Un perfetto lavoro di squadra della classe V C dell'I.C. "Anna Fraentzel Celli" su tradizioni, balli, canti e maschere dell'Italia.
Nell'ambito del progetto "Tecnologic@mente ilLIMitati.
4. CAPITAN SPAVENTA
E’ una maschera ligure del XV
secolo; è una caricatura degli
ufficiali di quel tempo. Il vestito a
strisce colorate è completato da
un cappello abbellito con piume
colorate. Porta una lunga spada
che trascina rumorosa-mente
(anche se preferisce parlare al
combattere). Ha lunghi baffi ed
un naso spaventevole. E' uno
spadaccino temerario, che
combatte più con la lingua che
con la spada. È noto anche come
Capitan Fracassa.
5. STENTERELLO
E’ una maschera tipica della
Toscana. Indossa una giacca blu
con il risvolto delle maniche a
scacchi rossi e neri. Ha un panciotto
puntinato verde pisello e dei
pantaloncini scuri e corti. Ha una
calza rossa e una a strisce bianco e
azzurro con le scarpe nere. In testa
porta un cappello a barchetta nero
e una parrucca con il codino. La sua
dote migliore è la generosità,
poiché è sempre pronto ad aiutare
chi ne ha bisogno. Arguto, saggio,
dotato di una buona dose di
ottimismo, riesce ad affrontare con
coraggio le avversità della vita.
6. ARLECCHINO
È forse la più famosa delle
maschere. È nato a Bergamo, nei
quartieri poveri. Ha un vestito di
cento colori, dovuto al buon
cuore dei suoi compagni che, in
occasione del Carnevale, gli
regalarono pezzi di stoffa dei loro
abiti, così che anche lui avesse
un costume. E’ ingenuo e
credulone, la sua miglior qualità è
l’astuzia; è furbo, agile come un
gatto. E’ un servo in continua
lotta con il suo padrone.
7. MENEGHINO
E’ una maschera tradizionale
milanese, nata alla fine del
Seicento. Meneghino è la
personificazione del servo
non coraggioso ma fedele, e
dotato di buon senso.
Meneghino ha il tricorno
marrone, la parrucca con
codino, la giacca marrone, i
calzoni corti e le calze
bianche a righe rosse. Il
nome è diminutivo di
Domenico «Domeneghin».
8. GIANDUIA
Gianduja è originario di Asti, è una
maschera popolare torinese nata nel
1798. Gianduia, deriva
dall'espressione piemontese "Gioan
d'la douja", che vuol dire Giovanni del
boccale. Questa maschera fino al
1802 l’avevano chiamata Gerolamo,
ma quell’anno i comici cambiarono
nome per evitare che si potesse
alludere al nome di Gerolamo
Bonaparte, parente dell’imperatore.
Indossa in testa un tricorno e la
parrucca con il codino. Sul collo porta
un fiocco verde oliva e un ombrello
sempre dello stesso colore. E'
proverbiale la sua distrazione.
9. PANTALONE
Tipica maschera veneziana.
Veste un abito rosso, sul
quale porta una lunga
zimarra nera; calze rosse e,
sul capo, un berretto nero. È
caratteristica la sua
maschera con naso adunco e
barba a pizzo. Rappresenta il
tipo del vecchio brontolone,
mercante, ricco, avaro,
incontentabile, testardo,
spesso innamorato. Ai piedi
porta le pantofole ed in testa
una cuffia aderente.
10. FARINELLA
ll personaggio di Farinella
ricorda la figura di un jolly:
veste un abito a toppe
multicolori con sonaglini
tintinnanti sulle punte del
cappello.Porta scarpette di
stoffa e al collo una collarina di
colore azzurro. Ha occhi piccoli
e vispi e un’aria decisamente
furbetta. Farinella prese vita in
un cibo tipico della città,
l’esempio più calzante per
rappresentare i putignanesi
nella tradizione carnevalesca.
11. DOSSENA
Maschera della Basilicata,
Dosseno deve il suo nome
ad una caratteristica fisica,
la gobba, che risponde
anche ad un atteggiamento
dell’animo.
Ladro, avido e imbroglione,
giovane o vecchio che sia,
Dosseno viene sempre
rappresentato come brutto
e goffo, facile alle battute
grossolane e a lunghi
discorsi da ciarlatano.
12. MACCO
Macco è una maschera della
Basilicata.Il suo tipo è quello del
contadino rozzo e
grossolano, goloso, che spesso
finisce per essere bastonato e
menato per il naso. Nelle
raffigurazioni che possediamo ci
appare calvo, con una maschera
dotata di un enorme naso
adunco, di un paio di orecchie
spropositate e di una larga
bocca con pochi denti.
13. BARTOCCIO
Bartoccio è il personaggio di
spicco del Carnevale umbro.
E’ la figura di un contadino
rozzo e astuto, sposato con
Rosa, e da lui prendono il
nome le tipiche recite
carnevalesche, le
“Bartocciate”, che hanno
come tema le intricate e
divertenti vicende della sua
vita e sua moglie Rosa.
14. PEPPE NAPPA
Maschera di origine siciliana
deve il suo nome alle parole
"Peppi", diminutivo dialettale
di Giuseppe, e "nappa", che
significa toppa dei calzoni,
cosicché "Giuseppe toppa nei
calzoni" sta ad indicare un
"uomo da nulla". Il costume
era costituito da un ampio abi-
to azzurro, formato da casacca
e calzoni e un cappellino di fel-
tro; il volto è privo di masche-
ra e di trucco.
15. COVIELLO
E' una maschera regionale
calabrese. Il suo nome deriva
Iacoviello, corrispondente in
italiano a Giacometto. Coviello, cui
sono talvolta attribuiti cognomi
come Citrullo, Citrulli, Ciavala, si
presenta come una figura da mille
volti. Il costume del personaggio
non è ben definito. Indossa anche
una maschera con un naso
enorme sopra il quale poggiano
degli occhiali smisurati. Elemento
costante è un mandolino.
16. GIANGURGOLO
Maschera di origine calabrese, secondo
alcuni deve il suo nome a Giovanni
Golapiena, mentre secondo altri da Zan
Gurgola, per il suo insaziabile appetito.
A volte è raffigurato come un
vecchio, come un giovane, altre come
servo o oste. Il suo appetito è sempre
enorme , a stento placato da "un
carretto di maccheroni, una cesta di
pane e due botti di vino". Il suo
costume presenta un alto cappello a
cono, un corpetto stretto e pantaloni a
sbuffo a strisce gialle e
rosse. Sul volto portava una maschera
dal naso enorme e su un fianco gli
pendeva una spada altrettanto
smisurata.
17. GIOPPINO
Gioppino è una maschera bergamasca.
La sua principale caratteristica fisica
sono Tre grossi gozzi, da lui chiamati
granate o coralli.
Gioppino oltre a essere una maschera
È anche un burattino protagonista di
Moltissime commedie del teatro dei
burattini.
18. NOTAIO
Più che una maschera è una
caricatura del ricco, saccente
e petulante custode della
legge.
19. TARTAGLIA
Maschera della Commedia dell’Arte di
origine napoletana. Prese il nome di
Tartaglia dalla balbuzie che la
distingueva. Si prestò ad impersonare
ora il servo astuto, ora il pedante, ora
l’avvocato intrigante, ora lo speziale. E’
una maschera spassosa e ridanciana e
non riveste mai parti tristi o tragiche.
Celebre Tartaglia fu il comico
napoletano Nicola Cioppo, con il quale
deve essere ricordato il suo successore
Agostino Fiorilli.
20. RUGANTINO
Maschera di Roma, Rugantino deve il
nome all'abitudine di "rugà", di agire
e parlare con strafottenza.
La sua caratteristica è quella di essere
un provocatore, linguacciuto e
insolente, ma in realtà, è un can che
abbaia ma non morde. Indossa un
abito povero: pantaloni consunti al
ginocchio, fascia intorno alla
vita, camicia con casacca e fazzoletto
intorno al collo.
21. ROSAURA
Rosaura vive e abita a Venezia con il
genitore Pantalone, in un bel palazzo
sul Canal Grande. La cameriera è
Colombina che si presta sempre ad
aiutare Rosaura anche a spedire
lettere indirizzate a Florindo,
l'innamorato. Recita senza maschera
22. PULCINELLA
È la maschera napoletana, sempre alla
ricerca di cibo, per il quale è disposto a
raccontar bugie, rubare e farsi
prendere a bastonate. Il suo ideale di
vita è il dolce far niente.
Il nome, di origine incerta, sembra
derivi dal napoletano "Puliciniello"
(piccolo pulcino) e questo forse
spiegherebbe il naso adunco, la voce
strana e la camminata goffa.
23. FAGIOLINO
Maschera di Bologna. Rappresenta un
giovane bolognese: intelligente, non si
ammala mai e non invecchia mai. È un
chiacchierone ed è pronto a caricare di
randellate chi se le merita;è ignorante
anche se si crede molto istruito. Ha il viso
paffuto, sorridente e sulla guancia sinistra
ha un neo. Il suo nome sembra derivare da
un bruco che vive sui faggi e che ha nelle
zampe posteriori due appendici che
assomigliano a bastoncini che usa per
picchiare gli altri buchi. Fagiolino ha un
berretto da notte con un grosso fiocco,
indossa una corta giacca , ha la camicia con
una cravatta a farfalla e calze bianche a
righe rosse.
24. COLOMBINA
E' una simpaticissima
maschera veneziana. E'
allegra, civetta e
furba, spensierata e
chiacchierina. È sempre pronta
a prendere in giro le persone
che le stanno intorno. Spesso è
la moglie di Arlecchino.
Veste con corpetto, gonna a
balze, grembiule con tasche
per nascondere i bigliettini
d'amore, in testa una crestina.
25. DON PANCRAZIO
Don Pancrazio Cuzziello è la
vera maschera tipica della
Puglia.
Don Pancrazio, era la
maschera che raffigurava il
tipo di uomo avaro,
possidente terriero. Il nome,
molto probabimente, deriva
da una piccola cittadina
pugliese, San Pancrazio
Salentino.
26. IL DIAVOLO DEL MOLISE
La figura del Diavolo di
Tufara è molto particolare. È
caratterizzata da una maschera
nera di cuoio ed un vestito
formato da ben sette strati di
pelle di capra. Questo
personaggio, che stringe tra le
mani un tridente e si muove con
balzi veloci, suscita
stupore, superstizio-ne e anche
un po’ di paura, soprat-tutto nei
più piccoli che corrono a
rifugiarsi al riparo degli adulti.
27. BRIGHELLA
Brighella è di Bergamo, è scaltro e
astuto, è cuoco, cameriere, capo
servitù, antagonista di Arlecchino.
Attaccabrighe, imbroglione,
chiacchierone. L'abito che Brighella
si vanta di indossare è la "livrea",
simbolo dell'appartenenza al
padrone: calzoni larghi e giacca
bianchi con strisce verdi come il
mantello; pon pon verdi alle scarpe
ed una maschera a mezzo viso con
gli occhi.
28. BALANZONE
Classica maschera bolognese, in testa
ha un cappello nero a larghe falde;
indossa una toga lunga e nera, il
panciotto e i pantaloni neri. Ha un
merletto bianco sui polsi e, sul collo, il
collare bianco alla spagnola. È famoso
per le sue arringhe assurde; parla in
dialetto con parole latine errate. Molto
spesso tiene un libro sotto il braccio.
29. MAMUTONES
In occasione del
carnevale, in alcune zone
della Sardegna,si svolge la
lenta e danzata processione
dei Mamutones. Loro hanno
un volto coperto da una
maschera nera intagliata nel
legno. Il loro costume è
composto dal corpetto
rosso,completato da calzoni
bianchi. La sfilata si svolge
per le vie del paese.
30. LANDZETTES
Sono le maschere tipiche della Val D’Aosta;
questi costumi, ornati con ricami di
paillettes, fiori e specchietti sono costituiti da
pantalone, gilet, giacca a coda di rondine,
camicia, cintura con campanelle e cappello al
quale vengono attaccati dei nastri colorati.
La tradizione vuole che questa vera e propria
maschera di carnevale della Valpelline
rievochi il passaggio delle truppe
napoleoniche nella vallata del Gran San
Bernardo.
Nella confezione dei costumi dominano il
rosso, il bianco e il nero. Il rosso è simbolo
di forza e di vigore ed esorcizza malefici e
disgrazie, il nero rappresenta il buio delle
lunghe notti invernali, il bianco la primavera.
Il viso è da maschere, anticamente ricavate
dalla corteccia degli alberi, sostituite ormai
da materiali plastici.
33. LA PIZZICA
La pizzica, danza tradizionale della Puglia, veniva eseguita da
orchestrine composte da vari strumenti, tra i quali emergevano il
tamburello ed il violino; oltre ad essere suonata nei momenti
di festa di singoli gruppi familiari o di intere comunità locali,
costituiva anche un modo per far guarire le donne punte dalla
tarantola. Spesso si chiamava un barbiere che, provando diverse
note con il violino, cercava di trovare la tonalità giusta.
Nella pizzica pizzica si balla in coppia, anche dello stesso sesso
perché non era una danza di corteggiamento.
PIZZICA A SCHERMA
Nel caso della pizzica a scherma l'arma utilizzata è il coltello, che
viene rappresentato dal dito indice e medio della mano.
La schermata praticata attualmente è una simulazione di un vero
combattimento al coltello tra due contendenti, che parano e
infliggono colpi con la loro arma e che si comportano come se
questi colpi siano stati davvero inflitti e subiti.
35. SALTARELLO DI AMATRICE
Era diffuso praticamente in tutta l'Italia centrale, con il
nome di saltarella, zumparella o ballarella. Nell'alta Sabina,
in particolare nella zona di Amatrice, la saltarella è ancora
viva, anche fra i giovani grazie all'uso dell'organetto che ha
sostituito la zampogna; è danzata nelle ricorrenze festive o
in occasione di grandi eventi familiari. E' una danza che
viene eseguita da una sola coppia per volta con il “cerchio
intorno”.
Originariamente gli strumenti tipici dell'esecuzione erano la
zampogna, o meglio le ciaramelle, accompagnate dal
tamburello. L'organetto è anche detto “lu du' botte”. Un
altro motivo di popolarità di questa musica popolare è
infatti la sopravvivenza, nella zona della costiera Adriatica
(Marche e Abruzzo) di fabbriche di fisarmoniche e organetti.
38. RIGODON
È una danza tradizionale francese. Nasce dal
1600 in poi dalla Provenza. Il ritmo era binario
(battuta in 2/2 o in 2/4); è ballata nelle
valli Occitane d'Italia.
Spesso danzato in cerchio, in Italia è ballata con
battito delle mani in cerchio con questo schema:
cerchio di uomini e donne alternati rivolti a
destra, passeggiata in senso antiorario
accompagnado il passo (quando appoggio il
piede interno) con battuta delle mani all'interno
del cerchio, il cavaliere si gira indietro e fa un
balletto con la dama che lo segue al cambio della
musica torna a girarsi e fa il balletto con la dama
che lo precede, da capo.
40. TACCO E PUNTA
Diffusa nell'Italia centro-meridionale, questa
danza è particolarmente radicata nella zona del
Trasimeno.
Deve il suo nome al passo che la caratterizza,
una doppia battuta del tacco e della punta.
E' una variante della polka piquet francese.
La musica è in 16 tempi e progressivamente
accelera.
42. TARANTELLA SICILIANA
Questa danza è una variazione del “ballo della cordella”, noto
anche come “laccio d‟amore” per il quale si utilizza un albero
o un palo in cima al quale sono attaccati nastri colorati. Si
danzava come chiusura del ciclo invernale ed era una danza
propiziatoria, infatti era dedicata al raccolto, ma si balla
ancora oggi grazie a gruppi folkloristici che la ripropongono.
Viene danzata con dei foulard che legano la coppia come
augurio di fertilità.
44. TAMMURRIATA
La tammurriata è una danza tradizionale della Campania, è
detta anche ballo sul tamburo.
Per dare il ritmo vengono usate le castagnette (nacchere) ed
la "tammorra“, un grande tamburo a cornice dipinta con
sonagli di latta e, a volte, nastri o pitture come decorazioni.
Altri strumenti che possono accompagnare la musica:
• "Putipù" o "Caccavella" : tamburo a frizione
• "Tricchebballacche" : martelli ritmici lignei intelaiati con
sonagli
• "Scetavaiasse":bastone dentato con sonagli metallici
strofinato da un bastoncino
• "Treccia" costituita da campanelli di bicicletta
• "Tromba degli zingari" o scacciapensieri
• Flauto dolce
• Doppio flauto a becco.
46. TAMMORRA
La tammorra è uno strumento
musicale a percussione. È
un tamburo a cornice costituito da
una membrana di pelle d'animale
(quasi sempre capra o pecora)
tesa su telaio circolare di legno, in
genere quello dei setacci per la
farina, al quale sono fissati, a
coppie, dischetti di latta detti
cicere oppure cimbale, ricavati
dai barattoli usati per le conserve.
Il suo diametro è in genere
compreso tra i 35 e i 65
centimetri.
47. La tammorra non va
confusa con il tamburello
napoletano che è molto più
piccolo, con i cembali di
ottone e non di latta.
Oggi, tamburelli e
tammorre sono costruiti da
artigiani
specializzati, localizzati
principalmente
in Campania, in Puglia e
in Calabria.
48. PUTIPU’
E' sicuramente lo strumento
tradizionale napoletano più originale e
divertente.
Detto anche"caccavella" è composto da
una pentola di terracotta o di una
vecchia scatola di latta tonda ricoperta
da un lato di una pelle. Al centro di
quest'ultima è legata l'estremità di una
canna. Il suono è prodotto inumidendo
la mano e facendola scorrere lungo la
canna. Lo sfregamento produce delle
vibrazioni nella pelle che vengono
amplificate nella sottostante pentola o
scatola che funge da cassa armonica.
49. CASTAGNETTE
Sono spesso confuse con le
nacchere; costituiscono uno
strumento ritmico formato da
una coppia di piccoli elementi
di legno tra loro simmetrici ed
a forma di conchiglia, tenuti
assieme da una cordicella.
Chiusi,assumono la forma di
una castagna da cui derivano,
appunto, il nome. Lo strumento
è suonato da coloro che ballano
la tammorriata.
50. TRICCHEBBALLACCHE
E' composto da tre
martelletti di legno fissati in
basso ad una base anch'essa
di legno.
Il martello centrale è fisso,
mentre quelli laterali sono
mobili ed incernierati alla
base.
Lo strumento è suonato
impugnando nelle due mani i
martelli laterali mobili e
battendoli ritmicamente
contro quello centrare fisso.
51. TE POSSINO DÀ TANTE CORTELLATE
Te possino dà tante cortellate
pe' quante messe ha dette l'arciprete
pe' quante messe ha dette l'arciprete
pe' quante vorte ha detto orate frate
Io so' trasteverina e lo sapete
nun serve bello mio che ce rugate
nun serve bello mio che ce rugate
so' cortellate quante ne volete
Er bene che te vojo nun lo dico
te vorebbe vede' a ponte impiccato
te vorebbe vede' a ponte impiccato
con la testa mozzata e pe panico
Lara lallara lallara lallalà
Lara lallara lallara lallà...
Me sa mill'anni che venghi Natale
pe' famme na magnata e de torone
pe' famme na magnata e de torone
pe' famme na bevuta in der boccale
LAZIO
52. SCIUR PADRUN
Sciur padrun da li béli braghi bianchi,
fora li palanchi, fora li palanchi,
sciur padrun da li béli braghi bianchi,
fora li palanchi ch'anduma a cà.
A scuza, sciur padrun,
s'a l'èm fat tribulèr,
l'era li prèmi vòlti,
l'era li prèmi volti,
a scuza, sciur padrun,
s'a l'èm fat tribulèr,
l'era li prèmi volti,
ch'a'n saiévum cuma fèr.
Sciur padrun da li béli braghi bianchi...
Al nòstar sciur padrun
l'è bon cum'è 'l bon pan,
da stèr insima a l'èrzan
a'l diz: « Fè andèr cal man »
Sciur padrun da li béli braghi bianchi...
E non va più a mesi
e nemmeno a settimane,
la va a poche ore,
e poi dopo andiamo a cà.
Sciur padrun da li béli braghi bianchi...
E quando al treno a s-cefla
i mundéin a la stassion
con la cassietta in spala;
su e giù per i vagon!
Sciur padrun da li béli braghi bianchi...
Canto delle mondine
Per la traduzione in italiano vai alla prossima slide
53. SIGNOR PADRONE
Traduzione in Italiano
Signor padrone dalle belle brache bianche,
fuori i soldi, fuori i soldi,
signor padrone dalle belle brache bianche,
fuori i soldi chi andiamo a casa.
Scusi, signor padrone,
se l'abbiamo fatto penare,
erano le prime volte,
erano le prime volte,
scusi, signor padrone,
se l'abbiamo fatto penare,
erano le prime volte,
e non sapevamo come fare.
Signor padrone dalle belle brache bianche ....
Il nostro signor padrone
è buono come lo è il buon pane,
stando in cima all'argine
dice: «Fate andare quelle mani ».
Signor padrone dalle belle brache bianche...
E non va più a mesi
e nemmeno a settimane,
la va a poche ore
e poi dopo andiamo a casa.
Signor padrone dalle belle brache
bianche...
E quando il treno fischia
le mondine alla stazione
con la cassetta in spalla
su e giù per i vagoni.
Signor padrone dalle belle brache
bianche...
54. VOLA, VOLA, VOLA
Vulesse fa' 'rvenì pe' n'ora sole
lu tiempe belle de la cuntentezze,
quande pazzijavame a "vola vola"
e te cuprè de vasce e de carezze.
E vola vola vola vola
e vola lu pavone.
Si tiè lu core bbone
mo fammece arpruvà.
E vola vola vola vola
e vola lu pavone.
Si tiè lu core bbone
mo fammece arpruvà.
'Na vote pe' spegna' lu fazzulette,
so' state cundannate de vasciarte.
Tu te scì fatte rosce e me scì dette
di 'nginucchiarme prima d'abbracciarte.
E vola vola vola vola
e vola lu gallinacce.
Mo si me guarde 'n facce
mi pare di sugna'.
E vola vola vola vola
e vola lu gallinacce.
Mo si me guarde 'n facce
mi pare di sugna'.
Come li fiure nasce a primavere,
l'amore nasce da la citilanze.
Marì, si mi vuò bbene accome jere,
nè mi luvà stu sogne e sta speranze.
E vola vola vola vola
e vola lu cardille.
Nu vasce a pizzichille
non mi le può negà. (2 volte)
ABRUZZO
55. VOLA, VOLA, VOLA
Vorrei far tornare per un’ora sola
il tempo bello della contentezza,
quando giocavamo a vola vola
e ti coprivo di baci e di carezze.
E vola, vola, vola, vola
e vola il pavone,
se hai il cuore buono
ora fammici riprovare. (2 volte)
Una volta, per disimpegnare il fazzoletto,
sono stato condannato a baciarti.
Tu ti sei fatta rossa e mi hai detto
d’inginocchiarmi prima e d’abbracciarti.
E vola, vola, vola, vola
vola il gallinaccio,
ora se ti guardo in faccia
mi pare di sognare. (2 volte)
Come i fiori nascono a primavera,
l’amore nasce dalla fanciullezza.
Maria, se mi vuoi bene come ieri,
non togliermi questo sogno e questa
speranza.
E vola, vola, vola, vola
e vola il cardellino,
un bacio con pizzicotti
non me lo puoi negare. (2 volte)
56. I DÒ GOBETI
Una sera, una sera de note,
dò gobeti se davan le bote,
dò gobeti se davan le bote,
se ste ziti ve digo el parchè.
Do gobeti de media statura
i se parlava de cose amorose,
ma i gaveva na mata paura
che i passanti li stesse a sentir.
Uno cera 'l famoso Mattia,
l'altro cera el fabrica inciostro,
che imbriago de graspa e de mosto,
insultava l'amico fedel.
L’uno g'ha dito: "Va la ti se gobo".
e ghe altro e g'ha respondito:
"Se mi son gobo ti non te se drito
sopra la schena te ghe un montesel".
Se s'ha dito parole da ciodi,
e se s'ha dato careghe in del muso,
e i s’è andati a finire 'n chel buso
dove se beve un biccer de quel bon.
VENETO
57. VITTI NA CROZZA
Vitti na crozza supra nu cantuni
e cu sta crozza mi misi a parlari.
Idda m'ha rispunniu cu gran duluri
iu' mossi senza toccu di campani.
La la la leru lala la la leru lala
la la leru la la la la la.
Prestu passanu tutti li me anni.
Passano e si ni ienu un sacciu unni.
Ora cha sugnu vecchiu di tant'anni
chiamu la crozza e nuddu m'ha rispunni.
La la la leru lala la la leru lala la la
leru la la la la la.
Chinnaia a fari chiù di la me vita.
Non sugnu bono ciuù mi travagghiari.
Sta vita è fatta tutta di duluri
e da cussì non vogghiu chi` campari.
La la la leru lala la la leru lala la la
leru la la la la la.
Cunzatimi cu ciuri lu me lettu.
Picchi' aalla fine già sugnu arriduttu.
Vinni lu tempu di lu me rizzettu.
Lassu stu beddu munnu e lassu tuttu.
La la la leru lala la la leru lala la la
leru la la la la
CALABRIA
58. CIURI CIURI
Ciuri ciuri ciuri di tuttu l'annu,
l'amuri ca mi dasti ti lu tornu.
Ciuri ciuri ciuri di tuttu l'annu,
l'amuri ca mi dasti ti lu tornu.
Ciuri di rosi russi a lu sbucciari,
amara a l'omu c'a fimmini cridi,
amara a cu si fa supraniari
lustru di Paradisu non ni vidi.
Ciuri di gersuminu abbrancicanti,
tu non mi passi mancu pi la menti.
tutti li notti li passu c'avanti
ppi fariti dispettu eternamenti.
Si troppu dispittusa tu ccu mia
si brutta 'nta la facci e 'nta lu cori
cascu du lettu si mi 'nsonnu a tia
amara a cu ti pigghia pi mugghieri!
Lu sabatu si chiama "allegracori",
biatu cu avi bedda la mugghieri:
cu l'avi bedda ci porta i dinari,
cu l'avi brutta ci mori lu cori!
SICILIA
59. E' Signour e' fasé la Rumagna
E po' ch' l'avdèt un pustarin dalongh
sòta e' sol, in pianura e un po' int e'
grep...
indò' ch'e' nass al frèvli,
al môri ad spen, gambòzz ad lupinèla,
i ragazul e l'erba dla Madona,
e' mlôri pr' i castègn;
burdlèti sbrazulèdi,
zrési muròni, zézli, muscatèl,
sévi fiuridi e un zil ch'u ni nè piò,
alà int al vidi bassi
uj tachè e' sanzvés e po' l'ajbena,
indò' ch' l'arlus la gvazza la matena
sora la pempna e sora la tlaragna,
e' ciudét j oc
e u la cíamè "Rumagna"!
IL SIGNORE CREÒ LA ROMAGNA
E come scorse un luogo lontano
sotto il sole, in pianura e un po' in
collina...
dove crescono fragole,
more di rovo, steli di lupinella,
radicchi primaticci, l'erba della Madonna,
l'alloro per le castagne;
giovinette sbracciate,
ciliegie morone, giuggiole, moscato,
siepi fiorite e un cielo che non ha
l'uguale,
là sulle viti basse
appese grappoli di sangiovese e d'albana,
dove al mattino brilla la rugiada
su pampini e ragnatele,
socchiuse gli occhi
e la chiamò "Romagna"!
60. I pruvirbiije
Quanta sapiénze
tenêije li „ndeche
„nghe tutte li pruvirbiije
che ha „mmentate.
“L‟apparenze „nganne,
lu vistete
nen fa lu frate.
„Ngarescete férre
cà tinghe n‟ache da vênne.
E‟ miije l‟ove huije
che la gallène dumane.
Chije spare „nne attacche
spare „nne ascioije.
Ije so come lu setacce
coma me fì te arefacce”.
Stu poche cambiunarie
presentate
ce parle de na storie
che ha passate,
storie de „mmètie
e gelusèije,
de come la „ggénte
se cumpurtêije
e la vete d‟ogne ijurne
se vevêije.
Ma la saggêzze
„nge manghêije maije
pe areparà vodde a vodde
pêne e guaije.
Atri, 13 febbraio 1986
(per la traduzione in italiano
vedi slide successiva)
ABRUZZO
61. I PROVERBI
Quanta sapienza
avevano gli antichi
con tutti i proverbi
da loro inventati:
“L‟apparenza inganna,
l‟abito
non fa il frate.
Ferro, fatti più caro
perché ho un ago da vendere.
E' meglio l‟uovo oggi
che la gallina domani.
Chi non lega la “spara”
non la scioglie.
Sono come il setaccio,
come mi fai ti rifaccio”.
Questo scarso campionario
presentato
ci parla di una storia
che è passata,
fatta di invidie
e di gelosie,
di come si comportava
la gente
e come si viveva
la vita di ogni giorno.
La saggezza però
non mancava mai
per far fronte ogni volta
a pene e guai.
62. ORGÓJO
N fosso cinino ncó
vol èsse fiume.
E gni tantin ce prova
ma gnarièsce
anche si fa spaurà
quan che s‟atizza.
Ta gnènte servirà
ma ntanto spurga
e pò fa l fanfarone
pé n momento
che l miron con temènza
i contadine.
ORGOGLIO
Anche un ruscelletto
vuole essere fiume.
E ogni tanto ci prova
ma non gli riesce
anche se spaventa
quando si inquieta.
A nulla servirà
ma intanto si ripulisce
e può fare il fanfarone
per un momento
che lo guardano con timore
i contadini.
UMBRIA
63. CALABRESI
Dinnu ca simu i figghi furtunati
'ndavimu u suli pe' pani profumatu
e u mari duci pe' stutari a siti
Dinnu ca stu profumu gersuminu
chi s'imbrischia cu rrangia e cu limuna
fu 'mpastatu cu nostru stessu cori
'Ndi dissiru co turcu e lu normannu
u grecu l'armenu e u bizantinu
ficiru razza pura da bastarda
e ca li nostri 'ntinni du penseru
'ndannu u poteri i sgrancinannu a luna
Ma nugghu 'ndi 'nformau ca simu stati
da sempre ttraversati e 'ntrappulati
da vortici da timpa e da tempesta
ca simu criaturi scarsi e nudi
e 'ndi sfrattaru da lu nostru tajiu
da li casi di rocca e di sdirrupu
E ccussì suli suli 'ndi 'ndi jimmu
intra a rrughi di strani - nui straneri -
chi nostri testi all'aria e a nostra voria
e sperti e muti sempri in cerca in cerca
i chigh'urtimu mmorzu i poesia
chi nnughu mai lu potti 'mpastoiari
chi nnugghu stuta e nnugghu po' llordari
mancu li vuci chi s'incappucciaru
Ora 'mpastammu a nostra crita duci
ca crita carda du rrestu du mundu
ora potimu diri ca sapimu
quandu cocchiunu parra du doluri
ma non volimu fari na bandera
ma non volimu fare na bandera.
64. “LA BEFANA A MI’ TEMPI”
Vi voglio raccontà la storia della Befana in quer di Lucca.
Allora c‟era a chi ni portava sotto a letto ner canestro;
ammè invece me la portava giù dar camin.
Io, ir mi fratello e la mi sorella, ci mettevimo ner canto der foo
e a una cert‟ ora la Befana con una vocina diceva:
Sete boni o cattivi? Sennò vi tiro il carbon!
E noi in coro: Boni !!
Allora buttava giue varche arancio e po‟ con un cordin
calava giue tre carsine con drento varche caramella,
un sigaro di menta e un toroncin.
E noi erimo tutti „ontenti.
Invece la mi „ugina che era grande disse:
O‟ nonna comemmai a me umm‟ha portò nulla?
E la mi‟ nonna:
O citrulla, o tu unnosai che chi
uninceppa unimbefana!? TOSCANA
65. BOLLA DE SAPONE
Lo sai ched'è la Bolla de Sapone?
l'astuccio trasparente d'un sospiro.
Uscita da la canna vola in giro,
sballottolata senza direzzione,
pe' fasse cunnalà come se sia
dall'aria stessa che la porta via.
Una farfalla bianca, un certo giorno,
ner vede quela palla cristallina
che rispecchiava come una vetrina
tutta la robba che ciaveva intorno,
j'agnede incontro e la chiamò: - Sorella,
fammete rimirà! Quanto sei bella!
Er celo, er mare, l'arberi, li fiori
pare che t'accompagnino ner volo:
e mentre rubbi, in un momento solo,
tutte le luci e tutti li colori,
te godi er monno e te ne vai tranquilla
ner sole che sbrilluccica e sfavilla.-
La bolla de Sapone je rispose:
- So' bella, sì, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte de le cose,
sta chiusa in una goccia... Tutto quanto
finisce in una lagrima de pianto.
TRILUSSA (Lazio)
66. LA ZAMPANA
Mentre leggevo l'urtimo volume
de la Storia d'Italia, una Zampana
sonava la trombetta intorno ar lume.
Io, sur principio, nun ce feci caso:
ma quanno m'è venuta sotto ar muso
pe' pizzicamme er naso,
ho preso er libbro e, paffete, l'ho chiuso.
Poi l'ho riaperto subbito, e in coscenza
m'è dispiaciuto de vedella sfranta
a paggina novanta,
fra le campagne de l'Indipendenza.
M'è dispiaciuto tanto che sur bordo
der fojo indove s'era appiccicata
ciò scritto 'st'epitaffio pe' ricordo:
«Qui giace una Zanzara
che morì senza gloria,
ma suonò la fanfara
per restar nella Storia.»
In Italia, a un dipresso,
se pô diventa celebri lo stesso.
TRILUSSA (LAZIO)