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Design Research: 40 anni*
                         Nigel Cross (2006)
                                 Trad. it. di L.Galli


Il quarantesimo anniversario della fondazione della Design Research
Society (DRS), che si celebra quest’anno, offre un'occasione appropriata
per riflettere sui primi quarant'anni di ricerca sul design [“letteralmente
“design research”, N.d.T.]. Sin dagli inizi, lo scopo della Design Research
Society è stato molto chiaro: "promuovere lo studio e la ricerca sul
processo del design in tutte le sue articolazioni". In altre parole, la
Design Research Society è una società di studi, caratterizzata da una
visione sul processo della progettazione [designing, N.d.T.]
indipendente dai vari domini applicativi.

La nascita della società risale al successo della prima "Conference on
Design Methods", che si è tenuta a Londra nel 1962 [Jones and Thorley
1963]. Questo evento è considerato generalmente come la data che ha
segnato il lancio della metodologia del design quale vero e proprio
argomento d’indagine, ed è stato anche l’atto di nascita del "Design
Methods Movement". Questo movimento si è poi sviluppato in Gran
Bretagna attraverso ulteriori conferenze lungo gli anni Sessanta – in
particolare “The Design Method” a Birmingham nel 1965 [Gregory, 1996]
e “Design Methods in Architecture” a Portsmouth nel 1967 [Broadbent
and Ward, 1969].

Le origini dei nuovi metodi di design negli anni Sessanta risalgono però
ancora più indietro nel tempo, specie con l’applicazione di metodi
innovativi e “scientifici” ai problemi nuovi e pressanti sollevati dalla
Seconda Guerra Mondiale – da cui sono derivati i metodi di ricerca
operativa e le tecniche manageriali di decision-making – e con lo
sviluppo delle tecniche per la creatività negli anni Cinquanta (in
particolare negli Stati Uniti, dove in parte si trattava di una risposta al
lancio del primo satellite sovietico, lo Sputnik, che pare avesse convinto
scienziati e ingegneri americani di essere in difetto di creatività). Gli
anni Sessanta avevano anche visto apparire le prime applicazioni
informatiche per il problem solving. Erano stati così pubblicati i primi
testi sui metodi e sulla metodologia del design - Asimow [1962],
Alexander [1964], Archer [1965], Jones [1970] – e i primi libri sulla
creatività – Gordon [1961] e Osborn [1963].

Un’affermazione di Bruce Archer [1965] racchiude bene il senso di quel
che stava accadendo: “La sfida di fondo alle idee convenzionali è stata
posta dal sostegno crescente a favore di metodi sistematici di problem

*
 Titolo originale: Forty years of Design Research, 2006. Copyright Design Research
Quarterly. Presidential address to DRS ‘WonderGround’ conference, Lisbon, Portugal, 1
November 2006. Design Research Quarterly, v. 2-1, gennaio 2007. Traduzione italiana
realizzata per esclusivo uso didattico e non commerciale, con il consenso dell’autore.


                                         1/6
solving, presi in prestito da tecniche informatiche e dalle teorie di
management, per la valutazione di problemi di design e lo sviluppo di
soluzioni di design”. Inoltre, Herbert Simon [1969] aveva stabilito le
fondamenta di una “scienza del design” intesa come un “insieme
intellettualmente solido e insegnabile di dottrina sul processo di design,
un insieme analitico, in parte formalizzabile e in parte empirico”. Da
questo punto di vista potremmo dire che negli anni Sessanta c'è stato
senz’altro un desiderio di rendere “scientifico” il design.

Ciononostante gli anni Settanta si caratterizzarono anche per il rifiuto
della metodologia del design da parte di molti autori, e tra questi vi
erano alcuni degli stessi pionieri di questo approccio. Così Christopher
Alexander: “Mi sono dissociato da questo ambito… C’è così poco di utile
in quel che è chiamato ‘design methods’ rispetto a come progettare
edifici che ho persino smesso di seguire la letteratura… Vorrei dire,
dimenticavene, dimenticate l’intera faccenda” [Alexander, 1971]. E J.
Christopher Jones si era espresso in questo modo: “Negli anni Settanta
ho avuto una sorta di reazione contro l’ambito dei ‘design methods’.
Non mi piaceva il linguaggio macchinico, il comportamentismo, il
continuo tentativo di fissare l’intero della vita in una struttura logica”
[Jones, 1977].

Erano parole piuttosto aspre, soprattutto perché provenivano dai padri
fondatori e si rivolgevano alla loro stessa progenie; di più, erano
potenzialmente devastanti per chi stava cercando di nutrire l’infante.
Tuttavia, per collocare le citazioni di Alexander e Jones nel giusto
contesto, è utile ricordare il clima sociale e culturale dei tardi anni
Sessanta – le rivolte nei campus, il nuovo umanismo liberale e il rifiuto
di tutti i valori stabiliti. Inoltre, bisogna anche riconoscere la mancanza
di successi nell’applicazione di metodi “scientifici” al design. Nel
frattempo, altre questioni fondamentali erano state sollevate da Rittel e
Webber [1973], che avevano caratterizzato i problemi di design e di
planning come “disordinati, circolari, aggressivi” [wicked problems,
N.d.T], in buona sostanza non riconducibili alle tecniche della scienza e
dell’ingegneria, che dal canto loro avrebbero a che fare con problemi
più “docili” [tame problems, N.d.T.].

Alla fine, la metodologia del design è stata salvata dalla proposta
avanzata dallo stesso Horst Rittel, a proposito della necessità di
considerare l’esistenza di vere e proprie “generazioni di metodi”. In altri
termini, Rittel aveva suggerito che gli sviluppi degli anni Sessanta
corrispondevano solo alla “prima generazione” di metodi (cosa che
naturalmente, col senno di poi, era un po’ semplicistica, ma offriva
perlomeno una via d’uscita), e che una seconda generazione avrebbe
presto iniziato a emergere. Lo spunto era intelligente, poiché
permetteva ai metodologi di liberarsi dall’adesione agli inadeguati
metodi di “prima generazione” e apriva uno scenario di infinite future
generazioni su generazioni di nuovi metodi.



                                    2/6
Ora, laddove la prima generazione di metodi di design era basata
sull’applicazione di metodi sistematici, razionali e “scientifici”, la
seconda generazione si allontanava dai tentativi di ottimizzazione di
questo universo e dall’onnipotenza del designer (specialmente rispetto
ai wicked problems), muovendosi invece verso il riconoscimento
dell’importanza di soluzioni appropriate o soddisfacenti (Herbert Simon
si spinse persino a coniare con l’espressione satisficing una somma
delle nozioni di “soddisfare” [satisfy, N.d.T.]. La seconda generazione si
orientava insomma verso l’importanza di un approccio “bastevole o
sufficiente” [suffice, N.d.T.]) e di un processo partecipativo o
“argomentativo” nel quale i designer sarebbero stati partner di coloro
che detengono la “proprietà” del problema in gioco (clienti, utenti, la
comunità). Va aggiunto però che tutto ciò sembrava più funzionale per
l’architettura che per l’ingegneria e l’industrial design, e peraltro queste
discipline nel frattempo stavano per sviluppare proprie metodologie in
direzioni anche piuttosto differenti.

La metodologia del progetto d’ingegneria [Engineering Design
Methodology, N.d.T.] crebbe fortemente negli anni Ottanta, per esempio
nell’ambito di ICED, la serie di conferenze internazionali sull’Engineering
Design. I primi sviluppi furono particolarmente forti in Germania e in
Giappone (per quanto ci sia stata un’evidenza piuttosto limitata di
risultati e applicazioni concrete). Una serie di testi sulla metodologia del
progetto ingegneristico e sulla metodologia iniziarono così ad apparire.
Giusto per menzionare alcuni di quelli in inglese, sono da citare Hubka
[1982], Pahl and Beitz [1984], French [1985], Cross [1989] e Pugh
[1991].

Occorre anche riconoscere che negli Stati Uniti erano maturati
importanti sviluppi nella teoria del design e della metodologia, quali le
pubblicazioni del Design Methods Group e le serie di conferenze della
Environmental Design Research Association (EDRA). Le iniziative della
National Science Foundation sulla teoria e la metodologia del design
(forse una reazione ai progressi fatti in Germania e in Giappone – come
quella precedente per lo Sputnik?) avevano portato a una crescita
sostanziale della metodologia del progetto d’ingegneria nei tardi anni
Ottanta. La American Society of Mechanical Engineers (ASME) aveva
lanciato infine una serie di conferenze sulla teoria e la metodologia del
design.

Difatti, dopo i dubbi degli anni Settanta, gli anni Ottanta hanno
testimoniato un periodo di sostanziale consolidamento della ricerca sul
design. Il legame costrittivo con la scienza è stato reciso alla conferenza
della Design Research Society su “Design:Science:Method” del 1980
[Jacques and Powell, 1981]. Gli sviluppi storici e correnti della
metodologia del design sono stati riportati in Cross [1984].Uno sviluppo
particolarmente indicativo è stato rappresentato dall’emergere delle
prime riviste accademiche di design research. Sempre per riferirsi
ancora soltanto alle pubblicazioni in lingua inglese, la DRS ha avviato


                                    3/6
Design Studies nel 1979, Design Issues è apparsa nel 1984 e Research
in Engineering Design nel 1989. Sono stati pubblicati in quegli anni
anche alcuni testi caratterizzati da una nuova enfasi sugli aspetti
cognitivi del design, specie nel campo dell’architettura con How
Designers Think di Lawson [1980] e Design Thinking di Rowe [1987].

Gli anni Ottanta hanno visto insomma lo stabilirsi del design come una
disciplina coerente di studi in sé, a partire dall’assunto che il design ha i
suoi propri oggetti di conoscenza e modi specifici per creare questa
stessa conoscenza†. Quest’idea ha avuto un ruolo centrale già nel primo
numero di Design Studies, quando abbiamo dato il via a una serie di
articoli sul tema del design come disciplina (“Design as a Discipline”). E’
stato ancora Bruce Archer a esprimere in modo efficace questa visione
dicendosi convinto che “esiste un modo di pensare e di comunicare ‘da
designer’ [there exists a designerly way of thinking and communicating,
N.d.T.] e che questo modo è differente da quello della scienza, ma
potente tanto quanto quest’ultimo quando è applicato ai suoi propri
problemi” [Archer, 1979]. Poco dopo, espandendo questa stessa idea,
Cross [1982] ha suggerito che “ci serve un programma di ricerca… al
suo cuore ci sarà una ‘teoria fondamentale’ [touch-stone theory, N.d.T.]
o un’idea guida – nel nostro caso la visione per la quale ‘ci sono delle
modalità di conoscenza da designer [designerly ways of knowing,
N.d.T.]”. (Per ulteriori sviluppi in questa direzione si veda Cross [2006]).
Un passo di maggiore importanza rispetto a tutti gli altri è stato quello
compiuto da Donald Schön, che ha promosso questa visione nel suo The
Reflective Practitioner [1983], nel quale ha cercato di stabilire “una
epistemologia della prassi implicita nei processi artistici e dominati
dall’intuizione, che [nell’ambito del design e di quelli di altre
professioni, N.d.A.] si applicano a situazioni di incertezza, instabilità,
unicità e conflitto di valori”. Intendere il design come una disciplina
significa quindi studiare il design secondo i termini di riferimento che
gli sono propri, secondo il rigore della sua cultura, fondata su una
prassi riflessiva e consapevole di progettazione.

Si potrebbe dire quindi la design research è finalmente maturata negli
anni Ottanta, e che da quel momento in avanti si è assistito a una sua
continua espansione lungo gli anni Novanta e fino a oggi. Altre riviste
accademiche si sono aggiunte nel seguito, quali per esempio The Design
Journal, Journal of Design Research e CoDesign. Ci sono stati anche altri
passi avanti notevoli dal punto di vista delle conferenze, non solo con la
serie sempre attiva promossa dalla Design Research Society ma anche
con simposi come Design Thinking, Doctoral Education in Design,
Design Computing and Cognition, Design and Emotion, European
Academy, le Asian Design Conferences e così via. La design research
vive ora in effetti su una scala internazionale, come è evidente dalla
cooperazione della Design Research Society con le corrispondenti
società in Asia attraverso la fondazione nel 2005 della International

†
    In altri termini, il design ha un suo statuto epistemologico (N.d.T.)


                                              4/6
Association of Societies of Design Research. La stessa Design Research
Society ha celebrato il suo quarantesimo anniversario con la più grande
conferenza che abbia mai tenuto, a Lisbona, in Portogallo, nel novembre
2006, per la quale è stata anche approntata questa breve e parziale
storia.

Dopo quarant’anni, la design research è ben presente, gode di ottima
salute e vive in un numero sempre crescente di luoghi del mondo.


Elenco delle opere citate

Alexander, C. [1964] Notes on the Synthesis of Form Cambridge, MA,
Harvard University Press

Alexander, C . [1971] The State of the Art in Design Methods, DMG
Newsletter Vol 5[3]: 3-7

Archer, L. B. [1965] Systematic Method for Designers London, The
Design Council

Archer, L. B. [1979] Whatever Became of Design Methodology?, Design
Studies, Vol 1[1]: 17-20

Asimow, M. [1962] Introduction to Design Englewood Cliffs, NJ,
Prentice-Hall

Broadbent, G. and A. Ward, [eds] [1969] Design Methods in Architecture
London, Lund Humphries

Cross, N. [1982] Designerly Ways of Knowing, Design Studies, Vol 3[4]:
221-227

Cross, N. [ed] [1984] Developments in Design Methodology Chichester,
John Wiley & Sons Ltd

Cross, N. [1989] Engineering Design Methods Chichester, John Wiley &
Sons Ltd

Cross, N. [2006] Designerly Ways of Knowing London, Springer-Verlag

French, M. J. [1985] Conceptual Design for Engineers London, The
Design Council

Gordon, W. J. J. [1961] Synectics New York, Harper & Row

Gregory, S. A. [ed] [1966] The Design Method London, Butterworth Press

Hubka, V. [1982] Principles of Engineering Design Guildford,


                                  5/6
Butterworth Scientific Press

Jacques, R. and J. Powell, [eds] [1981] Design:Science:Method Guildford,
Westbury House

Jones, J. C. [1970] Design Methods Chichester, John Wiley & Sons Ltd

Jones, J. C. [1977] How My Thoughts About Design Methods Have
Changed During the Years, Design Methods and Theories Vol 11[1]: 48–
62

Jones, J. C. and D G Thornley, [eds] [1963] Conference on Design
Methods Oxford, Pergamon Press

Lawson, B. [1980] How Desigers Think: The Design Process Demystified
Oxford, Elsevier, Architectural Press

Osborn, A. F. [1963] Applied Imagination: Principles and Procedures of
Creative Thinking New York, Scribener's Sons

Pahl, G. and W. Beitz [1984] Engineering Design, London,
Springer/Design Council

Pugh, S. [1991] Total Design: Integrated Methods for Successful Product
Engineering Wokingham, Addison–Wesley

Rittel, H. [1973] The State of the Art in Design Methods, Design
Research and Methods [Design Methods and Theories] Vol 7[2]: 143–147

Rittel, H. and M. Webber [1973] Dilemmas in a General Theory of
Planning, Policy Sciences Vol 4: 155–169

Rowe, P. [1987] Design Thinking Cambridge, MA, MIT Press

Schön, D. [1983] The Reflective Practitioner: How Professionals Think in
Action London, Temple Smith

Simon, H. A. [1969] The Sciences of the Artificial Cambridge, MA, MIT
Press




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  • 1. Design Research: 40 anni* Nigel Cross (2006) Trad. it. di L.Galli Il quarantesimo anniversario della fondazione della Design Research Society (DRS), che si celebra quest’anno, offre un'occasione appropriata per riflettere sui primi quarant'anni di ricerca sul design [“letteralmente “design research”, N.d.T.]. Sin dagli inizi, lo scopo della Design Research Society è stato molto chiaro: "promuovere lo studio e la ricerca sul processo del design in tutte le sue articolazioni". In altre parole, la Design Research Society è una società di studi, caratterizzata da una visione sul processo della progettazione [designing, N.d.T.] indipendente dai vari domini applicativi. La nascita della società risale al successo della prima "Conference on Design Methods", che si è tenuta a Londra nel 1962 [Jones and Thorley 1963]. Questo evento è considerato generalmente come la data che ha segnato il lancio della metodologia del design quale vero e proprio argomento d’indagine, ed è stato anche l’atto di nascita del "Design Methods Movement". Questo movimento si è poi sviluppato in Gran Bretagna attraverso ulteriori conferenze lungo gli anni Sessanta – in particolare “The Design Method” a Birmingham nel 1965 [Gregory, 1996] e “Design Methods in Architecture” a Portsmouth nel 1967 [Broadbent and Ward, 1969]. Le origini dei nuovi metodi di design negli anni Sessanta risalgono però ancora più indietro nel tempo, specie con l’applicazione di metodi innovativi e “scientifici” ai problemi nuovi e pressanti sollevati dalla Seconda Guerra Mondiale – da cui sono derivati i metodi di ricerca operativa e le tecniche manageriali di decision-making – e con lo sviluppo delle tecniche per la creatività negli anni Cinquanta (in particolare negli Stati Uniti, dove in parte si trattava di una risposta al lancio del primo satellite sovietico, lo Sputnik, che pare avesse convinto scienziati e ingegneri americani di essere in difetto di creatività). Gli anni Sessanta avevano anche visto apparire le prime applicazioni informatiche per il problem solving. Erano stati così pubblicati i primi testi sui metodi e sulla metodologia del design - Asimow [1962], Alexander [1964], Archer [1965], Jones [1970] – e i primi libri sulla creatività – Gordon [1961] e Osborn [1963]. Un’affermazione di Bruce Archer [1965] racchiude bene il senso di quel che stava accadendo: “La sfida di fondo alle idee convenzionali è stata posta dal sostegno crescente a favore di metodi sistematici di problem * Titolo originale: Forty years of Design Research, 2006. Copyright Design Research Quarterly. Presidential address to DRS ‘WonderGround’ conference, Lisbon, Portugal, 1 November 2006. Design Research Quarterly, v. 2-1, gennaio 2007. Traduzione italiana realizzata per esclusivo uso didattico e non commerciale, con il consenso dell’autore. 1/6
  • 2. solving, presi in prestito da tecniche informatiche e dalle teorie di management, per la valutazione di problemi di design e lo sviluppo di soluzioni di design”. Inoltre, Herbert Simon [1969] aveva stabilito le fondamenta di una “scienza del design” intesa come un “insieme intellettualmente solido e insegnabile di dottrina sul processo di design, un insieme analitico, in parte formalizzabile e in parte empirico”. Da questo punto di vista potremmo dire che negli anni Sessanta c'è stato senz’altro un desiderio di rendere “scientifico” il design. Ciononostante gli anni Settanta si caratterizzarono anche per il rifiuto della metodologia del design da parte di molti autori, e tra questi vi erano alcuni degli stessi pionieri di questo approccio. Così Christopher Alexander: “Mi sono dissociato da questo ambito… C’è così poco di utile in quel che è chiamato ‘design methods’ rispetto a come progettare edifici che ho persino smesso di seguire la letteratura… Vorrei dire, dimenticavene, dimenticate l’intera faccenda” [Alexander, 1971]. E J. Christopher Jones si era espresso in questo modo: “Negli anni Settanta ho avuto una sorta di reazione contro l’ambito dei ‘design methods’. Non mi piaceva il linguaggio macchinico, il comportamentismo, il continuo tentativo di fissare l’intero della vita in una struttura logica” [Jones, 1977]. Erano parole piuttosto aspre, soprattutto perché provenivano dai padri fondatori e si rivolgevano alla loro stessa progenie; di più, erano potenzialmente devastanti per chi stava cercando di nutrire l’infante. Tuttavia, per collocare le citazioni di Alexander e Jones nel giusto contesto, è utile ricordare il clima sociale e culturale dei tardi anni Sessanta – le rivolte nei campus, il nuovo umanismo liberale e il rifiuto di tutti i valori stabiliti. Inoltre, bisogna anche riconoscere la mancanza di successi nell’applicazione di metodi “scientifici” al design. Nel frattempo, altre questioni fondamentali erano state sollevate da Rittel e Webber [1973], che avevano caratterizzato i problemi di design e di planning come “disordinati, circolari, aggressivi” [wicked problems, N.d.T], in buona sostanza non riconducibili alle tecniche della scienza e dell’ingegneria, che dal canto loro avrebbero a che fare con problemi più “docili” [tame problems, N.d.T.]. Alla fine, la metodologia del design è stata salvata dalla proposta avanzata dallo stesso Horst Rittel, a proposito della necessità di considerare l’esistenza di vere e proprie “generazioni di metodi”. In altri termini, Rittel aveva suggerito che gli sviluppi degli anni Sessanta corrispondevano solo alla “prima generazione” di metodi (cosa che naturalmente, col senno di poi, era un po’ semplicistica, ma offriva perlomeno una via d’uscita), e che una seconda generazione avrebbe presto iniziato a emergere. Lo spunto era intelligente, poiché permetteva ai metodologi di liberarsi dall’adesione agli inadeguati metodi di “prima generazione” e apriva uno scenario di infinite future generazioni su generazioni di nuovi metodi. 2/6
  • 3. Ora, laddove la prima generazione di metodi di design era basata sull’applicazione di metodi sistematici, razionali e “scientifici”, la seconda generazione si allontanava dai tentativi di ottimizzazione di questo universo e dall’onnipotenza del designer (specialmente rispetto ai wicked problems), muovendosi invece verso il riconoscimento dell’importanza di soluzioni appropriate o soddisfacenti (Herbert Simon si spinse persino a coniare con l’espressione satisficing una somma delle nozioni di “soddisfare” [satisfy, N.d.T.]. La seconda generazione si orientava insomma verso l’importanza di un approccio “bastevole o sufficiente” [suffice, N.d.T.]) e di un processo partecipativo o “argomentativo” nel quale i designer sarebbero stati partner di coloro che detengono la “proprietà” del problema in gioco (clienti, utenti, la comunità). Va aggiunto però che tutto ciò sembrava più funzionale per l’architettura che per l’ingegneria e l’industrial design, e peraltro queste discipline nel frattempo stavano per sviluppare proprie metodologie in direzioni anche piuttosto differenti. La metodologia del progetto d’ingegneria [Engineering Design Methodology, N.d.T.] crebbe fortemente negli anni Ottanta, per esempio nell’ambito di ICED, la serie di conferenze internazionali sull’Engineering Design. I primi sviluppi furono particolarmente forti in Germania e in Giappone (per quanto ci sia stata un’evidenza piuttosto limitata di risultati e applicazioni concrete). Una serie di testi sulla metodologia del progetto ingegneristico e sulla metodologia iniziarono così ad apparire. Giusto per menzionare alcuni di quelli in inglese, sono da citare Hubka [1982], Pahl and Beitz [1984], French [1985], Cross [1989] e Pugh [1991]. Occorre anche riconoscere che negli Stati Uniti erano maturati importanti sviluppi nella teoria del design e della metodologia, quali le pubblicazioni del Design Methods Group e le serie di conferenze della Environmental Design Research Association (EDRA). Le iniziative della National Science Foundation sulla teoria e la metodologia del design (forse una reazione ai progressi fatti in Germania e in Giappone – come quella precedente per lo Sputnik?) avevano portato a una crescita sostanziale della metodologia del progetto d’ingegneria nei tardi anni Ottanta. La American Society of Mechanical Engineers (ASME) aveva lanciato infine una serie di conferenze sulla teoria e la metodologia del design. Difatti, dopo i dubbi degli anni Settanta, gli anni Ottanta hanno testimoniato un periodo di sostanziale consolidamento della ricerca sul design. Il legame costrittivo con la scienza è stato reciso alla conferenza della Design Research Society su “Design:Science:Method” del 1980 [Jacques and Powell, 1981]. Gli sviluppi storici e correnti della metodologia del design sono stati riportati in Cross [1984].Uno sviluppo particolarmente indicativo è stato rappresentato dall’emergere delle prime riviste accademiche di design research. Sempre per riferirsi ancora soltanto alle pubblicazioni in lingua inglese, la DRS ha avviato 3/6
  • 4. Design Studies nel 1979, Design Issues è apparsa nel 1984 e Research in Engineering Design nel 1989. Sono stati pubblicati in quegli anni anche alcuni testi caratterizzati da una nuova enfasi sugli aspetti cognitivi del design, specie nel campo dell’architettura con How Designers Think di Lawson [1980] e Design Thinking di Rowe [1987]. Gli anni Ottanta hanno visto insomma lo stabilirsi del design come una disciplina coerente di studi in sé, a partire dall’assunto che il design ha i suoi propri oggetti di conoscenza e modi specifici per creare questa stessa conoscenza†. Quest’idea ha avuto un ruolo centrale già nel primo numero di Design Studies, quando abbiamo dato il via a una serie di articoli sul tema del design come disciplina (“Design as a Discipline”). E’ stato ancora Bruce Archer a esprimere in modo efficace questa visione dicendosi convinto che “esiste un modo di pensare e di comunicare ‘da designer’ [there exists a designerly way of thinking and communicating, N.d.T.] e che questo modo è differente da quello della scienza, ma potente tanto quanto quest’ultimo quando è applicato ai suoi propri problemi” [Archer, 1979]. Poco dopo, espandendo questa stessa idea, Cross [1982] ha suggerito che “ci serve un programma di ricerca… al suo cuore ci sarà una ‘teoria fondamentale’ [touch-stone theory, N.d.T.] o un’idea guida – nel nostro caso la visione per la quale ‘ci sono delle modalità di conoscenza da designer [designerly ways of knowing, N.d.T.]”. (Per ulteriori sviluppi in questa direzione si veda Cross [2006]). Un passo di maggiore importanza rispetto a tutti gli altri è stato quello compiuto da Donald Schön, che ha promosso questa visione nel suo The Reflective Practitioner [1983], nel quale ha cercato di stabilire “una epistemologia della prassi implicita nei processi artistici e dominati dall’intuizione, che [nell’ambito del design e di quelli di altre professioni, N.d.A.] si applicano a situazioni di incertezza, instabilità, unicità e conflitto di valori”. Intendere il design come una disciplina significa quindi studiare il design secondo i termini di riferimento che gli sono propri, secondo il rigore della sua cultura, fondata su una prassi riflessiva e consapevole di progettazione. Si potrebbe dire quindi la design research è finalmente maturata negli anni Ottanta, e che da quel momento in avanti si è assistito a una sua continua espansione lungo gli anni Novanta e fino a oggi. Altre riviste accademiche si sono aggiunte nel seguito, quali per esempio The Design Journal, Journal of Design Research e CoDesign. Ci sono stati anche altri passi avanti notevoli dal punto di vista delle conferenze, non solo con la serie sempre attiva promossa dalla Design Research Society ma anche con simposi come Design Thinking, Doctoral Education in Design, Design Computing and Cognition, Design and Emotion, European Academy, le Asian Design Conferences e così via. La design research vive ora in effetti su una scala internazionale, come è evidente dalla cooperazione della Design Research Society con le corrispondenti società in Asia attraverso la fondazione nel 2005 della International † In altri termini, il design ha un suo statuto epistemologico (N.d.T.) 4/6
  • 5. Association of Societies of Design Research. La stessa Design Research Society ha celebrato il suo quarantesimo anniversario con la più grande conferenza che abbia mai tenuto, a Lisbona, in Portogallo, nel novembre 2006, per la quale è stata anche approntata questa breve e parziale storia. Dopo quarant’anni, la design research è ben presente, gode di ottima salute e vive in un numero sempre crescente di luoghi del mondo. Elenco delle opere citate Alexander, C. [1964] Notes on the Synthesis of Form Cambridge, MA, Harvard University Press Alexander, C . [1971] The State of the Art in Design Methods, DMG Newsletter Vol 5[3]: 3-7 Archer, L. B. [1965] Systematic Method for Designers London, The Design Council Archer, L. B. [1979] Whatever Became of Design Methodology?, Design Studies, Vol 1[1]: 17-20 Asimow, M. [1962] Introduction to Design Englewood Cliffs, NJ, Prentice-Hall Broadbent, G. and A. Ward, [eds] [1969] Design Methods in Architecture London, Lund Humphries Cross, N. [1982] Designerly Ways of Knowing, Design Studies, Vol 3[4]: 221-227 Cross, N. [ed] [1984] Developments in Design Methodology Chichester, John Wiley & Sons Ltd Cross, N. [1989] Engineering Design Methods Chichester, John Wiley & Sons Ltd Cross, N. [2006] Designerly Ways of Knowing London, Springer-Verlag French, M. J. [1985] Conceptual Design for Engineers London, The Design Council Gordon, W. J. J. [1961] Synectics New York, Harper & Row Gregory, S. A. [ed] [1966] The Design Method London, Butterworth Press Hubka, V. [1982] Principles of Engineering Design Guildford, 5/6
  • 6. Butterworth Scientific Press Jacques, R. and J. Powell, [eds] [1981] Design:Science:Method Guildford, Westbury House Jones, J. C. [1970] Design Methods Chichester, John Wiley & Sons Ltd Jones, J. C. [1977] How My Thoughts About Design Methods Have Changed During the Years, Design Methods and Theories Vol 11[1]: 48– 62 Jones, J. C. and D G Thornley, [eds] [1963] Conference on Design Methods Oxford, Pergamon Press Lawson, B. [1980] How Desigers Think: The Design Process Demystified Oxford, Elsevier, Architectural Press Osborn, A. F. [1963] Applied Imagination: Principles and Procedures of Creative Thinking New York, Scribener's Sons Pahl, G. and W. Beitz [1984] Engineering Design, London, Springer/Design Council Pugh, S. [1991] Total Design: Integrated Methods for Successful Product Engineering Wokingham, Addison–Wesley Rittel, H. [1973] The State of the Art in Design Methods, Design Research and Methods [Design Methods and Theories] Vol 7[2]: 143–147 Rittel, H. and M. Webber [1973] Dilemmas in a General Theory of Planning, Policy Sciences Vol 4: 155–169 Rowe, P. [1987] Design Thinking Cambridge, MA, MIT Press Schön, D. [1983] The Reflective Practitioner: How Professionals Think in Action London, Temple Smith Simon, H. A. [1969] The Sciences of the Artificial Cambridge, MA, MIT Press 6/6