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Massimo Filippi
Professore di Neurologia, Unità di Neuroimaging, Divisione di Neuroscienze
IRCCS e Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
Editor-in-Chief Journal of Neurology

Il cervello in diretta:
la Risonanza Magnetica e i suoi sviluppi
Come si sono evolute in questi anni le tecniche di neuroimaging? Quali sono le più
importanti e su quali principi e tecnologie si basano?
Durante gli ultimi 20-25 anni il progressivo sviluppo e utilizzo di tecniche di neuroimaging sempre
più raffinate e sofisticate, sempre meno invasive e rischiose per i pazienti, hanno migliorato
significativamente la nostra comprensione dei meccanismi fisiopatologici di molte condizioni
patologiche. Queste tecniche hanno inoltre notevolmente semplificato i percorsi della diagnostica
differenziale e sono ormai diventate dei mezzi insostituibili per valutare in modo accurato e
oggettivo l’efficacia di nuovi trattamenti sperimentali che via via si rendono disponibili nella pratica
clinica. Un altro aspetto importante è inoltre legato all’applicazione di queste metodiche per lo
studio dei processi fisiologici di maturazione ed invecchiamento del Sistema Nervoso Centrale
(SNC) e delle variabili biologiche ad essi associate, quali il genere o la dominanza emisferica.
Nei primi Anni ’70 nuove tecniche di neuroimaging cominciarono a fornire “in vivo” informazioni
sulla struttura dell’encefalo nei soggetti sani e sulle modifiche che si sviluppano in corso di
malattia. La tomografia computerizzata (TC) ha segnato un salto quantico nell’individuazione di
patologie che causano alterazioni morfologiche. Tuttavia, ancora più stimolante è il continuo
sviluppo della Risonanza Magnetica (RM), che non solo fornisce immagini di estrema accuratezza
morfologica ma, grazie all’introduzione di nuove tecniche quantitative e funzionali, è in grado,
meglio di ogni altra tecnica, di rilevare le alterazioni sia di struttura che di funzione associate alle
principali malattie del SNC.
La RM rappresenta l’applicazione nel campo medico del principio della Risonanza Magnetica
Nucleare, la cui scoperta risale a poco più di 50 anni fa. Tale processo fisico si sviluppa quando un
atomo con un numero dispari di protoni e/o di neutroni è posto in un campo magnetico, il suo
nucleo si allinea in senso parallelo o antiparallelo alla direzione delle linee di forza del campo
stesso e ruota intorno al proprio asse (moto di processione) a una frequenza specifica (frequenza
di Larmor). Se viene fornita energia sotto forma di onde radio (RF) sintonizzate sulla frequenza di
Larmor, il nucleo assorbe questa energia e si pone in uno stato instabile. Dopo che l’impulso di RF
è cessato, il nucleo ritorna alla condizione originaria emettendo a sua volta una certa quantità di
energia che viene registrata come un segnale sinusoidale. La fase di ripristino della situazione di
allineamento è influenzata da due costanti di tempo: il T2 determinato dallo scambio reciproco di
energia tra nuclei di idrogeno eccitati ed il T1 definito dalla cessione di energia da parte dei nuclei
eccitati agli atomi che costituiscono l’ambiente circostante.
Oltre alle tecniche di RM convenzionale comunemente utilizzate nella pratica clinica, sono state
introdotte nuove tecniche di RM, come ad esempio la RM con trasferimento di magnetizzazione
(RM MT) e la RM pesata in diffusione (RM DT), che consentono una valutazione quantitativa delle
eventuali anormalità presenti.
Nel SNC i protoni possono essere associati a macromolecole, quali i componenti della mielina e
delle membrane assonali, oppure essere liberi. Le tecniche convenzionali di RM acquisiscono
segnali dai protoni liberi, tuttavia, i due "pool" protonici scambiano continuamente energia e con
l'applicazione di un opportuno impulso di magnetizzazione a una comune sequenza di RM
(generalmente sono usate sequenze pesate in densità protonica) si può ottenere la saturazione dei
livelli energetici dei protoni legati alle macromolecole con una conseguente riduzione del segnale
registrabile dai protoni liberi. Tale riduzione di segnale sarà più elevata laddove è maggiore la
quantità di protoni legati. Per quantificare questo effetto e per ottenere conseguentemente
un'informazione indiretta dell’integrità del tessuto in esame, sono pertanto necessarie due
sequenze, una con e una senza l'applicazione dell'impulso di MT. In questo modo, la differenza tra
l'intensità di segnale delle due sequenze può essere quantificata definendo il rapporto dell'intensità
di segnale dei pixel corrispondenti delle due sequenze. Questo rapporto è noto con il nome di "MT
ratio" (MTR) ed è calcolato per ogni pixel delle due immagini. Il primo passo nell’analisi quantitativa
delle immagini di MT è quindi la creazione di mappe MTR, prodotte automaticamente dalle due
serie d’immagini acquisite. In queste mappe ogni pixel sarà caratterizzato da un valore di MTR e
non da un valore d’intensità di segnale.
La RM pesata in diffusione studia invece la diffusione delle molecole di acqua nei tessuti biologici.
In un sistema fluido le molecole d’acqua sono sottoposte a un moto casuale noto come moto
browniano, che le porta a continui scontri e interazioni. Nei sistemi omogenei, poiché la media
degli spostamenti è nulla, non è osservabile nessun moto a livello macroscopico. Nei tessuti
biologici, i movimenti molecolari dell’acqua sono condizionati dalle dimensioni dell’interstizio e dalla
presenza di barriere semi-permeabili che impongono una direzionalità alle molecole. Nella maggior
parte dei tessuti biologici, cioè, la diffusione non può essere considerata isotropa e il “coefficiente
di diffusione apparente” (ADC) non è uguale in ogni direzione dello spazio. In particolare, i tessuti
caratterizzati da una struttura poco organizzata, presentano caratteristiche analoghe di diffusione
in ogni direzione, mentre in quelli caratterizzati da un’architettura ordinata, l’ADC dipende dalla
direzione in cui lo stesso viene misurato. Un esempio di mezzo anisotropo è costituito dalla
sostanza bianca (SB) cerebrale, dove la presenza dei fasci nervosi praticamente non limita la
diffusione in direzione parallela ai fasci stessi, mentre la limita significativamente in direzione
perpendicolare. In queste circostanze, un unico coefficiente scalare è insufficiente a caratterizzare
quantitativamente il fenomeno. Una descrizione più adeguata può essere ottenuta in termini di
tensore, un’entità descritta matematicamente da una matrice 3x3, simmetrica, i cui termini in
diagonale costituiscono gli ADC misurati nelle tre direzioni ortogonali, mentre i termini fuori
diagonale tengono conto della correlazione esistente fra le componenti ortogonali stesse. Gli
elementi del tensore sono a loro volta ottenibili tramite misure di RM effettuate in più direzioni.
Un’altra tecnica di interesse nel campo della diagnosi e della ricerca clinica è la RM spettroscopica
del protone, che sfrutta segnali molto deboli derivanti da atomi contenuti in molecole di interesse
biologico, al fine di ottenere informazioni circa la composizione chimica dei tessuti in esame,
permettendo quindi la quantificazione di una serie di metaboliti cerebrali. I metaboliti comunemente
studiati sono rappresentati dalla colina (che fornisce un’informazione sul turn-over delle
membrane), la creatina (da sola o in forma di fosfocreatina), l’N-acetilaspartato (che fornisce
un’informazione sull’integrità neuro-assonale) ed il lattato.
Dal 1990 l’uso in vivo dell’imaging funzionale ha grandemente arricchito le nostre conoscenze sul
funzionamento cerebrale. L’attivazione di una determinata area cerebrale provoca un incremento
del metabolismo neuronale e gliale, associato a un corrispondente aumento del flusso ematico
cerebrale regionale e a un decremento della concentrazione ematica di deossiemoglobina
nell’area attivata, che, a sua volta, determina un incremento dell’intensità di segnale dell’area
stessa su opportune immagini di RM (RM funzionale-RMF). Con l’introduzione di sequenze “veloci”
di RM, è stato, pertanto, possibile riconoscere, in vivo, le modificazioni di segnale indotte dalla
deossi-Hb, il così detto effetto BOLD (blood oxygenation level dependent). Queste nozioni sono
state impiegate con successo in molti studi ed hanno aperto la strada a un ampio settore di ricerca
focalizzato inizialmente sullo studio delle funzioni cerebrali in soggetti normali e successivamente
allo studio delle alterazioni funzionali corticali in pazienti affetti da varie patologie neurologiche.
Uno sviluppo recente di questa metodica, la cosiddetta “resting state fMRI”, ha consentito
l’identificazione dei principali network cerebrali in condizione di assoluto riposo. Chiaramente,
questo avanzamento tecnologico apre notevoli prospettive future per la valutazione del ruolo dei
processi di plasticità e recupero funzionale nei pazienti con grave compromissione dello stato di
coscienza, o con marcata compromissione fisica o cognitiva, nei quali la somministrazione di un
compito attivo non sarebbe proponibile.
Cosa possiamo effettivamente ottenere attraverso le diverse tecniche di Risonanza
Magnetica circa il funzionamento del cervello e le sue patologie? Le informazioni del
neuroimaging vanno interpretate? Con che margine di incertezza?
La ricerca nel campo del neuroimaging è mirata alla comprensione dei correlati strutturali e funzionali
delle modifiche del SNC in soggetti normali e del danno dello stesso in corso di patologia.
Data l'elevata sensibilità della RM nel definire le dimensioni delle strutture nervose, negli ultimi
anni sono state introdotte numerose tecniche di neuroimaging che, utilizzando sequenze pesate in
T1, consentono di quantificare il volume cerebrale. Lo sviluppo di metodiche avanzate di analisi ha
inoltre consentito di misurare separatamente le modifiche di volume a livello della sostanza bianca e
della sostanza grigia cerebrali. È ormai chiaro che l’invecchiamento è associato ad una progressiva
riduzione del volume cerebrale, soprattutto della sostanza grigia, e che tale processo è accelerato in
alcune patologie neurologiche. La maggior parte delle patologie neurodegenerative mostra una
predilezione di danno verso regioni specifiche del SNC, mentre in altre patologie, soprattutto
psichiatriche, può associarsi ad un incremento di volume di determinate regioni cerebrali che hanno
un ruolo chiave nelle manifestazioni cliniche ad esse associate.
Un aspetto interessante che è emerso negli ultimi anni è che, sia in soggetti sani che malati, tali
modifiche sono dinamiche e possono essere influenzate da trattamenti farmacologici o riabilitativi.
L'introduzione delle immagini di RM DT e della RM MT ha rappresentato invece una notevole
innovazione nello studio del danno microscopico nell'intero cervello o di sue parti, fornendo così
informazioni sui substrati patologici coinvolti nelle diverse patologie. L'utilizzo della RM DT permette
inoltre di indagare “in vivo” l'orientamento e la distribuzione dei principali fasci di fibre del SNC.
Analogamente alle tecniche di RM strutturale, l'utilizzo della RMS permette di misurare “in vivo” la
quantità di determinate componenti biochimiche di tessuti biologici, fornendo così informazioni
rilevanti sulle caratteristiche dei tessuti stessi.
L’applicazione della RMF ha sensibilmente migliorato la comprensione della fisiologia normale
della corteccia umana e della fisiopatologia delle malattie neurologiche. La RMF fornisce
informazioni uniche sull’abilità del SNC di ri-organizzarsi a seguito del danno, fornendo, in questo
modo, indicazioni importanti sui meccanismi di recupero funzionale a breve e lungo termine e sulla
validità di interventi terapeutici. Le potenzialità della RMF sono, pertanto, notevoli, andando dalla
definizione di specifiche strutture anatomiche cerebrali, alla pianificazione pre-operatoria della
resezione di tumori cerebrali ed allo studio di patologie neurologiche, quali l'epilessia o la sclerosi
multipla (SM).
La rapida diffusione di queste metodiche è senz’altro legata alla grande utilità clinica mostrata nella
diagnosi precoce di eventi ischemici e nella comprensione dei meccanismi che portano
all'accumulo di disabilità fisica irreversibile e a compromissione cognitiva nel corso
dell'invecchiamento fisiologico e in diverse malattie neurologiche, comprese la SM e le malattie
neurodegenerative. Tuttavia, l’aumentato utilizzo di nuove tecnologie nella pratica quotidiana non è
scevro da rischi. Innanzitutto, a volte, l’utilizzo di queste metodiche può portare a risultati di non
univoca interpretazione. In secondo luogo, è necessaria un’attenta standardizzazione delle
procedure di acquisizione e di analisi.
Attraverso l'osservazione ripetuta del cervello si sono consolidati parametri di riferimento
in termini di dimensioni e altre caratteristiche? In condizioni normali le differenze da un
cervello all'altro sono immediatamente visibili? Esiste una sorta di impronta cerebrale per
ciascun individuo?
Le tecniche di RM convenzionali, grazie ad un’estrema accuratezza morfologica, sono dotate di
elevata sensibilità nel riconoscere le lesioni macroscopiche tipicamente presenti nelle varie
malattie neurologiche, come ad esempio la sclerosi multipla o l’ictus. Tuttavia per ottenere una
migliore definizione dei differenti substrati patologici delle lesioni e quantificare il danno medesimo
è necessario ricorrere a metodiche avanzate di RM che richiedono l’utilizzo di strumenti più
sofisticati e tempi di elaborazione più lunghi.
In questi anni, lo studio di soggetti sani mediante tecniche avanzate di RM ha permesso di definire i
range di normalità di misure cerebrali strutturali, come ad esempio le misure di volume cerebrale, di
sostanza grigia o di sostanza bianca. Analogamente, l’utilizzo di tecniche di RMF ha evidenziato la
presenza dei network cerebrali che si attivano in tutti i soggetti studiati quando viene svolta una
determinata azione, come ad esempio durante un compito motorio, o durante la semplice presenza
di uno stato di riposo. La definizione di uno stato di normalità ha, chiaramente, facilitato
l’individuazione di condizioni patologiche. Inoltre, lo sviluppo di atlanti anatomici cerebrali sempre più
sofisticati ha permesso una più precisa identificazione e definizione topografica del danno rilevato.
Negli ultimi anni, la ricerca di biomarker di RM in grado di identificare in modo univoco la presenza
di una condizione fisiologica o patologica ha acquisito un’importanza sempre maggiore. Numerosi
sono stati, infatti, gli sforzi fatti per cercare di individuare biomarker di RM di malattie neurologiche,
quali la sclerosi multipla o le malattie neurodegenerative, che potessero essere utilizzati come
endpoint clinicamente rilevanti. Tuttavia, oggigiorno nessuno dei biomarker attualmente individuati
è in grado di riflettere completamente la complessità dei meccanismi fisiopatologici sottostanti le
diverse malattie neurologiche.
Con l'avvento di tecnologie sempre più potenti quali orizzonti si aprono?
Le potenzialità delle tecniche di neuroimaging sono numerose e i risultati ottenuti fino ad oggi
lasciano intravedere numerose prospettive per il futuro.
La RM non va più pensata come una singola metodica di esame con alto valore diagnostico per lo
studio delle patologie neurologiche, ma, piuttosto, come un insieme di tecniche con l’enorme
potenzialità di portare ad una più completa comprensione della fisiopatologia delle malattie
neurologiche e psichiatriche.
Uno dei più importanti obiettivi del futuro sarà quello di trovare dei marker di RM che rappresentino
al meglio i vari quadri clinici associati alle malattie neurologiche, in modo da poter migliorare la
definizione della prognosi della malattia in questione e predire un’eventuale risposta terapeutica.
Nel futuro l’utilizzo di studi multi-parametrici di RM avrà, inoltre, un ruolo di fondamentale
importanza nel monitoraggio di terapie sperimentali volte a modificare favorevolmente l’evoluzione
clinica delle varie condizioni neurologiche.
Un altro aspetto che è degno di essere ricordato è l’attuale disponibilità di apparecchi di RM ad alto
campo (7.0 T o più). I vantaggi legati all’applicazione di questi magneti sono numerosi. Tra gli altri,
i magneti ad alto campo permettono di ottenere: a) un dettaglio morfologico sovrapponibile a
quello di studi post mortem; ciò ha già fornito dati interessanti ai fini della diagnosi differenziale
nelle patologie della sostanza bianca; b) la misurazione di metaboliti (glutatione, glutammato)
difficilmente quantificabili con un basso campo; c) una dettagliata localizzazione delle funzioni
neuronali. Chiaramente, la diffusione di questo tipo di apparecchiature potrebbe contribuire a
identificare nuovi modelli di malattia che potrebbero diventare target di future strategie
terapeutiche.
Disclaimer
I contenuti di questa intervista sono stati elaborati sulla base di dichiarazioni rilasciate direttamente dal Professor
Massimo Filippi e vengono diffusi previa sua approvazione e sotto sua responsabilità.

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  • 1. Massimo Filippi Professore di Neurologia, Unità di Neuroimaging, Divisione di Neuroscienze IRCCS e Università Vita-Salute San Raffaele, Milano Editor-in-Chief Journal of Neurology Il cervello in diretta: la Risonanza Magnetica e i suoi sviluppi Come si sono evolute in questi anni le tecniche di neuroimaging? Quali sono le più importanti e su quali principi e tecnologie si basano? Durante gli ultimi 20-25 anni il progressivo sviluppo e utilizzo di tecniche di neuroimaging sempre più raffinate e sofisticate, sempre meno invasive e rischiose per i pazienti, hanno migliorato significativamente la nostra comprensione dei meccanismi fisiopatologici di molte condizioni patologiche. Queste tecniche hanno inoltre notevolmente semplificato i percorsi della diagnostica differenziale e sono ormai diventate dei mezzi insostituibili per valutare in modo accurato e oggettivo l’efficacia di nuovi trattamenti sperimentali che via via si rendono disponibili nella pratica clinica. Un altro aspetto importante è inoltre legato all’applicazione di queste metodiche per lo studio dei processi fisiologici di maturazione ed invecchiamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e delle variabili biologiche ad essi associate, quali il genere o la dominanza emisferica. Nei primi Anni ’70 nuove tecniche di neuroimaging cominciarono a fornire “in vivo” informazioni sulla struttura dell’encefalo nei soggetti sani e sulle modifiche che si sviluppano in corso di malattia. La tomografia computerizzata (TC) ha segnato un salto quantico nell’individuazione di patologie che causano alterazioni morfologiche. Tuttavia, ancora più stimolante è il continuo sviluppo della Risonanza Magnetica (RM), che non solo fornisce immagini di estrema accuratezza morfologica ma, grazie all’introduzione di nuove tecniche quantitative e funzionali, è in grado, meglio di ogni altra tecnica, di rilevare le alterazioni sia di struttura che di funzione associate alle principali malattie del SNC. La RM rappresenta l’applicazione nel campo medico del principio della Risonanza Magnetica Nucleare, la cui scoperta risale a poco più di 50 anni fa. Tale processo fisico si sviluppa quando un atomo con un numero dispari di protoni e/o di neutroni è posto in un campo magnetico, il suo nucleo si allinea in senso parallelo o antiparallelo alla direzione delle linee di forza del campo stesso e ruota intorno al proprio asse (moto di processione) a una frequenza specifica (frequenza di Larmor). Se viene fornita energia sotto forma di onde radio (RF) sintonizzate sulla frequenza di Larmor, il nucleo assorbe questa energia e si pone in uno stato instabile. Dopo che l’impulso di RF è cessato, il nucleo ritorna alla condizione originaria emettendo a sua volta una certa quantità di energia che viene registrata come un segnale sinusoidale. La fase di ripristino della situazione di allineamento è influenzata da due costanti di tempo: il T2 determinato dallo scambio reciproco di energia tra nuclei di idrogeno eccitati ed il T1 definito dalla cessione di energia da parte dei nuclei eccitati agli atomi che costituiscono l’ambiente circostante. Oltre alle tecniche di RM convenzionale comunemente utilizzate nella pratica clinica, sono state introdotte nuove tecniche di RM, come ad esempio la RM con trasferimento di magnetizzazione (RM MT) e la RM pesata in diffusione (RM DT), che consentono una valutazione quantitativa delle eventuali anormalità presenti. Nel SNC i protoni possono essere associati a macromolecole, quali i componenti della mielina e delle membrane assonali, oppure essere liberi. Le tecniche convenzionali di RM acquisiscono segnali dai protoni liberi, tuttavia, i due "pool" protonici scambiano continuamente energia e con l'applicazione di un opportuno impulso di magnetizzazione a una comune sequenza di RM (generalmente sono usate sequenze pesate in densità protonica) si può ottenere la saturazione dei livelli energetici dei protoni legati alle macromolecole con una conseguente riduzione del segnale registrabile dai protoni liberi. Tale riduzione di segnale sarà più elevata laddove è maggiore la quantità di protoni legati. Per quantificare questo effetto e per ottenere conseguentemente un'informazione indiretta dell’integrità del tessuto in esame, sono pertanto necessarie due sequenze, una con e una senza l'applicazione dell'impulso di MT. In questo modo, la differenza tra l'intensità di segnale delle due sequenze può essere quantificata definendo il rapporto dell'intensità
  • 2. di segnale dei pixel corrispondenti delle due sequenze. Questo rapporto è noto con il nome di "MT ratio" (MTR) ed è calcolato per ogni pixel delle due immagini. Il primo passo nell’analisi quantitativa delle immagini di MT è quindi la creazione di mappe MTR, prodotte automaticamente dalle due serie d’immagini acquisite. In queste mappe ogni pixel sarà caratterizzato da un valore di MTR e non da un valore d’intensità di segnale. La RM pesata in diffusione studia invece la diffusione delle molecole di acqua nei tessuti biologici. In un sistema fluido le molecole d’acqua sono sottoposte a un moto casuale noto come moto browniano, che le porta a continui scontri e interazioni. Nei sistemi omogenei, poiché la media degli spostamenti è nulla, non è osservabile nessun moto a livello macroscopico. Nei tessuti biologici, i movimenti molecolari dell’acqua sono condizionati dalle dimensioni dell’interstizio e dalla presenza di barriere semi-permeabili che impongono una direzionalità alle molecole. Nella maggior parte dei tessuti biologici, cioè, la diffusione non può essere considerata isotropa e il “coefficiente di diffusione apparente” (ADC) non è uguale in ogni direzione dello spazio. In particolare, i tessuti caratterizzati da una struttura poco organizzata, presentano caratteristiche analoghe di diffusione in ogni direzione, mentre in quelli caratterizzati da un’architettura ordinata, l’ADC dipende dalla direzione in cui lo stesso viene misurato. Un esempio di mezzo anisotropo è costituito dalla sostanza bianca (SB) cerebrale, dove la presenza dei fasci nervosi praticamente non limita la diffusione in direzione parallela ai fasci stessi, mentre la limita significativamente in direzione perpendicolare. In queste circostanze, un unico coefficiente scalare è insufficiente a caratterizzare quantitativamente il fenomeno. Una descrizione più adeguata può essere ottenuta in termini di tensore, un’entità descritta matematicamente da una matrice 3x3, simmetrica, i cui termini in diagonale costituiscono gli ADC misurati nelle tre direzioni ortogonali, mentre i termini fuori diagonale tengono conto della correlazione esistente fra le componenti ortogonali stesse. Gli elementi del tensore sono a loro volta ottenibili tramite misure di RM effettuate in più direzioni. Un’altra tecnica di interesse nel campo della diagnosi e della ricerca clinica è la RM spettroscopica del protone, che sfrutta segnali molto deboli derivanti da atomi contenuti in molecole di interesse biologico, al fine di ottenere informazioni circa la composizione chimica dei tessuti in esame, permettendo quindi la quantificazione di una serie di metaboliti cerebrali. I metaboliti comunemente studiati sono rappresentati dalla colina (che fornisce un’informazione sul turn-over delle membrane), la creatina (da sola o in forma di fosfocreatina), l’N-acetilaspartato (che fornisce un’informazione sull’integrità neuro-assonale) ed il lattato. Dal 1990 l’uso in vivo dell’imaging funzionale ha grandemente arricchito le nostre conoscenze sul funzionamento cerebrale. L’attivazione di una determinata area cerebrale provoca un incremento del metabolismo neuronale e gliale, associato a un corrispondente aumento del flusso ematico cerebrale regionale e a un decremento della concentrazione ematica di deossiemoglobina nell’area attivata, che, a sua volta, determina un incremento dell’intensità di segnale dell’area stessa su opportune immagini di RM (RM funzionale-RMF). Con l’introduzione di sequenze “veloci” di RM, è stato, pertanto, possibile riconoscere, in vivo, le modificazioni di segnale indotte dalla deossi-Hb, il così detto effetto BOLD (blood oxygenation level dependent). Queste nozioni sono state impiegate con successo in molti studi ed hanno aperto la strada a un ampio settore di ricerca focalizzato inizialmente sullo studio delle funzioni cerebrali in soggetti normali e successivamente allo studio delle alterazioni funzionali corticali in pazienti affetti da varie patologie neurologiche. Uno sviluppo recente di questa metodica, la cosiddetta “resting state fMRI”, ha consentito l’identificazione dei principali network cerebrali in condizione di assoluto riposo. Chiaramente, questo avanzamento tecnologico apre notevoli prospettive future per la valutazione del ruolo dei processi di plasticità e recupero funzionale nei pazienti con grave compromissione dello stato di coscienza, o con marcata compromissione fisica o cognitiva, nei quali la somministrazione di un compito attivo non sarebbe proponibile. Cosa possiamo effettivamente ottenere attraverso le diverse tecniche di Risonanza Magnetica circa il funzionamento del cervello e le sue patologie? Le informazioni del neuroimaging vanno interpretate? Con che margine di incertezza? La ricerca nel campo del neuroimaging è mirata alla comprensione dei correlati strutturali e funzionali delle modifiche del SNC in soggetti normali e del danno dello stesso in corso di patologia. Data l'elevata sensibilità della RM nel definire le dimensioni delle strutture nervose, negli ultimi anni sono state introdotte numerose tecniche di neuroimaging che, utilizzando sequenze pesate in
  • 3. T1, consentono di quantificare il volume cerebrale. Lo sviluppo di metodiche avanzate di analisi ha inoltre consentito di misurare separatamente le modifiche di volume a livello della sostanza bianca e della sostanza grigia cerebrali. È ormai chiaro che l’invecchiamento è associato ad una progressiva riduzione del volume cerebrale, soprattutto della sostanza grigia, e che tale processo è accelerato in alcune patologie neurologiche. La maggior parte delle patologie neurodegenerative mostra una predilezione di danno verso regioni specifiche del SNC, mentre in altre patologie, soprattutto psichiatriche, può associarsi ad un incremento di volume di determinate regioni cerebrali che hanno un ruolo chiave nelle manifestazioni cliniche ad esse associate. Un aspetto interessante che è emerso negli ultimi anni è che, sia in soggetti sani che malati, tali modifiche sono dinamiche e possono essere influenzate da trattamenti farmacologici o riabilitativi. L'introduzione delle immagini di RM DT e della RM MT ha rappresentato invece una notevole innovazione nello studio del danno microscopico nell'intero cervello o di sue parti, fornendo così informazioni sui substrati patologici coinvolti nelle diverse patologie. L'utilizzo della RM DT permette inoltre di indagare “in vivo” l'orientamento e la distribuzione dei principali fasci di fibre del SNC. Analogamente alle tecniche di RM strutturale, l'utilizzo della RMS permette di misurare “in vivo” la quantità di determinate componenti biochimiche di tessuti biologici, fornendo così informazioni rilevanti sulle caratteristiche dei tessuti stessi. L’applicazione della RMF ha sensibilmente migliorato la comprensione della fisiologia normale della corteccia umana e della fisiopatologia delle malattie neurologiche. La RMF fornisce informazioni uniche sull’abilità del SNC di ri-organizzarsi a seguito del danno, fornendo, in questo modo, indicazioni importanti sui meccanismi di recupero funzionale a breve e lungo termine e sulla validità di interventi terapeutici. Le potenzialità della RMF sono, pertanto, notevoli, andando dalla definizione di specifiche strutture anatomiche cerebrali, alla pianificazione pre-operatoria della resezione di tumori cerebrali ed allo studio di patologie neurologiche, quali l'epilessia o la sclerosi multipla (SM). La rapida diffusione di queste metodiche è senz’altro legata alla grande utilità clinica mostrata nella diagnosi precoce di eventi ischemici e nella comprensione dei meccanismi che portano all'accumulo di disabilità fisica irreversibile e a compromissione cognitiva nel corso dell'invecchiamento fisiologico e in diverse malattie neurologiche, comprese la SM e le malattie neurodegenerative. Tuttavia, l’aumentato utilizzo di nuove tecnologie nella pratica quotidiana non è scevro da rischi. Innanzitutto, a volte, l’utilizzo di queste metodiche può portare a risultati di non univoca interpretazione. In secondo luogo, è necessaria un’attenta standardizzazione delle procedure di acquisizione e di analisi. Attraverso l'osservazione ripetuta del cervello si sono consolidati parametri di riferimento in termini di dimensioni e altre caratteristiche? In condizioni normali le differenze da un cervello all'altro sono immediatamente visibili? Esiste una sorta di impronta cerebrale per ciascun individuo? Le tecniche di RM convenzionali, grazie ad un’estrema accuratezza morfologica, sono dotate di elevata sensibilità nel riconoscere le lesioni macroscopiche tipicamente presenti nelle varie malattie neurologiche, come ad esempio la sclerosi multipla o l’ictus. Tuttavia per ottenere una migliore definizione dei differenti substrati patologici delle lesioni e quantificare il danno medesimo è necessario ricorrere a metodiche avanzate di RM che richiedono l’utilizzo di strumenti più sofisticati e tempi di elaborazione più lunghi. In questi anni, lo studio di soggetti sani mediante tecniche avanzate di RM ha permesso di definire i range di normalità di misure cerebrali strutturali, come ad esempio le misure di volume cerebrale, di sostanza grigia o di sostanza bianca. Analogamente, l’utilizzo di tecniche di RMF ha evidenziato la presenza dei network cerebrali che si attivano in tutti i soggetti studiati quando viene svolta una determinata azione, come ad esempio durante un compito motorio, o durante la semplice presenza di uno stato di riposo. La definizione di uno stato di normalità ha, chiaramente, facilitato l’individuazione di condizioni patologiche. Inoltre, lo sviluppo di atlanti anatomici cerebrali sempre più sofisticati ha permesso una più precisa identificazione e definizione topografica del danno rilevato. Negli ultimi anni, la ricerca di biomarker di RM in grado di identificare in modo univoco la presenza di una condizione fisiologica o patologica ha acquisito un’importanza sempre maggiore. Numerosi sono stati, infatti, gli sforzi fatti per cercare di individuare biomarker di RM di malattie neurologiche, quali la sclerosi multipla o le malattie neurodegenerative, che potessero essere utilizzati come
  • 4. endpoint clinicamente rilevanti. Tuttavia, oggigiorno nessuno dei biomarker attualmente individuati è in grado di riflettere completamente la complessità dei meccanismi fisiopatologici sottostanti le diverse malattie neurologiche. Con l'avvento di tecnologie sempre più potenti quali orizzonti si aprono? Le potenzialità delle tecniche di neuroimaging sono numerose e i risultati ottenuti fino ad oggi lasciano intravedere numerose prospettive per il futuro. La RM non va più pensata come una singola metodica di esame con alto valore diagnostico per lo studio delle patologie neurologiche, ma, piuttosto, come un insieme di tecniche con l’enorme potenzialità di portare ad una più completa comprensione della fisiopatologia delle malattie neurologiche e psichiatriche. Uno dei più importanti obiettivi del futuro sarà quello di trovare dei marker di RM che rappresentino al meglio i vari quadri clinici associati alle malattie neurologiche, in modo da poter migliorare la definizione della prognosi della malattia in questione e predire un’eventuale risposta terapeutica. Nel futuro l’utilizzo di studi multi-parametrici di RM avrà, inoltre, un ruolo di fondamentale importanza nel monitoraggio di terapie sperimentali volte a modificare favorevolmente l’evoluzione clinica delle varie condizioni neurologiche. Un altro aspetto che è degno di essere ricordato è l’attuale disponibilità di apparecchi di RM ad alto campo (7.0 T o più). I vantaggi legati all’applicazione di questi magneti sono numerosi. Tra gli altri, i magneti ad alto campo permettono di ottenere: a) un dettaglio morfologico sovrapponibile a quello di studi post mortem; ciò ha già fornito dati interessanti ai fini della diagnosi differenziale nelle patologie della sostanza bianca; b) la misurazione di metaboliti (glutatione, glutammato) difficilmente quantificabili con un basso campo; c) una dettagliata localizzazione delle funzioni neuronali. Chiaramente, la diffusione di questo tipo di apparecchiature potrebbe contribuire a identificare nuovi modelli di malattia che potrebbero diventare target di future strategie terapeutiche. Disclaimer I contenuti di questa intervista sono stati elaborati sulla base di dichiarazioni rilasciate direttamente dal Professor Massimo Filippi e vengono diffusi previa sua approvazione e sotto sua responsabilità.