milione di famiglie rurali.
* Regional Communications Officer.
Fonte: http://www.notiziegeopolitiche.net
Walmart, JD.com, IBM e Università di Tsinghua: alleanza blockchain per la sicurezza
del cibo in Cina.
Collaborazione per applicare la tecnologia blockchain per la tracciabilità del cibo
e dare assistenza ai consumatori offline e online
Walmart, JD.com, IBM e il laboratorio ingegneristico nazionale di tecnologie E-
commerce dell’Università di Tsinghua hanno annunciato che lavoreranno insieme a
una blockchain per la sicurezza alimentare, il cui primo passo vedrà una
collaborazione atta a ottimizzare la tracciabilità e la sicurezza del cibo in Cina e a
ottenere una maggior trasparenza nell’ambito della supply chain alimentare.
Le quattro aziende lavoreranno insieme per creare un metodo basato su standard
di raccolta dati circa l’origine, la sicurezza e l’autenticità del cibo, utilizzando la
tecnologia blockchain per fornire tracciabilità in tempo reale attraverso la supply
chain. Ciò favorirà l’affidabilità e darà ai fornitori, ai regolatori e ai consumatori una
miglior comprensione e trasparenza relativamente a come il cibo è gestito dal
produttore al consumatore. Ciò è stato tradizionalmente una sfida a causa di sistemi
di condivisione dati complessi e frammentari che sono spesso cartacei e soggetti a
errore.
Walmart, JD, IBM e l’Università di Tsinghua lavoreranno con i fornitori e i regolatori
della supply chain alimentare per sviluppare gli standard, le soluzioni e le
collaborazioni per abilitare la creazione ad ampio raggio di un ecosistema di
sicurezza alimentare in Cina. IBM fornirà la propria piattaforma Blockchain e la
propria esperienza, mentre l’Università di Tsinghua fungerà da consulente tecnico,
mettendo a disposizione le proprie conoscenze nelle tecnologie chiave e
nell’ecosistema di sicurezza alimentare in Cina. IBM e Tsinghua collaboreranno con
Walmart e JD per sviluppare, ottimizzare e distribuire la tecnologia a fornitori e
rivenditori che si uniscano all’alleanza.
Da leader mondiale nella sicurezza alimentare globale, Walmart lavora a stretto
contatto con fornitori, regolatori, partner industriali e la comunità di ricerca in tutto il
mondo. In Cina investe molto nella ricerca sulla sicurezza alimentare attraverso il
Centro di Collaborazione e Sicurezza Alimentare Walmart e ha promosso la sicurezza
alimentare sia tramite la propria rete di fornitori sia lavorando con JD, che ha una
ricca esperienza su tutti i canali di commercializzazione alimentare. I due sono stati
in grado di fare leva sull’esperienza di JD nell’impiego di intelligenza artificiale (IA),
Blockchain, Big Data e altre nuove tecnologie a protezione dei consumatori.
Questa collaborazione, segue l’annuncio fatto nell’agosto scorso tra IBM e Walmart
circa un nuovo consorzio a favore della sicurezza alimentare, e porta l’esperienza di
IBM relativa alla blockchain nella sicurezza alimentare fino in Cina. IBM, Walmart e
l’Università di Tsinghua hanno testato l’utilizzo della blockchain per tracciare prodotti
alimentari, come la carne di maiale in Cina e il mango negli Stati Uniti, lungo tutti i
loro spostamenti attraverso la supply chain per raggiungere gli scaffali dei negozi. Un
recente collaudo di Walmart ha mostrato che l’applicazione della blockchain ha
ridotto il tempo necessario a tracciare il percorso di una confezione di mango dalla
fattoria al negozio da giorni o settimane a due secondi.
“Da sostenitore globale della sicurezza alimentare ottimizzata, Walmart si compiace
di poter approfondire il suo lavoro con IBM, l’Università Tsinghua, JD e gli altri
protagonisti della supply chain alimentare. Attraverso la collaborazione, la
standardizzazione e l’adozione di nuove e innovative tecnologie, possiamo
migliorare efficacemente la tracciabilità e la trasparenza e aiutare ad assicurare a
tutti che il sistema alimentare mondiale rimanga sicuro,” ha detto Frank Yiannas,
Vicepresidente responsabile di sicurezza e salute alimentare di Walmart.
“La partnership con IBM, l’Università di Tsinghua e Walmart, tutti leader mondiali in
tracciabilità, dà ai nostri consumatori e alle aziende un’affidabilità impareggiabile”,
ha detto Yongli Yu, Presidente dell’unità di ricerca sulla commercializzazione
alimentare di JD-Y e JD.com. “In tutto il mondo, in particolare in Cina, i consumatori
vogliono sempre più sapere da dove venga il cibo che comprano e JD si è
dedicato all’uso della tecnologia per promuovere la completa trasparenza.”
“Blockchain risulta incredibilmente promettente nella realizzazione della trasparenza
di cui si ha bisogno per promuovere la sicurezza alimentare lungo tutta la supply
chain. Questo è un motivo fondamentale per cui IBM crede tanto fermamente
nell’impatto che questa tecnologia avrà sui modelli di business”, ha detto Bridget
van Kralingen, Vicepresidente Senior, Piattaforme Industriali IBM. “Estendendo il
nostro lavoro di sicurezza alimentare con Walmart e l’Università di Tsinghua in Cina e
aggiungendo nuovi collaboratori come JD.com, la tecnologia porta la tracciabilità
e la trasparenza a più ampie reti di partecipanti della supply chain alimentare.”
“L’Università di Tsinghua si impegna nella ricerca approfondita sulla sicurezza
alimentare -una delle aree più importanti per migliorare la qualità della vita in Cina
e anche nel resto del mondo. Stiamo già lavorando con IBM e Walmart per creare
un nuovo modello di tracciabilità del cibo, utilizzando blockchain per favorire la
trasparenza e l’affidabilità della supply chain e vediamo questa nuova
cooperazione come un passo importante in questo tentativo”, ha detto il Professor
Yueting Chai dal Laboratorio Ingegneristico Nazionale per le Tecnologie di E-
Commerce, Università di Tsinghua.
La collaborazione è atta ad assicurare la privacy dei dati dei proprietari dei marchi,
mentre li si aiuta ad integrare la loro tracciabilità online e offline per la sicurezza
alimentare e i canali di gestione della qualità. Le aziende che si uniscono
all’alleanza saranno in grado di condividere informazioni utilizzando la tecnologia
blockchain, e i piani includono la libertà di scelta della soluzione di tracciabilità
basata sullo standard che più si confaccia ai propri bisogni e sistemi legacy. Ciò
porterà a sua volta maggior trasparenza alla supply chain e introdurrà nuove
tecnologie per il settore della vendita al dettaglio, progettate per creare un
ambiente alimentare più sicuro e ottimizzare l’esperienza del consumatore.
Gli spunti tratti dal lavoro in Cina faranno luce su come la tecnologia blockchain
possa aiutare a migliorare processi, quali richiami e verifiche, e sviluppare la fiducia
del cliente grazie alla maggior trasparenza.
Fonte: datamanager.it

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NEWS SA 51 2017

  • 1. News 51/SA/2017 Lunedì, 18 dicembre 2017 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.50 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 50 (7 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano notificati: dall’Italia per aflatossine in chicchi di mandorle amare provenienti dal Uzbekistan, via Turchia, per aflatossine in nocciole sgusciate provenienti dalla Georgia, per riduttore di solfito di Clostridium in funghi in salamoia provenienti dalla Cina e per aflatossine in nocciole sgusciate provenienti dall’ Azerbaijan, via Georgia; dalla Croazia per alto livello di acrilammide in snacks provenienti dall’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e per alto livello di acrilammide in biscotti provenienti dalla Serbia; dalla Finlandia per Salmonella enterica ser. Chester e Salmonella enterica ser. Rubislaw in foglia pandang proveniente dalla Tailandia; dall’Olanda per Salmonella in preparazione di carne di pollo congelato proveniente dal Brasile, per Salmonella in preparazione a base di carne di pollame proveniente dal Brasile, per dimetoato e fipronil in fagioli di valore provenienti dalla Repubblica Dominicana, per Escherichia coli produttrice di shigatossine in carne di manzo refrigerata proveniente dall’Argentina, per Salmonella in frozen chicken meat preparation from Brazil; dalla Germania per aflatossine in pistacchi in guscio provenienti dall’Iran, per Salmonella, Salmonella enterica ser. Saintpaul and Salmonella enterica ser. San Diego in interiora di agnello provenienti dalla Turchia, per Salmonella in mezzi petti di pollo congelato con brodo provenienti dal Brasile e per aflatossine in nocciole intere provenienti dalla Turchia; dalla Spagna per contenuto troppo alto di solfiti in albicocche provenienti dalla Turchia e per ocratossina A in uva sultanina proveniente dalla Turchia; dalla Slovacchia per aflatossine in chicchi di nocciola provenienti dalla Turchia; dal Regno Unito per Salmonella enterica ser. Enteritidis in filetti di petto di pollo congelato provenienti dalla Tailandia; dalla Croazia per aflatossine in gherigli di noce provenienti dalla Serbia; dall’ Austria per acetamipride e imidacloprid e sostanze non autorizzate tolfenpirad, antrachinone, triazofos e isocarbophos in tè verde; dal Belgio per certificati sanitari fraudolenti per condroitina solfato
  • 2. proveniente dalla Cina; dall’Ungheria per Salmonella in carne di manzo macinata refrigerata proveniente dalla Croazia, con materia prima proveniente dalla Polonia; dalla Grecia per Salmonella in semi di sesamo provenienti dal Sudan. Allerta notificati dall’ Italia: per norovirus (present) in ostriche vive provenienti dalla Francia e per diclorometano (DCM) in acqua minerale naturale proveniente dall’Italia. Allerta notificati: dalla Danimarca per 3-monocloro-1,2-propanediolo (3-MCPD) in olio di palma proveniente dalla Germania; dall’Olanda per arachidi non dichoarate nella barretta di burro di arachidi al cioccolato proteico proveniente dagli Stati Uniti; dalla Germania per Salmonella in cioccolato bianco con mirtilli provenienti dalla Polonia; dalla Polonia per idrocarburi policiclici aromatici in clorella in polvere di origine sconosciuta; dalla Svezia per non dichiarati arachidi, ingrediente di latte e soia (lecitina di soia) in caramelle di origine sconosciuta, via Danimarca; dalla Francia per Salmonella in prosciutto crudo salato refrigerato confezionato sottovuoto proveniente dalla Francia; dal Belgio per Salmonella enterica ser. Enteritidis in parti di pollo refrigerato proveniente dal Belgio. Nella lista delle informative troviamo notificate: dall’ Italia per mercurio in pesce spada congelato e in pesce spada scongelato proveniente dalla Spagna; dalla Svezia per Salmonella in carne di manzo macinata proveniente dalla Polonia, trasformata in Olanda; dall’ Irlanda per migrazione di olio di soia epossidato (ESBO) dai coperchi di barattoli di vetro contenenti grasso di anatra provenienti dalla Francia, via Regno Unito e da coperchi di barattoli di vetro contenenti paté di maiale provenienti dal Regno Unito; dalla Danimarca per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Turchia, per alto contenuto di zinco in integratori alimentari provenienti dalla Svizzera, Francia e di origine sconosciuta; dalla Germania per Escherichia coli produttrice di shigatossine in carne di canguro refrigerata proveniente dall’Australia, per migrazione di dimetil ftalato (DMP) da cannucce fluorescenti provenienti dalla Cina e per aflatossine in arachidi kernels parzialemente sbollentate provenienti dall’Argentina; dall’Olanda per fipronil in uova provenienti dalla Polonia; dal Belgio per non autorizzato nuovo cibo fave tonka provenienti dalla Francia. Fonte: rasff.eu
  • 3. Gli italiani a tavola: un popolo di tradizionalisti che non è pronto a cambiare abitudini. La cucina etnica snobbata da metà dei cittadini. Lo studio Demos analizzato da Teatro Naturale. Gli italiani restano tradizionalisti in cucina. Secondo uno studio Demos per la fondazione Barilla Center for Food and Nutrition, tre quarti degli intervistati non si sento pronti a cambiare abitudini alimentari e preferiscono il cibo italiano. Ne parla un articolo di Teatro Naturale che ripubblichiamo con piacere. Quanto cibo “etnico”, è entrato a far parte a tutti gli effetti della alimentazione dei Paesi occidentali? In Germania, Francia, Italia e Spagna, a fronte di un mercato alimentare che vale complessivamente 321 miliardi di euro, la quota cosiddetta “etnica” relativa agli alimenti per uso domestico ammonta a circa tre miliardi di euro. Un risultato cui hanno contribuito probabilmente sia i flussi migratori, che stanno contribuendo a cambiare in qualche misura anche le nostre abitudini alimentari, sia la costante ricerca di nuovi sapori da parte dei cuochi, dei produttori alimentari e degli stessi consumatori locali. Ma noi italiani siamo davvero così pronti ad allargare le nostre abitudini a tavola? Demos ha realizzato con la Fondazione Barilla for Food & Nutrition uno studio, presentato in occasione dell’8° Forum Internazionale su Alimentazione & Nutrizione di BCFN, per capire come stanno cambiando le nostre abitudini alimentari.
  • 4. L’80% circa degli intervistati non mangia mai, o lo fa raramente, piatti etnici Ebbene, un italiano su due pensa che da qui a 10 anni sulle nostre tavole sarà visibile, molto o moltissimo, questo cambiamento. Questa percezione di cambiamento prevale soprattutto tra gli over 65 (61,4% della fascia d’età in esame) e tra le donne (60,5%). Sono loro, in buona parte, a determinare questo risultato. Di contro, sono i più giovani (15-24 anni) a percepire meno di tutti questo cambiamento futuro (38,5% del campione in questa fascia). Le ragioni di questa differente percezione tra persone più e meno giovani potrebbero essere presto spiegate: se da una parte i giovani sono stati esposti fin dalla nascita alla presenza di cibi di altre culture, essi sono anche gli attori che vivono maggiormente questo cambiamento, tanto da non percepirlo, gli over 65 – che in passato dovrebbero già aver assistito a qualcosa di simile – potrebbero, invece, percepire con maggiore lucidità l’avvicinarsi di novità pronte ad affermarsi anche a tavola. Se andiamo poi ad approfondire meglio questo dato scopriamo, a riprova di quanto detto, che gli stessi giovani sono la parte più rilevante del campione che è più aperto al cibo etnico e che ne consuma di più (tre su quattro dichiarano di andare in ristoranti etnici). Quali i fattori che influiranno di più? Nella percezione degli italiani intervistati, le variabili che maggiormente influenzeranno sulle scelte alimentari da qui ai prossimi 10 anni, saranno i “cambiamenti climatici” (citati dal 79,6% del campione), seguiti
  • 5. dai “prezzi delle materie prime” (78,2%) e dai “social media” (70,4%). In questa ipotetica graduatoria le “migrazioni e i contatti con le nuove culture” si fermano al penultimo posto, indicate “solo” dal 65,6% del campione. Solo a un italiano su tre piace provare nuovi ristoranti di cucina etnica Ancora più interessante è notare in “come” e in “cosa” questi cambiamenti di abitudini alimentari si tradurranno sempre nei prossimi 10 anni. Per il 69,8% aumenterà il “consumo di cibi biologici”, per il 63,2% quello dei “cibi funzionali” (ossia i senza glutine, senza lattosio, ecc.) e per il 59,7% i “cibi a Km 0”. L’aumento dei “cibi etnici” si ferma al 47,4%, ben distante, peraltro, dalle altre categorie di risposte (anche se meglio piazzato rispetto a quelli che molti considerano come i “cibi del futuro”, ossia “cibi esotici, come gli insetti”, che arrivano appena al 25,2%). Questi dati fanno pensare che gli italiani siano piuttosto radicati rispetto alle proprie abitudini alimentari. Non a caso chi crede maggiormente nella possibilità di diffusione dei cibi etnici sono soprattutto gli studenti, gli stessi che non vedevano molto i cambiamenti. Ma che gli italiani, a tavola, siano un popolo di “nazionalisti”, lo conferma sempre la ricerca Demos-BCFN. È la preferenza per il nostro cibo, infatti, che sembra mettere d’accordo un po’ tutti, soprattutto a partire dai 34 anni in su. Circa tre intervistati su quattro, infatti, confermano che “si sentono a loro agio solo quando mangiano cibo
  • 6. italiano”, “si sentono sicuro solo quando mangiano cibo italiano” e affermano di “mangiare solo cibo italiano”. Non sarà un caso dunque notare che circa il 50% del campione non va mai in ristoranti etnici, non compra cibo da asporto etnico né lo cucina. Eppure, è anche interessante notare che molte di queste posizioni possono essere dettate da una scarsa conoscenza delle altre cucine (tre italiani su quattro “non ricercano cibi nuovi e diversi” e solo il 34,9% del campione afferma di “apprezzare i cibi di culture differenti”). Non stupisce neppure che, dovendo citare la cucina etnica preferita, quasi allo stesso modo (41,8% e 41,2%) gli intervistati trovino naturale citare quella cinese e quella giapponese, che sono anche le cucine cosiddette “etniche” presenti ormai da più tempo e in maniera capillare sul territorio italiano. Insomma, italiani aperti al cambiamento a tavola ma… con moderazione. di C.S. – Teatro Naturale Fonte immagini: Demos – Fondazione Barilla Fonte: www.ilfattoalimentare.it La scritta senza glutine sull’etichetta di molti alimenti è fuori legge e ingannevole. Lo spiega l’avvocato Dario Dongo. Proponiamo un estratto dell’articolo “Senza Glutine? Senza esagerare” di Dario Dongo, esperto di diritto alimentare, pubblicato sul sito Gift (Great Italian Food
  • 7. Trade) che spiega perché su molte confezioni viene proposta in modo scorretto questa dicitura. “Senza glutine” è un leitmotiv che compare ormai sulle etichette di molti cibi e persino sulle bevande, al di là delle logiche che in origine ne ispirarono l’impiego. A volte la scritta risulta anche in contrasto con le regole in tema di etichettatura dei prodotti alimentari. La celiachia, intolleranza cronica al glutine, è una malattia endemica che colpisce quote variabili dall’1 al 2%, a seconda delle regioni – della popolazione. L’unica cura a tutt’oggi disponibile per i pazienti celiaci è una dieta rigorosamente senza glutine. Le associazioni dei pazienti – tra le quali spicca AIC, Associazione Italiana per la Celiachia – hanno profuso straordinari impegni, nel corso degli ultimi decenni, per garantire un’esistenza sicura e serena ai celiaci e alle loro famiglie. Si sono battute, tali associazioni, nei diversi contesti: – a livello regolatorio, per garantire la presenza di informazioni appropriate e ben visibili sulle etichette degli alimenti (1 e 2); – presso le industrie, incoraggiando a sviluppare linee di prodotti destinati ai celiaci; – nei pubblici esercizi (ristoranti, pizzerie, alberghi, gelaterie, laboratori artigiani), promuovendo l’effettiva applicazione dell’autocontrollo onde prevenire contaminazioni accidentali; – in ambito di sanità pubblica, per diffondere consapevolezza e promuovere la diagnostica (3). Oltreché per garantire assistenza sanitaria adeguata, e garantire ai celiaci l’erogazione gratuita di prodotti alimentari consoni alle loro specifiche esigenze dietetiche (4); – a livello scientifico, sostenendo la ricerca scientifica necessaria ad affrontare le diverse condizioni dei pazienti e promuovere la loro salute; “La dieta senza glutine non è una moda!”, ribadisce da anni l’Associazione Italiana per la Celiachia (AIC). I celiaci non hanno scelte, eliminare questa proteina è per loro un salvavita, l’unica terapia possibile. Ma il 99% dei consumatori prova interesse verso i prodotti gluten-free nella convinzione che essi siano in qualche modo favorevoli per il benessere, o il dimagrimento. Tucco ciò è falso (5). Il 10% della popolazione europea, 6 milioni di consumatori in Italia, segue una dieta senza glutine senza alcuna ragione. Un prodotto “senza glutine” su tre viene consumato da non-celiaci che si illudono così di dimagrire o migliorare la forma fisica (!). Salvo invece sprecare, solo in Italia, più di 100 milioni di euro per l’acquisto di alimenti di
  • 8. cui non si ha alcun bisogno (6). Alcune bevande indicano sull’etichetta la frase senza glutine su prodotti che non hanno mai avuto la proteina tra gli ingredienti Come si spiega questo fenomeno? Semplicemente con la viral deception, la strategia dell’inganno virale che viene portato avanti da Big Food. Da numerosi anni è in auge l’offerta di prodotti gluten-free, che consentono di risparmiare sui costi di produzione – sostituendo ai cereali pregiati (come il grano) quelli più economici (come il mais) – e al contempo permette di aumentare i prezzi. Le campagne sono anche supportate da alcune star internazionali, che celebrano la dieta senza bisogno. Da Lady Gaga a Victoria Beckham, Gwyneth Paltrow, Kim Kardashian, la viral deception si propaga su centinaia di milioni di follower attraverso i social network. E il lucroso business cresce. Il glutine è invece una proteina preziosa, presente nei cereali che hanno nutrito le popolazioni europee a partire dal Neolitico, ed è un campione di sostenibilità, grazie a un’impronta idrica e ambientale ben inferiore ad altre fonti proteiche. Gli alimenti “senza glutine” e “a ridotto tenore di glutine”, un tempo qualificati come “alimenti destinati a un’alimentazione particolare”, sono ora soggetti alle regole previste per gli alimenti di uso corrente (7). Il regolamento UE 828/2014, “relativo alle prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti”, ha confermato le soglie di tolleranza già definite (8). Introducendo altresì la possibilità di riportare in etichetta, al ricorrere delle condizioni previste, alcune apposite diciture facoltative.
  • 9. La dicitura “specificamente formulato per celiaci” o “specificamente formulato per persone intolleranti al glutine”, (9) può venire utilizzata nell’etichettatura degli “alimenti sostitutivi”. Vale a dire, i prodotti tradizionalmente realizzati con ingredienti a base di glutine (es. pasta, pane, etc.), i quali siano stati sostituiti con altre materie prime naturalmente prive di glutine ovvero con ingredienti “de-glutinati”. “La dieta senza glutine non è una moda!”, ribadisce da anni l’Associazione Italiana per la Celiachia (AIC) “Un alimento contenente ingredienti naturalmente privi di glutine dovrebbe inoltre poter recare un’etichettatura indicante l’assenza di glutine, in conformità delle disposizioni di cui al presente regolamento, purché siano rispettate le condizioni generali sulle pratiche leali di informazione di cui al regolamento (UE) n. 1169/2011. In particolare le informazioni sugli alimenti non dovrebbero indurre in errore suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche.” (reg. UE 828/14) Nel caso di alimenti ove in genere non si riscontra la presenza di glutine – perché assente in natura nei loro ingredienti essenziali e caratteristici – la regola è cristallina: – se un cereale contenente glutine è presente (o può esserlo, a causa di contaminazione accidentale che non si sia in grado di escludere, pure a seguito del doveroso autocontrollo), si deve citare lo specifico cereale contenente glutine in lista ingredienti (ove del caso preceduto la dicitura “può contenere”), – non è viceversa ammesso il vanto “senza glutine”, poiché tale caratteristica è comune agli altri prodotti simili. È anzi espressamente vietato attribuire a un prodotto caratteristiche comuni agli altri alimenti che appartengono alla stessa categoria. (11)
  • 10. È dunque ora di farla finita con le diciture gluten-free su una moltitudine di prodotti che con i cereali contenenti glutine hanno poco o nulla a che fare, dai latticini ai succhi di frutta, le carni e le caramelle. “Senza glutine”? Ci mancherebbe altro! (Articolo di Dario Dongo) Note (1) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 21 e Allegato II. NB: è doveroso specificare la presenza dei singoli cereali, per tutelare anche i consumatori allergici a ciascuno di essi. Si vedano, al proposito, le recenti Linee Guida della Commissione europea, su https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/allergeni- linee-guida (2) V. reg. UE 1169/11, articolo 44.1.a. Rimane da chiedersi, a tale riguardo, perché le regole europee vengano tuttora violate dalla quasi totalità dei pubblici esercenti. E perché le autorità sanitarie non provvedano ai doverosi controlli e sanzioni (3) L’AIC stima che i celiaci in Italia siano 600.000, di cui solo 190.000 diagnosticati. Vale a dire che il 70% dei celiaci non è consapevole della propria condizione di salute (4) Attualmente, in Italia, vengono erogati prodotti fino a un tetto massimo mensile di circa 90€ a paziente (5) Sono invece state espresse preoccupazioni verso l’adozione di diete senza glutine al di fuori dei casi strettamente necessari, in una recente ricerca dell’Università di Harvard (6) Il mercato dei prodotti gluten-free in Italia ha registrato nel 2016 una crescita del 27% rispetto all’anno precedente. Per un valore complessivo di 320 milioni di euro, di cui solo 215 sono stati spesi da pazienti con diagnosi (dati Nielsen presentati da AIC a maggio 2017, in occasione della Settimana della celiachia) (7) Cfr. reg. UE 609/2013, in vigore dal 20.7.16 (8) 20 ppm e 100 ppm, rispettivamente, per le diciture “senza glutine” e “a ridotto tenore di glutine” (9) Il decreto del Ministero della Salute 17.5.16 ha poi chiarito che, ai fini dell’inserimento degli alimenti senza glutine nel registro dei prodotti erogabili ai celiaci, è necessario che essi riportino in etichetta tali apposite indicazioni (10) Cfr. reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c Dario Dongo, FARE (info@fare.email) Fonte: www.ilfattoalimentare.it Madagascar. Firmato accordo di finanziamento da 53 milioni di dollari con l’IFAD per la sicurezza alimentare.
  • 11. di David Florentin Paqui * – Un nuovo accordo finanziario, firmato oggi tra il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) e il Madagascar, farà aumentare in modo sostenibile i redditi, la sicurezza alimentare e la qualità dell’alimentazione per 320.000 famiglie rurali malgasce in otto regioni situate nella parte meridionale del paese. L’accordo per il Programma per lo sviluppo di catene del valore agricole inclusive (DEFIS) è stato firmato a Roma da Gilbert F. Houngbo, presidente dell’IFAD, e da Harison Edmond Randriarimanana, ministro dell’agricoltura e dell’allevamento del Madagascar. Il valore complessivo del progetto è di 250 milioni di dollari, e comprende un prestito di 26,5 milioni di dollari e una donazione di 26,5 milioni di dollari da parte dell’IFAD. Il progetto sarà cofinanziato dal governo del Madagascar (33,7 milioni di dollari), dalla Banca Africana di Sviluppo (50 milioni di dollari), dal Fondo per lo sviluppo internazionale dell’OPEC (20 milioni di dollari), dal Fondo Verde per il clima (15 milioni di dollari) e dai beneficiari stessi del progetto (14,3 milioni di dollari). I restanti 64 milioni di dollari potrebbero essere forniti da successivi stanziamenti di risorse da parte dell’IFAD o da altri partner finanziari da individuare durante l’attuazione del DEFIS. Il programma sarà attuato in un periodo di 10 anni, per poter fornire un sostegno finanziario stabile e prevedibile ai produttori. In Madagascar, nonostante la grande biodiversità e la varietà delle colture, la dieta del 76 per cento della popolazione non arriva a coprire il requisito energetico minimo di 2133 kilocalorie al giorno. L’incidenza della malnutrizione cronica nei bambini sotto i cinque anni è tra le più alte al mondo, mentre il tasso di povertà nelle aree rurali supera l’80 per cento. Gli scarsi investimenti nell’agricoltura e nelle aree rurali sono tra le cause principali della povertà, dell’insicurezza alimentare e della qualità inadeguata dell’alimentazione in Madagascar. Sostenendo i sistemi nazionali per lo sviluppo agricolo (Fonds de développement agricole, Chambre d’agriculture, Centre de services agricole ecc.), il DEFIS contribuirà all’impegno per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile riproducendo su scala più vasta programmi rivelatisi efficaci nel paese, tra quelli finanziati dall’IFAD e dai suoi partner in Madagascar. Tra questi vanno annoverati anche i risultati ottenuti concentrando gli investimenti in poli produttivi selezionati, per facilitare la fornitura di servizi agricoli, la concentrazione dei prodotti e l’accesso ai mercati; rafforzando e sostenendo le istituzioni nazionali di agricoltori che si occupano di fornire servizi agricoli; e promuovendo l’istituzione di partenariati e di accordi contrattuali tra agricoltori e imprese del settore privato.
  • 12. Per aumentare la produttività delle piccole imprese agricole e per collegarle meglio con i mercati, il nuovo programma concentrerà i suoi investimenti su otto catene del valore prioritarie: riso, mais, manioca, arachidi, caffè, cipolle, piccoli ruminanti e miele, con tre prodotti prioritari selezionati in ogni regione. Inoltre, il DEFIS investirà nella promozione del sorgo per aumentare la capacità di resilienza dei sistemi produttivi dei piccoli agricoltori nelle zone semiaride delle regioni più meridionali del paese, particolarmente vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico. Ci si aspetta che il DEFIS, tra altri risultati, riabiliti 20.000 ettari di sistemi di irrigazione esistenti, sviluppi 8000 ettari di nuovi sistemi di irrigazione e apporti piccole migliorie su 7000 ettari. Sosterrà inoltre la costruzione di 300 punti di approvvigionamento d’acqua e di 50 bacini idrici sotterranei per i piccoli ruminanti. Inoltre, il DEFIS renderà possibile la formazione di fornitori di servizi finanziari che operino nell’area del programma, mettendoli in condizione di sviluppare e diffondere su scala più vasta prodotti e servizi finanziari adeguati alle necessità dei piccoli agricoltori. Realizzerà anche infrastrutture per immagazzinare i raccolti e per accedere ai mercati. Queste comprenderanno 490 magazzini, 45 centri di raccolta, 50 mercati locali, nonché 800 km di strade rurali riabilitate. Il programma contribuirà anche a mitigare i rischi del cambiamento climatico e ambientali, garantendo che gli investimenti e le nuove infrastrutture siano adeguati agli standard ambientali. Dal 1979, l’IFAD ha finanziato 16 programmi e progetti di sviluppo rurale in Madagascar, con un investimento da parte del Fondo pari a 329,5 milioni di dollari, o a 885,4 milioni di dollari considerando anche i cofinanziamenti, a beneficio di oltre un milione di famiglie rurali. * Regional Communications Officer. Fonte: http://www.notiziegeopolitiche.net Walmart, JD.com, IBM e Università di Tsinghua: alleanza blockchain per la sicurezza del cibo in Cina. Collaborazione per applicare la tecnologia blockchain per la tracciabilità del cibo e dare assistenza ai consumatori offline e online Walmart, JD.com, IBM e il laboratorio ingegneristico nazionale di tecnologie E- commerce dell’Università di Tsinghua hanno annunciato che lavoreranno insieme a una blockchain per la sicurezza alimentare, il cui primo passo vedrà una collaborazione atta a ottimizzare la tracciabilità e la sicurezza del cibo in Cina e a ottenere una maggior trasparenza nell’ambito della supply chain alimentare.
  • 13. Le quattro aziende lavoreranno insieme per creare un metodo basato su standard di raccolta dati circa l’origine, la sicurezza e l’autenticità del cibo, utilizzando la tecnologia blockchain per fornire tracciabilità in tempo reale attraverso la supply chain. Ciò favorirà l’affidabilità e darà ai fornitori, ai regolatori e ai consumatori una miglior comprensione e trasparenza relativamente a come il cibo è gestito dal produttore al consumatore. Ciò è stato tradizionalmente una sfida a causa di sistemi di condivisione dati complessi e frammentari che sono spesso cartacei e soggetti a errore. Walmart, JD, IBM e l’Università di Tsinghua lavoreranno con i fornitori e i regolatori della supply chain alimentare per sviluppare gli standard, le soluzioni e le collaborazioni per abilitare la creazione ad ampio raggio di un ecosistema di sicurezza alimentare in Cina. IBM fornirà la propria piattaforma Blockchain e la propria esperienza, mentre l’Università di Tsinghua fungerà da consulente tecnico, mettendo a disposizione le proprie conoscenze nelle tecnologie chiave e nell’ecosistema di sicurezza alimentare in Cina. IBM e Tsinghua collaboreranno con Walmart e JD per sviluppare, ottimizzare e distribuire la tecnologia a fornitori e rivenditori che si uniscano all’alleanza. Da leader mondiale nella sicurezza alimentare globale, Walmart lavora a stretto contatto con fornitori, regolatori, partner industriali e la comunità di ricerca in tutto il mondo. In Cina investe molto nella ricerca sulla sicurezza alimentare attraverso il Centro di Collaborazione e Sicurezza Alimentare Walmart e ha promosso la sicurezza alimentare sia tramite la propria rete di fornitori sia lavorando con JD, che ha una ricca esperienza su tutti i canali di commercializzazione alimentare. I due sono stati in grado di fare leva sull’esperienza di JD nell’impiego di intelligenza artificiale (IA), Blockchain, Big Data e altre nuove tecnologie a protezione dei consumatori. Questa collaborazione, segue l’annuncio fatto nell’agosto scorso tra IBM e Walmart circa un nuovo consorzio a favore della sicurezza alimentare, e porta l’esperienza di IBM relativa alla blockchain nella sicurezza alimentare fino in Cina. IBM, Walmart e l’Università di Tsinghua hanno testato l’utilizzo della blockchain per tracciare prodotti alimentari, come la carne di maiale in Cina e il mango negli Stati Uniti, lungo tutti i loro spostamenti attraverso la supply chain per raggiungere gli scaffali dei negozi. Un recente collaudo di Walmart ha mostrato che l’applicazione della blockchain ha ridotto il tempo necessario a tracciare il percorso di una confezione di mango dalla
  • 14. fattoria al negozio da giorni o settimane a due secondi. “Da sostenitore globale della sicurezza alimentare ottimizzata, Walmart si compiace di poter approfondire il suo lavoro con IBM, l’Università Tsinghua, JD e gli altri protagonisti della supply chain alimentare. Attraverso la collaborazione, la standardizzazione e l’adozione di nuove e innovative tecnologie, possiamo migliorare efficacemente la tracciabilità e la trasparenza e aiutare ad assicurare a tutti che il sistema alimentare mondiale rimanga sicuro,” ha detto Frank Yiannas, Vicepresidente responsabile di sicurezza e salute alimentare di Walmart. “La partnership con IBM, l’Università di Tsinghua e Walmart, tutti leader mondiali in tracciabilità, dà ai nostri consumatori e alle aziende un’affidabilità impareggiabile”, ha detto Yongli Yu, Presidente dell’unità di ricerca sulla commercializzazione alimentare di JD-Y e JD.com. “In tutto il mondo, in particolare in Cina, i consumatori vogliono sempre più sapere da dove venga il cibo che comprano e JD si è dedicato all’uso della tecnologia per promuovere la completa trasparenza.” “Blockchain risulta incredibilmente promettente nella realizzazione della trasparenza di cui si ha bisogno per promuovere la sicurezza alimentare lungo tutta la supply chain. Questo è un motivo fondamentale per cui IBM crede tanto fermamente nell’impatto che questa tecnologia avrà sui modelli di business”, ha detto Bridget van Kralingen, Vicepresidente Senior, Piattaforme Industriali IBM. “Estendendo il nostro lavoro di sicurezza alimentare con Walmart e l’Università di Tsinghua in Cina e aggiungendo nuovi collaboratori come JD.com, la tecnologia porta la tracciabilità e la trasparenza a più ampie reti di partecipanti della supply chain alimentare.” “L’Università di Tsinghua si impegna nella ricerca approfondita sulla sicurezza alimentare -una delle aree più importanti per migliorare la qualità della vita in Cina e anche nel resto del mondo. Stiamo già lavorando con IBM e Walmart per creare un nuovo modello di tracciabilità del cibo, utilizzando blockchain per favorire la trasparenza e l’affidabilità della supply chain e vediamo questa nuova cooperazione come un passo importante in questo tentativo”, ha detto il Professor Yueting Chai dal Laboratorio Ingegneristico Nazionale per le Tecnologie di E- Commerce, Università di Tsinghua. La collaborazione è atta ad assicurare la privacy dei dati dei proprietari dei marchi, mentre li si aiuta ad integrare la loro tracciabilità online e offline per la sicurezza
  • 15. alimentare e i canali di gestione della qualità. Le aziende che si uniscono all’alleanza saranno in grado di condividere informazioni utilizzando la tecnologia blockchain, e i piani includono la libertà di scelta della soluzione di tracciabilità basata sullo standard che più si confaccia ai propri bisogni e sistemi legacy. Ciò porterà a sua volta maggior trasparenza alla supply chain e introdurrà nuove tecnologie per il settore della vendita al dettaglio, progettate per creare un ambiente alimentare più sicuro e ottimizzare l’esperienza del consumatore. Gli spunti tratti dal lavoro in Cina faranno luce su come la tecnologia blockchain possa aiutare a migliorare processi, quali richiami e verifiche, e sviluppare la fiducia del cliente grazie alla maggior trasparenza. Fonte: datamanager.it