Nato ad Asti. Vita di un imprenditore - Capitoli 1-6
1. I
INFANZIA E VITA ASTIGIANA
Tutto ebbe inizio ad Asti nel pomeriggio del 3 agosto 1892,
quando mia madre mi mise al mondo, quinto di una nidiata di
otto figli sfornati, con precisione, a ritmo biennale.
Avendo così avuto la sorte di essere nato negli ultimi anni
dell’800, e il privilegio di essere arrivato fino agli ultimi del ’900,
libero ormai da responsabilità operative nelle mie aziende (nelle
quali sono peraltro ancora attivamente presente), ho sentito il de-
siderio di rievocare le vicende della mia vita.
Novantasette anni sono molti, ma possono sembrare addi-
rittura secoli se si pensa alle rivoluzioni che si sono avvicendate
con crescente accelerazione (la rivoluzione della macchina, dei
trasporti terrestri navali aerei, dell’elettricità, dell’informati-
ca, dell’elettronica, dell’esplorazione del cosmo...), alle profon-
de trasformazioni sociali, culturali, materiali e di costume, alle
grandi invenzioni (cinema, telefono, radio, televisione, auto-
mobile), alla conquista dell’energia atomica, alla vittoriosa lot-
ta contro malattie un tempo incurabili. Potenti, secolari impe-
ri sono crollati, dinastie millenarie si sono drammaticamente
estinte, imperi coloniali si sono smembrati per far posto a nuo-
ve unità nazionali.
Due guerre sanguinose, per parlare soltanto di quelle mon-
diali, hanno per la prima volta tragicamente coinvolto popola-
zioni di più continenti. Dittature sorte tra oceanici osanna sono
state abbattute in pochi anni nell’esecrazione generale.
CAP01.indd 11 31-08-2011 8:46:12
2. 12 NATO AD ASTI
A distanza di tanti anni vorrei però rievocare l’atmosfera
dell’epoca in cui sono nato attraverso fatti e minuti particolari
della vita di ogni giorno; un’epoca, peraltro, che continuo a ri-
tenere, a torto o a ragione, migliore di quella attuale.
Asti ebbe origini preromane, e divenne municipio romano
nel I secolo a.C., dopo la costruzione della via Fulvia, che si
snodava dalla pianura padana verso le Gallie. La posizione fa-
vorevole, in una larga valle circondata da fertili colline a sini-
stra del Tanaro consigliò l’autorità militare romana di piantar vi
l’hasta, simbolo della presa di possesso (donde, secondo alcu ni,
il nome della città, che in latino è appunto Hasta). Fu devastata
dalle invasioni gotiche; organizzatasi a Comune, fu di strutta
(1155) da Federico Barbarossa, prese poi parte alle lot te con-
tro l’Impero e conobbe periodi di prosperità: nel secolo XII
era il maggior comune del Piemonte, grazie all’attività agrico-
la e bancaria. Risalgono a questo periodo di floridezza econo-
mica la costruzione della Cattedrale, della collegiata di San Se-
condo e di molte casetorri, dimora della nobiltà. Asti è tuttora
una delle più importanti città del Piemonte, sia per le vestigia
del suo glorioso passato, sia come centro agricolo, industriale
e commerciale. Grazie anche alla facilità di comunica zioni col
Monferrato, costituisce un richiamo per tutti i com mercianti
del Piemonte. È molto nota per le sue fiere, specie quella di San
Secondo, ed è anche un nodo stradale e ferrovia rio di notevo-
le importanza.
Nel Medio Evo doveva offrire una vista molto caratteristi-
ca per la gran quantità di torri gentilizie, parecchie delle quali
sono ancora in piedi, come la torre Troyana detta dell’Orologio,
la torre dei Comentina, la torre ottagonale o dei Tre Re, la tor-
re dei Solari, quella dei Guttuari, quella dei Malabayla. Di gran-
de interesse è la chiesa di San Pietro in Consavia, presso l’uscita
della città, verso Alessandria, con l’antico battistero a pianta cir-
colare con cupola sostenuta da colonne a capitelli cubici, la cui
CAP01.indd 12 31-08-2011 8:46:12
3. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 13
costruzione risale alla fine del secolo XII. Volgendo a sinistra, e
salendo verso la parte nord della città, in posizione dominante e
ancora circondato da bastioni sorge il Castello, da dove si gode
una suggestiva vista sulla città digradante verso il Tanaro e sulle
colline che fanno da fondo a uno scenario di rara bellezza, nel
quale spicca la chiesetta romanica di Viattosto.
Venni al mondo in una via vicina alla Cattedrale, residuo del
centro storico del patriziato astigiano. La Cattedrale, notevo-
le costruzione medioevale, è senza dubbio il più insigne monu-
mento gotico del Piemonte. Ha la singolare caratteristica, che
la rende unica fra tutte le grandi cattedrali medioevali, di esse-
re interamente concepita e costruita con elementi di tufo e di
cotto, senza impiego di marmo. Il progettista seppe sfruttare la
povertà del materiale con particolare raffinatezza.
La storia della Cattedrale ebbe inizio nei primi secoli della
conversione al Cristianesimo, quando si era adattato un tem-
pio pagano per il culto cristiano. Fino ad allora la chiesa prin-
cipale di Asti era quella costituita dalla cripta di San Secon-
do. Il tempio già pagano crollò e venne sostituito da una chiesa
in stile romanico, a sua volta poi sostituita verso il 1300, nello
stesso posto, dall’attuale Duomo gotico. Nel corso dei secoli la
costruzione venne ampliata e arricchita, nell’interno, di numero-
se opere d’arte e fu costruito lo splendido portale laterale. Quan-
do nacqui, i vecchi, dignitosi edifici del quartiere erano abitati
da fa miglie nobili, da borghesi facoltosi, dignitari della chiesa e
alti funzionari dello Stato. In quegli anni Asti era una tranquilla
città di provincia (venne elevata a capoluogo dal regime fascista),
attaccata alle sue abitudini di immobilismo borghese e avvan-
taggiata dalla vicinanza e dalle facili comunicazioni con Torino.
La via principale della città, che gli anziani chiamavano an-
cora la Via Maestra, era ed è tuttora corso Vittorio Alfieri.
Vale la pena di ricostruirlo com’era ai miei tempi, quando
con la carrozzabile da Torino si giungeva in località «Torret-
CAP01.indd 13 31-08-2011 8:46:12
4. 14 NATO AD ASTI
ta», un crocevia per Chivasso e Ivrea, dove faceva mostra di
sé un grosso fabbricato che ospitava una fabbrica di «brichet»
o «fülminant» (fiammiferi). Nella località esiste, a ricordo, la
«via dei fiammiferai». La storia del fiammifero non credo sia
nota a tutti.
Nel 1817 il farmacista inglese J. Walker inventava uno stra no
oggetto costituito da uno stecchino di legno imbevuto di zolfo
e una capocchia composta di vari elementi chimici: il «fiammi-
fero» o «zolfanello».
Strofinando la capocchia su una superficie rugosa, non senza
difficoltà essa si accendeva. In breve tempo sorsero in molte
città italiane fabbriche di zolfanelli via via più sicuri e affidabi-
li nelle componenti della capocchia. Asti fu sede di alcune fab-
briche di zolfanelli, tra cui la più importante era quella dei fra-
telli Boschiero.
La storia dell’evoluzione del fiammifero inizia con l’inter-
vento dell’autorità tutoria, che per prevenire e limitare pericoli
di incendi causati da un uso improprio o da accensioni casuali,
stabilisce che soltanto determinati negozi siano autorizzati alla
vendita di non più di due o tre zolfanelli per volta e solo a per-
sone di sicura affidabilità e serietà. Lo stecchino di legno sarà
poi affiancato dallo stecchino di cotone e poi di carta imbevuta
di stearina, cioè il «cerino».
Ormai il fiammifero era diventato di uso così universale che
il governo non perdette l’occasione di ricavarne un apprezzabi-
le cespite di entrata: dal 1895 il fiammifero viene dapprima sot-
toposto a imposta di fabbricazione e poi nel 1916 lo Stato im-
pone il monopolio e riserva la vendita al pubblico alle rivendite
di monopolio.
L’industria del «brichet» aveva assunto una notevole impor-
tanza economica e occupazionale e il consumo era tale da non
subire contraccolpi quando apparvero sul mercato fiammiferi
«svedesi» e «Minerva». Subì invece un duro colpo dall’appari-
CAP01.indd 14 31-08-2011 8:46:12
5. CAP01.indd 15
INFANZIA E VITA ASTIGIANA
15
Corso Alfieri alla fine del secolo scorso. A sin. Palazzo Alfieri.
31-08-2011 8:46:13
6. CAP01.indd 16
16
NATO AD ASTI
Piazza Umberto I (ora Piazza Cairoli) con, a sin., Palazzo Alfieri e il cosiddetto platamp di Alfieri, piantato in
realtà nel 1849.
31-08-2011 8:46:14
7. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 17
Piazza Roma verso il 1880, con il Teatro Vecchio e la Torre Comentina.
CAP01.indd 17 31-08-2011 8:46:14
8. 18 NATO AD ASTI
zione dell’accendino a gas sul quale il fisco non esitò ad allun-
gare i suoi rapaci artigli.
Prima di entrare in città, partendo dalla Torretta si percor-
reva un maestoso viale di alberi secolari (che un brutto gior-
no vennero abbattuti) e si arrivava alla Porta di Santa Cateri-
na, aperta nella cinta dei bastioni (ne rimane la parte lungo
la circonvallazione). Poco più avanti, a ridosso della chiesa di
Santa Caterina, sorge, leggermente inclinata, la romana Torre
Rossa, con la cima romanica a reseghe di mattoni e arenaria.
Una dubbia tradizione popolare vuole che vi fosse imprigiona-
to il soldato romano Secondo, poi martirizzato e venerato come
santo patrono di Asti. Proseguendo per corso Alfieri e oltre-
passato a sinistra il decadente palazzo Michelerio (già mona-
stero e colle gio), si giungeva alla piazza Umberto I. Nei primi
anni del secolo la piazza, ricavata dalla demolizione di vecchie
casupole, fu dedicata appunto al re assassinato. Al centro sorge
il monu mento equestre a Umberto, donato (come la piazza stes-
sa) da Leonetto Ottolenghi. Il lato ovest della piazza è domi-
nato da Palazzo Alfieri, dove il poeta nacque e trascorse la gio-
ventù (una lapide murata sulla facciata lo ricorda). Il palazzo
venne restaurato e in gran parte rifatto dall’architetto Bene-
detto Al fieri, cugino del poeta, e attualmente è sede del Cen-
tro Nazionale di Studi Alfieriani e della Biblioteca Astense. Da
corso Al fieri si dipartono alcune vie, una delle quali porta alla
Cattedrale.
Ritornati in corso Alfieri, oltrepassati i settecenteschi palaz-
zi Ottolenghi e Mazzetti, si apre a destra piazza Roma, al cen-
tro della quale sorge il monumento dedicato all’Unità d’Italia;
anche quest’opera fu munifica donazione di Leonetto Otto-
lenghi. Il monumento sfrutta l’immagine dell’obelisco, che sor-
ge al centro di una larga base limitata tutt’intorno da una ba-
laustra, sulla quale sono appollaiati, a regolare distanza, un
cer to numero di leoni di razza pigmea. Una maestosa dama
CAP01.indd 18 31-08-2011 8:46:14
9. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 19
marmorea si volge verso l’obelisco, in atto di donare una coro-
na d’alloro. Un lato della piazza è occupato da una stravagan-
te riproduzione moderna di castello medioevale munito di tor-
rette e merlature.
Proseguendo, si imbocca, a destra, una breve via con porti-
ci che conduce a piazza San Secondo, dove, accanto al Palazzo
Municipale, sorge la stupenda chiesa dedicata al Patrono, che
possiede tesori di sculture, dipinti e affreschi di rara bellezza.
Fu degnamente restaurata e liberata da costruzioni che ne de-
turpavano un lato, e, più recentemente, da sovrastrutture e ma-
nomissioni interne.
A circa metà di corso Alfieri si apre la grandiosa piazza omo-
nima, a forma di trapezio, con al centro il monumento a Vitto-
rio Alfieri. Verso la metà dell’800 il lato minore della piazza,
continuazione di corso Alfieri, fu occupato dalla casa Gugliel-
minetti, denominata la «casa dei Portici Rossi» per il colore dei
suoi portici.
Luogo di ritrovo dell’alta borghesia, sotto quel porticato si
aprivano varie botteghe e il «Bar Americano» poi «Bar Fiore» e
ora «Bar dei Portici Rossi».
I due lati maggiori della piazza, sgomberati di vecchie e ca-
denti casupole, vennero occupati da due grandi palazzi, identi-
ci, con ampi portici: sul lato destro i portici Anfossi (1869) sui
quali si aprivano negozi, pasticcerie, e sul lato sinistro i portici
Pogliani (1856), dal nome del proprietario, l’avvocato Poglia ni,
facoltoso e colto astigiano. La piazza era chiusa, sul fondo, da
un singolare edificio tutto in cotto rosso con portici, chia mato
Alla. Era destinato a fiere, esposizioni, mercati di bestia me, di
vini o altri prodotti agricoli. Non c’erano botteghe né caffè e i
portici, scarsamente illuminati, non erano frequentati.
Unico frequentatore del deserto e semibuio porticato del-
1’Alla era il prof. Marenzana, titolare della cattedra di france-
se nel ginnasio Alfieri, che lo percorreva del tutto indisturbato
CAP01.indd 19 31-08-2011 8:46:15
10. 20 NATO AD ASTI
a passo cadenzato su e giù per un paio d’ore ogni pomerig-
gio. L’edificio dell’Alla, che così dignitosamente e esteticamen-
te chiudeva la piazza, non resistette alle balorde innovazioni
architettoniche delle giovani generazioni; durante il fascismo
1’Alla venne demolita e al suo posto sorse un edificio moderno,
che deturpa l’armonia ottocentesca della bella piazza.
La piazza Alfieri era il luogo di incontro degli agricoltori che
calavano dalle colline circostanti nei giorni di mercato, il ritro-
vo della gioventù, dei commercianti, degli ufficiali della guar-
nigione militare (il vanto della città). Lì passeggiavano ogni
giorno le mamme spolverando il selciato con le lunghe gonne e
mettendo in cauta mostra le figlie da marito.
Gli uomini portavano la «bombetta» sostituita nella stagione
estiva dalla «magiostrina» (cappello di paglia). Le scappellature
erano calibrate a seconda del prestigio degli omaggiati. Erano
tempi grassi per le fabbriche di copricapi. Ma poi la moda cam-
biò, tramontarono bombette e magiostrine e le fabbriche entra-
rono in crisi.
All’inizio dei portici Pogliani, all’angolo con corso Alfieri,
c’era la farmacia ora Alfieri, la più famosa della città; ai miei tempi
non c’erano molte farmacie che portassero il nome del proprieta-
rio. Ricordo particolarmente quella del dottor Onesti, in piazza
Statuto, che era chiamata comunemente «Farmacia di Onest el
lader»; accanto alla farmacia Alfieri c’era e c’è tuttora l’antico al-
bergo Reale (già «Aux armes du Roi»), il più importante della
città, che ospitava personalità della politica, dell’aristocrazia,
della finanza e dell’alta borghesia. Della famiglia dei proprieta-
ri dell’albergo, ai miei tempi, faceva parte un’avvenente giovinetta
che spiccava per le sue doti fisiche e attirava le attenzioni soprat-
tutto dei giovani e brillanti ufficiali della guarnigione.
All’altra estremità dei portici Pogliani, verso i giardini pub-
blici, sul principio del ’900 venne installata la prima sala cine-
matografica stabile, il cinematografo Alfieri.
CAP01.indd 20 31-08-2011 8:46:15
11. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 21
Le vie erano illuminate da fiochi lampioni a gas, accesi ma-
nualmente al tramonto e spenti all’alba. Nelle abitazioni l’illu-
minazione era fornita da gas, petrolio e candele, mentre il ri-
scaldamento era limitato alla cucina e al soggiorno, che in casa
nostra fungeva da stanza da pranzo e da lavoro. Pressoché sco-
nosciute le stanze da bagno; pochissime infatti erano le famiglie
che avevano il bagno in casa, dato che non esistevano gli scal-
dabagni. Per lavarsi si ricorreva a tinozze o semicupi, rinviando
all’apertura estiva dei bagni pubblici il bagno completo.
Pettegolezzi e storielle amene fiorivano intorno a personag-
gi locali. Ricordo, ad esempio, Monsù Tobia, una figura assai
ca ratteristica della Comunità Israelitica, che godeva di larga
po polarità per il carattere gioviale e l’andatura dondolante,
dovuta alla particolare conformazione della pianta dei piedi.
Era titolare di un negozio di biancheria e abbigliamento, che
vivacchiava grazie all’appoggio finanziario dei cognati Levi,
banchieri. Altra figura singolare della Comunità era Raffaele
Luzzati, che per esigenze liturgiche ricopiava quotidianamen-
te preghiere, riempiendo fogli o interi libri di caratteri ebraici.
Conviveva con la moglie e molti canarini, educati e addestra-
ti, in un affetto profondo e ricambiato. I coniugi conversavano
con i canarini che rispondevano cinguettando romanze d’amo-
re e svolazzando tutt’intorno.
Sulla porta del suo negozietto di corso Alfieri si vedeva sem-
pre l’orologiaio Giacomo Treves, la cui attività principale con-
sisteva nello sfornare epigrammi satirici che correvano sulle
bocche dei divertiti astigiani (quando il figlio Mario, da anni
fuoricorso di medicina, si laureò, il padre ne diede l’annuncio
con queste parole: «Mario si laureò: si salvi chi può! »).
Molto popolare e oggetto di divertimento generale era il
Guerriero, cui la natura aveva negato ogni decente attributo fi-
sico: piccolo, ridicolo, con stravaganti pose che giustificavano il
nomignolo affibbiatogli, girava in pubblico con gambali e cin-
CAP01.indd 21 31-08-2011 8:46:15
12. 22 NATO AD ASTI
turoni alla Far West. Un bel giorno si sparse la notizia che si
era sposato con una matura zitella di nobile casato e di straor-
dinaria bruttezza, perdipiù munita di uno scheletro esagerata-
mente lungo rispetto a quello esageratamente corto del marito.
I funzionari in pensione e gli anziani commercianti si radu-
navano di pomeriggio nei locali accoglienti della birreria Metz-
ger, che nella buona stagione offriva un ombroso dehors in una
via appartata. In quell’epoca non era ancora nata l’industria
del ghiaccio artificiale e la Metzger si era attrezzata per la ven-
dita di ghiaccio naturale al minuto. Quando nei rigidi inverni
astigiani il Tanaro si copriva di lastroni di ghiaccio, la Metzger
mandava squadre di operai che ne ricavavano grossi blocchi e li
immagazzinavano in una galleria sotterranea.
All’arrivo della stagione calda si iniziava la vendita al minu-
to; con mezza lira si comprava un grosso blocco da infilare nel-
la ghiacciaia di cucina, consentendo la conservazione dei cibi.
Veniva anche usato a pezzetti per raffreddare le bevande. Il si-
stema funzionava bene e la popolazione si rinfrescava l’ugola a
buon mercato, senza preoccuparsi troppo dei miliardi di micro-
bi che ingeriva col ghiaccio. Allora non si andava troppo per il
sottile e non ci si chiedeva se l’acqua del Tanaro fosse chimica-
mente pura o impura.
Vicino al negozio di Monsù Tobia c’era un negozietto di gio-
ielleria, molto modesto, che serviva una clientela contadina la
quale solo dopo defatiganti trattative trovava oggetti confor-
mi al suo gusto e alle sue possibilità economiche. Gestito da
Mamma Almansi, era il punto di ritrovo degli amici e dei com-
pagni di scuola del figlio Emanuele, il cui padre era improvvisa-
mente impazzito lasciando la moglie e i due figli nella più nera
indigenza. I correligionari fratelli Levi, con un gesto di solida-
rietà non raro tra i membri della Comunità Israelitica, le aveva-
no aperto il negozio. Mamma Almansi aveva tenuto nascosta ai
figli, un maschio e una femmina, la dolorosa realtà familiare.
CAP01.indd 22 31-08-2011 8:46:15
13. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 23
Pubblicità della Birreria Metzger e di altri locali
CAP01.indd 23 31-08-2011 8:46:15
14. 24 NATO AD ASTI
Emanuele aveva qualche anno meno di me ed era un ragazzo
molto intelligente, particolarmente versato in filosofia. Quan-
do, qualche anno dopo, venne a sapere del dramma del padre
che credeva morto, ne rimase sconvolto. La nostra amicizia
continuò e si consolidò negli anni universitari, nonostante io
avessi scelto ingegneria e Emanuele lettere e filosofia; soltanto
la guerra allentò il nostro rapporto e quasi lo interruppe. Ema-
nuele sposò una contadina semianalfabeta, nella vana speran-
za di salvaguardare la discendenza mediante un sano e robusto
sangue contadino. Durante le persecuzioni razziali, Emanuele
si rifugiò in Svizzera come me e un giorno del 1944 ci vedem-
mo di sfuggita a Lucerna.
Più tardi il suo unico figlio, normale fino ai vent’anni, fu d’im-
provviso colpito da una grave forma di schizofrenia. Ema nuele,
disperato, pensò di ucciderlo e di togliersi la vita. Fallì nel tentati-
vo e il figlio fu ricoverato in manicomio.
La Comunità Israelitica di Asti, prestigiosa fino all’inizio
del secolo per la qualità e quantità dei membri, era andata de-
clinando a causa dell’emigrazione verso Torino, sempre più vi-
cina per le comode e rapide comunicazioni ferroviarie. Nei pri-
mi anni del ’900 erano rimasti all’incirca duecento membri,
molti dei quali occupavano posti di rilievo nella vita economica
e culturale della città. In primo piano il conte Leonetto Otto-
lenghi, i banchieri De Benedetti e Levi, i fratelli Artom, il ban-
chiere Treves, e inoltre docenti, medici, proprietari terrieri.
Leonetto Ottolenghi, i cui antenati discesero in Piemonte
da province meridionali germaniche, verosimilmente attratti
dalla maggiore tolleranza di cui qui godevano gli ebrei, fu sen-
za dubbio la più eminente e illuminata personalità della vita
culturale e sociale di Asti a cavallo dei due secoli. Egli dotò
la città di belle piazze e monumenti, fu sempre sollecito nel
prov vedere alle necessità economiche delle istituzioni benefi-
che, promosse grandi iniziative a favore dell’agricoltura, finan-
CAP01.indd 24 31-08-2011 8:46:15
15. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 25
ziò la pubblicazione, in traduzione italiana, degli antichi statuti
e regolamenti comunali, donò ai musei cittadini la sua notevo-
le collezione egittologica. Per queste e numerose altre opere di
mecenatismo, e per la sua devozione monarchica, fu insigni-
to del titolo di conte. Ricordo ancora (ero un ragazzo dodicen-
ne) le eccezionali manifestazioni di cordoglio nel giorno dei
suoi funerali: scuole, negozi, esercizi chiusi in segno di lutto, i
lampioni dell’illuminazione pubblica coperti da veli abbruna-
ti. Personalità politiche e della cultura, principi di casa Savoia,
rabbini, gente del popolo seguivano in lunghissimo corteo il fe-
retro di colui che è tuttora considerato il più grande benefatto-
re della città.
Al conte Leonetto e a suo fratello Jacob Sanson si deve la si-
stemazione e la valorizzazione artistica del Tempio Israelitico che,
mezzo affogato in un cumulo di cadenti casupole, venne arricchi-
to di una facciata elegante e sobria, adorna di quattro colonne io-
niche. Sull’architrave il motto: «I1 Signore è vicino a chiunque
l’invoca». La sinagoga, sita in via Ottolenghi, subì gravi danni in
conseguenza delle vicende politiche e belliche, ma ha riacquistato
dignità grazie all’appassionata e competente opera dei pochi ebrei
rimasti (Donato, Enrica, Elda Jona, Donato Montalcini, Laura Vo-
ghera Luzzatto) e di mio nipote Paolo1, che riuscirono a raccoglie-
re cimeli preziosi e di importanza storica dando vita a un piccolo
museo. Nei locali attigui hanno trovato ospitalità l’Istituto per la
Storia della Resistenza e una mostra permanente della Resistenza
nella provincia.
Al sabato e nelle solennità religiose tutti si ritrovavano al
Tempio (che allora era chiamato «Scola») dove, sulle spalle il
liturgico scialle bianco (il taled) e in testa il cappello o lo zuc-
1
Esprimo qui la più viva riconoscenza a mio nipote Paolo De Benedetti
che mi è stato di prezioso aiuto nella rievocazione di ricordi di famiglia e della
vita astigiana.
CAP01.indd 25 31-08-2011 8:46:15
16. 26 NATO AD ASTI
La sinagoga di Asti: facciata (1889).
CAP01.indd 26 31-08-2011 8:46:16
17. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 27
Interno della sinagoga. Sul fondo, la porta dorata dell’Arca Santa (1809-1816).
CAP01.indd 27 31-08-2011 8:46:16
18. 28 NATO AD ASTI
chetto, tra un salmo e l’altro ci si scambiavano notizie sugli af-
fari in corso e sui progetti matrimoniali. L’emigrazione dimi nuì
le presenze alle cerimonie religiose al punto che, conforme-
mente alla legge sulle Comunità Israelitiche, quella di Asti do-
vette fondersi con quella di Alessandria e, più recentemente,
con quella di Torino.
Proprietari della Banca Anfossi erano due figure di spicco
ad Asti: Berruti e Treves. Berruti era noto come generoso bene-
fattore: sosteneva con adeguati sussidi l’Istituto delle Rosine
(che accoglieva le orfanelle) e finanziava il ricovero dei «Poveri
Vecchi»; sempre a lui si deve lo stabilimento dei bagni pubbli-
ci, molto frequentato nei mesi caldi.
Berruti abitava nella zona chiamata fino a ieri «Gli sbocchi
a nord», dove si era costruita una lussuosa e pretenziosa villa
(una commistione di stile medioevale e rinascimentale), cono-
sciuta come la «Villa dei diavoli», per via dei fregi e delle deco-
razioni sulla facciata, gremita di sgambettanti diavoletti. Por-
tava vistosi gilet sui quali dondolava, come usava allora, una
massiccia catena d’oro che assicurava il non meno massiccio
orologio nel taschino. Al dito aveva un anello con incastona-
to un grossissimo solitaire; d’inverno si avvolgeva in un pesante
mantello, simile a quello degli ufficiali dell’esercito.
Rincasando in una sera di nebbia e di gelo per strade deser-
te e fiocamente illuminate, fu aggredito da alcuni banditi che lo
immobilizzarono e lo spogliarono di tutto: via l’anello, la cate-
na, l’orologio, il portafogli, il mantello. L’episodio ebbe in cit tà
un’enorme risonanza.
Il socio, Salvatore Treves, anche lui con una massiccia cate-
na d’oro dondolante su una pancia di tutto rispetto, alla morte
di Berruti ne divenne l’erede universale.
Alla domenica e alle feste comandate gli ufficiali, i profes-
sionisti e i commercianti con le loro famiglie si ritrovavano nel-
la chiesa di San Secondo per assistere alla messa delle 11, al
CAP01.indd 28 31-08-2011 8:46:16
19. CAP01.indd 29
INFANZIA E VITA ASTIGIANA
29
Il municipio e la collegiata di S. Secondo alla fine del secolo scorso.
31-08-2011 8:46:17
20. 30 NATO AD ASTI
cui termine, in ordinato e composto corteo, sfilavano per corso
Al fieri. I pettegolezzi correvano di bocca in bocca, allo stesso
modo delle monete false: chi le riceve, anche se è persona per
bene, le rimette subito in circolazione.
Con la frequenza determinata dalla mortalità cittadina, cor-
so Alfieri era percorso dalle processioni funebri. Il carro era ti-
rato da una o più coppie di cavalli (a seconda del censo e del-
l’entità dei beni lasciati dal defunto), coperti di nere gualdrappe
a ricami d’oro. In testa al corteo un chierichetto con la croce
levata in alto, seguito da una o più file di orfanelle in divisa,
se guite a loro volta da un sacerdote in paramenti. Mentre si
levava il canto del Miserere, risuonavano nell’aria mesti rintoc-
chi. All’ingresso del cimitero, il cappellano don Michele Gallo,
un colto e illuminato umanista, impartiva l’ultima benedizione
al la salma e assisteva alla tumulazione.
Il cimitero aveva l’aspetto e il fascino dei vecchi cimiteri.
Non vi proliferavano le attuali pretenziose cappelle, spesso di
gusto discutibile; le rare, monumentali tombe di famiglia erano
perlopiù ispirate all’arte funeraria di tutte le epoche. Numero-
se invece le tombe con la riproduzione marmorea del busto del
defunto, posto sulla sommità di una colonna, talora a fianco di
colonne spezzate a metà, a ricordo di una persona prematura-
mente scomparsa.
Se i volti marmorei effondevano bontà e amore per il prossi-
mo, le fotografie dei defunti mostravano una sorprendente uni-
formità di pose e di espressioni, quasi fossero tutti mancati alla
stessa età, con scarsa corrispondenza con i dati anagrafici scol-
piti sulle lapidi. Leggendole, si aveva l’impressione che la parte
migliore dell’umanità fosse sottoterra e che per essere lo dati
fosse indispensabile morire.
Il mercoledì era giorno di mercato. Dalle colline e dai villag-
gi dei dintorni (collegati ad Asti da corriere a cavalli e, solo al-
cuni, da traballanti tram a vapore) scendevano i contadini con
CAP01.indd 30 31-08-2011 8:46:17
21. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 31
Ingresso del cimitero comunale, istituito nel 1840.
CAP01.indd 31 31-08-2011 8:46:18
22. 32 NATO AD ASTI
Vecchie tombe di famiglia nel cimitero comunale
CAP01.indd 32 31-08-2011 8:46:18
23. CAP01.indd 33
INFANZIA E VITA ASTIGIANA
33
Il cimitero ebraico, sorto nel 1810 in sostituzione di uno precedente situato presso l’attuale via d’Azeglio.
31-08-2011 8:46:19
24. 34 NATO AD ASTI
i prodotti delle loro terre, con bovini, maiali, polli, per fare
acquisti e vendite. Era anche l’occasione per trattare compra-
vendite di terreni e combinare matrimoni. La moneta di scam-
bio era di regola il marengo d’oro, che corrispondeva no-
minalmente a venti lire, ma il cui effettivo valore era di poco
inferiore a quello della cartamoneta della Banca d’Italia. A
mercato concluso, chi aveva incassato marenghi passava dalla
banca dei miei zii per cambiarli in cartamoneta, lucrando sul-
l’aggio.
Il monotono scorrere della vita cittadina era talora turba-
to da clamorosi avvenimenti di rilievo nazionale. La notizia,
ad esempio, dell’assassinio di Umberto I suscitò un’ondata di
costernazione, esecrazione e dolore in una popolazione, come
quella astigiana, profondamente attaccata alla monarchia (an-
che se esistevano i fedeli del potere papale che non avevano
perdonato a Casa Savoia Porta Pia e la «prigionia» del Papa in
Vaticano). Nel 1902 grande impressione destò il crollo del cam-
panile di San Marco a Venezia: ricordo ancora le fotografie che
mostravano l’imponente mucchio di macerie. Reazioni contra-
stanti, ma vivaci, ebbero anche ad Asti alcuni celebri ca si giudi-
ziari che appassionarono per anni l’opinione pubblica. Ricordo
il caso Murri, quello di Maria Tarnowska, della contessa Tiepo-
lo, l’«affare» Nasi, il caso Olivo, che divisero la popolazione tra
innocentisti e colpevolisti: gli schieramenti contrapponevano,
nella sostanza, due diverse mentalità.
Il processo Murri, celebratosi nel 1905, aveva visto sul ban-
co degli imputati due figli del grande clinico, Linda e Tullio
Murri. Linda era accusata di essere stata la mandante dell’as-
sassinio del proprio marito, il conte Bonmartini, assassinio
compiuto da Tullio con la complicità dell’amante di Linda, e di
altri imputati. Tullio fu condannato a 30 anni di carcere, Linda
a 15, commutati quasi subito negli arresti domiciliari (e anche
questo fatto divise l’opinione pubblica).
CAP01.indd 34 31-08-2011 8:46:19
25. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 35
Il processo ai russi, iniziato nel 1912 alla Corte d’Assise di
Venezia, fu seguito da tutto il paese, per via delle vicende emo-
zionanti dei suoi protagonisti, coinvolti in un dramma della si-
mulazione, dell’amore, del calcolo, del delitto.
Quattro gli imputati, tre dei quali appartenenti a nobili fa-
miglie russe, mentre il quarto era un bieco avvocato, senza
scrupoli di fronte a comportamenti delittuosi. Ma il personag-
gio principale era la contessa Maria Tarnowska, donna fatale,
più volte adultera, madre di due bambine, divorziata e poi fi-
danzata col conte Kamarowski, pazzamente innamorato di lei.
Per l’intervento del disonesto avvocato, Kamarowski era stato
indotto a stipulare un’assicurazione sulla vita di mezzo milione
di rubli, pagabile anche in caso di morte violenta. A procurar-
gliela ci pensò un gelosissimo spasimante della Tarnowska che,
ignaro del complotto e in preda alla gelosia, assassinò il conte
che nel frattempo l’aveva sposata.
Due anni dopo, giunse in Assise il «caso Tiepolo». L’8 no-
vembre 1913 Maria Tiepolo, moglie del capitano dei bersa glieri
Paolo Ferruccio Oggioni, uccideva con la rivoltella del mari-
to l’attendente Quintilio Polimanti. Alla polizia la contessa (a
proposito della quale i giornali si affannarono a discutere se di-
scendesse dal famoso pittore o dalla famiglia dei dogi) dichia-
rò di avere ucciso senza premeditazione, per di fendersi dal Po-
limanti che attentava al suo onore. Il fatto de stò grandissimo
scalpore: seguì una lunga e minuziosa istrut toria, dalla quale
emerse che tra il giovane bersagliere e la contessa erano avve-
nuti fatti comprovanti una intimità che andava ben oltre i rap-
porti fra attendente e signora. Il processo alla Corte d’Assise di
Oneglia ebbe inizio il 22 aprile 1914: difendeva la contessa un
giovane ma già affermato av vocato, Orazio Raimondo. La sua
lunga arringa commosse il folto pubblico, la giuria e i magistra-
ti, suscitando lunghi applausi: la contessa venne assolta per le-
CAP01.indd 35 31-08-2011 8:46:19
26. 36 NATO AD ASTI
gittima difesa (la sentenza fu accolta in tutta Italia più con di-
sappunto che con consenso).
L’«affare» Nasi fu invece un caso politico. Vincenzo Nasi
era un prestigioso uomo politico liberale, destinato a un gran-
de avvenire. Come Ministro dell’Educazione incappò in una
di savventura giudiziaria, fu deferito all’Alta Corte di Giusti-
zia per peculato e condannato. Gli innocentisti, che negavano
o minimizzavano la sostanza delle accuse, videro nella condan-
na le conseguenze di una persecuzione politica.
Il caso Olivo è vivo nei miei ricordi soprattutto per la sua
singolarità. Alberto Olivo, un modesto impiegato, aveva spo-
sato una strega travestita da casalinga. Dopo averne sopporta-
to per anni i maltrattamenti, un giorno Olivo perse la testa. Si
ribellò e ammazzò la moglie. Ebbe quindi il problema di come
disfarsi del corpo. Decise di farlo a pezzi e di stiparli in due
capaci valigie. Informati i vicini che andava a raggiungere la
moglie presso i parenti di lei, partì per Genova, noleggiò una
barca, affondò al largo le valigie e sparì. Scoperto, commosse
i giu rati bergamaschi col racconto delle inaudite sofferenze e
umi liazioni subite. Fu assolto. Uccidere e fare a pezzi una mo-
glie megera non fu giudicato un atto criminoso, ma di legitti-
ma di fesa.
L’incredibile sentenza di assoluzione fu salutata dagli ap-
plausi del pubblico. Così la commentò il settimanale satirico
«Il Guerin Meschino» del 4 dicembre 1904: «La cittadinanza
bergamasca ha dato prova di alto e civile sentire, ma speriamo
che non si fermi all’applauso. Farà assai bene se intitolerà con il
nome di Olivo una delle sue strade principali, o se gli farà eri-
gere un monumento in qualche piazza... ».
Il divertente articolo proseguiva così: «E giustificati appaiono
i mormorii di disapprovazione diretti dal pubblico alle sorelle
dell’uccisa. Ma come? Un uomo, un disgraziato è in pri gione
per colpa di una loro sorella che ha avuto la perversità raffina-
CAP01.indd 36 31-08-2011 8:46:19
27. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 37
ta di lasciarsi uccidere e poi anche di lasciarsi tagliare a pez-
zi e costoro, invece di chiudersi in un riserbo pieno di rispetto,
vanno ad accusare il povero marito, gli rinfacciano l’innocen-
tissimo omicidio, mentre egli l’amava, le procurava continua-
mente degli svaghi a tal punto che quando era morta e qualun-
que altro uomo se ne sarebbe disinteressato, egli l’ha condotta a
Genova, comodamente in una valigia per farle vedere il mare ».
L’arrivo nel 1906 ad Asti del Circo di Buffalo Bill, prean-
nunciato da una vistosa campagna pubblicitaria, fu un avveni-
mento che interessò tutto il circondario. La carovana consiste-
va in un numero incredibile di carri, attrezzature, gabbie con
animali esotici mai visti, domatori, funamboli, clown. Occupa-
rono tutta la grande Piazza d’Armi e per una settimana Asti
visse soltanto per lo smisurato circo.
Ogni anno avevano luogo il mercato dei bozzoli, i festeggia-
menti per il Santo Patrono e il mercato dell’uva. L’allevamen-
to del baco da seta costituiva una buona risorsa per gli agricol-
tori perché lì occupava in un periodo dell’anno in cui la terra
non richiedeva cure particolari. All’inizio della pri mavera la
piazza del mercato era letteralmente invasa da cestoni ripieni
di bozzoli dalle delicate sfumature di giallo. Le filande sparse
nella regione mandavano i loro agenti per gli acquisti; la filatu-
ra della seta dei bozzoli assicurava lavoro, sia pure sta gionale,
a molte ragazze.
Prima che ci fossero i filatoi, la filatura della seta veniva ef-
fettuata direttamente in casa, poi arrivarono le «filande», par-
ticolarmente numerose in Piemonte e spesso create da ebrei (di
qui il cognome ebraico Bachi). Nel 1700 una filanda operava a
Cherasco ed era gestita da Abraham Debenedetti, forse un no-
stro antenato, e dava lavoro a 150 ragazze.
Quando alcuni cervelli fini inventarono la seta artificiale,
l’allevamento del baco cessò, le filande chiusero e le ragazze ri-
masero senza lavoro.
CAP01.indd 37 31-08-2011 8:46:19
28. 38 NATO AD ASTI
I festeggiamenti per la ricorrenza del Patrono, San Secon-
do, incominciavano ai primi di maggio e duravano una settima-
na. Vi prendevano parte, oltre alla cittadinanza, molti abitan-
ti dei paesi e villaggi del Piemonte. I programmi prevedevano
corse ippiche, banchetti, balli, spettacoli pirotecnici. Arrivava-
no inoltre in città, invadendo piazza Alfieri e le vie adiacenti, le
giostre, il tiro a segno, mostruosi esemplari di donne cannone,
sollevatori di pesi, ciarlatani, guaritori, e innumerevoli banca-
relle di specialità: torroni d’Alba, dolciumi, frittelle.
Dato che mancava ancora un servizio regolare di distribu-
zione dell’elettricità, i baracconi più attrezzati erano provvisti
di un’autonoma centrale termoelettrica che produceva un’illu-
minazione a quei tempi sbalorditiva. Ero particolarmente at-
tratto da quel complesso termoelettrico; seguivo incantato il
viavai incessante delle bielle, il regolatore centrifugo, il quadro
di manovra con i manometri di controllo.
Ero anche affascinato da un maestoso organo elettrico, sfar-
zosamente decorato e pieno di luci, che diffondeva armonie che
mi incantavano. Un certo numero di automi si muovevano se-
guendo la musica: ballerine, marionette, direttore d’orche stra
con la bacchetta ecc.
Evidentemente fin da allora sentivo l’inclinazione per la
meccanica e la suggestione della musica. Non saprei in effetti
dire quando fu che scoprii in me la vocazione a diventare l’in-
gegnere e imprenditore della famiglia: ho la sensazione di aver-
la avuta da sempre.
Non a caso i giocattoli che attiravano in modo esclusivo la
mia attenzione, e che erano oggetto di desideri perlopiù insod-
disfatti, erano quelli meccanici, che per funzionare richiedeva-
no abilità e ingegnosità. Ricordo ancora il giorno in cui venni
in possesso di un modello miniaturizzato di motrice a vapore
che funzionava come quelle vere, con tanto di volano che met-
teva in movimento modelli di macchine utensili.
CAP01.indd 38 31-08-2011 8:46:19
29. CAP01.indd 39
INFANZIA E VITA ASTIGIANA
Piazza Alfieri con l’esposizione enologica del 1898.
39
Nei tondi, a sinistra il sindaco Garbiglia, a destra Leonetto Ottolenghi.
31-08-2011 8:46:20
30. 40 NATO AD ASTI
Avevo disposto su una plancia di legno la motrice e un siste-
ma di trasmissioni che azionavano piccoli torni, fresatrici, pial-
le, trapani. Era un modello in miniatura di un’officina mecca-
nica in piena efficienza.
Avrò avuto sette o otto anni quando feci la mia prima espe-
rienza di imprenditore. Dalla nostra casa di campagna, nei mesi
estivi, i miei fratelli maggiori Attilio ed Ettore scendevano nel
pomeriggio in città, in bicicletta, per andare a trovare gli amici,
e facevano ritorno verso sera. Dal fondo valle segnalava no il
loro arrivo: io accorrevo e, spingendo le biciclette su per l’erto
sentiero, le portavo in villa, dietro compenso di dieci centesi-
mi per bicicletta. Ma la mia capacità imprenditoriale non si fer-
mava a questo: nel prezzo era compresa la pulizia dal la polvere
e dal fango, e io avevo subappaltato tale incombenza a un mio
fratello minore, dietro compenso di tre centesimi. Così rimane-
vano per me sette centesimi, che alla fine dell’estate arrivavano
a costituire una somma di circa dieci lire, grazie alle quali mi
sentivo un capitalista.
Verso i dieci anni mi appassionai alla fotografia cui mi dedi-
cai con gran diletto per tutta la vita, passando dalla macchi-
na fotografica alla cinepresa, muta e sonora. Iniziai come aiuto
del mio fratello primogenito Attilio, di sette anni più anziano
di me e già esperto in riprese, stampe e ingrandimenti. In que-
gli anni infatti bisognava munirsi di camera oscura e provvede-
re da soli a tutte le operazioni. Mi ero fatto regalare una mac-
china fotografica, primitiva ed economica (costava L. 1,75), con
cui mi divertivo a fissare scenette familiari e campagnole.
Mio fratello Attilio divenne un avvocato piuttosto noto, ma
mantenne sempre l’amore per la fotografia in cui si distinse
esponendo in molte mostre, anche all’estero, e riportando lu-
singhieri riconoscimenti. Molte sue foto sono andate perdute a
causa del bombardamento che distrusse completamente, nella
seconda guerra mondiale, la mia casa, ma alcune si sono salva-
CAP01.indd 40 31-08-2011 8:46:20
31. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 41
te. Quella, ad esempio, dei nostri genitori qui riprodotta, può
dare un’idea delle sue capacità.
Quando ebbero inizio i primi rudimentali tentativi di tra-
smissioni radiofoniche, con apparecchi riceventi «a galena»,
Attilio costruì una ricevente e ci chiamava a raccolta per farci
sentire le trasmissioni. Era anche un numismatico; alla sua
morte mi lasciò una collezione di centinaia di pezzi, raccolti
con competenza e perizia.
Questa collezione destò in me dapprima curiosità e poi vivo
interesse: la esaminai, mi documentai consultando pubblicazioni
sull’argomento, e alla fine presi la decisione di proseguire la rac-
colta di mio fratello. In questo mi fu di eccezionale aiuto l’amico
Luigi Sachero, senza dubbio uno dei numismatici italiani di più
vasta cultura. Via via che mi addentravo nella ricerca di pezzi
nuovi o rari, mi rendevo conto che non si trattava di un semplice
passatempo ma di un vero studio di storia, condotto attraverso la
testimonianza di questi meravigliosi piccoli monumenti.
Vastissima è la letteratura sulle monete, sulla loro coniazio-
ne, la loro storia. Il primo libro illustrato risale al 1517, autore
Fulvio Andrea, e nel 1700 apparvero molti repertori sistematici
delle monete di determinati Stati.
Parallelamente all’intensificarsi del mio interesse per la nu-
mismatica acquistava sempre più importanza l’esame di una
moneta dal punto di vista della sua autenticità.
Esiste una ricca bibliografia anche su chi si guadagnò fama e
rispetto perfezionandosi nella falsificazione; ad esempio Gigot,
Becher, Caprava ecc. Pare che già Giulio Cesare avesse coniato
monete false per ragioni politiche o di necessità.
Comunque, non sono rari i casi in cui le monete furono falsi-
ficate dagli stessi Stati sovrani per motivi finanziari. La ripro-
duzione di monete che hanno perso il loro valore commerciale
è ritenuta lecita, a meno che sia chiaramente dimostrato l’in-
tento di venderle a scopi collezionistici.
CAP01.indd 41 31-08-2011 8:46:20
32. 42 NATO AD ASTI
Tornando alla festa del Patrono, una delle attrazioni più pre-
stigiose era la giostra Peter, con cavalli galoppanti sulle monta-
gne russe. Era la giostra dell’élite delle ragazze, che vi davano
appuntamento agli ufficiali della guarnigione e ai giovani della
borghesia facoltosa. Tra getti di coriandoli, di stelle filanti e
anche di mazzolini di viole le signorinelle distribuiva no equa-
mente sguardi e sorrisi pieni di seduzione, mettendo in mostra
le gambe, in una misura attentamente controllata a ter ra dalle
mamme.
C’era anche la giostra di serie B per i bambini, trainata da
un melanconico ronzino; l’organetto era azionato a mano da
volonterosi ragazzetti, ricompensati con un certo numero di
giri gratuiti.
Dopo una settimana di baraonda, giostra, baracconi e ban-
carelle ripartivano, con destinazione il paese e la festa di un al-
tro patrono.
All’inizio del secolo fece la comparsa il cinematografo. In
uno spazioso e capace tendone, simile a quello del circo eque-
stre, era piazzato un grande schermo; ai suoi piedi un pianofor-
te, le cui note accompagnavano le sequenze dei film. Gli spet-
tatori sedevano su scomode panchette.
I film erano generalmente farse di notevole ingenuità. Inco-
minciava ad affermarsi lo spassoso «Cretinetti», che tanto suc-
cesso ebbe in seguito. Il pubblico si divertiva molto a vedere
(come nell’Innaffiatore innaffiato, 1895, di L.-J. Lumière) il mal-
destro giardiniere che dirigeva il potente getto d’acqua ver so
un cespuglio dietro il quale un’ignara coppia di innamorati si
scambiava effusioni. C’era poi il barbuto signore appena uscito
da una seduta dalla chiromante che gli ha predetto l’arrivo in
giornata di una lettera molto fastidiosa: mentre si avvia a casa
preoccupato, passa davanti a un negozio con un’insegna a gran-
di lettere, e proprio in quel momento una lettera si stacca e gli
cade sulla testa. La chiromante non aveva venduto del fumo!
CAP01.indd 42 31-08-2011 8:46:20
33. INFANZIA E VITA ASTIGIANA 43
Non mancavano poi le scenette familiari, le riprese di avveni-
menti, i balletti ecc.
A metà settembre si apriva ufficialmente la vendemmia, che
costituiva l’appuntamento economico più importante dell’an-
nata agricola. Dalle fertili colline della regione arrivavano nu-
merosissimi carri con capaci tini pieni d’uva che veniva esami-
nata dagli esperti. Nel giro di poche settimane il raccolto veniva
immesso nel ciclo di lavorazione dal quale uscivano i rinomati
vini piemontesi.
CAP01.indd 43 31-08-2011 8:46:20
34. II
LA FAMIGLIA
Il nonno paterno Salvador Bonifort Debenedetti (in ebraico
Joshua Boaz le-vet Baruk)1 ebbe molti figli, una quindicina tra
maschi e femmine. La nonna paterna, Dolcina, era sorella di
Isacco Artom, insigne personalità del Risorgimento. Da giova-
ne, Artom era stato volontario nei battaglioni universitari per
poi entrare nella burocrazia del Ministero degli Esteri. Amico
di Costantino Nigra e apprezzato da Cavour, ne divenne segre-
tario particolare, partecipando, insieme a Nigra, alle trattative
e agli accordi diplomatici che spianarono la via all’Unità d’Ita-
lia sotto i Savoia.
Immensa è la gratitudine e la venerazione che nutro per i
miei genitori: i loro principi sono stati una guida infallibile nel-
la mia vita di padre, di cittadino, di imprenditore.
Mio padre Israel sposò a 32 anni, nel 1884, una cattolica di
24 anni, Olimpia Boano. I1 matrimonio tra un ebreo e una cat-
tolica a quei tempi, oltre che insolito, era anche ritenuto ripro-
vevole.
Tra i contadini i matrimoni erano di regola combinati dal
sensale (in dialetto bacialé). Era questa una vera e propria pro-
fessione. Il padre, desideroso di accasare la figlia, si rivolgeva al
sensale cui vantava le doti fisiche e morali della ragazza, pun-
1 Il lettore noterà che il cognome della famiglia è scritto ora unito ora divi-
so: ciò deriva da variazioni anagrafiche o dalle preferenze dei singoli.
CAP02.indd 44 8-07-2011 11:58:21
35. CAP02.indd 45
LA FAMIGLIA
Salvador Bonifort De Benedetti (1861-1882) con la moglie Dolcina, 12 figli e una nuora.
45
Il secondo da sinistra in piedi è Israel.
8-07-2011 11:58:21
36. 46 NATO AD ASTI
tualizzando i termini economici del contratto. Se si trattava di
un figlio, precisava l’entità della dote che la futura moglie dove-
va portare con sé.
Nella borghesia cittadina la «sensaleria» era talora esercitata
da amici di famiglia, ma i matrimoni avvenivano soprattutto in
seguito a simpatie e attrazioni nate in incontri familiari o in oc-
casioni di feste da ballo o di riunioni mondane. I matrimoni al-
l’interno della Comunità Israelitica erano invece molto più pro-
grammati. Alla base delle trattative c’erano iniziative di parenti e
amici, o combinazioni economiche e di affari. I genitori, giunto il
momento di accasare il figlio o la figlia, facevano una rosa di pos-
sibili candidati: quasi sempre a determinare la scelta era la situa-
zione economica.
I matrimoni nella comunità ebraica erano celebrati con so-
lenni riti religiosi, festosi banchetti e ricevimenti di personali-
tà della comunità, di parenti e amici. È interessante l’invito a
stampa, in data 8 giugno 1837, da parte del sig. Abram Jacob
Levi, di Chieri, per le nozze, celebrate a due soli giorni di di-
stanza, del figlio Donato e della figlia Susanna (questa con un
Debenedetti di Asti).
Sebbene il popolo italiano non sia mai stato razzista, nel
senso che non si macchiò di persecuzioni o decimazioni che
gli ebrei dovettero subire in altri paesi (i cui governi sfruttaro-
no l’antisemitismo per scandalosi pretesti di politica nazionale
e internazionale: valga per tutti il caso Dreyfus), tuttavia sen-
timenti antisemiti resistevano nel fondo della coscienza catto-
lica con la forza di una tradizione accettata. L’antisemitismo in
Italia aveva infatti radice nella religione. Dopo le leggi sull’e-
mancipazione degli ebrei e l’abolizione dei ghetti, emanate da
Carlo Alberto il 17 giugno 1848, gli ebrei italiani presero parte
sempre più attiva alla vita politica, scientifica, culturale ed eco-
nomica del paese, e le banche gestite da ebrei furono conside-
rate le più solide e convenienti.
CAP02.indd 46 8-07-2011 11:58:21
37. CAP02.indd 47
LA FAMIGLIA
47
Israel (1852-1945) e Olimpia (1859-1946) De Benedetti sposi.
8-07-2011 11:58:21
38. 48 NATO AD ASTI
Tornando ai miei genitori, la loro unione fu all’inizio avver-
sata e non priva, per mia madre soprattutto, di mortificazioni
per via dei rapporti con i parenti, che, ad esempio, si rifiutava-
no di frequentarla. Solo col tempo, di fronte all’evidenza del-
l’ottima riuscita del matrimonio, pregiudizi ed isolamento so-
ciale cessarono.
La convivenza in famiglia di due religioni, ognuna con propri
precetti, riti e usanze, poneva indubbiamente dei problemi, so-
prattutto nei confronti dell’educazione dei figli. Il risultato arit-
metico di due termini uguali e di segno differente avrebbe potu-
to portare all’azzeramento della vita religiosa. Ma così non fu.
Le due confessioni convissero nel rispetto reciproco; i di-
giuni erano osservati con ragionevole rigore, così pure i pre-
cetti ga stronomici e quel tanto di regole dell’una e dell’altra
confessio ne che si ritenevano necessarie per non alienarsi la
protezione dei due Padreterni che, in concorrenza tra loro per
non perderci, si auspicava si prodigassero per elargire la loro
protezione.
Si celebravano solennemente le due Pasque, ma noi figli pre-
ferivamo quella ebraica sia per il rituale sia per le non poche
ghiottonerie. Per i ragazzi una delle ricorrenze ebraiche più in-
teressanti era quella, al compimento dei tredici anni (bar miz-
vab), che sanciva l’ingresso nella comunità degli adulti. L’attesa
era grande per i regali di parenti e amici, ma non meno grande
era la delusione, dato che spesso si trattava di regali «utili». Tra
questi non mancava mai un vassoietto da scrittoio, che conteneva
una penna metallica riproducente la penna d’oca, un ca lamaio
per l’inchiostro e uno spargipolverina per asciugare lo scritto,
antenato della carta assorbente; il tutto in metallo argentato. Era
un regalo a rotazione, dato che veniva immediata mente seque-
strato dai genitori (peraltro senza rimpianto alcuno da parte del
festeggiato), per poi passare in dono al prossimo festeggiato, pre-
via ripulitura. E così via, per più e più volte.
CAP02.indd 48 8-07-2011 11:58:21
39. LA FAMIGLIA 49
Credo che i miei genitori si fossero accordati sulla program-
mazione della famiglia, che aumentò a un ritmo biennale con la
nascita di tre maschi (Attilio, Ettore, Umberto) seguiti da una
femmina (Andreina), e successivamente da altri tre maschi (Ro-
dolfo, Ugo, Virginio) e infine da un’ultima bambina, Albertina,
che non sopravvisse a una malattia infantile, decedendo quan-
do era ancora in fasce. La mamma passò così una venti na d’an-
ni tra gravidanze e parti.
Allora il parto avveniva sempre in casa: non esistevano le
cliniche ostetriche. Tutto si svolgeva con l’aiuto di una levatri-
ce, che era spesso una praticona specializzata, nell’assenza to-
tale di precauzioni igieniche. Solo in gravidanze di particolare
difficoltà era chiamato il medico di famiglia. Già il giorno del
parto arrivava la balia, che dopo pochi giorni faceva ritorno a
casa sua in campagna insieme al neonato. Lo avrebbe riportato
dai genitori dopo lo svezzamento. Non di rado la generosità dei
suoi seni cessava anzitempo; in questo caso sopperiva con po-
lenta e latte di mucca, e poi con pasta e fagioli e un buon bic-
chiere di barbera.
La mia balia abitava a Cortanze, un piccolo comune appol-
laiato sulle colline, collegato ad Asti da un’ansimante tramvia a
vapore (nel prezzo del biglietto era incluso l’aiuto da parte dei
passeggeri a spingere la carrozza quando era in difficoltà).
Dopo averlo restituito alla famiglia, la balia andava spesso
a trovare, in genere nei giorni di mercato, il suo «balioccio», al
quale si era affezionata. A mia volta, diventato ragazzo, andavo
dalla mia balia per qualche giorno in estate; passavo molte ore
nella bottega di suo marito, un fabbro, seguendo affascinato la
lavorazione del metallo infuocato.
Le raccapriccianti condizioni igieniche, la totale ignoranza
delle più elementari regole pediatriche e alimentari erano non
di rado fatali al lattante. Soltanto i più robusti e fortunati usci-
vano indenni, il che accadde a noi sette fratelli. Vegliava su di
CAP02.indd 49 8-07-2011 11:58:22
40. 50 NATO AD ASTI
Israel e Olimpia con il primogenito Attilio.
CAP02.indd 50 8-07-2011 11:58:22
41. LA FAMIGLIA 51
Gruppo di famiglia: il primo in alto a sinistra è Rodolfo.
CAP02.indd 51 8-07-2011 11:58:23
42. 52 NATO AD ASTI
noi il dottor Pagliano, che esercitava la sua professione con tale
abnegazione e disinteresse che a perenne riconoscenza gli è sta-
ta dedicata una via della città. Dotato di vasta esperienza e di
raro intuito diagnostico, prodigò a tutti noi, dalla nascita fino
all’età adulta, un’assistenza costante. Non si riteneva infallibi le
e, quando si trovava di fronte a casi dubbi, era il primo a chie-
dere l’intervento di specialisti. Schivo di onori e di cariche fa-
ceva con la sua carrozzella il giro dei malati e, se richiesto, ac-
correva anche di notte e si faceva pagare (L. 3 per visita) solo
da chi poteva permetterselo.
Con l’aumento della famiglia divenne necessario trovare
un’abitazione idonea. Il babbo la trovò in via Goltieri, una del-
le quattro vie che racchiudevano un ampio isolato tutto occu-
pato da scuole (dalle elementari alle scuole femminili, dall’isti-
tuto tecnico al ginnasio-liceo). Vi abitammo per una dozzina
d’anni, e a quella casa sono legati alcuni dei ricordi più belli
della mia infanzia.
Data la sua posizione, la nostra casa diventò il punto d’in-
contro dei nostri compagni prima e dopo le lezioni, con ammi-
revole sopportazione sia del padrone di casa sia della mamma.
I miei fratelli maggiori nella buona stagione si intratteneva-
no con compagni e amici nell’ampio cortile, giocando a pallo-
ne, cantando e ballando al suono di un organetto a manovel-
la, noleggiato dietro modesto compenso. Informato dal bidello,
il preside, uomo d’ordine, si sentì obbligato a far cessare tutte
quelle scostumatezze. Dato che accadevano fuori dalla sua sfe-
ra d’influenza, fece intervenire una sua insegnante, Sara Tre-
ves, correligionaria del padrone di casa, ma senza risultato.
Nella tranquillità e nel silenzio di quella via secondaria assu-
mevano particolare risonanza voci e suoni che si ripetevano
con immutata successione e ne scandivano il ritmo giornalie-
ro. Erano i rintocchi delle campane del vicino Duomo, il passo
cadenzato della pattuglia dei bersaglieri, comandata di guar-
CAP02.indd 52 8-07-2011 11:58:23
43. CAP02.indd 53
LA FAMIGLIA
53
L’isolato delle Scuole visto da via Goltieri.
8-07-2011 11:58:23
44. 54 NATO AD ASTI
La Cattedrale.
CAP02.indd 54 8-07-2011 11:58:24
45. LA FAMIGLIA 55
dia alle carceri, seguita a regolare distanza dal capo carcerie-
re; era, all’alba, lo stentoreo richiamo del pastore, sceso in città
per vendere la sua ricotta, il passo del lampionista in giro per
spe gnere i lampioni a gas dell’illuminazione cittadina, il reite-
rato invito, da parte della titolare del negozio di generi colonia-
li, a lasciare il letto, rivolto alla figlia Regina 2 (inviti che finiva-
no fatalmente in un «Sveglia, Regina, porcu faus»), il metallico
ru more dell’alzata delle saracinesche di alcuni negozi del non
lontano corso Alfieri.
D’inverno, noi ragazzi ancora sotto le coperte, il silenzio co-
priva quei rumori se di notte c’era stata un’abbondante nevica-
ta. Correvamo allora alla finestra pregustando i giochi con la
neve e ammirando lo spettacolo: i lampioni incappucciati di
bianco, lo spesso candido strato sul terreno appena violato dal-
le orme di un passante mattutino, i tetti, i cornicioni quasi som-
mersi dal niveo manto.
Il nostro appartamento era situato al secondo piano di uno
stabile di proprietà dei fratelli Artom, che gestivano una loro
banca privata. Dei tre fratelli, uno, sposato senza figli, era af-
flitto da artrite deformante e si trascinava quasi piegato in
due (da parte della moglie era zio dei fratelli Terracini, uno
dei quali, Umberto, fu un protagonista della lotta antifascista
e della vita politica del dopoguerra); un secondo fratello non
sposato lo si vedeva di rado, e il terzo, Monsù Michelin, aveva
tre figli della nostra età e abitava sotto di noi.
Oltre a noi, inquilina era soltanto la famiglia Girone, che
era formata da un’anziana madre e da tre figli, due femmine e
un maschio. Le due figlie, che confezionavano biancheria e in-
segnavano ricamo e cucito, non frequentavano nessuno. L’uni-
co loro amico non saliva mai in casa; a una data ora lanciava
2 Regina emigrò in Brasile dove dei briganti in un agguato la decapita-
rono.
CAP02.indd 55 8-07-2011 11:58:24
46. 56 NATO AD ASTI
Il busto di Isacco Artom nel Palazzo Artom di via Cavour.
CAP02.indd 56 8-07-2011 11:58:24
47. LA FAMIGLIA 57
un fischio e le due sorelle si affacciavano sul balcone che dava
sul cortile e conversavano con lui ad alta voce. Il figlio maschio
aveva una gran passione per gli uccelli e la casa era perciò piena
di pennuti, imbalsamati e vivi, sui quali dominava un pappa-
gallo, Loreto, che con voce stentorea diceva senza posa oscenità.
Gli erano state insegnate pazientemente da due studenti liceali,
pensionanti dei Girone, forse per vendicarsi delle sotti lissime
fettine di carne che venivano loro propinate ai pasti.
Gli unici uffici della casa erano quelli del «Tiro a segno na-
zionale», il cui scopo precipuo era di mantenere in allenamen-
to sia i militari congedati sia i giovani riformati in modo che,
in caso di richiamo o revisione, avessero una pratica sufficiente
del fucile modello 91. Il poligono di tiro era a Sessant, un pic-
colo comune a circa sei chilometri, raggiungibile con una spe-
ciale carrozza a cavalli della scuderia Tirone. Di questa scude-
ria si serviva il babbo sia per motivi professionali che per far
ritorno in villa, quando i suoi impegni di lavoro lo tratteneva-
no fino a tardi in città.
La nostra casa era costituita da un’ampia cucina, con una
maestosa stufa economica fornita di una bocca di riscaldamen-
to per l’attiguo grande soggiorno che serviva da studio e da sala
da pranzo. Un lungo e largo corridoio era il nostro campo di
giochi, alla fine del quale c’era una stufa di terracotta, solo di
rappresentanza. Procedendo si entrava nella zona artica della
casa, in cui si trovavano le camere da letto di tutta la famiglia.
L’unica fonte di calore e di illuminazione erano le fiammelle
delle candele impiegate per andare a letto.
L’educazione di mia sorella, unica femmina, venuta dopo
tre fratelli già giovanotti e inseriti nella vita goliardica e spre-
giudicata dei giovani di belle speranze, e prima di altri tre poco
più che bambini, costituiva un serio problema.
In quei tempi l’educazione di una ragazza della buona bor-
ghesia era soggetta a concezioni molto ristrette. Non parliamo
CAP02.indd 57 8-07-2011 11:58:24
48. 58 NATO AD ASTI
La sorella Andreina e (sopra)
la stessa con il figlio
Giovanni (1918 c.a.)
CAP02.indd 58 8-07-2011 11:58:25
49. LA FAMIGLIA 59
poi di quelle di mia madre, contraria alle sia pur timide e con-
trollate innovazioni nei costumi che incominciavano a manife-
starsi.
Mia sorella, dopo aver frequentato alcune classi della scuo-
la pubblica, venne affidata a un’insegnante privata, alla quale si
aggiunse una maestra di pianoforte.
Il 3 gennaio 1914 Andreina andò sposa a un giovane laurea-
to in giurisprudenza, Vittorio Pugliese, un amico di famiglia.
Abitarono a Torino e, prima che nascesse il figlio unico Gio-
vanni, scoppiò la guerra alla quale mio cognato non prese parte
perché afflitto da seri disturbi agli occhi.
Terminata la guerra si congedò (prestava servizio in sanità),
e fece ritorno con la famiglia ad Asti dove si conquistò una po-
sizione di prestigio nell’ambito forense.
La mamma era una donna energica e intelligente. La sua de-
dizione alla famiglia fu sempre totale; ci trattava con compren-
sione non disgiunta da una severità indispensabile per la
convivenza di figli così numerosi e turbolenti (sedici anni di
differenza tra il primo e l’ultimo). Sostanzialmente amorevole,
sapeva essere inflessibile come la Corte di Cassazione, senza di-
ritto di appello.
Era di principi liberali, aliena da conformismi sociali. I
pet tegolezzi non avevano presa su di lei, cosa insolita nel ri-
stretto ambiente cittadino, mentre era molto sensibile ad ogni
ingiu stizia sociale. Eppure non approvava certe libertà di
atteggia menti e di vestiario femminili: ricordo i suoi accenti
di riprova zione nei confronti di due signorinelle della miglior
borghesia cittadina che avevano osato uscire da sole in biciclet-
ta, mettendo in mostra le gambe.
Quando rientrava a casa dall’ufficio, non prima delle otto di
sera, il babbo lasciava fuori dalla porta difficoltà e preoccupa-
zioni del suo lavoro e subito si distendeva nell’atmosfera fami-
liare. Si informava della nostra condotta e dell’andamento degli
CAP02.indd 59 8-07-2011 11:58:25
50. 60 NATO AD ASTI
studi, raccontava alla mamma fatti di cronaca cittadina. Termi-
nata la cena, cui non prendevano parte i figli al di sotto dei
dieci anni che mangiavano prima, ci riunivamo nel soggior no e
aveva inizio la parte culturale della giornata.
Alla calma luce della fragile reticella «Auer» che veniva
montata nel lampadario a gas, ci ritrovavamo attorno al grande
tavolo e ci immergevamo tutti in silenzio nella lettura. Il babbo
era un infaticabile divoratore di libri; per tutta la vita lo vidi
leggere in originale gli autori latini e molti classici della lettera-
tura francese. La mamma alternava la lettura ai lavori a maglia
e al rammendo.
Quanto a me, non mi interessai mai molto ai romanzi; la mia
passione erano i libri di viaggi, di archeologia, le autobiogra-
fie e i testi di divulgazione scientifica. Naturalmente leggevo
anche gli autori più amati dai ragazzi della mia età, come Sal-
gari e Verne. In casa non c’era una biblioteca di famiglia, così
ci si serviva spesso della «Biblioteca circolante» cui eravamo
abbo nati. Quando iniziai, nelle ultime classi del ginnasio, lo
studio del francese, mi accorsi che i miei orizzonti si allargava-
no. Da allora mi abituai a leggere i libri nelle lingue che a mano
a mano imparavo (dopo il francese, il tedesco e l’inglese).
Impegnata com’era a tempo pieno dai figli, la mamma aveva
trascurato o addirittura perso i contatti con le amiche. Unica
eccezione l’anziana signora Pugno (un nome che era tutto un
programma!) che veniva regolarmente in visita una volta al me-
se. Per la dama, ricevuta con sopportazione a stento mascherata
dai convenevoli d’uso, veniva aperta la sala che, tolte le fodere
e tirati i tendaggi alle finestre, appariva in tutto il suo cat tivo
gusto. Ricordo la consolle e sovrapposta specchiera con corni-
ce in legno, il divano, le sedie con schienale che portavano in
alto, proprio all’altezza della nuca, il monogramma del babbo.
Tutto era di un’insuperabile scomodità. Non mancava un’etero-
genea collezione di soprammobili, bomboniere e altri ridicoli
CAP02.indd 60 8-07-2011 11:58:25
51. LA FAMIGLIA 61
oggetti di vetro e porcellana, e diversi orribili quadretti di finto
piccolo punto. L’ingresso in sala era severamente vietato a noi
figli che non ne soffrivamo affatto, anche perché le bombonie-
re erano sempre vuote.
Un discorso a parte merita il nonno materno Andrea, una
bella figura di vecchio, diritto come una quercia.
Andrea Boano, uomo intelligentissimo, aveva un grosso la-
boratorio di falegnameria ed era particolarmente attento alle
novità della tecnica. Fu infatti protagonista di una vicenda di
cui si faceva un gran parlare, seppur sottovoce, in famiglia. Un
bel giorno si incaponì di inventare un marchingegno che, mes-
so in moto, non si sarebbe più fermato, realizzando il moto per-
petuo. Mise fine ad ogni altra attività e si diede anima e corpo
alla sua invenzione.
Nel giro di un decennio i risparmi di tutta una vita anda-
rono in fumo e la famiglia dovette pensare al finanziamento
dell’insana mania e del suo inventore.
Molte persone si erano cimentate in quest’impresa e, nono-
stante gli insuccessi a catena, c’era sempre chi ci riprovava. Un
eminente studioso, l’abate Giuseppe Zamboni, insegnante di
fisica nel liceo-ginnasio Scipione Maffei di Verona, aveva co-
struito, all’inizio del secolo XIX, un orologio a pendolo (due
preziosi esemplari dovrebbero tuttora essere in funzione nella
presidenza della scuola) in cui le oscillazioni del pendolo veni-
vano eccitate e tenute in moto continuo dal fluido elettrico, for-
zato a circolare tra due pile di segno opposto, da lui ideate.
A causa della lunga durata delle cariche elettriche, Zamboni
ritenne di aver inventato il moto perpetuo, tanto che ne infor-
mò l’Accademia Reale delle Scienze di Parigi. L’Accademia ri-
ceveva a ritmo costante memorie di persone che credevano di
aver realizzato l’invenzione (allo stesso modo di quella della
quadratura del cerchio) tanto che, in una sua seduta del 1830,
dichiarò di essere sorpresa che ci fosse al mondo tanta gente si-
CAP02.indd 61 8-07-2011 11:58:25
52. 62 NATO AD ASTI
Il nonno materno Andrea Boano (1823-1903).
CAP02.indd 62 8-07-2011 11:58:26
53. LA FAMIGLIA 63
cura di aver risolto il problema, e di aver deciso di non rispon-
dere più a nessuno al riguardo perché:
«Nulla si farà mai di meglio del grazioso strumento inventa-
to dal Signor Zamboni, il cui principio motore è l’elettricità
delle pile a secco... Questo moto non è già eterno, perché nulla
di eterno è nel mondo, ma dura molto tempo... Esso merita si no
ad un certo punto il nome perpetuo. Il moto perpetuo del Si-
gnor Zamboni non è che un istrumento straordinarissimo ed
interessante da osservarsi».
Chi tentava di dissuadere nonno Andrea, cercando di con-
vincerlo che una cosa era fabbricare letti, divani e armadi, altra
cosa era misurarsi, senza un minimo di conoscenza fisica, mec-
canica e matematica, in un’impossibile invenzione, si sentiva ri-
battere, con aria di superiorità, con una serie di esempi, in pri-
mis quello di Cristoforo Colombo che, pur essendo poco più di
un marinaio, fece la scoperta che sappiamo.
Il nonno non ammetteva nessuno nel suo grande laborato-
rio dove andava costruendo, pezzo dopo pezzo, una macchi-
na che continuava, imperturbabile, a mantenere la più testarda
delle immobilità. Ma una volta − ero ancora ragazzo − mi la-
sciò entrare nella camera segreta e mi fece vedere la sua mac-
china. Convinto di essere sul punto di risolvere il problema,
era in preda alla smania di far presto; temeva che, prima o
poi, spuntassero dei concorrenti. Inoltre era ormai avanti ne-
gli anni.
E un brutto giorno venne a sapere che il concorrente c’era e
in gran segreto lavorava alla stessa balorda impresa. Si trattava
del proprietario di una modesta bottega di cartolaio situata di
fronte alle scuole. Lo si vedeva sempre immobile dietro il ban-
co (solo più tardi seppi che era paralizzato alle gambe). Forse
c’era un rapporto tra la sua immobilità forzata e la passione per
il moto perpetuo.
CAP02.indd 63 8-07-2011 11:58:26
54. 64 NATO AD ASTI
Nacque una sorda lotta a distanza per tagliare per primo il
traguardo. Ognuno dei due tentava di sapere a che punto fosse
l’altro; vinse il nonno che corruppe un amico del cartolaio fa-
cendone un suo informatore. Seppe così che la macchina del ri-
vale con una spinta si metteva in moto ma poi rallentava fino a
fermarsi. Ma che razza di moto perpetuo era un congegno che
si arrestava?
A questa osservazione il cartolaio con tono di sufficienza
aveva ribattuto che non appena fosse entrato in possesso delle
due dozzine di molle ordinate, il problema sarebbe stato defi-
nitivamente risolto...
Povero nonno! Ignaro che il problema era stato risolto da
tempo in senso negativo, si portò nella tomba il suo sogno che,
se fu la sua rovina, illuminò però i suoi ultimi anni col calore
della speranza.
La malattia del moto perpetuo non si estinse completamen-
te con la morte del nonno, ma ebbe un ultimo sussulto in fami-
glia. Nello stesso ufficio del babbo esercitava autonomamente
la professione di avvocato un suo fratello, lo zio Moise. Se pro-
fessionalmente non godeva di grande considerazione, lo zio in
famiglia era inoltre severamente criticato per via del suo liber-
tinaggio. Si mormorava che addirittura mantenesse un’amante!
Era assolutamente ignorante di fisica e meccanica e proprio
per questo fu facile preda di spacciatori di miracoli, tra cui un
astuto imbroglione che lo convinse a finanziare la realizzazione
del moto perpetuo. Ne uscì col portafogli decimato, e soltanto
quando parenti e amici riuscirono a convincerlo che, nella vi-
cenda, di perpetuo c’era soltanto l’esborso di quattrini, abban-
donò, sia pure a malincuore, il progetto.
Mio padre, avvocato e procuratore, aveva rilevato dal prece-
dente titolare lo studio legale in corso Alfieri e ne aveva fatto
uno dei più quotati del circondario. Un suo fratello, lo zio Au-
gusto, non particolarmente dotato d’intelligenza, faceva l’ama-
CAP02.indd 64 8-07-2011 11:58:26
55. LA FAMIGLIA 65
nuense, gli ricopiava cioè gli incartamenti delle cause in corso
e le rubricava. Quando nel 1908 arrivò dall’America, introdot-
ta dall’agente della Remington Cesare Verona, la macchina da
scrivere, lo zio fruì del pensionamento anticipato per quel tipo
di lavoro.
La stanza dove lo zio lavorava ricordava quelle descritte da
Dickens: poca luce, molta polvere, al centro un gran tavolo col-
mo di pratiche e di fascicoli ingialliti, lungo una parete due
scrivanie, lungo un’altra scaffali zeppi di dossier e corrispon-
denza. L’ufficio di mio padre era nella stanza accanto, e tra i
mobili spiccava un’elegante biblioteca, ricca di volumi di leggi,
rilegati in pelle, con intestazioni in oro, che servivano più che
altro a creare un’aura di prestigio. Sulla scrivania e sui due ta-
voli che la affiancavano erano accatastati in disordinate pile un
numero impressionante di fascicoli. Nessuno era autorizzato a
metterci le mani; secondo mio padre il disordine era soltanto
un caso particolare dell’ordine; inoltre, la catasta di fascicoli
aveva un effetto pubblicitario sulla clientela. Mio padre tratta-
va severamente i clienti, specie i contadini, ma i suoi modi bru-
schi erano certamente efficaci per rafforzare il suo prestigio e
la sua autorità.
Il giornale «Il Cittadino» del 10 giugno 1930 pubblicava
con grande rilievo un editoriale di cronaca cittadina dal titolo
«Nozze d’oro professionali» col resoconto della riunione, nel-
l’aula magna del Palazzo di Giustizia, organizzata da magistra-
ti, avvocati, procuratori, cancellieri, per esternare affetto e am-
mirazione all’avvocato Israel De Benedetti che in cinquant’anni
di cure forensi seppe insegnare a tre generazioni che «toga è sa-
cerdozio».
Numerose le adesioni fra cui quella dell’illustre giurista se-
natore Ludovico Mortara, del giudice Ferdinando Vetere citta-
dino onorario. A tutti mio padre espresse la sua profonda grati-
tudine ricordando con accenti commossi i colleghi scomparsi.
CAP02.indd 65 8-07-2011 11:58:26