Articolo tratto dalla tesi di laurea di Sara Trecate: "Il grottesco dal testo alla scena: 'Ubu re' di Alfred Jarry". Per contattare l'autrice: info @ fogliodisala.it
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CdL Scienze dello Spettacolo, Università degli studi di Milano
Il grottesco-dal-testo-alla-scena-ubu-re-di alfred-jarry
1. Il grottesco dal testo alla scena: Ubu re di Alfred Jarry
Contesto
Gli ultimi anni dell'Ottocento rappresentano, in ambito teatrale, un periodo
di rinnovamento in cui nuovi stimoli e nuove concezioni dell'arte scenica cercano
di affermarsi e dare vita ad esperienze concrete. La Francia, e in particolar modo
la sua capitale, accoglie queste istanze diventando a livello europeo uno dei luoghi
simbolo del dibattito culturale.
Affievolitosi il desiderio di vedere rappresentati sentimenti nobili, grandi
passioni e belle scene, portate al successo per l'ultima volta dal dramma romantico
durante tutto il XIX secolo, Émile Zola è tra i primi ad auspicare l'avvento di un
teatro che possa riflettere sulla società reale, senza facili compiacimenti. Con il
Naturalismo, nato attorno al 1880, si apre la stagione delle Avanguardie teatrali,
che si esaurirà solo verso gli anni '20 del Novecento, dopo le teorizzazioni e le
esperienze di tanti teatranti insoddisfatti del convenzionalismo del teatro
occidentale.
Il teatro naturalista cercherà di esasperare le tendenze realistiche già in
voga precedentemente, ma è presto chiaro che questa tipologia di
rappresentazione non potrà avere un grande sviluppo. Grazie alle Esposizioni
Universali o alle tournée dei primi artisti avventuratisi in Occidente, Parigi e
l'Europa, sul finire del XIX secolo, scoprono l'Oriente e soprattutto il teatro
orientale, che servirà come esempio per coloro che erano alla ricerca di nuovi
modi di concepire lo spettacolo e di rappresentare la realtà. Si susseguiranno, a
partire dal Simbolismo fino ad arrivare alle esperienze artaudiane, diversi
interessanti sviluppi sul rapporto fra il teatro e il mondo reale.
È in questo contesto che, nel 1896, scoppia lo scandalo Ubu roi. Ben noto
è lo scalpore che la rappresentazione della pièce di Alfred Jarry suscitò fra il
pubblico parigino, accorso al Théâtre de l'Oeuvre, tempio del teatro simbolista,
per assistere ad uno spettacolo che, senza preoccuparsi della suscettibilità del
pubblico, ritraeva bassezze e sconcezze senza pudore, suggerendo un legame tra
queste e i vizi tipici della borghesia francese.
1
2. Con i suoi personaggi emblematici, Ubu re nasce in seno al Simbolismo,
ma è proiettato verso il Novecento, e molte delle caratteristiche che possiede
ispireranno la drammaturgia successiva. Sono numerosi, infatti, gli studiosi che
hanno attribuito ad Ubu re il ruolo di testo anticipatore della pièce moderna
(Marie-Claude Hubert)1, ispiratore delle Avanguardie successive (Henri Béhar) 2,
predecessore del teatro dell'Assurdo (Martin Esslin, Manuel Grossman) 3.
Al di là della leggenda, risulta interessante indagare l'origine del successo
di Ubu re, le ragioni che l'hanno portato ad essere considerato una pietra miliare
nella storia del teatro e il grado di consapevolezza con cui Jarry ha realizzato tutto
questo.
Il grottesco
Analizzando le prime tappe della composizione dell'opera, si viene già a
conoscenza di uno dei meccanismi che resteranno fondamentali nel lavoro di Jarry
e che determineranno l'unicità di Ubu re e la sua dissonanza nei confronti del
panorama teatrale francese di fine Ottocento: l'utilizzo del grottesco.
La categoria estetica del grottesco si può manifestare in diverse forme:
come deformazione di elementi noti, come esaltazione delle caratteristiche
sgradevoli o insolite accanto a quelle più accettabili, o come sovrapposizione o
commistione di ambiti diversi (tipicamente fra il regno umano e animale). Anna
Maria Scaiola tenta di estrapolare l'aspetto centrale dalle diverse interpretazioni
del grottesco:
Resta, nelle diverse utilizzazioni concettuali, l'idea del grottesco come
strumento di distorsione che contro l'identico moltiplica e varia le
forme. Principio motore contro l'immobilità della forma, esso è il polo
opposto della regolarità e si esprime, senza costrizioni, nella libertà
dalla norma. In conflitto con il bello esaspera il brutto fino alla
deformazione mostruosa4.
1 Cfr. Marie-Claude Hubert, Il teatro francese dal Medioevo al Novecento, trad. it. di
L.Verciani, Le Lettere, Firenze, 2009, p. 147.
2 Cfr. Henri Béhar, Il teatro dada e surrealista, trad. it. di G. Lista, Einaudi, Torino, 1976, p. 23.
3 Cfr. Martin Esslin, Il teatro dell'assurdo, trad. it. di R. De Baggis e M. Trasatti, Abete, Roma,
1990, p. 351 e Manuel Grossman, Alfred Jarry and the Theatre of the Absurd, «Educational
Theatre Journal» 19 (1967), pp. 473-77.
4 Anna Maria Scaiola, Dissonanze del grottesco nel Romanticismo francese, Bulzoni, Roma,
2
3. Fondamentale per una definizione del grottesco è dunque l'alternanza tra due
opposti (banalmente fra il bello e il brutto) o tra una norma e la deviazione dalla
stessa. Da non sottovalutare è anche il momento della metamorfosi, ovvero del
passaggio da un opposto all'altro, il quale, nella sua deformità, può già dirsi
grottesco.
Non privilegiando il bello nell'arte, e mostrando senza paura anche il
brutto, il grottesco si caratterizza per una indubbia modernità. È Victor Hugo che
attribuisce la capacità di utilizzare la categoria del grottesco alla civiltà moderna,
andando a ricercare anche una data di nascita da attribuire a quest'ultima: a partire
dalla diffusione del Cristianesimo, sostiene Hugo, l'uomo ha preso coscienza della
propria duplicità e della duplicità della natura, non più perfetta e immutabile, ma
imperfetta e multiforme5. È da quel momento che anche l'arte ha cominciato a
riprodurre più fedelmente le varie sfaccettature della realtà, attraverso quel «tipo
nuovo introdotto nella poesia»6 che è il grottesco.
[La musa moderna] sentirà che tutto nella creazione non è
umanamente bello, che il brutto vi esiste accanto al bello, il deforme
accanto al grazioso, il grottesco sul rovescio del sublime, il male con il
bene, l'ombra con la luce7.
Fondamentale strumento da saper utilizzare per essere considerato un grande
artista, il grottesco, insieme al sublime, diventa in epoca moderna così importante
da essere considerato qualità indispensabile del genio artistico:
È dall'unione feconda del tipo grottesco col tipo sublime che nasce il
genio moderno, così complesso, così vario nelle sue forme, così
inesauribile nelle sue creazioni, e in ciò del tutto opposto all'uniforme
semplicità del genio antico8.
Categoria molto amata da Jarry, il grottesco attraversa trasversalmente tutta la sua
1988, p. 9.
5 Cfr. Victor Hugo, Sul grottesco, trad. it di Maddalena Mazzocut-Mis, Guerini, Milano, 1990,
pp. 46-48.
6 Cfr. ivi, p. 48.
7 Ivi, p. 47.
8 Ivi, p. 50.
3
4. produzione letteraria9, confermando in questo modo la concezione di Hugo sulla
funzione del grottesco nella modernità: «nel pensiero dei moderni [...] il grottesco
ha un ruolo immenso. È ovunque»10.
All'interno dell'opera jarriana, è nel teatro che il grottesco emerge con
maggior forza; si potrebbe addirittura sostenere che il genere teatrale sia utilizzato
da Jarry proprio per sviluppare una riflessione sulla deformazione mostruosa 11: già
in César-Antéchrist, Haldernablou, L'Autre Alceste, testi di impronta simbolista,
emergono le ripugnanti qualità dell'uomo e le metamorfosi della natura 12. Ma sarà
solo con il ciclo di Ubu che il grottesco diverrà caratteristica principale e
fondamentale di un dramma13.
La scelta di quest'ultimo quale luogo ideale per la manifestazione del
grottesco non è un particolare trascurabile, dato che Hugo lo considera il genere
per eccellenza della modernità: esso «fonde in uno stesso soffio il grottesco e il
sublime, il terribile e il buffonesco, la tragedia e la commedia; il dramma è il
carattere proprio [...] della letteratura attuale»14.
Il ruolo del grottesco nella stesura di Ubu re
È evidente come questa categoria estetica sia stata fondamentale per Jarry
sia durante il processo di scrittura del testo, sia nel momento della celebre
messinscena del 1896 al “Théâtre de l'Oeuvre”, voluta e poi curata dall'autore
stesso.
Per quanto riguarda il testo, già la sua prima versione faceva largo uso del
grottesco: alcuni compagni di scuola di Jarry erano soliti scrivere drammi satirici
sulla figura del goffo professore di fisica, Félix Hébert creando di lui una
caricatura esagerata15. L'operazione compiuta dagli studenti del Liceo di Rennes
consisteva nell'utilizzare la deformazione grottesca sulla figura già ridicola del
professore con lo scopo di suscitare innocenti risate fra gli amici.
9 Vedi ad esempio Gesta e opinioni del Dottor Faustroll, patafisico, Il supermaschio o Guignol
10 V. Hugo, op. cit., p. 51.
11 Cfr. Anna Vegetti, Deformazione e comicita: iconografia e teatro in Alfred Jarry, «ITINERA–
Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura» (luglio 2004), pp. 1-23.
12 Cfr. ivi, p. 6.
13 Cfr. Luigi Allegri, La drammaturgia da Diderot a Beckett, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 105.
14 V. Hugo, op. cit., p. 60.
15 Cfr. François Caradec, A la recherche d'Alfred Jarry, Seghers, Paris, 1974, pp. 19-20.
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5. Uno di questi scritti, I polacchi, parodia del Macbeth shakespeariano, affascina in
modo particolare il giovane Alfred, il quale, dopo una serie di modifiche, lo farà
diventare Ubu re16.
Categoria raramente osservata a teatro, se si escludono le forme
spettacolari cosiddette minori, quali il circo, il vaudeville o il cabaret, il grottesco
sarebbe stata una novità per i palcoscenici più impegnati. Questo particolare non
sfugge a Jarry, anzi gli suggerisce l'idea di eliminare dalla pièce i riferimenti
all'ambiente liceale e poi proporla al sensibile pubblico parigino frequentatore dei
teatri legati al Simbolismo.
Fra l'altro, queste operazioni fanno di lui, a detta della quasi totalità degli
studiosi, l'unico vero autore di Ubu re. Il più celebre dei detrattori, Charles
Chassé, scrive nel 1921 il violento Sous le masque d'Alfred Jarry, accusando
l'autore di plagio, ma si tratta di un episodio isolato17.
Jarry sceglie di continuare a lavorare per diverso tempo su quel
testo che aveva conosciuto quando era giovanissimo, perché in quegli anni, deluso
dall'immobilità del teatro occidentale rinchiuso in convenzioni ormai antiquate,
condivide con molti suoi colleghi teatranti il bisogno di sperimentare qualcosa di
nuovo che riesca a scuotere i pigri spettatori borghesi.
Intuendo le potenzialità del grottesco, strumento di indagine della realtà
multiforme e imperfetta, Jarry le porterà all'esasperazione, facendo obbedire alla
logica della deformazione ogni aspetto del testo. Pregustando uno scandalo mai
visto prima18, l'autore francese si diverte a fare a pezzi le convenzioni teatrali che
l'odiato pubblico benestante considerava intoccabili, disarticolando il linguaggio,
maltrattando l'ortografia, parodiando celebri drammi, mostrando assoluta
indifferenza nei confronti della verosimiglianza e dell'approfondimento
psicologico dei personaggi19. Ostentando, inoltre, una libertà provocatoria nei
confronti delle regole compositive, i dialoghi e la suddivisione in scene subiscono
interruzioni improvvise, bruschi inserimenti di elementi incongrui, alterazioni
della consequenzialità.
16 Cfr. Nigey Lennon, Alfred Jarry: the man with the axe, Last Gasp, San Francisco, 1990, pp.
25-26.
17 Cfr. Patrick Besnier, Alfred Jarry, Fayard, Paris, 2005, pp. 64-65.
18 Se non a proposito della cosiddetta 'Battaglia di Hernani', a cui non a caso qualche studioso
paragona la messinscena di Ubu re.
19 Cfr. M.C. Hubert, op. cit., p. 147.
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6. Infine Jarry, grande lettore di Rabelais, si impegna ad indirizzare il
linguaggio verso il registro basso delle oscenità, delle volgarità e dell'immoralità.
Raccontando così, in forma grottesca ed esasperata, i vizi di Hébert che
rappresentano, come abbiamo detto, quelli della pigra classe borghese parigina,
Jarry spera di suscitare quella risata 'mostruosa' 20 che spesso deriva
dall'inquietudine di trovarsi di fronte alla rappresentazione, seppur ironica, dei
propri difetti.
Ubu re può essere superficialmente descritto come la parodia di un
dramma storico e la trama lo confermerebbe: Ubu, spinto dall'ambiziosa moglie,
uccide il Re di Polonia e i suoi figli, per usurparne il trono. Verrà sconfitto in
battaglia da Bugrelao, unico superstite della stirpe reale. In realtà, l'operazione
compiuta da Jarry è molto più complessa e rivela una vasta conoscenza, da parte
dell'autore, del teatro e delle regole drammaturgiche. In Ubu re convergono e
vengono rielaborati echi provenienti da diverse esperienze teatrali: sono presenti
riferimenti a diverse trame shakespeariane, quali Macbeth, Amleto, Riccardo II e
Riccardo III, che rappresentano per Jarry le fonti primarie di ispirazione (la dedica
apparsa sulla versione a stampa di Ubu re del 189621 rivela il debito nei confronti
del Bardo); vi sono descritti sgradevoli personaggi di ascendenza rabelaisiana che
suscitano repulsione; infine vi si possono ritrovare, consapevoli o meno,
somiglianze con un testo simbolo della drammaturgia russa di argomento storico,
ovvero Boris Godunov di Puškin, testo altrettanto sperimentale dal punto di vista
della libertà compositiva.
Il grottesco e la realtà
Una caratteristica fondamentale del grottesco di Jarry, ma in fondo del
grottesco in generale, consiste nel fatto che esso mantiene sempre dei riconoscibili
legami con la realtà; e da questo deriva la capacità del grottesco di impressionare e
coinvolgere il pubblico.
20 Sul riso mostruoso cfr. Maddalena Mazzocut-Mis, Mostro. L'anomalia e il deforme nella
natura e nell'arte, Guerini, Milano, 1992, p. 69.
21 Alfred Jarry, Ubu, trad. it. di C. Rugafiori, Adelphi, Milano, 2007, p. 2: «Questo libro è
dedicato a Marcel Schwob. Ordunque il Padre Ubu scosse la pera, onde fu poi chiamato dagli
inglesi Shakespeare, e di lui, sotto questo nome avete assai belle tragedie per iscritto».
6
7. I riferimenti ad elementi noti sono il punto di partenza e su quelli si
possono innestare le deformazioni successive. Così effettivamente è stato costruito
Ubu, partendo dall'immagine del professor Hébert, esasperandone poi le
caratteristiche più negative.
Anche quando, lavorando su Ubu, Jarry si accorgerà che questo
personaggio assomiglia sempre più a tutto ciò che egli odia della classe in cui è
nato (avidità, mediocrità e prepotenza), saranno eliminati piano piano i riferimenti
ad Hébert, ma si aggiungeranno quelli relativi alla borghesia francese, così che il
legame con la realtà non venga mai meno.
Grazie a questo meccanismo, il dramma nel suo complesso diventa uno
specchio deformante, capace di riproporre del mondo reale un'immagine crudele,
ma veritiera allo stesso tempo. È soprattutto nel teatro che Jarry sfrutterà questo
meccanismo, perché è il genere forse più adatto di altri a rappresentare
un'immagine, più o meno deformata della realtà. In fondo il teatro ha da sempre in
sé il concetto di duplicità (attore-personaggio, realtà-finzione): risulta dunque più
che plausibile attribuirgli anche una funzione di specularità.
Anche se Ubu, in seguito ad una serie di deformazioni, diventerà
l'archetipo del male, rappresentazione dell'istinto allo stato puro, il pubblico si
potrà riconoscere in lui proprio perché nella sua figura sono presenti allusioni agli
istinti umani più comuni.
Oltre alla possibilità di immedesimazione, un altro effetto del legame del
grottesco con la realtà è la possibilità di dare origine a riflessioni: Jarry ha potuto
caricare Ubu re di una valenza sociale inedita, affidando alla sua opera il compito
di far riflettere gli spettatori sulla propria condotta morale, perché il grottesco
porta sempre in sé dei rimandi ad elementi conosciuti o almeno riconoscibili sui
quali l'osservatore può ragionare e costruire una propria opinione.
Il collegamento fra il grottesco e la realtà è molto profondo e va
addirittura oltre quanto appena detto: appare chiaro come il grottesco sia già insito
nella realtà, in quanto quest'ultima porta con sé aspetti contrastanti e accostamenti
di elementi gradevoli e sgradevoli. Anche per questo il grottesco, come ha intuito
Jarry, è uno degli strumenti più penetranti di analisi della realtà.
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8. Il mostruoso in Ubu re
Nel 1896, l'anno della 'prima' di Ubu re, Padre Ubu appariva così, in
un'illustrazione pubblicata sulle pagine della Revue Blanche:
Il mostro, scaturito dall'immaginario jarriano, appare sotto forma di
pupazzo, dotato di un grande ventre tubiforme, detto gidouille, testa
piriforme, occhi porcini, un naso somigliante alla mascella superiore
del coccodrillo e un bastone nella tasca destra. I due piccoli triangoli
alla base del volto altro non sono se non la stilizzazione dei baffi
ubueschi, così come le due piccole fessure, sormontate da doppi tratti,
fungono da occhi e da sopracciglia. L'aspetto di questo inquietante
burattino rivela un volto e un corpo che sembrano ridursi a una sola
delle sue parti, facendolo apparire come una figura distorta, una
caricatura: Ubu finisce per essere un gran ventre, i cui restanti
elementi corporei passano in secondo piano22.
Oggetto di indagine del grottesco e sua manifestazione più tipica, il mostro è
protagonista assoluto del testo jarriano. Modellato sugli irriverenti giganti di
Rabelais, il personaggio di Ubu si presenta come un orrido fantoccio, privo di
caratteristiche apprezzabili.
Il mostro, prodotto della creatività senza norma e senza scopo, è
diverso, imperfetto, una forma asimmetrica per agglomerazione, che
esce dal consueto e dal probabile. La mostruosità si ottiene appunto
per confusione di regni, gli animali si umanizzano o gli uomini si
animalizzano, l'inanimato si anima23.
Dall'amore che Jarry nutre per il teatro di marionette, a cui è affezionato sin da
piccolo, nasce Ubu, mostruoso in quanto uomo-fantoccio. Egli ha tutto ciò che
serve per essere un anti-eroe: è pieno di difetti, fisici e morali, agisce governato
dai propri istinti e incute timore; estremizzando la mostruosità latente di Hébert,
Ubu diventa l'archetipo della mostruosità e si caratterizza per bruttezza, volgarità,
stupidità, codardia, malvagità24.
Ubu è, fisicamente e nel comportamento, bestiale e mostruoso: un uomo-
fantoccio dal ventre enorme e dai movimenti meccanici che è solito divorare tutto
22 A. Vegetti, op. cit., pp. 9-10.
23 Cfr. A. M. Scaiola, op. cit., p. 28.
24 Cfr. A. Vegetti, op. cit., pp. 11-12.
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9. ciò che vede25 e appropriarsi di tutto ciò a cui è anche solo vagamente interessato.
L'enorme pancia di Ubu è segnale della capacità di accumulo di cibo (e non solo)
e dell'importanza che egli concede agli appetiti più bassi.
Padre Ubu non è un personaggio vero-simile, ma l'astratta figurazione
simbolica (una sagoma grottescamente “tonda”) della più crassa
volgarità e del più criminale arrivismo d'un moderno “uomo senza
qualità”. Il linguaggio che lo distingue si disarticola in frasi sincopate,
irte di bizzarre distorsioni puerili dei vocaboli, e di sgraziati
neologismi26.
Dalla deformità fisica alla deformità morale il passo è breve: Ubu non rispetta le
norme condivise nemmeno in quest'ambito. Ingoia cibo senza freni e raccoglie
denaro (o phynanze) senza ritegno, così come commette crimini a ripetizione. La
spirale dell'ingordigia diventa la spirale del male.
Non sarà difficile scorgere nel personaggio di Ubu l'incarnazione
perfetta dell'Es nietzscheano-freudiano che designa l'insieme delle
pulsioni sconosciute, incoscienti, scacciate, di cui l'Ego non è che
l'emanazione consentita, tutta subordinata alla prudenza27.
In Ubu, puro istinto e crudeltà, è possibile intravedere «una figura sovrumana di
uomo universale, che appare dominato da una cieca ingordigia e sembra non
dimostrarsi mai consapevole della propria mostruosità»28. Mai un ripensamento,
mai un rimorso: è l'archetipo del male, l'estremizzazione della figura del villain,
salvo avere un posto di primaria importanza nella trama. Per questo, la definizione
più corretta dovrebbe essere quella di antieroe29: un antieroe che «ci sconvolge e ci
disgusta»30.
25 Cfr. H. Béhar, Jarry, le monstre et la marionette, Larousse, Paris, 1973, p. 104.
26 Roberto Tessari, Teatro e antropologia, Carocci, Roma, 2005, pp. 185-86.
27 Jacques Henry Levesque, Alfred Jarry, Seghers, Paris, 1963, p. 60: « on n'aura aucune peine à
découvrir dans le personnage d'Ubu l'incarnation magistrale du soi nietzschéen-freudien qui
désigne l'ensamble des puissances inconnues, inconscientes, refoulées dont le moi n'est que
l'émanation permise toute subordonnée à la prudence». Levesque cita l'Anthologie de l'humour
noir di André Breton.
28 A. Vegetti, op. cit., pp. 11-12.
29 Cfr. H. Béhar, Jarry, le monstre, cit., p. 106.
30 Linda Klieger Stillman, La théâtralité dans l'oeuvre d'Alfred Jarry, French Literature
Publications Company, York, 1980, p. 26: «nous déséquilibre et nous dégoûte».
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10. È possibile che il pubblico di Ubu re si sia potuto riconoscere in scena
poiché Ubu è la rappresentazione dell'istinto, anzi di tutti gli istinti peggiori che
ognuno può aver provato, magari represso: «[Ubu] è un po' in tutti noi, è il male
che l'educazione, i principi morali ci fanno respingere» 31. Sulla scena c'è uno
specchio, il quale, benché deformante, mostra un fondo di verità.
Il lavoro compiuto sulla mostruosità e la violenza di Ubu, va nella
direzione dell'estremizzazione: queste caratteristiche sono diventate profonde ed
immutabili, tanto che non subiranno variazioni neanche negli episodi successivi
della saga. Jarry, affezionato alla sua creatura, ha infatti dedicato ad Ubu altri tre
testi teatrali; ognuno di questi è una consapevole variazione rispetto alla trama
dell'episodio più famoso. Ubu cornuto sposta l'azione in un luogo chiuso, la
dimora di Achras, e pone Ubu a confronto con un esiguo numero di persone,
opponendosi così all'ampio respiro che caratterizza l'ambientazione di Ubu re.
Ubu incatenato ripropone invece il rapporto fra Ubu, un regno e i suoi abitanti,
cercando però di ribaltare la logica che ne guida gli eventi, rendendo
paradossalmente Ubu il più tiranno degli schiavi. Infine, Ubu sulla collina è una
trasposizione di Ubu re su un palcoscenico per marionette.
Sembra quasi che l'autore abbia condotto un esperimento per studiare il
comportamento del mostro Ubu in contesti diversi, e il risultato è chiaro: la
malvagità e l'inaccettabile comportamento di Ubu rimangono identici in ogni
situazione; non serve un luogo, una circostanza o un personaggio che lo irriti, il
carattere di Ubu è immodificabile e reagirà sempre allo stesso modo. Trasportando
il mostro in ambienti diversi, esso si porta dietro le caratteristiche che lo hanno
reso tale, perché sono parte integrante della sua natura e non dipendono da fattori
esterni. Ubu è, dunque, un personaggio che non ha speranza di ravvedersi, è
immutabile nei suoi tratti ed è questo che lo rende temibile e influente di fronte ad
un pubblico non abituato a caratteri simili in scena.
Jarry ha creato una mostruosità così incontenibile e netta che nemmeno lui
ne è rimasto immune: assomigliando sempre più al suo personaggio, parlando e
muovendosi come lui, Jarry subirà piano piano la stessa deformazione mostruosa
che aveva subito il professore di fisica, stavolta non solo letteraria, ma ben più
31 H. Béhar, Jarry, le monstre, cit., p. 106: «[Ubu] participe un peu de chacun d'entre-nous, il est
le négatif que l'éducation, les principes moraux nous font refouler».
10
11. reale32.
Jarry sceglie consapevolmente negli ultimi anni della sua vita di
trasformarsi in Ubu. È sempre stato affascinato dai travestimenti, passione che ha
ereditato da sua madre33, e così in tutti i luoghi che frequenta si presenta parlando
come Ubu e muovendosi come lui34. Con gli anni aumenteranno anche gli
aneddoti su comportamenti bizzarri ed eccessivi dello scrittore.
Jarry ha passato gran parte della sua vita in solitudine, tenendosi a distanza
dal resto della società, che per lo più disprezzava. Il grottesco ha sempre
rappresentato per lui un modo personale e intrigante per raccontare la realtà, che
osservava dall'esterno, e per deriderne i protagonisti. Fin dai suoi primi
esperimenti di scrittura si nota una predilezione per l'inconsueto, il derisorio, il
macabro. Con il passare degli anni, in tutta la sua produzione letteraria, che
comprende romanzi, testi teatrali e poesie, egli farà largo uso del grottesco.
Sul finire della sua breve vita avviene un cambio di prospettiva: la scelta di
diventare Ubu nasce da una sofferenza interiore di Jarry: travagliato a causa del
suo ridicolo aspetto fisico, della sua debole famiglia 35, del disgusto che provava
nei confronti della società, egli decide di farsi scudo della figura del mostro 36.
Oltre che per proteggersi, Jarry lo fa per denunciare in maniera ancora più
evidente l'omologazione che sta affliggendo la classe borghese, composta da un
numero sempre crescente di Ubu senza scrupoli37.
Il ciclo di vita di Ubu, essere che in quanto mostro stimola la
trasformazione e la metamorfosi, continua ininterrotto.
La messinscena
Per ottenere le reazioni di turbamento auspicate da Jarry, non è sufficiente
avere un testo costruito su personaggi mostruosi e imbevuto di grottesco: tutto ciò
crea solamente le basi per poter compiere il passo successivo, ossia mettere in
32 Cfr. Paul Chauveau, Alfred Jarry, ou la naissance, la vie et la mort du Pere Ubu, Mercure de
France, Paris, 1932, p. 74.
33 Cfr. Lucio Chiavarelli, «Biografia», in A. Jarry, Tutto il teatro, a cura di L. Chiavarelli,
Newton Compton italiana, Roma, 1974, p. 20.
34 Cfr. P. Chauveau, op. cit., p. 74:
35 Cfr. N. Lennon, op. cit., p. 56.
36 Ibid.
37 Ibid.
11
12. scena Ubu re. La pubblicazione della pièce, che risale a qualche anno prima della
messinscena, ha fatto parlare la cerchia culturale parigina, ma non si può certo
dire che abbia fatto scandalo38. Con tutto l'impegno possibile, Jarry tenta di trovare
un palcoscenico adatto per fare rappresentare il suo testo, perché è consapevole
del fatto che solo visto in scena Ubu avrebbe potuto colpire nel profondo il
pubblico.
Studiando nei minimi dettagli la provocazione che sta attuando, quindi
denunciando una consapevolezza assoluta, Jarry sceglie il Teatro di Aurélien
Lugné-Poe come luogo più indicato per la messinscena di Ubu re: il pubblico
affezionato alla sala, abituato ad ascoltare le eteree pièce simboliste avrebbe
accusato il colpo in maniera evidente. La provocazione non è diretta soltanto alla
pigra borghesia: prendendosi gioco dei personaggi-emblema e ribaltando le
vicende eterne e archetipiche amate dai simbolisti, Jarry desidera farsi beffe dei
suoi amici, con cui ha condiviso in passato poetica e aspirazioni, ma che si sono, a
suo parere, fermati ad un'utopica visione della realtà.
Le serate del 9 e 10 dicembre 1896, con la critica e i soliti affezionati del
“Théâtre de l'Oeuvre” presenti in sala, il grottesco è messo alla prova del
palcoscenico. La rivista La Critique, distribuita agli spettatori in sala, annunciava
la «commedia guignolesca di Alfred Jarry, musica di Terrasse, orchestra sotto la
direzione dell'autore»39. Il pubblico, che Jarry si era preoccupato di preparare
attraverso la pubblicità, varie edizioni del suo testo e la diffusione di stampe con
raffigurazioni di Padre Ubu, era cosciente di non essere capitato lì per caso,
sapeva che la serata sarebbe stata unica e indimenticabile.
Da chi è composto questo pubblico? Innanzitutto dalla critica al gran
completo, che è lì perché è il suo posto naturale. Poi dal pubblico
abituale dell'Oeuvre o, almeno, dalla parte di quel pubblico che è
riuscita a procurarsi i biglietti. Queste persone che ascoltano
profondamente i drammi di Ibsen, le melanconiche avventure di
Pelléas e Mélisande non sono per nulla disposte alla tolleranza40
38 H. Béhar, Jarry, le monstre, cit., p. 99.
39 Noël Arnaud, Alfred Jarry d'Ubu roi au Docteur Faustroll, La table ronde, Paris, 1974, p.
253: «comédie guignolesque de M. Alfred Jarry, musique de M. Terrasse, orchestre sous la
direction de l'auteur».
40 P. Chauveau, op. cit., p. 76: «De quoi se compose-t-il ce public? D'abord la critique au grand
complet, elle vient là parce que c'est sa place naturelle. Puis le public habituel de l'Oeuvre ou,
du moins, ce qui de ce public a pu se procurer des entrées. Ces gens qui écoutent profondement
12
13. Sono soprattutto il linguaggio inusuale, le volgarità esplicite, le scenografie
surreali e il ribaltamento delle convenzioni teatrali riconducibili al realismo ad
innervosire gli spettatori41. Le tradizioni teatrali, infatti, erano all'epoca
considerate intoccabili molto più di quelle letterarie e non è un caso che l'opera di
Jarry vada a colpire proprio le prime.
La sera della prova generale (il 9 dicembre) è un episodio che maltratta i
canoni del realismo a scatenare il putiferio: quando una serratura e una chiave
sono sostituite dalle mani di due attori 42, il pubblico sente il bisogno di esprimere
la propria opinione, alzandosi in piedi e interrompendo la rappresentazione43. La
stessa cosa succede il giorno successivo, ma immediatamente dopo la prima
battuta di Ubu, che si presenta in scena con un costume voluminoso, una maschera
sul volto e pronuncia quel “Merdre” che è una provocazione nella provocazione,
con quella R supplementare che volutamente non si capisce se serva ad accentuare
o mascherare la volgarità44.
Con lo spettacolo che invade la platea, il pubblico che si lascia andare ad
istinti incontrollati e un'atmosfera di dionisiaco disordine, Jarry può essere
pienamente soddisfatto; tutti i giornali dei giorni successivi parleranno del caos
generato dalla geniale pièce del giovane scrittore bretone.
Le serate sono diventate quasi leggendarie, e spesso si parla erroneamente
solo del dissenso manifestato dal pubblico. In realtà, e lo dimostrano le recensioni
apparse sui quotidiani dell'epoca all'indomani della 'prima', ci fu una spaccatura
netta fra chi inveiva contro Jarry e un buon numero di persone che acclamavano la
nascita di un genio.
Ciò conferma la teoria proposta da A. M. Scaiola per cui, solitamente, alla
visione del grottesco corrisponde una reazione forte, positiva o negativa che sia:
les drames d'Ibsen, les mélancoliques aventures de Pelléas et Mélisande ne sont point disposés
à la tolérance».
41 Cfr. M.C. Hubert, op. cit., p. 147.
42 N. Arnaud, op. cit., pp. 313-14: «Un figurant se tient là, le bras tendu. Le Père Ubu arrive, fait
mine d'introduire une clé qu'il tourne dans la paume ouverte du figurant; le bras s'abaisse et le
Père Ubu pénètre dans la prison» (Un figurante resta là, col braccio teso. Arriva Padre Ubu, fa
finta di introdurre una chiave che gira nel palmo aperto del figurante; il braccio si abbassa e
Padre Ubu entra nella prigione).
43 Cfr. H. Béhar, Jarry, le monstre, cit., p. 92.
44 Cfr. ivi, p. 93.
13
14. La ricezione emotiva generalmente è comunque forte, per l'effetto di
sconvolgimento di un ordine noto, per il non riconoscimento di
rapporti consueti che risultano sconvolti, e “strani”, o di proporzioni
dilatate ed anomale45.
Gli spettatori del “Théâtre de l'Oeuvre” durante la prima messinscena di Ubu re,
hanno manifestato apertamente le loro sensazioni. Interrompendo in più occasioni
la rappresentazione, hanno fischiato e applaudito, maledetto e osannato Jarry,
causando lo scandalo che l'autore auspicava come segnale di ritrovata vitalità del
pubblico.
Antoine non accetta questo figurante che rappresenta una porta; si alza
dal suo posto e dice: “L'uscita è per di qua!”. Courteline, che non ama
gli scherzi, s'indigna e urla alla sala: “Dunque non vedete che Jarry si
sta prendendo gioco di noi!”. [...] Jean de Tinan si impegna in una
sintesi applaudendo con vigore e fischiando come un capostazione.
Jules Lemaître si inquieta: “È uno scherzo, non è vero?”. [...] Rachilde
urla “Basta!” a quelli che fischiano. Jean Richepin si esprime con
forza in favore di Ubu46.
«La stampa fu esattamente l'immagine di questo pubblico» 47, alcuni annunciarono
la nascita di un nuovo tipo di teatro e di personaggio, altri, colpiti e offesi dallo
spettacolo, raccontarono dell'aggressione subita48. «Sul suo Journal, Jules Renard
annota acido “Se Jarry non scrive domani che si è preso gioco di noi, non si
rialzerà più”. [...] Sarcey annuncia il declino di un'impresa [l'Oeuvre] troppo
mistificatrice»49.
Così, mentre gli attori sul palco portavano avanti lo spettacolo principale,
il pubblico in sala ne organizzava uno parallelo. Ecco una nuova interessante
prospettiva secondo cui analizzare la reazione del pubblico:
45 Cfr. A.M. Scaiola, op. cit., p. 10.
46 N. Arnaud, op. cit., p. 314: «Antoine n'accepte pas ce figurant figurant une porte; il se dresse
dans son fauteuil et vocifère: “Par ici la sortie!”. Courteline, qui n'aime pas les plaisanteries,
s'indigne et jette à la salle: “Vous ne voyez donc pas que Jarry se fout de nous!”. [...] Jean de
Tinan s'efforce à une synthèse en applaudissant avec vigueur tout en sifflant comme un chef de
gare. Jules Lemaître s'inquiète: “C'est bien une plaisanterie, n'est-ce pas?”. [...] Rachilde crie
“Assez!” à ceux qui sifflent. Jean Richepin manifeste très haut en faveur d'Ubu».
47 H. Béhar, Jarry, le monstre, cit., p. 98: «La presse fut exactement à l'image de ce public».
48 Ibid.
49 Ivi, pp. 97-98: «Dans son Journal, Jules Renard aigri note “Si Jarry n'écrit pas demain qu'il
s'est moqué de nous, il ne s'en relèvera pas”. [...] Sarcey annonce le déclin d'une entreprise trop
mystificatrice».
14
15. Il comportamento della sala [...] ci propone, forse per la prima volta
nel teatro moderno, l'identità di scena e pubblico nello spettacolo: è
appunto a questo che si deve l'aura di Ubu re. Un uditorio aduso alla
perfezione formale, pronto a recepire la raffinatezza delle
rappresentazioni come in un mistero cui tutti partecipano con un
sentimento di comunanza elettiva, saluta, rispondendo come ad
un'implicita richiesta, un allestimento che non solo adotta la
grossolanità a sua cifra, ma scavalca anche ogni discrimine formale,
negando in definitiva alla forma stessa ogni valore50.
Forse è la prima volta per il teatro moderno, ma ciò che è accaduto ha un sapore
arcaico che ci riporta a forme di teatralità mitiche, brutali e collettive. Alcune
testimonianze dell'epoca stimolano riflessioni che vanno proprio in questa
direzione: immancabile negli studi più precisi è la citazione dalle Autobiographies
di William Butler Yeats, autore presente alla serata, colpito nel profondo da ciò a
cui ha assistito e costretto ad annotare malinconicamente queste impressioni:
Dopo Stéphane Mallarmé, dopo Paul Verlaine, dopo Gustave Moreau,
dopo Puvis de Chavannes, dopo i nostri stessi versi, dopo i nostri
colori raffinati e i nostri ritmi nervosi, dopo le sfumature di Conder,
che cosa è ancora possibile? Dopo di noi, il Dio Selvaggio51.
Nonostante Carlotti ritenga marginale l'importanza di questa testimonianza perché
pubblicata solo nel 1922 e quindi «frutto di un'elaborazione successiva
all'impressione momentanea, cui si aggiunge il risultato di una visione ben definita
della storia»52, essa rimane ricca di spunti di riflessione. Ubu è paragonato ad un
Dio Selvaggio a causa della forza che emana, tanto intensa da suscitare
irreprimibili reazioni da parte del pubblico:
La prima di Ubu [...] trasforma gli spettatori (quasi costringendoli a un
viaggio indietro nel tempo: dai “colori raffinati e i ritmi nervosi” del
presente, alla “crudeltà” di un'era arcaica quanto il mondo) in
50 Edoardo Giovanni Carlotti, La scena dell'Ombra: il mito dell'Ubu Roi, «Il castello di Elsinore»
12 (1991), p. 60.
51 P. Besnier, op. cit., pp. 277-78: «Après Stéphane Mallarmé, après Paul Verlaine, après Gustave
Moreau, après Puvis de Chavannes, après nos propres vers, après nos couleurs raffinés et nos
rythmes nerveux, après les nuances de Conder, qu'est-ce qui est encore possible? Après nous, le
Dieu Sauvage».
52 E.G. Carlotti, op. cit., p. 63.
15
16. esagitatissimo coro discorde tutto teso a fare spettacolo di se stesso53.
Il coinvolgimento del pubblico è altissimo, nel bene o nel male la divinità Ubu
riesce a toccare le corde più profonde degli spettatori. Si scatena e si diffonde quel
“vento della distruzione” che annunciava Henry Baüer:
Da questa enorme figura di Ubu, stranamente suggestiva, soffia
il vento della distruzione, l'ispirazione della gioventù
contemporanea che abbatte i tradizionali rispetti e i secolari
pregiudizi. E il tipo resterà54.
La definizione che attribuisce a Ubu la qualifica di Dio Selvaggio, fa
immediatamente pensare al greco Dioniso, divinità legata alla nascita del teatro, e
in generale ad una teatralità più profonda e penetrante negli animi degli spettatori
quale era, appunto, quella della Grecia Antica55. Le caratteristiche dionisiache
attribuite ad Ubu pongono il testo a metà fra innovazione e recupero delle
tradizioni. Arthur Symons, seppur scettico riguardo alle qualità drammatiche
dell'opera56, riconosce un valore storico al testo di Jarry, in termini simili a quelli
usati da Yeats:
Eppure, dopo tutto, Ubu ha il suo interesse, il suo valore. [...] Perché
ci mostra che l'artificiale, quando ha compiuto tutto il suo cerchio,
ritorna al primitivo. [...] Ubu roi è la brutalità da cui siamo partiti per
raggiungere la civiltà, e quei burattini dipinti, massacranti, gli
elementi distruttivi che son vecchi quanto il mondo, e che non
possiamo mai cacciare via dal sistema delle cose naturali 57.
Ubu re rappresenta una tappa storica nella storia del teatro perché interrompe
bruscamente un processo evolutivo (forse già in crisi) per ritornare ad una fase
53 R. Tessari, op.cit., pp. 186-87.
54 Henry Baüer, Recensione di Ubu roi, «L'Echo de Paris», 19 dicembre 1896: «De cette énorme
figure d'Ubu, étrangement suggestive, souffle le vent de destruction, l'inspiration de la jeunesse
contemporaine qui abat les traditionnelles respects et les séculaires préjugés. Et le type
restera».
55 Tessari riguardo al Dio Selvaggio: «Una divinità la cui evocazione qui [...] non può non
alludere a Dioniso, e ai riti collettivi (orgia e komos) che celebravano la dirompente sacralità
del dio»: R. Tessari, op. cit., p. 187.
56 Cfr. E.G. Carlotti, op. cit., pp. 63-64.
57 Cfr. ivi, p. 64.
16
17. primitiva e non regolata, oppure, secondo un altro punto di vista, con lo scopo di
svelare quegli elementi primitivi e non regolati che le convenzioni teatrali
tentavano di nascondere:
Symons vede irrompere in Ubu roi tutto ciò che l'evoluzione culturale
ha solo in apparenza superato, e lo vede irrompere secondo una logica
ferrea di corsi e ricorsi, per cui lo stadio successivo alla suprema
raffinatezza della forma deve forzatamente essere la dissoluzione di
ogni forma58.
Come si deduce dalle parole di Baüer, Symons e Yeats, c'è nell'aria
l'umbratile consapevolezza di trovarsi nel bel mezzo d'una tragica
svolta culturale, che dalle estenuate forme d'una civiltà comunque al
tramonto conduce al perturbante ritorno epifanico del Dio Selvaggio 59.
Non a caso, Yeats e Symons sono autori strettamente legati al Simbolismo, e
quindi particolarmente sensibili all'operazione compiuta da Jarry che suggerisce
l'imminente fine della stagione simbolista. Più in generale è forse la cultura
occidentale nel suo complesso ad essere minacciata e Carlotti ne intuisce la
fragilità proprio a partire dalle reazioni alla 'prima' di Ubu re:
La volgarità grossolana di Ubu, la fisicità inferiore che ne cifra la
rappresentazione è [...] una manifestazione intollerabile per la cultura
occidentale fin de siècle, e mostra indubitabilmente la debolezza di
questa cultura dinanzi ad un'estrema concreta rappresentazione della
sua stessa immagine60.
Ancora Carlotti ci regala un'interessante considerazione sulle figure teatrali
archetipiche che riappaiono alla fine di ogni epoca per rievocare un passato
mitico:
Esiste un mitologema, caratteristico delle civiltà in via di estinzione,
che rappresenta l'indifferenziazione e porta con sé i segni di una
58 Ibid.
59 R. Tessari, op. cit., p. 187.
60 E.G. Carlotti, op. cit., p. 65.
17
18. comicità primeva, tutta costruita sull'emersione della fisicità più bassa,
dell'oscenità, del corpo con i suoi prodotti e rifiuti: quello del
Briccone, del Trickster. Il quale, più che l'Es o l'inconscio collettivo,
rappresenta in termini psicologici l'ombra, o meglio è “il simbolo
collettivo dell'ombra, una somma di tutte le qualità individuali
inferiori del carattere”. Le modalità dell'apparizione di questa
immagine nel caso di Ubu sono singolarmente affini a quelle
individuate in alcune feste o forme spettacolari antiche e medioevali e,
in tempi più prossimi ai nostri, nella Commedia dell'Arte tramite le
figure degli Zanni61.
C'è anche chi ha riso in quelle serate, reazione non insolita per la visione del
grottesco. Trovarsi di fronte ad un'analisi del mondo reale caricaturale, come
quella proposta da Jarry, può suscitare una reazione di ilarità. La risata è, infatti,
una reazione non indispensabile, ma spesso associata al mostruoso e al grottesco.
Come insegna Hugo: «il grottesco da una parte crea il deforme e l'orribile,
dall'altra il comico e il buffo»62. Il ruolo della comicità spesso è quello di
protezione nei confronti di ciò che fa paura, ma il riso che nasce dalla visione del
grottesco non è quasi mai uno sfogo liberatorio, e non è quasi mai di sollievo.
Solitamente il riso che deriva dall'osservazione del brutto stimola riflessioni,
insinua dubbi: acquista una complessità che deriva dalla consapevolezza di aver
percepito in maniera molto intensa un'immagine della realtà che non ci si
aspettava. È un riso spesso definito 'mostruoso'. Così il pubblico del “Théâtre de
l'Oeuvre”, come Jarry ha sicuramente previsto, ha potuto ridere di Ubu, salvo poi
ritrovarsi con l'amaro in bocca per la percezione del fatto che l'oggetto delle sue
risate, seppur con la sua inverosimile ed estremizzata violenza, era un doppio
ignobile di se stesso.
Jarry è dunque riuscito a realizzare lo scandalo che auspicava come
segnale di ritrovata vitalità del pubblico. Per ogni evenienza, si era anche
premunito di una claque per reagire in modo opposto alla maggioranza del
pubblico e creare due fazioni ben distinte63.
Lo scandalo causato da Jarry è stato creato giocando sui meccanismi
teatrali: «quel giorno, Alfred Jarry diede un colpo terribile alla concezione
imperante del teatro, servendosi dei mezzi del teatro stesso»64; «l'importanza di
61 Ivi, p. 66.
62 V. Hugo, op. cit., p. 51.
63 Cfr. H. Béhar, Jarry, le monstre, cit., p. 101
64 Cfr. H. Béhar, Il teatro dada, cit., p. 21.
18
19. “questa beffa oscura e sommaria”, secondo l'espressione di Copeau, veniva dal
fatto che si trattava pur sempre di teatro, di teatro vero e puro al cento per
cento»65. Queste riflessioni evidenziano la capacità di Ubu re di creare novità e di
mettere scompiglio fra le convenzioni e le aspettative: non a caso abbiamo già
notato che «il grottesco instaura il movimento all'interno di strutture rigide, vi
porta confusione e discordanza»66.
Influenze di Ubu re sulla storia del teatro
Se è vero che Jarry aveva previsto tutto, immaginando di urtare la
sensibilità dei simbolisti e di scuotere le coscienze del sonnolento pubblico
parigino, non è altrettanto chiaro cosa Jarry avesse in mente per il futuro del teatro
occidentale. L'intento distruttivo non lascia presagire nessun tentativo di
ricostruzione, anche perché la morte prematura dell'autore non gli concederà il
tempo per pensarci.
Quel che è certo è che l'influenza jarriana sarà evidente nelle esperienze
teatrali successive, in particolare in quelle avanguardistiche. I futuristi, seppur
aggiungendo un discorso politico alle loro performance, tenteranno di ricostruire
quella confusione fra palco e platea inaugurata da Jarry67, così come il movimento
Dada si ispirerà a lui per quanto riguarda le idee sulla distruzione dell'Arte
occidentale68. La provocazione Dada sarà, similmente a quella operata da Jarry,
fine a se stessa e mirata a creare un teatro-festa per scuotere il pubblico dalla
passività69.
Ma è soprattutto sulla figura di Antonin Artaud che Jarry eserciterà
l'influenza maggiore. Il teorico e drammaturgo marsigliese fonderà nel 1926
addirittura un teatro che porta il nome di Jarry, anche se l'esperienza sarà
fallimentare. Turbato dall'immobilità del teatro occidentale, Artaud manifesta un
sentimento di rifiuto e cerca per tutta la sua vita un'alternativa che riesca
veramente ad essere comunicativa e pregnante. Sbarazzandosi di tutte le
65 Alfred Simon, Dalla “merdre” di Ubu all'ombelico di Anouilh, «Hystrio» 2 (1988), p. 30.
66 A.M. Scaiola, op. cit., p. 18.
67 Cfr. Paolo Bosisio, Storia della regia teatrale in Italia, Mondadori Università, Milano, 2003, p.
38.
68 Cfr. ivi, p. 40.
69 Ibid.
19
20. convenzioni teatrali70 e in questo modo allontanandosi da Jarry, Artaud ha
un'illuminazione assistendo ad uno spettacolo di danze balinesi 71, e comincia ad
elaborare il concetto, che non porterà ad esperienze pratiche altrettanto innovative,
di un teatro che sia una festa adrenalinica, in cui corpo ed anima siano sottoposti
ad un rito crudele e scioccante, che non può lasciare indifferenti72.
Quasi dimenticato dopo gli anni del Surrealismo, Ubu re è raramente
rappresentato prima delle Seconda Guerra Mondiale e solo nel secondo Novecento
verrà recuperato. Una delle rappresentazioni che hanno riportato Ubu re alla
ntorietà è stata quella del 1957 diretta da Jean Vilar per il Théâtre National
Populaire; da lì si apre una nuova vita per l'opera di Jarry. In quegli anni le
versioni di Ubu re tentano di spostare l'ambientazione e riattualizzare il
messaggio. L'operazione, legittimata dallo stesso Jarry che ha ambientato la sua
opera «in Polonia, ovvero in nessun luogo»73, può essere efficace considerata
l'universalità del tema della doppia natura dell'uomo, costantemente tentato dalla
malvagità.
Teatro delle Albe
Una delle riproposizioni contemporanee di Ubu re più interessanti è quella
realizzata dal “Teatro delle Albe”, compagnia ravennate che ha messo in scena
una serie di spettacoli tratti da Ubu re74. Nel 1998 debutta I Polacchi, la prima
delle quattro versioni delle Albe, una riscrittura di Ubu re che ne riprende il titolo
originale, attribuito dai liceali di Rennes al loro dramma satirico. La scelta denota
la volontà di rifarsi alla genesi dell'opera, ovvero di sottolineare l'importanza della
creazione collettiva e adolescenziale di Ubu re, cercando di recuperare e mostrare
quel fervido spirito che un secolo prima fu alla base della drammaturgia e delle
maschere dei protagonisti.
70 Cfr. H. Béhar, Il teatro dada, cit., p. 170.
71 Cfr. Nicola Savarese, Il teatro eurasiano, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 80.
72 Antonin Artaud, «Teatro Alfred Jarry», in Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi,
Torino, 2000, p. 9.
73 Alfred Jarry, Essere e vivere. Guignol, Ubu re, scritti sul teatro, a cura di C. Rugafiori, trad. it.
di C. Rugafiori e H.J. Maxwell, Adelphi, Milano, 1969, p. 182.
74 Sono stati realizzati quattro spettacoli, dal 1998 al 2007.
20
21. Jarry non ha creato il mito di Ubu: esisteva già, circolava in diverse
versioni nel liceo di Rennes che Jarry frequentò dai quindici ai
diciotto anni. Aveva preso forma, come tutti i miti, nella tradizione
orale, nella montagna di caricature, barzellette, sberleffi, storie,
innalzata dagli studenti bretoni in onore di un professore di fisica, tal
Hébert. Fu il coro degli adolescenti che creò il fantoccio stupido e
assassino. [...] Fu nel riflettere su questo che ci rendemmo conto che
anche noi avevamo i nostri liceali di Rennes: la non-scuola75.
Localizzando la vicenda per ambientarla a Ravenna, poi a Diol Kadd (Senegal),
Chicago e Scampia, il “Teatro delle Albe” ha lavorato ogni volta con i ragazzi del
luogo, costretti a vivere situazioni di disagio, rendendoli protagonisti nel ruolo
dell'arrabbiato coro di Palotini (soldati di Ubu).
Assistendo agli spettacoli diretti da Marco Martinelli, regista della
compagnia, è evidente come la carica grottesca sia fortemente presente,
soprattutto nelle maschere dei protagonisti, che sono a colpo d'occhio riconoscibili
come contrastanti e dissonanti76.
Madre Ubu, che diventa una più romagnola Mêdar Ubu, è interpretata da
Ermanna Montanari, attrice simbolo della compagnia: porta un lungo vestito
bianco ed ogni particolare ha lo stesso colore, compresi accessori, parrucca e
incarnato77. Si muove con piccoli gesti stilizzati, ma al contempo la sua voce,
aiutata dal dialetto romagnolo, è terrena, viscerale. Ermanna Montanari è
un'attrice alla perenne ricerca di nuove frontiere per la sua espressione vocale, e
porta avanti da tempo un profondo studio sulla lingua, sull'uso del dialetto e sulla
vocalità.
Mandiaye N'Diaye, attore senegalese che da anni collabora con le Albe,
interpreta un Pêdar Ubu di colore, robusto come vuole la tradizione, che indossa
un pesante cappotto militare di color verde scuro, ha due grosse sopracciglia
dipinte della stessa tonalità e grandi labbra rosse. Padre Ubu è più grossolano nelle
movenze, più animalesco: si muove e si comporta come una iena e quando entra
75 Marco Martinelli, Ermanna Montanari, a cura di, Jarry 2000. Da Perhinderion a I Polacchi,
Ubulibri, Milano, 2000, p. 14. Non-scuola è il nome del gruppo dei giovani allievi del Teatro
delle Albe.
76 Gerardo Guccini (a cura di), «Le maschere dei “Polacchi” tra pre-esistenza e metamorfosi», in
Marco Martinelli, Ermanna Montanari (a cura di), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta.
1998-2008, Ubulibri, Milano, 2008, p. 40.
77 Claudia Pupillo, «La scena del sogno: il pellegrinaggio delle Albe verso Jarry», in AA.VV., Le
Albe alla prova di Jarry, «Culture teatrali», 2/3(2000), pp. 208.
21
22. in scena, per esempio, lo fa con il canto del gallo.
Sono due immagini opposte fisicamente, cromaticamente e anche dal
punto di vista della gestualità. Il confronto fra la levità di Madre Ubu e la
pesantezza di Padre Ubu genera dissonanza, fa scaturire un attrito. Inoltre, Pêdar e
Mêdar Ubu sono intrinsecamente grotteschi in quanto hanno entrambi una doppia
natura: lei è in bilico fra l'umano e l'astratto, ricercato attraverso minimi gesti,
movenze quasi meccaniche, vocalità mutevole e innaturale, lui si divide fra
l'umano e il bestiale, una delle commistioni più comuni fra gli esempi più citati di
creazioni mostruose.
Il gioco di contrasti è ricercato e fortemente sottolineato in questa
messinscena del “Teatro delle Albe” e conferisce alle figure create un'indubbia
comicità grottesca, che si affianca e moltiplica l'effetto del grottesco
intrinsecamente presente nel testo di Jarry.
Ulteriore elemento grottesco è la lingua utilizzata da Martinelli nella sua
riscrittura: all'italiano che è la lingua base, si mischiano il dialetto romagnolo e il
wolof, la lingua più parlata in Senegal. Era già evidente la fantasia della lingua
jarriana, lingua mostruosa per la ricchezza di forme ibride, storpiate o inventate.
Mantenendo questi aspetti, talvolta trasformandoli per renderli locali e più
comprensibili, e aggiungendo la mescolanza di idiomi, la lingua de I Polacchi
riesce ad essere ancora più mostruosa di quella originale e acquisisce anche un
pizzico di ironia in più grazie alle battute in romagnolo attribuite a Ubu-N'Diaye,
attore africano che parla perfettamente il dialetto ravennate78.
Le reazioni del pubblico agli spettacoli delle Albe dimostrano come le
caratteristiche grottesche del testo possano ancora essere scomode: soprattutto se
presentato in contesti elitari, come i teatri del circuito 'ufficiale' che ospitano un
pubblico abituato ad essere soddisfatto da spettacoli compiacenti e convenzionali,
Ubu re non perde la sua carica eversiva.
Nonostante Jarry abbia scritto Ubu re perché fosse sensazionale a fine
Ottocento, ha saputo, dunque, creare personaggi e vicende che la deformazione ha
reso archetipici e capaci di far scattare, attraverso minimi accorgimenti e
78 «Il dialetto romagnolo recitato alla perfezione da Mandiaye N'Diaye (non sono romagnoli gli
africani?) si inserisce nel gioco ironico-mostruoso dei contrari», C. Pupillo, «La scena del
sogno: il pellegrinaggio delle Albe verso Jarry», in AA.VV., Le Albe, cit., p. 208.
22
23. modifiche, anche i meccanismi di difesa del pubblico contemporaneo.
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Carlotti Edoardo Giovanni, La scena dell'Ombra: il mito dell'Ubu Roi, «Il castello
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Simon Alfred, Dalla “merdre” di Ubu all'ombelico di Anouilh, «Hystrio» 2
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Vegetti Anna, Deformazione e comicita: iconografia e teatro in Alfred Jarry,
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2004)
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