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“A SCUOLA DI LIBERTÀ:
LA SCUOLA IMPARA A CONOSCERE IL CARCERE”
“Se comprendere è impossibile, conoscere è
necessario”. È un appello quello di Primo Levi,
un invito a riflettere, a interrogarci e, se
necessario, anche a rimproverarci. Fermiamoci
un momento a riflettere, a pensare. Perché a
volte comprendere è difficile? E perché, invece,
conoscere è necessario? Perché siamo portati a
fare distinzioni tra “noi” e “l’altro”, a dare
giudizi affrettati antecedenti a un’esperienza e
molto spesso fondati su dati empirici?
Il mostrarsi propensi al dialogo, alla
discussione, alla comprensione, all’ascolto
sembra essere difficile. Comprendere e
ascoltare prima di giudicare sono piccole mete
che non siamo ancora riusciti a scalare. Gradini
importanti che, se raggiunti, migliorerebbero
molto il nostro modo di considerare “l’altro”. Il
ragazzo che sembra essere completamente
estraneo a quello che è il nostro mondo, la nostra
visione della realtà, perché ha un atteggiamento
che ci sembra non consono a quelli che sono i
canoni e i valori che ci hanno insegnato, che
abbiamo imparato a tenere stretti come carta
vincente, ma che spesso non abbiamo mostrato di possedere, perché ha commesso degli errori,
anche gravi, che ci sembrano totalmente fuori dalla coscienza e razionalità di un uomo, diventa
straniero.
Con questo non si vuole giustificare l’errore, ma si vuole cercare di abbattere quelle barriere
culturali ed emotive che ci impediscono di avvicinarci a luoghi, contesti e vite diversi. Questi,
insieme a tanti altri come solidarietà, prevenzione, responsabilizzazione, sono gli obiettivi che vuole
promuovere il progetto “A scuola di libertà: la Scuola impara a conoscere il carcere””, rivolto a tutti
gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori. Un progetto innovativo che vuole fare
incontrare il carcere e la scuola.
Un’esperienza estremamente importante che incide notevolmente sul processo formativo di
noi ragazzi, invitandoci ad “aprire gli occhi” su cosa significhi violare le leggi e subire la
conseguente punizione, ma anche quanto sia faticoso il ritorno alla vita libera e il reinserimento
sociale. Legalità e libertà. Cos’è la legalità? E cosa la libertà? Può essere facile perderla? E si può
avere la possibilità di riconquistarla? Quanto semplice può essere varcare la soglia dell’illegalità?
La violenza, il male si nascondono dentro ognuno di noi? Tutti temi di grande spessore e attualità
che hanno coinvolto emotivamente ogni studente durante la conferenza tenutasi il 15 novembre,
presso l’auditorium del liceo scientifico Ricciotto Canudo.
L’incontro, destinato alle quarte classi, è stato tenuto dalla d.ssa LIDIA DE LEONARDIS,
Direttrice dell’Istituto carcerario di Bari, il dott. LUIGI RINELLA, Capo della Squadra mobile
della Questura di Bari, la d.ssa ANTONELLA SALERNO, responsabile del Centro Interculturale
"Incontrarsi …a Sud”, il sig. EL SHEIKH IBRAHIM, operatore sociale, volontario della Caritas
Diocesana di Trani presso la Casa circondariale di Trani, il sig. FRANCESCO DI GREGORIO,
operatore sociale, volontario della Caritas Diocesana di Trani presso la Casa circondariale di Trani,
il sig. AIT JEDDI ISMAIL, mediatore culturale presso il carcere minorile Fornelli di Bari.
Dopo il saluto del preside Rocco Fazio, è stata la professoressa Loredana Lippolis, referente
dell’incontro, ad introdurre i principali obiettivi di quest’esperienza, ovvero quelli di approfondire
la condizione della detenzione, superare i pregiudizi e abituarci a una riflessione profonda sui rischi
che comportano certi comportamenti, sulla facilità con cui da una piccola trasgressione si può
scivolare nell’illegalità. È quindi necessario imparare a conoscere le leggi e rispettarle, ma senza
dimenticare che, anche se si è finiti “dall’altra parte” la dignità e il rispetto rimangono sempre diritti
inalienabili dell’uomo. Molto spesso la società smette di educare e di impegnarsi nella rieducazione
dei detenuti. Purtroppo le prigioni risultano luoghi nel quale difficilmente avviene una reale e giusta
rieducazione, nella maggior parte dei casi si esce peggio di quando si è entrati.
L’esperienza del carcere riguarda persone con percorsi di vita spesso del tutto simili ai nostri,
ma che ad un certo punto hanno sbagliato strada, hanno deviato senza che fossero in grado di
chiedere aiuto o di pensarci prima. È importante che noi ragazzi, noi tutti, capiamo che non esiste
una netta separazione tra “il buono” e il “cattivo”, la vita di molti di noi è spesso molto più
complicata. È bene che non capiti ma è possibilissimo che ci si ritrovi precipitati in un baratro di cui
poi occorre forza e impegno per uscirne. Possono essere tanti i motivi per i quali ci si sente
confusi, demotivati, smarriti; sono tanti i ragazzi che a differenza nostra vivono in situazioni
familiari difficili, che sono lasciati un po’ al “caso” e proprio perché non hanno ricevuto
un’educazione solida, sono i più a rischio, sono più propensi a esternare i loro disagi e il loro
malessere attraverso la violenza, attraverso comportamenti errati. Il bere, il fumare una canna, il
ritrovarsi tra amici per fare “esperienze nuove ed apparentemente invitanti” che invece possono
diventare “il più grande sbaglio della vita” costituiscono per molti ragazzi un motivo di sfogo, di
liberazione e distrazione dalle responsabilità della quotidianità. Alcuni tra coloro che hanno vissuto
tali esperienze possono rivelarsi più fragili e sensibili di noi. Ma ciò non esclude che vi sono uomini
o donne che hanno ucciso, hanno violentato, hanno commesso atti e reati gravissimi, che non sono
assolutamente giustificabili, ma che non devono essere maltrattati.
La tortura e la violenza non servono, avere limitata libertà è già un’enorme punizione, ecco
perché per apprezzarla è importante capire che può capitare di perderla e che per riconquistarla
occorrerà poi scontare una pena giusta e rispettosa della dignità delle persone. Chi ha commesso un
errore non può godere della stessa libertà degli altri, ma deve continuare a vivere come persona
della società. Prima di concludere aggiungo che gli interventi di coloro che hanno tenuto la
conferenza sono stati tutti interessanti e personalmente mi hanno molto colpita le parole del dott.
Luigi Rinella quando ha detto che ama profondamente questo mestiere, proprio perché ha lo scopo
di insegnarci i valori che tante volte sono stati citati: legalità, responsabilità e libertà.
Dobbiamo imparare a riflettere sul concetto di illegalità, perché capita di commettere azioni
illegali senza accorgercene, come gettare della carta per terra o passare con il semaforo rosso, e che
i poliziotti non sono eroi solo perché indossano una divisa, quindi un errore da parte loro potrebbe
essere possibile. Avrei molte altre cose da dire e mi sarebbe piaciuto citare gli interventi di tutti, ma
concludo qui, con una frase: “….Dateci qualcosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi, che ci
faccia sentire che esistiamo. Dateci un manganello o un Nagant, dateci una siringa o un Suzuki.
commiserateci”. Ricordiamo che distruggere, sfregiare, stuprare, bruciare, offendere non sono
libertà: portano solo alla commiserazione”.
Mariangela Mastromarino IV C Liceo Scientifico

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  • 1. “A SCUOLA DI LIBERTÀ: LA SCUOLA IMPARA A CONOSCERE IL CARCERE” “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. È un appello quello di Primo Levi, un invito a riflettere, a interrogarci e, se necessario, anche a rimproverarci. Fermiamoci un momento a riflettere, a pensare. Perché a volte comprendere è difficile? E perché, invece, conoscere è necessario? Perché siamo portati a fare distinzioni tra “noi” e “l’altro”, a dare giudizi affrettati antecedenti a un’esperienza e molto spesso fondati su dati empirici? Il mostrarsi propensi al dialogo, alla discussione, alla comprensione, all’ascolto sembra essere difficile. Comprendere e ascoltare prima di giudicare sono piccole mete che non siamo ancora riusciti a scalare. Gradini importanti che, se raggiunti, migliorerebbero molto il nostro modo di considerare “l’altro”. Il ragazzo che sembra essere completamente estraneo a quello che è il nostro mondo, la nostra visione della realtà, perché ha un atteggiamento che ci sembra non consono a quelli che sono i canoni e i valori che ci hanno insegnato, che abbiamo imparato a tenere stretti come carta vincente, ma che spesso non abbiamo mostrato di possedere, perché ha commesso degli errori, anche gravi, che ci sembrano totalmente fuori dalla coscienza e razionalità di un uomo, diventa straniero. Con questo non si vuole giustificare l’errore, ma si vuole cercare di abbattere quelle barriere culturali ed emotive che ci impediscono di avvicinarci a luoghi, contesti e vite diversi. Questi, insieme a tanti altri come solidarietà, prevenzione, responsabilizzazione, sono gli obiettivi che vuole promuovere il progetto “A scuola di libertà: la Scuola impara a conoscere il carcere””, rivolto a tutti gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori. Un progetto innovativo che vuole fare incontrare il carcere e la scuola. Un’esperienza estremamente importante che incide notevolmente sul processo formativo di noi ragazzi, invitandoci ad “aprire gli occhi” su cosa significhi violare le leggi e subire la conseguente punizione, ma anche quanto sia faticoso il ritorno alla vita libera e il reinserimento sociale. Legalità e libertà. Cos’è la legalità? E cosa la libertà? Può essere facile perderla? E si può avere la possibilità di riconquistarla? Quanto semplice può essere varcare la soglia dell’illegalità? La violenza, il male si nascondono dentro ognuno di noi? Tutti temi di grande spessore e attualità che hanno coinvolto emotivamente ogni studente durante la conferenza tenutasi il 15 novembre, presso l’auditorium del liceo scientifico Ricciotto Canudo. L’incontro, destinato alle quarte classi, è stato tenuto dalla d.ssa LIDIA DE LEONARDIS, Direttrice dell’Istituto carcerario di Bari, il dott. LUIGI RINELLA, Capo della Squadra mobile della Questura di Bari, la d.ssa ANTONELLA SALERNO, responsabile del Centro Interculturale "Incontrarsi …a Sud”, il sig. EL SHEIKH IBRAHIM, operatore sociale, volontario della Caritas Diocesana di Trani presso la Casa circondariale di Trani, il sig. FRANCESCO DI GREGORIO,
  • 2. operatore sociale, volontario della Caritas Diocesana di Trani presso la Casa circondariale di Trani, il sig. AIT JEDDI ISMAIL, mediatore culturale presso il carcere minorile Fornelli di Bari. Dopo il saluto del preside Rocco Fazio, è stata la professoressa Loredana Lippolis, referente dell’incontro, ad introdurre i principali obiettivi di quest’esperienza, ovvero quelli di approfondire la condizione della detenzione, superare i pregiudizi e abituarci a una riflessione profonda sui rischi che comportano certi comportamenti, sulla facilità con cui da una piccola trasgressione si può scivolare nell’illegalità. È quindi necessario imparare a conoscere le leggi e rispettarle, ma senza dimenticare che, anche se si è finiti “dall’altra parte” la dignità e il rispetto rimangono sempre diritti inalienabili dell’uomo. Molto spesso la società smette di educare e di impegnarsi nella rieducazione dei detenuti. Purtroppo le prigioni risultano luoghi nel quale difficilmente avviene una reale e giusta rieducazione, nella maggior parte dei casi si esce peggio di quando si è entrati. L’esperienza del carcere riguarda persone con percorsi di vita spesso del tutto simili ai nostri, ma che ad un certo punto hanno sbagliato strada, hanno deviato senza che fossero in grado di chiedere aiuto o di pensarci prima. È importante che noi ragazzi, noi tutti, capiamo che non esiste una netta separazione tra “il buono” e il “cattivo”, la vita di molti di noi è spesso molto più complicata. È bene che non capiti ma è possibilissimo che ci si ritrovi precipitati in un baratro di cui poi occorre forza e impegno per uscirne. Possono essere tanti i motivi per i quali ci si sente confusi, demotivati, smarriti; sono tanti i ragazzi che a differenza nostra vivono in situazioni familiari difficili, che sono lasciati un po’ al “caso” e proprio perché non hanno ricevuto un’educazione solida, sono i più a rischio, sono più propensi a esternare i loro disagi e il loro malessere attraverso la violenza, attraverso comportamenti errati. Il bere, il fumare una canna, il ritrovarsi tra amici per fare “esperienze nuove ed apparentemente invitanti” che invece possono diventare “il più grande sbaglio della vita” costituiscono per molti ragazzi un motivo di sfogo, di liberazione e distrazione dalle responsabilità della quotidianità. Alcuni tra coloro che hanno vissuto tali esperienze possono rivelarsi più fragili e sensibili di noi. Ma ciò non esclude che vi sono uomini o donne che hanno ucciso, hanno violentato, hanno commesso atti e reati gravissimi, che non sono assolutamente giustificabili, ma che non devono essere maltrattati. La tortura e la violenza non servono, avere limitata libertà è già un’enorme punizione, ecco perché per apprezzarla è importante capire che può capitare di perderla e che per riconquistarla occorrerà poi scontare una pena giusta e rispettosa della dignità delle persone. Chi ha commesso un errore non può godere della stessa libertà degli altri, ma deve continuare a vivere come persona della società. Prima di concludere aggiungo che gli interventi di coloro che hanno tenuto la conferenza sono stati tutti interessanti e personalmente mi hanno molto colpita le parole del dott. Luigi Rinella quando ha detto che ama profondamente questo mestiere, proprio perché ha lo scopo di insegnarci i valori che tante volte sono stati citati: legalità, responsabilità e libertà. Dobbiamo imparare a riflettere sul concetto di illegalità, perché capita di commettere azioni illegali senza accorgercene, come gettare della carta per terra o passare con il semaforo rosso, e che i poliziotti non sono eroi solo perché indossano una divisa, quindi un errore da parte loro potrebbe essere possibile. Avrei molte altre cose da dire e mi sarebbe piaciuto citare gli interventi di tutti, ma concludo qui, con una frase: “….Dateci qualcosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi, che ci faccia sentire che esistiamo. Dateci un manganello o un Nagant, dateci una siringa o un Suzuki. commiserateci”. Ricordiamo che distruggere, sfregiare, stuprare, bruciare, offendere non sono libertà: portano solo alla commiserazione”. Mariangela Mastromarino IV C Liceo Scientifico