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DEVE ESSERE RISOLTA
LEGISLATIVAMENTE
LA QUESTIONE TARI
SULLE PERTINENZE
LA QUOTA VARIABILE DELLA TARI SULLE PERTINENZE DELLE ABITAZIONI
Sono giunte all’A.N.U.T.E.L. numerose sollecitazioni da parte degli Enti associati in relazione alla
questione sollevata dalla recente risposta all’interrogazione parlamentare in Commissione Finanze
della Camera dei Deputati n. 5-10764, a cui ha fatto seguito la circolare del Ministero dell’Economia
e delle Finanze n. 1/df del 20/11/2017, concernete l’applicazione della quota variabile della tassa sui
rifiuti (TARI) sulle pertinenze delle abitazioni catastalmente distinte. La posizione Ministeriale ha infatti
messo in difficoltà diverse Amministrazioni Comunali che avevano adottato una diversa interpretazione
della norma, in assenza di disposizioni chiare e di specifici interventi interpretativi del Ministero in
merito. Ciò anche per effetto del rilevante impatto mediatico che ha avuto la questione e che sta
spingendo molti contribuenti ad attivarsi per richiedere il rimborso di quanto pagato, sovente anche
nei comuni non coinvolti dalla questione.
Per tali motivi l’Associazione ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti e proporre interventi
normativi in grado di definire al meglio la questione, al fine di tutelare sia la posizione dei Comuni che
quella dei contribuenti.
LA TESI MINISTERIALE
La circolare Ministeriale n. 1/df del 20/11/2017, prendendo spunto dalla risposta all’interrogazione
parlamentare sopra richiamata, ha affrontato la questione dell’applicazione della quota variabile della
tassa sui rifiuti (TARI) alle utenze domestiche dotate di pertinenze catastalmente separate rispetto
all’abitazione.
Prima di esporre alcune considerazioni in merito, appare opportuno ricordare che, in base al criterio
contenuto nel cosiddetto “metodo normalizzato” (DPR 158/1999), la tariffa delle utenze domestiche
si compone da:
•	 una quota fissa, da determinarsi in base alla superficie del locale posseduto o detenuto ed al
numero degli occupanti;
•	 quota variabile, parametrata solo al numero di quest’ultimi.
In sostanza, il tributo dovuto per un’abitazione è calcolato moltiplicando la superficie tassabile della
stessa per la tariffa unitaria (diversificata in base al numero degli occupanti) e sommando al risultato
una quota di importo fisso, diversa in base al nucleo familiare o di convivenza.
Alcuni Comuni, nel caso di utenza formata dall’abitazione e da una o più pertinenze catastalmente
separate dalla stessa, hanno determinato il tributo applicando la quota variabile più volte in base al
numero delle unità immobiliari possedute o detenute. Quota che, in alcuni casi, è stata determinata
sempre considerando il numero degli occupanti l’abitazione ed in altri applicando un numero
diversificato per le pertinenze1
.
1	 Sotto questo profilo si registra il trattamento delle pertinenze, da parte di alcuni comuni, come utenze non domestiche, frutto
di un’interpretazione errata dell’art. 17 comma 4 ultimo capoverso dello schema di regolamento Tares del MEF.
Tale approccio, come è intuibile, determina un prelievo maggiore rispetto a quello che si ottiene
applicando una sola quota variabile per il complesso composto dall’abitazione e dalle sue pertinenze.
La posizione Ministeriale ha evidenziato come il sopra citato metodo non sia corretto.
Ciò in quanto, da un lato, il punto 3 dell’allegato 1 al DPR 158/1999 stabilisce che la parte variabile
dipende dai quantitativi di rifiuti prodotti dalla singola utenza. Dall’altro, poiché la previsione dell’art.
17,comma 4,dello schema di regolamentoTARES,reso disponibile nel sito del Ministero dell’Economia
nell’anno 2013, concernente l’ipotesi di cantine, autorimesse o luoghi di deposito condotti da una
persona fisica, priva nel Comune di utenze abitative, evidenzia come la regola generale sia che, al
contrario, la parte variabile della tariffa vada computata solo una volta, considerando l’intera superficie
dell’utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze situate nello stesso Comune.
A ciò si aggiunge, come ricorda la circolare n. 1/df, quanto contenuto nell’art. 16 del medesimo
schema di regolamento, il quale specifica che “la quota fissa della tariffa per le utenze domestiche
è determinata applicando alla superficie dell’alloggio e dei locali che ne costituiscono pertinenza le
tariffe per unità di superficie parametrate al numero degli occupanti…”.
La duplicazione della quota variabile, sottolinea la circolare n. 1/df, aumenta indebitamente il prelievo
sulle pertinenze, generando una palese disparità di trattamento tra due abitazioni di dimensioni
analoghe, con lo stesso numero di occupanti, la prima dotata di pertinenze e la seconda no.
IL TRATTAMENTO DELLE PERTINENZE
La posizione Ministeriale appare condivisibile. In primo luogo perché la quota variabile della tariffa
delle utenze domestiche è per sua stessa definizione volta a determinare l’ammontare del tributo
legato alla quantità di rifiuti effettivamente (o meglio in regime tributario anche solo potenzialmente)
prodotti dalla famiglia.
La stessa prescinde, quindi, sia dalla superficie dell’abitazione e sia dal numero di pertinenze
eventualmente utilizzate.
Inoltre, in base alla stessa definizione civilistica di pertinenza, si tratta di locali asserviti all’abitazione,
che non possono che formare un’unica utenza insieme alla stessa, trattandosi di locali asserviti in modo
durevole a servizio di quest’ultima.
Ancora, nella TARI l’unità impositiva non è data come nell’IMU dall’unità immobiliare. Il comma 641
dell’art. 1 della L. 147/2013 stabilisce che il presupposto della TARI è dato dal possesso o dalla
detenzione di locali o aree scoperte (escluse le aree pertinenziali non operative). Per locale, in base allo
schema di regolamento Ministeriale TARES 2013, si intende la costruzione stabilmente infissa al suolo,
chiusa da ogni lato verso l’esterno. Tale concetto non è sovrapponibile a quello di unità immobiliare,
per la quale si intende “ogni parte di immobile che, nello stato di fatto in cui si trova, è di per se stessa
utile ed atta a produrre un reddito proprio”. Il locale, quindi, può coincidere con l’unità immobiliare,
oppure riferirsi ad una parte di essa o ancora abbracciare più unità immobiliari. Ai fini TARI assume
rilievo, almeno per la quota variabile del tributo, la definizione di utenza, oggi contenuta nel D.M.
20/04/2017, il quale, all’art. 2, definisce tale le unità immobiliari, i locali o aree scoperte operative, a
qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e/o assimilati e riferibili, a qualsiasi titolo, ad
una persona fisica o giuridica ovvero ad un utente.
La definizione è sufficientemente chiara per evidenziare come un’abitazione fornita di diverse
pertinenze non può che essere un’unica utenza. Nella norma di disciplina della TARI il concetto di
unità immobiliare è richiamato, dal comma 645 dell’art. 1 della L. 147/2013, solo ai fini del calcolo
della superficie tassabile, stabilendo (almeno a regime) regole differenti per le unità immobiliari a
destinazione ordinaria rispetto a quelle a destinazione speciale.
COMUNI CON QUOTA VARIABILE MULTIPLA
Nei Comuni che invece hanno utilizzato il criterio basato sulla applicazione multipla della quota
variabile, i contribuenti, anche grazie ad una notevole rilevanza mediatica della vicenda, stanno
provvedendo in massa a presentare istanza di rimborso delle somme pagate in eccesso.
Come devono comportarsi i Comuni interessati? In primo luogo va evidenziato che l’interpretazione
non proviene da una sentenza giurisdizionale con valenza generale, ma da una fonte Ministeriale.
Quindi, i Comuni che hanno disciplinato il trattamento delle utenze in modo differente nei propri
regolamenti, in mancanza di un effetto cauducante degli stessi, dovranno continuare ad applicarli.
Il Ministero invita in tale casi tuttavia al loro adeguamento, anche se va considerato che, in base alle
regole dettate dall’art. 52 del D.Lgs 446/1997, una loro modifica non potrà che avere effetti per il
futuro.
Ovviamente tale situazione non mette al riparto gli Enti per quanto avvenuto in passato, in quanto
i contribuenti ben potrebbero presentare istanza di rimborso delle somme versate in eccesso ed
impugnare l’eventuale diniego espresso o tacito davanti al Giudice tributario. Quest’ultimo ha il
potere di esaminare le norme regolamentari e di disapplicarle, laddove le ritenga illegittime (art. 7
D.Lgs 546/1992). Disapplicazione che però varrebbe ovviamente solo per il caso singolo. Anche se
è probabile che in questa situazione le richieste di rimborso potrebbero essere massive e riguardare
diverse annualità, considerato che i contribuenti hanno 5 anni di tempo dal pagamento per azionare
la richiesta di rimborso (art. 1, c. 164, L. 296/2006).
In merito, appare opportuno rammentare che la TARI è entrata in vigore nel 2014, anche se la
questione dei rimborsi legati all’eventuale applicazione della quota variabile sulle pertinenze potrebbe
coinvolgere anche la TARES, rimasta in vigore solo nel 2013. Non anche la TARSU, in quanto in vigenza
di tale tributo la tariffa era normalmente espressa in termini unitari e parametrata ai soli metri quadrati
dell’abitazione e delle pertinenze.
Tuttavia, va rammentato anche che la TARI è un tributo che, nella maggioranza dei casi, viene
liquidato dall’ufficio. Seppure la lettura della L. 147/2013 porterebbe a ritenere che il tributo abbia le
caratteristiche di un prelievo in autoliquidazione, la maggioranza dei Comuni ha previsto nel proprio
regolamento di disciplina del tributo il meccanismo della liquidazione d’ufficio.
Vale a dire il contribuente non provvede spontaneamente al pagamento della tassa, come avviene ad
esempio nell’IMU, ma procede solo dopo aver ricevuto la richiesta di pagamento da parte dell’ente.
Tanto da non poter essere sanzionato se non adempie al pagamento del tributo in assenza della prova
della ricezione della richiesta di pagamento (salvo diversa previsione regolamento dell’ente).
Se il contribuente, che non ha pagato l’avviso bonario, ha adempiuto al pagamento in seguito alla
notifica da parte del Comune di un avviso di accertamento per omesso versamento, potrebbe vedersi
eccepire dall’Ente, in sede di ricorso avverso il diniego di rimborso, la definitività dell’avviso stesso.
In sostanza, la pretesa tributaria si sarebbe cristallizzata in quanto il contribuente avrebbe dovuto
contestarla nel merito entro il termine di 60 giorni dalla ricezione dell’avviso2
. Ove il pagamento sia
stato eseguito dal contribuente una volta ricevuto l’avviso bonario la questione potrebbe anche porsi
nei medesimi termini.
Vainfattiricordatoche,secondolaCortediCassazione,anchel’avvisobonarioèunattoautonomamente
impugnabile (sentenza Cassazione, n.16293/2007). Quindi anche di fronte all’acquiescenza del
contribuente allo stesso, senza eccepire contestazioni al momento della sua ricezione, l’Ente potrebbe
opporre la definitività della pretesa,pur in assenza di un atto notificato,ma inequivocabilmente ricevuto
e pagato dallo stesso contribuente.
Tuttavia in questo ultimo caso si instaurerebbe sicuramente un contenzioso dall’esito tutt’altro che
scontato. In ogni caso, l’Ente potrebbe decidere in sede di autotutela di provvedere comunque al
rimborso in favore dei contribuenti che hanno pagato di più in virtù del criterio applicato nell’addebito
delle quote variabili.
Pur evidenziando che, qualora si voglia procedere in tale senso, si porrebbe comunque il problema
della norma regolamentare vigente negli anni interessati dal rimborso.
Nel caso invece in cui il regolamento comunale non abbia disciplinato in maniera chiara il trattamento
delle pertinenze e l’Ente abbia adottato la modalità applicativa qui in esame solo in sede di
determinazione degli avvisi di pagamento, lo stesso potrebbe con minore difficoltà modificare in via
di autotutela la propria posizione, senza che siano necessarie rettifiche regolamentari.
EFFETTI SUL PIANO FINANZIARIO
Non va dimenticato che, in ogni caso, il diverso criterio di calcolo del tributo adottato dall’Ente non ha
inciso sul gettito complessivo dello stesso, come è noto vincolato per legge alla copertura del costo
totale del servizio rifiuti.
Infatti, a differenza di quanto si riscontra nell’esempio riportato nella circolare 1/df volta a dimostrare
l’effetto di incremento del prelievo nel caso di applicazione di più quote variabili anche alle pertinenze,
qualora la quota variabile venisse applicata una sola volta al complesso formato dall’abitazione e dalle
2	 Un analogo ragionamento potrebbe essere effettuato anche a seguito dell’avviso di pagamento notificato al contribuente in
prima battuta, o a seguito dell’invio dell’avviso bonario non pagato.
pertinenze, la stessa sarebbe senza dubbio maggiore di quella unitaria applicata sia sull’abitazione e
sia su ogni pertinenza catastalmente distinta. Ciò in quanto il totale dei costi variabili si spalmerebbe
su di un minor numero di utenze.
Peraltro, anche nell’ipotesi in cui l’Ente dovesse provvedere a rimborsi massivi, si potrebbe ipotizzare
che il relativo onere possa essere coperto nei piani finanziari degli anni successivi a quello in cui gli
stessi sono stati effettuati.
Più volte il Giudice amministrativo e la Corte dei Conti hanno stabilito che non è corretto riportare
eventuali deficit accumulati in annualità pregresse nei piani finanziari, in quanto ciò sembra far ricadere
i relativi costi su utenti attuali (es. nuovi residenti) del servizio che ben potrebbero non averne usufruito
nell’anno precedente, e tanto in contrasto con la ratio del tributo.
Infatti, una diversa interpretazione potrebbe portare alla inammissibile conseguenza di avallare, in
via ordinaria, eventuali comportamenti inerti della P.A., riversando ad libitum e sine die sulle tariffe
delle annualità successive i costi, anche ordinari, di annualità pregresse (cfr. ordinanza TAR Lecce
n.386/2017).
Tuttavia, in tale caso, tali oneri si potrebbero ritenere imputabili ad uno scostamento tra il gettito
preventivo e quello consuntivo del tributo Comunale sui rifiuti, derivante da eventi imprevedibili non
dipendenti da negligente gestione del servizio.
Situazione che, in base allo schema di regolamento TARES 2013, consentirebbe il riporto a nuovo
dello scostamento. E’ infatti evidente che l’incertezza applicativa del tributo in merito al calcolo delle
quote variabili sulle pertinenze, dovuta anche alla mancata chiarezza della norma ed all’assenza sin
dal 2013 di interventi Ministeriali sulla questione, potrebbe far configurare nella fattispecie il carattere
imprevedibile dell’evento.
Tale soluzione determinerebbe comunque un aggravio sui piani degli anni futuri, con conseguente
aumento tariffario, fermo restando che data l’elevata incertezza della sua applicabilità necessiterebbe
di un intervento normativo o quantomeno interpretativo a livello ufficiale.
Il pregio della soluzione appena evidenziata è che gli utenti che hanno corrisposto in passato un
importo maggiore della quota variabile si vedrebbero restituita la tassa pagata in eccedenza. Il difetto
è invece che gli utenti che hanno pagato un tributo minore, poiché avendo solo l’abitazione senza
pertinenze si sono visti addebitare una sola quota variabile di importo unitario minore rispetto a
quella che avrebbe dovuto essere calcolata considerando le pertinenze come parte integrante delle
abitazioni, subirebbero solo in parte l’aggravio dovuto per il passato.
Ciò in quanto l’aumento futuro della tariffa dovuto all’addebito dei costi dei rimborsi determina un
incremento generalizzato delle quote variabili che colpisce sia le abitazioni con pertinenze che quelle
che ne sono prive. E comunque si tratterebbe con tutta probabilità di utenti diversi da quelli originari.
D’altro lato, tenuto conto delle regole vigenti in merito all’efficacia delle deliberazionI tributarie,
non si ritiene possibile a normativa vigente un ricalcolo retroattivo delle tariffe che, inevitabilmente,
dovrebbero aumentare per i contribuenti domestici non coinvolti dal problema delle pertinenze.
La questione, quindi, appare tutt’altro che definita, e comunque foriera di contenziosi e contestazioni,
tanto che si ritiene opportuno un rapido intervento del legislatore a soluzione della questione.
POSSIBILI INTERVENTI NORMATIVI
L’auspicato intervento normativo potrebbe svilupparsi su differenti piani.
Volendo evitare una disposizione di sanatoria per i comportamenti passati, che indubbiamente
genererebbe un impatto negativo sull’equità del tributo, sarebbe comunque necessaria una norma di
legge che chiarisca in modo univoco la modalità di applicazione del tributo sulle utenze domestiche,
consentendo a tutti gli enti di riallinearsi alla stessa già con i regolamenti del 2018.
Analogamente non sembra corretta una disposizione che escluda la copertura del costo dei rimborsi
dai piani finanziari futuri, lasciando in sostanza l’onere in capo alla fiscalità generale degli Enti, poiché
si paleserebbe una violazione del principio della copertura integrale dei costi del servizio.
Ciò stante, in primis, considerando che oggetto della tassazione non sono precipuamente i fabbricati
o le unità immobiliari, ma più specificatamente i “locali”, occorre una norma chiara che specifichi ai fini
TARI che per la tassazione delle utenze domestiche si intende come singola utenza quella composta
dalla superficie del locale abitativo e dei locali che ne costituiscono pertinenza.
La stessa solleverebbe tuttavia la problematica di quei regolamenti che prevedono la tassazione
autonomadelleunitàimmobiliaripertinenzialidistintamentecensiteincatastorispettoaquellaabitativa,
con la commisurazione della parte variabile della tariffa al quoziente familiare di un componente, così
prescindendo dal numero dei conviventi nell’abitazione.
Soluzione quest’ultima di equilibrio, suggerita in qualche modo anche dalle linee guida TARES,
seppure nel caso particolare di conduzione da parte di una persona fisica priva nel comune di utenze
abitative, ma tuttavia non compatibile con l’ambito applicativo della normativa ricostruito dalla citata
circ.1/df.
In secundis consentire specificatamente, per quei Comuni che hanno operato la tassazione multipla, in
deroga alle vigenti norme di legge sulla decorrenza delle tariffe, di poter rideterminare ora per allora
la distribuzione del carico gravante sulle utenze domestiche.
In quanto, se per un verso è evidente l’aggravio di carico per gli utenti con pertinenze autonome, per
l’altro verso gli utenti senza locali pertinenziali autonomi hanno invece corrisposto il tributo in misura
inferiore rispetto a quella loro spettante qualora la redistribuzione del carico per la maxicategoria
utenze domestiche, non fosse stata rapportata considerando come autonome utenze (e quindi gravate
di quota fissa e variabile) le singole pertinenze distintamente accatastate.
In difetto di un siffatto intervento normativo, le conseguenze del rimborso effettuato, allo stato dell’arte
delle disposizioni oggi vigenti, non potranno che influenzare in aumento i costi dell’anno in cui il
rimborso verrà effettuato, per cui qualora il legislatore non intenda autorizzare la rimodulazione.
Pertanto, sarebbe opportuno prevedere una specifica disposizione che attenui l’impatto economico
della restituzione, magari consentendo di spalmare il costo del rimborso per più annualità e non
interamente nel piano finanziario successivo a quello dell’annualità in cui il rimborso è stato effettuato.
Ad ogni buon conto è auspicabile che quei Comuni che abbiano regolamentato per la tassazione
delle singole pertinenze e si siano determinati per il rimborso (anche d’ufficio nell’esercizio del potere/
dovere di autotutela) incrementino l’attività di accertamento e riscossione coattiva, così da recuperare
parte di risorse per contrarre l’impatto sul piano finanziario dei costi del rimborso.
Infine, de iure condendo, una disposizione specifica che qualifichi e determini il concetto di pertinenza
ed eventualmente il loro numero, come per la definizione oggettiva di abitazione ai fini dell’IMU e
della TASI, sarebbe oltremodo opportuna, consentendo una regolamentazione uniforme sul tutto il
territorio nazionale.
Infine si rende non più dilazionabile e necessario un intervento legislativo che risolva le problematiche
sopra evidenziate, così da addivenire ad una soluzione uniforme su tutto il territorio nazionale.

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Quota variabile TARI sulle pertinenze delle abitazioni.

  • 1. DEVE ESSERE RISOLTA LEGISLATIVAMENTE LA QUESTIONE TARI SULLE PERTINENZE LA QUOTA VARIABILE DELLA TARI SULLE PERTINENZE DELLE ABITAZIONI Sono giunte all’A.N.U.T.E.L. numerose sollecitazioni da parte degli Enti associati in relazione alla questione sollevata dalla recente risposta all’interrogazione parlamentare in Commissione Finanze della Camera dei Deputati n. 5-10764, a cui ha fatto seguito la circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 1/df del 20/11/2017, concernete l’applicazione della quota variabile della tassa sui rifiuti (TARI) sulle pertinenze delle abitazioni catastalmente distinte. La posizione Ministeriale ha infatti messo in difficoltà diverse Amministrazioni Comunali che avevano adottato una diversa interpretazione della norma, in assenza di disposizioni chiare e di specifici interventi interpretativi del Ministero in merito. Ciò anche per effetto del rilevante impatto mediatico che ha avuto la questione e che sta spingendo molti contribuenti ad attivarsi per richiedere il rimborso di quanto pagato, sovente anche nei comuni non coinvolti dalla questione. Per tali motivi l’Associazione ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti e proporre interventi normativi in grado di definire al meglio la questione, al fine di tutelare sia la posizione dei Comuni che quella dei contribuenti. LA TESI MINISTERIALE La circolare Ministeriale n. 1/df del 20/11/2017, prendendo spunto dalla risposta all’interrogazione parlamentare sopra richiamata, ha affrontato la questione dell’applicazione della quota variabile della tassa sui rifiuti (TARI) alle utenze domestiche dotate di pertinenze catastalmente separate rispetto all’abitazione. Prima di esporre alcune considerazioni in merito, appare opportuno ricordare che, in base al criterio contenuto nel cosiddetto “metodo normalizzato” (DPR 158/1999), la tariffa delle utenze domestiche si compone da: • una quota fissa, da determinarsi in base alla superficie del locale posseduto o detenuto ed al numero degli occupanti; • quota variabile, parametrata solo al numero di quest’ultimi. In sostanza, il tributo dovuto per un’abitazione è calcolato moltiplicando la superficie tassabile della stessa per la tariffa unitaria (diversificata in base al numero degli occupanti) e sommando al risultato una quota di importo fisso, diversa in base al nucleo familiare o di convivenza. Alcuni Comuni, nel caso di utenza formata dall’abitazione e da una o più pertinenze catastalmente separate dalla stessa, hanno determinato il tributo applicando la quota variabile più volte in base al numero delle unità immobiliari possedute o detenute. Quota che, in alcuni casi, è stata determinata sempre considerando il numero degli occupanti l’abitazione ed in altri applicando un numero diversificato per le pertinenze1 . 1 Sotto questo profilo si registra il trattamento delle pertinenze, da parte di alcuni comuni, come utenze non domestiche, frutto di un’interpretazione errata dell’art. 17 comma 4 ultimo capoverso dello schema di regolamento Tares del MEF.
  • 2. Tale approccio, come è intuibile, determina un prelievo maggiore rispetto a quello che si ottiene applicando una sola quota variabile per il complesso composto dall’abitazione e dalle sue pertinenze. La posizione Ministeriale ha evidenziato come il sopra citato metodo non sia corretto. Ciò in quanto, da un lato, il punto 3 dell’allegato 1 al DPR 158/1999 stabilisce che la parte variabile dipende dai quantitativi di rifiuti prodotti dalla singola utenza. Dall’altro, poiché la previsione dell’art. 17,comma 4,dello schema di regolamentoTARES,reso disponibile nel sito del Ministero dell’Economia nell’anno 2013, concernente l’ipotesi di cantine, autorimesse o luoghi di deposito condotti da una persona fisica, priva nel Comune di utenze abitative, evidenzia come la regola generale sia che, al contrario, la parte variabile della tariffa vada computata solo una volta, considerando l’intera superficie dell’utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze situate nello stesso Comune. A ciò si aggiunge, come ricorda la circolare n. 1/df, quanto contenuto nell’art. 16 del medesimo schema di regolamento, il quale specifica che “la quota fissa della tariffa per le utenze domestiche è determinata applicando alla superficie dell’alloggio e dei locali che ne costituiscono pertinenza le tariffe per unità di superficie parametrate al numero degli occupanti…”. La duplicazione della quota variabile, sottolinea la circolare n. 1/df, aumenta indebitamente il prelievo sulle pertinenze, generando una palese disparità di trattamento tra due abitazioni di dimensioni analoghe, con lo stesso numero di occupanti, la prima dotata di pertinenze e la seconda no. IL TRATTAMENTO DELLE PERTINENZE La posizione Ministeriale appare condivisibile. In primo luogo perché la quota variabile della tariffa delle utenze domestiche è per sua stessa definizione volta a determinare l’ammontare del tributo legato alla quantità di rifiuti effettivamente (o meglio in regime tributario anche solo potenzialmente) prodotti dalla famiglia. La stessa prescinde, quindi, sia dalla superficie dell’abitazione e sia dal numero di pertinenze eventualmente utilizzate. Inoltre, in base alla stessa definizione civilistica di pertinenza, si tratta di locali asserviti all’abitazione, che non possono che formare un’unica utenza insieme alla stessa, trattandosi di locali asserviti in modo durevole a servizio di quest’ultima. Ancora, nella TARI l’unità impositiva non è data come nell’IMU dall’unità immobiliare. Il comma 641 dell’art. 1 della L. 147/2013 stabilisce che il presupposto della TARI è dato dal possesso o dalla detenzione di locali o aree scoperte (escluse le aree pertinenziali non operative). Per locale, in base allo schema di regolamento Ministeriale TARES 2013, si intende la costruzione stabilmente infissa al suolo, chiusa da ogni lato verso l’esterno. Tale concetto non è sovrapponibile a quello di unità immobiliare, per la quale si intende “ogni parte di immobile che, nello stato di fatto in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”. Il locale, quindi, può coincidere con l’unità immobiliare, oppure riferirsi ad una parte di essa o ancora abbracciare più unità immobiliari. Ai fini TARI assume rilievo, almeno per la quota variabile del tributo, la definizione di utenza, oggi contenuta nel D.M. 20/04/2017, il quale, all’art. 2, definisce tale le unità immobiliari, i locali o aree scoperte operative, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e/o assimilati e riferibili, a qualsiasi titolo, ad una persona fisica o giuridica ovvero ad un utente. La definizione è sufficientemente chiara per evidenziare come un’abitazione fornita di diverse pertinenze non può che essere un’unica utenza. Nella norma di disciplina della TARI il concetto di unità immobiliare è richiamato, dal comma 645 dell’art. 1 della L. 147/2013, solo ai fini del calcolo della superficie tassabile, stabilendo (almeno a regime) regole differenti per le unità immobiliari a destinazione ordinaria rispetto a quelle a destinazione speciale. COMUNI CON QUOTA VARIABILE MULTIPLA Nei Comuni che invece hanno utilizzato il criterio basato sulla applicazione multipla della quota variabile, i contribuenti, anche grazie ad una notevole rilevanza mediatica della vicenda, stanno provvedendo in massa a presentare istanza di rimborso delle somme pagate in eccesso. Come devono comportarsi i Comuni interessati? In primo luogo va evidenziato che l’interpretazione non proviene da una sentenza giurisdizionale con valenza generale, ma da una fonte Ministeriale. Quindi, i Comuni che hanno disciplinato il trattamento delle utenze in modo differente nei propri regolamenti, in mancanza di un effetto cauducante degli stessi, dovranno continuare ad applicarli. Il Ministero invita in tale casi tuttavia al loro adeguamento, anche se va considerato che, in base alle
  • 3. regole dettate dall’art. 52 del D.Lgs 446/1997, una loro modifica non potrà che avere effetti per il futuro. Ovviamente tale situazione non mette al riparto gli Enti per quanto avvenuto in passato, in quanto i contribuenti ben potrebbero presentare istanza di rimborso delle somme versate in eccesso ed impugnare l’eventuale diniego espresso o tacito davanti al Giudice tributario. Quest’ultimo ha il potere di esaminare le norme regolamentari e di disapplicarle, laddove le ritenga illegittime (art. 7 D.Lgs 546/1992). Disapplicazione che però varrebbe ovviamente solo per il caso singolo. Anche se è probabile che in questa situazione le richieste di rimborso potrebbero essere massive e riguardare diverse annualità, considerato che i contribuenti hanno 5 anni di tempo dal pagamento per azionare la richiesta di rimborso (art. 1, c. 164, L. 296/2006). In merito, appare opportuno rammentare che la TARI è entrata in vigore nel 2014, anche se la questione dei rimborsi legati all’eventuale applicazione della quota variabile sulle pertinenze potrebbe coinvolgere anche la TARES, rimasta in vigore solo nel 2013. Non anche la TARSU, in quanto in vigenza di tale tributo la tariffa era normalmente espressa in termini unitari e parametrata ai soli metri quadrati dell’abitazione e delle pertinenze. Tuttavia, va rammentato anche che la TARI è un tributo che, nella maggioranza dei casi, viene liquidato dall’ufficio. Seppure la lettura della L. 147/2013 porterebbe a ritenere che il tributo abbia le caratteristiche di un prelievo in autoliquidazione, la maggioranza dei Comuni ha previsto nel proprio regolamento di disciplina del tributo il meccanismo della liquidazione d’ufficio. Vale a dire il contribuente non provvede spontaneamente al pagamento della tassa, come avviene ad esempio nell’IMU, ma procede solo dopo aver ricevuto la richiesta di pagamento da parte dell’ente. Tanto da non poter essere sanzionato se non adempie al pagamento del tributo in assenza della prova della ricezione della richiesta di pagamento (salvo diversa previsione regolamento dell’ente). Se il contribuente, che non ha pagato l’avviso bonario, ha adempiuto al pagamento in seguito alla notifica da parte del Comune di un avviso di accertamento per omesso versamento, potrebbe vedersi eccepire dall’Ente, in sede di ricorso avverso il diniego di rimborso, la definitività dell’avviso stesso. In sostanza, la pretesa tributaria si sarebbe cristallizzata in quanto il contribuente avrebbe dovuto contestarla nel merito entro il termine di 60 giorni dalla ricezione dell’avviso2 . Ove il pagamento sia stato eseguito dal contribuente una volta ricevuto l’avviso bonario la questione potrebbe anche porsi nei medesimi termini. Vainfattiricordatoche,secondolaCortediCassazione,anchel’avvisobonarioèunattoautonomamente impugnabile (sentenza Cassazione, n.16293/2007). Quindi anche di fronte all’acquiescenza del contribuente allo stesso, senza eccepire contestazioni al momento della sua ricezione, l’Ente potrebbe opporre la definitività della pretesa,pur in assenza di un atto notificato,ma inequivocabilmente ricevuto e pagato dallo stesso contribuente. Tuttavia in questo ultimo caso si instaurerebbe sicuramente un contenzioso dall’esito tutt’altro che scontato. In ogni caso, l’Ente potrebbe decidere in sede di autotutela di provvedere comunque al rimborso in favore dei contribuenti che hanno pagato di più in virtù del criterio applicato nell’addebito delle quote variabili. Pur evidenziando che, qualora si voglia procedere in tale senso, si porrebbe comunque il problema della norma regolamentare vigente negli anni interessati dal rimborso. Nel caso invece in cui il regolamento comunale non abbia disciplinato in maniera chiara il trattamento delle pertinenze e l’Ente abbia adottato la modalità applicativa qui in esame solo in sede di determinazione degli avvisi di pagamento, lo stesso potrebbe con minore difficoltà modificare in via di autotutela la propria posizione, senza che siano necessarie rettifiche regolamentari. EFFETTI SUL PIANO FINANZIARIO Non va dimenticato che, in ogni caso, il diverso criterio di calcolo del tributo adottato dall’Ente non ha inciso sul gettito complessivo dello stesso, come è noto vincolato per legge alla copertura del costo totale del servizio rifiuti. Infatti, a differenza di quanto si riscontra nell’esempio riportato nella circolare 1/df volta a dimostrare l’effetto di incremento del prelievo nel caso di applicazione di più quote variabili anche alle pertinenze, qualora la quota variabile venisse applicata una sola volta al complesso formato dall’abitazione e dalle 2 Un analogo ragionamento potrebbe essere effettuato anche a seguito dell’avviso di pagamento notificato al contribuente in prima battuta, o a seguito dell’invio dell’avviso bonario non pagato.
  • 4. pertinenze, la stessa sarebbe senza dubbio maggiore di quella unitaria applicata sia sull’abitazione e sia su ogni pertinenza catastalmente distinta. Ciò in quanto il totale dei costi variabili si spalmerebbe su di un minor numero di utenze. Peraltro, anche nell’ipotesi in cui l’Ente dovesse provvedere a rimborsi massivi, si potrebbe ipotizzare che il relativo onere possa essere coperto nei piani finanziari degli anni successivi a quello in cui gli stessi sono stati effettuati. Più volte il Giudice amministrativo e la Corte dei Conti hanno stabilito che non è corretto riportare eventuali deficit accumulati in annualità pregresse nei piani finanziari, in quanto ciò sembra far ricadere i relativi costi su utenti attuali (es. nuovi residenti) del servizio che ben potrebbero non averne usufruito nell’anno precedente, e tanto in contrasto con la ratio del tributo. Infatti, una diversa interpretazione potrebbe portare alla inammissibile conseguenza di avallare, in via ordinaria, eventuali comportamenti inerti della P.A., riversando ad libitum e sine die sulle tariffe delle annualità successive i costi, anche ordinari, di annualità pregresse (cfr. ordinanza TAR Lecce n.386/2017). Tuttavia, in tale caso, tali oneri si potrebbero ritenere imputabili ad uno scostamento tra il gettito preventivo e quello consuntivo del tributo Comunale sui rifiuti, derivante da eventi imprevedibili non dipendenti da negligente gestione del servizio. Situazione che, in base allo schema di regolamento TARES 2013, consentirebbe il riporto a nuovo dello scostamento. E’ infatti evidente che l’incertezza applicativa del tributo in merito al calcolo delle quote variabili sulle pertinenze, dovuta anche alla mancata chiarezza della norma ed all’assenza sin dal 2013 di interventi Ministeriali sulla questione, potrebbe far configurare nella fattispecie il carattere imprevedibile dell’evento. Tale soluzione determinerebbe comunque un aggravio sui piani degli anni futuri, con conseguente aumento tariffario, fermo restando che data l’elevata incertezza della sua applicabilità necessiterebbe di un intervento normativo o quantomeno interpretativo a livello ufficiale. Il pregio della soluzione appena evidenziata è che gli utenti che hanno corrisposto in passato un importo maggiore della quota variabile si vedrebbero restituita la tassa pagata in eccedenza. Il difetto è invece che gli utenti che hanno pagato un tributo minore, poiché avendo solo l’abitazione senza pertinenze si sono visti addebitare una sola quota variabile di importo unitario minore rispetto a quella che avrebbe dovuto essere calcolata considerando le pertinenze come parte integrante delle abitazioni, subirebbero solo in parte l’aggravio dovuto per il passato. Ciò in quanto l’aumento futuro della tariffa dovuto all’addebito dei costi dei rimborsi determina un incremento generalizzato delle quote variabili che colpisce sia le abitazioni con pertinenze che quelle che ne sono prive. E comunque si tratterebbe con tutta probabilità di utenti diversi da quelli originari. D’altro lato, tenuto conto delle regole vigenti in merito all’efficacia delle deliberazionI tributarie, non si ritiene possibile a normativa vigente un ricalcolo retroattivo delle tariffe che, inevitabilmente, dovrebbero aumentare per i contribuenti domestici non coinvolti dal problema delle pertinenze. La questione, quindi, appare tutt’altro che definita, e comunque foriera di contenziosi e contestazioni, tanto che si ritiene opportuno un rapido intervento del legislatore a soluzione della questione. POSSIBILI INTERVENTI NORMATIVI L’auspicato intervento normativo potrebbe svilupparsi su differenti piani. Volendo evitare una disposizione di sanatoria per i comportamenti passati, che indubbiamente genererebbe un impatto negativo sull’equità del tributo, sarebbe comunque necessaria una norma di legge che chiarisca in modo univoco la modalità di applicazione del tributo sulle utenze domestiche, consentendo a tutti gli enti di riallinearsi alla stessa già con i regolamenti del 2018. Analogamente non sembra corretta una disposizione che escluda la copertura del costo dei rimborsi dai piani finanziari futuri, lasciando in sostanza l’onere in capo alla fiscalità generale degli Enti, poiché si paleserebbe una violazione del principio della copertura integrale dei costi del servizio. Ciò stante, in primis, considerando che oggetto della tassazione non sono precipuamente i fabbricati o le unità immobiliari, ma più specificatamente i “locali”, occorre una norma chiara che specifichi ai fini TARI che per la tassazione delle utenze domestiche si intende come singola utenza quella composta dalla superficie del locale abitativo e dei locali che ne costituiscono pertinenza. La stessa solleverebbe tuttavia la problematica di quei regolamenti che prevedono la tassazione autonomadelleunitàimmobiliaripertinenzialidistintamentecensiteincatastorispettoaquellaabitativa,
  • 5. con la commisurazione della parte variabile della tariffa al quoziente familiare di un componente, così prescindendo dal numero dei conviventi nell’abitazione. Soluzione quest’ultima di equilibrio, suggerita in qualche modo anche dalle linee guida TARES, seppure nel caso particolare di conduzione da parte di una persona fisica priva nel comune di utenze abitative, ma tuttavia non compatibile con l’ambito applicativo della normativa ricostruito dalla citata circ.1/df. In secundis consentire specificatamente, per quei Comuni che hanno operato la tassazione multipla, in deroga alle vigenti norme di legge sulla decorrenza delle tariffe, di poter rideterminare ora per allora la distribuzione del carico gravante sulle utenze domestiche. In quanto, se per un verso è evidente l’aggravio di carico per gli utenti con pertinenze autonome, per l’altro verso gli utenti senza locali pertinenziali autonomi hanno invece corrisposto il tributo in misura inferiore rispetto a quella loro spettante qualora la redistribuzione del carico per la maxicategoria utenze domestiche, non fosse stata rapportata considerando come autonome utenze (e quindi gravate di quota fissa e variabile) le singole pertinenze distintamente accatastate. In difetto di un siffatto intervento normativo, le conseguenze del rimborso effettuato, allo stato dell’arte delle disposizioni oggi vigenti, non potranno che influenzare in aumento i costi dell’anno in cui il rimborso verrà effettuato, per cui qualora il legislatore non intenda autorizzare la rimodulazione. Pertanto, sarebbe opportuno prevedere una specifica disposizione che attenui l’impatto economico della restituzione, magari consentendo di spalmare il costo del rimborso per più annualità e non interamente nel piano finanziario successivo a quello dell’annualità in cui il rimborso è stato effettuato. Ad ogni buon conto è auspicabile che quei Comuni che abbiano regolamentato per la tassazione delle singole pertinenze e si siano determinati per il rimborso (anche d’ufficio nell’esercizio del potere/ dovere di autotutela) incrementino l’attività di accertamento e riscossione coattiva, così da recuperare parte di risorse per contrarre l’impatto sul piano finanziario dei costi del rimborso. Infine, de iure condendo, una disposizione specifica che qualifichi e determini il concetto di pertinenza ed eventualmente il loro numero, come per la definizione oggettiva di abitazione ai fini dell’IMU e della TASI, sarebbe oltremodo opportuna, consentendo una regolamentazione uniforme sul tutto il territorio nazionale. Infine si rende non più dilazionabile e necessario un intervento legislativo che risolva le problematiche sopra evidenziate, così da addivenire ad una soluzione uniforme su tutto il territorio nazionale.