An interesting outlook about makers and the future of craftsmanship. This report is made by the team of Carlo Ratti, the director of the Senseable City Lab of the MIT in Boston, in partnership with garagErasmus.
1. Abstract p. 6
2. Evoluzione dell’artigianato p. 9
3. Tratteggi di definizione p. 12
4. Contesto web e riferimenti p. 14
5. Digital fabrication p. 15
6. DIY movement p. 16
7. Nuovi artigiani p. 18
8. Terza rivoluzione industriale p. 21
9. Conclusioni p. 22
10. Interviste p. 24
Artigianato 2.0
Artigianato 2.0 Abstract p. 7
Le evoluzioni tecnologiche avvenute
negli ultimi anni hanno portato a una
notevole evoluzione del mondo
dell’artigianato, affiancando, alla visione
tradizionale che lega l’artigiano a delle
abilità manuali e a un saper fare che si
apprende nella pratica del lavoro di
bottega, un saper ‘condurre’ nuovi
strumenti automatici di produzione.
Lontano dal senso comune di artigianato nascono dei nuovi mestieri che richiedono un
forte capitale personale e relazionale legato alla net economy e alle nuove tecnologie;
anche l’artigianato dei settori tradizionali, non più limitato a un ristretto mercato
locale, si è trasformato, coniugando di più il saper fare con il saper distribuire e
comunicare, oltre i confini locali e con maggior attenzione ai fattori immateriali.
A partire dalla definizione di digital divide, il presente paper introduce i caratteri di
originalità dell’artigianato contemporaneo focalizzando l’attenzione su aspetti propri
dell’utilizzo di nuove tecnologie digitali e della produzione rapida, sulle potenzialità
offerte dalla rete, toccando concetti come open software e open hardware e le
possibilità date dalla cultura dello sharing.
Viene toccato anche il tema del DIY (do it yourself) movement, mettendo in rilievo
quanto si siano modificate negli ultimi anni le conoscenze e le richieste lato consumer:
una nuova ‘tipologia’ di cliente in grado di richiedere un prodotto al tecno artigiano/
maker e capace addirittura di progettare autonomamente il prodotto.
Si analizza, inoltre, il tema della digital fabrication, presentando gli aspetti salienti che
definiscono il maker: diffusione open delle tecniche; tecnologie a noleggio o condivise;
necessità di auto promozione online: e-shop, blogging usati per creare nuove
potenzialità di vendita e comunicazione; progettazione responsabile; replicabilità a
costo ridotto; aumento della precisione e rispetto dei tempi; diminuzione
dell’importanza della manualità in favore di una maggiore trasversalità software/
materiali.
Si parla di terza rivoluzione industriale: open software e open hardware; ricambi on
demand; personalizzazione; cliente come parte integrante del processo creativo/
realizzativo. Questa rivoluzione è sempre più spesso affiancata dalla nascita di start up
basate sull’uso efficiente di nuove tecnologie e mosse da spirito di innovazione.
Emerge una nuova spinta per il sistema Italia in un contesto globale collegato: una
questa nuova classe creativa e produttiva emergente, negli ambiti della formazione e
delle politiche economiche, a tutto vantaggio del potenziale del Paese e del made in
Italy.
Artigianato 2.0 p. 9
2
Evoluzione dell’artigianato
L’artigianato è storicamente legato a un passaggio di arte e tecnica ‘di padre in figlio’ o
al ragazzo che cresce ‘a bottega’: questo fenomeno crea dei custodi naturali dei segreti
del laboratorio, dei trucchi, delle piccole invenzioni, dell’arte come profonda
conoscenza del materiale, degli strumenti per lavorarlo, della manutenzione. La
capacità di ottenere ciò che il cliente può volere di nuovo ed esclusivo, oltre alla
capacità dell’artigiano di ‘firmare’ il prodotto con la sola riconoscibilità della sua mano
e di introdurre migliorie e innovazioni (da cui le ‘scuole’ locali) rendono ogni artigiano
‘eccellente’ e noto nella sua specialità; la distinzione e la custodia delle conoscenze
tecniche e applicative determinano il successo ed il prestigio, portando con sé, però, il
rischio di limitare la capacità di espansione.
Attività artigiane o botteghe cittadine, rappresentano diversi aspetti dell’artigianato:
dalla manutenzione di oggetti prodotti a loro volta artigianalmente, al mantenimento
di lavorazioni tradizionali e spesso locali, fino ad attività di innovazione.
Contesto
-
La cultura dell’open source e il movimento per
il software libero hanno come elemento cardine
l’idea, fortemente sostenuta da un punto di vista
etico e sociale, che, attraverso la partecipazione,
il libero scambio e il lavoro in collaborazione
senza vincoli, venga espressa una maggior
qualità sia in termini di risultato del lavoro che
in termini di creazione di innovazione.
La creatività collettiva risulta avere un
potenziale di crescita superiore in quanto, oltre
al lavoro sul singolo progetto, attraverso la
collaborazione le persone diventano parti di
una comunità e cittadini consapevoli della
comunità stessa (“abitanti della rete”),
responsabili nei confronti degli altri e della
società, tanto da aver aperto e posto
all’attenzione generale la discussione
sull’importanza etica di attenzione a definizioni
quali “diritti d’autore”, “brevetti”, “copyleft” e
“pubblico dominio”.
Open source
-
Facendo un passo indietro per chiarire il
collegamento tra cultura open source e smart
artigianato, basterà accennare a un aneddoto
su come si narra sia nato il primo spunto
sull’open source per Richard Stallman, il
fondatore del movimento; curiosamente la storia
ha a che fare con una situazione che mette in
rilievo il legame tra software, hardware e la
necessità di accesso alle informazioni per
operare.
Stallmann incappò nella dimostrazione che i
principi della proprietà intellettuale
costituivano un vincolo all’efficienza
impedendogli di risolvere un inconveniente
quando, all’ennesimo inceppamento della
stampante Xerox, generosamente messa a
disposizione del Laboratorio di Intelligenza
Artificiale del MIT - Massachussets Institute of
Technology dall’azienda, pensò di modificare il
Shooting fotografico per la realizzazione di un
catalogo on-line di prodotti in carbonio
(7)
Evoluzione
Artigianato 2.0 p. 10Evoluzione
In periodi in cui sembrava il dictat sociale fosse puntare sul luogo comune del
consumismo che, anche a scapito della qualità del singolo oggetto e del suo valore
intrinseco (e quindi della necessità di manutenzione nel tempo), spingeva a un
continuo ricambio degli oggetti piuttosto che a una loro valorizzazione, si è assistito a
una progressiva perdita di valore economico di molte attività artigianali. Come
sovente, insieme alla perdita di valore economico arriva spesso anche quella del
prestigio e, quindi, la mancanza di nuove leve interessate ad apprendere il mestiere;
nel contempo diminuisce anche la capacità del pubblico di apprezzare la qualità di un
prodotto fatto ‘ad arte’. Questo insieme di fattori ha portato il rischio di perdere il
valore di un modo di lavorare originale e diverso, ad esempio, dall’impiegatizio o
dall’industriale, perdendo così un ambito di “biodiversità”.
Aspetto interessante e curioso è che questo ‘vuoto’ ha aperto alla nascita di nuove
attività gestite da artigiani di immigrazione che hanno portato in Italia le loro capacità
dai Paesi di origine, con l’orgoglio di aprire una nuova piccola attività in proprio ed il
conseguente recupero di attività magari andate perdute. Alla possibilità di trovare
nuovamente artigiani diffusi sul territorio, anche in un contesto di concorrenza,
corrisponde poi una maggior accessibilità dei prezzi, rendendo possibile per gli
acquirenti accedere e imparare nuovamente ad apprezzare tali attività.
Taglio laser controllato da computer (8)
programma della stampante per un pronto
intervento diretto, senza aspettare il tecnico
aziendale; Stallmann per attuare delle
modifiche avrebbe dovuto accedere al codice
sorgente della macchina. Diversamente dal
passato, tale accesso gli fu negato in virtù del
copyright che ne proteggeva il software. Il
programma era diventato proprietario e, quindi,
non poteva più essere conosciuto e trasformato,
d’altro canto in questa nuova situazione Xerox
non avrebbe più potuto beneficiare dei
suggerimenti nati dalla pratica di un esterno
alla ditta.
Correva l’anno 1983 e, attraverso Arpanet,
Stallmann comunicò alla comunità degli
hacker e a tutti gli interessati allo sviluppo del
software libero la decisione di impegnarsi nella
realizzazione del nuovo sistema operativo GNU
- come “Gnu is Not Unix”, che sta per non è
l’originale e, quindi, proprietario ma ha le stesse
funzionalità di Unix ed è con esso compatibile.
Requisito fondamentale era che il sistema
operativo GNU doveva essere open source e,
cioè, disponibile nel cosiddetto formato
Artigianato 2.0 p. 11Evoluzione
Al procedere delle mutazioni in corso nell’economia attuale, si nota un nuovo
appropriarsi delle capacità produttive e di valutazione della qualità da parte dei
singoli, sia produttori che consumatori, in modi diversi dal passato; con capacità
economiche ridotte e con maggior accessibilità alle informazioni (attraverso il web),
per molti diventa possibile e necessario cercare di identificare prodotti duraturi di cui
si possa valutare il rapporto qualità/prezzo; l’artigianato 2.0 potrebbe essere uno degli
effetti di queste evoluzioni.
Ora, la diffusione delle conoscenze delle tecniche di produzione, della
standardizzazione dei semilavorati, dei materiali, degli strumenti di lavorazione e di
accoppiamento, rendono teoricamente realizzabile ogni progetto da qualsiasi
laboratorio o artigiano adeguatamente attrezzato: le”attrezzature” necessarie sono
una solida base software, una buona conoscenza dei (nuovi) materiali, un’ottima
capacità di gestione delle tecniche di lavorazione robotizzata, comprese la confidenza
con i limiti e le tolleranze derivate, e la continua necessità di aggiornamento a tutto
ciò collegata. La precisione del prodotto è, infatti, di livello industriale, pertanto il tecno
artigiano si distingue anche su questo dall’artigiano classico e tende sempre meno a
rimettere mano ai propri manufatti limitandosi ad assemblarli.
Poiché lo strumento di comunicazione tra cliente e tecno artigiano è un file digitale –
tipicamente un file 3D – appare subito evidente per entrambe le parti il risultato da
attendersi, grazie anche a strumenti di visualizzazione del modello 3D cui sono
applicati le texture dei materiali, simulazione delle trasparenze, dei comportamenti
fisici (flessione/dilatazione/peso/resistenza…). Da questo deriva una progettazione
più accurata, dimensionamento corretto delle parti, diminuzione degli sfridi e degli
sprechi, ottimizzazione degli ordini all’acquisto, e, soprattutto, la possibilità di gestire a
qualunque distanza i processi la progettazione, l’ordine (con eventuali modifiche):
sempre più spesso cliente e fornitore non si sono mai visti di persona né mai si
incontreranno.
Al procedere delle mutazioni in corso
nell’economia attuale, si nota un nuovo
appropriarsi delle capacità produttive e di
valutazione della qualità da parte dei
singoli, sia produttori che consumatori,
in modi diversi dal passato
“sorgente”, leggibile agli esseri umani (ad
alcuni di essi!), invece che in formato
“eseguibile” o “codice macchina”, il modo in
cui viene generalmente venduto il software
proprietario.
Nel 1985 viene fondata la FSF - Free Software
Foundation che tramite la GNU General
Public License, garantisce e promuove
l’importanza del software libero, occupandosi
delle questioni legali relative al copyright -
diritto d’autore del software.
Il modo più semplice per rendere un
programma, o un altro lavoro, libero sarebbe
dichiararlo di dominio pubblico, privo di
copyright; in Italia questo concetto a rigore non
esiste, perché l’autore non può rinunciare alla
paternità dell’opera, ma effetti simili si possono
ottenere con l’uso di una licenza permissiva:
permettendo a chiunque di condividere il
programma e i suoi miglioramenti, e anche di
convertire il programma in software
proprietario. Chi riceve il programma nella
forma modificata non ha la libertà data
dall’autore originario, ma dipende dall’opzione
scelta da chi ci ha lavorato in ultima istanza;
quest’ultimo elemento significa che se
l’intermediario avrà rimosso tale licenza, allora
anche il programma non sarà più libero.
Onde evitare quest’ultimo effetto di mancata
libertà di condivisione e per dare a tutti gli
utenti la possibilità di ridistribuire e modificare
il software GNU, si è scelta una diversa opzione
rilasciandolo via copyleft e cioè: chiunque
distribuisca il software, con o senza modifiche,
deve accompagnarlo con la stessa licenza con
cui lo ha ricevuto, quindi, per esempio, lasciare
aperta la possibilità di ulteriori copie o
modifiche.
Artigianato 2.0 p. 12Definizione
3
Tratteggi di definizione
Le caratteristiche di cambiamento trattate nel paragrafo precedente evidenziano la
necessità di precisare alcuni termini che sembrano spesso sovrapporsi nei modi di
interpretare quanto si sta definendo come artigianato 2.0.
Si può provare a procedere con delle possibili categorie di confronto in modo tale da
avvicinarsi a una definizione per contrasto:
- operaio specializzato: nell’industria, persona particolarmente competente nell’uso di
un macchinario o che interviene nello specifico di alcune fasi della lavorazione,
integrando con lavoro manuale la lavorazione industriale. Si occupa, in effetti, di lavoro
manuale e conosce in modo approfondito i macchinari con cui lavora, ma non può
essere definito un artigiano in quanto non segue la lavorazione del prodotto per intero
e non partecipa all’ideazione del prodotto stesso.
A partire da questo, allora, artigiano è colui che è in grado di passare dall’invenzione al
manufatto, direttamente con le proprie abilità nel fare, che esse siano capacità
manuali o di utilizzo di un macchinario per facilitare la realizzazione del progetto (dal
tornio alle stampanti 3D)
- creativo: termine indubbiamente molto inflazionato, comunque usato generalmente
per definire chi progetta ricercando caratteristiche di innovazione; l’aspetto di
innovazione può essere estremo, fino ad arrivare a quelle che vengono definite
invenzioni, o anche molto ridotto, ma in ogni caso il prodotto di un creativo dovrebbe
risultare ai più in qualche modo ‘originale’ o ‘nuovo’.
Allora l’artigiano può essere un creativo o meno, a seconda della propria indole e del
lavoro artigianale in cui si cimenta; anche se è piuttosto facile indurre che chi mette le
mani e fa, si trorvi a scoprire, modificare e cercare altre strade, anche solo per evitare
la ripetitività.
Linux
-
La parte più recente di questa storia porta a
Linux: nel 1991, quando la prima versione del
kernel Linux venne rilasciata, il sistema
operativo GNU era quasi completo. Tuttavia, il
suo kernel, il “cuore” del sistema operativo
(nucleo) che fornisce tutte le funzioni essenziali
per il sistema, in particolare la gestione della
memoria primaria, delle risorse hardware del
sistema e delle periferiche, assegnandole di volta
in volta ai processi in esecuzione, era ancora
nelle prime fasi del suo sviluppo.
Uno studente finlandese di informatica Linus
Torvalds, presso l’Università di Helsinki, all’età
di 21 anni iniziò a lavorare su alcune idee e
pubblicò un post in cui dichiarava di star
cominciando a lavorare a un sistema
operativo… la comunità rispose.
I primi sviluppatori del kernel Linux lo
adattarono in modo che potesse lavorare con
l’insieme dei tool GNU e così Linux divenne
l’ultimo importante componente del sistema
operativo GNU.7
Secondo le teorie di Stalmann la qualità e lo
sviluppo di tali strumenti hanno fatto sì che
oggi aziende come Ibm e Sun Microsystems, per
esempio, paghino i propri dipendenti per
contribuire a Linux: è interesse delle società fare
diventare il sistema operativo sempre migliore,
anche se ne traggono vantaggio anche i
concorrenti.8
Fresatura a 5 assi del legno (9)
Artigianato 2.0 p. 13Definizione
- tecno artigiano: termine che dà occasione di distinguere tra la persona che progetta,
usando software adatti a fornire i file per la produzione e colui che, invece, riceve tali
file e lavora alla messa in produzione. Spesso è la stessa persona a svolgere entrambe
le funzioni, oppure, a seconda dell’esperienza e del possesso dei macchinari, un tecno
artigiano maggiormente votato agli aspetti di produzione viene coinvolto come
consulente, fino ad arrivare a modificare il progetto e, quindi, il file, di concerto con il
progettista, al fine di ottenere la miglior convergenza tra concept del prodotto,
materiali utilizzati e ottimizzazione delle lavorazioni dei macchinari a controllo
numerico.
Qui si mettono in rilievo due caratteristiche classiche dell’artigiano: capacità di
progettare e di portare a produzione il progetto; a causa della specificità e quantità di
conoscenze richieste, succede che queste caratteristiche vengano spartite tra più
persone.
- startupper: termine inserito per portare l’attenzione su un aspetto economico non
semplice da definire. Si può dire che si entra in una situazione di start up nel momento
in cui, con il lavoro del singolo, con un investimento ridotto e con uso di macchinari
(anche non proprietari) si giunge alla definizione di una nuova piccola realtà
imprenditoriale con l’aspirazione di crescere: dall’ambito produttivo di beni materiali o
digitali alla vendita di servizi. Caratteristica comune delle start up è la connotazione di
forte innovazione e creatività del prodotto e la distribuzione attraverso canali non
tradizionali.
L’artigiano è sempre stato un imprenditore di se stesso, spesso la bottega dove
vengono prodotti gli oggetti è anche il luogo di vendita degli stessi.
Attualmente, tra la possibilità di promuoversi online e di creare una rete di vendita
globale e quella di produrre senza dover investire in macchinari costosi (addirittura
auto producendosi i macchinari)1
, si apre un vasto panorama di possibili startupper.
L’aspetto singolare è che la situazione, nascendo da una commistione con modalità
eventualmente non così distanti dalla produzione industriale, lascia al singolo il
compito di scegliere la strada: se essere disposto a vendere un proprio progetto a una
azienda che lo metta in produzione (tipica del designer), se essere lui stesso a cercare
la via della linea di produzione in serie (tipica del piccolo imprenditore) o se mantenere
una produzione limitata senza cercare grandi numeri (tipica dell’artigiano).
Creative
commons
-
Per via della diffusione di internet anche altri
ambiti del copyright sono stati toccati, rendendo
necessario creare un nuovo ambito del diritto
dedicato a una gestione meno protettiva del
diritto d’autore, che consenta di rispettare le
scelte rese esplicite dall’autore stesso: nasce così
il copyleft, un modello di gestione dei diritti
d’autore basato su un sistema di licenze
attraverso le quali l’autore (in quanto detentore
originario dei diritti) indica ai fruitori dell’opera
che essa può essere utilizzata, diffusa e, spesso,
anche modificata liberamente, pur nel rispetto
di alcune condizioni essenziali.
Gli autori sono automaticamente tutelati dal
copyright classico, a meno che non dichiarino di
aver attribuito ai propri contenuti o progetti
licenze differenti, per esempio una delle licenze
Creative Commons. Esistono sei tipologie di
licenza a seconda delle diverse possibili
modulazioni dei quattro elementi di base sui
quali l’autore ha diritto: attribuzione - necessità
(by) o meno di dichiarare la paternità; tipologia
di ri-uso - se commerciale o meno (nc); modi di
elaborazione dell’opera: se sono consentite o
meno (nd) opere derivate; condividi allo stesso
modo (sa) e cioè se chi ha usato l’opera sotto
tutela ha il dovere di attribuire alla propria
elaborazione la stessa licenza del progetto
“originale” o meno.9
Per un breve sunto: a partire dalle possibilità di
connessione e condivisione offerte dal web e
dalle attività online della comunità degli hacker
L’artigiano è sempre stato un
imprenditore di se stesso
Artigianato 2.0 p. 14Contesti
4
Contesti web e riferimenti
La propagazione dei canali di condivisione delle conoscenze via internet ha portato
con sé la diffusione della possibilità di semplificare, internazionalizzare, mettere alla
portata di tutti e accelerare i processi di accesso alle informazioni di qualunque
tipologia: un modo completamente nuovo di lavorare.
Con lo svilupparsi ed il penetrare sempre più capillare delle conoscenze specifiche
nella società del web, si assiste al nascere di innumerevoli nuove comunità. Per
approfondire termini che sono parte intrinseca di tale contesto e della cultura in cui
nascono e crescono fenomeni quali lo smart artigianato, si faccia riferimento al testo
nel colonnino “Contesto” un excursus e una sorta glossario degli elementi utili.
Sempre nell’ambito del rapporto tra etica della partecipazione nata nel web e
progettazione si può cercare un riferimento per i maker nelle teorie di Enzo Mari: “Il
nostro scopo è fare di te un partner”, questo lo slogan proposto, recuperato dai tempi
del Movimento dell’Arte Programmata. L’utente non è più consumatore passivo, ma
diventa un fruitore di un oggetto e di un processo, quello del design, in cui ha una parte
attiva.
Nel 1999 Mari scrive il Manifesto di Barcellona, in cui postula la necessità di ritornare
alla “tensione utopizzante delle origini del design” e sostiene che “l’etica è l’obiettivo di
ogni progetto”.2
Il designer è, secondo Mari, colui che realmente dà origine alla produzione e deve
produrre al servizio della società: è colui che funge da tramite attivo tra chi
materialmente realizza il prodotto (l’artigiano/industriale) e chi, poi, lo utilizza (la
società). La sua concezione di designer è legata a dei principi di responsabilità sociale,
prevede una figura produttiva che abbia una visione da proporre, che si metta a
disposizione per fornire idee di qualità e prodotti con “contenuti d’onestà progettuale”.
Il designer viene visto come ideale congiunzione di operatività estetiche, progettuali e
politiche atte al risveglio di una consapevolezza collettiva che ha bisogno di
riappropriarsi delle capacità critiche di lettura del presente.
Molti dei suoi progetti mirano a coinvolgere direttamente il fruitore per renderlo
partecipe e consapevole, oggetti implicitamente portatori di valori e promotori di
uguaglianza sociale.
Nel 1972 Mari pubblica un trattato dedicato all’auto progettazione: spiegando principi
strutturali di base e semplici operazioni di falegnameria, insegna come costruirsi da sé
i mobili con chiodi e rudimentali tavolette in legno. È un progetto anti-industriale con
dichiarate finalità sociali: “tutti debbono progettare per evitare di essere progettati”,
ribadendo la supremazia del progetto sull’oggetto, la cui qualità “dipende dal grado di
cambiamento culturale che innesca”.3
Sembra quasi i maker siano la realizzazione di tale visione.4
Inserzione che Mari ha fatto pubblicare sul
numero di aprile 2004 di Domus
(10)
Artigianato 2.0 p. 15Digital
fabrication
5
Digital fabrication
Un numero sempre maggiore di tecnologie stanno convergendo: algoritmi dei software
sempre più raffinati, nuovi materiali compositi e di sintesi, programmabili e a costi
accessibili, una serie di nuovi servizi basati sul web e su app telefoniche, e nuovi
processi di produzione robotizzata tra cui la fabbricazione additiva (meglio nota come
stampa 3D) e la produzione – non solo industriale – attraverso robot CNC (controllo
numerico).
Ecco perché parliamo di ‘digital fabrication’: ciascun oggetto, o parte di esso, è un ciclo
di lavoro a se stante, che abbandona completamente il concetto seriale. Ciascun
oggetto è figlio di un file 3D o di un percorso utensile digitale. Questo significa che
basterà cambiare i percorsi o il file nativo per ottenere immediatamente un oggetto
diverso, cosa che sarebbe impensabile in una linea di produzione tradizionale.
Le macchine a controllo numerico, tra cui le frese, il taglio laser, il taglio ad acqua, i
pantografi, gli antropomorfi, e, ultime arrivate, le stampanti 3D, rappresentano una
classe di prodotti inizialmente pensati per applicazioni industriali e via via –
esattamente come successo ai computer workstation – al decrescere dei costi di
acquisto e al miglioramento delle interfacce di controllo sono diventati strumenti
sempre più diffusi nell’artigianato, nelle piccole industrie e in service specializzati
nell’offrire servizi di ‘fabbricazione digitale’ direttamente al cliente finale (designer,
prototipi per l’industria, architetti, utilizzi in ambito medicale). La diffusione di
modellatori 3D gratuiti e semplici, negli ultimi anni, ha addirittura portato
all’esplosione del fenomeno della auto produzione da parte del cliente finale: gadget
per telefonini, piccola gioielleria, accessori, oggetti d’arte e forme iper complesse
vanno per la maggiore in tale ambito.
Il tutto a prezzi accessibili, tempi di produzione rapidissimi, e con l’enorme plusvalore
di poter dire ‘l’ho fatto io’: non a caso la comunità online parla di DIY - do it yourself
(“costruiscilo da solo”).
nasce l’open source relativo al software, da esso
trae ispirazione il concetto di opera libera, o
open content e si forma anche un nuovo
concetto di gestione del lavoro.
La differenza tra open software e open content
sta nel fatto che in un’opera di contenuti a
essere liberamente disponibile e utilizzabile non
è il codice sorgente del programma software che
li genera, ma i contenuti stessi: testi, immagini,
musica e video.
In entrambi i casi si rende necessaria una
regolamentazione legale universalmente
riconosciuta, in quanto tali attività sono parte
dello sviluppo della società contemporanea.
I maker sono intrinsecamente legati a tale
cultura dove la sfida creativa procede dagli
stessi concetti: per giungere a creare e inventare
occorre “metterci le mani”, poter operare ad
ogni livello entrando in merito al
funzionamento e approfondire la conoscenza
attraverso la condivisione e l’acquisizione
diretta di ciò che è stato fatto da altri, e del
modo in cui quanto ci si torva davanti è stato
costruito; dall’analisi e conoscenza
dell’esistente, alla proposta di innovazione.
È del 12 aprile 2012 l’atto di fondazione
dell’OSHWA, l’Open Source Hardware
Association, dove l’open source viene definito
come artefatti tangibili – macchine, strumenti o
altri oggetti fisici – il cui design viene rilasciato,
completo di documentazione di progetto
affinché chiunque sia in grado di costruire,
modificare, distribuire e usare l’oggetto stesso;
tale definizione costituisce la base per la
normazione di quelle che saranno le licenze
specifiche per l’Open Source Hardware.10
Stampante 3D open source auto prodotta (11)
Artigianato 2.0 p. 16DIY
6
DIY movement
Il grado di complessità formale raggiungibile dalle macchine di fabbricazione digitale è
ormai impressionante: molte delle parti che l’industria – con i metodi tradizionali – è
costretta a realizzare in più parti riassemblate tra loro possono essere realizzate
attraverso la fabbricazione additiva in un solo oggetto. Molto spesso gli oggetti
realizzati sono ottenibili esclusivamente con queste tecnologie. E succede addirittura
l’inverso: molti stampi per l’industria tradizionale sono realizzati utilizzando stampanti
3D per il metallo che offrono la possibilità di realizzare dei canali di raffreddamento a
vite altrimenti non ottenibili con nessun’altra tecnologia (i fori nei materiali, infatti,
possono essere realizzati solo dritti).
Inoltre l’offerta di ‘materiali digitali’ è sempre maggiore: i pezzi possono essere
trasparenti, elastici, gommosi, colorati, plastici, duri, ceramici, resistenti alle alte
temperature, biocompatibili, ad altissima precisione, in cera, leghe metalliche…
La comunità online si sta scatenando: molti artisti, designer, inventori, creativi, trovano
sfogo e finalmente un output accessibile tra mondo dal progettato e mondo del
realizzato. Ecco che cresce la comunità dei ‘maker’, di coloro che ‘fanno’ insomma,
che realizzano le proprie idee e magari le mettono in condivisione on-line offrendole
gratuitamente al mondo – o in cambio di una royalty – e con i file da qualunque parte
del mondo chiunque potrà realizzare una copia dell’oggetto presso un centro di
fabbricazione digitale.
L’artista digitale Daniel Widrig, tedesco di nascita e inglese di adozione, lavora da anni
come concept designer al fianco di Zaha Hadid: è uno degli esempi mozzafiato di
‘creatività digitale’. Widrig è tra i massimi esperti di Maya 3D – un modellatore
normalmente utilizzato per l’animazione video – con il quale crea forme altrimenti
impossibili da concepire, ispirate alla natura (organiche), fluenti. E spinge la sua
creatività a sfruttare al massimo le possibilità e le libertà formali che stampanti 3D e
frese a controllo numerico offrono. La complessità di gestione delle forme che riesce a
concepire sono di tale entità che la fabbricazione digitale risulta essere non solo
un’alternativa ma l’unica strada percorribile per poter vedere realizzati i suoi pezzi
delle meraviglie: sculture, grattacieli, gioielli, vestiti, lampade, panorami di
un’architettura fluida e visionaria, mattonelle, sedie…4
La comunità online si sta scatenando:
cresce la comunità dei ‘maker’, di coloro
che ‘fanno’, che realizzano le proprie
idee e le mettono in condivisione on-line,
offrendole gratuitamente al mondo
Arduino
-
Un esempio già molto significativo di open
source hardware e software è Arduino, la famosa
piattaforma per il physical computing.
Arduino ha una storia simile a quelle di GNU e
di Linux: Massimo Banzi insegnando
all’Interaction Design Institute di Ivrea spesso si
trovava a sentire le lamentele dei suoi studenti
perché non riuscivano a trovare un
microcontroller potente ma economico per
gestire i loro progetti artistici robotizzati; decise
di produrlo direttamente.
La voce si è diffusa fra i designer in tutto il
mondo e pochi mesi dopo sono giunti ordini per
centinaia di unità Arduino. Si è scoperto che
esisteva un mercato per questo genere di cose.
E ancora una volta… la società costituita per
distribuire Arduino presenta una particolarità: i
progetti sarebbero rimasti open source. Poiché la
legge sul copyright, che regola il software open
source, non è applicabile all’hardware, è stata
usata una licenza Creative Commons chiamata
Attribution Share Alike 2.5.
Chiunque è autorizzato a produrre copie della
scheda, a riprogettarla, o addirittura a vendere
schede che ne copiano il progetto. Non è
necessario pagare nessun diritto al gruppo
Arduino e nemmeno chiedere il permesso; se il
progetto di riferimento viene ripubblicato,
occorre dare il riconoscimento al gruppo
Artigianato 2.0 p. 17DIY
Ecco, quindi, come il rapporto creatore-produttore-cliente cambia completamente:
oggi l’industria accorpa le fasi di proposta creativa, progetta, costruisce e distribuisce
presso i punti vendita finali con un modello economico che distribuisce il costo
d’acquisto – all’inverso – tra negoziante, rappresentante, distributore e produttore.
Inoltre il modello tradizionale deve tener conto degli enormi costi di investimento in
stampi, attrezzamento linea di produzione, marketing e comunicazione del prodotto
che sono spalmati all’interno del costo d’acquisto all’acquirente, che, se paga 100 ha in
realtà un valore intrinseco in ‘prodotto’ non superiore al 15%.
Il nuovo modello re-distribuisce completamente queste percentuali: si esclude la
grande azienda, la distribuzione, il rincaro del negoziante, si eliminano i costi di
marketing e pubblicità, non esiste più magazzino, non si affronta alcun costo di stampi,
allestimento della catena di montaggio, packaging e trasporti: l’85% del prezzo è
quindi spalmato solo tra creatività e produzione.
Gli effetti sono evidenti: maggior valore intrinseco (compro per 100 un bene che ‘vale’
ben più del 15), possibilità di dare spazio a creativi che altrimenti non avrebbero
ascolto presso la grande industria, il cliente può anche essere il creativo di se stesso,
altissima personalizzazione del prodotto (dimensioni, colori, finiture, materiali),
soddisfacimento di bisogni troppo specifici per cui la grande produzione non
risponderebbe visti gli esigui numeri in ballo, e, addirittura, un modello di economia
‘localizzata’ che premia veramente i soggetti che ideano e producono, e non i soggetti
che ‘intermediano’ senza nulla aggiungere al valore finale: il risultato è anche nel
prezzo più vantaggioso per le tasche dell’acquirente finale.
Un ritorno a un modello di artigianalità, robotizzata, che potremmo definire
partecipata tra i produttori, i tecno artigiani, e gli ideatori, i creativi-digitali.
Arduino originale; se la scheda viene modificata
o cambiata, il progetto deve utilizzare la stessa
licenza Creative Commons o una simile, per
fare in modo che le nuove versioni della scheda
Arduino siano altrettanto libere e aperte.
L’unico elemento di proprietà intellettuale che
il gruppo si è riservato è stato il nome, che è
diventato il suo marchio di fabbrica. Se
qualcuno vuole vendere delle schede utilizzando
questo nome, deve pagare una commissione ad
Arduino.
In questo caso è Massimo Banzi stesso a
dichiarare i motivi di tale scelta, e si tratta
sempre del trade off legato alla creazione di una
community.
I geek entusiasti lo avrebbero hackerato e, come
i sostenitori di Linux, avrebbero cercato il
gruppo Arduino per offrire dei miglioramenti,
ispirando più interesse e ricevendo più
pubblicità gratuita di quanta ne avrebbe potuto
ottenere un pezzo di hardware chiuso e
proprietario. Il gruppo Arduino avrebbe tratto
vantaggio da tutto questo lavoro gratuito, e ogni
generazione della scheda sarebbe migliorata.
Il lavoro comune, inoltre, risultava stimolato
dalla sempre maggior diffusione di strumenti
economici per la lettura dei chip che consentono
di re-ingegnerizzare quasi tutto, dall’elettronica
che si può acquistare online a prezzi che
continuano a calare, da riviste di DIY - do it
yourself (“costruiscilo da solo”) come Make, e
da siti come Instructables.5
Trattandosi di hardware, in ogni caso, il gruppo
Arduino sostiene un costo per le schede che
distribuisce e ne ha un guadagno, ma se altri le
producono a un costo inferiore… si torna alla
logica di mercato classica.
Attualmente la risposta a questo è che
comunque esiste un vantaggio enorme
nell’essere tra i primi a sentire parlare di
miglioramenti interessanti o di utilizzi
innovativi ed è questa conoscenza a diventare la
risorsa più preziosa, attraverso cui poter trarre
dei guadagni; chiaro che occorre mantenersi
all’avanguardia.11
Progetti in vendita online: designer e maker si
alleano
(12)
Artigianato 2.0 p. 18Nuovi
artigiani
7
Nuovi artigiani
Dov’è allora la rivoluzione rispetto all’artigianato tradizionale che sta sparendo dal
tessuto metropolitano?
Il ‘fare’ dell’artigiano tradizionale è tipicamente legato a un concetto di ‘bottega’:
possesso geloso delle conoscenze, ristretto gruppo di lavoro, tecnologie e spazi
limitati, attrezzatura principalmente da banco o manuale, uso personale ed esclusivo
degli strumenti, tempi di attesa medio-lunghi e corrispondenza del lavoro tra progetto
e prodotto finito quasi mai precisa, finiture legate alla tradizione e alle capacità
dell’artigiano, alla sua ‘scola‘ e alla tradizione locale.
Il tecno artigianato diffonde i progetti a livello globale e la produzione a livello locale,
scambia idee, tecniche, trucchi e consigli sui blog, sui portali dei service e sulle pagine
online dei creativi, le macchine arrivano a essere addirittura noleggiate al cliente, come
fossero una fotocopiatrice, si accorciano fortemente i tempi e la differenza tra progetto
e oggetto è nell’ordine di decimi di millimetro, i prodotti perdono il valore superficiale
del brand e acquistano quello intrinseco del custom made.
Come si promuovono allora i tecno artigiani, i creativi, i service di produzione?
Ovviamente online, ma anche attraverso incontri reali tra appassionati e produttori
locali che organizzano open aperitivi-workshop, giornate di open lab, negozi online di
produzioni proprie, librerie di progetti con download a pagamento, blog tematici… e in
ciascuno di questi casi è l’ordine del cliente finale a dare il via alla produzione: vale per
un tavolo di un giovane designer (fresato in due ore con una CNC) come per un libro di
un autore sconosciuto (stampato in 20 minuti), per un gioiello su disegno (stampato
in 3 ore a cera e colato in oro) o per una scala di un architetto (tagliata ad acqua e
montata in cantiere il giorno dopo), per una camicia su misura (tagliata al laser e
confezionata poi con sistemi tradizionali) come per i nuovi sistemi di implantologia
guidata per gli impianti dentari (realizzati su misura per ogni paziente partendo dai
Artigianato 2.0 p. 19Nuovi
artigiani
dati digitali ottenuti dalla sua tac), per un grafico/illustratore che offre online i suoi
disegni (e chiunque può ordinarli facendoli stampare su Tshirt, lenzuola del letto, tela
di un quadro o addirittura su una porta di casa) o un chitarrista (che potrà finalmente
realizzare la chitarra che ha sempre sognato e che il costo di un liutaio non rendeva
possibile)…
Aumenta la consapevolezza del consumatore, che risponde ai suoi bisogni e vere
necessità più che a dei bisogni indotti dalla comunicazione, si dà spazio alla creatività
e all’innovazione, che non è costretta e limitata dalle leggi di mercato, dai vincoli di
produzione e dallo scoglio dell’investimento della catena di produzione, si diffondono
le piccole e grandi soluzioni geniali, spesso intuizioni dei milioni di piccoli che risolvono
milioni di piccole necessità più che delle poche grandi aziende che rispondono con
modelli più standardizzati – per ovvio bisogno di produzione in larga scala – a
necessità generali e della maggioranza.
Il nuovo artigiano, il tecno artigiano, è principalmente un supervisore, non ha una
particolare manualità, ha una forte conoscenza software-hardware, conosce i materiali
innovativi, i limiti e le tolleranze dei robot, delle macchine, ha una base di
programmazione, è un ‘animale digitale’ a tutto tondo, è un self promoter con
attitudine alla comunicazione alla condivisione.
È proprio dal punto di vista culturale – probabilmente – il più grande salto che un
artigiano, o un’azienda artigiana, dovrà affrontare, a patto di volerlo davvero; il salto
di riconversione: lo chiamiamo digital-divide.
Monika Wittig, direttrice gruppo di ricerca e formazione LaN - Live Architecture
Network, gira per il mondo insieme ai suoi colleghi per istituti di ricerca, università,
scuole e associazioni professionali organizzando workshop teorici e pratici on-site, per
colmare questo ‘gap’ formativo e diffondere la cultura della fabbricazione digitale,
della condivisione dei progetti, della rete delle conoscenze e dell’accesso per neofiti
all’hardware di produzione.
Monika è architetto di formazione, ha sposato le tecnologie di produzione digitale per
sperimentare nuovi linguaggi e tecnologie per le facciate di alcuni palazzi, sfida i suoi
studenti a sfruttare le curve derivate dai dati raccolti da un GPS che traccia il suo
Economia
partecipativa
-
Le dinamiche economiche sono uno degli
aspetti che vengono fortemente messi in
discussioni e rinnovati online; alcune di queste
dinamiche sono già state toccate in precedenza,
essendo parti fondanti dell’etica della
collaborazione open source.
L’economista Loretta Napoleoni, coniando il
neologismo “pop-economy”12
, mette in rilievo
alcuni ulteriori aspetti utili a definire il contesto
dello smart artigianato, sempre originati dai
nuovi modi di relazione tra individui legati alla
condivisione e alla formazione di comunità
unite da interessi convergenti.
La pop economy o economia partecipativa è un
modo nuovo di concepire l’economia e il
mercato a partire da scelte etiche dei singoli che
fanno leva sui concetti di scambio, prestito e
mutuo soccorso, e allo stesso tempo esaudiscono
le esigenze di sostenibilità, evitando sprechi e
avvicinandosi a uno stile di vita meno
consumista e artificialmente legato al possesso
dei beni, sulla linea del downshifting o
decrescita felice.
La pop economy nasce dal basso come altra
economia possibile e si propaga viralmente
attraverso il web: persone che quando hanno un
bisogno o un problema, per prima cosa vanno
online a vedere se c’è qualcuno che si trova in
una situazione simile. Attraverso le dinamiche
dei social network, sempre più specifici e rivolti
a comunità di interessi, è semplice, poi, entrare
in contatto e trovare modi per affrontare insieme
il problema, spesso senza spendere soldi13
, o
spendendone il meno possibile, o seguendo un
Workshop presso l’azienda produttrice: la
possibilità di gestire forme altamente complesse
diventa realtà
(13)
Artigianato 2.0 p. 20Nuovi
artigiani
modello di fruizione partecipata del servizio
(solo quando serve).
Internet rende possibile allargare la società in
cui si vive e, quindi, è più semplice trovare con
chi condividere i propri interessi e i valori alla
base di alcune scelte: basti pensare a servizi
come car e bike sharing, per cui una buona
gestione del servizio online, ad esempio per
rendere possibile la verifica della disponibilità
dei mezzi, del traffico e simili, diventa un
discrimine tale da fare la differenza tra un
servizio usabile e usato o meno.
Spesso, poi, l’uso del web diventa un modo di
organizzare e gestire attività che, invece, si
svolgono a livello locale come i GAS, i gruppi di
acquisto solidale per disintermediare il rapporto
produttore consumatore e per scegliere
consapevolmente cosa acquistare, e la BDT,
banca del tempo, dove ciascun socio mette a
disposizione un tot di ore per dare a un altro
socio una certa competenza e diventa, così,
creditore di quel tot di ore per altre attività di
cui potrebbe aver bisogno, senza scambi di
denaro.14
Rientra in tale ambito di collaborazione e
condivisione di valori anche l’importante
fenomeno del crowdfunding, dall’inglese crowd,
folla e funding, finanziamento: finanziamento
collettivo. Il termine deriva, a sua volta da
crowdsourcing, crowd e outsourcing,
esternalizzazione: attività partecipative in cui
gli utenti di una piattaforma contribuiscono
direttamente alla creazione di contenuti ecc….
Il crowdfunding è un processo di finanziamento
“dal basso”: attraverso piattaforme web vengono
proposti progetti che necessitano di fondi per
essere sviluppati, e, in genere viene dichiarata
anche una cifra indicativa, sta agli utenti della
piattaforma valutare il progetto e decidere se e
per quanto danaro finanziarlo; la comunità di
interessi, in questo caso, non è tale da
consentire una partecipazione con la propria
attività diretta, ma si condivide tanto un’idea
da volerla vedere realizzata e da essere, quindi,
disposti a sostenerla.15
cammino in Perù e ci mostra come da un bancale di gomma rigenerata si possa creare
un modulo ‘parametrico’ in grado di adattarsi immediatamente a qualunque forma
venga applicato. Ed è sorprendente ammirare i lavori dei ragazzi che dopo appena 3
giorni di corso sono in grado di gestire – seppur assisti – un taglio laser o un controllo
numerico. I workshop sono sempre più numerosi e spaziano dall’uso dei modellatori
3D (Rhinoceros, con le sue varie plug-in, è al momento il più diffuso), ai corsi per
imparare a programmare le macchine, da quelli per gestire un taglio laser a quelli per
auto costruirsi una stampante 3D.5
Di converso, però, un creatore digitale non potrà mai affrontare la ‘materia reale’,
quella insomma che risponde alle leggi della fisica e non dei bit, senza una buona
esperienza di produzione classica e in questo necessita di punti di incontro con
l’artigianato classico; la nuova figura è senza dubbio una figura ibrida con una
conoscenza profonda e trasversale, ad ampio raggio, la cui formazione ad oggi ancora
non trova una vera offerta didattica nel mondo della formazione accademica, nelle
scuole o in aziende ad hoc.
È proprio dal punto di vista culturale –
probabilmente – il più grande salto che
un artigiano, o un’azienda artigiana,
dovrà affrontare, a patto di volerlo
davvero; il salto di riconversione: lo
chiamiamo digital-divide
Artigianato 2.0 p. 21Rivoluzione
industriale
8
La terza rivoluzione industriale
Gli ingredienti ci sono tutti: economie diffuse in scala locale, personalizzazione,
condivisione, fattibilità di produzione, distribuzione equa dei meriti progettuali,
vastissima scelta delle soluzioni, infiniti ambiti di applicazione, il cliente non è
solamente l’acquirente ma parte integrante del processo creativo/realizzativo, il nuovo
modello economico che re-distribuisce in modo più equo il valore e ne aggiunge di
nuovo, intrinseco.
Qualcuno parla di terza rivoluzione industriale, qualcuno immagina scenari in cui
spariranno le aziende per come le immaginiamo oggi, qualcuno vede automobili
stampate in 3D, parti di ricambio e ossa umane realizzate on demand, c’è chi vede in
questo l’unica grande risposta alla massificazione dei consumi e alla de-localizzazione
insostenibile delle produzioni verso l’Oriente, chi intuisce che tra poco la società dei
beni sarà rivoltata dal basso, dove la televisione perde a vantaggio di youtube e dei
video auto prodotti, il mondo dell’editoria cartacea vive una crisi da cui lentamente
cerca di uscire trovando nuovi spazi on line, dove la produzione, schiacciata dalla
grande distribuzione che detta una legge di mercato obsoleta in un mercato in crisi e a
vantaggio di una finanza basata sugli algoritmi e completamente scissa dalla realtà,
trova nuovi modelli. Anche la politica, fino ad ora poco capace di reagire e interpretare
i nuovi trend, potrebbe operare in modo davvero innovativo sostenendo questa ‘nuova
rivoluzione’, come alternativa di offerta occupazionale e produttiva capace di aiutare
giovani, nuove idee e nuove imprese.
Aggregazioni parametriche di geometrie, pattern
e percorsi utensile creano nuovi linguaggi per
l’architettura
(14)
Artigianato 2.0 p. 23Conclusioni
Una delle riviste più attente ai nuovi fenomeni in fermento è City Vision6
, un magazine
integrato con un blog e un sito frequentatissimo, tiene a precisare il suo art director
Francesco Lipari – siciliano, romano di adozione – un progetto di business editoriale
che mira a distribuire la versione cartacea come free-press ma si finanzia soprattutto
con l’organizzazione di eventi, co-marketing e concorsi.
Di taglio radicalmente indipendente e aperto ai contributi da tutto il mondo: un centro
di ricerca di architettura indipendente nato per far dialogare l’attuale città
contemporanea con la sua immagine futura, per riposizionare il ruolo del (giovane)
architetto all’interno della responsabilità sociale che gioca la progettazione degli
ambienti e degli edifici nel contesto della ‘civitas’ e delle mura domestiche.
Un mezzo per esplorare la realtà e il
futuro della progettazione, anche
attraverso le nuove tecnologie di
progettazione condivisa (codesigning),
l’applicazione di nuovi linguaggi formali,
l’uso di nuovi materiali, la
sperimentazione di nuovi criteri
distribuitivi degli spazi: insomma
apertamente critici verso l’architettura
standardizzata e socialmente superata
degli imprenditori edili seriali.
Intervistep.25
Cesare
Castelli
Cesare Castelli, quarta generazione di
imprenditori nel campo dell’arredo, lavora nel
gruppo Artemide (in quel periodo, anni 80,
oltre alla capogruppo, Memphis, Alias, Reglar)
come assistente del presidente,
successivamente nel consiglio
d’amministrazione dell’allora azienda di
famiglia Castelli e responsabile vendite Italia
di Castilia.
Nel 1990 fonda Domodinamica con Denis
Santachiara e nel 1994 inizia il suo sodalizio di
vita e di lavoro nel campo del design con
Maria Christina Hamel, dal 1995 al 1997 è
consulente per Haas 1821, dal 1999 al 2003 è
responsabile per la ricerca di prodotto e della
vendita del reparto casa presso Fiorucci.
Numerosissime le consulenze insieme a Maria
Christina per aziende italiane ed estere in tutti
i campi del design.
Nel 2011 con Alessandro Mendini fonda
Milano si auto produce design (MISIAD),
associazione per il rilancio delle auto
produzioni di design, di cui è il primo
presidente; da poco, con Alessandro Guerriero
e Alessandro Mendini, ha fondato Tam Tam la
prima scuola di filosofia della creatività legata
al sociale.
La sua esperienza con Milanosiautoproduce,
insieme al manifesto per l’artigiano digitale,
sposano in pieno il tema che nel paper
definiamo come Artigianato 2.0. Ci vuole
introdurre il suo progetto?
L’Associazione milanosiautoproduce nasce
dall’esigenza di mettere in rete le capacità auto
produttive che sono presenti sul territorio. Durante
la campagna elettorale del sindaco Pisapia
abbiamo raccolto diverse istanze che si sono
manifestate in tal senso e, insieme ai cugini
Agnoletto, abbiamo chiesto ad Alessandro
Mendini cosa ne pensasse, a lui sembrava una
buona idea e se ne è fatto promotore.
Adesso l’associazione conta 300 associati in
continua crescita e si rivolge a quel tessuto
produttivo artigianale, ma non solo artigianale,
legato al mondo del design, al mondo del fare e
del concepire, del costruire e del produrre
direttamente tutto ciò che riguarda un progetto.
Considerando la mostra realizzata presso la
Fabbrica del Vapore durante il Salone del
mobile 2012, quali sarebbero le tendenze
emerse?
La mostra è stata un vero e proprio censimento
rivolto a queste capacità auto produttive che ha
messo insieme famosi e non famosi, giovani e
vecchi, dai sedici a più che ottantenni, molte
donne… e la manifestazione ha avuto un discreto
successo.
Quale è la sua definizione di maker? Come li
pone in rapporto all’artigianato o al
designer?
Vedo il maker come una figura tra l’intermediario
e il facilitatore che consente di segnalare delle
situazioni, persone, attività o prodotti che sono
meritevoli di attenzione. Una associazione di
maker, come la nostra, ha la funzione di dare
strumenti agli auto produttori e fornire
informazioni a chi vuole avvicinarsi a tale realtà
anche da altri ambiti, e anche di influire su tali
attività per mettere tutti in grado di scegliere tra
un paniere di possibilità con le quali noi siamo
direttamente connessi.
Quali sono a suo avviso le possibilità di
sviluppo di questo fenomeno, anche da un
punto di vista di espansione commerciale /
industriale?
Questo è proprio il punto principale per questa
situazione: bisogna partire dal fatto che auto
produttori e artigiani auto produttori o lo si nasce
– sono tanti ma non sono in numero prevalente, e
vanno difesi in quanto parte delle famose
eccellenze italiane spesso trascurate – o lo si
diventa per scelte o per necessità visto che
sappiamo che oggi, soprattuto nella fascia sopra i
cinquant’anni si viene sempre più spesso espulsi
dal processo produttivo tradizionale. Noi abbiamo
notato che molti auto produttori vengono da
esperienze di lavori anche molto importanti legati
ad ambiti di architettura o di aziende di
produzione e si sono re-inventati in questa loro
attività.
Tra gli auto produttori della nostra associazione
c’è una forte presenza di donne e questo dimostra
l’importanza di questo settore perché le donne
sono sempre state un po’ discriminate nel settore
del design, e, quindi, sono le prime auto produttrici
anche organizzate su livelli importanti qui in
Italia, in particolare a livello commerciale. Si tratta
di fare rete per consentire a piccoli imprenditori di
presentarsi in fiere e manifestazioni varie sempre
di carattere commerciale e d’altra parte di usare
l’associazione come strumento per attivare
possibilità che potrebbero risultare molto
importanti per tali realtà, come, ad esempio, il
micro credito; purtroppo il momento contingente
rende tutto più difficoltoso.
milanosiautoproducedesign.com
Questo modo di produzione potrebbe
essere il nuovo modo di declinare il
design made in Italy? Quali sono i punti
di contatto e di distacco tra tali attività e
il made in Italy classico?
A mio avviso non c’è alcun distacco o
conflitto, l’auto produzione permette di
riprendere quello che era il discorso virtuoso
del design italiano che ha avuto i suoi
momenti più importanti a partire dagli anni
‘50 e a cavallo degli anni ‘60 e ‘70 del
Novecento spesso basandosi sul binomio
importantissimo tra imprenditore e
progettista ha fatto nascere tutte le
eccellenze che conosciamo del made in Italy.
Procedendo nel tempo con nuovi modelli di
relazioni, sviluppo e lavoro, purtroppo, questo
modello è andato in crisi; in particolare perché
non c’è stato un ricambio generazionale nel
mondo dell’imprenditoria e che ha
comportato, dal punto di vista progettuale
una minor attenzione al progetto. Questo
insieme a tanti aspetti esogeni rispetto al
design, ha procurato anche una crisi di
vocazioni e comunque di capacità
progettuale.
Il mondo dell’auto produzione aiuta secondo
me a far rinascere quella modalità, non quel
binomio, perché la parte imprenditoriale
ormai non c’è più nel modo in cui esisteva in
quegli anni: la mancanza dal lato
imprenditoriale dell’industria viene sopperita
direttamente dal progettista che con l’auto
produzione può permettersi di esprimere tutto
se stesso esattamente come vuole e fuori
dagli schemi industriali e da quelle dinamiche.
Pellegrino
Cucciniello
Direttore del laboratorio di fabbricazione
digitale di Solido3D.
Dicendo ‘artigiano’ e ‘artigiano 2,0’ cosa le
viene in mente?
Vedo una versione classica dell’artigiano da una
parte, con un bagaglio del saper fare accumulato
in una vita di esperienza e tradizione e che riporta
nei suoi manufatti in modo ‘unico’.
L’artigiano digitale ha competenze
completamente diverse, la sua manualità è
delegata alle macchine ma al contempo gestisce
un pacchetto software impressionante, controlla
la fattibilità dei progetti ed offre consulenza di
co-design con il cliente, gestisce le scelte delle
‘strategiche’ dei robot e soprattutto una scelta
materiali e finiture enorme: non a caso parliamo
di materialoteche a disposizione del progetto.
Altrimenti l’intero processo si ridurrebbe ad un
mero trasferimento da digitale a fisico.
Chi sono i suoi clienti? Cosa li accomuna e
cosa li distingue tra loro?
I nostri clienti sono aziende, designer, singoli
progettisti, artisti, inventori, creativi in genere,
ingegneri, architetti.
Li distingue la capacità di gestire la complessità di
un progetto finito, tridimensionale: i creativi, con
una formazione meno tecnica alle spalle, hanno
bisogno di essere seguiti ed aiutati nel loro
processo progettuale esecutivo, anche se hanno
perfettamente in mente come vorrebbero veder
finito il pezzo.
Tutti vogliono soddisfare il loro bisogno di tradurre
in materia ‘fisica’ le loro idee, rapidamente e
fedelmente rispetto al progetto: la soddisfazione
di toccare le proprie creazioni intellettuali non ha
confronto con i beni acquistabili in negozio!
Come vede il futuro dei maker tra 5 anni?
Vedo un ampliamento dell’offerta tecnologica,
vedo la sperimentazione di un nostro Tech Shop
aperto come una palestra, vedo nuovi servizi
innovativi di personalizzazione e produzione di
oggettistica ed arredamento con interfaccia
completamente web, vedo nuove e migliori
macchine open source sbarcare anche in
laboratori professionali come il nostro.
Cosa ne pensa della localizzazione della
produzione in rapporto alla globalizzazione
dei progetti consentita dal web ?
Già oggi il nostro mercato è scollegato
geograficamente dalle nostre sedi operative: il
www.solido3d.it
92% dei nostri clienti non ci ha mai incontrato
personalmente e di questo circa il 40% di quello
che produciamo è esportato in Europa.
In base alla sua esperienza, quali sono le
tecnologie che avranno maggior attenzione
nel prossimo futuro?
Noi lavoriamo da dodici anni con la prototipazione
rapida, certamente le stampanti 3D stanno
trovando una grande attenzione nel pubblico
consumer per dare vita a piccoli gadget ed
accessori. Il taglio laser e la fresa CNC, anche per
la loro facilità di progettazione (non richiedono
file 3D), trovano un grande riscontro tra i giovani
creativi per la possibilità di lavorare a basso costo
materiali molto interessanti come plastiche,
trasparenti, legno, compositi, alluminio...
Che figura è - oggi - un maker?
Oggi cerchiamo figure professionali trasversali,
ottimi modellatori 3D, un discreto senso del
progetto nel suo complesso, buona conoscenza dei
nuovi materiali e moltissima pratica in laboratorio.
Formare un laureato in architettura o ingegneria,
con discrete skills manuali, richiede tra i due e i
quattro anni.
Per non parlare di chi poi intende intraprendere la
professione dal punto di vista imprenditoriale: per
noi, che stampiamo in 3D decine di pezzi al giorno
e programmiamo i percorsi utensile, ancora riesce
ostico comprendere e gestire la parte
amministrativa… il nostro maker si chiama
commercialista infatti!
Intervistep.27
Francesco Lipari e
Marco Arciero
Art director e direttore marketing del free
magazine CityVision
Come magazine siete osservatori di un
nuovo trend che coinvolge architettura,
design, comunicazione: i vostri inserzionisti
sono vostri simili in termini di modello di
business (es. mancraft), siete auto prodotti,
non avete un gruppo editoriale alle spalle,
come vi finanziate?
Si, siamo assolutamente indipendenti.
CityVision in realtà è molto più di un magazine
free press. E’ un complesso modello che fonde
architettura, economia e sociale basato su tre
progetti paralleli: Competitions, Magazine e
Projects (eventi).
Ogni quattro mesi organizziamo un evento che
racconta l’attività del gruppo, presentando la
nuova uscita del magazine (quadrimestrale),
introducendo o premiando i vincitori del concorso
annuale e dando alla città la possibilità di
partecipare ad incontri con architetti di nicchia ed
argomenti che l’università non osa nemmeno
toccare (architettura parametrica e ricerca): il
tutto offrendo una visibilità nuova, diversa, ai
nostri partners (inserzionisti).
Con CityVision ci inseriamo in un tessuto culturale
complesso e radicato. Attraverso le 5 mila copie
del cartaceo e, tra sito web del mag e di
competition, raggiungiamo il milione di contatti
unici.
Come decidete il tema del concorso?
Di ogni città teniamo ad immaginare il sistema
futuro: le startup di roma, i tre strati di venezia, il
domani che non si è concretizzato applicato alla
città di New York. La prossima sarà quasi
sicuramente Beijing.
Se pensiamo al tessuto della città come ad
un flusso di persone, dicendo ‘artigianato’
cosa vi viene in mente?
Mi viene in mente un’età, 60 anni, una bottega
che scompare, gli artigiani. Poi un pub o una
saracinesca chiusa al suo posto e un bagaglio
culturale che si dissolve: loro erano i veri maker,
detentori di un sapere che rischiamo di perdere.
Le abitudini delle precedenti generazioni, come
apprezzare i lavori più semplici non sono
assolutamente parte delle nuove.
Permettimi un esempio: l’impossibilità per le
nuove generazioni di fare un’associazione
funzionale tra una matita ed una cassetta
musicale esprime perfettamente il digital divide
tra il nostro che è un approccio analogico-digitale
e il loro del tutto digitale.
Mercato in crisi: come vedi il panorama
italiano?
La competizione ha raggiunto dei modelli
ultrasofisticati, il modello-mercato italiano dovrà
fare un grosso salto di fiducia e sposare un
concetto ad alto contenuto cooperativo/
collaboativo, ma ad oggi sembra essere ancora un
miraggio. Assistiamo ad esperienze positive
all’estero ma vediamo molto criticamente il
tessuto italiano, sicuramente le startup faticano di
fronte all’immobilismo della politica, l’incapacità
di valutare nuovi progetti, nuovi bandi che non
decollano, la prova quotidiana di vedere persone
che non meritano avanzare al tuo posto.
I nuovi artigiani: qual’è il loro futuro?
Il tessuto-modello italiano dovrà fare un grosso
salto per rilanciare il nuovo artigianato, che sarà
scisso rispetto al tessuto urbano. Saranno centri di
produzione anche dislocati in campagna, il
rapporto diretto col cliente non sarà prevalente,
anzi, il risparmio dovuto al decentramento sarà
uno dei maggiori risparmi complessivi. Anche se
in italia è difficile concepire un modello
completamente dissociato dal rapporto diretto, il
fattore umano e diretto è ancora un elemento
storico fortemente radicato nella nostra cultura e
a testimonianza di questo c’è un dato molto
semplice: alcuni dei direttori marketing più
importanti a livello internazionale (vedi
Wolkswagen o Unilever) sono italiani.
Cosa comprereste da un tecno artigiano?
Forse non ancora il cibo, anche se adesso
addirittura lo stampano da modelli 3D, molti altri
prodotti senza problema, siamo in fondo una
società che sta metodicamente imparando a
comparare i prezzi finalmente e ad investire in
servizi di consegna. Il fattore successo sarà la
credibilità, il rating dei clienti e degli utenti. E
sicuramente dovremo cercare la soluzione per
colmare l’esperienza diretta come quella tattile
verso un tessuto per una camicia generato
parametricamente o la scelta di un’essenza di
legno per un nuovo mobile fresato con una CNC.
Ultima: come vedete CityVision tra 5 anni?
Vediamo il coinvolgimento di una rete di città, la
rete dei nostri contatti che creano delle piccole
comunità locali, che diffondano la cultura della
contemporaneità, che diffondano la cultura
dell’incontro che rimane un valore
insostituibile e che dimostri il grande equivoco
dell’immaginario anni ‘90, del futuro
tecnologico dissociato robotizzato e
catastrofico. Oggi l’unico nemico rimane il
soggetto pubblico, completamente assente,
col quale condivideremmo volentieri le oltre
500 idee progettuali che abbiamo nel
cassetto: magari non tutte attuabili
nell’immediato ma disponibili già domattina.
www.cityvision-mag.com
Giordana
Naccari
Giordana Naccari, esperta in vetro di Murano.
Nata sull’isola, da sempre ha vissuto in stretto
contatto con la realtà delle fornaci (in famiglia
sono diversi i maestri vetrai, rigorosamente
solo uomini) e appassionata dell’arte e del
vetro. Le vengono spesso richieste
consulenze, sia sui vetri d’epoca (per mostre e
archivi) che come tramite tra creativi e
maestri… e nessun amante del vetro non
frequenta, almeno per farsi l’occhio, il suo
negozio in centro città.
Ci può raccontare come è cambiato negli
ultimi anni il rapporto tra artigianato e
industria a Murano?
La lavorazione industriale è presente a Murano in
rare realtà, per la maggior parte la produzione
rimane artigianale e artistica.
Come era la situazione di bottega classica a
Murano?
Le aziende vetrarie di alto o medio livello e anche
le piccole botteghe artigiane vivevano
sostanzialmente dei loro prodotti artistici,
considerati molo pregiati in tutti i Paesi che
intrattenevano rapporti commerciali con Venezia
e, fin da tempi remoti, a prescindere dalla
dimensione della produzione, la loro arte veniva
esportata sotto forma di vari oggetti d’uso e non,
già costosi all’epoca.
Quanto durava l’apprendistato?
L’apprendistato cominciava in giovanissima età, a
volte prima dei dodici anni, questo permetteva un
apprendimento da parte dei giovani lento e
incisivo, e rendeva possibile che un semplice
garzone diventasse maestro ancora in giovane
età, malgrado il metodo per imparare questo
lavoro sia molto lento: prima occorre incamerare
visivamente le fasi di lavorazione, fino a
intenderne la tecnica, e solo successivamente si
passa all’azione manualmente.
Potrei citare le parole di Gianni Seguso che ricorda
i propri esordi a fianco del padre: “Ho avuto la
fortuna di crescere professionalmente con lui, che
sapeva fare tutto, basti pensare che diventò
Maestro di bicchieri a soli sedici anni. Nella
maturità realizzava ogni sorta di oggetto, incluse
le sculture in vetro su disegno di celebri artisti, ma
soprattutto splendidi lampadari”.
E adesso? Perché diventa sempre più difficile
per i maestri avere dei giovani cui insegnare
il mestiere?
Oggi i giovani studiano almeno fino al liceo e,
www.negoxi.it/fr/da-ca-foscari-a-ca-
rezzonico/l-angolo-del-passato
quando entrano in questo lavoro, hanno già perso
l’umiltà fanciullesca che consente di avere verso il
maestro quel rispetto necessario per riconoscerlo
come tutore, inoltre, essendo più grandi, spesso
sono meno ricettivi, se non supportati da una
reale passione, nell’apprendere un lavoro che è
anche duro.
Per questa materia, in ogni caso, considerando che
servono oltre dieci anni di esperienza per definirsi
un “ maestrino” vetraio, non è poi molto facile
avere ricambio nelle vecchie generazioni.
Quale è il valore dell’esperienza di un
maestro? Quale era secondo la Repubblica?
Il valore del maestro vetraio è quello di ogni
soggetto in grado di trasmettere un’arte prima che
un mestiere
Quello che da sempre nella storia ha reso possibile
un’evoluzione, esattamente come in architettura,
è la conoscenza del passato che permette di
evolversi e l’esperienza del maestro è ciò che
rende possibile la continuità tra passato e
presente.
Anticamente le maestranze erano considerate ad
un alto livello: basti pensare che i Muranesi
godevano di un premio elargito dal Doge
esclusivamente ai vetrai che consisteva in una
speciale moneta d’oro chiamata ‘osella’ (dal
veneziano osèl, “uccello”), perché in origine la
Zecca della Repubblica le emise in sostituzione del
dono delle 5 anatre palustri e veniva coniata nel
periodo della migrazione dalla laguna.
Come si potrebbe trovare una soluzione a
Murano per offrire opportunità ai giovani
senza che questo diventi insostenibile per gli
artigiani?
Bisognerebbe lavorare sull’abbassamento dei costi
di produzione, riducendo gli sprechi e non la
qualità. Un’idea potrebbe essere quella di
cominciare dal recupero dell’energia che viene
sprigionata in ogni singolo forno dalla
combustione per la fusione del vetro, per 24 ore al
giorno per circa 11 mesi l’anno.
In questo modo si potrebbero ridurre le spese vive
per investire in ricerca e sull’istruzione dei giovani
apprendisti; la situazione attuale, con un costo
orario che va oltre i 500 euro, non consente
alI’azienda di non produrre.
Ciò che più penalizza Murano, anche per creare
interesse nei giovani, è la cattiva pubblicità
derivante dalle imitazioni spacciate per Murano
che vengono proposte nell’isola e in Venezia
stessa, nonché le attività commerciali che si
avvalgono di finte dimostrazioni e rappresentano
l’arte nel modo più sbagliato, consegnando la
nostra storia nel gesto di un “cavallino” fatto per
soddisfare il turista. La mancanza della nostra
forza è che non esiste un brand “Murano”, ma solo
un’origine Murano.
La mia esperienza come commerciante di vetro
d’antiquariato rende piuttosto ovvio che la mia
clientela è di appassionati che conoscono e
apprezzano il vetro artistico di Murano, ma la
maggior parte delle persone non riconoscono la
differenza con il vetro fatto altrove e possono
anche associare la nostra arte con il prodotto
mediocre; il rafforzamento e la tutela del marchio
potrebbe quindi essere fondamentale per questo
da vari anni le vere fabbriche muranesi hanno
costituito un consorzio per il marchio a garanzia:
Vetro Artistico di Murano.
Alcune tecniche di lavorazione del vetro, nel
tempo, sono state bandite in quanto
pericolose, saprebbe raccontarci casi in cui
l’esperienza o l’invenzione hanno sopperito
scoprendo modi non nocivi di ottenere
risultati simili? Qualche esempio?
Per quanto riguarda le tecniche bandite nella
storia, già in passato, si sono presentati casi simili,
ad esempio la fine della specchiatura a piombo
bandita dai primi del ‘900 e sostituita con la
specchiatura ad argento.
Murano ha sempre saputo e saprà trovare delle
soluzioni, ciò che più conterebbe sarebbe prendere
coscienza del valore delle risorse umane legate ai
mestieri artistici e farne un’icona di un prodotto
che non ha pari
in altri luoghi visto che ha fatto scuola a quasi
tutte le manifatture nel campo, anche quelle
Intervistep.29
straniere, che però, attualmente godono di brand
che dettano legge nel mercato.
Cosa ritiene sia specifico del made in Italy
nell’esperienza di Murano?
Ritengo che sia il made in Italy ad avvalersi
dell’esperienza e del prodotto Murano e non
viceversa.
Conosce il fenomeno dei maker e dell’auto
produzione? Come funziona la
prototipazione a Murano?
Conosco il fenomeno, per le fornaci rimane pur
sempre necessario sperimentare sul campo e con
la materia; è ciò che fanno i veri maestri quando
viene chiesto loro di realizzare prototipi per un
oggetto su richiesta, una parte delle difficoltà è
data dall’imprevedibilità della materia stessa.
Ci potrebbe raccontare qualche esperienza
di pezzi prodotti ad hoc?
La mia esperienza in questo senso si basa sui
lavori che artisti e designer mi sottopongono;
ormai da anni e con successo.
Per questo genere di richieste lavoro insieme
all’abilissimo maestro Gianni Seguso, e
all’omonima azienda, per realizzare oggetti d’arte
come i Fiori immaginari di Xiao Fan Ru o i Cocò de
mer di Marie Laure De Villepin, o lampadari
particolari fatti su misura come abiti sartoriali.
Partendo dallo sviluppo grafico, passando per la
realizzazione del prototipo fino all’oggetto finale,
in un percorso in cui l’azienda mette a
disposizione tutta l’esperienza e la capacità
acquisita in varie generazioni di maestri, dando
vita a incredibili opere d’arte. Non è facile, però,
trovare un maestro che come Gianni Seguso è
disposto a spendere il suo sapere sperimentando
per venire incontro alle esigenze del progetto,
anche innamorandosi di lavori all’apparenza
impossibili.
Andrea
Patrucco
Andrea Patrucco si definisce un artigiano
specializzato nel taglio e nella scultura a
controllo numerico. Utilizza una fresa CNC a
tre assi che permette grande precisione e
ripetibilità di esecuzione e lavora
principalmente legno, MDF e schiume da
modellazione per realizzare prototipi e piccole
serie di pezzi di arredamento, modelli di
design, stampi, elementi per stand fieristici,
insegne e oggetti vari. Dice che si occupa di
tutto il ciclo produttivo ma, quando possibile,
preferisce limitarsi alla fase di taglio/scultura
CNC, lavorando su disegno altrui e
collaborando con altri artigiani per le fasi di
finitura. Lavora per passione e con passione.
Quale è la sua formazione e come si è
avvicinato al mondo dell’auto produzione?
Che cosa produce e chi sono i suoi clienti?
Ho un diploma di perito agrario e ho dato 3/4
degli esami di economia e commercio. Da lì in poi
ho fatto una dozzina di lavori diversi –
dall’amministratore condominiale all’insegnante
di tango argentino passando per vigile del fuoco e
bookmaker all’ippodromo – ma quello che più ha
contribuito alla nascita del mio progetto di attività
in proprio è stato il lavoro in una piccola agenzia
di pubblicità. Uno dei miei lavori più duraturi, che
ho poi lasciato perché ero troppo in soggezione
nei confronti dei “creativi”.
Nel frattempo mi era venuta l’idea di costruirmi
una piccola barca e, cercando informazioni sulle
tecniche costruttive, ho scoperto le frese a
controllo numerico. Amore a prima
vista. Versatilità, possibilità di costruire non solo
barche ma quasi qualunque cosa – garanzia
contro la noia e la perdita di interesse e l’ennesimo
cambio di lavoro – e soprattutto possibilità di
trovare il mio ruolo nel processo creativo. Anzi in
molti processi creativi. Senza dovermi sentire un
“creativo” io stesso. Tutt’ora mi piace di
più collaborare con altri che disegnare oggetti di
mio.
Poi la sorte mi ha portato a diventare commerciale
di una azienda di automazione industriale, ho
imparato un po’ di CAD, un po’ di meccanica e un
po’ di elettronica, mi sono licenziato e mi sono
messo a farmi la fresa dei miei sogni. Poi ho
imparato ad usarla e ho cominciato a cercare una
mia nicchia di mercato.
Nulla di nulla sarebbe successo senza internet – e
senza l’inglese. Non avrei saputo nulla delle frese
a controllo numerico, non avrei visto cosa
facevano gli altri auto costruttori, non
avrei “trovato” i software necessari… niente.
Ora realizzo principalmente prototipi e piccole
serie di oggetti di arredo, targhe e insegne, master
per stampi… collaboro con un amico falegname
per l’arredamento e la falegnameria in generale.
La barca è ancora da costruire, il legno è lì che
stagiona da qualche anno ormai… ma nel mio
prossimo futuro c’è una bottega più grande e,
allora, la barca avrà finalmente il suo momento.
I miei clienti sono principalmente architetti,
designer, locali commerciali, studi grafici.
Chi è un maker e che definizione ne darebbe?
Un maker è un DIY geek. È un’evoluzione del
piacevole pasticciare con le mani e con le idee
dell’hobbista più che della consolidata sapienza
dell’artigiano. È qualcuno che non si arrende
all’idea di non saper o non poter fare qualcosa.
Che cerca consolazione dalle strane faccende
umane nella confortante realtà delle cose che
funzionano.
Uno che ha la necessità di esprimersi costruendo
cose. O anche non per esprimersi, anche solo per
esserci.
Quanto è importante la community nel
processo di produzione, quanto la
collaborazione e la messa a sistema di
capacità ed esperienze?
Fondamentale. Sia nella fase di raccolta e scambio
di idee e informazioni sia in fase produttiva, in cui
informali associazioni di impresa che durano
quanto dura il progetto da realizzare permettono
massima flessibilità e ampliano la gamma di
progetti che si possono affrontare.
Cosa distingue un maker da un artigiano?
Cosa da un piccolo imprenditore?
Il maker muove da un’esigenza creativa più che
dall’idea di “lavoro”. Si fanno un po’ di lavori
noiosi in attesa del progetto appassionante, che
magari si fa, poi, pro bono…
Io comunque più che maker mi considero crafter…
L’auto produzione può diventare un
business, evolvere in una startup?
Non saprei, solo se si sa pensare in termini di
business, e se si ha la voglia e la capacità di
gestirlo. Ma si può fare. Sono tempi duri e si spera
nel futuro.
Comunicazione. Quanto è importante e
attraverso quali canali avviene?
Fondamentale, sia per raccogliere stimoli,
informazioni e quant’altro che per far sapere
quel che si fa. Di nuovo, internet – Facebook e
proprio sito – regna sovrana, ma anche buon
vecchio passaparola classico continua ad
essere importante ed efficace.
www.fabersum.it
Monica
Wittig
Direttrice del network di formazione
LaN - LiveArchitecture Network
Come ha scelto di iniziare un lavoro da
globe-trotter come questo?
I membri fondatori di LaN si sono incontrati in un
post-laurea in ‘Digital Architecture Production’
allo IAAC (Istituto di Architettura Avanzata della
Catalogna). È lì che ci siamo resi conto che in
molti programmi internazionali di architettura e di
design mancavano i fondi per aggiornare le risorse
tecnologiche e mancava internamente
un’adeguata esperienza di fabbricazione digitale
oltre ai principi teorici base di funzionamento
della macchina o del software... la gestione di
queste conoscenze ha delle importanti ricadute
sul risultato di ogni progetto.
Il successo è stato inatteso… non ci aspettavamo
questa attenzione e così rapidamente: succede
molto spesso che un workshop presso un maker
locale attiri persone provenienti da diversi fusi
orari di distanza ed altrettanto spesso gli stessi
partecipanti si collegano tra loro e creano nuovi
network.
Il nostro modello di lavoro segue la filosofia dei
nostri progetti: connessi a livello globale e
produzione al livello locale. Nei nostri workshop
abbiamo partecipanti di diverse nazionalità e la
nostra presenza fisica è fondamentale per
alimentare le relazioni e la nostra rete digitale:
attualmente il nostro team di venti persone è
distribuito a livello globale.
Cosa ne pensa della localizzazione della
produzione in rapporto alla globalizzazione
dei progetti consentita dal web ?
È inevitabile e sacrosanta! Mi trovo spesso a
ripetere lo slogan: è la gente che dovrebbe
viaggiare, non le merci. Quando le persone si
muovono verso terre lontane si muovono e
incontrano le culture, è una forza di movimento
collettivo. Oggi viviamo un momento privilegiato
per la mobilità, ma non so quanto tempo durerà...
poi troveremo il modo per rafforzare i nostri
‘legami digitali’ dove prevedo delle modalità di
intelligenza collettiva (ad esempio i liquid-
feedback) con lo sfruttamento sempre più locale
di risorse e materie.
Quale tendenza nel mondo studenti e
fabbricatori digitali le sembra più
interessante?
L’apertura: una disponibilità senza precedenti a
collaborare in una vasta gamma di applicazioni
L’intraprendenza: un atteggiamento di crescita
www.livearchitecture.net
personale verso attività di istruzione e
professionalizzanti.
Quale è il futuro dell’artigiano tradizionale e
dell’artigiano 2.0 oggi?
I veri creativi digitali sono quelli che portano
innovazione nella vita vera... e devono farlo con
partner di valore. Gli strumenti digitali non
cancellano le questioni materiali, al contrario le
mettono in maggior evidenza, e, a differenza
dell’esperienza di decenni di produzione di massa
automatizzata, i progettisti digitali più saggi sono
ben consapevoli che le possibilità digitali di
personalizzazione tornano a necessitaree a dare
valore agli artigiani.
Se dico maker e startup a cosa pensa?
Sorrido... mi vengono in mente designer che
procedono con le proprie idee coinvolgendo il loro
tempo e le economie, una sorta di abbraccio
globale, accompagnati dai produttori digitali - i
maker - che occupano territori sempre più vasti
- dalla progettazione di un nuovo materiale come
le startup sulla stampa 3D di tessuti organici o
progettisti della prossima generazione di
macchine di produzione personalizzate. I
fabbricatori digitali hanno il pubblico che scelgono
di avere... evocando enormi possibilità creative.
Intervistep.31
Note
(1) Si veda il Il Progetto RepRap, in inglese: RepRap
Project, abbreviazione di Replicating Rapid
Prototyper, “creatore di prototipi a replicazione
rapida” it.wikipedia.org/wiki/Progetto_RepRap
(2) Si veda www.manifestoproject.it/enzo-mari
(3) Inserzione pubblicata a pagamento da Enzo Mari
su “Domus” di aprile 2004, n° 869 www.aditoscana.it/
news/contributi_det.asp?menu=5&id=146
(4) www.danielwidrig.com
(5) www.livearchitecture.net
(6) www.cityvision-mag.com
(7) Il video di cui segue link è efficace nell’esplicitare
come GNU-Linux negli ultimi anni sia riuscito ad
infiltrarsi nel mercato più di quanto sia comunemente
percepito e sia, senza dubbio, diventato la tecnologia
leader dei sistemi embedded. Ogni giorno nel mondo
vengono attivati 850 mila smartphone Android e
vengono venduti 700 mila televisori di nuova
generazione (con Linux embedded); i grandi computer
dei centri di ricerca e i server di aziende come Google,
Twitter, Facebook e Amazon sono basati su
GNU-Linux…
www.youtube.com/watch?v=yVpbFMhOAwE&feature
=player_embedded
Qui sotto i link ad alcuni grafici relativi all’uso di
programmi open source che vengono presentati online
da Simone Aliprandi, avvocato attivo nel campo del
diritto dell’ICT e della proprietà intellettuale, come
risultato di una web survey, proposta in rete a partire
da febbraio 2011, su cui egli basa parte della sua tesi
di dottorato; il titolo della tesi è “Il diritto d’autore
nell’era digitale. Una ricerca empirica su
comportamenti, percezione sociale e livello di
consapevolezza tra gli utenti della rete”
copyrightsurvey.blogspot.it/2012/08/study1-italy-
results-5-5.html
copyrightsurvey.blogspot.it/2012/08/study2-world-
results-5-5.html
copyrightsurvey.blogspot.it/2012/08/study1-italy-
results-5-6.html
copyrightsurvey.blogspot.it/2012/08/study2-world-
results-5-6.html
copyrightsurvey.blogspot.it/2012/08/study1-italy-
results-5-10.html
copyrightsurvey.blogspot.it/2012/08/study2-world-
results-5-10.html
(8) Si veda l’articolo Copyleft: idealismo pragmatico
di Richard Stallman www.gnu.org/philosophy/
pragmatic.it.html.
(9) Attribuzione - Non opere derivate
Attribuzione - Non Commerciale
Attribuzione - Condividi allo stesso modo
Attribuzione - Non opere derivate, Non commerciale
Attribuzione - Non commerciale, Condividi allo stesso
modo
(10) Si vedano: freedomdefined.org/OSHW
www.eyebeam.org/projects/Opening-hardware
Per un esempio: Un robot a sei zampe
punto-informatico.it/3546326/Gadget/News/
un-robot-sei-zampe.aspx
(11) Si vedano www.instructables.com/
makezine.com/about/index.html
nel colophon: MAKE comes from O’Reilly, the
Publisher of Record for geeks and tech enthusiasts
everywhere (dal blog blog.makezine.com/2007/03/06/
welcome-heroes/).
Per saperne di più via video: TED Massimo Banzi:
How Arduino is open-sourcing imagination
www.ted.com/talks/view/lang/en//id/1491
Video Massimo Banzi - ItalianValley
www.youtube.com/watch?v=U0L_IKsX5C4
“Hai un’idea geniale? Fai come Mr Arduino, regalala.
E diventa ricco”
di Mario Privitera (10 febbraio 2009)
mag.wired.it/rivista/storie/hai-un-idea-geniale-fai-
come-mr-arduino-regalala-e-diventa-ricco.html
(12) Si vedano: www.popeconomy.net/it/the-pop-
economy/
www.scribd.com/doc/46235293/Pop-Economy-Mutual-
Aid-Economy-Articolo-di-Loretta-Napoleoni-su-Wired-
Italia-di-dicembre-2010
(13) Si veda Swaptree, conosciuta a livello globale.
Ma ci sono esempi anche in Italia, come Zerorelativo,
il primo portale italiano per barattare online, dove ci
si iscrive e si propone quello che si ha da barattare
(musica, film, informatica e cellulari, arredamento,
vestiti, giochi, collezionismo, articoli sportivi, per la
casa, cosmetici) e si cerca uno scambio con gli altri.
(14) Nella prospettiva di progettazione e
partecipazione volte a un intervento nella società è da
citare l’esperienza di Giuseppe Cusatelli, architetto e
professore del Politecnico di Milano che dalla fine
degli anni ‘70, cogliendo la forte componente
ideologica e l’importanza sociale dell’auto costruzione
per l’edilizia agevolata, ne elaborò una filosofia di
approccio, studiò un progetto e selezionò i materiali
che potessero renderla possibile. La convivenza tra
vicini è costruita attraverso il lavoro collettivo.
Nel 1980 l’architetto Cusatelli, insieme a un gruppo
di operai della Ignis, auto costruì 14 case sulle rive del
lago di Varese e oggi la logica dell’auto costruzione è
passata dalla fase sperimentale a quella politica e di
sistema.
Alcune amministrazioni regionali e comunali hanno
scoperto il valore dell’auto costruzione e hanno
cominciato ad indire bandi, ad assegnare terreni e ad
aprire cantieri in cui gli operai sono gli stessi
proprietari delle case da costruire. A guidare oggi
questo fenomeno è Alisei, un’associazione non
governativa attiva da oltre vent’anni nel campo della
cooperazione allo sviluppo e all’aiuto umanitario, che
dal 2004, insieme a Giuseppe Cusatelli ha dato vita a
Alisei Auto Costruzioni, una divisione operativa con
personalità giuridica che promuove e gestisce l’auto
costruzione associata in Italia.
(15) I principi fondamentali del modello del
crowdfunding sono riuniti nel Kapipalist Manifesto,
scritto dall’italiano Alberto Falossi (fondatore della
piattaforma di crowdfunding Kapipal)
Kapipalist Manifesto
www.kapipal.com/manifesto/
www.reporter2dot0.
com/i-10-migliori-siti-di-crowdfunding/
Si ringrazia la community dei wikipediani per la
possibilità di raccogliere un vasto insieme di
informazioni a partire dai loro contributi.
Pagine successive:
Incisione laser presso un service
Estrusore termoplastico per una stampante-3D
open source Ultimaker
Piccola fresa a controllo numerico auto costruita
per incisione su metacrilato
Stampante 3D a fotopolimeri ad altissima
precisione
Stampante a sinterizzazione laser per materiali
plastici
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(19)
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(1) Copyright www.danielwidrig.com
(2) Copyright www.arduino.com
(3) Copyright www.solido3d.it
(4) Copyright www.danielwidrig.com
(5) Copyright www.solido3d.it
(6) Copyright www.solido3d.it
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(8) Copyright www.solido3d.it
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(12) Copyright www.ponoko.com
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