2. Struttura
I. Introduzione
II. L’Antico Testamento
1. L’umiltà del popolo
2. L’umiltà del credente
III. La rivelazione neotestamentaria
1. Il vocabolario
2. La diade mite-umile
3. Nell’umiltà di Gesù Cristo
4. Introduzione
Umiltà è uno dei termini più ambigui, più
denso di equivoci del linguaggio spirituale e
religioso. Menzognere abdicazioni sono state
legittimate col pretesto di salvaguardarne le
esigenze; la sua crescita è connessa ad ogni
maturazione della personalità morale e
religiosa; il suo sviluppo accompagna e
stimola la liberazione della libertà dalle
espressioni iniziali alle mete supreme: la sua
falsificazione avalla gli arbitri dei potenti e i
servilismi dei tapini.
5. Introduzione
Una rassegna delle ottiche in cui è stata letta
l’umiltà, rischia di essere riduttiva.
L’interpretazione etico-moralista oscilla tra la
tendenza alla descrizione minuziosa dei
comportamenti che dovrebbero caratterizzarla e
quella che ne fa un generico e astratto
orientamento privo di concretezza. Più precisa la
lettura teologica, che la considera articolata alla
carità, stile di libertà, espressione di filiale timore
di Dio, capacità di restare inseriti nei conflitti
della storia per promuoverne le soluzioni.
6. Introduzione
Ancora più pregnanti le analisi che la
situano in contesto storico salvifico e le
riconoscono una connotazione
prevalentemente cristologica. Il riferimento
principale è a Mt 11,29: «Prendete il mio
giogo sopra di voi e imparate da me, che
sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per le vostre anime».
8. L’umiltà del popolo
Israele impara l’umiltà anzitutto facendo
l’esperienza dell’onnipotenza del Dio che lo
salva e che è il solo altissimo. Conserva viva
quest’esperienza commemorando nel culto le
opere di Dio; questo culto è una scuola di umiltà;
lodando e ringraziando, l’Israelita imita l’umiltà di
David che danza dinanzi all’arca (2 Sam 6,16.
22) per glorificare Dio al quale deve tutto (Sal
103). Israele ha fatto pure l’esperienza della
povertà nella prova collettiva della sconfitta e
dell’esilio o nella prova individuale della malattia
e dell’oppressione dei deboli. Queste umiliazioni
gli hanno fatto prendere coscienza
dell’impotenza fondamentale dell’uomo e della
miseria del peccatore che si separa da Dio.
9. L’umiltà del popolo
Così l’uomo è incline a rivolgersi a Dio con un
cuore contrito (Sal 51,19), con quella umiltà,
fatta di dipendenza totale e di docilità fiduciosa,
che ispira le suppliche dei Salmi (Sal 25; 106;
130; 131). Coloro che lodano Dio e lo
supplicano di salvarli si chiamano spesso i
«poveri» (Sal 22,25.27; 34,7; 69,33 s); questa
parola, che da prima designava la classe sociale
degli sventurati, assume un senso religioso a
partire da Sofonia: cercare Dio significa cercare
la povertà, che è l’umiltà (Sof 2,3). Dopo il giorno
di Jahvé, il «resto» del popolo di Dio sarà «umile
e povero» (Sof 3,12; cfr. Mt 11,29; Ef 4,2).
10. L’umiltà del popolo
Al ritorno dall’esilio, profeti e sapienti
predicheranno l’umiltà. L’altissimo abita con
colui che ha lo spirito umile ed il cuore
contrito (Is 57,15; 66,2). «Il frutto dell’umiltà è
il timor di Dio, ricchezza, gloria e vita» (Pr 22,
4). «Quanto più sei grande, tanto più occorre
che ti abbassi per trovare grazia dinanzi al
Signore» (Qo 3,18; cfr. Dn 3,39). Infine, a
quel che dice l’ultimo profeta, il messia sarà
un re umile; entrerà in Sion cavalcando un
asinello (Zc 9,9). Veramente il Dio di Israele,
re della creazione, è il «Dio degli umili» (Gdt
9,11 s).
13. L’umiltà del credente
Nell’AT non si parla di umiltà di Dio, ma solo di
umiltà dell’uomo e la si individua nel comportamento
obbediente e sottomesso verso Dio e verso i capi
del popolo. All’atteggiamento umile verso Dio l’uomo
è indotto dalla consapevolezza che da Dio egli è
creato e da lui dipende la sua vita (Gn 2,7; 18,27).
La povertà socio-economica porta l’israelita ad un
atteggiamento religioso-morale di confidenza in Dio
e non negli uomini o nei beni materiali. La stessa
etimologia lo comprova: i due aggettivi ‘ani’ e
‘anaw’, derivanti dallo stesso verbo ‘anah’ (essere
basso, piegato, inchinato), ben descrivono la
povertà, sia come atteggiamento interiore, sia come
situazione materiale.
14. L’umiltà del credente
Nei libri sapienzialì il termine ‘anawah’ perde i
connotati socio-economici, venendo ad
esprimere solo un atteggiamento interiore (Pr
15,33; 18,22; Sir 3,17-20). Il timore di Dio
ingenerato dalla coscienza del peccato (Sal 50),
l’obbedienza e la sottomissione alla sua volontà
(Sof 2,3; 2Re 22,19), il riconoscimento dei doni
ricevuti (Is 6,3), l’apertura alla grazia divina (Pr
3,34) e la conseguente glorificazione (1Sam 2,7;
Pr 15,33) sono altrettanti elementi connessi
all’atteggiamento dell’umile. Uomini esemplari
nell’umiltà sono Mosè (Nm 12,3), Abramo (Gn
18), Geremia (Ger 1), Gedeone (Gdc 6), il Servo
di JHWH (Is 53,4-10) e il Messia (Zc 9,9).
17. Il vocabolario
Non sono molti i contesti nei quali
compaiono parole apparentate a
tapeinÒj, l’equivalente neo-testamentario
di umile. Non si riscontra in Marco e nel
corpus giovanneo e, la maggior parte delle
volte, si trova in un logion strutturato
sull’opposizione tra umili e orgogliosi, tra
abbassare-elevare: chi si abbassa sarà
elevato e viceversa (Mt 23,12; Lc 1,52;
14,11; 18,14; 2Cor 11,7; Gc 1,9; 4,10; 1Pt
5,6).
18. Il vocabolarioDa altri testi si desume che via “umile” è il cammino
che Dio ha scelto e predilige e nel quale introduce i
poveri e i piccoli, coloro che privilegia a scapito dei
ricchi e dei potenti (Lc 1,52; cfr. Sof 2,3; Mt 5.3; Lc
6,20); coloro che consola (2Cor 7,6) e ai quali, come
già era detto in Pr 3,34, dà la grazia che sottrae ai
beffardi (1Pt 5,5: Gc 4,6); è l’atteggiamento col
quale viene caratterizzato Gesù (Mt 11.29; cfr. 21, 5)
e la via che egli ha percorso fino alla meta suprema
(Fil 2,8); che qualifica la condizione della figlia di
Sion, del popolo di Dio, di Maria (Lc 1,48); che
Paolo ha seguito nel servizio reso al Signore (At
20,19); che Gesù inculca (Mt 18,4) e che gli apostoli
chiedono di fomentare (Rm 12,16; Ef 4,2; Fil 2,3:
Col 3,12: Gc 4,10; 1Pt 5,5.6).
20. Il vocabolario
In Ef 4,2 e Col 3,12 si trova I’abbinamento mite-
umile ma nella forma astratta mitezza-umiltà e,
in entrambi i casi, l’umiltà è unita alla
makroqum…a, alla pazienza e alla
sopportazione. In Col 3,12 l’umiltà è saldata
anche a σπλ£gcma, compassione, atteggiamento
da cui scaturisce, come da sorgente, l’azione di
Gesù. Nella luce di questa mediazione si
percepisce come il cuore umile, che nel logion di
Mt 11,29 solleva e porta i pesi che opprimono, è
ricco di misericordia e di compassione per la
miseria umana. Una volta il termine esprime
anche la condizione del corpo destinato ad
essere trasfigurato da Gesù Cristo (Fil 3,21).
21. Il vocabolario
C’è infine il contesto molto discusso di Col
2,18.23 nel quale ταπεινοφροσÚnh,
abbinata con altri atteggiamenti, sembra
abbia un significato peggiorativo ed
esprime piuttosto quella mentalità falsata
che imprigiona nelle meschinità, che
vincola al compimento di pratiche di poco
conto ed ai comportamenti affettati e
bugiardi.
22. Il vocabolario
Soprattutto, nel vocabolario paolino, c’è
anche il verbo καÚcaomai che, e come
sinonimo e come contrario, designa la
dignità fiera della persona umile e connota
le falsificazioni cui conduce la puerile
autosufficienza che vorrebbe farsi valere
anche nei confronti di Dio. Le versioni
moderne ricorrono alle espressioni più
diverse per tradurre i derivati di questo
verbo che designa le realtà più disparate.
23. Il vocabolario
E, infatti, esprime la pretesa sicurezza dell’uomo
autosufficiente che è soddisfatto e si vanta o
della giustizia delle opere (i giudaizzanti, cfr. Rm
2,17-23) o della sottigliezza e perspicacia delle
intuizioni (gli ellenizzanti, cfr. Rm 1,18ss) e che
non vede, o dimentica, che tutto ciò che l’uomo
è o ha, è dono e grazia di Dio (cfr. Rm 3,27;
11,18; 1Cor 1,29.31; 4,7; Gal 6,13). Lo stesso
verbo, però, esprime anche la dignitosa, serena,
in un certo senso forte fiducia in Dio (Rm 5,11;
15,17) che Gesù conferisce come suo dono.
24. Il vocabolario
Nel corpus paolino si riscontrano anche alcuni
altri vocaboli che caratterizzano le deformazioni
dell’orgogliosa esaltazione che si manifesta in
atteggiamenti di vanagloria, autoesaltazione,
arroganza, ostinata cecità, ecc., che proliferano
in abbondanza nell’uomo che falsa la sua dignità
di creatura e di figlio di Dio. L’analisi non può
fermarsi qui: i qualificativi cui si accennava,
generalmente, sono menzionati in gruppi di
termini, accanto ad altri ai quali sono
strettamente uniti o opposti e dai quali non si
può prescindere quando si tenta di precisarne il
significato.
26. La diade mite - umile
Nel momento stesso, però, in cui si
sottolinea l’esigenza del superamento di
un’analisi atomistica e lessicografica, ci si
imbatte nella difficoltà delle molte liste di
vizi e virtù che esistono nel NT, le quali
sono molto diverse l’una dall’altra e non
permettono alcuna riduzione omogenea.
Per limitarci alla coppia mite-umile di Mt
11,29, A. Resch pensò a un vero e proprio
topos letterario di tre termini e del quale, in
Mt 11,29, mancherebbe il primo: ™pie…keia.
27. La diade mite - umile
A lui fa eco Harnack che, nel 1920, avanzava
l’ipotesi secondo cui nel cristianesimo ci
sarebbero due schemi ternari, l’uno: fede-
speranza-carità, per caratterizzare
l’atteggiamento religioso, e l’altro,
modestia(™pie…keia)-mitezza-umiltà per
sintetizzare l’atteggiamento etico. Quest’ipotesi,
per quanto suggestiva, non è corroborata dai
testi. Essi mentre convalidano l’accostamento
mite e umile sia nell'AT (ls 26,6 e Sof 3,12) sia
nel NT (Ef 4,2 e Col 3,12, ma sotto la forma
astratta di umiltà-mitezza), non presentano mai
insieme ™pie…keia-mitezza-umiltà.
28. La diade mite - umile
Un accostamento con l’™pie…keia avviene
attraverso la mitezza che ad essa è abbinata in
2Cor 10,1 e in Tt 2,3 mentre in Col 3,12 è unita
a pazienza, bontà, e sembra che tutte insieme
derivino e specifichino i sentimenti (la volgata
traduce "viscera") di misericordia di cui gli eletti
di Dio, i santi e i diletti, debbono rivestirsi. In Ef
4,2 si trova lo schema ternario umiltà-mitezza-
pazienza, che è collegato all’esortazione a
comportarsi in modo degno della vocazione
ricevuta e a conservare l’unità dello Spirito nella
radicalità delle sue dimensioni.
29. La diade mite - umile
Anche se si segue l’ipotesi più comune che
unisce solo mite e umile, resta aperto il
problema del significato dei termini considerati
isolatamente e nell’insieme. E poiché l’aggettivo
mite, in due delle tre volte in cui è usato in
Matteo, è applicato a Gesù Cristo che è mite e
umile di cuore (11,29) e che viene a
Gerusalemme come un re mite (21,5), e una
sola volta è applicato ai miti, nelle beatitudini
(5,5), c’è da vedere se l’interpretazione primaria
di questi qualificativi si debba cercare nel
contesto cristologico o in quello parenetico.
30. La diade mite - umile
Molti ritengono che umile di Mt 11,29 sia
sinonimo del povero di spirito della
beatitudine di Mt 5,3 e, riducendo umiltà a
povertà, assumono, per la spiegazione di
questa, tutta la problematica
dell’interpretazione o esclusivamente
sociale, o spirituale, o spirituale e
sociologica insieme, della povertà nell'AT
e nel NT. Le origini di codesto
accostamento sono molto lontane.
31. La diade mite - umile
Già i padri della Chiesa hanno identificato gli
umili con i poveri di spirito. Questa
interpretazione è stata ripresa da molti esegeti
contemporanei e rivalorizzata in seguito dalle
scoperte di Qumràn. «L’umiltà di cui abbiamo
parlato per definire l’atteggiamento interiore dei
poveri di spirito - conclude Dupont - ha il
vantaggio di farci raggiungere e l’interpretazione
corrente dei primi secoli cristiani e una
preoccupazione che si manifesta in altri contesti
dello stesso vangelo. Nonostante ciò il termine è
“un peu gros” per rendere esattamente la
“nuance” dell’espressione che ci interessa.
32. La diade mite - umile
Per dire “umile di cuore”, Mt 11,29 scrive
ταπεινÕj tÍ καρδ…v e si può pensare che
l’atteggiamento dei “poveri di spirito” non
corrisponda perfettamente con quello di
uno sphephal rúah. Il “povero di spirito”
non è precisamente colui che “abbassa se
stesso” (Mt 18,4; 23,12)... La povertà
spirituale può essere chiamata umiltà, ma
non quella che porta a farsi piccoli, come
coloro che non valgono nulla... il povero di
spirito sopporta tutto con pazienza».
33. La diade mite - umile
Gli esegeti che ritengono che i poveri di spirito della
1a e i miti della 3a beatitudine si equivalgono e
indicano le medesime persone, avendo interpretato
come umili i primi, prendono nello stesso senso i
secondi e considerano quasi come simili i miti, gli
umili e i poveri di spirito. Anche in relazione ai miti gli
esegeti si domandano se si tratta di un
atteggiamento che si limita ai rapporti interumani o
investe anche quelli con Dio o i due insieme e se si
tratta di una disposizione prevalentemente
psicologica e interna o di un modo di esistere
connesso prima di tutto alla situazione sociologica di
oppressione e di alienazione in cui le persone
vivono.
34. La diade mite - umile
Molti considerano sinonimi anche i qualificativi
con cui in Mt 11,29 è connotato Gesù Cristo.
Dupont, dopo aver notato che «la tradizione dei
primi cristiani di lingua greca è sensibile al
legame stretto che unisce dolcezza e umiltà»,
ritiene, però, che questo abbinamento non sia
originario del pensiero greco, derivi invece come
eredità dalla lingua e dal pensiero semitico, nel
quale umiltà e dolcezza costituiscono due
aspetti della medesima attitudine di spirito.
35. La diade mite - umile
Egli pensa anche che nella tradizione greca, del
tutto diversa in questo da quella ebraica, “mite”
sia l’uomo tranquillo, pacifico, colui che sopporta
le contraddizioni, che non è violento, aggressivo;
la mitezza è una prerogativa di coloro che
detengono il potere ma non è abbinata all’umiltà.
È la tradizione ebraica invece a pensare che
non ci sia vera dolcezza se non radicata
nell’umiltà e a ritenere entrambe come aspetti
inseparabili dell’unica anàwàh, l’umile, dolce,
paziente povertà del vero israelita.
36. La diade mite - umile
La mitezza sottolinea il carattere sereno, forte e
paziente dell’umiltà che si manifesta soprattutto
nei rapporti con gli altri e che induce ad
elaborare le situazioni contrastanti e ciò quale
riflesso dell’abbandono a Dio, della pace che
consegue la consapevolezza di essere nel suo
amore. L’analisi letteraria porta a riconoscere
una stretta analogia tra umiltà-mitezza-povertà
di spirito e tende a spiegarla nell’ambito della
vasta e complessa categoria biblica della
povertà dello spirito.
39. Nell’umiltà di Gesù Cristo
L’ultima parte di Mt 11, in cui si trova
I’accenno a Gesù mite e umile di cuore, ha
una struttura discussa e complessa. I suoi
elementi fondamentali sono: un logion
relativo all’avvento del regno, di carattere
apocalittico: I’azione di grazie al Padre,
Signore del cielo e della terra, per la
rivelazione rifiutata ai sapienti e agli
intelligenti e accordata ai piccoli nhp…oij
(Mt 11,25-26 = Lc 10,21);
40. Nell’umiltà di Gesù Cristo
un logion sulla conoscenza del Padre da parte
del Figlio, sulle relazioni misteriose che
uniscono Padre e Figlio (Mt 11,27 = Lc 10,22);
per le affinità profonde con il quarto Vangelo è
denominato giovanneo un terzo logion, assente
in Luca e presente solo in Matteo (11,28-30): è
di carattere sapienziale e presenta Gesù,
sapienza del Padre, che invita gli uomini a
venire a sé (cfr. Pr 9,5), ed è costruito sul
parallelismo, messo in rilievo da alcuni studiosi,
tra i vv. 28 e 29.
41. Nell’umiltà di Gesù Cristo
invito: venite a me invito: prendete il mio giogo
sopra (mettetevi alla mia scuola)
qualificativo di chi invita: io sono
mite e umile di cuore
i chiamati: voi tutti che
siete affaticati e oppressi
promessa: io vi ristorerò
i chiamati: sono indicati solo dal
“voi” e sono gli stessi del v. 28
promessa: troverete ristoro alle
vostre anime
legittimità della promessa: il mio
giogo è dolce e il mio carico è
leggero
42. Nell’umiltà di Gesù Cristo
Tra l’invito e la promessa nel 28 c’è
l’indicazione dei chiamati, qualificati con
due participi κοπιῶντες e πεφορτισμένοι
che evidenziano la loro situazione penosa.
Nel v. 29 colui che invita è qualificato con
due aggettivi, i quali esprimono il suo
atteggiamento e la sua disponibilità a
soddisfare le aspirazioni dei chiamati, a
costituire una situazione contrastante con
quella di disagio e di fatica dalla quale essi
sono oppressi.
43. Nell’umiltà di Gesù Cristo
Questo “riposo” non deriva dalla
deresponsabilizzazione dei chiamati, ma
dalla loro adesione alla richiesta di
mettersi alla sua scuola, di assumere il
peso del suo insegnamento, di sostituire il
giogo che vincola a fare cose, a portare
pesi, con la comunione di sequela, di
ascolto, di dialogo, con la persona che
prende su di sé il loro peso e perciò rende
libera la loro vita.
44. Nell’umiltà di Gesù Cristo
Gli studiosi non sono concordi
nell’individuazione dei destinatari indicati
nel logion, del tipo di disagio dal quale
sono oppressi (probabilmente dal peso
delle osservanze farisaiche) e,
conseguentemente, del suo carattere
antifarisaico o meno. Il testo attuale di
Matteo rivela un legame tra i vari elementi
di questa pericope, in particolare tra gli
oppressi del v. 28 e i piccoli del v. 25.
45. Nell’umiltà di Gesù Cristo
Andare a Gesù, accogliere l’invito alla sua
sequela, significa instaurare con lui un rapporto
intimo e profondo, sottoporsi allo stesso giogo
che egli continua a portare, a portarlo con lui
che invita alla condivisione non alla sostituzione.
Lo si assume nella sua persona, in lui che,
volontariamente, realizza il beneplacito del
Padre che vuole nuova l’alleanza con l’uomo.
Gesù non è un legislatore o un maestro più
indulgente di altri, un sovrano dalle pretese
meno dispotiche o dalle lusinghe facili e
menzognere.
46. Nell’umiltà di Gesù Cristo
È il vincitore-vinto; ha sperimentato
l'abbandono del Padre, ha percorso da
solo il cammino di croce (cfr. Mt 27,46), ha
bevuto il calice fino all’ultima goccia. In lui
l’umiltà è espressione della radicale
esigenza dell’amore che unisce nello
Spirito il Padre e l’umanità; nell’umiliazione
e nella gloria della croce egli ha rivelato il
significato e la meta ultima dell’invito a
condividere il giogo e cioè lo stile di amore
del Padre, fonte di ogni amore.
47. Nell’umiltà di Gesù Cristo
La sofferenza è la miseria più comune,
espressione inequivocabile di finitudine e
limite. Gesù ne ha avuto compassione,
l’ha presa, l’ha sofferta, l’ha eliminata,
svuotata nella radice, ha indicato
nell’amore la via e la condizione
dell’umanità rinnovata. La vulnerabilità alla
sofferenza altrui è via di pace, è
perfezione, quando alimenta la
sollecitudine dell’amore che lotta per
superarla.
48. Nell’umiltà di Gesù Cristo
Gesù Cristo ne ha vinto la radice, il maligno, che
è fonte di egoismo, autogaranzia, affermazione
di sé, volontà di potenza che domina e rende
schiavi, seduce e manipola; e ha liberato
l’amore che rispetta ed è impaziente, che è
attento e violento, che si dona e esige, che
comunica disponibilità di sé e apertura al
mistero. Chi non sta eliminando la sofferenza
dell’uomo non cammina per la via umile, non
porta il giogo di Gesù Cristo.