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                 Laura	
  Zava	
  
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A	
  SCUOLA	
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       SUDOKU	
  

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  cura	
  di	
  Giovanni	
  Lariccia	
  

Docente di Didattica della Matematica, Università
              Cattolica di Milano

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  cura	
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  Giovanni	
  Lariccia	
  

Docente di Didattica della Matematica, Università
              Cattolica di Milano
INDICE                                                                                2




                                               INDICE.
	
  

INDICE.	
            1	
  

INTRODUZIONE.	
                        7	
  

       1.1. UNA DEFINIZIONE DI “SUDOKU”.	
  12	
  

         1.1.1. il vocabolo “Sudoku”.	
         12	
  

         1.1.2. Che cos’è il Sudoku: le regole.	
  13	
  

       1.2. TIPI DI “SUDOKU”.	
                 15	
  

         1.2.1. Facile, medio, difficile o diabolico?	
           15	
  

         1.2.3. Numeri o icone?	
  18	
  

       1.3. STORIA DEL SUDOKU.	
  19	
  

         1.3.1. Antenati del Sudoku: I quadrati magici.	
                  19	
  

         1.3.2. I quadrati latini e greco latini.	
   24	
  

       1.4. TECNICHE RISOLUTIVE.	
                       25	
  

         1.4.1. Da dove cominciare?	
           25	
  

         1.4.2. Cancella e Concludi.	
          26	
  

         1.4.2. Interseca e concludi.	
         32	
  

CAP. 2 – COME IMPARARE A IMPARARE.	
   35	
  

       2.1. VERSO UNA DEFINIZIONE D’INTELLIGENZA.	
   37	
  

         2.1.1. Approccio psicometrico.	
   	
  
                                       37

         2.1.3. Le teorie multifattoriali.	
  41	
  

         2.1.4. L’approccio cognitivista: Human Information Processing.	
           43	
  

         2.1.5. Le differenze individuali: da Sternberg a Gardner.	
   45	
  
INDICE                                                                                     3



 2.2. VERSO UNA DEFINIZIONE DI STILE.	
                              55	
  

   2.2.1. Gli stili Cognitivi.	
          55	
  

   2.2.3. Stili recenti.	
       58	
  

   2.2.3. Stili di apprendimento	
   62	
  

 2.3. VERSO UNA DEFINIZIONE DI METACOGNIZIONE.	
   68	
  

   2.3.1. Il termine “metacognizione”.	
   68	
  

   2.3.2. Le conoscenze.	
   70	
  

   2.3.3. La consapevolezza.	
            71	
  

   2.3.4. Il controllo.	
        72	
  

   2.3.5. La generalizzazione (transfer) e gli elementi individuali che
   caratterizzano l’esperienza di apprendimento.	
                   73	
  

   2.3.6. Metacognizione e didattica.	
            74	
  

CAP. 3 – INTELLIGENZA MATEMATICA.	
                                  76	
  

 3.1. PRIME FORME DI MATEMATIZZAZIONE.	
                                       78	
  

   3.1.1. Conoscenza di natura dichiarativa.	
              78	
  

   3.1.2. Conoscenze di natura procedurale.	
               81	
  

   3.1.3. Competenze strategiche e autoregolative.	
                 82	
  

   3.1.3. La dimensione affettiva, convinzioni e motivazioni.	
   84	
  

 3.2. SVILUPPO DELLA CONOSCENZA NUMERICA.	
   86	
  

   3.2.1. Abilità cognitive e competenze numeriche.	
                86	
  

   3.2.2. Dalle conoscenze numeriche preverbali.	
                   89	
  

   3.2.3. ..all’acquisizione delle parole numero e delle abilità di conteggio.	
   94	
  

   3.2.4. Simbolizzazione: il numero scritto.	
             98	
  

CAP. 4 - LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI.	
                                107	
  
INDICE                                                                                       4



 4.1. IL PROBLEM SOLVING.	
                          109	
  

   4.1.1. Definizione.	
         109	
  

   4.1.2. Processi cognitivi del Problem Solving: excursus storico.	
     110	
  

   4.1.3. La didattica per problemi.	
               114	
  

 4.2 ELEMENTI CHE INFLUENZANO IL PROBLEM SOLVING.	
                                 116	
  

   4.2.1. La base conoscitiva	
            117	
  

   4.2.2. Il transfer.	
         117	
  

   4.2.3. Le strategie euristiche di soluzione	
               118	
  

   4.2.4. Convinzioni, motivazioni ed emozioni.	
  119	
  

   4.2.5. Processi metacognitivi di controllo nel Problem Solving.	
      119	
  

 4.3. IL PROBLEM SOLVING NELL’ INSEGNAMENTO DELLA
 MATEMATICA.	
   122	
  

   4.3.1. Soluzione di problemi matematici.	
                  122	
  

   4.3.2 La prospettiva di Polya.	
   123	
  

CAP. 5 – LOGO, IPERLOGO, IPERQQ.	
   126	
  

 5.1. COMPUTER E APPRENDIMENTO.	
   127	
  

   5.1.1. Il computer a scuola.	
          127	
  

   5.1.2. Il computer come strumento che cambia il modo di pensare e di
   imparare	
  129	
  

   5.1.3. Interfaccia grafica e didattica.	
   131	
  

   5.1.3. Il Logo.	
   132	
  

   5.1.4. Il Linguaggio della tartaruga.	
   135	
  

 5.2. IPERLOGO.	
                137	
  

   5.2.1. Cos’è iperlogo?	
   137	
  

   5.2.2. IperQQ e QQ.storie	
             138	
  
INDICE                                                                                     5



    5.2.3. QQ.Sudoku	
          139	
  

CAP. 6 – QQ.SUDOKU A SCUOLA.	
                                143	
  

  6.2. IMPORTANZA DEL SUDOKU A SCUOLA.	
   144	
  

    6.2.1. Rapporto tra il Sudoku e le Indicazioni Nazionali.	
                   144	
  

    6.2.2 il Sudoku metacognitivo.	
                148	
  

  6.3.PROGETTO QQ.SUDOKU.	
                         149	
  

    6.3.1. QQ.Sudoku e i test.	
          149	
  

    6.3.2. L’intervista metacognitiva.	
            152	
  

    6.3.3. Analisi dei dati e considerazioni.	
               154	
  

CONCLUSIONI.	
   167	
  

APPENDICE.	
          170	
  

  Protocollo n.1 (Rescaldina, 3-febbraio-2007)	
                                  170	
  

  Protocollo n.2 (Monza, 13-febbraio-2007)	
   178	
  

  Protocollo n.3 (Monza, 13-febbraio-2007)	
   187	
  

  Protocollo n.4 (Monza, 13-febbraio-2007)	
   195	
  

  Protocollo n.5 (Monza, 13-febbraio-2007)	
   201	
  

  Protocollo n.6 (Monza, 1-marzo-2007)	
                                209	
  

  Protocollo n.7 (Monza, 1-marzo-2007)	
                                217	
  

BIBLIOGRAFIA.	
  225	
  

  MONOGRAFIA.	
   225	
  

  DOCUMENTI LEGISLATIVI.	
  237	
  

  LINKOGRAFIA.	
  238	
  

RINGRAZIAMENTI.	
   239	
  
INDICE   6
7




INTRODUZIONE.

Con questo lavoro vogliamo mettere in evidenza le relazioni che si
possono osservare tra alcuni elementi importanti dell’
apprendimento scolastico che sono stati introdotti o valorizzati
recentemente nella scuola primaria. Alcuni di questi elementi
riguardano i contenuti, altri riguardano i metodi di insegnamento: e
mentre noi siamo ben consapevoli che l’ innovazione del sistema
educativo dipende in maniera stretta dalla integrazione tra metodi
e contenuti.

Il primo elemento è l’informatica: la riforma Moratti prevede
l'utilizzo degli strumenti informatici a partire dalle prime classi del
ciclo primario. Il piano per l’introduzione della multimedialità nella
scuola rappresenta uno sforzo per mantenere il nostro paese al
passo con i paesi più avanzati. L’ utilizzo del computer a scuola si
basa sul lavoro cooperativo: lavorando in piccoli gruppi e per
progetti e proponendo obiettivi di alto livello.

In ogni caso il computer deve essere sempre utilizzato non come
fine in sé stesso ma come un mezzo per "imparare ad imparare".

Il secondo elemento, di carattere metodologico, è la didattica
metacognitiva. Questa metodologia investe in modo trasversale l'
intero processo di insegnamento/apprendimento ed agisce sulla
natura dei percorsi evolutivi di ogni allievo. Per gli insegnanti usare
tecniche metacognitive vuol dire adottare intese collaborative
finalizzate alla proposta ed allo sviluppo di un insieme di abilità
trasversali che hanno a loro volta una ricaduta positiva nell'intero
processo evolutivo di ogni alunno. L'insegnante che opera in
INTRODUZIONE                                                                 8



armonia   con      le    teorie   metacognitive   favorisce   gli   allievi
nell'impegno di imparare ad imparare.

Il terzo elemento è il gioco del Sudoku visto come uno strumento
capace di promuovere negli allievi lo sviluppo e la consapevolezza
di alcune capacità cognitive molto importanti.

Il bambino apprende giocando e il suo gioco diviene spesso
raffinata strategia di esplorazione e conoscenza del reale. Possiamo
affermare senza esitazioni che il gioco è una situazione in cui si
intersecano la vita e l’ apprendimento.

Noi arriveremo a dimostrare che il Sudoku rappresenta il prototipo
di un gioco metacognitivo, che tende a favorire i processi di
consapevolezza delle proprie capacità intellettuali e la costruzione
di strategie di apprendimento via via più complesse.

Vedremo, in sostanza, che il Sudoku può essere visto come un
modello di strumento per imparare a imparare. Quali sono le
implicazioni di questa affermazione? Significa che attraverso il
Sudoku possiamo ‘inoculare’ nella scuola comportamenti, strategie,
abitudini che favoriscono l’ acquisizione ed il consolidamento di
processi di apprendimento più economici ed efficaci.

Introdurre il Sudoku a scuola, nelle forme appropriate che
cercheremo di delineare e mettere a punto, consente di sviluppare
abilità di controllo e di potenziamento delle performances cognitive.

Imparare a imparare viene riconosciuta come una meta-abilità che
può crescere ed evolversi con l'allievo e può divenire il filo
conduttore   che    lo    guida   verso   una   positiva   assunzione   di
responsabilità in merito al proprio processo di apprendimento.
INTRODUZIONE                                                                         9



La nostra tesi prende dunque le mosse proprio dal Sudoku, con un
capitolo interamente dedicato al gioco, alla sua storia e alle
principali modalità di risoluzione. Poiché, come abbiamo visto, il
Sudoku è strettamente legato all’ apprendimento consapevole, ho
pensato      di     affrontare    nel    capitolo      successivo   alcuni     aspetti
importanti dell’ apprendimento stesso.

Definisco quindi il concetto di intelligenza, con un excursus storico
di come si è evoluto, e il rapporto stretto che questa definizione
acquisisce con i concetti di stile cognitivo e stile di apprendimento.
Dopo aver delineato la differenza che intercorre tra essi, appare
ovvio aprirsi al concetto di metacognizione per arrivare a parlare
propriamente di didattica metacognitiva. Considerando poi che il
rapporto che lega questo argomento al Sudoku è da ricavarsi in un
tipo di intelligenza specifica, ho trovato necessario dedicare un
capitolo     alla       cosiddetta      intelligenza      matematica,     con     una
spiegazione         abbastanza       dettagliata         delle   prime    forme     di
matematizzazione e una presentazione di alcune ricerche relative
allo sviluppo della conoscenza numerica e in particolare di quelle
conoscenze          e    competenze          che    il     Sudoku    richiama     nel
procedimento di risoluzione.

Ho pensato poi di dedicare un capitolo a parte per il Problem
Solving perché appare evidente che il Sudoku è fondamentalmente
e    principalmente        un     problema     da      risolvere.   Partendo     dalla
definizione di situazione problematica, vengo a definire la didattica
per problemi e l’esistenza di elementi che spesso influenzano la
risoluzione del problema. Nel caso specifico del Sudoku vedremo
come       soprattutto       le   convinzioni,      motivazioni      ed    emozioni
influenzano la buona riuscita o meno del gioco. Il capitolo
INTRODUZIONE                                                              10



successivo riguarda l’aspetto informatico della mia tesi e quindi la
scelta di creare un’applicazione specifica per il computer.

Per utilizzare il Sudoku come contributo originale di una proposta
didattica sulla metacognizione, ho trovato utile partire dalla filosofia
del linguaggio Logo, di cui parleremo nel capitolo 5, che in un certo
senso si può considerare un antesignano della metacognizione.

Il programma QQ.sudoku da me utilizzato rientra nel progetto
IperQQ di cui parleremo più avanti ed è una applicazione sviluppata
in Iperlogo del programma contenitore QQ.storie.         Iperlogo è un
linguaggio di programmazione realizzato da G. Lariccia e G. Toffoli.
QQ.storie è stato ideato e sviluppato in Iperlogo da G. Lariccia.

Dalla collaborazione con il professor Lariccia è nata l’ idea di
progettare e sviluppare l’applicazione QQ.sudoku, alla quale ho
contribuito direttamente. QQ.sudoku, ancora in versione
preliminare è stato alla base della sperimentazione da me condotta
all’interno dell’istituto scolastico “Maddalena di Canossa”.

A questa sperimentazione ho dedicato un intero capitolo, con una
parte centrata sui test provati coi bambini e sull’intervista
metacognitiva che è stata somministrata nella prima fase della
sperimentazione.

Concludo quindi con una raccolta dei dati e delle considerazioni che
si possono ricavare a sostegno della tesi che il Sudoku può
diventare a scuola uno strumento per imparare, seguita da una
valutazione del progetto
11




CAP. 1 – IL SUDOKU.




«Lecco, ladro di Sudoku in biblioteca

ruba le pagine di giornali con il gioco»

(la Repubblica)




Trovo molto interessante, semplice e divertente, iniziare a parlare
di Sudoku facendo riferimento ad una bellissima citazione di Paolo
Fasce.1

«”Il Sodoku è una malattia infettiva dovuta ad un batterio cigliato
(spirillo). L’incubazione dura tra sette e ventuno giorni. Terapia: la
malattia non trattata, generalmente guarisce spontaneamente..”




1
    PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione,
suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p. 9.
CAP.1- IL SUDOKU          12



Anche il Sudoku è una malattia, almeno così viene dichiarata nelle
copertine di diversi testi sul tema dove si recita “il rompicapo
numerico che dà dipendenza.”

La differenza principale che passa tra il Sodoku, che ho qui sopra
citato, e il Sudoku, è che dal primo è bene guardarsi, mentre il
secondo, pur avendo un decorso del tutto similare, non ha
controindicazioni. Al contrario questo gioco passatempo è utile per
sviluppare capacità logico deduttive ed è assolutamente vero che,
dopo un’iniziale, forse eccessiva, infatuazione, bastano poche
settimane perché questa si riduca a livelli assolutamente
fisiologici.».

Questa definizione rispecchia pienamente il percorso che hanno
vissuto milioni di sudokisti al mondo e introduce un argomento
molto importante, strettamente legato alla mia tesi: il desiderio di
una didattica «dilettevole e curiosa» che sappia appassionare e
coinvolgere. Dimostrerò quindi che il Sudoku può diventare una
semplice e utile palestra per insegnare a imparare ma soprattutto
per imparare ad imparare.

	
  

1.1.	
  UNA	
  DEFINIZIONE	
  DI	
  “SUDOKU”.	
  



                                            1.1.1.	
  il	
  vocabolo	
  “Sudoku”.	
  

                                            Il vocabolo giapponese Sudoku
                                            ( 数独 ), composto dal termine
                                            suu che significa “numero” e
CAP.1- IL SUDOKU        13



dalla parola doku (shin) che significa “singolo, scapolo”, nasce
dall’abbreviazione della frase giapponese “suji wa dokushin ni
kagiuru” che tradotta significa più o meno “Nei totali non ripetere
una stessa singola cifra”. Questo fu un lungo nome dato nel 1984
ad un anteriore gioco combinatorio molto simile al Sudoku.




1.1.2. Che cos’è il Sudoku: le regole.

Il Sudoku consiste in un diagramma di 81 celle, una tabella di nove
per nove caselle in ognuna delle quali si deve inserire una cifra, da
uno a nove senza ripetizioni. Alcuni dei numeri sono già visibili
nello schema di partenza (celle esposte) e sono degli “indizi” grazie
ai quali possiamo escludere la presenza di alcuni numeri in alcune
righe, colonne e settori 3x3. L’obiettivo del gioco consiste infatti nel
riempire il diagramma in modo che in tutte le righe orizzontali, in
tutte le colonne verticali e in tutti quadrati 3x3, detti settori,
compaiano una sola volta i numeri da 1 a 9.
«I motivi che hanno generato un tale, incredibile successo
planetario sono di difficile interpretazione; sicuramente, però, non
è da trascurare il fatto che il gioco si basa su regole molto semplici
e che il suo svolgimento non richiede il possesso di particolari
CAP.1- IL SUDOKU       14



attitudini o specifiche conoscenze, ma solo il ricorso a una forma di
logica pura, comune a tutti gli esseri umani dai 5-6 anni in su.».

Per essere risolto richiede normalmente dai dieci minuti alla
mezz’ora ma a volte il gioco può durare più a lungo, addirittura per
giorni. Per questo motivo è diventato presto un fenomeno da
pubblicare su quotidiani e riviste; può essere risolto ovunque,
abbandonato e ripreso quando né si ha voglia.



I Sudoku regolamentari dovrebbero soddisfare tre requisiti:

I numeri visibili (celle esposte) devono essere disposti in modo
simmetrico rispetto al centro della griglia;

Deve esistere un’unica soluzione;

I numeri iniziali dovrebbero essere tra 20 e 30.

«I puzzle di Gould – afferma il Times – vengono costruiti con una
serie di indizi che portano, logicamente, alla soluzione. Osservate
attentamente uno dei suoi puzzle e scoprirete sempre un certo
grado di simmetria”. Gould li paragona alla pittura giapponese:
“Sono come un fiore – dice – o una casa dipinta con un numero di
tratti minimo”.».

Attualmente esistono molti Sudoku che non rispettano tali
caratteristiche; a volte si prestano a più soluzioni oppure gli indizi
iniziali sono disposti casualmente e non rispettano il numero
minimo. In fondo quello che conta per i giocatori è che siano
risolvibili e quindi pubblicati nei diversi libri di Sudoku che sono
diventati immediatamente bestseller.
CAP.1- IL SUDOKU   15



1.2. TIPI DI “SUDOKU”.

Parlando di Sudoku è importante evidenziare che nonostante la
definizione univocamente affermata, questo gioco può essere
classificato in varie tipologie legate alla difficoltà di risoluzione, al
materiale e alla grafica.

1.2.1.	
  Facile,	
  medio,	
  difficile	
  o	
  diabolico?	
  

Non tutti i Sudoku presentano lo stesso grado di difficoltà e

generalmente vengono raggruppati in quattro categorie chiamate:
facile, medio, difficile oppure diabolico.

Solitamente la difficoltà dipende dal numero degli indizi presenti,
che si aggirano sulla trentina per quelli facili, e intorno alla ventina
per quelli difficili o diabolici.

Anche la disposizione dei numeri è indice dello sforzo che il gioco
richiede per essere risolto; infatti capita spesso che nei diabolici si
trovino celle e righe senza alcun numero o al massimo due indizi.

Come già accennato, sono stati creati anche Sudoku non
regolamentari e alcuni ideati appositamente per bambini. Chiamati
Mini Sudoku o Sudokino sono più piccoli, 4x4 oppure 6x4 con celle
2x2 o 3x2.

Nel testo di Paolo Fasce invece, si dedica un intero capitolo ad una
gara didattica per le scuole dove si propone la risoluzione di due
Jumbo Sudoku; uno dei quali di 49 caselle per lato. 2



2
    PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione,
suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, pp. 152-3.
CAP.1- IL SUDOKU       16



Parlando di Sudoku che non rispettano pienamente i requisiti dei
Sudoku classici ideati da Goulde, ricaviamo anche un altro aspetto
rilevante per la difficoltà di risoluzione del gioco: l’unicità della
soluzione.

Esistono infatti Sudoku che non hanno un’unica soluzione e nei
quali, ad un certo punto non troviamo più deduzioni necessarie e si
deve compiere un azzardo. La difficoltà aumenta perché, se dopo
una scommessa si arriva ad un errore, bisogna ricominciare dal
punto dove si era partiti.

Rimane imprescindibile il fatto che la difficoltà o meno di un
Sudoku dipende molto anche dai giocatori e dal loro allenamento
mentale; un esempio sono le lettere di lamentela che, dalla
pubblicazione del primo diagramma su The Times, sono state
inviate perché alcuni lettori trovavano i puzzle troppo difficili
mentre altri scrivevano perché erano delusi di averli risolti nel giro
di pochi minuti.

1.2.2. Fatto di che cosa?

Il Sudoku è un gioco cartaceo, stampato sui giornali come le parole
crociate, bastano matita, gomma e un po’ di pazienza per
risolverlo. In realtà, nella società multimediale in cui viviamo, viene
abbastanza spontaneo pensare che siano stati creati dei software
che permettono di installare diagrammi su computer, palmari e
addirittura cellulari. Lo stesso scopritore del Sudoku, dopo aver
acquistato in Giappone un libro dedicato al gioco, decise di scrivere
un programma per generare tabelle di Sudoku al computer. Uno
CAP.1- IL SUDOKU         17



dei difetti che però presentano spesso questi programmi è che, a
differenza del cartaceo, per inserire i numeri nella griglia basta
spostarsi sulle caselle vuote e digitare la cifra: se è corretta diventa
nera e si inserisce, se è errata o si colora di rosso o non è possibile
inserirla. In questo modo però si rischia di banalizzare il gioco in
quanto l’abilità necessaria per risolverli rischia di ridursi
semplicemente in scelte casuali.

Ho trovato invece molto interessante il Sudokino della Città del
Sole: una griglia in legno suddivisa in 6 riquadri, ciascuno formato
da sei caselle. Il gioco è basato sui colori e non sulle cifre, e la
risoluzione dei problemi è resa più semplice dal minor numero di
caselle (36 invece di 81) e dal fatto che non bisogna scrivere. Il
bambino deve posizionare il quadratino di legno del colore giusto
nel posto giusto e i tasselli di legno che il bambino può inserire
presentano due facce differenti; pur mantenendo lo stesso colore,
una faccia risulta essere quadrettata in modo che il bambino possa
distinguere gli indizi di base da quelli da lui inseriti. Ciò permette al
bambino di procedere per errori senza dover memorizzare troppi
passaggi.

La Dal Negro, famosa casa produttrice di giochi in scatola, ha
ideato un Sudoku di gruppo, costituito da un piano di gioco diviso
in 15 cartoncini con incastro tipo puzzle. Ogni numero è inoltre
caratterizzato da un colore in modo da rendere la visualizzazione
del Sudoku molto più facile che in una normale partita. Il vantaggio
di questo gioco è quello di poter essere giocato con facilità da più
persone viste le dimensioni del tabellone, permettendo quindi un
lavoro cooperativo che serve anche a far affiorare meglio le singole
abilità.
CAP.1- IL SUDOKU     18




1.2.3. Numeri o icone?

È importante sottolineare come sia assolutamente convenzionale il
fatto che nel Sudoku si utilizzino dei numeri.

Potremmo usare colori, lettere, ideogrammi cinesi o addirittura
immagini; come ha fatto il topolino che ha inserito tra le sue pagine
il Sutopu.

Contrariamente a quanto si pensa, il Sudoku fatto con i numeri è
più facile perché, conoscendo la sequenza numerica a memoria, è
molto veloce individuare i numeri che ancora mancano per
completare righe, colonne o settori. È da notare però che per
bambini molto piccoli che non sanno ancora contare fino a dieci,
colori e disegni, più vicini alla loro realtà, rendono il gioco più
interessante e semplice.
CAP.1- IL SUDOKU   19



1.3. STORIA DEL SUDOKU.

1.3.1.	
  Antenati	
  del	
  Sudoku:	
  I	
  quadrati	
  magici.	
  

I quadrati magici sono gli antenati del Sudoku e hanno origini
                                             antichissime, che risalgono forse
                                             addirittura al quarto secolo a.C.

                                             Un quadrato magico è un quadrato
                                             suddiviso in un certo numero di
                                             caselle, come quelle di una
                                             scacchiera, in ciascuna delle quali
                                             viene collocato un numero naturale,
                                             senza essere ripetuto, in modo tale
                                             che la somma dei numeri disposti
lungo ciascuna riga (orizzontale), colonna (verticale) o diagonale
sia la stessa per tutte. Tale somma è detta costante (magica) del
quadrato.



I quadrati magici hanno dunque le seguenti caratteristiche:

a) sono formati da un minimo di tre caselle per lato (non esistono
quadrati magici con due caselle per lato e quelli costituiti da una
sola casella non sono, ovviamente, interessanti);

b) i numeri che vengono utilizzati per riempire le caselle devono
essere in una sequenza (si utilizzano ad esempio i numeri da 1 a 9,
da 1 a 16, oppure anche da 0 a 15, e così via) e non possono
essere ripetuti;

c) i numeri della sequenza devono essere disposti nelle caselle in
modo che la somma di ciascuna riga, la somma di ciascuna colonna
CAP.1- IL SUDOKU         20



e la somma di ciascuna diagonale diano come totale un valore
sempre identico. Detto in termini matematici: La costante di un
quadrato magico vale [ (n2+1)/2]*n (dove n è l'ordine del quadrato
ovvero il numero delle caselle per lato).



Il primo quadrato magico della storia è cinese e risale a più di
tremila anni fa, ai tempi della dinastia Shang.3

La leggenda, che presenta numerose
versioni, narra di una tartaruga,
animale considerato sacro, che
mostrava sul guscio dei segni
particolari. Più tardi, gli stessi segni
furono interpretati come un quadrato
magico 3x3 con somma costante 15 su ogni riga, colonna o
diagonale: il primo della storia. Tale quadrato magico, chiamato Lo-
shu, cioè «Il saggio del fiume Lo», era realizzato non con cifre, ma
con piccoli cerchietti all'interno di ciascuna casella e diventò uno
dei simboli sacri dell’Antica Cina, rappresentazione, per i cinesi, dei
più arcani misteri della Matematica e dell’Universo.

Cornelio Agrippa (1486-1535) costruì quelli di ordine 3, 4, 5.. fino
al 9, i quali secondo lui rappresentavano i sette pianeti d'allora:
Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna.
Egli deduceva l'imperfezione dei quattro elementi: acqua, terra,




3
    PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione, suggerimenti
didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p. 22.
CAP.1- IL SUDOKU       21



aria, fuoco, dal fatto che non è possibile costruire il quadrato
magico di 4 caselle cioè di ordine 2.

Esistono inoltre quadrati magici di tipo alfabetico, ovvero griglie
quadrate nelle cui caselle sono inserite delle lettere di un qualche
alfabeto, anche ripetute, in modo da costruire parole di una certa
lingua.

L’esempio più noto, chiamato latercolo pompeiano, proviene da due
graffiti rinvenuti a Pompei nel novembre del 1936 da un noto
studioso di graffiti italiano, Pompeo Della Corte. 4

    Si nota subito che il quadrato è formato da
5 parole che possono essere lette sia in
orizzontale che in verticale oppure in
maniera bustrofedica, cioè da sinistra a
destra e viceversa.

Questa è soltanto la più semplice delle
caratteristiche che rendono questo quadrato interessante e magico.

Se proviamo a tradurre letteralmente le parole del quadrato,
possiamo ottenere risultati come questi.

Il seminatore (SATOR) tiene (TENET) con perizia (OPERA) le ruote
(ROTAS).




4
    PIERGIORGIO ODIFREDDI, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie
del matematico, Edizioni Laterza, Bari 2006, pp.26-9.
CAP.1- IL SUDOKU   22



Il significato della parola AREPO rimane invece poco chiara in
quanto, il termine non è strettamente latino e alcune
interpretazioni lo riconoscono quale parola di origine celtica il cui
significato è simile a carro.

La misteriosità del Latercolo pompeiano favorì interpretazioni
magiche e la formulazione di varie congetture per risolvere
l'enigma del quadrato.

In letteratura troviamo numerosi esempi di quadrati magici: nella
prima parte del Faust di Goethe (1808) viene citato un quadrato
magico atipico, con una casella vuota, nel XII capitolo del romanzo
di Thomas Mann (1947) si allude ad un quadrato magico di 16
caselle e basato sul
numero 34.5

In realtà il fascino
dei quadrati
magici è
rintracciabile anche
nell’arte, dove
l’esempio più
famoso di citazione
numerica è l’opera




5
    PIERGIORGIO ODIFREDDI, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del
matematico, Edizioni Laterza, Bari 2006 p.31.
CAP.1- IL SUDOKU          23



Malinconia di Albrecht Dürer.6

Dürer non spiegò mai il simbolismo contenuto in questa sua opera,
ma la maggior parte degli studiosi è d'accordo sul fatto che essa
rappresenti lo stato d'animo depresso del pensatore, incapace di
passare all'azione.

Una delle interpretazioni possibili richiama l’idea che i quadrati
magici, simboli di Giove, combattessero la malinconia che era uno
degli effetti indesiderati di Saturno. Questo può spiegare il
quadrato nell'angolo in alto a destra dell'incisione di Dürer.

Un esempio più recente di quadrato magico si riscontra sulla
facciata della Passione della Sagrada Familla, cattedrale di
Barcellona.

Dietro la statua di Giuda che bacia Gesù c’è infatti un quadrato
dove la somma dei numeri di ogni riga, colonna e diagonale
ammonta a 33 che indica l’età della morte di Cristo.7

L’interesse del Latercolo pompeiano è riscontrabile anche nel
mondo della musica8 dove ad esempio, il dodecafonico austriaco
Anton Webern oltre a farselo scrivere sulla tomba, ne usò nel 1934
una versione per la serie a trasposizioni limitate del Concerto per
nove strumenti opera 24.



6
    Ivi, pp.58-61.


7
    Per approfondimenti: SALA N. – CAPPELLATO G., Viaggio matematico nell’arte e
nell’architettura, Franco Angeli 2003.

8
    Per approfondimenti: GERBINO GIUSEPPE, Canoni ed enigmi, Torre D’Orfeo, 1995.
CAP.1- IL SUDOKU        24



Anche Martin Gϋmbel, affascinato dal Sator Arepo, scrive nel 1968
tre pezzi per flauto omonimi di cui il primo porta esplicitamente
come sottotitolo: «Variazioni su un quadrato magico.».9




1.3.2.	
  I	
  quadrati	
  latini	
  e	
  greco	
  latini.	
  

Molti matematici si sono occupati dei quadrati magici, come
Leonhard Euler (1707-1783), conosciuto in Italia con il nome di
‘Eulero’, che pubblicò un ampio studio sull’argomento, in cui
presentava una “nuova specie di quadrati magici, battezzata
quadrati latini e quadrati greco – latini.

                                                             Un quadrato latino di ordine n è
                                                             una griglia quadrata di n x n
                                                             caselle nella quale compaiono n
                                                             simboli diversi, che soddisfa le
                                                             seguenti condizioni: In ogni
cella della griglia compare un simbolo;




9
    PIERGIORGIO ODIFREDDI, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del
matematico, Edizioni Laterza, Bari 2006, pp. 124-6.
CAP.1- IL SUDOKU         25



In ogni riga e in ogni colonna ciascun simbolo compare una volta
sola.

Un quadrato greco - latino è una sovrapposizione di due quadrati
latini, formati da due insiemi diversi di simboli e che soddisfa la
seguente condizione: ciascuna coppia di simboli compare una sola
volta nel quadrato.

Il nome è dovuto al fatto che in origine venivano utilizzati i simboli
dell’alfabeto greco e quelli dell’alfabeto latino ovvero ciascuna cella
era una coppia di lettere, una greca e una latina.

Riassumendo è possibile dire che i quadrati latini sono molto simili
al Sudoku ma senza la divisione in settori e quindi senza vincoli sui
quadrati 3x3.




1.4. TECNICHE RISOLUTIVE.

1.4.1.	
  Da	
  dove	
  cominciare?	
  

Essendo il Sudoku un gioco in cui occorre riconoscere degli schemi
basati su simboli disposti in date collocazioni spaziali appare ovvio
che con giochi di questo tipo l'allenamento può sviluppare
automatismi istintivi che sfruttano le capacità associative del nostro
cervello.

Il fatto che la formulazione originale del Sudoku preveda nove cifre
è però un ostacolo allo sviluppo di automatismi istintivi: le nostre
CAP.1- IL SUDOKU        26



capacità associative sono infatti messe in difficoltà dal numero
elevato dei simboli, dalla loro non eccezionale riconoscibilità e dalla
distanza che le cifre hanno nelle loro collocazioni spaziali
(specialmente su righe e colonne). È proprio su questo che il
Sudoku ci sfida: sopperire ai limiti delle nostre capacità istintive
con una disciplinata applicazione di regole logiche.

Ennio Peres, uno dei massimi esperti di enigmistica, riassume
scrivendo: «Uno degli aspetti più stimolanti, nella risoluzione di un
problema di Sudoku, consiste nel riuscire a scoprire da soli tutti gli
espedienti necessari per arrivare alla soluzione. Una tale abilità,
però, si acquista solo con l’esperienza. Le prime volte, è facile
brancolare nel buio, col rischio di scoraggiarsi e abbandonare
l’impresa... L’accorgimento più elementare da seguire consiste nel
vedere se è possibile inserire con certezza alcuni numeri nello
schema.».

Le tecniche principali utilizzate per individuare nuovi numeri nel
diagramma vengono definite con i termini di sliding/slicing e
rising/raising.

1.4.2.	
  Cancella	
  e	
  Concludi.	
  

La tecnica di sliding, tradotta da Paolo Fasce10 in cancella, consiste
nello scegliere un numero, cancellare tutti i quadrati, righe e




10
     PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione,
suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p.68.
CAP.1- IL SUDOKU      27



colonne nelle quali questo numero appare e osservare le celle
vuote sopravvissute.

Questa tecnica ci permette di individuare le caselle, all’interno di
righe, colonne e celle, dove siamo obbligati ad inserire quel dato
numero.

Per rendere più chiara la spiegazione mi avvalgo di un esempio
molto semplice.




    a b c     d e f       g h i


1 8 1                     7       3

2             6       7           8

3 9       2 3 1           6


4     4           7       5 6

5         7 9         1 2

6     6 3         4           9


7                 9 2 1           6

8 6           5       4

9 7       8                   5 9
CAP.1- IL SUDOKU   28



Prendiamo in considerazione il numero 8 e cancelliamo tutte le
righe, colonne e celle nelle quali non può comparire questo
numero.




    a b c     d e f       g h i


1 8 1                     7       3

2             6       7           8

3 9       2 3 1           6


4     4           7       5 6

5         7 9         1 2

6     6 3         4           9


7                 9 2 1           6

8 6           5       4

9 7       8                   5 9
CAP.1- IL SUDOKU   29



Se ci soffermiamo sulla colonna b, appare subito evidente che
esiste solo un riquadro in quella colonna nel quale può andare il
numero 8. (b;5)

Lo stesso discorso vale per la riga 3: in quella riga il numero 8
siamo obbligati a segnarlo nel quadratino f;3.

La situazione che quindi ci troviamo ora ad affrontare è la
seguente:




    a b c     d e f       g h i


1 8 1                     7       3

2             6       7           8

3 9       2 3 1 8 6


4     4           7       5 6

5     8 7 9           1 2

6     6 3         4           9


7                 9 2 1           6

8 6           5       4

9 7       8                   5 9
CAP.1- IL SUDOKU    30



Proseguiamo quindi, con l’aiuto di questi due nuovi indizi,
cancellando le rimanenti righe, colonne e celle nelle quali non può
comparire questo numero.




    a b c     d e f       g h i


1 8 1                     7       3

2             6       7           8

3 9       2 3 1 8 6


4     4           7       5 6

5     8 7 9           1 2

6     6 3         4           9


7                 9 2 1           6

8 6           5       4

9 7       8                   5 9




Basta un colpo d’occhio per affermare che nella colonna e esiste
un’unica possibilità nella quale inserire il nostro numero 8 (e;8) e
che lo stesso discorso vale per la riga 4 (d;4).

Inseriamo i nostri numeri e ricominciamo a cancellare.
CAP.1- IL SUDOKU       31




    a b c     d e f       g h i


1 8 1                     7       3

2             6       7           8

3 9       2 3 1 8 6


4     4       8 7         5 6

5     8 7 9           1 2

6     6 3         4           9


7                 9 2 1           6

8 6           5 8 4

9 7       8                   5 9




Non ci rimane che inserire gli ultimi due numeri 8 e ricominciare il
tutto con un nuovo numero.




    a b c     d e f       g h i
CAP.1- IL SUDOKU       32



1 8 1                           7           3

2                 6         7               8

3 9           2 3 1 8 6


4        4        8 7           5 6

5        8 7 9              1 2

6        6 3           4        8 9


7                      9 2 1 8 6

8 6               5 8 4                         Sembrerebbe più comodo iniziare ad
                                                utilizzare questa metodologia con i
9 7           8                      5 9        numeri che compaiono in maggior
                                                quantità perché esistono più
possibilità che si individuino casi unici nel quale si è obbligati ad
inserire quel numero.

Alcuni sudokisti invece preferiscono seguire l’ordine numerico
(partire a cancellare da 1, poi 2 ecc.) per evitare di dimenticarsi di
controllare qualche numero.

In realtà l’ordine incide unicamente sulla velocità di risoluzione e
non nella riuscita o meno del completamento del diagramma.

1.4.2.	
  Interseca	
  e	
  concludi.	
  

La tecnica del cancellare deve essere portata avanti fino a che non
si arriva ad un vicolo chiuso e non è più possibile proseguire.
CAP.1- IL SUDOKU      33



Solo a questo punto si può passare ad un’ulteriore metodologia che
è quella dell’intersecare. Paolo Fasce utilizza il termine
“intersezione”11 perché, anche se molto semplice, la selezione
avviene tramite la procedura matematica di intersezione degli
insiemi.

Osserviamo attentamente come esempio il seguente diagramma.

     a b c d e f        g h i


1

2             7

3


4       1               2    3

5                 4 5

6                   6


7             8

8

9




11
     PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione,
suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p. 82.
CAP.1- IL SUDOKU    34




Consideriamo la colonna d e tutti i numeri che mancano per
completarla:(1;2;3;4;5;6;9.)

Compiamo la stessa operazione nella riga 4, scrivendo tutti i
numeri che mancano per completarla: (4;5;6;7;8;9).

Considerato che anche nelle celle non ci devono essere numeri
ripetuti, trascrivo i numeri mancanti della V cella: (1;2;3;7;8;9).

Costruiamo quindi i tre insiemi e cerchiamo gli elementi che sono
presenti in tutti e tre gli insiemi.




                                 Elementi mancanti
        Elementi mancanti
                                 nella colonna.
        nella colonna.

         1

        2

        3

                      4

                            5
35




CAP. 2 – COME IMPARARE A IMPARARE.




«È del tutto naturale che persone

che hanno qualcosa di veramente particolare

siano diverse le une dalle altre

all’esterno come all’interno.»



(Wolfang Amadeus Mozart)




I

n questo elaborato intendo trattare il Sudoku non propriamente
come gioco enigmistico ma bensì come modalità per migliorare
l’apprendimento.

La nostra realtà è in continua trasformazione; basta pensare a
come sia veloce il ricambio tecnologico e come lo stesso computer
vada incontro a continue trasformazioni che richiedono un costante
aggiornamento da parte di chi lo utilizza. 12




12
     DONALD A NORMAN., Il computer invisibile, Apogeo, Milano 1998.
CAP. 2 – COME IMPARARE          36
 A IMPARARE.

Tutto questo pone ovviamente agli individui la necessità di
cambiare i propri punti di riferimento e di modificare le proprie
competenze a seconda dei cambiamenti che avvengono
costantemente nella nostra società. Appare evidente quindi che la
nostra vita è fatta di continui apprendimenti e che non è facile
spesso rintracciare come abbiamo imparato determinate
competenze. Il più delle volte, apprendimenti già conosciuti si sono
rivelati utili per situazioni diverse e nuove, tanto che li abbiamo
modificati e generalizzati. Ad esempio, l’aver imparato a
camminare e stare in equilibrio ci è stato utile per imparare ad
andare in bicicletta e a sua volta questo apprendimento ci è stato
utile per imparare ad usare il motorino.13 In altre parole possiamo
dire di aver imparato a imparare. Conoscere come funzioni la
nostra mente e quali siano i meccanismi dell’apprendimento
costituisce il primo passo per imparare meglio e imparare a
imparare.

Inoltre, osservando individui con capacità intellettive
sostanzialmente simili si può notare come portino a termine
determinati compiti in modo differente.




13
     ALBERTO OLIVERIO, L’arte di imparare, Biblioteca Universale Rizzoli,
Milano 2001, pp. 95-115.
CAP. 2 – COME IMPARARE   37
 A IMPARARE.

Basta pensare ad esempio che per quanto concerne il metodo di
studio, gli studenti utilizzano strategie differenti come riassumere,
ripetere, sottolineare oppure schematizzare.

Le differenze individuali interessano quindi varie sfere: quella
emotiva, motivazionale, affettiva e soprattutto intellettuale.

L’analisi di queste differenze hanno permesso di esaminare i
processi percettivi, conoscitivi e di interazione con il mondo
consentendo anche di indagare le difficoltà ed i successi legati
all’apprendimento.

Intendo quindi in questo capitolo trattare quattro elementi chiave
dell’apprendimento: l’intelligenza, gli stili cognitivi, gli stili di
apprendimento e la metacognizione.




2.1.	
  VERSO	
  UNA	
  DEFINIZIONE	
  D’INTELLIGENZA.	
  

2.1.1.	
  Approccio	
  psicometrico.	
  

Cercare una definizione universalmente accettabile di intelligenza
non è facile, soprattutto perché alcuni esperti concepiscono
l’intelligenza limitata ad attività intellettive di ordine superiore
come il ragionamento, competenza linguistica, memoria e
conoscenza.

Ovviamente questa definizione tralascia tutte quelle abilità che gli
individui possiedono e che li aiutano nella relazione costante con
l’ambiente in cui vivono, come ad esempio l’agire in vista di un
fine, la motivazione e l’autorealizzazione.
CAP. 2 – COME IMPARARE              38
 A IMPARARE.

Prendo quindi come valida una definizione che consideri entrambi
gli aspetti e non privilegi l’uno a discapito dell’altro: l’intelligenza
come la capacità di apprendere dall’esperienza, utilizzando i
processi metacognitivi per migliorare l’apprendimento e aumentare
la capacità di adattamento all’ambiente circostante, a seconda dei
contesti sociali e culturali.14

Risulta quindi legittimo, in seguito a tale definizione, chiedersi se
sia corretto parlare di intelligenza al singolare, oppure sarebbe più
corretto parlare di intelligenze al plurale.

Gli studi sull’intelligenza hanno origine alla fine del secolo scorso.
La teoria dell’evoluzione di Darwin, come adattamento all’ambiente
e selezione dei tratti migliori per la sopravvivenza, diede il via a
una serie di ricerche tra cui quelle di Galton (1869), che si
proponevano di misurare le differenze individuali.

All’inizio del XX Secolo, Il primo approccio psicometrico a partire da
Binet e Simon fa coincidere il problema delle differenze individuali
con quello della misurazione dell’intelligenza attraverso la
presentazione di test.15




14
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 11.



15
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET,
Torino 1997, pp. 98-9.
CAP. 2 – COME IMPARARE              39
 A IMPARARE.

Le differenze individuali vengono quindi studiate col metodo
correlazionale che consiste nel rilevare tramite test le variazioni già
esistenti tra gli individui.

L’intelligenza venne considerata come un insieme di tratti
caratteristici che l’individuo presenta nella sua interazione con
l’ambiente e stabilirono una scala di intelligenza. La misurazione
del QI si ricavava dal rapporto fra età mentale, giudicata sulla base
delle prove superate, ed età cronologica, moltiplicando per cento.



2.1.2. La teoria gerarchica di Spearman.

Da una concezione dell’intelligenza composta da molteplici
processi, si passò nei primi decenni del secolo ad una concezione
decisamente unitaria soprattutto grazie all’influenza dello psicologo
cognitivo britannico Spearman (teoria gerarchica-1927).16

Attraverso il metodo dell’analisi fattoriale, Spearman individuò un
fattore G (generale) di intelligenza che sarebbe presente in ogni
attività e che potrebbe essere misurato in un test a ogni compito. A
dimostrazione di questo Spearman sottolineo l’esistenza di una
correlazione positiva tra diversi test; ovvero i soggetti che
ottenevano un punteggio alto in un test riuscivano ad ottenere
punteggi elevati anche negli altri test. Ipotizzò quindi l’esistenza di
una sottostante comune abilità mentale, il cosiddetto fattore G,



16
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
pp. 13-4.
CAP. 2 – COME IMPARARE              40
 A IMPARARE.

secondo il quale più è elevato il valore di tale fattore, più un
individuo risulta essere intelligente.

Il fatto che però non sempre la correlazione fra i test risultava
perfetta, portò lo psicologo ad ipotizzare che esistessero una serie
di fattori secondari e specifici detti fattori S e legati al tipo di test e
alla situazione, capaci di condizionare il rendimento. La prestazione
di un individuo al test dunque sarebbe influenzata non solo dal
livello di intelligenza generale ma anche da abilità specifiche quali
l’abilità spaziale, linguistica e aritmetica, richieste da quel
particolare tipo di test.



Da una sovraordinata abilità G, legata all’intelligenza generale,
dipendono delle sotto-abilità misurate da test specifici. (S)17



                                 G




 ab1                  ab2              ab3              ab4              ab5




17
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 14.
CAP. 2 – COME IMPARARE       41
 A IMPARARE.




       S a1         S a2            S a3        S a4          S a5




2.1.3. Le teorie multifattoriali.

Negli anni trenta viene messa in discussione l’unitarietà
dell’intelligenza soprattutto considerando che se è vero che spesso
la correlazione dei test è positiva, come sostenuto da Spearman, è
altrettanto innegabile che la correlazione fra alcuni di essi fosse
estremamente bassa (teoria multifattoriale).

Fu proprio questo a destare l’interesse di Thurstone: la messa in
discussione del fattore G e la nascente concezione di intelligenza
come insieme articolato di abilità.18

Thurstone raggruppò i test che richiedevano una certa abilità
mentale ma che non potevano essere correlati ad altri test che
richiedevano altre attività mentali, ipotizzando quindi un nuovo
modello strutturale dell’intelligenza per cui certe attività hanno in
comune un fattore primario che le distingue dalle altre attività
mentali.


18
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET,
Torino 1997, pp.100-11.
CAP. 2 – COME IMPARARE          42
 A IMPARARE.

Non esiste più un’intelligenza generale ma bensì un insieme
articolato di abilità primarie. L’intelligenza consiste dunque di sette
capacità primarie:

COMPRENSIONE VERBALE: stimata mediante test di vocabolario;

FLUIDITÀ VERBALE: misurata dalla velocità con cui un individuo riesce
a trovare parole che cominciano con una data lettera;

CAPACITÀ NUMERICA: misurata mediante problemi idi ragionamento
aritmetico;

CAPACITÀ DI VISUALIZZAZIONE SPAZIALE: riflessa dalla capacità di
eseguire compiti del tipo del confronto di configurazioni:

MEMORIA: verifica mediante test di rievocazione;

RAGIONAMENTO: misurato mediante la prestazione su problemi di
analogia;

VELOCITÀ PERCETTIVA: misurata dalla velocità di esecuzione di compiti
come quello di cancellare tutte le t presenti in una stringa di
lettere.

Gli studi successivi supposero un numero maggiore di fattori
indipendenti arrivando ad una frantumazione estrema del concetto
di intelligenza.

Guilford nel 1967 elaborò un modello di struttura dell'intelletto nel
quale venivano descritti ben 120 fattori (o tratti individuali)
classificati lungo tre dimensioni: operazioni, contenuti e prodotti.
CAP. 2 – COME IMPARARE              43
 A IMPARARE.

L’intelligenza sarebbe il risultato della combinazione di tre variabili:
i contenuti, i prodotti e le operazioni. 19




2.1.4. L’approccio cognitivista: Human Information Processing.

Negli anni settanta, all’interno del dibattito sulle opportunità
educative ed in seguito al fallimento dei programmi dell’educazione
delle scuole speciali per soggetti svantaggiati, si sviluppò da parte
dei teorici del cognitivismo, una forte critica ai test d’intelligenza.

Si misero in rilievo i limiti di tali test che trascuravano
completamente elementi importanti come la capacità di




19
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 15.
CAP. 2 – COME IMPARARE       44
 A IMPARARE.

adattamento, la comunicazione, la perseveranza e soprattutto i
processi mentali implicati nella risoluzione dei problemi.

La ricerca si spostò dunque dalle misurazioni quantitative allo
studio qualitativo dei processi della prestazione intelligente.

Si assiste così ad un proliferare di studi che vedevano delle
analogie di funzionamento tra l’uomo e il computer.

Questo approccio, definito con il termine di Human information
Processing, si pone come oggetto di studio l’uomo inteso come un
sistema di elaborazione delle informazioni.20

Secondo questo modello, l’individuo riceve le informazioni dal
mondo esterno attraverso gli organi di senso, ciascuno legato ad
un registro sensoriale, dove l’informazione viene conservata per un
intervallo molto breve, viene confrontata con la conoscenza
presente nel magazzino della memoria a lungo termine e
riconosciuta.



L’acquisizione della conoscenza ha quindi un carattere costruttivo
perché apprendere significa connettere l’informazione in arrivo con
una nella memoria a lungo termine e non un semplice
immagazzinare. Le differenze individuali dunque nei punteggi




20
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET,
Torino 1997, pp.101-6.
CAP. 2 – COME IMPARARE      45
 A IMPARARE.

ottenuti dai test dipendono dalle differenze relative ad alcuni o tutti
i processi mentali previsti da questo modello.



Schema di funzionamento della memoria secondo l’approccio dello
Human Information Processing.21




2.1.5.	
  Le	
  differenze	
  individuali:	
  da	
  Sternberg	
  a	
  Gardner.	
  

Negli anni Ottanta si attenua la separazione tra aspetti cognitivi e
affettivo - relazionale e si rafforza l’approccio contestualista
influenzati dagli studi culturali e dal pensiero di Vygotskij.

Questi nuovi approcci, definiti integrativi perché mirano ad
integrare i diversi aspetti dell’intelligenza, si sono diffusi
principalmente ad opera di due importanti autori: Sternberg e
Gardner.



21
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 18.
CAP. 2 – COME IMPARARE              46
 A IMPARARE.




La teoria triarchia si Sternberg deve il suo nome al fatto che si
articola in tre sottocategorie: componenziale - contestuale -
esperienziale.22

La sottocategoria Componenziale riguarda il mondo interno
dell’individuo e specifica i meccanismi cognitivi, i componenti, che
soggiacciono alla prestazione intelligente.

I componenti vengono distinti in tre tipi: metacomponenti,
componenti di prestazione e componenti di acquisizione di
conoscenza.

Le metacomponenti sono processi esecutivi usati nella
pianificazione, esecuzione e valutazione di un compito e

dirigono l’attività globale della mente definendo la natura del
problema da risolvere, le possibilità o meno di risolvere il
problema, selezionano le componenti necessarie per trovare una
soluzione, controllano l’ordine con cui tali componenti vengono
attivati e decidono quando il problema si può considerare risolto. In
sintesi sono, come definisce lo stesso Sternberg: i registi che
dicono agli attori (i componenti di prestazione e di acquisizione di
conoscenze) come recitare.

I componenti di prestazione sono processi di ordine subordinato
che eseguono le istruzioni dei metacomponenti.


22
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 18.
CAP. 2 – COME IMPARARE       47
 A IMPARARE.

I metacomponenti sono pochi mentre i componenti sono numerosi
in relazione all’esperienza dell’individuo e al tipo di compito.

Questi componenti di prestazione caratterizzano il pensiero
analogico permettendo di recuperare dalla memoria l’informazione
rilevante per la soluzione, scoprire la relazione che lega la prima
parte dell’analogia alla seconda e applicare tale relazione alla
seconda parte e così via.

Le componenti di acquisizione della conoscenza riguardano i
processi con cui si imparano cose nuove e si basano soprattutto
sugli studi sulla comprensione verbale. Tre sono i componenti
fondamentali per il funzionamento cognitivo:

CODIFICAZIONE SELETTIVA: distinguere l’informazione rilevante da
quella irrilevante.

COMBINAZIONE SELETTIVA: organizzare in un insieme integrato le
informazioni rilevate dalla codificazione.

CONFRONTO SELETTIVO: mettere in relazione le informazioni ottenute
con le conoscenze preesistenti.

La sottocategoria contestuale riguarda i contesti in cui opera
l’intelligenza, cioè le modalità con cui si attua l’adattamento
dell’individuo all’ambiente.

Il comportamento intelligente è rivolto a tre obiettivi:
l’adattamento all’ambiente esterno preesistente, modificando se
stesso, il modellamento dell’ambiente preesistente per adattarlo a
se stesso e la selezione di nuovi ambienti.

La sottocategoria esperienziale specifica i momenti in cui compiti e
situazioni presenti nell’esperienza dell’individuo, richiedono l’uso di
CAP. 2 – COME IMPARARE             48
 A IMPARARE.

intelligenza. La valutazione dell’intelligenza si basa anche sul livello
di esperienza a cui vengono applicati i componenti. Quando un
compito diventa più familiare, molti suoi aspetti divengono
automatici e questo significa che un compito nuovo pone delle
richieste intellettive maggiori rispetto ad un compito per il quale
sono state sviluppate procedure automatiche.

La teoria di Sternberg propone una visione dell’intelligenza fondata
sui processi cognitivi e inserita in una prospettiva di relativismo
culturale. La sottoteoria componenziale è universalista perché i
componenti sono gli stessi in tutte le culture, però la sottoteoria
contestuale è relativista rispetto agli individui e ai contesti in cui
vivono perché le funzioni di un adattamento all’ambiente non sono
culturalmente neutrali; anche la teoria esperienziale è relativista
per l’esperienza dell’individuo.



Gardner23 definisce l’intelligenza come capacità di risolvere
problemi o di creare prodotti che sono apprezzati in uno o più
contesti culturali: i prodotti possono essere un dipinto, un brano
musicale, l’esecuzione di un esperimento, un lavoro teatrale, la
gestione di un’azienda. In sintesi afferma che «Una competenza
intellettuale umana deve comportare un insieme di abilità di
soluzione dei problemi, consentendo all’individuo di risolvere
problemi o difficoltà in cui si sia imbattuto e, nel caso, di creare un




23
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1997,
pp.116-18.
CAP. 2 – COME IMPARARE          49
 A IMPARARE.

prodotto efficace.»24 In questo modo l’autore unisce una
componente intrapsichica con una dimensione socio-culturale.
L’intelligenza appare dunque come un insieme di dispositivi innati
che però sono suscettibili di modificazioni e in quanto tale hanno
bisogno di essere riconosciuti ed esercitati per poter avere un
adeguato sviluppo. Gardner è convinto che la mente abbia natura
modulare e che ogni modulo sia specificamente dedicato
all’elaborazione di informazioni di natura simili. Sostiene quindi
l’esistenza di sette intelligenze distinte che sono relativamente
indipendenti tra loro ma che possono interagire in modo da
produrre una prestazione intelligente.

Gli esseri umani in pratica si sarebbero evoluti in modo da
processare sette tipi di informazione, ciascuno legato a un
particolare contesto ambientale, arrivando a possedere almeno
sette separate forme di intelligenza, che sono25:



L’INTELLIGENZA LINGUISTICA: è caratterizzata da abilità implicate
nella produzione e comprensione del linguaggio e sensibilità alle
diverse funzioni linguistiche.



24
     GARDNER, H. (1983), Forma mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza,
trad. it., Feltrinelli, Milano, 2000, p. 80.

25
     GENTILI G. - NICOLINI P., Intelligenze multiple e insegnamento della
matematica. Dai punti di forza del bambino ai settori di debolezza,
Junior, Azzano S. Paolo 2005, pp. 9-13.
CAP. 2 – COME IMPARARE       50
 A IMPARARE.

Le persone con questa intelligenza hanno grande abilità con il
linguaggio, sensibilità al significato delle parole, all'ordine delle
parole così come nella capacità di seguire regole grammaticali.

Ad un livello sensoriale ciò si manifesta in una sensibilità ai suoni,
ai ritmi, alle inflessioni delle parole. Le persone con una spiccata
intelligenza linguistica manifestano una particolare sensibilità alle
diverse funzioni del linguaggio come.

Un'alta manifestazione dell'intelligenza linguistica avviene in
persone come giornalisti, romanzieri, commediografi o poeti che
manipolano la sintassi ed il significato delle parole. Tutti hanno un
qualche grado di intelligenza linguistico - verbale in accordo con la
propria cultura.

INTELLIGENZA MUSICALE: riguarda la produzione, esecuzione e
fruizione della musica. Essendo il tono e il ritmo i principali
elementi della musica, questa intelligenza ha a che fare con il
processamento di tali informazioni.

Questo tipo di Intelligenza riguarda il riconoscimento di modelli
tonali, includendo vari suoni ambientali ed una sensibilità al ritmo e
al suono.

Le persone con questa intelligenza sono in grado di ascoltare
continuamente suoni e ritmi nella loro testa. Essi cercheranno di
ripetere questi modelli in più ampi schemi musicali, dando loro una
forma. I musicisti e i compositori spesso comprendono il mondo
attraverso questo tipo di Intelligenza. L'intelligenza musicale
implica la capacità di comprendere il mondo e comunicare con il
mondo attraverso il suono. Tutti gli esseri umani hanno un qualche
livello di intelligenza musicale.
CAP. 2 – COME IMPARARE         51
 A IMPARARE.




INTELLIGENZA LOGICO-MATEMATICA: riguarda il calcolo, la
soluzione di problemi, le dimostrazioni matematiche e il pensiero
scientifico; si tratta di una serie di capacità in grado di trattare
modelli logici e numerici e di manipolare lunghe catene di
ragionamento.

Le persone con questa intelligenza comprendono il mondo
attraverso un'intuizione delle azioni che si possono compiere sugli
oggetti, le relazioni tra queste azioni, le affermazioni e le ipotesi
che si possono fare su queste azioni.

Un individuo con questa intelligenza sviluppata comprenderà le
relazioni tra le affermazioni e le ipotesi come un progresso dalla
sfera senso-motoria a quella della pura astrazione. Questo tipo di
Intelligenza si manifesta in attività come: dividere un'attività in una
serie di compiti sequenziali, mettere in confronto e in contrasto
modelli diversi per giungere ad una conclusione, creare argomenti
convincenti che dimostrino le nostre affermazioni.



INTELLIGENZA SPAZIALE: è la capacità di percepire le relazioni
spaziali e di rappresentarle ed elaborarle mentalmente e anch’essa
ha origine nel confronto con il mondo degli oggetti.

Questo tipo di Intelligenza implica la capacità di comprendere,
percepire, interiorizzare e trasformare il mondo visivo con
precisione. Un architetto, un ingegnere, uno scultore, un
coreografo, un navigatore possiedono un alto livello di questa
intelligenza. Anche i pittori e gli artisti figurativi, che rappresenta
CAP. 2 – COME IMPARARE         52
 A IMPARARE.

no forme, linee, contrasti, figure e colori usano questo tipo di
intelligenza quando creano. Le persone con questo tipo di
intelligenza spesso amano gli scacchi, i puzzle, la fotografia e
dipingere. Come l’intelligenza linguistica, non è del tutto
dipendente dai canali uditivo - visivi e può svilupparsi anche in un
individuo che presenti un deficit in questi canali sensoriali.



INTELLIGENZA CORPOREA: consiste nella capacità di controllare i
movimenti del corpo in modi differenti e abili per fini espressivi e
concreti e di maneggiare gli oggetti con perizia.

Questo tipo di Intelligenza riguarda il movimento fisico, la
conoscenza del corpo e il modo in cui esso opera. Le persone che
hanno un'alta intelligenza corporea posseggono un’acuta
padronanza sui movimenti del loro corpo (ballerini, nuotatori) o
sono capaci di manipolare gli oggetti con finezza (strumentisti,
chirurghi). L'intelligenza corporea implica la capacità di
comprendere il mondo attraverso il corpo, di esprimere idee e
sentimenti e comunicare con gli altri attraverso il corpo. Possiamo
vedere alte manifestazioni di questa intelligenza negli atleti,
ballerini, mimi ed attori ed anche in quelle persone che lavorano
con le mani come chirurghi, scultori, carpentieri ed operai.



INTERPERSONALE: capacità di rispondere appropriatamente agli
umori, bisogni e sentimenti degli altri.

Questa Intelligenza è la capacità di osservare e fare distinzioni sugli
altri, in modo particolare sui loro stati d'animo e tempera menti,
CAP. 2 – COME IMPARARE            53
 A IMPARARE.

intenzioni e motivazioni. Essa consiste nella capacità di
comprendere, percepire e discriminare le personalità e i
comportamenti degli altri. Consulenti, sacerdoti, psichiatri,
insegnanti, commercianti e politici hanno certamente un alto livello
di intelligenza interpersonale, anche se non sempre la usano per il
bene degli altri, ma spesso per manipolarli.



INTRAPERSONALE: conoscenza di se stessi, delle proprie risorse e
debolezze.

Questa intelligenza è definita da un profondo e sviluppato senso del
proprio Sé. Essa consiste nella capacità di conoscere il Sé, di
comprendere il proprio mondo interiore. Le parole importanti per
una persona con un alto livello di questa intelligenza sono:
immaginazione, originalità, disciplina, rispetto di sé, motivazione,
ispirazione e temperamento. Queste persone possono rimandare la
propria gratificazione e riescono bene a disciplinare sé stesse.
Questa intelligenza è essenziale per gli artisti, i filosofi, gli psicologi
e i pensatori.



A queste sette intelligenze, Gardner ne ha successivamente
aggiunta un'ottava, che ha chiamato intelligenza naturalistica,
riferita alla capacità di riconoscere e trattare piante, animali e altre
parti dell'ambiente naturale. Ciò che caratterizza questa
intelligenza è la biofilia cioè l’amore per la vita. Il termine identifica
sia lo scienziato abituato a studiare e classificare con criteri
scientifici, sia l’individuo in grado di applicare una tassonomia
CAP. 2 – COME IMPARARE           54
 A IMPARARE.

popolare, basandosi sulla conoscenza del mondo vivente e legata
più ad un interesse personale che a studi specifici.

Le intelligenze sono indipendenti le une dalle altre: tutti gli individui
normali possiedono le sette intelligenze, con risorse e debolezze
specifiche dell’uno o l’altro dominio, ma non connesse tra loro; lo
sviluppo di un bambino in un dominio non consente previsioni sullo
sviluppo negli altri settori.

Comunque le intelligenze interagiscono; la soluzione di un
problema matematico espresso verbalmente richiede competenze
linguistiche e logico matematiche; l’esecuzione di un balletto
richiede intelligenza corporea ma anche musicale.
CAP. 2 – COME IMPARARE              55
 A IMPARARE.

2.2. VERSO UNA DEFINIZIONE DI STILE.



2.2.1. Gli stili Cognitivi.

L’esperienza quotidiana ci permette di cogliere che spesso, davanti
alle medesime situazioni, gli individui reagiscono utilizzando
strategie differenti. Lo stile cognitivo26 sarebbe, quindi, una
modalità di elaborazione dell’informazione che si manifesta talora
in compiti e in settori diversi del comportamento. È la propensione
che il soggetto ha di adottare più frequentemente strategie di un
certo tipo invece di altre.

Stile cognitivo è un’espressione teoricamente più agile e flessibile
ed è capace di tener conto del fatto che la propensione ad
affrontare i compiti cognitivi coerentemente con un certo stile non
esclude che il soggetto possa compiere vari processi anche con lo
stile opposto.

Tutto ciò ha suscitato l’interesse di quei ricercatori che si sono
concentrati sullo studio delle differenze individuali, indagando le
strategie intraprese nella risoluzione di un compito e non solo la
riuscita o meno di esso.

Secondo molti studiosi le differenze con cui gli individui apprendono
non sarebbero infatti legati a livelli di intelligenza differenti ma
bensì a diversi stili mentali.


26
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 27.
CAP. 2 – COME IMPARARE    56
 A IMPARARE.

Anche Bruner, nelle sue teorie, ha proposto l’esistenza di modalità
differenti attraverso cui l’individuo organizza la propria esperienza:

«Il pensiero umano è essenzialmente di due tipi: il pensiero logico-
scientifico e il pensiero narrativo. Questi due modi di pensare, pur
essendo complementari, sono irriducibili l’uno all’altro.
Il pensiero narrativo si occupa del particolare, delle intenzioni e
delle azioni dell’uomo, delle vicissitudini e dei risultati. Il suo
intento è quello di situare l’esperienza nel tempo e nello spazio.
Il pensiero logico scientifico è un sistema descrittivo e matematico,
ricorre alla categorizzazione e alla concettualizzazione, è teso a
trascendere il particolare e a conseguire un elevato grado di
astrazione».27

La ricerca sugli stili cognitivi cercò di individuare le dimensioni
misurabili del comportamento che determinano le differenze
individuali, avvicinandosi all’approccio psicometrico, ma
rifiutandone l’aspetto valutativo del livello di abilità.

Questa ricerca si avvicina in parte all’approccio cognitivista perché
studia le differenze qualitative nell’elaborazione dell’informazione
ma si allontana da esso perché il concetto di stile non è riducibile ai
processi elementari studiati dall’Human Information Processing.

Per questi motivi la ricerca sugli stili cognitivi si è sviluppata agli
inizi degli anni cinquanta e ha coinvolto vari ambiti teorici come la
psicologia dell’età evolutiva, gli studi sulla percezione, le teorie




27
     J. BRUNER, La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza 1993.
CAP. 2 – COME IMPARARE     57
 A IMPARARE.

dell’intelligenza, la motivazione, il comportamento sociale e la
psicologia dinamica e della personalità.

Uno dei problemi che la ricerca sugli stili cognitivi ha incontrato
lungo il suo percorso è legato ad una “crisi d’identità” dovuta alla
difficoltà di svincolarsi dal concetto di “abilità”.

Messick individua otto possibili variabili in grado di rappresentare
gli stili cognitivi:28

Ampiezza della categorizzazione: preferenza per l’assegnazione di
oggetti e eventi a categorie ampie oppure ristrette.

Complessità cognitiva: differenza nella tendenza a concettualizzare
le esperienze e gli eventi in maniera più o meno articolata e
multidimensionale;

Dipendenza/indipendenza del campo: descrive il grado in cui
l’organizzazione del campo prevalente domina la percezione di
qualche sua parte; in altre parole, il grado in cui la percezione o
comprensione dell’informazione è influenzata dal campo percettivo
o dal contesto in cui l’informazione è collocata;

Livellamento/acutizzazione: i soggetti “livellatori” tendono a
rendere uguali nel ricordo oggetti ed eventi simili ma non identici;
gli “aguzzatori” tendono invece ad accentuare le diversità;




28
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET,
Torino, 1997, pp. 109-11.
CAP. 2 – COME IMPARARE          58
 A IMPARARE.

Esame generale/scanning/messa a fuoco: riguarda le differenze
nell’estensione e intensità dell’attenzione;

Convergenza/divergenza: tendenza dell’individuo a cercare
soluzioni corrette e convenzionali ai problemi, rispetto alla
preferenza per soluzioni molteplici e non convenzionali;

Automatizzazione: riguarda l’abilità di eseguire semplici compiti
automaticamente.

Riflessività/impulsività: tendenza dei bambini a inibire le risposte
immediate e a riflettere sull’accuratezza di una risposta piuttosto
che rispondere impulsivamente.

Già da questa iniziale classificazione proposta da Messick, è
possibile evidenziare la diversità esistente tra gli stili cognitivi e le
abilità. Lo stile infatti non è un’abilità ma è il modo attraverso il
quale si utilizzano le abilità che un individuo possiede. L’abilità
rinvia alla misurazione di una competenza, mentre lo stile individua
una modalità prevalente di risposta. L’abilità é unipolare, gli stili
sono bipolari. Le abilità hanno un valore in assoluto, mentre gli stili
hanno un valore in relazione alla natura di un compito cognitivo. Gli
stili inoltre sono correlati alla personalità e riflettono il modo
attraverso cui si elaborano le informazioni, proprio per questo
diventa per gli insegnanti molto utile e importante individuare delle
regolarità e degli aspetti di stabilità nei modi con i quali lo studente
apprende, così da valorizzare le inclinazioni personali come risorse
per riuscire ad affrontare situazioni diverse.

2.2.3. Stili recenti.
CAP. 2 – COME IMPARARE              59
 A IMPARARE.

Lo stile della dipendenza/indipendenza dal campo è uno degli stili
che è stato e che rimane essere il più studiato.29 L’idea centrale è
che l’individuo, nella risoluzione di un compito, ha una diversa
propensione a lasciarsi influenzare dal contesto in cui sono inseriti
gli stimoli. La persona campo-dipendente fatica a riconoscere
l’informazione e a selezionarla in un contesto ambiguo; è
estremamente legata al contesto e ha una rappresentazione
dell’ambiente più rigida. La persona campo-indipendente invece è
in grado di prescindere dalla specificità dei dati e del contesto,
individua facilmente elementi anche se non sono immediatamente
evidenti e sa dare interpretazioni alternative alle situazioni che si
trova di fronte.

Lo studio dei comportamenti che si possono assumere quando ci si
trova di fronte ad una situazione nuova, ha portato a distinguere
due diverse tipologie di stile: si può cercare di riportare tali
situazioni ad altre già note, in modo da poter applicare strategie
consolidate, oppure viverle come sfide che spingono verso il
cambiamento.

Nello stile proposto da Kirton30 (1989) gli “adattatori” hanno come
principale obbiettivo l’efficienza ovvero di raggiungere l’obiettivo



29
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
pp. 37-40.



30
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
pp. 61-2.
CAP. 2 – COME IMPARARE        60
 A IMPARARE.

facendo meglio. Di fronte alle novità sono dei conformisti e
procedono attenendosi all’applicazione di regole e principi dati,
senza metterli in discussione; gli “innovatori”, invece, valutano le
possibilità di trasformazione che la situazione nuova implica e sono
disposti a cimentarsi in ambiti sconosciuti, affrontando il rischio e
l’incertezza.

Kirton a sostegno del suo modello teorico elabora anche il KAI
(Kirton Adaption-Innovation Inventory), un questionario di self-
report con tre diverse sottoscale che misurano tre dimensioni
descritte come fluidità (scioltezza, facilità di parola), efficienza e
conformità alle regole. La somma dei punteggi di queste sottoscale
genera un profilo che viene poi riportato nella dimensione
dicotomica dello stile.



Lo stile assimilatore/esploratore31 distingue la tendenza ad
applicare, anche a situazioni note, schemi mentali già conosciuti
oppure la tendenza a trasformarli e riadattarli.

In riferimento ai due tipi di approccio sopraccitati, sono state
proposte altre distinzioni; secondo la teorizzazione di Jabri parlando
di “pensiero associativo” si indica un modo di ragionare basato su
strategie di pensiero familiari, routine che potrebbero essere
espresse in parole o simboli. Il “pensiero bisociativo” invece è



31
     MANUELA CANTOIA, LETIZIA CARRUBA,BARBARA COLOMBO, Apprendere con stile.
Metacognizione e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma 2004, p. 19.
CAP. 2 – COME IMPARARE       61
 A IMPARARE.

collegato alla ricerca di nuove procedure per affrontare i problemi,
si verifica quando due schemi mentali si combinano per produrre
qualcosa di nuovo e sorprendente.



Lo stile pensiero destro/pensiero sinistro32 prende spunto dalla
teoria della localizzazione delle attività cerebrali. L’emisfero
cerebrale sinistro controlla i movimenti della metà destra del corpo,
il linguaggio parlato e scritto e per questo è specializzato nelle
operazioni verbali, analitiche, astratte, numeriche e temporali.
L’emisfero destro è specializzato nelle funzioni non verbali, nelle
visioni olistiche, concrete, spaziali, analogiche, in forme di
intelligenza emotive, artistiche e creative. Sulla base di queste
diversità è stato proposto uno stile di pensiero che sottolinea il
diverso uso di un codice verbale-astratto piuttosto che l’utilizzo di
un codice visivo - motorio.

Il pensiero sinistro, sarebbe proprio dei bambini tendenti a seguire
procedure analitiche e sequenziali mentre il pensiero destro
sarebbe invece tipico dei bambini che optano per procedure
innovative per affrontare le situazioni e che preferiscono intuire e
inventare.




32
     IVI, p. 20.
CAP. 2 – COME IMPARARE              62
 A IMPARARE.

In ambito evolutivo è stato molto studiato invece lo stile
impulsivo/riflessivo33 che misura la tendenza dell’individuo ad una
risposta immediata, senza il controllo metacognitivo delle proprie
azioni; oppure un controllo preciso, procedendo con cautela e
riflettendo ed analizzando tutta la situazione prima di arrivare ad
una risposta immediata. Chi adotta uno stile impulsivo tende a
fornire risposte precipitose e non sempre ottimali, chi adotta uno
stile riflessivo, risponde in modo lento e più accurato.



2.2.3. Stili di apprendimento

Se, ogni individuo possiede modalità diverse di elaborare le
informazioni che incontra nell’esperienza quotidiana appare ovvio
che ciascuno di noi utilizzerà strategie differenti per apprendere.
Strettamente connesso al discorso sugli stili cognitivi appare
dunque il concetto di stili di apprendimento.34

Quando si parla di stile di apprendimento, si intende riferirsi alla
tendenza di un individuo a preferire un certo modo di apprendere e
studiare rispetto ad altri.




33
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
pp. 47-51.



34
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,

pp.71-3.
CAP. 2 – COME IMPARARE         63
 A IMPARARE.

È un elemento che non solo coinvolge gli aspetti cognitivi ma anche
quegli aspetti della nostra personalità che possono influenzare gli
apprendimenti come gli aspetti socio-affettivi.

Ciascuno di noi può rendersi conto di come alcune persone
acquisiscono con facilità informazioni visive come figure, schemi e
immagini mentre altri percepiscono meglio concetti astratti, come
parole dette e scritte, e modelli matematici.

Come per gli stili cognitivi, non è possibile collocarsi ad un estremo
piuttosto che ad un altro in quanto lo stile di apprendimento indica
una tendenza e non un valore assoluto.

Il concetto di stile di apprendimento è stato preso in considerazione
dai ricercatori a partire dagli anni settanta.



Lo stile visualizzatore/verbalizzatore35 descrive la preferenza
individuale nell’uso nell’uso di immagini, schemi riassuntivi,
diagrammi e tabelle, contrapposto ad un codice linguistico, testi e
registrazioni sonore.

La preferenza di un codice è da considerarsi tenendo conto della
fase di sviluppo della persona (i bambini spesso preferiscono le
immagini ai testi scritti) e va collegata alla capacità di gestire tali
strategie; un conto è preferire le illustrazioni, diverso è utilizzare in
maniera costante tale codice.




35
     MANUELA CANTOIA, LETIZIA CARRUBA, BARBARA COLOMBO, Apprendere con stile.
Metacognizione e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma 2004, p. 20.
CAP. 2 – COME IMPARARE              64
 A IMPARARE.

Nello stile di apprendimento olistico/seriale36(Pask 1976) appare
evidente che la tendenza ad usare preferibilmente uno piuttosto
che l’altro dà vita allo stabilirsi di due stili di apprendimento che
presentano sostanzialmente due obiettivi differenti: uno "basato
sulla comprensione" e l’altro "basato sulle operazioni". Esistono,
infatti, studenti che mirano alla comprensione personale delle
esperienze, preferendo quindi gli esempi concreti e collegando i
contenuti che studiano alle proprie esperienze, e studenti che
puntano all’assimilazione riproduttiva ovvero a un impiego di
appropriate procedure e prove per verificare le idee. Viene inoltre
previsto uno stile intermedio chiamato versatile che implica la
capacità di passare da una strategia seriale ad una solistica a
seconda delle situazioni di apprendimento in cui ci si trova.

La distinzione sulla base degli obiettivi viene ripresa nello stile di
Entwistle37 (1981) che distingue due approcci definiti come
superficiale e profondo.

I bambini superficiali sono quelli che per paura di sbagliare tendono
a memorizzare i contenuti e le procedure cercando di compiere il
minimo sforzo; quelli profondi mirano invece a cogliere il massimo
significato nei contenuti da apprendere nutrendo per essi un


36
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
pp. 86-7.



37
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
pp. 87-8.
CAP. 2 – COME IMPARARE      65
 A IMPARARE.

personale interesse. Anche in questo caso si prevede un
orientamento intermedio, denominato strategico, che risulta dalla
combinazione di elementi superficiali e profondi: lo studente
strategico è abile nell’inferire le aspettative, le attese, le
rappresentazioni che costituiscono il contesto di apprendimento di
cui fa parte ed in base a queste sceglie strategie funzionali al
raggiungimento dei suoi scopi.



Tra i modelli più articolati ritengo importante citare quello di Kolb
(1976)38 che propone una visione dinamica e circolare
dell’apprendimento. Questo tipo di apprendimento viene infatti
concepito come un ciclo con quattro stadi: un processo attraverso il
quale l’individuo cerca di imparare dalle proprie esperienze e di
conseguenza modifica il proprio comportamento. Per questo
studioso esistono due principali assi (esperienze
concrete/concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva-
osservazione riflessiva) dall’incrocio dei quali si possono delineare
quattro diversi stili di pensiero: assimilatore/accomodatore e
divergente/convergente.



Schema dei processi di apprendimento secondo Kolb.




38
     Ivi, pp. 73-81.
CAP. 2 – COME IMPARARE      66
 A IMPARARE.




La distinzione tra assimilazione e accomodamento è da ricollegarsi
alla definizione di intelligenza di Piaget quale combinazione ed
equilibrio di questi due processi.

Il primo, chiamato assimilazione, consiste nell’aggiunta di nuove
informazioni negli schemi preesistenti del bambino; questo
spiegherebbe perché gli assimilatori sono particolarmente bravi nel
compiere generalizzazioni a partire da casi particolari.

Il processo di accomodamento invece, riguarda la capacità di
modificare gli schemi preesistenti e di adattarli alla nuova
informazione; gli accomodatori, infatti, amano essere coinvolti in
nuove esperienze e risolvono i problemi con procedure per prove
ed errori di tipo intuitivo, adattandosi rapidamente alle situazioni
nuove.

Quelle convergenti e divergenti sono, invece, due modalità
attraverso le quali si realizza il processo cognitivo. Il pensiero
convergente elabora le informazioni in modo logico e univoco, le
CAP. 2 – COME IMPARARE              67
 A IMPARARE.

persone che preferiscono questo stile di pensiero riescono bene nei
test tradizionali di intelligenza e nella soluzione di problemi; il
pensiero divergente elabora le informazioni in modo vario e
creativo, le persone che preferiscono questo stile di pensiero sono
dotati di abilità immaginative e capaci di produrre molte e
diversificate idee.

Per concludere il discorso è necessario prendere anche in
considerazione l’influenza della dimensione sociale negli stili di
apprendimento, facendo riferimento alla ricerca di Riechmann e
Grasha (1982) sulla dimensione dell’interazione sociale.39

Questo stile non è legato al modo di percepire e organizzare
l’informazione ma tratta le modalità di interazione dello studente
con gli insegnanti e con i suoi pari in un ambiente di
apprendimento.

Questo lavoro cerca di cogliere gli aspetti che incidono
sull’atteggiamento e il comportamento dello studente in classe
identificando tre dimensioni bipolari:

Evitante/partecipante;

Competitivo/collaborativi;

Dipendente/indipendente.




39
     ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004,
p. 90.
CAP. 2 – COME IMPARARE   68
 A IMPARARE.

La dimensione partecipante/evitante misura quanto un individuo
vuole essere coinvolto nell’ambiente di classe, quanto reagisce alle
procedure di classe e le sue attitudini verso l’apprendimento.

La scala collaborativo/competitivo misura la motivazione di base
dell’interazione di un individuo con gli altri.

La terza scala indipendente/dipendente misura l’attitudine dello
studente verso gli insegnanti e quanto desideri libertà e controllo
nell’ambiente di apprendimento.

2.3.	
  VERSO	
  UNA	
  DEFINIZIONE	
  DI	
  METACOGNIZIONE.	
  

2.3.1.	
  Il	
  termine	
  “metacognizione”.	
  

Il termine metacognizione, un concetto relativamente nuovo che si
sviluppa all’interno della psicologia dei processi cognitivi e
dell’apprendimento, significa letteralmente “Consapevolezza della
propria cognizione”. La metacognizione è dunque “l’insieme delle
attività psichiche che presiedono al funzionamento metacognitivo”
ovvero è un termine che rimanda alla conoscenza e alla
consapevolezza che ciascuno di noi ha della propria mente, del
proprio modo di lavorare e di affrontare alcuni problemi.40

Si riferisce quindi alla distinzione di processi cognitivi di base che
presiedono alle operazioni mentali ( come lettura, scrittura,




40
     CORNOLDI CESARE, Metacognizione ed apprendimento,Bologna, Il
Mulino 1995.
CAP. 2 – COME IMPARARE        69
 A IMPARARE.

memoria, attenzione…) ed il livello superiore in cui si colloca la
conoscenza, la consapevolezza e il controllo di questi processi.

Si deve, infatti, considerare un aspetto più attivo della
metacognizione, che fa riferimento non solo alla conoscenza delle
strategie da utilizzare, ma anche alla capacità di usare quello che si
conosce per controllare i propri processi di pensiero e la capacità di
individuare le situazioni in cui applicare con successo una data
strategia piuttosto che un’altra. Inizialmente lo studio sulla meta
cognizione, nei primi anni Ottanta, veniva utilizzata soprattutto per
i casi di difficoltà di apprendimento e situazioni di dichiarata
disabilità, successivamente si è iniziato ad associare l’intervento
metacognitivo con il termine di atteggiamento metacognitivo,
evidenziando l’importanza di un lavoro che consideri i diversi
aspetti dell’apprendimento e le molteplici dimensioni di colui che
apprende (cognitiva, affettiva, sociale e di personalità),
indipendentemente dal suo livello di prestazione.

Recentemente però ci si è resi conto dell’importanza che la
metacognizione riveste nell’apprendimento anche di bambini
normodotati e, anche se la competenza metacognitiva e gli effetti
di un intervento mirato sono più difficili da valutare nei casi in cui
non siano presenti difficoltà a livello cognitivo, l’approccio
metacognitivo permette un apprendimento più profondo e
generalizzabile.41




41
     ALESSANDRO ANTONIETTI , Psicologia dell’apprendimento, La Scuola,
Brescia 1998.
CAP. 2 – COME IMPARARE       70
 A IMPARARE.

Nei principali modelli teorici ricorrono cinque fondamentali ambiti di
applicazione e di indagine: le conoscenze, la consapevolezza, il
controllo, la generalizzazione (transfer) e gli elementi individuali
che caratterizzano l’esperienza di apprendimento.

2.3.2.	
  Le	
  conoscenze.	
  

Una prima definizione di metacognizione è da collocarsi alla metà
degli anni settanta e proposta da Flavell secondo il quale la
metacognizione non sarebbe altro che la capacità di un individuo di
conoscere il funzionamento della propria mente e di quella degli
altri.

Avere una propria teoria della mente e saper costruire una teoria
della mente altrui permette di regolare conseguentemente il
proprio comportamento.

All’interno delle conoscenze metacognitive si possono distinguere
quindi oltre alle variabili della persona, ovvero la conoscenza dei
propri limiti e delle proprie abilità, anche le variabili legate alle
caratteristiche del contesto e del compito che si deve affrontare e
le variabili legate alle strategie ovvero le modalità possibili per
aiutare l’attività metacognitiva. In sintesi si dice metacognitiva la
conoscenza che un individuo ha dei propri mezzi cognitivi e delle
modalità per usarli e controllarli.42




42
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET,
Torino, 1997, p. 284.
CAP. 2 – COME IMPARARE              71
 A IMPARARE.

2.3.3.	
  La	
  consapevolezza.	
  

Purtroppo non tutto quello che si conosce si è poi in grado di
metterlo in pratica. Basta pensare che una lamentela ricorrente
degli insegnanti sia legata all’incapacità dei propri alunni di mettere
in pratica le informazioni che possiedono.

Importante diventa quindi, non solo conoscere i propri processi
mentali, ma anche averne consapevolezza.

Gli individui presentano gradi di consapevolezza differenti a
seconda dell’età, del livello culturale e della motivazione.

Schraw e Moshman43 distinguono tre tipi di teorie meta cognitive
con gradi di consapevolezza differenti:

Le teorie tacite sono acquisite senza consapevolezza esplicita;

Le teorie informali presentano un certo grado di consapevolezza e
gli individui sono in grado di riconoscere l’inadeguatezza di certe
convinzioni e le modificano;

Le teorie formali presentano un alto grado di consapevolezza meta
cognitiva e sono molto rare.

Riassumendo potremmo dire che nella risoluzione di un compito
esistono vari gradi di consapevolezza metacognitva.

Il primo grado, che non si può ancora definire metacognitivo, si ha
quando l’individuo non è in grado di dare una motivazione circa
l’incapacità di risolvere un compito.



43
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1997,
p. 290.
CAP. 2 – COME IMPARARE              72
  A IMPARARE.

Si arriva ad un livello di pre-consapevolezza quando si riescono ad
individuare uno o più comportamenti che sono legati alla difficoltà
di risolvere il compito assegnato.

Il livello di consapevolezza vero e proprio viene raggiunto quando
l’individuo è in grado di fare riferimento alla mente individuando le
cause dei processi.

2.3.4.	
  Il	
  controllo.	
  

Una volta che alle proprie conoscenze metacognitive fa riscontro un
buon livello di consapevolezza si può regolare il proprio lavoro
mentale intervenendo a vari livelli sui processi che vengono messi
in atto, ovvero l’individuo diviene in grado di controllare i propri
processi cognitivi.

Brown e Campione formulano una teoria metacognitiva dell’abilità
mentale e delle differenze individuali che si suddivide in quattro
strategie di controllo esecutivo.44

PREDIZIONE: si chiede ai soggetti di predire il loro livello di
prestazione in un compito o di stimarne il grado di difficoltà, o di
predire il risultato dell’applicazione di una certa strategia. La
predizione richiede l’abilità di immaginare gli atti cognitivi che non
si sono ancora verificati e risulta abbastanza difficile per i soggetti
più giovani.




44
     BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1997,
Pag. 294/295
CAP. 2 – COME IMPARARE                  73
 A IMPARARE.

PIANIFICAZIONE: riguarda la capacità di organizzare le azioni che
portano a un obiettivo. Si chiede a un bambino se dopo che gli è
stato detto il numero di telefono di un suo amico, preferisce
telefonargli subito o fare qualche cosa di diverso prima. I bambini
di otto anni si mostrano di regola consapevoli che è meglio
telefonare subito per non dimenticare il numero o di scriverlo,
mentre i più giovani non sanno indicare un piano per ricordare.



MONITORAGGIO: riguarda il controllo che un individuo esercita su
un’attività cognitiva da lui intrapresa, in particolare sulla soluzione
di un problema. Risolvere un problema implica una serie di
operazioni, la correttezza di ciascuna delle quali è condizione
necessaria per la soluzione. A differenza della predizione e della
progettazione, che evolvono con l’età e l’esperienza, le carenze di
questa forma di controllo si rilevano a tutte le età.



VALUTAZIONE: riguarda la capacità di mettere alla prova una
strategia di apprendimento ed eventualmente di modificarla.
Mentre il monitoring è un controllo progressivo che si esercita sulle
singole fasi, la valutazione riguarda l’esecuzione di una strategia
nella sua globalità.

2.3.5.	
  La	
  generalizzazione	
  (transfer)	
  e	
  gli	
  elementi	
  individuali	
  che	
  
caratterizzano	
  l’esperienza	
  di	
  apprendimento.	
  

Una volta che l’individuo è in grado di controllare i propri processi
cognitivi deve anche essere in grado di accedere alle conoscenze di
CAP. 2 – COME IMPARARE   74
 A IMPARARE.

cui dispone e utilizzarle ovvero deve essere abile nel transfer
dell’apprendimento.

Per transfer si intende l’effetto di un apprendimento su un
apprendimento successivo.

Il pregio di questa teoria sta nell’aver individuato la sequenza dei
processi che riflette il comportamento di un pensatore o solutore.

Questa classificazione serve anche per una nuova
concettualizzazione dell’intelligenza e dei modi per stimolarla.

Per i cognitivisti il transfer consiste nella capacità di cogliere e di
ricercare elementi simili negli stimoli, in base alle conoscenze e agli
schemi che si possiedono. Tale capacità varia con l’età e
l’esperienza, oltre che da individuo a individuo e risente della
scolarizzazione e delle pratiche educative.

Apprendere ad apprendere: imparare non significa solo acquisire
elementi di conoscenza, ma capire qualcosa della situazione di
apprendimento, delle strategie adatte, dei propri limiti e delle
proprie risorse, della difficoltà che un determinato compito implica.

Essere esperti nell’imparare vuol dire essere consapevoli dei fattori
che interagiscono nell’apprendimento. Consiste in un processo di
acquisizione della conoscenza relativa a regole, strategie e obiettivi
necessari per una prestazione efficiente.

2.3.6.	
  Metacognizione	
  e	
  didattica.	
  

L'insegnante che ha capito l’importanza delle teorie metacognitive
favorisce gli allievi nell'impegno di imparare ad imparare: in sintesi
ciò significa che la didattica metacognitiva assume un significato
CAP. 2 – COME IMPARARE               75
 A IMPARARE.

paradigmatico, è un campo d’intervento affascinante ed al tempo
stesso impegnativo. Per gli insegnanti usare tecniche metacognitive
significa adottare intese collaborative finalizzate alla proposta ed
allo sviluppo di un insieme di abilità trasversali che hanno a loro
volta   una    positiva    ricaduta   nell'intero     processo     evolutivo
dell’alunno. Il ruolo dell'insegnante diviene quello di agevolare
attivamente i processi cognitivi e gli apprendimenti. La Didattica
metacognitiva offre quindi un approccio utile ad ogni ambito
disciplinare e certamente si rivela una modalità d’intervento
didattico molto produttiva perché offre strategie flessibili in base
alle esigenze degli studenti di ciascuna fascia d'età. Adottare
strategie di didattica metacognitiva non significa quindi soltanto
sperimentare nuove tecniche didattiche ma significa piuttosto
mettere in questione, ogni giorno, la propria professionalità, allo
scopo di migliorarla e renderla sempre più adeguata alle differenze
individuali di ciascun alunno. L’insegnante metacognitivo deve
quindi non solo conoscere bene la propria materia ma deve
conoscere     anche   le   altre   discipline   per    poter     ricercare   i
collegamenti necessari all’unitarietà del sapere. Deve inoltre saper
motivare all’apprendimento e sapersi mettere in discussione ma
soprattutto deve avere la curiosità di scoprire e amare la
conoscenza.
76




CAP. 3 – INTELLIGENZA MATEMATICA.




«Gran parte dei veri matematici i calcoli non li sa nemmeno fare

Non vogliono sprecare il tempo,

e poi ci sono le calcolatrici.

Ce ne hai una anche tu,no?

Certo,però a scuola non possiamo usarla.

Sapere un po’ le tabelline non guasta.

Può tornare utile se si scaricano le batterie.

Ma la matematica,caro mio,è un’altra cosa!»

(Hans M. Enzensberger)




«

La maggior parte di noi può stimare il numero di oggetti presenti in
un insieme dando loro un’occhiata, senza bisogno di contarli,
purché essi non siano più di circa cinque. Questo giovane doveva
contare pur se aveva di fronte solo due oggetti! Questa non era
mancanza di istruzione ma qualcosa di tutt’altro ordine.
ZAVA Laura - A scuola col Sudoku
ZAVA Laura - A scuola col Sudoku
ZAVA Laura - A scuola col Sudoku
ZAVA Laura - A scuola col Sudoku
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ZAVA Laura - A scuola col Sudoku

  • 1. 1 Laura  Zava   impariamo  a  imparare   A  SCUOLA  CON  IL   SUDOKU   a  cura  di  Giovanni  Lariccia   Docente di Didattica della Matematica, Università Cattolica di Milano a  cura  di  Giovanni  Lariccia   Docente di Didattica della Matematica, Università Cattolica di Milano
  • 2. INDICE 2 INDICE.   INDICE.   1   INTRODUZIONE.   7   1.1. UNA DEFINIZIONE DI “SUDOKU”.  12   1.1.1. il vocabolo “Sudoku”.   12   1.1.2. Che cos’è il Sudoku: le regole.  13   1.2. TIPI DI “SUDOKU”.   15   1.2.1. Facile, medio, difficile o diabolico?   15   1.2.3. Numeri o icone?  18   1.3. STORIA DEL SUDOKU.  19   1.3.1. Antenati del Sudoku: I quadrati magici.   19   1.3.2. I quadrati latini e greco latini.   24   1.4. TECNICHE RISOLUTIVE.   25   1.4.1. Da dove cominciare?   25   1.4.2. Cancella e Concludi.   26   1.4.2. Interseca e concludi.   32   CAP. 2 – COME IMPARARE A IMPARARE.   35   2.1. VERSO UNA DEFINIZIONE D’INTELLIGENZA.   37   2.1.1. Approccio psicometrico.     37 2.1.3. Le teorie multifattoriali.  41   2.1.4. L’approccio cognitivista: Human Information Processing.   43   2.1.5. Le differenze individuali: da Sternberg a Gardner.   45  
  • 3. INDICE 3 2.2. VERSO UNA DEFINIZIONE DI STILE.   55   2.2.1. Gli stili Cognitivi.   55   2.2.3. Stili recenti.   58   2.2.3. Stili di apprendimento   62   2.3. VERSO UNA DEFINIZIONE DI METACOGNIZIONE.   68   2.3.1. Il termine “metacognizione”.   68   2.3.2. Le conoscenze.   70   2.3.3. La consapevolezza.   71   2.3.4. Il controllo.   72   2.3.5. La generalizzazione (transfer) e gli elementi individuali che caratterizzano l’esperienza di apprendimento.   73   2.3.6. Metacognizione e didattica.   74   CAP. 3 – INTELLIGENZA MATEMATICA.   76   3.1. PRIME FORME DI MATEMATIZZAZIONE.   78   3.1.1. Conoscenza di natura dichiarativa.   78   3.1.2. Conoscenze di natura procedurale.   81   3.1.3. Competenze strategiche e autoregolative.   82   3.1.3. La dimensione affettiva, convinzioni e motivazioni.   84   3.2. SVILUPPO DELLA CONOSCENZA NUMERICA.   86   3.2.1. Abilità cognitive e competenze numeriche.   86   3.2.2. Dalle conoscenze numeriche preverbali.   89   3.2.3. ..all’acquisizione delle parole numero e delle abilità di conteggio.   94   3.2.4. Simbolizzazione: il numero scritto.   98   CAP. 4 - LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI.   107  
  • 4. INDICE 4 4.1. IL PROBLEM SOLVING.   109   4.1.1. Definizione.   109   4.1.2. Processi cognitivi del Problem Solving: excursus storico.   110   4.1.3. La didattica per problemi.   114   4.2 ELEMENTI CHE INFLUENZANO IL PROBLEM SOLVING.   116   4.2.1. La base conoscitiva   117   4.2.2. Il transfer.   117   4.2.3. Le strategie euristiche di soluzione   118   4.2.4. Convinzioni, motivazioni ed emozioni.  119   4.2.5. Processi metacognitivi di controllo nel Problem Solving.   119   4.3. IL PROBLEM SOLVING NELL’ INSEGNAMENTO DELLA MATEMATICA.   122   4.3.1. Soluzione di problemi matematici.   122   4.3.2 La prospettiva di Polya.   123   CAP. 5 – LOGO, IPERLOGO, IPERQQ.   126   5.1. COMPUTER E APPRENDIMENTO.   127   5.1.1. Il computer a scuola.   127   5.1.2. Il computer come strumento che cambia il modo di pensare e di imparare  129   5.1.3. Interfaccia grafica e didattica.   131   5.1.3. Il Logo.   132   5.1.4. Il Linguaggio della tartaruga.   135   5.2. IPERLOGO.   137   5.2.1. Cos’è iperlogo?   137   5.2.2. IperQQ e QQ.storie   138  
  • 5. INDICE 5 5.2.3. QQ.Sudoku   139   CAP. 6 – QQ.SUDOKU A SCUOLA.   143   6.2. IMPORTANZA DEL SUDOKU A SCUOLA.   144   6.2.1. Rapporto tra il Sudoku e le Indicazioni Nazionali.   144   6.2.2 il Sudoku metacognitivo.   148   6.3.PROGETTO QQ.SUDOKU.   149   6.3.1. QQ.Sudoku e i test.   149   6.3.2. L’intervista metacognitiva.   152   6.3.3. Analisi dei dati e considerazioni.   154   CONCLUSIONI.   167   APPENDICE.   170   Protocollo n.1 (Rescaldina, 3-febbraio-2007)   170   Protocollo n.2 (Monza, 13-febbraio-2007)   178   Protocollo n.3 (Monza, 13-febbraio-2007)   187   Protocollo n.4 (Monza, 13-febbraio-2007)   195   Protocollo n.5 (Monza, 13-febbraio-2007)   201   Protocollo n.6 (Monza, 1-marzo-2007)   209   Protocollo n.7 (Monza, 1-marzo-2007)   217   BIBLIOGRAFIA.  225   MONOGRAFIA.   225   DOCUMENTI LEGISLATIVI.  237   LINKOGRAFIA.  238   RINGRAZIAMENTI.   239  
  • 6. INDICE 6
  • 7. 7 INTRODUZIONE. Con questo lavoro vogliamo mettere in evidenza le relazioni che si possono osservare tra alcuni elementi importanti dell’ apprendimento scolastico che sono stati introdotti o valorizzati recentemente nella scuola primaria. Alcuni di questi elementi riguardano i contenuti, altri riguardano i metodi di insegnamento: e mentre noi siamo ben consapevoli che l’ innovazione del sistema educativo dipende in maniera stretta dalla integrazione tra metodi e contenuti. Il primo elemento è l’informatica: la riforma Moratti prevede l'utilizzo degli strumenti informatici a partire dalle prime classi del ciclo primario. Il piano per l’introduzione della multimedialità nella scuola rappresenta uno sforzo per mantenere il nostro paese al passo con i paesi più avanzati. L’ utilizzo del computer a scuola si basa sul lavoro cooperativo: lavorando in piccoli gruppi e per progetti e proponendo obiettivi di alto livello. In ogni caso il computer deve essere sempre utilizzato non come fine in sé stesso ma come un mezzo per "imparare ad imparare". Il secondo elemento, di carattere metodologico, è la didattica metacognitiva. Questa metodologia investe in modo trasversale l' intero processo di insegnamento/apprendimento ed agisce sulla natura dei percorsi evolutivi di ogni allievo. Per gli insegnanti usare tecniche metacognitive vuol dire adottare intese collaborative finalizzate alla proposta ed allo sviluppo di un insieme di abilità trasversali che hanno a loro volta una ricaduta positiva nell'intero processo evolutivo di ogni alunno. L'insegnante che opera in
  • 8. INTRODUZIONE 8 armonia con le teorie metacognitive favorisce gli allievi nell'impegno di imparare ad imparare. Il terzo elemento è il gioco del Sudoku visto come uno strumento capace di promuovere negli allievi lo sviluppo e la consapevolezza di alcune capacità cognitive molto importanti. Il bambino apprende giocando e il suo gioco diviene spesso raffinata strategia di esplorazione e conoscenza del reale. Possiamo affermare senza esitazioni che il gioco è una situazione in cui si intersecano la vita e l’ apprendimento. Noi arriveremo a dimostrare che il Sudoku rappresenta il prototipo di un gioco metacognitivo, che tende a favorire i processi di consapevolezza delle proprie capacità intellettuali e la costruzione di strategie di apprendimento via via più complesse. Vedremo, in sostanza, che il Sudoku può essere visto come un modello di strumento per imparare a imparare. Quali sono le implicazioni di questa affermazione? Significa che attraverso il Sudoku possiamo ‘inoculare’ nella scuola comportamenti, strategie, abitudini che favoriscono l’ acquisizione ed il consolidamento di processi di apprendimento più economici ed efficaci. Introdurre il Sudoku a scuola, nelle forme appropriate che cercheremo di delineare e mettere a punto, consente di sviluppare abilità di controllo e di potenziamento delle performances cognitive. Imparare a imparare viene riconosciuta come una meta-abilità che può crescere ed evolversi con l'allievo e può divenire il filo conduttore che lo guida verso una positiva assunzione di responsabilità in merito al proprio processo di apprendimento.
  • 9. INTRODUZIONE 9 La nostra tesi prende dunque le mosse proprio dal Sudoku, con un capitolo interamente dedicato al gioco, alla sua storia e alle principali modalità di risoluzione. Poiché, come abbiamo visto, il Sudoku è strettamente legato all’ apprendimento consapevole, ho pensato di affrontare nel capitolo successivo alcuni aspetti importanti dell’ apprendimento stesso. Definisco quindi il concetto di intelligenza, con un excursus storico di come si è evoluto, e il rapporto stretto che questa definizione acquisisce con i concetti di stile cognitivo e stile di apprendimento. Dopo aver delineato la differenza che intercorre tra essi, appare ovvio aprirsi al concetto di metacognizione per arrivare a parlare propriamente di didattica metacognitiva. Considerando poi che il rapporto che lega questo argomento al Sudoku è da ricavarsi in un tipo di intelligenza specifica, ho trovato necessario dedicare un capitolo alla cosiddetta intelligenza matematica, con una spiegazione abbastanza dettagliata delle prime forme di matematizzazione e una presentazione di alcune ricerche relative allo sviluppo della conoscenza numerica e in particolare di quelle conoscenze e competenze che il Sudoku richiama nel procedimento di risoluzione. Ho pensato poi di dedicare un capitolo a parte per il Problem Solving perché appare evidente che il Sudoku è fondamentalmente e principalmente un problema da risolvere. Partendo dalla definizione di situazione problematica, vengo a definire la didattica per problemi e l’esistenza di elementi che spesso influenzano la risoluzione del problema. Nel caso specifico del Sudoku vedremo come soprattutto le convinzioni, motivazioni ed emozioni influenzano la buona riuscita o meno del gioco. Il capitolo
  • 10. INTRODUZIONE 10 successivo riguarda l’aspetto informatico della mia tesi e quindi la scelta di creare un’applicazione specifica per il computer. Per utilizzare il Sudoku come contributo originale di una proposta didattica sulla metacognizione, ho trovato utile partire dalla filosofia del linguaggio Logo, di cui parleremo nel capitolo 5, che in un certo senso si può considerare un antesignano della metacognizione. Il programma QQ.sudoku da me utilizzato rientra nel progetto IperQQ di cui parleremo più avanti ed è una applicazione sviluppata in Iperlogo del programma contenitore QQ.storie. Iperlogo è un linguaggio di programmazione realizzato da G. Lariccia e G. Toffoli. QQ.storie è stato ideato e sviluppato in Iperlogo da G. Lariccia. Dalla collaborazione con il professor Lariccia è nata l’ idea di progettare e sviluppare l’applicazione QQ.sudoku, alla quale ho contribuito direttamente. QQ.sudoku, ancora in versione preliminare è stato alla base della sperimentazione da me condotta all’interno dell’istituto scolastico “Maddalena di Canossa”. A questa sperimentazione ho dedicato un intero capitolo, con una parte centrata sui test provati coi bambini e sull’intervista metacognitiva che è stata somministrata nella prima fase della sperimentazione. Concludo quindi con una raccolta dei dati e delle considerazioni che si possono ricavare a sostegno della tesi che il Sudoku può diventare a scuola uno strumento per imparare, seguita da una valutazione del progetto
  • 11. 11 CAP. 1 – IL SUDOKU. «Lecco, ladro di Sudoku in biblioteca ruba le pagine di giornali con il gioco» (la Repubblica) Trovo molto interessante, semplice e divertente, iniziare a parlare di Sudoku facendo riferimento ad una bellissima citazione di Paolo Fasce.1 «”Il Sodoku è una malattia infettiva dovuta ad un batterio cigliato (spirillo). L’incubazione dura tra sette e ventuno giorni. Terapia: la malattia non trattata, generalmente guarisce spontaneamente..” 1 PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione, suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p. 9.
  • 12. CAP.1- IL SUDOKU 12 Anche il Sudoku è una malattia, almeno così viene dichiarata nelle copertine di diversi testi sul tema dove si recita “il rompicapo numerico che dà dipendenza.” La differenza principale che passa tra il Sodoku, che ho qui sopra citato, e il Sudoku, è che dal primo è bene guardarsi, mentre il secondo, pur avendo un decorso del tutto similare, non ha controindicazioni. Al contrario questo gioco passatempo è utile per sviluppare capacità logico deduttive ed è assolutamente vero che, dopo un’iniziale, forse eccessiva, infatuazione, bastano poche settimane perché questa si riduca a livelli assolutamente fisiologici.». Questa definizione rispecchia pienamente il percorso che hanno vissuto milioni di sudokisti al mondo e introduce un argomento molto importante, strettamente legato alla mia tesi: il desiderio di una didattica «dilettevole e curiosa» che sappia appassionare e coinvolgere. Dimostrerò quindi che il Sudoku può diventare una semplice e utile palestra per insegnare a imparare ma soprattutto per imparare ad imparare.   1.1.  UNA  DEFINIZIONE  DI  “SUDOKU”.   1.1.1.  il  vocabolo  “Sudoku”.   Il vocabolo giapponese Sudoku ( 数独 ), composto dal termine suu che significa “numero” e
  • 13. CAP.1- IL SUDOKU 13 dalla parola doku (shin) che significa “singolo, scapolo”, nasce dall’abbreviazione della frase giapponese “suji wa dokushin ni kagiuru” che tradotta significa più o meno “Nei totali non ripetere una stessa singola cifra”. Questo fu un lungo nome dato nel 1984 ad un anteriore gioco combinatorio molto simile al Sudoku. 1.1.2. Che cos’è il Sudoku: le regole. Il Sudoku consiste in un diagramma di 81 celle, una tabella di nove per nove caselle in ognuna delle quali si deve inserire una cifra, da uno a nove senza ripetizioni. Alcuni dei numeri sono già visibili nello schema di partenza (celle esposte) e sono degli “indizi” grazie ai quali possiamo escludere la presenza di alcuni numeri in alcune righe, colonne e settori 3x3. L’obiettivo del gioco consiste infatti nel riempire il diagramma in modo che in tutte le righe orizzontali, in tutte le colonne verticali e in tutti quadrati 3x3, detti settori, compaiano una sola volta i numeri da 1 a 9. «I motivi che hanno generato un tale, incredibile successo planetario sono di difficile interpretazione; sicuramente, però, non è da trascurare il fatto che il gioco si basa su regole molto semplici e che il suo svolgimento non richiede il possesso di particolari
  • 14. CAP.1- IL SUDOKU 14 attitudini o specifiche conoscenze, ma solo il ricorso a una forma di logica pura, comune a tutti gli esseri umani dai 5-6 anni in su.». Per essere risolto richiede normalmente dai dieci minuti alla mezz’ora ma a volte il gioco può durare più a lungo, addirittura per giorni. Per questo motivo è diventato presto un fenomeno da pubblicare su quotidiani e riviste; può essere risolto ovunque, abbandonato e ripreso quando né si ha voglia. I Sudoku regolamentari dovrebbero soddisfare tre requisiti: I numeri visibili (celle esposte) devono essere disposti in modo simmetrico rispetto al centro della griglia; Deve esistere un’unica soluzione; I numeri iniziali dovrebbero essere tra 20 e 30. «I puzzle di Gould – afferma il Times – vengono costruiti con una serie di indizi che portano, logicamente, alla soluzione. Osservate attentamente uno dei suoi puzzle e scoprirete sempre un certo grado di simmetria”. Gould li paragona alla pittura giapponese: “Sono come un fiore – dice – o una casa dipinta con un numero di tratti minimo”.». Attualmente esistono molti Sudoku che non rispettano tali caratteristiche; a volte si prestano a più soluzioni oppure gli indizi iniziali sono disposti casualmente e non rispettano il numero minimo. In fondo quello che conta per i giocatori è che siano risolvibili e quindi pubblicati nei diversi libri di Sudoku che sono diventati immediatamente bestseller.
  • 15. CAP.1- IL SUDOKU 15 1.2. TIPI DI “SUDOKU”. Parlando di Sudoku è importante evidenziare che nonostante la definizione univocamente affermata, questo gioco può essere classificato in varie tipologie legate alla difficoltà di risoluzione, al materiale e alla grafica. 1.2.1.  Facile,  medio,  difficile  o  diabolico?   Non tutti i Sudoku presentano lo stesso grado di difficoltà e generalmente vengono raggruppati in quattro categorie chiamate: facile, medio, difficile oppure diabolico. Solitamente la difficoltà dipende dal numero degli indizi presenti, che si aggirano sulla trentina per quelli facili, e intorno alla ventina per quelli difficili o diabolici. Anche la disposizione dei numeri è indice dello sforzo che il gioco richiede per essere risolto; infatti capita spesso che nei diabolici si trovino celle e righe senza alcun numero o al massimo due indizi. Come già accennato, sono stati creati anche Sudoku non regolamentari e alcuni ideati appositamente per bambini. Chiamati Mini Sudoku o Sudokino sono più piccoli, 4x4 oppure 6x4 con celle 2x2 o 3x2. Nel testo di Paolo Fasce invece, si dedica un intero capitolo ad una gara didattica per le scuole dove si propone la risoluzione di due Jumbo Sudoku; uno dei quali di 49 caselle per lato. 2 2 PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione, suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, pp. 152-3.
  • 16. CAP.1- IL SUDOKU 16 Parlando di Sudoku che non rispettano pienamente i requisiti dei Sudoku classici ideati da Goulde, ricaviamo anche un altro aspetto rilevante per la difficoltà di risoluzione del gioco: l’unicità della soluzione. Esistono infatti Sudoku che non hanno un’unica soluzione e nei quali, ad un certo punto non troviamo più deduzioni necessarie e si deve compiere un azzardo. La difficoltà aumenta perché, se dopo una scommessa si arriva ad un errore, bisogna ricominciare dal punto dove si era partiti. Rimane imprescindibile il fatto che la difficoltà o meno di un Sudoku dipende molto anche dai giocatori e dal loro allenamento mentale; un esempio sono le lettere di lamentela che, dalla pubblicazione del primo diagramma su The Times, sono state inviate perché alcuni lettori trovavano i puzzle troppo difficili mentre altri scrivevano perché erano delusi di averli risolti nel giro di pochi minuti. 1.2.2. Fatto di che cosa? Il Sudoku è un gioco cartaceo, stampato sui giornali come le parole crociate, bastano matita, gomma e un po’ di pazienza per risolverlo. In realtà, nella società multimediale in cui viviamo, viene abbastanza spontaneo pensare che siano stati creati dei software che permettono di installare diagrammi su computer, palmari e addirittura cellulari. Lo stesso scopritore del Sudoku, dopo aver acquistato in Giappone un libro dedicato al gioco, decise di scrivere un programma per generare tabelle di Sudoku al computer. Uno
  • 17. CAP.1- IL SUDOKU 17 dei difetti che però presentano spesso questi programmi è che, a differenza del cartaceo, per inserire i numeri nella griglia basta spostarsi sulle caselle vuote e digitare la cifra: se è corretta diventa nera e si inserisce, se è errata o si colora di rosso o non è possibile inserirla. In questo modo però si rischia di banalizzare il gioco in quanto l’abilità necessaria per risolverli rischia di ridursi semplicemente in scelte casuali. Ho trovato invece molto interessante il Sudokino della Città del Sole: una griglia in legno suddivisa in 6 riquadri, ciascuno formato da sei caselle. Il gioco è basato sui colori e non sulle cifre, e la risoluzione dei problemi è resa più semplice dal minor numero di caselle (36 invece di 81) e dal fatto che non bisogna scrivere. Il bambino deve posizionare il quadratino di legno del colore giusto nel posto giusto e i tasselli di legno che il bambino può inserire presentano due facce differenti; pur mantenendo lo stesso colore, una faccia risulta essere quadrettata in modo che il bambino possa distinguere gli indizi di base da quelli da lui inseriti. Ciò permette al bambino di procedere per errori senza dover memorizzare troppi passaggi. La Dal Negro, famosa casa produttrice di giochi in scatola, ha ideato un Sudoku di gruppo, costituito da un piano di gioco diviso in 15 cartoncini con incastro tipo puzzle. Ogni numero è inoltre caratterizzato da un colore in modo da rendere la visualizzazione del Sudoku molto più facile che in una normale partita. Il vantaggio di questo gioco è quello di poter essere giocato con facilità da più persone viste le dimensioni del tabellone, permettendo quindi un lavoro cooperativo che serve anche a far affiorare meglio le singole abilità.
  • 18. CAP.1- IL SUDOKU 18 1.2.3. Numeri o icone? È importante sottolineare come sia assolutamente convenzionale il fatto che nel Sudoku si utilizzino dei numeri. Potremmo usare colori, lettere, ideogrammi cinesi o addirittura immagini; come ha fatto il topolino che ha inserito tra le sue pagine il Sutopu. Contrariamente a quanto si pensa, il Sudoku fatto con i numeri è più facile perché, conoscendo la sequenza numerica a memoria, è molto veloce individuare i numeri che ancora mancano per completare righe, colonne o settori. È da notare però che per bambini molto piccoli che non sanno ancora contare fino a dieci, colori e disegni, più vicini alla loro realtà, rendono il gioco più interessante e semplice.
  • 19. CAP.1- IL SUDOKU 19 1.3. STORIA DEL SUDOKU. 1.3.1.  Antenati  del  Sudoku:  I  quadrati  magici.   I quadrati magici sono gli antenati del Sudoku e hanno origini antichissime, che risalgono forse addirittura al quarto secolo a.C. Un quadrato magico è un quadrato suddiviso in un certo numero di caselle, come quelle di una scacchiera, in ciascuna delle quali viene collocato un numero naturale, senza essere ripetuto, in modo tale che la somma dei numeri disposti lungo ciascuna riga (orizzontale), colonna (verticale) o diagonale sia la stessa per tutte. Tale somma è detta costante (magica) del quadrato. I quadrati magici hanno dunque le seguenti caratteristiche: a) sono formati da un minimo di tre caselle per lato (non esistono quadrati magici con due caselle per lato e quelli costituiti da una sola casella non sono, ovviamente, interessanti); b) i numeri che vengono utilizzati per riempire le caselle devono essere in una sequenza (si utilizzano ad esempio i numeri da 1 a 9, da 1 a 16, oppure anche da 0 a 15, e così via) e non possono essere ripetuti; c) i numeri della sequenza devono essere disposti nelle caselle in modo che la somma di ciascuna riga, la somma di ciascuna colonna
  • 20. CAP.1- IL SUDOKU 20 e la somma di ciascuna diagonale diano come totale un valore sempre identico. Detto in termini matematici: La costante di un quadrato magico vale [ (n2+1)/2]*n (dove n è l'ordine del quadrato ovvero il numero delle caselle per lato). Il primo quadrato magico della storia è cinese e risale a più di tremila anni fa, ai tempi della dinastia Shang.3 La leggenda, che presenta numerose versioni, narra di una tartaruga, animale considerato sacro, che mostrava sul guscio dei segni particolari. Più tardi, gli stessi segni furono interpretati come un quadrato magico 3x3 con somma costante 15 su ogni riga, colonna o diagonale: il primo della storia. Tale quadrato magico, chiamato Lo- shu, cioè «Il saggio del fiume Lo», era realizzato non con cifre, ma con piccoli cerchietti all'interno di ciascuna casella e diventò uno dei simboli sacri dell’Antica Cina, rappresentazione, per i cinesi, dei più arcani misteri della Matematica e dell’Universo. Cornelio Agrippa (1486-1535) costruì quelli di ordine 3, 4, 5.. fino al 9, i quali secondo lui rappresentavano i sette pianeti d'allora: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. Egli deduceva l'imperfezione dei quattro elementi: acqua, terra, 3 PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione, suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p. 22.
  • 21. CAP.1- IL SUDOKU 21 aria, fuoco, dal fatto che non è possibile costruire il quadrato magico di 4 caselle cioè di ordine 2. Esistono inoltre quadrati magici di tipo alfabetico, ovvero griglie quadrate nelle cui caselle sono inserite delle lettere di un qualche alfabeto, anche ripetute, in modo da costruire parole di una certa lingua. L’esempio più noto, chiamato latercolo pompeiano, proviene da due graffiti rinvenuti a Pompei nel novembre del 1936 da un noto studioso di graffiti italiano, Pompeo Della Corte. 4 Si nota subito che il quadrato è formato da 5 parole che possono essere lette sia in orizzontale che in verticale oppure in maniera bustrofedica, cioè da sinistra a destra e viceversa. Questa è soltanto la più semplice delle caratteristiche che rendono questo quadrato interessante e magico. Se proviamo a tradurre letteralmente le parole del quadrato, possiamo ottenere risultati come questi. Il seminatore (SATOR) tiene (TENET) con perizia (OPERA) le ruote (ROTAS). 4 PIERGIORGIO ODIFREDDI, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del matematico, Edizioni Laterza, Bari 2006, pp.26-9.
  • 22. CAP.1- IL SUDOKU 22 Il significato della parola AREPO rimane invece poco chiara in quanto, il termine non è strettamente latino e alcune interpretazioni lo riconoscono quale parola di origine celtica il cui significato è simile a carro. La misteriosità del Latercolo pompeiano favorì interpretazioni magiche e la formulazione di varie congetture per risolvere l'enigma del quadrato. In letteratura troviamo numerosi esempi di quadrati magici: nella prima parte del Faust di Goethe (1808) viene citato un quadrato magico atipico, con una casella vuota, nel XII capitolo del romanzo di Thomas Mann (1947) si allude ad un quadrato magico di 16 caselle e basato sul numero 34.5 In realtà il fascino dei quadrati magici è rintracciabile anche nell’arte, dove l’esempio più famoso di citazione numerica è l’opera 5 PIERGIORGIO ODIFREDDI, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del matematico, Edizioni Laterza, Bari 2006 p.31.
  • 23. CAP.1- IL SUDOKU 23 Malinconia di Albrecht Dürer.6 Dürer non spiegò mai il simbolismo contenuto in questa sua opera, ma la maggior parte degli studiosi è d'accordo sul fatto che essa rappresenti lo stato d'animo depresso del pensatore, incapace di passare all'azione. Una delle interpretazioni possibili richiama l’idea che i quadrati magici, simboli di Giove, combattessero la malinconia che era uno degli effetti indesiderati di Saturno. Questo può spiegare il quadrato nell'angolo in alto a destra dell'incisione di Dürer. Un esempio più recente di quadrato magico si riscontra sulla facciata della Passione della Sagrada Familla, cattedrale di Barcellona. Dietro la statua di Giuda che bacia Gesù c’è infatti un quadrato dove la somma dei numeri di ogni riga, colonna e diagonale ammonta a 33 che indica l’età della morte di Cristo.7 L’interesse del Latercolo pompeiano è riscontrabile anche nel mondo della musica8 dove ad esempio, il dodecafonico austriaco Anton Webern oltre a farselo scrivere sulla tomba, ne usò nel 1934 una versione per la serie a trasposizioni limitate del Concerto per nove strumenti opera 24. 6 Ivi, pp.58-61. 7 Per approfondimenti: SALA N. – CAPPELLATO G., Viaggio matematico nell’arte e nell’architettura, Franco Angeli 2003. 8 Per approfondimenti: GERBINO GIUSEPPE, Canoni ed enigmi, Torre D’Orfeo, 1995.
  • 24. CAP.1- IL SUDOKU 24 Anche Martin Gϋmbel, affascinato dal Sator Arepo, scrive nel 1968 tre pezzi per flauto omonimi di cui il primo porta esplicitamente come sottotitolo: «Variazioni su un quadrato magico.».9 1.3.2.  I  quadrati  latini  e  greco  latini.   Molti matematici si sono occupati dei quadrati magici, come Leonhard Euler (1707-1783), conosciuto in Italia con il nome di ‘Eulero’, che pubblicò un ampio studio sull’argomento, in cui presentava una “nuova specie di quadrati magici, battezzata quadrati latini e quadrati greco – latini. Un quadrato latino di ordine n è una griglia quadrata di n x n caselle nella quale compaiono n simboli diversi, che soddisfa le seguenti condizioni: In ogni cella della griglia compare un simbolo; 9 PIERGIORGIO ODIFREDDI, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del matematico, Edizioni Laterza, Bari 2006, pp. 124-6.
  • 25. CAP.1- IL SUDOKU 25 In ogni riga e in ogni colonna ciascun simbolo compare una volta sola. Un quadrato greco - latino è una sovrapposizione di due quadrati latini, formati da due insiemi diversi di simboli e che soddisfa la seguente condizione: ciascuna coppia di simboli compare una sola volta nel quadrato. Il nome è dovuto al fatto che in origine venivano utilizzati i simboli dell’alfabeto greco e quelli dell’alfabeto latino ovvero ciascuna cella era una coppia di lettere, una greca e una latina. Riassumendo è possibile dire che i quadrati latini sono molto simili al Sudoku ma senza la divisione in settori e quindi senza vincoli sui quadrati 3x3. 1.4. TECNICHE RISOLUTIVE. 1.4.1.  Da  dove  cominciare?   Essendo il Sudoku un gioco in cui occorre riconoscere degli schemi basati su simboli disposti in date collocazioni spaziali appare ovvio che con giochi di questo tipo l'allenamento può sviluppare automatismi istintivi che sfruttano le capacità associative del nostro cervello. Il fatto che la formulazione originale del Sudoku preveda nove cifre è però un ostacolo allo sviluppo di automatismi istintivi: le nostre
  • 26. CAP.1- IL SUDOKU 26 capacità associative sono infatti messe in difficoltà dal numero elevato dei simboli, dalla loro non eccezionale riconoscibilità e dalla distanza che le cifre hanno nelle loro collocazioni spaziali (specialmente su righe e colonne). È proprio su questo che il Sudoku ci sfida: sopperire ai limiti delle nostre capacità istintive con una disciplinata applicazione di regole logiche. Ennio Peres, uno dei massimi esperti di enigmistica, riassume scrivendo: «Uno degli aspetti più stimolanti, nella risoluzione di un problema di Sudoku, consiste nel riuscire a scoprire da soli tutti gli espedienti necessari per arrivare alla soluzione. Una tale abilità, però, si acquista solo con l’esperienza. Le prime volte, è facile brancolare nel buio, col rischio di scoraggiarsi e abbandonare l’impresa... L’accorgimento più elementare da seguire consiste nel vedere se è possibile inserire con certezza alcuni numeri nello schema.». Le tecniche principali utilizzate per individuare nuovi numeri nel diagramma vengono definite con i termini di sliding/slicing e rising/raising. 1.4.2.  Cancella  e  Concludi.   La tecnica di sliding, tradotta da Paolo Fasce10 in cancella, consiste nello scegliere un numero, cancellare tutti i quadrati, righe e 10 PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione, suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p.68.
  • 27. CAP.1- IL SUDOKU 27 colonne nelle quali questo numero appare e osservare le celle vuote sopravvissute. Questa tecnica ci permette di individuare le caselle, all’interno di righe, colonne e celle, dove siamo obbligati ad inserire quel dato numero. Per rendere più chiara la spiegazione mi avvalgo di un esempio molto semplice. a b c d e f g h i 1 8 1 7 3 2 6 7 8 3 9 2 3 1 6 4 4 7 5 6 5 7 9 1 2 6 6 3 4 9 7 9 2 1 6 8 6 5 4 9 7 8 5 9
  • 28. CAP.1- IL SUDOKU 28 Prendiamo in considerazione il numero 8 e cancelliamo tutte le righe, colonne e celle nelle quali non può comparire questo numero. a b c d e f g h i 1 8 1 7 3 2 6 7 8 3 9 2 3 1 6 4 4 7 5 6 5 7 9 1 2 6 6 3 4 9 7 9 2 1 6 8 6 5 4 9 7 8 5 9
  • 29. CAP.1- IL SUDOKU 29 Se ci soffermiamo sulla colonna b, appare subito evidente che esiste solo un riquadro in quella colonna nel quale può andare il numero 8. (b;5) Lo stesso discorso vale per la riga 3: in quella riga il numero 8 siamo obbligati a segnarlo nel quadratino f;3. La situazione che quindi ci troviamo ora ad affrontare è la seguente: a b c d e f g h i 1 8 1 7 3 2 6 7 8 3 9 2 3 1 8 6 4 4 7 5 6 5 8 7 9 1 2 6 6 3 4 9 7 9 2 1 6 8 6 5 4 9 7 8 5 9
  • 30. CAP.1- IL SUDOKU 30 Proseguiamo quindi, con l’aiuto di questi due nuovi indizi, cancellando le rimanenti righe, colonne e celle nelle quali non può comparire questo numero. a b c d e f g h i 1 8 1 7 3 2 6 7 8 3 9 2 3 1 8 6 4 4 7 5 6 5 8 7 9 1 2 6 6 3 4 9 7 9 2 1 6 8 6 5 4 9 7 8 5 9 Basta un colpo d’occhio per affermare che nella colonna e esiste un’unica possibilità nella quale inserire il nostro numero 8 (e;8) e che lo stesso discorso vale per la riga 4 (d;4). Inseriamo i nostri numeri e ricominciamo a cancellare.
  • 31. CAP.1- IL SUDOKU 31 a b c d e f g h i 1 8 1 7 3 2 6 7 8 3 9 2 3 1 8 6 4 4 8 7 5 6 5 8 7 9 1 2 6 6 3 4 9 7 9 2 1 6 8 6 5 8 4 9 7 8 5 9 Non ci rimane che inserire gli ultimi due numeri 8 e ricominciare il tutto con un nuovo numero. a b c d e f g h i
  • 32. CAP.1- IL SUDOKU 32 1 8 1 7 3 2 6 7 8 3 9 2 3 1 8 6 4 4 8 7 5 6 5 8 7 9 1 2 6 6 3 4 8 9 7 9 2 1 8 6 8 6 5 8 4 Sembrerebbe più comodo iniziare ad utilizzare questa metodologia con i 9 7 8 5 9 numeri che compaiono in maggior quantità perché esistono più possibilità che si individuino casi unici nel quale si è obbligati ad inserire quel numero. Alcuni sudokisti invece preferiscono seguire l’ordine numerico (partire a cancellare da 1, poi 2 ecc.) per evitare di dimenticarsi di controllare qualche numero. In realtà l’ordine incide unicamente sulla velocità di risoluzione e non nella riuscita o meno del completamento del diagramma. 1.4.2.  Interseca  e  concludi.   La tecnica del cancellare deve essere portata avanti fino a che non si arriva ad un vicolo chiuso e non è più possibile proseguire.
  • 33. CAP.1- IL SUDOKU 33 Solo a questo punto si può passare ad un’ulteriore metodologia che è quella dell’intersecare. Paolo Fasce utilizza il termine “intersezione”11 perché, anche se molto semplice, la selezione avviene tramite la procedura matematica di intersezione degli insiemi. Osserviamo attentamente come esempio il seguente diagramma. a b c d e f g h i 1 2 7 3 4 1 2 3 5 4 5 6 6 7 8 8 9 11 PAOLO FASCE, A scuola di Sudoku. Storia, tecniche di soluzione, suggerimenti didattici, Casale Monferrato, Sonda 2005, p. 82.
  • 34. CAP.1- IL SUDOKU 34 Consideriamo la colonna d e tutti i numeri che mancano per completarla:(1;2;3;4;5;6;9.) Compiamo la stessa operazione nella riga 4, scrivendo tutti i numeri che mancano per completarla: (4;5;6;7;8;9). Considerato che anche nelle celle non ci devono essere numeri ripetuti, trascrivo i numeri mancanti della V cella: (1;2;3;7;8;9). Costruiamo quindi i tre insiemi e cerchiamo gli elementi che sono presenti in tutti e tre gli insiemi. Elementi mancanti Elementi mancanti nella colonna. nella colonna. 1 2 3 4 5
  • 35. 35 CAP. 2 – COME IMPARARE A IMPARARE. «È del tutto naturale che persone che hanno qualcosa di veramente particolare siano diverse le une dalle altre all’esterno come all’interno.» (Wolfang Amadeus Mozart) I n questo elaborato intendo trattare il Sudoku non propriamente come gioco enigmistico ma bensì come modalità per migliorare l’apprendimento. La nostra realtà è in continua trasformazione; basta pensare a come sia veloce il ricambio tecnologico e come lo stesso computer vada incontro a continue trasformazioni che richiedono un costante aggiornamento da parte di chi lo utilizza. 12 12 DONALD A NORMAN., Il computer invisibile, Apogeo, Milano 1998.
  • 36. CAP. 2 – COME IMPARARE 36 A IMPARARE. Tutto questo pone ovviamente agli individui la necessità di cambiare i propri punti di riferimento e di modificare le proprie competenze a seconda dei cambiamenti che avvengono costantemente nella nostra società. Appare evidente quindi che la nostra vita è fatta di continui apprendimenti e che non è facile spesso rintracciare come abbiamo imparato determinate competenze. Il più delle volte, apprendimenti già conosciuti si sono rivelati utili per situazioni diverse e nuove, tanto che li abbiamo modificati e generalizzati. Ad esempio, l’aver imparato a camminare e stare in equilibrio ci è stato utile per imparare ad andare in bicicletta e a sua volta questo apprendimento ci è stato utile per imparare ad usare il motorino.13 In altre parole possiamo dire di aver imparato a imparare. Conoscere come funzioni la nostra mente e quali siano i meccanismi dell’apprendimento costituisce il primo passo per imparare meglio e imparare a imparare. Inoltre, osservando individui con capacità intellettive sostanzialmente simili si può notare come portino a termine determinati compiti in modo differente. 13 ALBERTO OLIVERIO, L’arte di imparare, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2001, pp. 95-115.
  • 37. CAP. 2 – COME IMPARARE 37 A IMPARARE. Basta pensare ad esempio che per quanto concerne il metodo di studio, gli studenti utilizzano strategie differenti come riassumere, ripetere, sottolineare oppure schematizzare. Le differenze individuali interessano quindi varie sfere: quella emotiva, motivazionale, affettiva e soprattutto intellettuale. L’analisi di queste differenze hanno permesso di esaminare i processi percettivi, conoscitivi e di interazione con il mondo consentendo anche di indagare le difficoltà ed i successi legati all’apprendimento. Intendo quindi in questo capitolo trattare quattro elementi chiave dell’apprendimento: l’intelligenza, gli stili cognitivi, gli stili di apprendimento e la metacognizione. 2.1.  VERSO  UNA  DEFINIZIONE  D’INTELLIGENZA.   2.1.1.  Approccio  psicometrico.   Cercare una definizione universalmente accettabile di intelligenza non è facile, soprattutto perché alcuni esperti concepiscono l’intelligenza limitata ad attività intellettive di ordine superiore come il ragionamento, competenza linguistica, memoria e conoscenza. Ovviamente questa definizione tralascia tutte quelle abilità che gli individui possiedono e che li aiutano nella relazione costante con l’ambiente in cui vivono, come ad esempio l’agire in vista di un fine, la motivazione e l’autorealizzazione.
  • 38. CAP. 2 – COME IMPARARE 38 A IMPARARE. Prendo quindi come valida una definizione che consideri entrambi gli aspetti e non privilegi l’uno a discapito dell’altro: l’intelligenza come la capacità di apprendere dall’esperienza, utilizzando i processi metacognitivi per migliorare l’apprendimento e aumentare la capacità di adattamento all’ambiente circostante, a seconda dei contesti sociali e culturali.14 Risulta quindi legittimo, in seguito a tale definizione, chiedersi se sia corretto parlare di intelligenza al singolare, oppure sarebbe più corretto parlare di intelligenze al plurale. Gli studi sull’intelligenza hanno origine alla fine del secolo scorso. La teoria dell’evoluzione di Darwin, come adattamento all’ambiente e selezione dei tratti migliori per la sopravvivenza, diede il via a una serie di ricerche tra cui quelle di Galton (1869), che si proponevano di misurare le differenze individuali. All’inizio del XX Secolo, Il primo approccio psicometrico a partire da Binet e Simon fa coincidere il problema delle differenze individuali con quello della misurazione dell’intelligenza attraverso la presentazione di test.15 14 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 11. 15 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1997, pp. 98-9.
  • 39. CAP. 2 – COME IMPARARE 39 A IMPARARE. Le differenze individuali vengono quindi studiate col metodo correlazionale che consiste nel rilevare tramite test le variazioni già esistenti tra gli individui. L’intelligenza venne considerata come un insieme di tratti caratteristici che l’individuo presenta nella sua interazione con l’ambiente e stabilirono una scala di intelligenza. La misurazione del QI si ricavava dal rapporto fra età mentale, giudicata sulla base delle prove superate, ed età cronologica, moltiplicando per cento. 2.1.2. La teoria gerarchica di Spearman. Da una concezione dell’intelligenza composta da molteplici processi, si passò nei primi decenni del secolo ad una concezione decisamente unitaria soprattutto grazie all’influenza dello psicologo cognitivo britannico Spearman (teoria gerarchica-1927).16 Attraverso il metodo dell’analisi fattoriale, Spearman individuò un fattore G (generale) di intelligenza che sarebbe presente in ogni attività e che potrebbe essere misurato in un test a ogni compito. A dimostrazione di questo Spearman sottolineo l’esistenza di una correlazione positiva tra diversi test; ovvero i soggetti che ottenevano un punteggio alto in un test riuscivano ad ottenere punteggi elevati anche negli altri test. Ipotizzò quindi l’esistenza di una sottostante comune abilità mentale, il cosiddetto fattore G, 16 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp. 13-4.
  • 40. CAP. 2 – COME IMPARARE 40 A IMPARARE. secondo il quale più è elevato il valore di tale fattore, più un individuo risulta essere intelligente. Il fatto che però non sempre la correlazione fra i test risultava perfetta, portò lo psicologo ad ipotizzare che esistessero una serie di fattori secondari e specifici detti fattori S e legati al tipo di test e alla situazione, capaci di condizionare il rendimento. La prestazione di un individuo al test dunque sarebbe influenzata non solo dal livello di intelligenza generale ma anche da abilità specifiche quali l’abilità spaziale, linguistica e aritmetica, richieste da quel particolare tipo di test. Da una sovraordinata abilità G, legata all’intelligenza generale, dipendono delle sotto-abilità misurate da test specifici. (S)17 G ab1 ab2 ab3 ab4 ab5 17 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 14.
  • 41. CAP. 2 – COME IMPARARE 41 A IMPARARE. S a1 S a2 S a3 S a4 S a5 2.1.3. Le teorie multifattoriali. Negli anni trenta viene messa in discussione l’unitarietà dell’intelligenza soprattutto considerando che se è vero che spesso la correlazione dei test è positiva, come sostenuto da Spearman, è altrettanto innegabile che la correlazione fra alcuni di essi fosse estremamente bassa (teoria multifattoriale). Fu proprio questo a destare l’interesse di Thurstone: la messa in discussione del fattore G e la nascente concezione di intelligenza come insieme articolato di abilità.18 Thurstone raggruppò i test che richiedevano una certa abilità mentale ma che non potevano essere correlati ad altri test che richiedevano altre attività mentali, ipotizzando quindi un nuovo modello strutturale dell’intelligenza per cui certe attività hanno in comune un fattore primario che le distingue dalle altre attività mentali. 18 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1997, pp.100-11.
  • 42. CAP. 2 – COME IMPARARE 42 A IMPARARE. Non esiste più un’intelligenza generale ma bensì un insieme articolato di abilità primarie. L’intelligenza consiste dunque di sette capacità primarie: COMPRENSIONE VERBALE: stimata mediante test di vocabolario; FLUIDITÀ VERBALE: misurata dalla velocità con cui un individuo riesce a trovare parole che cominciano con una data lettera; CAPACITÀ NUMERICA: misurata mediante problemi idi ragionamento aritmetico; CAPACITÀ DI VISUALIZZAZIONE SPAZIALE: riflessa dalla capacità di eseguire compiti del tipo del confronto di configurazioni: MEMORIA: verifica mediante test di rievocazione; RAGIONAMENTO: misurato mediante la prestazione su problemi di analogia; VELOCITÀ PERCETTIVA: misurata dalla velocità di esecuzione di compiti come quello di cancellare tutte le t presenti in una stringa di lettere. Gli studi successivi supposero un numero maggiore di fattori indipendenti arrivando ad una frantumazione estrema del concetto di intelligenza. Guilford nel 1967 elaborò un modello di struttura dell'intelletto nel quale venivano descritti ben 120 fattori (o tratti individuali) classificati lungo tre dimensioni: operazioni, contenuti e prodotti.
  • 43. CAP. 2 – COME IMPARARE 43 A IMPARARE. L’intelligenza sarebbe il risultato della combinazione di tre variabili: i contenuti, i prodotti e le operazioni. 19 2.1.4. L’approccio cognitivista: Human Information Processing. Negli anni settanta, all’interno del dibattito sulle opportunità educative ed in seguito al fallimento dei programmi dell’educazione delle scuole speciali per soggetti svantaggiati, si sviluppò da parte dei teorici del cognitivismo, una forte critica ai test d’intelligenza. Si misero in rilievo i limiti di tali test che trascuravano completamente elementi importanti come la capacità di 19 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 15.
  • 44. CAP. 2 – COME IMPARARE 44 A IMPARARE. adattamento, la comunicazione, la perseveranza e soprattutto i processi mentali implicati nella risoluzione dei problemi. La ricerca si spostò dunque dalle misurazioni quantitative allo studio qualitativo dei processi della prestazione intelligente. Si assiste così ad un proliferare di studi che vedevano delle analogie di funzionamento tra l’uomo e il computer. Questo approccio, definito con il termine di Human information Processing, si pone come oggetto di studio l’uomo inteso come un sistema di elaborazione delle informazioni.20 Secondo questo modello, l’individuo riceve le informazioni dal mondo esterno attraverso gli organi di senso, ciascuno legato ad un registro sensoriale, dove l’informazione viene conservata per un intervallo molto breve, viene confrontata con la conoscenza presente nel magazzino della memoria a lungo termine e riconosciuta. L’acquisizione della conoscenza ha quindi un carattere costruttivo perché apprendere significa connettere l’informazione in arrivo con una nella memoria a lungo termine e non un semplice immagazzinare. Le differenze individuali dunque nei punteggi 20 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1997, pp.101-6.
  • 45. CAP. 2 – COME IMPARARE 45 A IMPARARE. ottenuti dai test dipendono dalle differenze relative ad alcuni o tutti i processi mentali previsti da questo modello. Schema di funzionamento della memoria secondo l’approccio dello Human Information Processing.21 2.1.5.  Le  differenze  individuali:  da  Sternberg  a  Gardner.   Negli anni Ottanta si attenua la separazione tra aspetti cognitivi e affettivo - relazionale e si rafforza l’approccio contestualista influenzati dagli studi culturali e dal pensiero di Vygotskij. Questi nuovi approcci, definiti integrativi perché mirano ad integrare i diversi aspetti dell’intelligenza, si sono diffusi principalmente ad opera di due importanti autori: Sternberg e Gardner. 21 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 18.
  • 46. CAP. 2 – COME IMPARARE 46 A IMPARARE. La teoria triarchia si Sternberg deve il suo nome al fatto che si articola in tre sottocategorie: componenziale - contestuale - esperienziale.22 La sottocategoria Componenziale riguarda il mondo interno dell’individuo e specifica i meccanismi cognitivi, i componenti, che soggiacciono alla prestazione intelligente. I componenti vengono distinti in tre tipi: metacomponenti, componenti di prestazione e componenti di acquisizione di conoscenza. Le metacomponenti sono processi esecutivi usati nella pianificazione, esecuzione e valutazione di un compito e dirigono l’attività globale della mente definendo la natura del problema da risolvere, le possibilità o meno di risolvere il problema, selezionano le componenti necessarie per trovare una soluzione, controllano l’ordine con cui tali componenti vengono attivati e decidono quando il problema si può considerare risolto. In sintesi sono, come definisce lo stesso Sternberg: i registi che dicono agli attori (i componenti di prestazione e di acquisizione di conoscenze) come recitare. I componenti di prestazione sono processi di ordine subordinato che eseguono le istruzioni dei metacomponenti. 22 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 18.
  • 47. CAP. 2 – COME IMPARARE 47 A IMPARARE. I metacomponenti sono pochi mentre i componenti sono numerosi in relazione all’esperienza dell’individuo e al tipo di compito. Questi componenti di prestazione caratterizzano il pensiero analogico permettendo di recuperare dalla memoria l’informazione rilevante per la soluzione, scoprire la relazione che lega la prima parte dell’analogia alla seconda e applicare tale relazione alla seconda parte e così via. Le componenti di acquisizione della conoscenza riguardano i processi con cui si imparano cose nuove e si basano soprattutto sugli studi sulla comprensione verbale. Tre sono i componenti fondamentali per il funzionamento cognitivo: CODIFICAZIONE SELETTIVA: distinguere l’informazione rilevante da quella irrilevante. COMBINAZIONE SELETTIVA: organizzare in un insieme integrato le informazioni rilevate dalla codificazione. CONFRONTO SELETTIVO: mettere in relazione le informazioni ottenute con le conoscenze preesistenti. La sottocategoria contestuale riguarda i contesti in cui opera l’intelligenza, cioè le modalità con cui si attua l’adattamento dell’individuo all’ambiente. Il comportamento intelligente è rivolto a tre obiettivi: l’adattamento all’ambiente esterno preesistente, modificando se stesso, il modellamento dell’ambiente preesistente per adattarlo a se stesso e la selezione di nuovi ambienti. La sottocategoria esperienziale specifica i momenti in cui compiti e situazioni presenti nell’esperienza dell’individuo, richiedono l’uso di
  • 48. CAP. 2 – COME IMPARARE 48 A IMPARARE. intelligenza. La valutazione dell’intelligenza si basa anche sul livello di esperienza a cui vengono applicati i componenti. Quando un compito diventa più familiare, molti suoi aspetti divengono automatici e questo significa che un compito nuovo pone delle richieste intellettive maggiori rispetto ad un compito per il quale sono state sviluppate procedure automatiche. La teoria di Sternberg propone una visione dell’intelligenza fondata sui processi cognitivi e inserita in una prospettiva di relativismo culturale. La sottoteoria componenziale è universalista perché i componenti sono gli stessi in tutte le culture, però la sottoteoria contestuale è relativista rispetto agli individui e ai contesti in cui vivono perché le funzioni di un adattamento all’ambiente non sono culturalmente neutrali; anche la teoria esperienziale è relativista per l’esperienza dell’individuo. Gardner23 definisce l’intelligenza come capacità di risolvere problemi o di creare prodotti che sono apprezzati in uno o più contesti culturali: i prodotti possono essere un dipinto, un brano musicale, l’esecuzione di un esperimento, un lavoro teatrale, la gestione di un’azienda. In sintesi afferma che «Una competenza intellettuale umana deve comportare un insieme di abilità di soluzione dei problemi, consentendo all’individuo di risolvere problemi o difficoltà in cui si sia imbattuto e, nel caso, di creare un 23 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino 1997, pp.116-18.
  • 49. CAP. 2 – COME IMPARARE 49 A IMPARARE. prodotto efficace.»24 In questo modo l’autore unisce una componente intrapsichica con una dimensione socio-culturale. L’intelligenza appare dunque come un insieme di dispositivi innati che però sono suscettibili di modificazioni e in quanto tale hanno bisogno di essere riconosciuti ed esercitati per poter avere un adeguato sviluppo. Gardner è convinto che la mente abbia natura modulare e che ogni modulo sia specificamente dedicato all’elaborazione di informazioni di natura simili. Sostiene quindi l’esistenza di sette intelligenze distinte che sono relativamente indipendenti tra loro ma che possono interagire in modo da produrre una prestazione intelligente. Gli esseri umani in pratica si sarebbero evoluti in modo da processare sette tipi di informazione, ciascuno legato a un particolare contesto ambientale, arrivando a possedere almeno sette separate forme di intelligenza, che sono25: L’INTELLIGENZA LINGUISTICA: è caratterizzata da abilità implicate nella produzione e comprensione del linguaggio e sensibilità alle diverse funzioni linguistiche. 24 GARDNER, H. (1983), Forma mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2000, p. 80. 25 GENTILI G. - NICOLINI P., Intelligenze multiple e insegnamento della matematica. Dai punti di forza del bambino ai settori di debolezza, Junior, Azzano S. Paolo 2005, pp. 9-13.
  • 50. CAP. 2 – COME IMPARARE 50 A IMPARARE. Le persone con questa intelligenza hanno grande abilità con il linguaggio, sensibilità al significato delle parole, all'ordine delle parole così come nella capacità di seguire regole grammaticali. Ad un livello sensoriale ciò si manifesta in una sensibilità ai suoni, ai ritmi, alle inflessioni delle parole. Le persone con una spiccata intelligenza linguistica manifestano una particolare sensibilità alle diverse funzioni del linguaggio come. Un'alta manifestazione dell'intelligenza linguistica avviene in persone come giornalisti, romanzieri, commediografi o poeti che manipolano la sintassi ed il significato delle parole. Tutti hanno un qualche grado di intelligenza linguistico - verbale in accordo con la propria cultura. INTELLIGENZA MUSICALE: riguarda la produzione, esecuzione e fruizione della musica. Essendo il tono e il ritmo i principali elementi della musica, questa intelligenza ha a che fare con il processamento di tali informazioni. Questo tipo di Intelligenza riguarda il riconoscimento di modelli tonali, includendo vari suoni ambientali ed una sensibilità al ritmo e al suono. Le persone con questa intelligenza sono in grado di ascoltare continuamente suoni e ritmi nella loro testa. Essi cercheranno di ripetere questi modelli in più ampi schemi musicali, dando loro una forma. I musicisti e i compositori spesso comprendono il mondo attraverso questo tipo di Intelligenza. L'intelligenza musicale implica la capacità di comprendere il mondo e comunicare con il mondo attraverso il suono. Tutti gli esseri umani hanno un qualche livello di intelligenza musicale.
  • 51. CAP. 2 – COME IMPARARE 51 A IMPARARE. INTELLIGENZA LOGICO-MATEMATICA: riguarda il calcolo, la soluzione di problemi, le dimostrazioni matematiche e il pensiero scientifico; si tratta di una serie di capacità in grado di trattare modelli logici e numerici e di manipolare lunghe catene di ragionamento. Le persone con questa intelligenza comprendono il mondo attraverso un'intuizione delle azioni che si possono compiere sugli oggetti, le relazioni tra queste azioni, le affermazioni e le ipotesi che si possono fare su queste azioni. Un individuo con questa intelligenza sviluppata comprenderà le relazioni tra le affermazioni e le ipotesi come un progresso dalla sfera senso-motoria a quella della pura astrazione. Questo tipo di Intelligenza si manifesta in attività come: dividere un'attività in una serie di compiti sequenziali, mettere in confronto e in contrasto modelli diversi per giungere ad una conclusione, creare argomenti convincenti che dimostrino le nostre affermazioni. INTELLIGENZA SPAZIALE: è la capacità di percepire le relazioni spaziali e di rappresentarle ed elaborarle mentalmente e anch’essa ha origine nel confronto con il mondo degli oggetti. Questo tipo di Intelligenza implica la capacità di comprendere, percepire, interiorizzare e trasformare il mondo visivo con precisione. Un architetto, un ingegnere, uno scultore, un coreografo, un navigatore possiedono un alto livello di questa intelligenza. Anche i pittori e gli artisti figurativi, che rappresenta
  • 52. CAP. 2 – COME IMPARARE 52 A IMPARARE. no forme, linee, contrasti, figure e colori usano questo tipo di intelligenza quando creano. Le persone con questo tipo di intelligenza spesso amano gli scacchi, i puzzle, la fotografia e dipingere. Come l’intelligenza linguistica, non è del tutto dipendente dai canali uditivo - visivi e può svilupparsi anche in un individuo che presenti un deficit in questi canali sensoriali. INTELLIGENZA CORPOREA: consiste nella capacità di controllare i movimenti del corpo in modi differenti e abili per fini espressivi e concreti e di maneggiare gli oggetti con perizia. Questo tipo di Intelligenza riguarda il movimento fisico, la conoscenza del corpo e il modo in cui esso opera. Le persone che hanno un'alta intelligenza corporea posseggono un’acuta padronanza sui movimenti del loro corpo (ballerini, nuotatori) o sono capaci di manipolare gli oggetti con finezza (strumentisti, chirurghi). L'intelligenza corporea implica la capacità di comprendere il mondo attraverso il corpo, di esprimere idee e sentimenti e comunicare con gli altri attraverso il corpo. Possiamo vedere alte manifestazioni di questa intelligenza negli atleti, ballerini, mimi ed attori ed anche in quelle persone che lavorano con le mani come chirurghi, scultori, carpentieri ed operai. INTERPERSONALE: capacità di rispondere appropriatamente agli umori, bisogni e sentimenti degli altri. Questa Intelligenza è la capacità di osservare e fare distinzioni sugli altri, in modo particolare sui loro stati d'animo e tempera menti,
  • 53. CAP. 2 – COME IMPARARE 53 A IMPARARE. intenzioni e motivazioni. Essa consiste nella capacità di comprendere, percepire e discriminare le personalità e i comportamenti degli altri. Consulenti, sacerdoti, psichiatri, insegnanti, commercianti e politici hanno certamente un alto livello di intelligenza interpersonale, anche se non sempre la usano per il bene degli altri, ma spesso per manipolarli. INTRAPERSONALE: conoscenza di se stessi, delle proprie risorse e debolezze. Questa intelligenza è definita da un profondo e sviluppato senso del proprio Sé. Essa consiste nella capacità di conoscere il Sé, di comprendere il proprio mondo interiore. Le parole importanti per una persona con un alto livello di questa intelligenza sono: immaginazione, originalità, disciplina, rispetto di sé, motivazione, ispirazione e temperamento. Queste persone possono rimandare la propria gratificazione e riescono bene a disciplinare sé stesse. Questa intelligenza è essenziale per gli artisti, i filosofi, gli psicologi e i pensatori. A queste sette intelligenze, Gardner ne ha successivamente aggiunta un'ottava, che ha chiamato intelligenza naturalistica, riferita alla capacità di riconoscere e trattare piante, animali e altre parti dell'ambiente naturale. Ciò che caratterizza questa intelligenza è la biofilia cioè l’amore per la vita. Il termine identifica sia lo scienziato abituato a studiare e classificare con criteri scientifici, sia l’individuo in grado di applicare una tassonomia
  • 54. CAP. 2 – COME IMPARARE 54 A IMPARARE. popolare, basandosi sulla conoscenza del mondo vivente e legata più ad un interesse personale che a studi specifici. Le intelligenze sono indipendenti le une dalle altre: tutti gli individui normali possiedono le sette intelligenze, con risorse e debolezze specifiche dell’uno o l’altro dominio, ma non connesse tra loro; lo sviluppo di un bambino in un dominio non consente previsioni sullo sviluppo negli altri settori. Comunque le intelligenze interagiscono; la soluzione di un problema matematico espresso verbalmente richiede competenze linguistiche e logico matematiche; l’esecuzione di un balletto richiede intelligenza corporea ma anche musicale.
  • 55. CAP. 2 – COME IMPARARE 55 A IMPARARE. 2.2. VERSO UNA DEFINIZIONE DI STILE. 2.2.1. Gli stili Cognitivi. L’esperienza quotidiana ci permette di cogliere che spesso, davanti alle medesime situazioni, gli individui reagiscono utilizzando strategie differenti. Lo stile cognitivo26 sarebbe, quindi, una modalità di elaborazione dell’informazione che si manifesta talora in compiti e in settori diversi del comportamento. È la propensione che il soggetto ha di adottare più frequentemente strategie di un certo tipo invece di altre. Stile cognitivo è un’espressione teoricamente più agile e flessibile ed è capace di tener conto del fatto che la propensione ad affrontare i compiti cognitivi coerentemente con un certo stile non esclude che il soggetto possa compiere vari processi anche con lo stile opposto. Tutto ciò ha suscitato l’interesse di quei ricercatori che si sono concentrati sullo studio delle differenze individuali, indagando le strategie intraprese nella risoluzione di un compito e non solo la riuscita o meno di esso. Secondo molti studiosi le differenze con cui gli individui apprendono non sarebbero infatti legati a livelli di intelligenza differenti ma bensì a diversi stili mentali. 26 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 27.
  • 56. CAP. 2 – COME IMPARARE 56 A IMPARARE. Anche Bruner, nelle sue teorie, ha proposto l’esistenza di modalità differenti attraverso cui l’individuo organizza la propria esperienza: «Il pensiero umano è essenzialmente di due tipi: il pensiero logico- scientifico e il pensiero narrativo. Questi due modi di pensare, pur essendo complementari, sono irriducibili l’uno all’altro. Il pensiero narrativo si occupa del particolare, delle intenzioni e delle azioni dell’uomo, delle vicissitudini e dei risultati. Il suo intento è quello di situare l’esperienza nel tempo e nello spazio. Il pensiero logico scientifico è un sistema descrittivo e matematico, ricorre alla categorizzazione e alla concettualizzazione, è teso a trascendere il particolare e a conseguire un elevato grado di astrazione».27 La ricerca sugli stili cognitivi cercò di individuare le dimensioni misurabili del comportamento che determinano le differenze individuali, avvicinandosi all’approccio psicometrico, ma rifiutandone l’aspetto valutativo del livello di abilità. Questa ricerca si avvicina in parte all’approccio cognitivista perché studia le differenze qualitative nell’elaborazione dell’informazione ma si allontana da esso perché il concetto di stile non è riducibile ai processi elementari studiati dall’Human Information Processing. Per questi motivi la ricerca sugli stili cognitivi si è sviluppata agli inizi degli anni cinquanta e ha coinvolto vari ambiti teorici come la psicologia dell’età evolutiva, gli studi sulla percezione, le teorie 27 J. BRUNER, La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza 1993.
  • 57. CAP. 2 – COME IMPARARE 57 A IMPARARE. dell’intelligenza, la motivazione, il comportamento sociale e la psicologia dinamica e della personalità. Uno dei problemi che la ricerca sugli stili cognitivi ha incontrato lungo il suo percorso è legato ad una “crisi d’identità” dovuta alla difficoltà di svincolarsi dal concetto di “abilità”. Messick individua otto possibili variabili in grado di rappresentare gli stili cognitivi:28 Ampiezza della categorizzazione: preferenza per l’assegnazione di oggetti e eventi a categorie ampie oppure ristrette. Complessità cognitiva: differenza nella tendenza a concettualizzare le esperienze e gli eventi in maniera più o meno articolata e multidimensionale; Dipendenza/indipendenza del campo: descrive il grado in cui l’organizzazione del campo prevalente domina la percezione di qualche sua parte; in altre parole, il grado in cui la percezione o comprensione dell’informazione è influenzata dal campo percettivo o dal contesto in cui l’informazione è collocata; Livellamento/acutizzazione: i soggetti “livellatori” tendono a rendere uguali nel ricordo oggetti ed eventi simili ma non identici; gli “aguzzatori” tendono invece ad accentuare le diversità; 28 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1997, pp. 109-11.
  • 58. CAP. 2 – COME IMPARARE 58 A IMPARARE. Esame generale/scanning/messa a fuoco: riguarda le differenze nell’estensione e intensità dell’attenzione; Convergenza/divergenza: tendenza dell’individuo a cercare soluzioni corrette e convenzionali ai problemi, rispetto alla preferenza per soluzioni molteplici e non convenzionali; Automatizzazione: riguarda l’abilità di eseguire semplici compiti automaticamente. Riflessività/impulsività: tendenza dei bambini a inibire le risposte immediate e a riflettere sull’accuratezza di una risposta piuttosto che rispondere impulsivamente. Già da questa iniziale classificazione proposta da Messick, è possibile evidenziare la diversità esistente tra gli stili cognitivi e le abilità. Lo stile infatti non è un’abilità ma è il modo attraverso il quale si utilizzano le abilità che un individuo possiede. L’abilità rinvia alla misurazione di una competenza, mentre lo stile individua una modalità prevalente di risposta. L’abilità é unipolare, gli stili sono bipolari. Le abilità hanno un valore in assoluto, mentre gli stili hanno un valore in relazione alla natura di un compito cognitivo. Gli stili inoltre sono correlati alla personalità e riflettono il modo attraverso cui si elaborano le informazioni, proprio per questo diventa per gli insegnanti molto utile e importante individuare delle regolarità e degli aspetti di stabilità nei modi con i quali lo studente apprende, così da valorizzare le inclinazioni personali come risorse per riuscire ad affrontare situazioni diverse. 2.2.3. Stili recenti.
  • 59. CAP. 2 – COME IMPARARE 59 A IMPARARE. Lo stile della dipendenza/indipendenza dal campo è uno degli stili che è stato e che rimane essere il più studiato.29 L’idea centrale è che l’individuo, nella risoluzione di un compito, ha una diversa propensione a lasciarsi influenzare dal contesto in cui sono inseriti gli stimoli. La persona campo-dipendente fatica a riconoscere l’informazione e a selezionarla in un contesto ambiguo; è estremamente legata al contesto e ha una rappresentazione dell’ambiente più rigida. La persona campo-indipendente invece è in grado di prescindere dalla specificità dei dati e del contesto, individua facilmente elementi anche se non sono immediatamente evidenti e sa dare interpretazioni alternative alle situazioni che si trova di fronte. Lo studio dei comportamenti che si possono assumere quando ci si trova di fronte ad una situazione nuova, ha portato a distinguere due diverse tipologie di stile: si può cercare di riportare tali situazioni ad altre già note, in modo da poter applicare strategie consolidate, oppure viverle come sfide che spingono verso il cambiamento. Nello stile proposto da Kirton30 (1989) gli “adattatori” hanno come principale obbiettivo l’efficienza ovvero di raggiungere l’obiettivo 29 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp. 37-40. 30 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp. 61-2.
  • 60. CAP. 2 – COME IMPARARE 60 A IMPARARE. facendo meglio. Di fronte alle novità sono dei conformisti e procedono attenendosi all’applicazione di regole e principi dati, senza metterli in discussione; gli “innovatori”, invece, valutano le possibilità di trasformazione che la situazione nuova implica e sono disposti a cimentarsi in ambiti sconosciuti, affrontando il rischio e l’incertezza. Kirton a sostegno del suo modello teorico elabora anche il KAI (Kirton Adaption-Innovation Inventory), un questionario di self- report con tre diverse sottoscale che misurano tre dimensioni descritte come fluidità (scioltezza, facilità di parola), efficienza e conformità alle regole. La somma dei punteggi di queste sottoscale genera un profilo che viene poi riportato nella dimensione dicotomica dello stile. Lo stile assimilatore/esploratore31 distingue la tendenza ad applicare, anche a situazioni note, schemi mentali già conosciuti oppure la tendenza a trasformarli e riadattarli. In riferimento ai due tipi di approccio sopraccitati, sono state proposte altre distinzioni; secondo la teorizzazione di Jabri parlando di “pensiero associativo” si indica un modo di ragionare basato su strategie di pensiero familiari, routine che potrebbero essere espresse in parole o simboli. Il “pensiero bisociativo” invece è 31 MANUELA CANTOIA, LETIZIA CARRUBA,BARBARA COLOMBO, Apprendere con stile. Metacognizione e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma 2004, p. 19.
  • 61. CAP. 2 – COME IMPARARE 61 A IMPARARE. collegato alla ricerca di nuove procedure per affrontare i problemi, si verifica quando due schemi mentali si combinano per produrre qualcosa di nuovo e sorprendente. Lo stile pensiero destro/pensiero sinistro32 prende spunto dalla teoria della localizzazione delle attività cerebrali. L’emisfero cerebrale sinistro controlla i movimenti della metà destra del corpo, il linguaggio parlato e scritto e per questo è specializzato nelle operazioni verbali, analitiche, astratte, numeriche e temporali. L’emisfero destro è specializzato nelle funzioni non verbali, nelle visioni olistiche, concrete, spaziali, analogiche, in forme di intelligenza emotive, artistiche e creative. Sulla base di queste diversità è stato proposto uno stile di pensiero che sottolinea il diverso uso di un codice verbale-astratto piuttosto che l’utilizzo di un codice visivo - motorio. Il pensiero sinistro, sarebbe proprio dei bambini tendenti a seguire procedure analitiche e sequenziali mentre il pensiero destro sarebbe invece tipico dei bambini che optano per procedure innovative per affrontare le situazioni e che preferiscono intuire e inventare. 32 IVI, p. 20.
  • 62. CAP. 2 – COME IMPARARE 62 A IMPARARE. In ambito evolutivo è stato molto studiato invece lo stile impulsivo/riflessivo33 che misura la tendenza dell’individuo ad una risposta immediata, senza il controllo metacognitivo delle proprie azioni; oppure un controllo preciso, procedendo con cautela e riflettendo ed analizzando tutta la situazione prima di arrivare ad una risposta immediata. Chi adotta uno stile impulsivo tende a fornire risposte precipitose e non sempre ottimali, chi adotta uno stile riflessivo, risponde in modo lento e più accurato. 2.2.3. Stili di apprendimento Se, ogni individuo possiede modalità diverse di elaborare le informazioni che incontra nell’esperienza quotidiana appare ovvio che ciascuno di noi utilizzerà strategie differenti per apprendere. Strettamente connesso al discorso sugli stili cognitivi appare dunque il concetto di stili di apprendimento.34 Quando si parla di stile di apprendimento, si intende riferirsi alla tendenza di un individuo a preferire un certo modo di apprendere e studiare rispetto ad altri. 33 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp. 47-51. 34 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp.71-3.
  • 63. CAP. 2 – COME IMPARARE 63 A IMPARARE. È un elemento che non solo coinvolge gli aspetti cognitivi ma anche quegli aspetti della nostra personalità che possono influenzare gli apprendimenti come gli aspetti socio-affettivi. Ciascuno di noi può rendersi conto di come alcune persone acquisiscono con facilità informazioni visive come figure, schemi e immagini mentre altri percepiscono meglio concetti astratti, come parole dette e scritte, e modelli matematici. Come per gli stili cognitivi, non è possibile collocarsi ad un estremo piuttosto che ad un altro in quanto lo stile di apprendimento indica una tendenza e non un valore assoluto. Il concetto di stile di apprendimento è stato preso in considerazione dai ricercatori a partire dagli anni settanta. Lo stile visualizzatore/verbalizzatore35 descrive la preferenza individuale nell’uso nell’uso di immagini, schemi riassuntivi, diagrammi e tabelle, contrapposto ad un codice linguistico, testi e registrazioni sonore. La preferenza di un codice è da considerarsi tenendo conto della fase di sviluppo della persona (i bambini spesso preferiscono le immagini ai testi scritti) e va collegata alla capacità di gestire tali strategie; un conto è preferire le illustrazioni, diverso è utilizzare in maniera costante tale codice. 35 MANUELA CANTOIA, LETIZIA CARRUBA, BARBARA COLOMBO, Apprendere con stile. Metacognizione e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma 2004, p. 20.
  • 64. CAP. 2 – COME IMPARARE 64 A IMPARARE. Nello stile di apprendimento olistico/seriale36(Pask 1976) appare evidente che la tendenza ad usare preferibilmente uno piuttosto che l’altro dà vita allo stabilirsi di due stili di apprendimento che presentano sostanzialmente due obiettivi differenti: uno "basato sulla comprensione" e l’altro "basato sulle operazioni". Esistono, infatti, studenti che mirano alla comprensione personale delle esperienze, preferendo quindi gli esempi concreti e collegando i contenuti che studiano alle proprie esperienze, e studenti che puntano all’assimilazione riproduttiva ovvero a un impiego di appropriate procedure e prove per verificare le idee. Viene inoltre previsto uno stile intermedio chiamato versatile che implica la capacità di passare da una strategia seriale ad una solistica a seconda delle situazioni di apprendimento in cui ci si trova. La distinzione sulla base degli obiettivi viene ripresa nello stile di Entwistle37 (1981) che distingue due approcci definiti come superficiale e profondo. I bambini superficiali sono quelli che per paura di sbagliare tendono a memorizzare i contenuti e le procedure cercando di compiere il minimo sforzo; quelli profondi mirano invece a cogliere il massimo significato nei contenuti da apprendere nutrendo per essi un 36 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp. 86-7. 37 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, pp. 87-8.
  • 65. CAP. 2 – COME IMPARARE 65 A IMPARARE. personale interesse. Anche in questo caso si prevede un orientamento intermedio, denominato strategico, che risulta dalla combinazione di elementi superficiali e profondi: lo studente strategico è abile nell’inferire le aspettative, le attese, le rappresentazioni che costituiscono il contesto di apprendimento di cui fa parte ed in base a queste sceglie strategie funzionali al raggiungimento dei suoi scopi. Tra i modelli più articolati ritengo importante citare quello di Kolb (1976)38 che propone una visione dinamica e circolare dell’apprendimento. Questo tipo di apprendimento viene infatti concepito come un ciclo con quattro stadi: un processo attraverso il quale l’individuo cerca di imparare dalle proprie esperienze e di conseguenza modifica il proprio comportamento. Per questo studioso esistono due principali assi (esperienze concrete/concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva- osservazione riflessiva) dall’incrocio dei quali si possono delineare quattro diversi stili di pensiero: assimilatore/accomodatore e divergente/convergente. Schema dei processi di apprendimento secondo Kolb. 38 Ivi, pp. 73-81.
  • 66. CAP. 2 – COME IMPARARE 66 A IMPARARE. La distinzione tra assimilazione e accomodamento è da ricollegarsi alla definizione di intelligenza di Piaget quale combinazione ed equilibrio di questi due processi. Il primo, chiamato assimilazione, consiste nell’aggiunta di nuove informazioni negli schemi preesistenti del bambino; questo spiegherebbe perché gli assimilatori sono particolarmente bravi nel compiere generalizzazioni a partire da casi particolari. Il processo di accomodamento invece, riguarda la capacità di modificare gli schemi preesistenti e di adattarli alla nuova informazione; gli accomodatori, infatti, amano essere coinvolti in nuove esperienze e risolvono i problemi con procedure per prove ed errori di tipo intuitivo, adattandosi rapidamente alle situazioni nuove. Quelle convergenti e divergenti sono, invece, due modalità attraverso le quali si realizza il processo cognitivo. Il pensiero convergente elabora le informazioni in modo logico e univoco, le
  • 67. CAP. 2 – COME IMPARARE 67 A IMPARARE. persone che preferiscono questo stile di pensiero riescono bene nei test tradizionali di intelligenza e nella soluzione di problemi; il pensiero divergente elabora le informazioni in modo vario e creativo, le persone che preferiscono questo stile di pensiero sono dotati di abilità immaginative e capaci di produrre molte e diversificate idee. Per concludere il discorso è necessario prendere anche in considerazione l’influenza della dimensione sociale negli stili di apprendimento, facendo riferimento alla ricerca di Riechmann e Grasha (1982) sulla dimensione dell’interazione sociale.39 Questo stile non è legato al modo di percepire e organizzare l’informazione ma tratta le modalità di interazione dello studente con gli insegnanti e con i suoi pari in un ambiente di apprendimento. Questo lavoro cerca di cogliere gli aspetti che incidono sull’atteggiamento e il comportamento dello studente in classe identificando tre dimensioni bipolari: Evitante/partecipante; Competitivo/collaborativi; Dipendente/indipendente. 39 ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci, Roma 2004, p. 90.
  • 68. CAP. 2 – COME IMPARARE 68 A IMPARARE. La dimensione partecipante/evitante misura quanto un individuo vuole essere coinvolto nell’ambiente di classe, quanto reagisce alle procedure di classe e le sue attitudini verso l’apprendimento. La scala collaborativo/competitivo misura la motivazione di base dell’interazione di un individuo con gli altri. La terza scala indipendente/dipendente misura l’attitudine dello studente verso gli insegnanti e quanto desideri libertà e controllo nell’ambiente di apprendimento. 2.3.  VERSO  UNA  DEFINIZIONE  DI  METACOGNIZIONE.   2.3.1.  Il  termine  “metacognizione”.   Il termine metacognizione, un concetto relativamente nuovo che si sviluppa all’interno della psicologia dei processi cognitivi e dell’apprendimento, significa letteralmente “Consapevolezza della propria cognizione”. La metacognizione è dunque “l’insieme delle attività psichiche che presiedono al funzionamento metacognitivo” ovvero è un termine che rimanda alla conoscenza e alla consapevolezza che ciascuno di noi ha della propria mente, del proprio modo di lavorare e di affrontare alcuni problemi.40 Si riferisce quindi alla distinzione di processi cognitivi di base che presiedono alle operazioni mentali ( come lettura, scrittura, 40 CORNOLDI CESARE, Metacognizione ed apprendimento,Bologna, Il Mulino 1995.
  • 69. CAP. 2 – COME IMPARARE 69 A IMPARARE. memoria, attenzione…) ed il livello superiore in cui si colloca la conoscenza, la consapevolezza e il controllo di questi processi. Si deve, infatti, considerare un aspetto più attivo della metacognizione, che fa riferimento non solo alla conoscenza delle strategie da utilizzare, ma anche alla capacità di usare quello che si conosce per controllare i propri processi di pensiero e la capacità di individuare le situazioni in cui applicare con successo una data strategia piuttosto che un’altra. Inizialmente lo studio sulla meta cognizione, nei primi anni Ottanta, veniva utilizzata soprattutto per i casi di difficoltà di apprendimento e situazioni di dichiarata disabilità, successivamente si è iniziato ad associare l’intervento metacognitivo con il termine di atteggiamento metacognitivo, evidenziando l’importanza di un lavoro che consideri i diversi aspetti dell’apprendimento e le molteplici dimensioni di colui che apprende (cognitiva, affettiva, sociale e di personalità), indipendentemente dal suo livello di prestazione. Recentemente però ci si è resi conto dell’importanza che la metacognizione riveste nell’apprendimento anche di bambini normodotati e, anche se la competenza metacognitiva e gli effetti di un intervento mirato sono più difficili da valutare nei casi in cui non siano presenti difficoltà a livello cognitivo, l’approccio metacognitivo permette un apprendimento più profondo e generalizzabile.41 41 ALESSANDRO ANTONIETTI , Psicologia dell’apprendimento, La Scuola, Brescia 1998.
  • 70. CAP. 2 – COME IMPARARE 70 A IMPARARE. Nei principali modelli teorici ricorrono cinque fondamentali ambiti di applicazione e di indagine: le conoscenze, la consapevolezza, il controllo, la generalizzazione (transfer) e gli elementi individuali che caratterizzano l’esperienza di apprendimento. 2.3.2.  Le  conoscenze.   Una prima definizione di metacognizione è da collocarsi alla metà degli anni settanta e proposta da Flavell secondo il quale la metacognizione non sarebbe altro che la capacità di un individuo di conoscere il funzionamento della propria mente e di quella degli altri. Avere una propria teoria della mente e saper costruire una teoria della mente altrui permette di regolare conseguentemente il proprio comportamento. All’interno delle conoscenze metacognitive si possono distinguere quindi oltre alle variabili della persona, ovvero la conoscenza dei propri limiti e delle proprie abilità, anche le variabili legate alle caratteristiche del contesto e del compito che si deve affrontare e le variabili legate alle strategie ovvero le modalità possibili per aiutare l’attività metacognitiva. In sintesi si dice metacognitiva la conoscenza che un individuo ha dei propri mezzi cognitivi e delle modalità per usarli e controllarli.42 42 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1997, p. 284.
  • 71. CAP. 2 – COME IMPARARE 71 A IMPARARE. 2.3.3.  La  consapevolezza.   Purtroppo non tutto quello che si conosce si è poi in grado di metterlo in pratica. Basta pensare che una lamentela ricorrente degli insegnanti sia legata all’incapacità dei propri alunni di mettere in pratica le informazioni che possiedono. Importante diventa quindi, non solo conoscere i propri processi mentali, ma anche averne consapevolezza. Gli individui presentano gradi di consapevolezza differenti a seconda dell’età, del livello culturale e della motivazione. Schraw e Moshman43 distinguono tre tipi di teorie meta cognitive con gradi di consapevolezza differenti: Le teorie tacite sono acquisite senza consapevolezza esplicita; Le teorie informali presentano un certo grado di consapevolezza e gli individui sono in grado di riconoscere l’inadeguatezza di certe convinzioni e le modificano; Le teorie formali presentano un alto grado di consapevolezza meta cognitiva e sono molto rare. Riassumendo potremmo dire che nella risoluzione di un compito esistono vari gradi di consapevolezza metacognitva. Il primo grado, che non si può ancora definire metacognitivo, si ha quando l’individuo non è in grado di dare una motivazione circa l’incapacità di risolvere un compito. 43 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1997, p. 290.
  • 72. CAP. 2 – COME IMPARARE 72 A IMPARARE. Si arriva ad un livello di pre-consapevolezza quando si riescono ad individuare uno o più comportamenti che sono legati alla difficoltà di risolvere il compito assegnato. Il livello di consapevolezza vero e proprio viene raggiunto quando l’individuo è in grado di fare riferimento alla mente individuando le cause dei processi. 2.3.4.  Il  controllo.   Una volta che alle proprie conoscenze metacognitive fa riscontro un buon livello di consapevolezza si può regolare il proprio lavoro mentale intervenendo a vari livelli sui processi che vengono messi in atto, ovvero l’individuo diviene in grado di controllare i propri processi cognitivi. Brown e Campione formulano una teoria metacognitiva dell’abilità mentale e delle differenze individuali che si suddivide in quattro strategie di controllo esecutivo.44 PREDIZIONE: si chiede ai soggetti di predire il loro livello di prestazione in un compito o di stimarne il grado di difficoltà, o di predire il risultato dell’applicazione di una certa strategia. La predizione richiede l’abilità di immaginare gli atti cognitivi che non si sono ancora verificati e risulta abbastanza difficile per i soggetti più giovani. 44 BOSCOLO PIETRO, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1997, Pag. 294/295
  • 73. CAP. 2 – COME IMPARARE 73 A IMPARARE. PIANIFICAZIONE: riguarda la capacità di organizzare le azioni che portano a un obiettivo. Si chiede a un bambino se dopo che gli è stato detto il numero di telefono di un suo amico, preferisce telefonargli subito o fare qualche cosa di diverso prima. I bambini di otto anni si mostrano di regola consapevoli che è meglio telefonare subito per non dimenticare il numero o di scriverlo, mentre i più giovani non sanno indicare un piano per ricordare. MONITORAGGIO: riguarda il controllo che un individuo esercita su un’attività cognitiva da lui intrapresa, in particolare sulla soluzione di un problema. Risolvere un problema implica una serie di operazioni, la correttezza di ciascuna delle quali è condizione necessaria per la soluzione. A differenza della predizione e della progettazione, che evolvono con l’età e l’esperienza, le carenze di questa forma di controllo si rilevano a tutte le età. VALUTAZIONE: riguarda la capacità di mettere alla prova una strategia di apprendimento ed eventualmente di modificarla. Mentre il monitoring è un controllo progressivo che si esercita sulle singole fasi, la valutazione riguarda l’esecuzione di una strategia nella sua globalità. 2.3.5.  La  generalizzazione  (transfer)  e  gli  elementi  individuali  che   caratterizzano  l’esperienza  di  apprendimento.   Una volta che l’individuo è in grado di controllare i propri processi cognitivi deve anche essere in grado di accedere alle conoscenze di
  • 74. CAP. 2 – COME IMPARARE 74 A IMPARARE. cui dispone e utilizzarle ovvero deve essere abile nel transfer dell’apprendimento. Per transfer si intende l’effetto di un apprendimento su un apprendimento successivo. Il pregio di questa teoria sta nell’aver individuato la sequenza dei processi che riflette il comportamento di un pensatore o solutore. Questa classificazione serve anche per una nuova concettualizzazione dell’intelligenza e dei modi per stimolarla. Per i cognitivisti il transfer consiste nella capacità di cogliere e di ricercare elementi simili negli stimoli, in base alle conoscenze e agli schemi che si possiedono. Tale capacità varia con l’età e l’esperienza, oltre che da individuo a individuo e risente della scolarizzazione e delle pratiche educative. Apprendere ad apprendere: imparare non significa solo acquisire elementi di conoscenza, ma capire qualcosa della situazione di apprendimento, delle strategie adatte, dei propri limiti e delle proprie risorse, della difficoltà che un determinato compito implica. Essere esperti nell’imparare vuol dire essere consapevoli dei fattori che interagiscono nell’apprendimento. Consiste in un processo di acquisizione della conoscenza relativa a regole, strategie e obiettivi necessari per una prestazione efficiente. 2.3.6.  Metacognizione  e  didattica.   L'insegnante che ha capito l’importanza delle teorie metacognitive favorisce gli allievi nell'impegno di imparare ad imparare: in sintesi ciò significa che la didattica metacognitiva assume un significato
  • 75. CAP. 2 – COME IMPARARE 75 A IMPARARE. paradigmatico, è un campo d’intervento affascinante ed al tempo stesso impegnativo. Per gli insegnanti usare tecniche metacognitive significa adottare intese collaborative finalizzate alla proposta ed allo sviluppo di un insieme di abilità trasversali che hanno a loro volta una positiva ricaduta nell'intero processo evolutivo dell’alunno. Il ruolo dell'insegnante diviene quello di agevolare attivamente i processi cognitivi e gli apprendimenti. La Didattica metacognitiva offre quindi un approccio utile ad ogni ambito disciplinare e certamente si rivela una modalità d’intervento didattico molto produttiva perché offre strategie flessibili in base alle esigenze degli studenti di ciascuna fascia d'età. Adottare strategie di didattica metacognitiva non significa quindi soltanto sperimentare nuove tecniche didattiche ma significa piuttosto mettere in questione, ogni giorno, la propria professionalità, allo scopo di migliorarla e renderla sempre più adeguata alle differenze individuali di ciascun alunno. L’insegnante metacognitivo deve quindi non solo conoscere bene la propria materia ma deve conoscere anche le altre discipline per poter ricercare i collegamenti necessari all’unitarietà del sapere. Deve inoltre saper motivare all’apprendimento e sapersi mettere in discussione ma soprattutto deve avere la curiosità di scoprire e amare la conoscenza.
  • 76. 76 CAP. 3 – INTELLIGENZA MATEMATICA. «Gran parte dei veri matematici i calcoli non li sa nemmeno fare Non vogliono sprecare il tempo, e poi ci sono le calcolatrici. Ce ne hai una anche tu,no? Certo,però a scuola non possiamo usarla. Sapere un po’ le tabelline non guasta. Può tornare utile se si scaricano le batterie. Ma la matematica,caro mio,è un’altra cosa!» (Hans M. Enzensberger) « La maggior parte di noi può stimare il numero di oggetti presenti in un insieme dando loro un’occhiata, senza bisogno di contarli, purché essi non siano più di circa cinque. Questo giovane doveva contare pur se aveva di fronte solo due oggetti! Questa non era mancanza di istruzione ma qualcosa di tutt’altro ordine.