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Fondazione P                             iacentini

Piano             della          SICUREZZA URBANA
                            Lorenzo Carapellese - urbanista

Non passa giorno senza che sui quotidiani di tutte le città italiane vengano riportate
notizie di violenza, vandalismo e degrado, nelle aree urbane, in quelle metropolitane ed
anche nelle piccole città e paesi di provincia. Nel riportare tali accadimenti, il linguaggio
mediatico usa termini quali “violenza urbana” e “degrado urbano” come se esistesse una
contrapposizione ad una “violenza e degrado rurale,” che non c’è, ma che se ci fosse,
dovrebbe essere allora più buona e tollerabile dell’altra.

Non v’è dubbio che sui temi della sicurezza e della sua percezione in ambito urbano
ci sia stata una generale sottovalutazione nella prassi della cultura urbanistica italiana
che ha portato (a differenza di altri paesi europei e dell’OCSE in generale) di fatto
a non occuparsene, anzi a scansarne i temi ed i problemi di per sé, come se fosse
responsabilità e competenza solo delle forze di polizia e dei vigili urbani e non invece di
quelli che per primi avrebbero dovuti coglierne i sintomi e le evidenze , ovvero urbanisti e
pianificatori.

Di converso all’estero l’urbanistica si è avvicinata a concetti e strumenti di analisi,
prevenzione e controllo del degrado e della criminalità urbana attraverso vere e proprie
pratiche e modelli culturali di progettazione che affiancano ed integrano la prassi
urbanistica ed edilizia. Grazie anche al lavoro di alcune Università, specialmente in
Inghilterra alcuni di questi modelli sono via via diventati noti, altri meno, tanto che alcuni
di questi possono essere benissimo rintracciati anche sul web:
    • Design Against Crime, (DAC)
    • Prevenzione del Crimine attraverso la Progettazione Ambientale” ( CPTED),
    • Crime Opportunity Profiling of Streets (COPS),
    • Visual Inspection/Stickers to Safety,
    • Police Label Secured Housing,
    • Criminological Regional Analysis (CRA),
    • Integrated Audits (per la prevenzione del crimine e della sicurezza del traffico ),
    • Kids & Space ( coinvolgimento dei giovani per aumentare il grado di “sicurezza e
       possesso” del proprio quartiere/ territorio ) e diversi altri ancora sono i modelli che
       hanno aiutato ed aiutano le municipalità a prevenire il degrado, minimizzare atti di
       inciviltà e violenza, supportare nel migliore dei modi la progettazione urbanistica.

Insomma si cerca di utilizzare nuovi strumenti di analisi, interpretazione ed intervento
per la prevenzione dei fenomeni di degrado, vandalismo e criminalità in aree urbane
e metropolitane che consentano di affrontare lo sviluppo equilibrato della nuova città
multietnica. Ovvero di arrivare alla qualità urbana attraverso interventi che non siano
solo di tipo repressivo ma che coinvolgano ed utilizzino appieno anche la creatività, le
competenze di nuove figure professionali, le nuove tecnologie dell’informazione ed altro
ancora. In altre parole ritornando/integrando alla prassi urbanistica più pura e vera: -
quella che si occupa di spazi e relazioni, di valorizzazione di aree pubbliche, di servizi,
accessibilità e mobilità attraverso l’apporto di nuove scienze e competenze .

Qui da noi invece da una parte si è importato ( molte volte scimmiottandone i contenuti
ed i percorsi) le modalità di implementazione del piano partecipativo ( la Swot Analysis, la
Vision….) per poi forzare la legislazione regionale alla rifondazione totale della disciplina
urbanistica come se dalla legge urbanistica del 42’ ad oggi non fossero già stati introdotti
significativi strumenti di intervento. Con l’illusione (ancora una volta ) di avere trovato
lo strumento principe della pianificazione urbana, ma con il risultato di aver cambiato
tutto senza veramente cambiare nulla.! Anzi tali forzature sulla legislazione urbanistica
ed i suoi strumenti di attuazione hanno portato il più delle volte all’ingessatura delle città,
alla sovra-normazione, deresponsabilizzando la gestione e aumentando di converso la
discrezionalità interpretativa della norma. Insomma una delle poche cose che andavano
riformate come l’eccesso di zooning che ha condizionato oltre ogni misura le nostre città
negli ultimi 30 anni per arrivare ad una più città equilibrata non è stato minimamente
preso in considerazione. E pensare che lo zooning nasce e si rafforza proprio come
strumento di segregazione contro le lavanderie cinesi e dei cinesi in genere nella
California di fine ottocento ( Città di Modesto - USA).

Per fortuna mentre da una parte si “rifondava l’urbanistica”, dall’altra ed in particolare
nel Laboratorio del Politecnico di Milano sotto la guida di Clara Cardia ( DIAP) e dei
suoi collaboratori con un supporto non indifferente della Regione Emilia Romagna ci si
occupava di sicurezza urbana, recuperando prassi e metodologie e saperi sia in Europa
che al di là dell’Oceano. Con buon senso, umiltà, senza trombe e proclami è stata avviata
una collaborazione con alcune città e regioni italiane e d’Europa, tanto che di recente e
grazie al loro prezioso contributo è stato approvato il Manuale di Pianificazione , Disegno
Urbano e Gestione degli spazi sulla sicurezza che è diventata appunto “Rapporto Tecnico”
ovvero una guida da cui, da oggi in poi, non si potrà più prescindere per fare buona
urbanistica. Essendo tale manuale “guida “ e non “norma” la sue indicazioni possono
essere adattate sia allo spazio che al tempo che alle situazioni analitiche presenti sul
territorio, per fortuna questa volta senza necessità di rigidità normative di applicazione.

Ancora una volta in tale periodo molti degli urbanisti italiani, specialmente nelle aree
padane a partire dagli inizi del 2000 si sono dedicati esclusivamente all’ urbanistica altra,
quella che dovrebbe essere nobile, alta, quella definitiva, che oltre non si può neppure
immaginare possa esistere di più perfetto. Oggi dire Piano Regolatore Generale è quasi
blasfemo, che se lo dici sei “out”. Se però pronunci i tre magici acronimi “ PSC –(Piano
Strutturale Comunale), POC- (Piano Operativo Comunale) e               “RUE” (Regolamento
Urbanistico Edilizio) non solo sei “in” ma sei di fatto ammesso al club degli esperti in
“piesseci”. Forse è nata anche una sorta di lobby, tanto da vedere quasi tutti i comuni
anche importantissimi ( sia per quantità di abitanti che per storia, cultura, tessuto
produttivo e quant’altro, ) emettere bandi europei per la redazione di PSC, POC e RUE,
riservati solo a chi ne ha fatto altri sulla base di leggi urbanistiche regionali. Dando così
per scontato che il requisito per essere un urbanista non è la sua esperienza
professionale, il suo curriculum, i suoi progetti,la sua esperienza nazionale ed
internazionale, ma solo l’aver fatto uno o più piani con la legge 20 della Regione Emilia
Romagna, o di quella del Friuli , piuttosto che quella lombarda ……. Per analogia allora un
urbanista proveniente da una delle altre 18 Regioni italiane o da uno degli altri 26 stati
che oggi compongono l’Europa non può               assolutamente essere in grado di fare
urbanistica. Ovviamente quella con la “U” maiuscola, quella che ti raddrizza la città e
mette tutto e tutti a posto definitivamente e per sempre. Perché negli altri 26 paesi
d’Europa e 18 regioni d’Italia gli urbanisti esistenti e quelli in formazione non potranno mai
assolutamente competere con i nostrani che san fare i piesseci con dentro i POC ed i
RUE. Insomma tutti gli urbanisti del mondo al confronto con i “piessecisti” professionisti
son dei poveretti.. Con il risultato che ogni regione al fine di proteggere il suo territorio si
è dotato di particolarissime leggi urbanistiche al fine di permettere solo a pochissimi
sacerdoti e cardinali il monopolio autorizzato ad officiare riti urbanistici ad essi solamente
riservati passando così dall’urbanistica all’Urbamistica”.

Poi, non importa se comuni associati fra loro abbiano fatto Piani Intercomunali (
ovviamente Strutturali) mentre al contempo ognuno per suo conto si faceva e si fa il
suo POC ( alcuni dicono il suo “pochino”); l’importante era ed è fare il Piano Totale, quello
definitivo, quello con la P maiuscola, il “Piesseci”.

E mentre tutto questo andava e và avanti, il tema della città sicura che non vuol dire
al riparo della criminalità e del vandalismo, ma almeno pronta e preparata anche nelle
componenti tecniche, del sapere e del fare alla minimizzazione del degrado ed all’aumento
della socialità, alcune municipalità cercavano di dare una risposta al tema della città sicura
( ovviamente senza gli urbanisti impegnati nei “piesseci”). Dapprima concentrandosi solo
su alcune porzioni del tessuto edilizio poi via via con l’esperienza acquisita, cercando di
allargare le aree di intervento sino ad arrivare alle zone ad alta concentrazione giovanile (
vedi alcune strade ed aeree urbane dove si celebrano gli happy hours…. ). E non è stato
poco.
All’inizio l’esperienza e le azioni verso il tema della città sicura inevitabilmente si sono
concentrate su alcune zone “calde” e degradate e va detto che i risultati sono stati positivi
anche se con costi che probabilmente la nuova finanziaria non permetterà ai Comuni di
sostenere.
Buona l’esperienza di Modena, quasi pioneristica nell’affrontare il degrado di un luogo
definito Hotel Eroina nei pressi della stazione ferroviaria; interessante quella condotta a
Sassuolo anche se data la dimensione dei luoghi, degli edifici degradati e della quantità
veramente alta di delinquenza, immigrazione e disoccupazione non è stata ancora
completamente risolta. E poi ancora ricca e originale quella di Calderara di Reno; e poi
quella socialmente spumeggiante, creativa e piena di proposte di ottimo livello tecnico e
relazionale a Reggio Emilia anche qui nel recupero del degrado di aree nei dintorni della
stazione ferroviaria ed infine attraverso operazioni di recupero e risanamento urbanistico,
edilizio e sociale implementati al grattacielo di Ferrara sino alla recente proposta di
Master Plan della Sicurezza di Perugia e a diverse iniziative in tante città italiane che
si sono poi raccolte intorno al FISU ( Federazione Italiana Città Sicure- che aderisce
all’omonima federazione europea FISE).

Ed è proprio sul lavoro lungimirante, sottile, molto cauto del FISU che tutto sommato
in un arco di un tempo breve si è arrivati alla definitiva approvazione delle norme CEN
contenute nel Manuale sulla sicurezza e gestione degli spazi urbani. E tutto questo, e
spiace dirlo, senza il contributo organizzato della cultura urbanistica e degli urbanisti,
quando invece sono questi quelli che più di altri avrebbero potuto dare, ma soprattutto
ricevere nuovi stimoli dal lavoro svolto e dalle competenze innovative di molteplici
professionalità che si sono cimentate sul tema della sicurezza urbana. Esperienze che
sarebbero potute poi essere ulteriormente utilizzate e diffuse in una spirale positiva di
doing by learning al fine di aumentare la percezione della sicurezza e la qualità reale del
vivere in aeree urbane.

Riteniamo allora che sia giunto il momento di mettere insieme queste professionalità
preziose per la progettazione della città del prossimo futuro. E questa volta all’interno
del “dream team” oltre alle professionalità che negli anni passati hanno supportato
l’urbanistica e l’urbanista ( agronomi, statistici, esperti di traffico e trasporti, geologi,
architetti edili e restauratori,ingegneri …..) è necessaria l’integrazione con criminologi,
sociologi, mediatori culturali, ONLUS, operatori del terzo settore; ed ancora vigili urbani,
carabinieri e forze di polizia, esperti di security e di safety, di information technology
e della comunicazione. Professionalità queste che sono poi quelli in parte coinvolti nel
percorso cha ha portato alla approvazione del Manuale di “ Pianificazione, disegno urbano
e gestione degli spazi”.
  I side effects di tale esperienza in alcune città si sono allargati sino alla predisposizione
di “tavoli permanenti delle sicurezza” alle quali partecipano sia gli enti locali che lo
stato attraverso le prefetture e le forze di polizia e che hanno permesso e sempre più
permetteranno in futuro, di intervenire con creatività e fermezza in tutte quelle operazioni
di incremento della sicurezza sia reale che percepita e non solo attraverso la forza o
l’applicazione di concetti tipo “ tolleranza zero”, o “ “legge ed ordine”, ma attraverso
la comprensione profonda del rapporto tra spazio pubblico e degrado, segregazione e
qualità dell’ambiente urbano, accoglienza e solidarietà.

Oggi ed ancor di più nell’immediato futuro sarà più che mai necessario ( al di là della
sbornia ancora in corso di dotarsi dei “piesseci” ) intervenire concretamente sulla qualità
della vita urbana da ottenersi con pochi, qualificati, urgenti e mirati interventi innanzi
tutto a livello di quartiere. Ed a maggior ragione non si può aspettare il completamento
del trittico urbanistico ( PSC+POC+RUE) per avviare operazioni di risanamento e
riqualificazione al fine di evitare che il tema della sicurezza urbana ricada solo sulle spalle
delle forze di polizia, carabinieri e polizia municipale.
E’ necessario quindi che l’urbanistica si apra alla cultura della sicurezza, della prevenzione
e della solidarietà praticata contro il degrado ed il vandalismo, coinvolgendo tutto
un universo di operatori ed attori sociali per incrementare la mixofilia e combattere la
mixofobia.

  Il tema della sicurezza urbana si pone oggi in una posizione intermedia fra le
responsabilità dell’amministrazione locale e quella delle responsabilità dello stato e le
esperienze sin qui svolte dal FISU hanno dimostrato che è la collaborazione ( senza
competizioni e conflitti fra istituzioni) che può riuscire a fare città sicura, città creativa,
città di qualità e di benessere, città solidale, città facile, città di speranza ed integrazione..

E questo si ottiene coniugando i temi dell’accessibilità di quartiere ai luoghi di uso
pubblico, della sicurezza dei parchi e delle ciclabili, del miglioramento della manutenzione,
della predisposizione di piani urbanistici di dettaglio tali da non lasciare spazi bui…. Ed
ancora della localizzazione di centri commerciali a misura di quartiere….. Interventi in altre
parole che l’urbanistica moderna ha sempre praticato nel passato favorendo l’incremento
della qualità della sicurezza e della qualità urbana, ma che negli ultimi 20 anni lentamente
ha ceduto all’urbanistica della mono destinazione d’uso. Pezzi di città ad esempio dove
si fa solo residenza senza neanche un negozio sperando in tal modo di favorire la grande
distribuzione in nome dell’efficienza della catena distributiva e di prezzi più bassi. Da
qui all’urbanistica ed architettura della paura, del “pass”, della vigilanza armata e dei
muri con al di sopra i famosi fili di ferro a rasoio, il passo è stato breve ed a volte anche
inconsapevole. In alcune città della penisola siamo arrivati all’urbanistica che respinge,
preclude ed esclude lo straniero che non è come me, uguale a me. Eppure tutte queste
azioni sono vane oltreché offensive della civiltà urbana che la tradizione italiana dei
Comuni hanno saputo creare, costruire, tramandare. Se si chiede ad uno straniero perchè
ama l’Italia, oltre al cibo, la moda e la pizza, vi dirà che è la qualità della vita urbana
quella che più di altre è l’elemento caratterizzante. E noi grazie anche a 30 anni e oltre di
zooning stupido e becero, “piesseci” rigidi quanto inutili ci stiamo lentamente rovinando il
futuro, distruggendo il passato, impedendo allo “straniero”, al migrante di essere cittadino
come noi. Neanche le tanto abusate telecamere possono fare un granché senza un mix
di strumenti e di policy in grado di affrontare la complessità dei temi della qualità e della
sicurezza.

Le buone pratiche in tema di sicurezza urbana hanno dimostrato che non può esserci una
soluzione valida per tutte le stagioni e situazioni. Ma al contrario che è solo facendo tesoro
di professionalità, di esperienze, teorie e tentativi, ma anche di armonia e coordinamento
con altri interventi di tipo sociale, che si possono ottenere importanti risultati. Integrazione
di politiche di valorizzazione delle aeree e luoghi di uso pubblico con i temi della
accessibilità e mobilità; ampio, solidale e sostenuto apporto alle iniziative del privato-del
sociale coniugate ad interventi di natura strutturale di parte pubblica sono in definitiva gli
ingredienti necessari per ottenere sicurezza.

Se così è allora il tema della sicurezza in ambito urbano non può solo essere circoscritto
all’ ”hot spot” del momento, ovvero all’edificio abbandonato che ospita i sempre più
poveri o l’edificio dove si spaccia e si pratica la prostituzione. E neppure può limitarsi
alla chiamata operosa dei volontari contro i soliti “graffitari” o alla repressione tramite
ordinanze contro la vendita di alcolici nelle strade del centro storico pieno di giovanotti col
bicchiere in mano o ai dintorni di tutte le stazioni ferroviarie italiane. Le analisi, le prassi
e gli interventi di “ sicurezza urbana “ devono permeare la pianificazione urbanistica,
devono trovare anche riscontro su di aree più vaste. Insomma la sicurezza e la sua
percezione sono temi che vanno affrontati dal micro al macro e viceversa, dove il quartiere
( inteso non come unità amministrativa ma come unità di vicinato realmente praticato
e vissuto dei/dai suoi abitanti) deve essere considerato l’unità minima di pianificazione.
E qui allora anche noi vogliamo riportare la famosa, emblematica affermazione di Janet
Jacobs, urbanista americana “La prima cosa da capire è che l’ordine pubblico nelle strade
e sui marciapiedi della città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa
possa essere necessaria: esso è mantenuto soprattutto da una complessa e quasi inconscia rete di
controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi.”

Non è solo questo o quel condominio che deve essere oggetto di un Piano o programma
di sicurezza e per analogia non è nemmeno l’area del posteggio della bici nei pressi della
stazione, di questo o quest’altra zona intorno allo stadio o dell’area di fronte al casello
autostradale diventato luogo prostituzione, oppure il parcheggio dell’area commerciale
abbandonata la notte e sede di scorribande dei patititi dell’alta velocità. Assolutamente
no.
Deve essere la città intera l’oggetto della Pianificazione della Sicurezza Urbana.
Ed il quartiere ( quello vissuto) può essere l’unità minima di pianificazione delle politiche
urbanistiche, sociali, dei servizi,della mobilità e della sicurezza ?
Il tema è quello di fare dei piani che oltre a prevedere e provvedere possono anche
prevedere e prevenire. Siamo sicuri che all’aumento del traffico per forza la risposta sia
costruire nuove strade? Oppure che una buona e massiccia dose di piste ciclabili costruite
in piena sicurezza non siano la cosa migliore per evitare gli spostamenti delle ore di punta
che per oltre il 70% in alcune città sono solo spostamenti inferiori ai tre chilometri e quindi
catalogabili come spostamenti di quartiere? Possiamo dare indicazioni urbanistiche tali da
evitare “ gated communities” letteralmente comunità recintate, che stanno per divenire
l’emblema dell’impotenza della città e dell’urbanistica contemporanea?

Come urbanisti dobbiamo assolutamente evitare il nascere di pezzi di città fortificate,
di bunker residenziali e direzionali dominati dalle immancabili telecamere e dalle
guardie private per tenere lontani gli estranei. E’ necessario nella costruzione di una
città sicura certamente prevedere tecniche e soluzioni in grado di contrastare il crimine
ed il vandalismo ma senza sbarrare gli accessi, senza intimidire colui che vien da
fuori. Dobbiamo fare il possibile per evitare l’urbanistica e l’architettura della paura e
dell’intimidazione e tutte le mirabolanti invenzioni che hanno già prodotto la panchina
antibarbone, perché scomoda a forma cilindrica e messa in vicinanza dei sistemi di
irrigazione.
Dobbiamo invece batterci contro gli spazi fantasma, i non luoghi; dobbiamo rendere
vivibile ogni metro delle nostre città, siano esse aree periferiche o centrali. Dobbiamo
altresì aumentare lo spazio pubblico, diminuire lo spreco di suolo di aree residue tra
spazio pubblico e privato dove la competizione si svolge tra pedoni e automobilisti, tra
ricchi e poveri , spacciatori e mamme coi bambini, automobilisti indisciplinati e ragazzi sul
motorino. E per far questo ci vuole certo della buona urbanistica, ma anche delle ottime
ed integrate politiche sociali, piani del traffico e della mobilità dolce, dell’accessibilità, del
verde, della manutenzione.
“ E’ nei luoghi pubblici che la vita urbana e tutto ciò che la distingue dalle altre forme
dell’umana convivenza raggiunge la sua più compiuta espressione, con le sue gioie e pene,
speranze e presentimenti.” (Zygmunt Bauman).

Il Manuale di Pianificazione , Disegno Urbano e Gestione degli spazi sulla sicurezza
a questo proposito è ricco di spunti metodologici e pratici. Ma ci chiediamo se la
sua applicazione non vada pensata solo su limitati aspetti, ma di converso essere
inevitabilmente estesa a tutta la città costruita a tutto il territorio urbano.
Le analisi e le indicazioni operative che il Manuale suggerisce devono a nostro avviso
entrare a far parte di un bagaglio culturale, di una cassetta degli attrezzi dell’urbanistica
contemporanea che è l’urbanistica della globalizzazione, tenuto conto che nel giro di meno
di un ventennio la popolazione urbana raggiungerà oltre il 70% delle popolazione totale.
Riflessioni, indicazioni e strumenti operativi sulla sicurezza urbana devono a questo punto
diventare anche elementi indicatori e di performance sui temi della sicurezza urbana
tali da essere utilizzati anche all’interno dell’iter concessorio edilizio così come avviene in
Inghilterra ed in altri paesi del Nord Europa.

E’ legittimo chiedere      che in sede di analisi di importanti progetti edilizi      e di
infrastrutturazione urbana e regionale anche le forze di Polizia e la Polizia di Prossimità
possano aiutare nel prevenire, minimizzare, i potenziali rischi sia della criminalità, ma
soprattutto di atti di vandalismo che possono essere evitati con una buona progettazione
urbanistica ed edilizia? Possiamo immaginare una commissione edilizia dialogante su
questi temi, ovvero disponibile ad ascoltare in maniera preventiva il progettista circa il
suo progetto e quindi disponibile a dare delle guidelines sui temi della sicurezza, della
manutenzione, del degrado etc? Da fastidio a qualcuno se su questi temi chiediamo
un parere al comandante della Polizia Urbana o di Prossimità e /o consiglio alle Forze
dell’ordine e a degli esperti operatori e mediatori culturali, a dei sociologi?

Oggi ci rendiamo conto che i grandi parcheggi dei centri direzionali e commerciali vuoti
durante la notte sono ricettacolo di atti di criminalità, degrado e vandalismo ed è quindi
necessario intervenire in un qualche modo, ma non solo attraverso “manu militari” o solo
attraverso l’impedimento della recinzione, ma anche e soprattutto attraverso la creatività,
la connessione, attività sociali compatibili anche se provvisorie. E’ in definitiva su questi
non luoghi che bisogna re-intervenire, con creatività e decisione.

La domanda che sempre più frequentemente ci si pone rispetto ai centri commerciali ed
ai grandi centri direzionali è: sono ancora necessari? Siamo certi che ne servano di nuovi?
Oppure anche in nome della sicurezza urbana è meglio preferire un centro commerciale di
vicinato raggiungibile a piedi, senza necessità di ampi parcheggi? Non è meglio oggi avere
un supermarket diffuso di poche centinaia di metri quadri in tutte le zone residenziali
piuttosto che un unico ipermercato di 15.000 mq. ? E’ possibile avviare un vero e proprio
downsizing di tali strutture che consentano di mantenere ampia offerta a prezzi contenuti
agendo più sulla leva della logistica, dell’innovazione, della supply chain, piuttosto che
sulla quantità spropositata di spazi necessari tali da essere sempre più considerati
l’emblema dello spreco di territorio ? Non è meglio qualificare la città esistente, renderla
più compatta, più “easy” piuttosto che continuare a fare finte città come gli outlet con
finte residenze, finti abitanti , finte strade medievali e finti pozzi medioevali ? Queste sì
delle vere e proprie volgarità urbanistiche ed edilizie che stanno rovinando il paesaggio
rurale italiano o almeno quel poco che ne è rimasto.

E poi ancora, intervenire sulle barriere architettoniche e spaziali, creare un continuo di
spazi verdi, ciclabili e pedonali verso i luoghi del quotidiano ( la scuola, il mercato, il centro
sociale), promuovere la costruzione di centri medici associati all’interno dei quartieri in
grado di intercettare la domanda sanitaria anche di modesta urgenza? Non sono forse
anche queste operazioni che prevengono il degrado, il crimine, il vandalismo a favore della
socialità, della qualità della vita in aree urbane?

Ecco, questi alcuni degli elementi che hanno spinto la Fondazione Piacentini a considerare
opportuna una riflessione professionale e di parte degli urbanisti. Riteniamo infatti che
sulla base delle indicazioni e delle esperienze maturate sui temi della sicurezza urbana
nella Regione Emilia Romagna e su indicazioni dell’art.5, comma 1 delle Legge Regionale
24/2003 sia oramai necessario promuovere Piani per la Sicurezza Urbana finalizzati alla
prevenzione del crimine, alla diminuzione dei rischi potenziali in aree urbane, aumentando
di converso la percezione di sicurezza dei cittadini. Piani però che non possono essere
svincolati dal resto della prassi urbanistica , ma neanche dal profondo processo di
riorganizzazione della Polizia Urbana o di Prossimità che da lungo tempo è in atto nella
regione e con risultati senz’altro positivi sui temi del vivere civile, della qualità urbana e
della sicurezza percepita. Certo ci sarà ancora molto da fare ed affinare anche a livello di
strumentazione.
Ma su questo terreno per fortuna molto è stato fatto negli ultimi anni. Ci riferiamo alla
profonda riflessione in corso circa la figura del “ vigile urbano” ed alle sue nuove dotazioni
tecnologiche che di fatto in parte sono le stesse in uso nella pianificazione urbana e
territoriale.
Ci riferiamo in particolare al Ril.Fe.De.Ur, in altre parole al sistema di rilevazione del
degrado urbano promosso dalla Regione Emilia Romagna e co-finanziato dal Ministero per
l’Innovazione Tecnologica. Uno strumento quindi n grado di raccogliere e geo-referenziare
le informazioni relative al degrado urbano attraverso tre canali principali:
    - la chiamata del cittadino o la sua denuncia cartacea;
    - la posta elettronica
    - la possibilità per l’operatore di polizia di memorizzare le segnalazioni dei cittadini del
        territorio.

Tale integrazione con la cartografia digitalizzata consente da una parte
all’amministrazione comunale ed agli operatori di conservare memoria storica degli atti
di inciviltà e degrado su di una base territoriale, dall’altra una base indispensabile per
pianificare gli interventi “ urbani” e non solo per cristallizzare le varie emergenze rilevate.

Ecco che allora il tema della Pianificazione della Sicurezza Urbana si intreccia anche con
quella di una nuova Polizia Locale, con le maggiori e più puntuali responsabilità del
Sindaco e dell’Amministrazione Municipale sui temi della sicurezza urbana ed infine su
di una maggiore integrazione fra i livelli statali e locali che gestiscono e si occupano di
sicurezza.
In tale ambito e su tali temi , avere una maggiore sensibilità e professionalizzazione degli
urbanisti e dei progettisti in genere può essere un ulteriore strumento di prevenzione del
degrado urbano.
Da qui allora alcune nuove componenti di studio che si andranno ad affiancare alle
tradizionali analisi ed indicatori afferenti la disciplina urbanistica e la pratica edilizia che
indicativamente, in un Piano della Sicurezza Urbana possono fare riferimento a:
  - analisi di degrado e “crime review” organizzate per destinazioni urbanistiche
  - variabili fisiche delle aree prese in considerazione
  - condizioni socio economiche e demografiche
  - analisi dei dati forniti dalle forze dell’ordine e dalla esperienza delle vittime di atti
      vandalici o criminosi ( vittime domestiche, commerciali, altro).
  - fattori che potenzialmente procurano un senso di insicurezza ( manutenzione, scarsa
      illuminazione, cantieri esistenti, passaggi pedonali e ciclabili pericolosi, bui etc).

Da qui e dopo analisi e creazione di nuovi indicatori e sensori di qualità/sicurezza si potrà
arrivare per l’intera città, organizzata su base di “ quartiere “ o aree spazialmente definite
all’utilizzo pieno delle informazioni raccolte anche dal sistema Ril.Fe.De.Ur. ad un Piano
della Sicurezza Urbana che potrà contenere:
             • Strategie di Pianificazione Urbanistica, mirate ad azioni di rispetto delle
                strutture sociali e fisiche esistenti, azioni di animazione, mix di destinazione
                urbanistica, caratteri di densità edilizia

          •   Strategie di Progettazione Urbanistica, specifiche per spazi ed aree da
              riconnettere al tessuto urbanistico, spazi da ristrutturare, spazi da rendere
              più facilmente accessibili, spazi ed aree da rendere più attrattivi, tecnicalità
              ed elementi progettuali atti a migliorare le prestazioni dei principali arredi e
infrastrutture stradali e di servizio.
          •   Strategie di Gestione urbana di manutenzione e di sicurezza .
              finalizzate a rafforzare, migliorare, meglio sintonizzare gli obiettivi di
              sicurezza e percezione della sicurezza; manutendere, sottoporre a regime
              di videosorveglianza parti di tessuto urbano ristrutturare pezzi o parti
              di città, offrire nuove e più specifiche infrastrutture e strutture di tipo
              sociale/pubblico, comunicare fra Autorità Locale e cittadini, fra gruppi, fra
              utenti, fra residenti, fra i diversi portatori di interesse animati da volontà di
              partecipazione comunitaria, ri-condizionare spazi pubblici e privati obsoleti,
              illuminare zone buie etc.

Queste in sintesi le prime proposte e riflessioni degli urbanisti che si riconoscono intorno
alla Fondazione Piacentini in merito alla necessità di predisporre Piani della Sicurezza
Urbana, sia come strumenti generali e specifici di indirizzo e azione, che come parte
integranti di Master Plan di quartiere.
Ringraziamo ancora una volta FISU, il Laboratorio di Qualità Urbana e Sicurezza del
Politecnico di Milano, il Dipartimento per la sicurezza e la polizia locale della Presidenza
della Giunta della Regione Emilia Romagna e tutti quegli operatori e professionals che in
questi anni hanno lavorato su questi temi e di cui oggi tutti noi possiamo raccoglierne i
frutti.

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Piano della sicurezza urbana- Carapellese

  • 1. Fondazione P iacentini Piano della SICUREZZA URBANA Lorenzo Carapellese - urbanista Non passa giorno senza che sui quotidiani di tutte le città italiane vengano riportate notizie di violenza, vandalismo e degrado, nelle aree urbane, in quelle metropolitane ed anche nelle piccole città e paesi di provincia. Nel riportare tali accadimenti, il linguaggio mediatico usa termini quali “violenza urbana” e “degrado urbano” come se esistesse una contrapposizione ad una “violenza e degrado rurale,” che non c’è, ma che se ci fosse, dovrebbe essere allora più buona e tollerabile dell’altra. Non v’è dubbio che sui temi della sicurezza e della sua percezione in ambito urbano ci sia stata una generale sottovalutazione nella prassi della cultura urbanistica italiana che ha portato (a differenza di altri paesi europei e dell’OCSE in generale) di fatto a non occuparsene, anzi a scansarne i temi ed i problemi di per sé, come se fosse responsabilità e competenza solo delle forze di polizia e dei vigili urbani e non invece di quelli che per primi avrebbero dovuti coglierne i sintomi e le evidenze , ovvero urbanisti e pianificatori. Di converso all’estero l’urbanistica si è avvicinata a concetti e strumenti di analisi, prevenzione e controllo del degrado e della criminalità urbana attraverso vere e proprie pratiche e modelli culturali di progettazione che affiancano ed integrano la prassi urbanistica ed edilizia. Grazie anche al lavoro di alcune Università, specialmente in Inghilterra alcuni di questi modelli sono via via diventati noti, altri meno, tanto che alcuni di questi possono essere benissimo rintracciati anche sul web: • Design Against Crime, (DAC) • Prevenzione del Crimine attraverso la Progettazione Ambientale” ( CPTED), • Crime Opportunity Profiling of Streets (COPS), • Visual Inspection/Stickers to Safety, • Police Label Secured Housing, • Criminological Regional Analysis (CRA), • Integrated Audits (per la prevenzione del crimine e della sicurezza del traffico ), • Kids & Space ( coinvolgimento dei giovani per aumentare il grado di “sicurezza e possesso” del proprio quartiere/ territorio ) e diversi altri ancora sono i modelli che hanno aiutato ed aiutano le municipalità a prevenire il degrado, minimizzare atti di inciviltà e violenza, supportare nel migliore dei modi la progettazione urbanistica. Insomma si cerca di utilizzare nuovi strumenti di analisi, interpretazione ed intervento per la prevenzione dei fenomeni di degrado, vandalismo e criminalità in aree urbane e metropolitane che consentano di affrontare lo sviluppo equilibrato della nuova città multietnica. Ovvero di arrivare alla qualità urbana attraverso interventi che non siano solo di tipo repressivo ma che coinvolgano ed utilizzino appieno anche la creatività, le
  • 2. competenze di nuove figure professionali, le nuove tecnologie dell’informazione ed altro ancora. In altre parole ritornando/integrando alla prassi urbanistica più pura e vera: - quella che si occupa di spazi e relazioni, di valorizzazione di aree pubbliche, di servizi, accessibilità e mobilità attraverso l’apporto di nuove scienze e competenze . Qui da noi invece da una parte si è importato ( molte volte scimmiottandone i contenuti ed i percorsi) le modalità di implementazione del piano partecipativo ( la Swot Analysis, la Vision….) per poi forzare la legislazione regionale alla rifondazione totale della disciplina urbanistica come se dalla legge urbanistica del 42’ ad oggi non fossero già stati introdotti significativi strumenti di intervento. Con l’illusione (ancora una volta ) di avere trovato lo strumento principe della pianificazione urbana, ma con il risultato di aver cambiato tutto senza veramente cambiare nulla.! Anzi tali forzature sulla legislazione urbanistica ed i suoi strumenti di attuazione hanno portato il più delle volte all’ingessatura delle città, alla sovra-normazione, deresponsabilizzando la gestione e aumentando di converso la discrezionalità interpretativa della norma. Insomma una delle poche cose che andavano riformate come l’eccesso di zooning che ha condizionato oltre ogni misura le nostre città negli ultimi 30 anni per arrivare ad una più città equilibrata non è stato minimamente preso in considerazione. E pensare che lo zooning nasce e si rafforza proprio come strumento di segregazione contro le lavanderie cinesi e dei cinesi in genere nella California di fine ottocento ( Città di Modesto - USA). Per fortuna mentre da una parte si “rifondava l’urbanistica”, dall’altra ed in particolare nel Laboratorio del Politecnico di Milano sotto la guida di Clara Cardia ( DIAP) e dei suoi collaboratori con un supporto non indifferente della Regione Emilia Romagna ci si occupava di sicurezza urbana, recuperando prassi e metodologie e saperi sia in Europa che al di là dell’Oceano. Con buon senso, umiltà, senza trombe e proclami è stata avviata una collaborazione con alcune città e regioni italiane e d’Europa, tanto che di recente e grazie al loro prezioso contributo è stato approvato il Manuale di Pianificazione , Disegno Urbano e Gestione degli spazi sulla sicurezza che è diventata appunto “Rapporto Tecnico” ovvero una guida da cui, da oggi in poi, non si potrà più prescindere per fare buona urbanistica. Essendo tale manuale “guida “ e non “norma” la sue indicazioni possono essere adattate sia allo spazio che al tempo che alle situazioni analitiche presenti sul territorio, per fortuna questa volta senza necessità di rigidità normative di applicazione. Ancora una volta in tale periodo molti degli urbanisti italiani, specialmente nelle aree padane a partire dagli inizi del 2000 si sono dedicati esclusivamente all’ urbanistica altra, quella che dovrebbe essere nobile, alta, quella definitiva, che oltre non si può neppure immaginare possa esistere di più perfetto. Oggi dire Piano Regolatore Generale è quasi blasfemo, che se lo dici sei “out”. Se però pronunci i tre magici acronimi “ PSC –(Piano Strutturale Comunale), POC- (Piano Operativo Comunale) e “RUE” (Regolamento Urbanistico Edilizio) non solo sei “in” ma sei di fatto ammesso al club degli esperti in “piesseci”. Forse è nata anche una sorta di lobby, tanto da vedere quasi tutti i comuni anche importantissimi ( sia per quantità di abitanti che per storia, cultura, tessuto produttivo e quant’altro, ) emettere bandi europei per la redazione di PSC, POC e RUE, riservati solo a chi ne ha fatto altri sulla base di leggi urbanistiche regionali. Dando così per scontato che il requisito per essere un urbanista non è la sua esperienza professionale, il suo curriculum, i suoi progetti,la sua esperienza nazionale ed internazionale, ma solo l’aver fatto uno o più piani con la legge 20 della Regione Emilia Romagna, o di quella del Friuli , piuttosto che quella lombarda ……. Per analogia allora un
  • 3. urbanista proveniente da una delle altre 18 Regioni italiane o da uno degli altri 26 stati che oggi compongono l’Europa non può assolutamente essere in grado di fare urbanistica. Ovviamente quella con la “U” maiuscola, quella che ti raddrizza la città e mette tutto e tutti a posto definitivamente e per sempre. Perché negli altri 26 paesi d’Europa e 18 regioni d’Italia gli urbanisti esistenti e quelli in formazione non potranno mai assolutamente competere con i nostrani che san fare i piesseci con dentro i POC ed i RUE. Insomma tutti gli urbanisti del mondo al confronto con i “piessecisti” professionisti son dei poveretti.. Con il risultato che ogni regione al fine di proteggere il suo territorio si è dotato di particolarissime leggi urbanistiche al fine di permettere solo a pochissimi sacerdoti e cardinali il monopolio autorizzato ad officiare riti urbanistici ad essi solamente riservati passando così dall’urbanistica all’Urbamistica”. Poi, non importa se comuni associati fra loro abbiano fatto Piani Intercomunali ( ovviamente Strutturali) mentre al contempo ognuno per suo conto si faceva e si fa il suo POC ( alcuni dicono il suo “pochino”); l’importante era ed è fare il Piano Totale, quello definitivo, quello con la P maiuscola, il “Piesseci”. E mentre tutto questo andava e và avanti, il tema della città sicura che non vuol dire al riparo della criminalità e del vandalismo, ma almeno pronta e preparata anche nelle componenti tecniche, del sapere e del fare alla minimizzazione del degrado ed all’aumento della socialità, alcune municipalità cercavano di dare una risposta al tema della città sicura ( ovviamente senza gli urbanisti impegnati nei “piesseci”). Dapprima concentrandosi solo su alcune porzioni del tessuto edilizio poi via via con l’esperienza acquisita, cercando di allargare le aree di intervento sino ad arrivare alle zone ad alta concentrazione giovanile ( vedi alcune strade ed aeree urbane dove si celebrano gli happy hours…. ). E non è stato poco. All’inizio l’esperienza e le azioni verso il tema della città sicura inevitabilmente si sono concentrate su alcune zone “calde” e degradate e va detto che i risultati sono stati positivi anche se con costi che probabilmente la nuova finanziaria non permetterà ai Comuni di sostenere. Buona l’esperienza di Modena, quasi pioneristica nell’affrontare il degrado di un luogo definito Hotel Eroina nei pressi della stazione ferroviaria; interessante quella condotta a Sassuolo anche se data la dimensione dei luoghi, degli edifici degradati e della quantità veramente alta di delinquenza, immigrazione e disoccupazione non è stata ancora completamente risolta. E poi ancora ricca e originale quella di Calderara di Reno; e poi quella socialmente spumeggiante, creativa e piena di proposte di ottimo livello tecnico e relazionale a Reggio Emilia anche qui nel recupero del degrado di aree nei dintorni della stazione ferroviaria ed infine attraverso operazioni di recupero e risanamento urbanistico, edilizio e sociale implementati al grattacielo di Ferrara sino alla recente proposta di Master Plan della Sicurezza di Perugia e a diverse iniziative in tante città italiane che si sono poi raccolte intorno al FISU ( Federazione Italiana Città Sicure- che aderisce all’omonima federazione europea FISE). Ed è proprio sul lavoro lungimirante, sottile, molto cauto del FISU che tutto sommato in un arco di un tempo breve si è arrivati alla definitiva approvazione delle norme CEN contenute nel Manuale sulla sicurezza e gestione degli spazi urbani. E tutto questo, e spiace dirlo, senza il contributo organizzato della cultura urbanistica e degli urbanisti, quando invece sono questi quelli che più di altri avrebbero potuto dare, ma soprattutto ricevere nuovi stimoli dal lavoro svolto e dalle competenze innovative di molteplici
  • 4. professionalità che si sono cimentate sul tema della sicurezza urbana. Esperienze che sarebbero potute poi essere ulteriormente utilizzate e diffuse in una spirale positiva di doing by learning al fine di aumentare la percezione della sicurezza e la qualità reale del vivere in aeree urbane. Riteniamo allora che sia giunto il momento di mettere insieme queste professionalità preziose per la progettazione della città del prossimo futuro. E questa volta all’interno del “dream team” oltre alle professionalità che negli anni passati hanno supportato l’urbanistica e l’urbanista ( agronomi, statistici, esperti di traffico e trasporti, geologi, architetti edili e restauratori,ingegneri …..) è necessaria l’integrazione con criminologi, sociologi, mediatori culturali, ONLUS, operatori del terzo settore; ed ancora vigili urbani, carabinieri e forze di polizia, esperti di security e di safety, di information technology e della comunicazione. Professionalità queste che sono poi quelli in parte coinvolti nel percorso cha ha portato alla approvazione del Manuale di “ Pianificazione, disegno urbano e gestione degli spazi”. I side effects di tale esperienza in alcune città si sono allargati sino alla predisposizione di “tavoli permanenti delle sicurezza” alle quali partecipano sia gli enti locali che lo stato attraverso le prefetture e le forze di polizia e che hanno permesso e sempre più permetteranno in futuro, di intervenire con creatività e fermezza in tutte quelle operazioni di incremento della sicurezza sia reale che percepita e non solo attraverso la forza o l’applicazione di concetti tipo “ tolleranza zero”, o “ “legge ed ordine”, ma attraverso la comprensione profonda del rapporto tra spazio pubblico e degrado, segregazione e qualità dell’ambiente urbano, accoglienza e solidarietà. Oggi ed ancor di più nell’immediato futuro sarà più che mai necessario ( al di là della sbornia ancora in corso di dotarsi dei “piesseci” ) intervenire concretamente sulla qualità della vita urbana da ottenersi con pochi, qualificati, urgenti e mirati interventi innanzi tutto a livello di quartiere. Ed a maggior ragione non si può aspettare il completamento del trittico urbanistico ( PSC+POC+RUE) per avviare operazioni di risanamento e riqualificazione al fine di evitare che il tema della sicurezza urbana ricada solo sulle spalle delle forze di polizia, carabinieri e polizia municipale. E’ necessario quindi che l’urbanistica si apra alla cultura della sicurezza, della prevenzione e della solidarietà praticata contro il degrado ed il vandalismo, coinvolgendo tutto un universo di operatori ed attori sociali per incrementare la mixofilia e combattere la mixofobia. Il tema della sicurezza urbana si pone oggi in una posizione intermedia fra le responsabilità dell’amministrazione locale e quella delle responsabilità dello stato e le esperienze sin qui svolte dal FISU hanno dimostrato che è la collaborazione ( senza competizioni e conflitti fra istituzioni) che può riuscire a fare città sicura, città creativa, città di qualità e di benessere, città solidale, città facile, città di speranza ed integrazione.. E questo si ottiene coniugando i temi dell’accessibilità di quartiere ai luoghi di uso pubblico, della sicurezza dei parchi e delle ciclabili, del miglioramento della manutenzione, della predisposizione di piani urbanistici di dettaglio tali da non lasciare spazi bui…. Ed ancora della localizzazione di centri commerciali a misura di quartiere….. Interventi in altre parole che l’urbanistica moderna ha sempre praticato nel passato favorendo l’incremento della qualità della sicurezza e della qualità urbana, ma che negli ultimi 20 anni lentamente ha ceduto all’urbanistica della mono destinazione d’uso. Pezzi di città ad esempio dove
  • 5. si fa solo residenza senza neanche un negozio sperando in tal modo di favorire la grande distribuzione in nome dell’efficienza della catena distributiva e di prezzi più bassi. Da qui all’urbanistica ed architettura della paura, del “pass”, della vigilanza armata e dei muri con al di sopra i famosi fili di ferro a rasoio, il passo è stato breve ed a volte anche inconsapevole. In alcune città della penisola siamo arrivati all’urbanistica che respinge, preclude ed esclude lo straniero che non è come me, uguale a me. Eppure tutte queste azioni sono vane oltreché offensive della civiltà urbana che la tradizione italiana dei Comuni hanno saputo creare, costruire, tramandare. Se si chiede ad uno straniero perchè ama l’Italia, oltre al cibo, la moda e la pizza, vi dirà che è la qualità della vita urbana quella che più di altre è l’elemento caratterizzante. E noi grazie anche a 30 anni e oltre di zooning stupido e becero, “piesseci” rigidi quanto inutili ci stiamo lentamente rovinando il futuro, distruggendo il passato, impedendo allo “straniero”, al migrante di essere cittadino come noi. Neanche le tanto abusate telecamere possono fare un granché senza un mix di strumenti e di policy in grado di affrontare la complessità dei temi della qualità e della sicurezza. Le buone pratiche in tema di sicurezza urbana hanno dimostrato che non può esserci una soluzione valida per tutte le stagioni e situazioni. Ma al contrario che è solo facendo tesoro di professionalità, di esperienze, teorie e tentativi, ma anche di armonia e coordinamento con altri interventi di tipo sociale, che si possono ottenere importanti risultati. Integrazione di politiche di valorizzazione delle aeree e luoghi di uso pubblico con i temi della accessibilità e mobilità; ampio, solidale e sostenuto apporto alle iniziative del privato-del sociale coniugate ad interventi di natura strutturale di parte pubblica sono in definitiva gli ingredienti necessari per ottenere sicurezza. Se così è allora il tema della sicurezza in ambito urbano non può solo essere circoscritto all’ ”hot spot” del momento, ovvero all’edificio abbandonato che ospita i sempre più poveri o l’edificio dove si spaccia e si pratica la prostituzione. E neppure può limitarsi alla chiamata operosa dei volontari contro i soliti “graffitari” o alla repressione tramite ordinanze contro la vendita di alcolici nelle strade del centro storico pieno di giovanotti col bicchiere in mano o ai dintorni di tutte le stazioni ferroviarie italiane. Le analisi, le prassi e gli interventi di “ sicurezza urbana “ devono permeare la pianificazione urbanistica, devono trovare anche riscontro su di aree più vaste. Insomma la sicurezza e la sua percezione sono temi che vanno affrontati dal micro al macro e viceversa, dove il quartiere ( inteso non come unità amministrativa ma come unità di vicinato realmente praticato e vissuto dei/dai suoi abitanti) deve essere considerato l’unità minima di pianificazione. E qui allora anche noi vogliamo riportare la famosa, emblematica affermazione di Janet Jacobs, urbanista americana “La prima cosa da capire è che l’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi della città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa possa essere necessaria: esso è mantenuto soprattutto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi.” Non è solo questo o quel condominio che deve essere oggetto di un Piano o programma di sicurezza e per analogia non è nemmeno l’area del posteggio della bici nei pressi della stazione, di questo o quest’altra zona intorno allo stadio o dell’area di fronte al casello autostradale diventato luogo prostituzione, oppure il parcheggio dell’area commerciale abbandonata la notte e sede di scorribande dei patititi dell’alta velocità. Assolutamente no. Deve essere la città intera l’oggetto della Pianificazione della Sicurezza Urbana.
  • 6. Ed il quartiere ( quello vissuto) può essere l’unità minima di pianificazione delle politiche urbanistiche, sociali, dei servizi,della mobilità e della sicurezza ? Il tema è quello di fare dei piani che oltre a prevedere e provvedere possono anche prevedere e prevenire. Siamo sicuri che all’aumento del traffico per forza la risposta sia costruire nuove strade? Oppure che una buona e massiccia dose di piste ciclabili costruite in piena sicurezza non siano la cosa migliore per evitare gli spostamenti delle ore di punta che per oltre il 70% in alcune città sono solo spostamenti inferiori ai tre chilometri e quindi catalogabili come spostamenti di quartiere? Possiamo dare indicazioni urbanistiche tali da evitare “ gated communities” letteralmente comunità recintate, che stanno per divenire l’emblema dell’impotenza della città e dell’urbanistica contemporanea? Come urbanisti dobbiamo assolutamente evitare il nascere di pezzi di città fortificate, di bunker residenziali e direzionali dominati dalle immancabili telecamere e dalle guardie private per tenere lontani gli estranei. E’ necessario nella costruzione di una città sicura certamente prevedere tecniche e soluzioni in grado di contrastare il crimine ed il vandalismo ma senza sbarrare gli accessi, senza intimidire colui che vien da fuori. Dobbiamo fare il possibile per evitare l’urbanistica e l’architettura della paura e dell’intimidazione e tutte le mirabolanti invenzioni che hanno già prodotto la panchina antibarbone, perché scomoda a forma cilindrica e messa in vicinanza dei sistemi di irrigazione. Dobbiamo invece batterci contro gli spazi fantasma, i non luoghi; dobbiamo rendere vivibile ogni metro delle nostre città, siano esse aree periferiche o centrali. Dobbiamo altresì aumentare lo spazio pubblico, diminuire lo spreco di suolo di aree residue tra spazio pubblico e privato dove la competizione si svolge tra pedoni e automobilisti, tra ricchi e poveri , spacciatori e mamme coi bambini, automobilisti indisciplinati e ragazzi sul motorino. E per far questo ci vuole certo della buona urbanistica, ma anche delle ottime ed integrate politiche sociali, piani del traffico e della mobilità dolce, dell’accessibilità, del verde, della manutenzione. “ E’ nei luoghi pubblici che la vita urbana e tutto ciò che la distingue dalle altre forme dell’umana convivenza raggiunge la sua più compiuta espressione, con le sue gioie e pene, speranze e presentimenti.” (Zygmunt Bauman). Il Manuale di Pianificazione , Disegno Urbano e Gestione degli spazi sulla sicurezza a questo proposito è ricco di spunti metodologici e pratici. Ma ci chiediamo se la sua applicazione non vada pensata solo su limitati aspetti, ma di converso essere inevitabilmente estesa a tutta la città costruita a tutto il territorio urbano. Le analisi e le indicazioni operative che il Manuale suggerisce devono a nostro avviso entrare a far parte di un bagaglio culturale, di una cassetta degli attrezzi dell’urbanistica contemporanea che è l’urbanistica della globalizzazione, tenuto conto che nel giro di meno di un ventennio la popolazione urbana raggiungerà oltre il 70% delle popolazione totale. Riflessioni, indicazioni e strumenti operativi sulla sicurezza urbana devono a questo punto diventare anche elementi indicatori e di performance sui temi della sicurezza urbana tali da essere utilizzati anche all’interno dell’iter concessorio edilizio così come avviene in Inghilterra ed in altri paesi del Nord Europa. E’ legittimo chiedere che in sede di analisi di importanti progetti edilizi e di infrastrutturazione urbana e regionale anche le forze di Polizia e la Polizia di Prossimità possano aiutare nel prevenire, minimizzare, i potenziali rischi sia della criminalità, ma soprattutto di atti di vandalismo che possono essere evitati con una buona progettazione
  • 7. urbanistica ed edilizia? Possiamo immaginare una commissione edilizia dialogante su questi temi, ovvero disponibile ad ascoltare in maniera preventiva il progettista circa il suo progetto e quindi disponibile a dare delle guidelines sui temi della sicurezza, della manutenzione, del degrado etc? Da fastidio a qualcuno se su questi temi chiediamo un parere al comandante della Polizia Urbana o di Prossimità e /o consiglio alle Forze dell’ordine e a degli esperti operatori e mediatori culturali, a dei sociologi? Oggi ci rendiamo conto che i grandi parcheggi dei centri direzionali e commerciali vuoti durante la notte sono ricettacolo di atti di criminalità, degrado e vandalismo ed è quindi necessario intervenire in un qualche modo, ma non solo attraverso “manu militari” o solo attraverso l’impedimento della recinzione, ma anche e soprattutto attraverso la creatività, la connessione, attività sociali compatibili anche se provvisorie. E’ in definitiva su questi non luoghi che bisogna re-intervenire, con creatività e decisione. La domanda che sempre più frequentemente ci si pone rispetto ai centri commerciali ed ai grandi centri direzionali è: sono ancora necessari? Siamo certi che ne servano di nuovi? Oppure anche in nome della sicurezza urbana è meglio preferire un centro commerciale di vicinato raggiungibile a piedi, senza necessità di ampi parcheggi? Non è meglio oggi avere un supermarket diffuso di poche centinaia di metri quadri in tutte le zone residenziali piuttosto che un unico ipermercato di 15.000 mq. ? E’ possibile avviare un vero e proprio downsizing di tali strutture che consentano di mantenere ampia offerta a prezzi contenuti agendo più sulla leva della logistica, dell’innovazione, della supply chain, piuttosto che sulla quantità spropositata di spazi necessari tali da essere sempre più considerati l’emblema dello spreco di territorio ? Non è meglio qualificare la città esistente, renderla più compatta, più “easy” piuttosto che continuare a fare finte città come gli outlet con finte residenze, finti abitanti , finte strade medievali e finti pozzi medioevali ? Queste sì delle vere e proprie volgarità urbanistiche ed edilizie che stanno rovinando il paesaggio rurale italiano o almeno quel poco che ne è rimasto. E poi ancora, intervenire sulle barriere architettoniche e spaziali, creare un continuo di spazi verdi, ciclabili e pedonali verso i luoghi del quotidiano ( la scuola, il mercato, il centro sociale), promuovere la costruzione di centri medici associati all’interno dei quartieri in grado di intercettare la domanda sanitaria anche di modesta urgenza? Non sono forse anche queste operazioni che prevengono il degrado, il crimine, il vandalismo a favore della socialità, della qualità della vita in aree urbane? Ecco, questi alcuni degli elementi che hanno spinto la Fondazione Piacentini a considerare opportuna una riflessione professionale e di parte degli urbanisti. Riteniamo infatti che sulla base delle indicazioni e delle esperienze maturate sui temi della sicurezza urbana nella Regione Emilia Romagna e su indicazioni dell’art.5, comma 1 delle Legge Regionale 24/2003 sia oramai necessario promuovere Piani per la Sicurezza Urbana finalizzati alla prevenzione del crimine, alla diminuzione dei rischi potenziali in aree urbane, aumentando di converso la percezione di sicurezza dei cittadini. Piani però che non possono essere svincolati dal resto della prassi urbanistica , ma neanche dal profondo processo di riorganizzazione della Polizia Urbana o di Prossimità che da lungo tempo è in atto nella regione e con risultati senz’altro positivi sui temi del vivere civile, della qualità urbana e della sicurezza percepita. Certo ci sarà ancora molto da fare ed affinare anche a livello di strumentazione.
  • 8. Ma su questo terreno per fortuna molto è stato fatto negli ultimi anni. Ci riferiamo alla profonda riflessione in corso circa la figura del “ vigile urbano” ed alle sue nuove dotazioni tecnologiche che di fatto in parte sono le stesse in uso nella pianificazione urbana e territoriale. Ci riferiamo in particolare al Ril.Fe.De.Ur, in altre parole al sistema di rilevazione del degrado urbano promosso dalla Regione Emilia Romagna e co-finanziato dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica. Uno strumento quindi n grado di raccogliere e geo-referenziare le informazioni relative al degrado urbano attraverso tre canali principali: - la chiamata del cittadino o la sua denuncia cartacea; - la posta elettronica - la possibilità per l’operatore di polizia di memorizzare le segnalazioni dei cittadini del territorio. Tale integrazione con la cartografia digitalizzata consente da una parte all’amministrazione comunale ed agli operatori di conservare memoria storica degli atti di inciviltà e degrado su di una base territoriale, dall’altra una base indispensabile per pianificare gli interventi “ urbani” e non solo per cristallizzare le varie emergenze rilevate. Ecco che allora il tema della Pianificazione della Sicurezza Urbana si intreccia anche con quella di una nuova Polizia Locale, con le maggiori e più puntuali responsabilità del Sindaco e dell’Amministrazione Municipale sui temi della sicurezza urbana ed infine su di una maggiore integrazione fra i livelli statali e locali che gestiscono e si occupano di sicurezza. In tale ambito e su tali temi , avere una maggiore sensibilità e professionalizzazione degli urbanisti e dei progettisti in genere può essere un ulteriore strumento di prevenzione del degrado urbano. Da qui allora alcune nuove componenti di studio che si andranno ad affiancare alle tradizionali analisi ed indicatori afferenti la disciplina urbanistica e la pratica edilizia che indicativamente, in un Piano della Sicurezza Urbana possono fare riferimento a: - analisi di degrado e “crime review” organizzate per destinazioni urbanistiche - variabili fisiche delle aree prese in considerazione - condizioni socio economiche e demografiche - analisi dei dati forniti dalle forze dell’ordine e dalla esperienza delle vittime di atti vandalici o criminosi ( vittime domestiche, commerciali, altro). - fattori che potenzialmente procurano un senso di insicurezza ( manutenzione, scarsa illuminazione, cantieri esistenti, passaggi pedonali e ciclabili pericolosi, bui etc). Da qui e dopo analisi e creazione di nuovi indicatori e sensori di qualità/sicurezza si potrà arrivare per l’intera città, organizzata su base di “ quartiere “ o aree spazialmente definite all’utilizzo pieno delle informazioni raccolte anche dal sistema Ril.Fe.De.Ur. ad un Piano della Sicurezza Urbana che potrà contenere: • Strategie di Pianificazione Urbanistica, mirate ad azioni di rispetto delle strutture sociali e fisiche esistenti, azioni di animazione, mix di destinazione urbanistica, caratteri di densità edilizia • Strategie di Progettazione Urbanistica, specifiche per spazi ed aree da riconnettere al tessuto urbanistico, spazi da ristrutturare, spazi da rendere più facilmente accessibili, spazi ed aree da rendere più attrattivi, tecnicalità ed elementi progettuali atti a migliorare le prestazioni dei principali arredi e
  • 9. infrastrutture stradali e di servizio. • Strategie di Gestione urbana di manutenzione e di sicurezza . finalizzate a rafforzare, migliorare, meglio sintonizzare gli obiettivi di sicurezza e percezione della sicurezza; manutendere, sottoporre a regime di videosorveglianza parti di tessuto urbano ristrutturare pezzi o parti di città, offrire nuove e più specifiche infrastrutture e strutture di tipo sociale/pubblico, comunicare fra Autorità Locale e cittadini, fra gruppi, fra utenti, fra residenti, fra i diversi portatori di interesse animati da volontà di partecipazione comunitaria, ri-condizionare spazi pubblici e privati obsoleti, illuminare zone buie etc. Queste in sintesi le prime proposte e riflessioni degli urbanisti che si riconoscono intorno alla Fondazione Piacentini in merito alla necessità di predisporre Piani della Sicurezza Urbana, sia come strumenti generali e specifici di indirizzo e azione, che come parte integranti di Master Plan di quartiere. Ringraziamo ancora una volta FISU, il Laboratorio di Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di Milano, il Dipartimento per la sicurezza e la polizia locale della Presidenza della Giunta della Regione Emilia Romagna e tutti quegli operatori e professionals che in questi anni hanno lavorato su questi temi e di cui oggi tutti noi possiamo raccoglierne i frutti.