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   2010–2011	
  
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Indice
Introduzione	 	
1

	

	

	

	

	

	

	

	

3

Il processo evolutivo del marketing nella società
1.1
Società postmoderna e consumo reincantato





5
5

1.2
1.3

7
10

1.4
2	

Dal marketing classico al marketing olistico
La nascita di panacee di marketing
Dal marketing al societing

18

Nuovi modelli di consumo	 	
	
2.1
Il consumatore postmoderno

	

	

	

	

20
20

2.2
2.3

22
27

2.4
2.5

Tribù e comunità virtuali
L’epoca delle neotribù

30
36

2.6

La consumerizzazione

42

2.7

La Generazione C
2.7.1 Consumer Behavior

46

2.7.2 Business

52

2.7.3 The Developing World
3	

Dal consumatore passivo al prosumer attivo
I bisogni del consumatore 2.0

53

Le conversazioni e il Real-Time Web	
	
	
3.1
Le nuove leve del marketing conversazionale
3.2

49

	

	

57
57

I social media
3.2.1 Question & Answer

59
68

3.2.2 Social Commerce
3.2.3 Blog Platform

71
72

3.2.4 Social Stream
3.2.5 Social Network

75
79

3.2.6 Forum
3.2.7 Review and Rating

84
85

3.2.8 Social Bookmarking

85

1
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

3.2.9 “Wiki”
3.2.10 Location
3.2.11 Multimedia
3.2.12 Crowdsourcing

4	

87
88

Il brand nel Web 2.0
Il word of mouth

89
94

3.4.1 Il buzz marketing
3.4.2 Il viral marketing

3.3
3.4

86
87

99
100

Viral and social media marketing cases	 	
4.1
Il caso Lynx
4.1.1 Il problema Lynx

	

	

	

105
105
105

4.1.2 La soluzione di Lynx
4.1.3 I risultati ottenuti da Lynx

119
123
123
125

4.3.3 Dall’idea creativa alla realizzazione pratica
4.3.4 I risultati raggiunti da Toyota

126
128

Un caso sportivo di successo: Jeremy Lin
4.4.1 La storia del giocatore

133
134

4.4.2 I motivi del successo sportivo e personale
4.4.3 L’impatto del brand “Lin” nella blogosfera

137
139

4.4.4 I risultati extra-sportivi di Lin
4.4.5 I risultati economici e finanziari di Lin

149
151

4.4.6 Il valore del giocatore
4.4.7 La Lin-reputation

4.4

Il caso Disaronno
Il caso Toyota
4.3.1 La sfida strategica di Toyota
4.3.2 L’idea di Toyota

4.2
4.3

106
113

154
156

Conclusioni	 	

	

	

	

	

	

	

	

	

158

Bibliografia	 	

	

	

	

	

	

	

	

	

160

Sitografia	

	

	

	

	

	

	

	

	

163

	

2
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Introduzione
La progressiva crescita delle relazioni e degli scambi sui mercati globali, in un contesto di
cambiamenti economici, sociali e tecnologici, ha inevitabilmente comportato una maggiore
diffusione dell’informazione e l’evoluzione dei rapporti spazio-temporali di concorrenza.
Le aziende si trovano oggi ad affrontare nuove sfide e a beneficiare di nuove opportunità
legate alla comunicazione online, mediante la quale la marca deve essere in grado di
assimilare e riflettere il sistema di valori di una società che cambia.
Il brand viene proiettato al centro di una fitta rete di interazioni virtuali dove diventa
fondamentale ciò che le persone dicono, pensano, e sentono attorno ad un prodotto o
servizio.
Con il presente elaborato si intende quindi approfondire il ruolo della marca all’interno della
Social Media World Culture, descrivendo i cambiamenti societari e tecnologici che hanno
portato alla definizione di nuove piattaforme partecipative e interattive, legate ai
cambiamenti del World Wide Web. Gli obiettivi sono: comprendere e misurare l’apporto, in
termini di ROI, che gli strumenti del Web 2.0 offrono alle imprese per le rispettive iniziative
di marketing; valutare quanto il Real-Time Web e le conversazioni in Rete influiscano sulla
proliferazione delle informazioni e sulla popolarità delle persone.
Lo scritto si compone di quattro capitoli che possono essere agglomerati in due parti: la
prima prettamente teorica, la seconda quantitativa e analitica. Nel primo capitolo viene
analizzato il processo evolutivo del marketing nella società, allo scopo di introdurre il lettore
nella fasi precedenti alla rivoluzione digitale e all’introduzione di internet come mezzo di
comunicazione. Vengono descritte le tappe fondamentali di questo percorso:
dall’orientamento alla produzione al market-driven management, il marketing olistico,
l’evoluzione delle panacee di marketing e la nuova prospettiva offerta dall’approccio sociale
e partecipativo.
Nel secondo capitolo si approfondisce il concetto di consumatore postmoderno, il suo
approccio al web e le sue forme di aggregazione in gruppi sociali. Viene enfatizzata la figura
di un individuo capace di interagire con le aziende e di ricoprire un ruolo attivo nella
progettazione e nella realizzazione di nuovi beni e servizi; un partner con cui interagire,
dialogare e collaborare, soprattutto grazie agli strumenti messi a disposizione da internet.
Viene quindi introdotta la “consumerizzazione dell’IT”, definita come la trasformazione e la
rimodulazione del patrimonio informativo ad opera delle tecnologie e dei servizi fruibili

3
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

tramite web dalla classe di consumatori, e il concetto di “Generazione C”, giovani nati con
internet che diffondono contenuti tramite supporti multicanale, flessibili e convergenti.
Il terzo capitolo, dopo aver introdotto la nozione di marketing conversazionale, delinea i
principi cardine per una corretta lettura della parte conclusiva dell’elaborato, approfondendo
le diverse tipologie di canali comunicativi e le metodologie di analisi.
Il corpo centrale dell’elaborato definisce i social media, li classifica in base alla modalità di
fruizione degli utenti e le caratteristiche strumentali delle piattaforme tecnologiche sulle
quali poggiano, e ne analizza i dati di utilizzo. Successivamente descrive il ruolo del brand
nel web 2.0, la reputazione aziendale online, il world of mouth e le iniziative di marketing
associate al passaparola in Rete.
La tesi si conclude con l’approfondimento di alcuni casi pratici: tre campagne aziendali e un
recente fatto sportivo di successo. Lo scopo è dimostrare come i concetti espressi a livello
teorico possono essere applicati, con risultati concreti, nella realtà quotidiana e nelle
strategie aziendali odierne.

4
La brand reputation online nella social media world culture

1

Mattia Balini 732780

Il processo evolutivo del marketing nella società

1.1 
 Società postmoderna e consumo reincantato
In un contesto sociale postmoderno e di consumo reincantato 1 , le imprese incontrano
sempre maggiori difficoltà nell’attirare l’attenzione dei consumatori e conquistarne la fiducia.
I mercati sono sempre più “iperframmentati” e i consumatori sempre più disinteressati e
scettici nei confronti della comunicazione delle imprese. Il ciclo di vita dei prodotti si è ridotto
drasticamente, i distributori detengono sempre maggiore potere e la saturazione
pubblicitaria logora i destinatari delle offerte. Questa situazione induce un numero sempre
maggiore di aziende, agenzie di comunicazione e istituti di ricerca di mercato a ridefinire le
proprie strategie, allontanandosi dai diktat tradizionali del marketing di massa.
“Se è vero che le società attuali stanno affrontando un’evoluzione profonda delle
strutture tipiche della società moderna, allora anche il marketing, come e forse più di
tutte le scienze sociali, ha bisogno di ridisegnare i propri metodi e le proprie categorie
interpretative”. 2

La crisi che il marketing ha attraversato nell’ultimo ventennio è strettamente legata
all’utilizzo di strumenti metodologici e modelli analitici del tutto obsoleti e inadeguati a
codificare la nuova realtà postmoderna.
Quella che è stata definita la “mid-life crisis of marketing” 3 ha fatto crollare tutte le
sicurezze che i marketer si erano costruiti fino agli anni Ottanta, dando vita a centinaia di
panacee di marketing e facendo sentire chiunque in diritto di darne la propria definizione.

1

Il termine “reincanto”, utilizzato storicamente dal sociologo Max Weber, indica nel vissuto quotidiano la
continua ricerca da parte del consumatore di una gratificazione edonistica e di un senso di appagamento
conseguenti ad una una scelta d’acquisto. Il cliente vuole sentirsi appagato da una comunicazione
aziendale che arricchisca di connotazioni emozionali la sua "shopping experience", in un contesto sociale
nuovo e trasformato nel quale diventa fondamentale la propria costruzione identitaria.
Fonte: http://gilbertoattanasi.blogspot.com/2008/04/il-consumo-reincantato.html (Consultato il giorno 11
Ottobre 2011).
2

E. Di Nallo, Quale marketing per la società complessa?, FrancoAngeli, Milano, 1998.

3

J. Brady, I. Davis, Marketing's Mid-Life Crisis, The McKinsey Quarterly, No. 2, 1993.

5
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Tutto questo ha avuto il solo effetto di spingere il consumatore verso un’insofferenza nei
confronti del marketing stesso. 4
I modelli organizzativi con i quali le imprese operano sono, con qualche modifica, quelli che
si erano evoluti negli anni trenta, come una risposta alla crisi d’allora, la crisi del ’29 5, dalla
quale ha preso forma l’economia industriale come noi la conosciamo. In questo modello
l’impresa rimane una sorta di entità monolitica, che sfrutta le sue proprie risorse interne con
lo scopo di realizzare un profitto privato, trattando il contesto sociale ed ecologico in cui
opera come un mero ambiente verso il quale non ha nessuna obbligazione. Anche se molte
imprese parlano sempre più di responsabilità sociale e di impegno ambientale, sotto sotto
vale ancora il famoso imperativo di Milton Friedman: l’unico obbligo morale delle imprese è
quello di massimizzare i propri profitti. Questo modello è diventato insostenibile. Primo
perché l’espansione continua, e il continuo sfruttamento di risorse ambientali e sociali si
presuppone stia già oggi incontrando dei limiti assoluti. Vediamo già oggi i costi, futuri e
attuali, dello sfruttamento illimitato delle risorse naturali del pianeta. È difficile immaginare
che livelli di diseguaglianza sociale possono continuare ad aumentare a lungo mantenendo
la legittimità del sistema. Secondo perché le imprese non sono più delle organizzazioni a
parte. Il processo produttivo si svolge sempre più al di fuori delle mura dell’azienda,
coinvolgendo consumatori, risorse comuni come l’Open Source Software 6 , comunità di
innovazione (alle quali partecipano esperti, fornitori e anche competitor ), e i membri del
nuovo pubblico della rete, che crea reputazione e brand. Le imprese diventano sempre più
aperte, si costituiscono sempre più come dei network sociali, e questo comporta nuove
forme di legami e di responsabilità verso quel sociale da cui sempre di più derivano il loro
4

B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-convenzionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 31.

5

La grande depressione, detta anche crisi del 1929, grande crisi o crollo di Wall Street, fu una
drammatica crisi economica che sconvolse l'economia mondiale alla fine degli anni venti, con gravi
ripercussioni durante i primi anni del decennio successivo.
L'inizio della grande depressione è associato con la crisi del New York Stock Exchange (la borsa di Wall
Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), a cui fece seguito il definitivo crollo della borsa
valori del 29 ottobre (martedì nero), dopo anni di boom azionario. La depressione ebbe effetti devastanti
sia nei paesi industrializzati, sia in quelli esportatori di materie prime. Il commercio internazionale diminuì
considerevolmente, così come i redditi dei lavoratori, il gettito fiscale, i prezzi e i profitti. Le maggiori città di
tutto il mondo furono duramente colpite, in special modo quelle che basavano la loro economia
sull'industria pesante. Il settore edilizio subì un brusco arresto in molti paesi. Fonte: http://it.wikipedia.org/
wiki/Grande_depressione (Consultato il 26 Novembre 2011).
6

L’Open Source Software (OSS) è un programma disponibile in forma di codice sorgente: quest’ultimo e
alcuni altri diritti normalmente riservati ai titolari del copyright sono forniti con una licenza software, che
consente agli utenti di studiare, modificare, migliorare e, talvolta anche di distribuire il prodotto. Fonte:
http://en.wikipedia.org/wiki/Open-source_software (Consultato il 29 Novembre 2011).

6
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

valore. Questo implica la necessità di una nuova filosofia, non solo di mercato, ma delle
imprese nella loro totalità: Societing. 7
Per riuscire a comprendere appieno questo passaggio è necessario ripercorrere le tappe
fondamentali del percorso evolutivo del marketing stesso: dall’orientamento alla produzione
al market-driven management, per terminare con l’esplosione delle panacee di marketing
verso la nuova prospettiva offerta dall’approccio sociale e partecipativo.

1.2 	 Dal marketing classico al marketing olistico
“Il ruolo del processo di marketing in un’economia di mercato è quello di organizzare
lo scambio volontario e concorrenziale in modo da assicurare un incontro efficiente fra
domanda e offerta di prodotti e servizi”. 8

Dal punto di vista dell’organizzazione della comunicazione e dello scambio nell’economia,
appare evidente come, nonostante la sua attualità, l’attività di marketing non sia una
funzione nuova, poiché svolge compiti che sono in realtà sempre esistiti e che sono sempre
stati realizzati, in un modo o nell’altro, in tutti i sistemi fondati sullo scambio volontario.
Il tempo ha evidenziato come la complessità degli ambienti tecnologico, economico e
concorrenziale ha progressivamente condotto l’impresa a creare prima, e a rinforzare poi, la
funzione marketing.
Si possono distinguere quattro fasi, ciascuna caratterizzata da una particolare filosofia di
gestione: il marketing passivo, il marketing operativo, il marketing strategico e il marketdriven management.9
La fase dell’orientamento alla produzione viene identificata generalmente nel periodo
1920-1930, in cui il mercato è caratterizzato da una predominanza della domanda
sull’offerta dovuta al fatto che il cliente ha bisogno praticamente di qualsiasi cosa. Le
decisioni relative agli attributi e alla varietà dei prodotti sono fortemente influenzate da
considerazioni di ordine produttivo; la tecnologia infatti, avendo come obiettivo la riduzione

7

http://www.stampa.unibocconi.it/editor/archivio_pdf/FabrisManifesto20080522104237.pdf (Consultato
il giorno 24 Ottobre 2011).
8

J.J. Lambin, Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill Companies, 2003, p.10.

9

Ivi, p. 13.

7
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

dei costi e l’aumento dei volumi, condiziona significativamente le caratteristiche dell’offerta.
In questa fase il marketing viene ragionevolmente definito passivo.
Il periodo successivo, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, si caratterizza per
l’orientamento alle vendite. Le prime saturazioni del mercato indeboliscono la domanda, che
si ritrova inferiore all’offerta, in particolare dopo la crisi del ’29; il ruolo delle vendite diventa
critico e fondamentale. Come spesso accade in situazioni di offerta eccedente la domanda,
si finisce per considerare come variabile chiave la scelta del consumatore. Fondamentale
diviene l’azione di stimolo e di persuasione esercitata dall’organizzazione di vendita, al fine
di avvicinare l’impresa ai potenziali clienti. Si affermano le attività pubblicitarie e
promozionali (il prezzo di vendita diviene una leva strategica chiave), con la convinzione che
esse possano persuadere e dirigere il consumatore. Il marketing si trasforma piano piano in
un sistema meno passivo e più operativo, volto a ricercare ed organizzare gli sbocchi
commerciale per i propri prodotti. L’obiettivo prioritario in questa fase è la creazione di
un’organizzazione commerciale efficace.
La necessità di integrare una dimensione di analisi del concetto di orientamento al mercato
si impone all’impresa quando la crescita rallenta, il mercato si segmenta in gruppi differenti,
la concorrenza si intensifica e il ritmo dell’innovazione aumenta. L’obiettivo principale
diviene quello di identificare nuovi segmenti dei quali conoscere anticipatamente i bisogni in
modo da adeguarvi l’offerta con una produzione di massa diretta a quel determinato target
di consumatori.
Queste condizioni iniziano a verificarsi a partire dagli anni Cinquanta quando prodotti più
specifici vengono indirizzati verso gruppi distinti di clienti. Ne consegue uno studio più
accurato del consumatore in quanto la frammentazione del mercato orienta le imprese a
spostare il proprio campo di analisi sulla segmentazione dei mercati. Nell’ottica
dell’orientamento al cliente, l’obiettivo del marketing non è più quello di vendere ma quello
di aiutare il cliente ad acquistare, e l’attività di vendita si basa essenzialmente sui bisogni
del cliente.
L’ultima evoluzione teorica che configura una gestione d’impresa orientata al mercato e
dominata dal customer value management è il market-driven management.10
L’orientamento al mercato implica che ogni funzione dell’impresa tenga conto, nelle proprie
analisi, di tutti gli attori e i partecipanti che, direttamente o indirettamente, influenzano la
decisione d’acquisto del cliente e dunque partecipano al mercato in senso ampio.
10

S. M. Brondoni, Market-Driven Management, Competitive Customer Value and Global Network,
Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2009.

8
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Caratterizzato da un sistema integrato di risorse immateriali di impresa (brand equity, cultura
aziendale e sistema informativo), questo approccio si qualifica con una dimensione di
analisi, legata al continuo monitoraggio della concorrenza, in linea con una moderna
economia d’impresa sostenuta da flussi pull/push di comunicazione aziendale e costretta ad
operare in mercati globali ed in condizioni d’instabilità; con una dimensione di azione, dove il
tempo è il fattore vitale (time-based competition) e l’impresa è orientata a sostenere con
l’innovazione, la varietà e la mutabilità della domanda; con la soddisfazione di mutevoli e
instabili bolle di domanda, generate da temporanee forme di aggregazione consumistiche.
L’idea fondamentale è che l’orientamento al mercato investa tutte le funzioni aziendali e non
solo la funzione marketing. Il coordinamento interfunzionale è considerato un fattore
organizzativo che faciliterà il coinvolgimento di tutti i livelli dell’organizzazione nella creazione
di una cultura orientata al mercato. Esso permette la comunicazione e lo scambio tra le
varie funzioni, che sono in contatto o in competizione con almeno uno dei cinque attori del
mercato. 11
Fig. 1.1 I principali attori del mercato

12

hilip Kotler, Dipak C. Jain e Suvit Maesincee (2007) si ricollegano a quanto espresso da
Jean-Jacques Lambin (2003) introducendo ed elaborando il concetto di marketing olistico.

11

Vedi Fig. 1.1.

12

J.J. Lambin, Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill Companies, 2003, p. 27.

9
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

“Internet, globalizzazione e ipercompetitività stanno trasformando radicalmente i
mercati e il modo di operare delle imprese. Il problema è che il marketing non ha
saputo tenere il passo con l’evoluzione dei mercati. Oggi sono i clienti a scarseggiare,
non i prodotti, e il marketing tradizionale, per adeguarsi a questa realtà, deve essere
completamente ridefinito”. 13

Il concetto di marketing olistico rappresenta un ampliamento del marketing della fase
precedente, reso possibile dalla rivoluzione digitale.
"Si tratta di un concetto dinamico che nasce dalla connettività e interattività
elettroniche fra l'azienda, i suoi clienti e i suoi collaboratori. Integra le attività di
individuazione, creazione ed erogazione del valore mirate all'instaurazione di rapporti
di lungo termine e reciprocamente soddisfacenti, fonte di prosperità congiunta, fra
questi stakeholder chiave". 14

1.3 	 La nascita di panacee di marketing
Il marketing vincente degli anni Settanta-Ottanta subì una battuta d’arresto nel 1985,
quando l’episodio della New Coke scrisse una delle pagine più nere della storia della
multinazionale americana.15

13

P. Kotler, D. C. Jain, S. Maesincee, Il marketing che cambia, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007.

14

Ivi, p. 20.

15

Coca-Cola produsse la New Coke, utilizzando sondaggi e indagini tramite focus group per determinare
quali sarebbero state le reazioni dei consumatori. Sebbene i focus group avessero indicato una diffusa
contrarietà all’idea di un nuovo gusto di Coca-Cola, i sondaggi rilevarono invece, tra i bevitori di Coca-Cola,
soltanto una piccola parte di insoddisfatti verso il nuovo gusto. Di fronte a questi risultati contrastanti, la
Coca-Cola decise che i risultati dei sondaggi apparivano più affidabili dei commenti raccolti tra i
consumatori nei focus group. La scelta si rivelò un flop. Non tutto può essere valutato solamente con le
prove di degustazione, i sondaggi di opinione o le ricerche di mercato. L’azienda non aveva tenuto in
considerazione che i consumatori possono avere un attaccamento emotivo a prodotti come la Coca-Cola,
presente nella vita di moltissime persone per lungo tempo (circa 90 anni). La questione del gusto, sebbene
importante, non avrebbe mai potuto essere l’unico elemento rilevante.
Fonte: http://www.alliance-healthcare.it/mediacenter/download/settembre2006/farmacia_societa.pdf
(Consultato il giorno 12 Ottobre 2011).

10
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Questo segnò l’inizio della “mid-life crisis of marketing” e fornì un chiaro segnale che il
marketing aveva bisogno di ridefinirsi e allontanarsi dalle logiche totemiche e arcaiche sulle
quali poggiava ormai da anni.
Ecco cosa venne riportato da Brady e Davis in un articolo apparso nel 1993 sul McKinsey
Quarterly:
“Whatever the reality behind marketing’s vaunted contribution to corporate success,
the large budgets it has enjoyed for decades are finally beginning to attract attention –
even criticism. So much so, in fact, that doubts are surfacing about the very basis of
contemporary marketing: the value of ever more costly brand advertising, which are
often dwells on seemingly irrelevant point of difference; of promotions, which are often
just a fancy name for price cutting; and of large marketing departments, which, far
from being an asset, are often a millstone around an organization’s neck.” 16

La risposta fu immediata e legata all’esplosione di numerose panacee di marketing 17 ,
mediante le quali un cospicuo numero di marketer tentò di risollevare le sorti delle aziende,
fornendo ai manager delle “soluzioni ai malanni del marketing” come evidenziato da
Stephen Brown. 18
Quest’ultimo presentò otto panacee del marketing unite, a suo parere, dall’interesse per il
postmodernismo: venne posto l’accento sul rapporto con il cliente come un individuo, sul
desiderio di mantenere i clienti esistenti anziché cercarne sempre di nuovi. 19
Morris, Schindehutte e LaForge hanno invece analizzato tredici panacee del marketing
accomunate tra loro dalle specifiche caratteristiche imprenditoriali: efficienza nelle spese di
marketing attraverso l’approvvigionamento di risorse, approcci creativi e alternativi per la
gestione di variabili di marketing e una capacità di produrre cambiamenti nell’ambiente. 20
16

J. Brady, I. Davis, “Marketing mid-life crisis”, The McKinsey Quarterly, 2, 1993, pp. 17- 21.

17

Il termine Panacea deriva dal greco Panakeia e significa “rimedio per ogni cosa”; nell’antica Grecia e a
Roma, questo sostantivo veniva dato a varie piante alle quali si attribuivano straordinarie virtù terapeutiche.
Fonte: http://dizionari.hoepli.it (Consultato il 25 Novemnre 2011).
18

S. Brown, Postmodern Marketing, London, Routledge, 1995, p. 50.

19

S. Brown, Postmodern Marketing: Principles, Practice and Panaceas, Irish Marketing Review, Vol. 6,
1993, pp. 91-99.
20

M. H. Morris, M. Schindeutte, R. W. Laforge, “Entrepreneurial Marketing: A Construction Integrating
Entrepreneurship and Marketing Perspectives”, Journal of Marketing Theory and Practice, Fall, 2002. pp.
1-18.

11
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Un approccio completamente differente è stato invece adottato da Badot, Bucci e Cova. 21
Utilizzando un approccio induttivo, si sono esaminate le panacee di marketing esistenti
maggiormente rappresentative al fine di individuarne le caratteristiche comuni e suddividerle
in vari raggruppamenti. Per consentirne una corretta generalizzazione, si è effettuato un
filtraggio delle panacee andando a considerare solo quelle trasversali ai vari settori e
segmenti, escludendo quindi panacee relative a specifici settori, a tipi di offerte, a segmenti
specifici, mercati geografici, o a specifiche organizzazioni raggruppate in funzione della
dimensione. Inoltre non sono state considerate panacee che si riferissero ad un ambito B2B
o che utilizzassero termini quali “selling” oppure “management”, con un approccio
improntato più alla vendita che al marketing.
Tabella 1.1 Elenco delle panacee di marketing 1985-2005

Anti-Marketing
Authenticity Marketing

Entrepreneurial Marketing
Event Marketing

Multi-Sensory Marketing
Network Marketing

Solution Marketing
Stakeholder marketing

Buzz Marketing
Cause Related Marketing

Expeditionary Marketing
Experience Marketing

Neural Marketing
Niche Marketing

Stealth Marketing
Street Marketing

Chrono-marketing
Co-Marketing

Exponential Marketing
Family Marketing

Non Business Marketing
Nostalgia Marketing

Sustainable Marketing
Symbiotic Marketing

Community Marketing
Convergence Marketing

Geo-marketing
Grass Roots Marketing

Olfactory Marketing
One-to-One Marketing

Time Based Marketing
Sustainable Marketing

Contextual Marketing,
Counter Marketing

Green Marketing
Guerrilla Marketing

Permission Marketing
Radical Marketing

Symbiotic Marketing
Time Based Marketing

Creative Marketing
Cult Marketing

Holistic Marketing
Interactive Marketing

Real Time Marketing
Relationship Marketing

Total Relationship Marketing
Trade marketing

Customer Centric Marketing
Database Marketing

Knowledge Marketing
Life Event Marketing

Retro-marketing
Reverse Marketing

Trend Marketing
Tribal Marketing

Eco-Marketing
Emotion Marketing

Loyalty Marketing
Macro Marketing

Scarcity Marketing
Sensory Marketing

Turbo Marketing
Undercover Marketing

Empowerment Marketing
Environmental Marketing

Maxi Marketing
Mega Marketing

Situational Marketing
Slow Marketing

Value Marketing
Viral Marketing

Ethnic Marketing
Ethno-marketing

Micromarketing
Multilevel Marketing

Social Marketing
Societal Marketing

Yield Marketing

22

21

Vedi Tabella 1.1.

22

B. Cova, O. Badot, A. Bucci, Beyond Marketing: In Praise of Societing, pag. 16. URL: http://
visionarymarketing.com/_repository/societing/societingcovabadotbucci.pdf (Consultato il 12 Ottobre
2011).

12
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Nonostante questa selezione e la sequenza di cancellazioni, gli Autori hanno proposto ben
oltre settanta panacee fra pubblicazioni, articoli o siti web. Si può quindi comprendere la
difficoltà e la confusione nella ricerca di un valido e attuale approccio che sostituisca o
implementi il marketing “kotleriano” tradizionale. Nel tentativo di ridurre la confusione e
semplificare la lettura della tabella precedente, gli Autori hanno cercato di interpretare
questo gruppo di panacee organizzandole in categorie derivate da logiche ben precise, frutto
di un’attenta e minuziosa interpretazione. Ogni panacea è stata inizialmente analizzata con
riferimento a varie caratteristiche: storia e ragion d’essere della panacea secondo i suoi
autori, concetti principali, processi e/o strumenti principali, prerequisiti di implementazione,
tipo di strategia di offerta, tipo di strategia di relazione, punti di forza e di debolezza.
Successivamente, in maniera induttiva, si è cercato di mettere in rilievo la classe di logiche
sottostanti più pertinenti nel categorizzare tutte le panacee. 23
Fig. 1.2 Prospettive alternative di mercato introdotte dalle panacee di marketing

24

I.

Marketing Environment (Ambiente di Mercato): cioè una nuova autenticità, dare
importanza alle qualità etiche e culturali delle imprese che commercializzano la marca,

23

Ivi, p. 7.

24

Ivi, Figure 2: Alternative prospectives of the market introduced by marketing panaceas, p. 8.

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che diventa una risorsa in grado di ispirare e stimolare i consumatori. Avviene quindi
una assunzione di responsabilità da parte delle aziende nei confronti della società.
II.

Marketing Niche (Nicchie di Mercato): fa riferimento a tutte le comunicazioni specifiche
per certe categorie di persone che non rispondono ai messaggi commerciali diretti.
Questo può provare da una parte una frammentazione del consumo (che non è
obbligatoriamente un fenomeno negativo come spiega la teoria della Coda Lunga 25) e
dall’altra parte una unificazione attraverso le tribù postmoderne che verrano presentate
in seguito. Uno dei concetti fondamentali per la teoria della coda lunga è il sistema
delle raccomandazioni o passaparola: infatti esso è proprio la manifestazione della
terza forza della coda lunga perché aiuta la gente a trovare ciò che vuole in questa
grande abbondanza di varietà e permette che questo tipo di mercato si dispieghi in
tutta la sua potenza.

III.

Subjective Experience (Esperienze Soggettive): secondo questa visione il consumatore
non cerca di massimizzare il profitto quanto di avere una gratificazione nell’ambito di
un contesto sociale. Kevin Roberts approfondisce l’argomento inserendo il concetto di
Lovermarks, cioè quei brand o esperienze di cui le persone si innamorano, non solo li
ammirano ma li amano con passione creando legami emotivi. Per creare un lovemark
serve quindi una combinazione di mistero (storie, metafore, segni e simboli), sensualità

(riferimento ai cinque sensi) e intimità (empatia, impegno e passione).
IV. Client relationship (Relazione con il cliente): il marketing inteso come management
delle relazioni, creazione, mantenimento e gestione di un network. È qui che si
introduce il concetto di advocacy: la profonda relazione con il cliente tale da costruire il
più grande livello di fiducia e dedizione.
25

L'espressione Coda Lunga, in inglese The Long Tail, è stata coniata da Chris Anderson in un articolo
dell'ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere alcuni modelli economici e commerciali utilizzati in
diverse forme di commercio on-line, come ad esempio Amazon.com, Netflix oppure iTunes. Considerando
ad esempio quest’ultimo, la distribuzione osservabile grazie ad un grafico dove sull’asse delle ascisse viene
posto il titolo della canzone e su quello delle ordinate il numero di copie vendute, evidenzia un’alta
frequenza (o ampiezza) nella parte iniziale seguita da una bassa frequenza del campione che diminuisce
gradualmente. iTunes ha un catalogo di vari milioni di pezzi, così come gli altri portali di musica, quindi
riesce a coprire non solo i primi top-sellers ma anche tutto il resto della “coda lunga”. Se per un negozio di
dischi i primi mille dischi in classifica fanno l’80% del fatturato, in uno store on-line possono rappresentare
il 30%. In altre parole, quei dischi che in un negozio di CD non ci sono mai entrati, possono rappresentare
la metà degli incassi di uno store on-line. Un magazzino sterminato non è l’unica condizione per sfruttare la
coda lunga, bisogna accompagnarlo con degli strumenti che permettano agli utenti di trovare quello che
cercano, ovvero filtri, comunità, commenti e tutto quello che serve ad ogni acquirente per trovare la propria
nicchia. URL: http://it.wikipedia.org/wiki/Coda_lunga#Coda_lunga_ed_economia_del_web (Consultato il
13 Ottobre 2011).

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V.

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Competence of the customers (competenza dei consumatori): il nuovo consumatore è
più autonomo, competente, esigente e selettivo rispetto al passato ed opera su diversi
livelli: conoscenza, controllo, condivisione e creazione (prosumer). 26

Il risultato del proliferare delle panacee di marketing ha contribuito ad alterare ulteriormente
i sistemi ricettivi del consumatore verso una saturazione ancora più grande nei confronti del
marketing stesso.
“I nuovi anti-marketers non sono contro il libero mercato in sé [...] Gli anti marketers di
oggi, piuttosto, ritengono che il processo sia andato troppo lontano, che il sistema
abbia raggiunto i suoi limiti e che il paradiso del consumatore si sia trasformato in una
palude di commercialismo, consumo e materialismo. Il marketing per loro è uno dei
maggiori colpevoli di ciò”. 27

La stessa etichetta “consumatore” viene messa sotto accusa e confutata da G. P. Fabris
nelle seguenti righe:
“Ho cercato in tutti i miei scritti di contrastare questa etichetta indicando quanto fosse
inadeguata, restrittiva e ideologicamente connotata, conseguendo ben scarsi risultati.
Si tratta ormai di un termine datato e riconducibile a uno scenario ormai superato. Il
termine postula un soggetto economico che si comporti, nell’agire di consumo, in
maniera dissimile dagli altri momenti della sua esistenza: un soggetto razionale,
proteso alla massimizzazione della sua utilità, con scelte indipendenti fra loro e rispetto
a quelle degli altri. Una grottesca parodia che non trova alcun riscontro nella realtà. Se
continuiamo ad usare la parola consumatore è solo per convenzione, per non generare
inutili equivoci semantici, ma il suo significato è profondamente diverso da quello
originariamente attribuitogli.” 28

26

https://pensiericontingenti.wordpress.com/tag/panacee-di-marketing/ (Consultato il 13 Ottobre 2011).

27

J. K. Johansson, In Your Face: How American Marketing Excess Fuels Anti-Americanism, Financial
Times Prentice Hall, London, 2004.
28

G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 84.

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La parola consumatore, osserva Franchi 29 , utilizzata negli studi di marketing, riflette
un’immagine inadeguata dell’esperienza del “consumare” e appare segnata da un duplice
equivoco: che esista un individuo isolabile in funzione, e che l’azione del consumatore sia
comprensibile al di fuori dell’insieme delle azioni che compongono la vita quotidiana.
“Il marketing deve prendere coscienza del fatto che, per affrontare le sfide della
complessità, non si tratta di raccogliere una massa sempre più imponente di dati
relativi ad un fenomeno per meglio definirlo e nemmeno di analizzare un numero
sempre più elevato di variabili, quanto di comprendere il sistema di relazioni che
queste pongono in essere. L’accumulo indiscriminato di dati quantitativi, la
matematizzazione della conoscenza, la geometrizzazione del sapere ha finito per far
perdere contezza al marketing che il consumo è agire sociale dotato di senso.” 30

Kathy Sierra, che non è un’esperta di marketing bensì un’istruttrice Java per la Sun
Microsystem 31 , nel 2005 ha pubblicato all’interno del suo blog un interessante post 32 nel
quale esprimeva la sua insofferenza nei confronti del marketing old-school. All’interno dello
stesso veniva raffigurata una tabella che metteva a confronto il “Neo-marketing” ed il
“Marketing vecchia scuola”, evidenziandone le differenze e le peculiarità. Ciò che si evince
dallo schema è che a fare marketing, secondo questa consumatrice, dovrebbero essere le
persone appassionate di una marca e non i “mercenari” del marketing.

29

M. Franchi, Il senso del consumo, Milano, Bruno Mondadori, 2007.

30

G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 204.

31

La Sun Microsystems è stata un'azienda della Silicon Valley produttrice di software e semiconduttori
nota, tra le altre cose, per avere prodotto il linguaggio di programmazione Java. Il 27 gennaio 2010, la
Sun Microsystem è stata acquistata dalla Oracle Corporation per 7.4 miliardi di dollari. La Sun
Microsystems, Inc. è stata quindi rinominata Oracle America, Inc. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/
Sun_Microsystems (Consultato il 30 Novembre 2011).
32

Un post è un messaggio testuale, con funzione di opinione o commento, inviato in uno spazio comune
su Internet per essere pubblicato. Tali spazi possono essere newsgroup, forum (o board), blog, guestbook,
shoutbox e qualunque altro tipo di strumento telematico (con esclusione delle chat e dei sistemi di
messaggistica istantanea) che consenta a un utente generico di Internet di lasciare un proprio messaggio
pubblico. L'etimologia della parola deriva dall'inglese "to post" ovvero spedire, inviare. Nel caso specifico si
"invia" il messaggio al server dello spazio comune dove vogliamo sia pubblicato, il quale a seconda di
come è stato programmato inoltra la richiesta all'amministratore dello spazio web o lo pubblica direttamente
(nel caso di forum e blog). Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Post (Consultato il 30 Novembre 2011).

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Fig. 1.3 Schema comparativo tra il “marketing vecchia scuola” ed il “neo-marketing”

33

Tutto ciò spinge a pensare che bisogna lavorare a livello di piccoli gruppi concreti, comunità,
tribù. Non la grande massa né il singolo consumatore, bensì il gruppo sociale. Il mondo della
produzione, la marca, deve essere in grado di assimilare e riflettere il sistema di valori di
una società che cambia. Le aziende devono porsi a un livello di osservazione della società
che può definirsi “microsociale” in cui l’esperienza della vita quotidiana, il vissuto soggettivo
in rapporto con altri individui e dunque i contatti sociali riemergono con un’importanza
accentuata. Non bisogna guardare a queste tribù come a dei target da colpire ma come a
dei partner con cui interagire, dialogare, collaborare. 34

33

http://headrush.typepad.com/creating_passionate_users/2005/08/you_are_a_marke.html (Consultato
il 16 Ottobre 2011)
34

B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-convenzionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 46.

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1.4 	 Dal marketing al societing
Quando i nostri contemporanei parlano del senso della vita, sempre più spesso fanno
riferimento al senso che possono dare alle loro relazioni reciproche, al senso sociale, e non
al senso della loro traiettoria individuale.
La persona sembra cercare maggiormente nel consumo un mezzo per legarsi agli altri nel
quadro di una o più comunità di riferimento; comunità che le permettono di dare un
significato alla vita. Il sistema di consumo, quindi, non è più percepito come elemento
primario che si serve del vincolo sociale, ma come secondario e al servizio del legame
sociale: il legame è più importante del bene. In altri termini, la persona attuale assegna
maggior valore alle esperienze sociali piuttosto che al consumo, all'utilizzo o al possesso di
beni e servizi. 35
Sulla base di quanto espresso fino ad ora, viene introdotto un neologismo usato come ponte
tra il marketing e la sociologia: il societing.
Visconti riporta nel suo saggio la seguente definizione:
“Societing promuove l’idea di impresa non solo come un attore economico ma anche
cittadino di comunità. In tale prospettiva i prodotti non sono esclusivamente posti sul
mercato ma, prima ancora, collocati all’interno di un sistema sociale che l’impresa
contribuisce a costruire e, possibilmente, ad arricchire. La dinamica impresaconsumatore, che si estende nella prospettiva impresa-società, esce dagli schemi
dell’individualismo capitalista per recuperare una valenza collettiva dell’agire
economico.”36

Il societing cambia verso al marketing: da una filosofia verso il mercato, in cui i consumatori
vengono individuati, mirati e colpiti, si passa ad una filosofia con il mercato, in cui
consumatori e fornitori collaborano all’intero processo.
Troppo sovente la visione fondamentalista adottata dai marketing manager determina
l’insuccesso delle imprese, imprigionate da dogma di natura economica che ne ostacolano
la crescita e l’innovazione (si può citare ad esempio il ciclo di vita del prodotto, i modelli di
35

B. Cova, Marketing, Societing ed Economia sociale, Impresa & Stato n°37-38, URL: http://impresastato.mi.camcom.it/im_37-38/cova.htm (Consultato il 17 Ottobre 2011).
36

L. M. Visconti, “Identità e mediterraneità: l’alternanza culturale come terza via tra anoressia e bulimia
identitaria”, in Carù A., Cova B. (a cura di), Marketing mediterraneo, Milano, Egea, 2006.

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efficacia della pubblicità, le matrici strategiche di Porter, Ansoff e quelle del Boston
Consulting Group). Si delinea un approccio al marketing in contrapposizione con la visione
americana che da sempre fornisce un contributo significativo a questa disciplina. Prende
vita la “Mediterraneità” con la sua alterità, le sue molteplicità di culture, religioni, stili di vita,
voci, storie, lingue, dialetti, architetture, musiche, arti. 37
Societing vuole anche costruire una categoria interpretativa unificando l’estrema
eterogeneità dei comportamenti di consumo, che possono essere compresi soltanto come
momento non dissimile rispetto ad altri della nostra quotidianità, come un serbatoio da cui
l’individuo attinge a piene mani, e con grande discrezionalità, per costruire ed esprimere la
propria identità. 38
Fig. 1.4 Interazione tra azienda e consumatore

39

L’immagine 40 evidenzia come, in un’ottica di societing, il “consumAttore” sia l’autentico
protagonista delle decisioni d’acquisto; il “consumAutore” è colui che decide senza alcun
timore di essere condizionato; il “consumatoRe” pretende la piena soddisfazione.
Oggi il consumatore vuole avere voce in capitolo. La tecnologia lo aiuta mettendolo in
contatto con chi produce e con gli altri attori della catena della fornitura. Tutto questo può
creare grossi problemi nella gestione del business, ma anche proficui dialoghi fra venditore
e acquirente. Una comunicazione “a due vie”, che deve essere ben orchestrata. 41

37

A. Carù, B. Cova (a cura di), Marketing mediterraneo, Egea, Milano, 2006.

38

G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 227.

39

http://tribaling.typepad.com/my_weblog/2009/02/societing-is-the-new-marketing-updated.html
(Consultato il 18 Ottobre 2011).
40
41

Vedi Fig. 1.4.
http://www.mediakey.tv/index.php?id=453 (Consultato il 19 Ottobre 2011).

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2	

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Nuovi modelli di consumo

2.1 	 Il consumatore postmoderno
Il passaggio dal consumatore moderno a quello postmoderno non si è ancora evoluto nella
sua totalità.
“Abbiamo a che fare con un individuo che è ancora in lotta con le pastoie di una
tradizione così radicata (quella di una cultura preindustriale) da cui riesce difficilmente
a sbarazzarsi interamente – ed in cui sono ancora immersi i soggetti socio
culturalmente arretrati – ma anche, e soprattutto, dei tanti legami con la più breve ma
più incisiva epoca della modernità. Perché è proprio in questo periodo storico che è
avvenuta la sua socializzazione, il suo apprendistato al ruolo di consumatore”. 42

Il sociologo polacco Zygmunt Bauman suddivide la modernità in due fasi: la prima definita
solida o industriale mentre la seconda liquida o postmoderna. 43
L’obiettivo sociale rappresenta l’elemento di rilievo che determina una netta suddivisione
tra le due sequenze temporali: nella prima fase della modernità l’obiettivo sociale primario
era quello di forgiare gli individui come produttori, creare una docile massa di lavoratori che
andasse a costituire la manodopera nelle fabbriche; lo scopo che contraddistingue la
seconda è invece quello di formare gli individui come consumatori.
Nella modernità industriale la libertà individuale operava sul piano concreto del potere e
della ricchezza e il controllo sociale veniva esercitato tramite la soppressione. Nella
modernità liquida la libertà dell’individuo deriva dalla sua autonomia di consumatore e la
competizione sociale si gioca sul piano puramente simbolico del consumo. La lotta
tradizionale per l’autorità e la ricchezza non è mai cessata, i benefici derivanti dalla nascita
del secondo sistema hanno portato alla creazione di uno spazio sicuro nel quale gli individui
possono competere liberamente senza intaccare la rete fondamentale dei rapporti di potere.
Il controllo sociale viene affidato al mercato dei beni di consumo e viene esercitato
attraverso la seduzione. I consumatori che emergono da questo contesto socio-culturale
42

G. P. Fabris, Il nuovo consumatore verso il postmoderno, Milano, Franco Angeli, 2003, p. 15.

43

Z. Bauman, Modernita' liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002.

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sono obbligati ad essere sempre in movimento, a non fissare mai la propria attenzione su
qualcosa in maniera definitiva. Ne deriva la diretta difficoltà a comprendere quale sia la
scelta corretta, subentra la paura che tutto cambi e che ci siano sempre scelte migliori. La
teoria della dissonanza cognitiva 44 ha spiegato l’effetto dell’incertezza nella scelta fra più
opzioni come una condizione di disequilibrio che necessita di essere risolta attraverso
l’accumulo di informazioni coerenti con la scelta fatta. Secondo Festinger, quando il
decisore si trova di fronte a più opzioni tutte egualmente desiderabili ed è costretto a
operare una scelta fra di esse, esperisce una condizione di frustrazione causata dalla
necessità di rinunciare ad alternative potenzialmente preferibili.
I consumatori sono in perenne stato di eccitazione: il capriccio, prende il posto del desiderio,
che a sua volta aveva preso il posto del bisogno. L’attenzione si focalizza sulla novità, sul
prodotto innovativo che deve essere consumato istantaneamente, prima che diventi
“vecchio”.
Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di
accumulare ricchezze in senso materiale, quanto l'eccitazione per sensazioni nuove, mai
sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni; sono
collezionisti di cose solo in senso secondario. 45
Nel consumatore postmoderno riemergono dunque il fascino e la magia del prodotto e della
marca, mediati dall’esperienza di consumo; la shopping experience trova un riscontro
concreto nelle scelte d’acquisto del cliente, nelle quali diventano protagoniste la ricerca e
l’aspettativa di vivere, partecipare ad esperienze che non si esauriscono nelle modalità
tradizionali di fruizione. Si definisce la figura di un consumatore eclettico che adotta percorsi
sempre più flessibili e variegati rispetto a quelli tradizionali, lineari, per accedere agli acquisti
e ai consumi. 46
Nella società postmoderna la tradizionale distinzione tra produzione e consumo tende
sempre più ad assottigliarsi; si manifesta la figura di un individuo capace di interagire con le
aziende e di ricoprire un ruolo attivo nella progettazione e nella realizzazione di nuovi beni e
servizi. L’impresa cresce e si sviluppa in un rapporto di co-evoluzione con il suo pubblico,
dal quale attinge saperi e conoscenze maturati nel corso degli anni.
Brunetti definisce come segue questa nuova risorsa per le aziende:

44

L. Festinger, Teoria della dissonanza cognitiva, Milano, Franco Angeli, 1998.

45

Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Bari, Laterza, 2002.

46

G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 155.

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“Il Customer Knowledge Management si propone essenzialmente di trovare la modalità
tramite cui entrare in possesso [...] di un patrimonio di sapere che in precedenza non
si pensava nemmeno esistesse, vale a dire la conoscenza che il cliente stesso ha
accumulato relativamente al prodotto dell’impresa [...] per poi trasferirlo nella
progettazione di prodotti completamente nuovi o di generazioni successive di prodotti
esistenti”. 47

Il CKM configurerebbe quindi un processo di tipo bottom-up, dal quale viene valorizzata ed
enfatizzata l’esperienza di uso del prodotto unitamente alla creazione della conoscenza da
parte del cliente.
Si può considerare ad esempio il caso di Amazon.com, la compagnia di commercio
elettronico statunitense che sfrutta con successo la conoscenza degli utenti fornendo
recensioni di libri, suggerimenti personalizzati in base agli ordini precedenti e classifiche
d’acquisto.48

2.2 	 Dal consumatore passivo al prosumer attivo
Con l’introduzione delle nuove tecnologie e della rivoluzione digitale si evolve e si insidia tra
gli stakeholder delle imprese una nuova figura: il prosumer attivo, neologismo che coniuga e
fonde due termini inglesi, producer e consumer ; sta a significare la riunificazione di due
ruoli, quello di produttore e di consumatore, che dall'inizio della rivoluzione industriale si
sono inoltrati per percorsi separati. Le aziende ancorate ad obiettivi legati alla vendita
avvertono l’esigenza sempre più pressante di un nuovo modo per interagire con i propri
consumatori: la relazione tra chi produce e chi compera si traduce così in un coinvolgimento
diretto, da parte di quest’ultimo, nelle prime fasi di progettazione. 49
Secondo le definizioni più comuni un prosumer è un consumatore che co-innova e coproduce in ogni parte i prodotti che consuma, interagendo col fabbricante o con
consumatori del medesimo prodotto. Se si vuole guardare oltre, i clienti non si limitano a
47

F. Brunetti, Pervasività d’impresa e relazioni di mercato: quale futuro?, Torino, Giappichelli Editore,
2004.
48

M. Gibbert, M. Leibold, G. Probst, Five styles of Customer Knowledge Management, And how smart
companies put them into action, URL: http://www.hec.unige.ch/recherches_publications/cahiers/
2002/2002.09.pdf.
49

G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 279.

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modificare o personalizzare le merci; sono in grado di darsi un’organizzazione indipendente
il cui unico scopo è creare i prodotti che desiderano.
Questa tendenza si è manifestata soprattutto in Rete, grazie ad internet e al passaggio
dall’analogico al digitale.
Gli utenti più esperti ed emancipati non aspettano che qualcuno li inviti a modificare un
prodotto, al contrario, danno vita a community nell’ambito delle quali condividono,
confrontano e verificano informazioni riguardanti i prodotti. 50
All’interno di esse si possono individuare quattro personalità 51 :il lurker ricerca e consuma
ma non partecipa in alcun modo attivamente; il partecipant inserisce commenti e stimola la
creazione di contenuti; l’amateur produce contenuti senza trarne un ritorno economico; il
professional fa lo stesso ma con l’obiettivo di guadagnarsi da vivere.
Appare evidente come in questi ultimi anni sia cambiato il pensiero, l’atteggiamento e il
comportamento del consumatore-utente. Stiamo assistendo ad una inversione di tendenza
rispetto al passato secondo cui il consumatore di un prodotto doveva adeguare la propria
vita al prodotto o al servizio desiderato; oggi sono i prodotti che devono essere adeguati
alle esigenze e al modo di vivere del consumatore.
Fig. 2.1 Le personalità individuabili nella figura del prosumer

52

50

http://www.wikiculture.net/2010/12/30/libera-il-prosumer-in-te/ (Consultato il 28 Ottobre 2011).

51

Vedi Fig. 2.1.

52

http://digado.nl/user-generated-content-20-the-prosumer.html (Consultato il 28 Ottobre 2011).

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La facoltà di scegliere tra numerose soluzioni di qualità, conferisce potere al consumatore,
ed un cliente dotato di potere, diviene fedele nella misura in cui gli vengono offerti prodotti e
servizi su misura.
L’avvento delle nuove tecnologie ha portato ad una progressiva riduzione dell’efficacia
pubblicitaria attraverso i canali tradizionali; i nuovi contenuti multimediali mettono le
informazioni personali e l’accesso alla rete nelle mani dei consumatori e ne consolidano il
senso di crescente autonomia, rendendo disponibili informazioni sempre più precise e
personalizzate su cui basare le singole decisioni d’acquisto. 53
Per le aziende più evolute un coinvolgimento diretto del prosumer in molte decisioni è già
realtà. Non si tratta soltanto di una produzione più aderente ai bisogni dell’utenza ma la
delega a questa di input progettuali disseminati lungo tutta la filiera del consumo. In
particolare consumatore più forti (heavy users) e più competenti detengono conoscenze che
spesso sopravanzano quelle interne alle aziende.
Il caso Nike

Nike, in occasione del lancio del sito nikeid.com, installò nell’incrocio di Times Square a New York
un maxi schermo dove i passanti potevano progettare la loro scarpa attraverso l’utilizzo degli sms.
Una volta definiti i dettagli, l’immagine veniva immediatamente inviata sul cellulare insieme
all’indicazione del sito dove l’utente poteva procedere all’acquisto. Nel frattempo la scarpa oggetto
del desiderio prendeva forma sullo schermo, creando un coinvolgimento indiretto verso i city user
che non partecipavano attivamente al designing interattivo. 54

53

http://ideoo.wordpress.com/2011/01/04/ideoo-le-origini-il-consumattore-part-1/ (Consultato il 7
Novembre 2011).
54

http://www.technekai.com/nike/nikeid.html (Consultato il 7 Novembre 2011).

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Il caso Fiat 500

Per celebrare il successo dell’iniziativa di un’altra importante azienda made in italy, si può
annoverare il recente caso Fiat. Quest’ultima, nella messa a punto delle campagne pubblicitarie e
nella progettazione della nuova 500, ha realizzato un grande laboratorio (500 wants you) on line
dove gli utenti hanno potuto interagire fra loro, inviando allo stesso tempo contributi in termini di
aspettative e preferenze sino a vere e proprie soluzioni progettuali, le quali sono state attentamente
vagliate.
All’interno del sito il blog “500logia” ha consentito la raccolta di informazioni con racconti e
immagini prodotti dall’utenza; si è creato un concept lab all’interno del quale sono pervenute
migliaia di configurazioni, spunti e soluzioni estetiche, il tutto finalizzato alla registrazione e
all’implementazione di nuove idee. 55

Il caso Lego Mindstorms

Lego Mindstorms è un progetto nato nel 1998 grazie alla collaborazione del celebre M.I.T.
(Massachusetts Institute of Technology) di Boston, finalizzato alla realizzazione di robot giocattolo
controllabili a distanza.
In poche settimane dal lancio, singoli utilizzatori e gruppi di appassionati avevano smontato e
riprogrammato sensori, motori e sistemi di controllo, condividendo i propri sviluppi all’interno delle
prime comunità specializzate in materia. Inizialmente l’azienda decise di intervenire legalmente
55

http://www.fiat500.com (Consultato il 7 Novembre 2011).

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contro alcuni consumatori, ma in un secondo momento, constatato il successo del prodotto e le
potenzialità creative del proprio target, decise di creare una community

56

all’interno del proprio sito

mediante la quale gli utenti avevano la possibilità di confrontarsi su tematiche inerenti l’elaborazione
di istruzioni di programmazione e codici software. Nel 2006, grazie ai risultati ottenuti, è stata
rilasciata una nuova versione del prodotto: la serie Mindstorms NXT. Con questo progetto, al quale
hanno preso parte quattro tra i più prolifici e stimati membri della community, Lego ha deciso di
fornire in open source il firmware 57 per l'NXT Intelligent Brick (il processore centrale che gestisce
tutte le operazioni). La possibilità di modificare direttamente il giocattolo e programmarlo a proprio
piacimento, unitamente ad una serie di attività collaterali (raduni annuali di appassionati,
competizioni e premi) di matrice comunicativa, ha fatto in modo che l’identificazione col brand
venisse ulteriormente rafforzata e stimolata.

Partecipare alla creazione di questi contenuti è un atto che offre ai consumatori
l’impressione di avere un maggior controllo sui propri consumi e sulla propria esistenza. I
consumatori contemporanei usano il mercato come strumento per acquisire potere e
rafforzare così la propria autostima, allo stesso modo in cui gli impiegati, nel recente
passato, usavano il posto di lavoro per sviluppare la propria identità. Il risultato finale è
quello che viene definito “consumer empowerment”, ovvero trasferimento di potere al
consumatore.58
56

http://mindstorms.lego.com (Consultato il 2 Dicembre 2011).

57

Il firmware è un programma, inteso come sequenza di istruzioni, integrato direttamente in un
componente elettronico nel senso più vasto del termine (integrati, schede elettroniche, periferiche). Lo
scopo del programma è quello di avviare il componente stesso e consentirgli di interagire con altri
componenti tramite l'implementazione di protocolli di comunicazione o interfacce di programmazione.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Firmware (Consultato il 2 Dicembre 2011).
58

B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-convenzionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 203.

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2.3 	 I bisogni del consumatore 2.0
La crescente popolarità di servizi orientati al coinvolgimento degli utenti si è concretizzata
nel fenomeno Web 2.0, ovvero un indefinito stadio evolutivo della rete abilitato da strumenti
quali blog, wiki, social network, condivisione di contenuti e messaggistica istantanea.
Le tradizionali piattaforme di knowledge management si aprono all’integrazione di contributi
spontanei e alla condivisione di conoscenza non strutturata; le community dedicate al brand
o ai prodotti, con la volontà di dare voce ai clienti, generano “conversazioni” sempre più
interattive e veloci. 59
Il cliente diventa utente, non esistono più la distribuzione, il prezzo, il prodotto e la
promozione per come essi sono stati concepiti e tradizionalmente intesi dal marketing
tradizionale. Il nuovo web, sociale e partecipativo, dinamico e in presa diretta, ne ha
profondamente modificato il valore semantico generando nuove leve di marketing 60 .
Nuovi contributi teorici hanno preso il posto di modelli passivi e nozioni obsolete; l’individuo
viene proiettato in una dimensione futuristica, caratterizzata dalla presenza di bisogni e
relazioni completamente differenti rispetto al passato.
Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di
“Hierachy of Needs” (gerarchia dei bisogni o necessità). 61 Questa scala di bisogni fu
suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza
dell’individuo) ai più complessi (di carattere sociale); all’interno di essa la realizzazione
dell’individuo si manifestava passando per i vari stadi che, se non soddisfatti, non
consentivano una progressione.
Questa scala è internazionalmente riconosciuta come “La piramide dei bisogni di Maslow”
ed individua i seguenti stadi:
I.

Bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo, sono i
bisogni fondamentali, connessi con la sopravvivenza.

II.
III.

Bisogni di sicurezza: devono garantire all’individuo protezione e tranquillità.
Bisogno di appartenenza: consiste nella necessità di sentirsi parte di un gruppo, di
essere amato, di amare e di cooperare con gli altri (è molto sentito dall’adolescenza).

59

L. De Felice, Marketing conversazionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2010.

60

Vedi Capitolo 3.1.

61

A. Maslow, Motivation and Personality, New York, Harper, 1954.

27
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Mattia Balini 732780

IV. Bisogno di stima: riguarda il bisogno di essere rispettato, apprezzato ed approvato, di
sentirsi competente e produttivo.
V.

Bisogno di autorealizzazione: inteso come l’esigenza di realizzare la propria identità e di
portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione
soddisfacente nel proprio gruppo.

Alcuni studiosi hanno teorizzato una probabile evoluzione della scala di Maslow: il benessere
che ha contraddistinto le fasi finali del ventesimo secolo ha favorito la capacità nell’uomo di
raggiungere facilmente il quinto livello e iniziare a scalare nuove piramidi con un andamento
ciclico similare, ma con obiettivi sempre più sfidanti e inerenti la nuova realtà circostante.
Interessante è stato il contributo offerto nel 2007 da Luca De Felice, il quale ha creato una
nuova piramide che potesse essere di attualità per tutte le persone connesse ad internet e
per l’introduzione delle nuove tecnologie legate al Web 2.0. 62
La piramide “COSMA” (acronimo formato dai cinque scalini che la compongono) 63 si
compone dei seguenti livelli:
I.

Bisogno di connessione: l’individuo contemporaneo sente la costante esigenza di
essere reperibile e connesso con il mondo circostante. Senza PC non si può lavorare,
senza cellulare non si può addirittura uscire di casa. La pervasività di questi strumenti
nel mondo di oggi è in continuo aumento, correlata allo sfrenato utilizzo da parte delle

II.

nuove generazioni.
Bisogno di orientamento digitale: GPS (Global Positioning System), e-mail, Wi-Fi, iPod,
chiave dati USB; piccoli strumenti che sono ormai diventati scontati, delle vere e
proprie commodity. La generazione moderna si avvale dell’utilizzo di questi oggetti
tecnologici in ogni momento della giornata e la mancanza di essi può portare a
generare un senso di profondo smarrimento.

III.

Bisogno di socialità: strumenti di Social Networking (e.g. MySpace, LinkedIn), Social
Software (e.g. Twitter, Facebook), Mobile Social Software (Mo.So.So. come Jaiku),
Game Console (e.g. Wii, Xbox360, PS3). Vengono identificati tutti quei software e
hardware che permettono di crearsi una community, appartenere ad un gruppo ed
interagire con altre persone.

62

L. De Felice, Marketing conversazionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2010, pag. 9.

63

Vedi Fig. 2.2.

28
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IV. Bisogno di medialità: Blog, Do It Yourself Media (e.g. YouTube). Necessità edonistica di
essere visibili, di partecipare attivamente tramite strumenti cross-mediali.
V.

Bisogno di autocelebrazione: Home Theater, TV LCD Full HD, vivavoce bluetooth
integrato nell’auto. Strumenti che danno alla persona, oltre che piacevolezza nel loro
utilizzo, un senso di appagamento e realizzazione. In rete la ricerca
dell’autorealizzazione personale si manifesta in una modalità più complessa e coinvolge
tutte le “tracce” digitali che l’utente lascia nel web. Grazie alla proliferazione di account
e profili personali, emerge un nuovo paradigma comunicativo, quello dello human
broadcaster, in cui il bisogno di autocelebrazione s’incarna negli status update
dell’individuo. Nasce il Real-Time Web caratterizzato dagli aggiornamenti in tempo
reale che ne incarnano l’essenza.

Il contesto tecnologico e, quindi, sociale ed economico di questi anni è in profondo
mutamento e alcuni strumenti sono entrati nelle nostre abitazioni tanto da poter essere
considerati dei veri e propri bisogni.
Fig. 2.2 Dalla piramide dei bisogni di Maslow alla piramide C.O.S.M.A.

64

64

Rivisitazione personale in forma grafica del passaggio tra la piramide dei bisogni di Maslow, per la quale
un individuo si realizza passando per i vari stadi che devono essere soddisfatti in modo progressivo, e la
piramide C.O.S.M.A., che identifica i bisogni virtuali dati dal ciclo di vita tecnologico di una persona
connessa alla Rete.

29
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2.4 
 Tribù e comunità virtuali
La società postmoderna si manifesta come un tessuto composto da micro gruppi societari in
cui gli individui stabiliscono forti legami emotivi, esperienze simili, sottocultura comune,
visione del mondo condivisa.
Maffesoli, tra i primi studiosi del neotribalismo, propone l’uso della parola “tribù” per
descrivere la socialità contemporanea, sia nel ritorno di valori che si supponevano arcaici,
sia attraverso la rinascita delle comunità.
“La modernità individualista, razionalista e progressista è defunta, siamo entrati nel
"tempo delle tribù", e questa “tribalizzazione” del mondo non è affatto una moda
effimera venduta da una qualche multinazionale del divertimento.
Essa indica in realtà il ritorno alla normalità: le ideologie moderne, che credevano di
poter ridurre la persona ad individuo calcolatore, il legame sociale a contratto razionale
e la storia a progresso in marcia, sono state smentite dai fatti”. 65

In primo piano non viene quindi posto l’individuo, bensì la partecipazione a qualcosa di
collettivo. Tutto ciò restituisce significato alla dimensione comunitaria e selvaggia
dell’esistenza, mentre induce il soggetto a perdersi in corpi sociali multipli: gruppi sportivi,
musicali, religiosi, che accrescono la fusione ma anche la confusione sociale.
Sintetizzando gli elementi fin qui introdotti, risulta evidente che la nozione di tribù,
inscindibile dall’idea di tribalismo, rinvia ai seguenti concetti:
I.

arcaismo e rinascita dell’elemento selvaggio nelle società;

II.
III.

perdita di identità da parte del soggetto in una collettività di impronta comunitaria;
costituzione di gruppi di individui che non sono uniti da una scelta razionale di tipo
moderno (il contratto sociale 66 ), ma piuttosto da valutazioni emotive o estetiche (tribù
di tipo affettivo) dettate da un determinato status sociale;

65

M. Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell'individualismo nelle società postmoderne, Guerini e
Associati, 2004.
66

Il contratto sociale è alla base della nascita della società, ossia di quella forma di vita in comune che
sostituisce lo stato di natura, in cui gli esseri umani vivono in una condizione di instabilità e insicurezza per
la mancanza di regole riguardo a quelli che sono i loro diritti e doveri. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/
Contratto_sociale (Consultato il 25 Novembre 2011).

30
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Mattia Balini 732780

IV. forte ritualizzazione di tali raggruppamenti (codici, gerghi, mode, stili, etc.). 67
Differentemente dal significato primitivo che il concetto di tribù abitualmente veicola,
qualsiasi membro di un gruppo è completamente libero di entrarne a far parte oppure di
uscirne in qualsiasi momento, può partecipare alle discussioni di innumerevoli neotribù
diverse ed esprimere le proprie opinioni a seconda della situazione o dell’argomento.
“Una tribù postmoderna (o neotribù) è un insieme di individui non necessariamente
omogeneo (in termini di caratteristiche sociali obiettive), ma interrelato da un’unica
soggettività, una pulsione affettiva o un ethos in comune. Tali individui possono
svolgere azioni collettive intensamente vissute, benché effimere”.68

Nel mondo digitale la condizione di stabilità viene sgretolata nei suoi fondamenti, così come
accade sovente nei mercati globali ad elevato dinamismo competitivo, ove si affermano le
condizioni caratteristiche della time-based competition e le tradizionali azioni di
segmentazione, targeting e posizionamento perdono di efficacia, non trovando la necessaria
solidità di supporto. Le imprese, non riuscendo a rincorrere i fenomeni che si succedono
con rapidità crescente, devono scegliere di accettare come data l’instabilità dei mercati,
assimilandola e cercando di governarla con un adeguato sistema di offerta capace di
sfruttare la dinamica dei comportamenti di acquisto mediante lo sviluppo organizzato di
profili di offerta destinati ad aggregare di continuo bolle di domanda. 69 Differentemente da
ciò che avviene per queste ultime, le quali nascono e si estinguono a seguito di un preciso
stimolo aziendale e si contraddistinguono per l’aggregazione temporanea di consumatori
differenti, le tribù sono fondamentalmente dei network di persone eterogenee, legate da
passioni o emozioni condivise, capaci di azioni collettive e non per ultimo da una scelta di
associazione compiuta su base volontaria.
Possiamo citare ad esempio i tifosi di una squadra di calcio, i fanatici degli sport estremi
(snowboarding 70), le associazioni in difesa di qualcosa, gli appassionati di cucina, etc.
67

B. Cova, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo,
Milano, Il Sole 24 Ore, 2003, p. 17.
68

Ivi, p. 18.

69

M. Corniani, Market, Segment and Demand Bubbles, Symphonya. Emerging Issues in Management
(www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2005.
70

Vedi Box 2.7.

31
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Mattia Balini 732780

La visione consumistica generale cambia: attraverso l’acquisto essi cercano di dare un
senso alla propria vita, mirano a trovare appagamento nell’utilizzo del bene non solo dal
punto di vista funzionale, generando o rafforzando i legami con altri individui. Di
conseguenza non sono rari i casi in cui il valore realmente percepito dai consumatori non
dipenda più solo dalla configurazione o dalla qualità del prodotto (che restano comunque
importanti), bensì dal volume e dall’intensità dei legami che grazie a quest’ultimo può
sviluppare.
Laddove tribù differenti si aprono 71 , al fine di cogliere nuove opportunità di arricchimento
reciproco o per avere le dimensioni necessarie per confrontarsi a vario titolo con soggetti
altrimenti troppo grandi rispetto ad esse, nasce la comunità.
“Per comunità virtuale si deve intendere un gruppo di soggetti (singoli individui, ma
pure aziende od enti e istituzioni, che comunque vi partecipano per il tramite di loro
rappresentanti) che condividono un interesse comune; le modalità pratiche che
favoriscono l’interscambio tra i componenti la comunità e tra gli stessi e le aziende che
la promuovono si concretizzano nella posta elettronica, nei forum di discussione
(piazze virtuali), nelle liste, nelle bacheche e nei blog”. 72
Fig. 2.3 Differenza tra Comunità e Tribù nel web 2.0

73
71

Vedi Fig. 2.3.

72

F. Gnecchi, M. Corniani, Bolle di domanda, comunità virtuali e potenziale di domanda, Symphonya.
Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2003.
73

Fonte: Adacto Anima Gigitale (agenzia di comunicazione specializzata nella realizzazione di progetti di
comunicazione crossmediali), Le invasioni digitali. La convivenza tra comunità e tribù.

32
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Affinché una virtual community abbia successo, è necessario che attragga e mantenga un
numero di membri adeguato a renderla interessante, utile e funzionale; di conseguenza, chi
ha il compito di strutturare la comunità deve focalizzare l’attenzione sugli specifici benefici di
cui i membri possono godere facendone parte altrimenti l’intero progetto sarà destinato al
fallimento.
Diversi sono i motivi che spingono gli internauti a diventare parte di una community: ricerca
di informazioni e supporto, acquisto di prodotti o servizi, desiderio di interazione con altri
membri e di esprimere le proprie idee, o semplicemente voglia di divertimento e svago.
Preece 74 identifica quattro obiettivi fondamentali delle online communities, basati sui
compiti che una virtual community dovrebbe adempiere:
I.

sviluppare e implementare un sistema informativo, offrendo la possibilità di trovare le
risposte alle proprie domande o, semplicemente, acquisire dati in merito ad una
determinata ricerca;

II.

fornire di un supporto, in termini non esclusivamente quantitativi, ma anche con risvolti
empatici e con coinvolgimento emotivo;

III.

rendere possibile una comunicazione e socializzazione informale, attraverso mezzi di
comunicazione simultanea;

IV. favorire la discussione delle proprie idee e proposte, con la supervisione da parte di un
moderatore.
In questo senso, Bressler e Grantham suggeriscono che, facendo parte di una community,
sia reale che virtuale, gli utenti mirino ad appagare dei bisogni fisiologici di base,
classificabili secondo quattro categorie 75:
I.

identificazione;

II.
III.

desiderio di appartenenza ad un’unità organica;
coinvolgimento;

IV. ricerca di rapporti relazionali.
Tali categorie di bisogni mirano a rispondere, rispettivamente, alle domande “Chi sono?”,
“Di cosa faccio parte?”, “Cosa mi permette di essere connesso con il resto del mondo?”, e
74

J. Preece, “Online communities: Designing usability, supporting sociability”, Wiley, Chichester, 2000.

75

S. Bressler, C. Grantham, Community of commerce, McGraw-Hill, New York, 2000.

33
La brand reputation online nella social media world culture

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“Quali relazioni hanno importanza per me nel mondo?”.
Un altro fattore che riveste un ruolo importante, come affermano Armstrong e Hagel, è la
fantasia: il contesto del network online concede l’opportunità ai membri di “incontrarsi” ed
esplorare insieme nuovi mondi “fantastici” in cui possono sperimentare nuove identità ed
esperienze, in un gioco di ruolo in cui tutto sembra possibile.76
Stabiliti i fattori che spingono un individuo a far parte di una community, è necessario
chiarire quelli che costituiscono il processo di identificazione come membri attivi. Due sono
le componenti principali e interdipendenti di questo processo: in primo luogo, gioca un ruolo
fondamentale la relazione che l’individuo ha con l’attività di consumo in questione (nel
nostro caso, l’attività in ambito turistico: quanto spesso viaggia, quali strutture alberghiere e
ristoranti frequenta, e così via); il secondo fattore consiste nell’intensità del coinvolgimento
relazionale che l’individuo vive nei confronti degli altri membri della virtual community.
Come si deduce da quanto detto, non è cosa facile delineare in maniera chiara quali sono
tutti i bisogni che chiedono d’esser soddisfatti tramite l’appartenenza ad una comunità
virtuale, e soprattutto quale peso ciascuno di essi assuma nelle dinamiche di
comportamento di ciascun membro. A tal proposito, può risultare utile analizzare il modello
proposto da Wang, Yu e Fesenmaier, che classifica i bisogni dei membri di una comunità
virtuale in tre categorie 77 : funzionali, sociali e psicologici. 78
I.

Bisogni funzionali: nascono dalla necessità di svolgere specifiche attività online e
vengono soddisfatti grazie alle risorse messe a disposizione dalla virtual community per
i proprio membri. Può trattarsi di effettuare una prenotazione presso una struttura
alberghiera come anche di una semplice ricerca di informazioni tramite il network della
comunità.

II.

Bisogni sociali: le comunità virtuali offrono la possibilità ai membri che ne fanno parte
di entrare in relazione tra loro, comunicare e condividere esperienze, dando in tal modo
luogo allo sviluppo di interazioni e relazioni. Si viene così a creare un clima di fiducia
reciproca tra i membri della comunità che alimenta il processo comunicativo.

76

A. Armstrong, J. Hagel, Net gain: Expanding markets through virtual communities, MA: Harvard
Business School Press, USA, 1997.
77

Vedi Fig. 2.4.

78

Y. Wang, Q. Yu, D. R. Fesenmaier, Defining the virtual tourist community: implications for tourism
marketing, in Tourism Management 23, National Laboratory for Tourism and e- Commerce, Department of
Leisure Studies, University of Illinois at Urbana-Champaign, USA, 2002.

34
La brand reputation online nella social media world culture

III.

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Bisogni psicologici: Oltre ai bisogni funzionali e sociali, le comunità virtuali sono in
grado di soddisfare anche alcuni bisogni psicologici, facendo sì che le community
diventino parte integrante della vita dei membri stessi. E’ soprattutto per questo motivo
che quello delle virtual communities è diventato un modello di business molto
interessante ed affermato. In particolare, i bisogni psicologici che vengono
normalmente soddisfatti dall’esser parte di una comunità virtuali sono contenuti in quei
bisogni fisiologici messi in luce dagli studi di Bressler e Grantham, ovvero
“identificazione, desiderio di appartenenza ad un’unità organica, coinvolgimento,
ricerca di rapporti relazionali” 79 .

Fig. 2.4 Modello di Wang, Yu e Fesenmaier, rielaborato graficamente dall’autore

Il grado di soddisfazione dei bisogni psicologici può variare da una comunità all’altra, e
possono esserci organizzazioni che si concentrano solo su alcuni di essi ma, come afferma
Wang, “la forza di una virtual community risiede proprio nella capacità di soddisfare un
insieme multiplo di bisogni simultaneamente”. Se l’utente riesce a soddisfare tutti i suoi
bisogni facendo parte di una sola community, aumenterà il suo senso di appartenenza e la

79

S. Bressler, C. Grantham, Community of commerce, McGraw-Hill, New York, 2000.

35
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brand loyalty verso l’organizzazione, dando vita ad un processo che si traduce, da un punto
di vista aziendale, in un aumento di redditività nel lungo termine.

2.5 
 L’epoca delle neotribù
Comunità e tribù condividono di fatto emozioni, valori, obiettivi, identità, senso di
appartenenza, simboli, opportunità e minacce; fanno la differenza l’identità degli scambi e
delle relazioni, il numero dei membri e il livello di strutturazione delle regole e dei
comportamenti.
Si parla di tribù come un insieme di microgruppi societari in cui viene condiviso all’incirca lo
stesso tipo di affettività; per citare un esempio si può pensare sia ai tifosi del Milan Club di
Seregno che si ritrovano ogni settimana per festeggiare la propria squadra del cuore, sia
all’insieme di neotribù analoghe su tutto il territorio italiano. Si passa così dalla neotribù alla
costellazione neotribale 80, la cui formazione si manifesta o meno grazie a grandi adunate.
Accanto a questo concetto, vengono affiancate due recenti categorie proposte dalla
letteratura critica americana sul marketing: le sottoculture di consumo (subcultures of
consumption) e le comunità di marca (brand communities).
Il primo termine, coniato da Shouten e McAlexander, venne pubblicato nel 1995
dall’università di Chicago.
“Distinct subgroup of society that self selects on the basis of a shared commitment to
a particular product class, brand, or consumption activity”. 81

Una sottocultura di consumo riunisce individui che condividono la stessa cultura, specifica o
addirittura deviante rispetto alla cultura predominante. Identifica quel nucleo di consumatori
più insito e radicato nella società, un gruppo definito di appassionati che si costruiscono
all’unisono una realtà al di fuori del sistema dominante. Tra i casi più rappresentativi vi è

80

Termine indicato per sottolineare il basso grado di strutturazione proprio dell’insieme (Vedi Fig. 2.3). B.
Cova, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo, Milano, Il
Sole 24 Ore, 2003.
81 J. W. Schouten, J. H. McAlexander, Subcultures of Consumption: An Ethnography of the New Bikers,
The University of Chicago Press, Vol. 22, No. 1, Jun., 1995, pp. 43-61.

36
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quello di Harley Davidson 82 , il quale è stato oggetto di una ricerca etnografica durata tre
anni e dalla quale è stato elaborato l’articolo citato in precedenza.
Il caso Harley Davidson

Il sistema sottoculturale dei bikers e dell’oggetto di culto Harley Davidson nacque negli Stati Uniti
dopo la seconda guerra mondiale. Il logo del brand richiama i valori condivisi dai possessori del
prodotto: l’aquila come simbolo di libertà personale e il distintivo per identificare la figura autoritaria.
La comunità originaria venne riconosciuta nell’Hells Angels Motorcycle Club 83 , un’associazione
motociclistica i qui membri montano tradizionalmente Harley Davidson. Questi ultimi, negli anni
sessanta, si fecero riconoscere nella società in molteplici occasioni, suscitando la curiosità ma più
di frequente l’indignazione dell’opinione pubblica del tempo. Il modo di vestire, i vistosi ed esagerati
tatuaggi, le lunghe barbe e capelli, le idee politiche, la robusta corporatura, contribuirono a creare
l’identikit del consumatore medio Harley Davidson. In seguito, nel 1983, venne fondato dai
proprietari delle motociclette un nuovo gruppo, sponsorizzato dalla casa madre e che attualmente si
classifica come la più grande associazione di moto monomarca al mondo: la Harley Owners Group
84

(l’acronimo HOG è inoltre un voluto gioco di parole, visto che la parola nello slang USA significa

maiale, cinghiale selvatico). Secondo lo statuto di quest’ultima, lo scopo della HOG è quello di offrire
benefici e servizi agli appassionati del prodotto nel mondo, sviluppando una stretta relazione tra i
consumatori, i concessionari e la società Harley Davidson Motor Company.

85
82

Vedi Box 2.5.

83

http://it.wikipedia.org/wiki/Hells_Angels (Consultato il 6 Dicembre 2011).

84

http://it.wikipedia.org/wiki/Harley_Owners_Group (Consultato il 6 Dicembre 2011).

85

Fonte: http://diblas-udine.blogautore.repubblica.it/2010/09/01/appuntamento-al-faakerseeper-40-000-harley-davidson/ (Consultato il 6 Dicembre 2011).

37
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Una comunità di marca è molto meno “deviante” ed “estrema” rispetto ad una sottocultura
di consumo. Una comunità di marca è specializzata ma non limitata dal punto di vista
geografico, si forma intorno a un prodotto o a un servizio di marca ma allo stesso tempo non
si basa su un insieme strutturato di rapporti sociali fra i cultori dello stesso brand. 86 I
membri di tale comunità sono consapevoli di essere legati da un prodotto di massa, trovano
ragionevole questa visione “consumeristica” ma allo stesso tempo non vogliono che venga
fraintesa o interpretata come una sorta di predisposizione fanatica o attaccamento morboso
verso una marca (ciò non toglie che possano verificarsi dei dialoghi al limite dell’intolleranza,
sia online che offline).
Il caso MINI

MINI è un esempio di brand che è riuscito a “sintonizzarsi” fin da subito col il proprio pubblico,
superando di gran lunga la concezione di un mero mezzo di trasporto e diventando un serbatoio di
esperienze ed emozioni. Grazie al restyling proposto nel 2002 da BMW, l’azienda è riuscita a
costruirsi una forte brand identity facendo leva sugli elementi caratteristici che l’avevano resa forte
negli anni ’60 e le tendenze che dominano il mercato automobilistico del giorno d’oggi. Un elevato
livello di personalizzazione del prodotto, unitamente a valori come passione, sportività, ironia e
personalità estroversa, rappresentano i punti chiave del successo della marca e dell’elevato livello di
identificazione dei suoi consumatori con il prodotto. L’azienda ha investito gran parte delle sue
risorse di marketing per un’attività di comunicazione che non fosse limitata ai canali tradizionali,
cercando costantemente di coinvolgere i suoi clienti in un progetto interattivo a lungo termine: nel
2003 grazie ad un concorso online per l’ideazione di una campagna pubblicitaria; nello stesso anno,
in concomitanza con l’uscita del film “The italian job” 87 , attraverso una sezione del proprio sito 88

86

A. M. Jr. Muniz, T. C. O’Guinn, Brand Community, Journal of Consumer Research, Vol. 27, No. 4,
March 2001, pp. 412-32.
87

The Italian Job è un film del 2003 diretto da F. Gary Gray, uscito in Italia l'11 luglio dello stesso anno.
Grazie ad una strategia di product placement, MINI ha posizionato nelle scene di questa pellicola
cinematografica le proprie vetture. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/The_Italian_Job_(film_2003)
(Consultato il 9 Dicembre 2011).
88

http://www.mini.it (Consultato il 9 Dicembre 2011).

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riservata alla creazione di piccoli filmati con la vettura come protagonista; negli anni successivi
grazie all’ideazione di “MINI WORLD” 89 e di un social media network 90 ufficiale.
In tutto il mondo sono inoltre presenti numerose comunità virtuali 91 legate al mondo MINI ed eventi
92

organizzati intorno al brand.

93

I dati del 2010 94 pubblicati da BMW Group confermano la bontà delle strategie adottate dalla casa
automobilistica: incremento di MINI con 234.175 auto vendute pari ad un +8.1% (da 216.538)
rispetto all’anno precedente. Il mercato del brand è stato spinto in parte dalla nuova Countryman
(14.337 unità) di recente commercializzazione, dalla MINI hatch (+3.9% con 155.841 unità) e dalla
sua versione cabrio (+15.5% e 32.680 unità).

Dai concetti fin qui espressi si evince quindi una differenza evidente tra sottocultura di
consumo e comunità di marca: la prima contraddistinta da una passione estrema, una sorta
di scuola di pensiero o dottrina filosofica con dei simboli e dei valori ben definiti; la seconda
89

Sezione del sito all’interno della quale l’utente può: partecipare alla community ufficiale; ricevere news e
aggiornamenti relativi a nuovi eventi, premi, modelli, scelte innovative; reperire informazioni in merito a tutto
quello che riguarda la responsabilità sociale dell’impresa; scaricare files; personalizzare l’autovettura;
prenotare un test drive e scoprire le tappe del tour italiano attraverso fotografie e video. Fonte: http://
www.mini.it (Consultato il 9 Dicembre 2011).
90

Condivisione di contenuti testuali, immagini, video e audio all’interno dei social network principali
(Facebook, Twitter, Google Plus) e su YouTube.
91

Solo in Lombardia si può menzionare New MINI Autoclub Italia, MINI & COOPER Club, MINI COOPER
Garage e Club MegaMINI.
92

Tra i più importanti in Italia: MINI United a Misano Adriatico e MINI Mucchio a Franciacorta (Brescia).

93

http://www.mini.it/community/index.html (Consultato il 10 Dicembre 2011).

94

BMW Annual Report 2010. Fonte: http://annual-report.bmwgroup.com/2010/gb/files/pdf/en/
BMW_Group_AR2010.pdf (Consultato il 10 Dicembre 2011).

39
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caratterizzata da un’ammirazione più o meno intensa verso una marca o una pratica. Al
centro di questa divisione socio-culturale si colloca la definizione di costellazione neotribale
o tribù 95 , la quale può formarsi intorno ad un prodotto, un brand, una pratica oppure una
passione.
Fig. 2.4 Tre concetti interconnessi che illustrano la socialità postmoderna

96

Rappresenta molto più di una “collettività di consumo”: si colloca contemporaneamente
all’interno e al di fuori dell’ambito commerciale; necessita di prodotti, luoghi di scambio e
servizi per svolgere i rituali che rafforzano l’identità unanime dei suoi membri; i legami
sociali di chi vi partecipa compongono il suo nucleo centrale. Si assiste ad una

95

Vedi Fig. 2.4.

96

B. Cova, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo,
Milano, Il Sole 24 Ore, 2003, p. 26.

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ricomposizione sociale sulla base di libere scelte emotive, dove gli individui si radunano
intorno ad un totem 97, tipico della tribù arcaica ma sotto vesti nuove ed inedite.
La tribù degli Snowboarder

Grazie ad una semplice anima di legno provvista di lamine e soletta in materiale sintetico, lo
snowboard 98 , nato intorno agli anni sessanta negli Stai Uniti con il nome di snurfer (fusione tra
snow e surfer), è riuscito a fare milioni di proseliti nel mondo e a creare una vera e propria tribù di
appassionati. Il totem viene identificato nella pratica sportiva, intorno alla quale si sviluppano una
serie di attività online e offline

99

. Nel corso degli anni, soprattutto nel Nord America, questa

disciplina è diventata un punto di riferimento per le generazioni più giovani, ha assunto i caratteri
tipici di uno stile di vita con relativi valori e rappresentazioni simboliche. Il modello da esportazione
statunitense ha contribuito a creare nella società lo stereotipo dello snowboarder: look trasandato,
pantaloni larghi, t-shirt di una taglia o due più grande, felpa, scarpe con una parte in gomma molta
alta, cappello con visiera piatta indossato in modi inusuali; la musica ascoltata spazia dal rock al
reggae, mentre la scelta dei materiali, degli indumenti sportivi e dell’abbigliamento quotidiano ruota
intorno ad una serie di brand (Burton, New Era, Vans, etc.) che nel tempo si sono accostati ai
praticanti di questo sport.
Sovente la comunità ha espresso aspre critiche in merito agli spazi limitati dedicati agli snowboarder
da parte delle stazioni sciistiche, visto il crescente interesse della gente verso questo sport; questo
ha contributo a creare una coesione d’intenti e a rafforzare lo spirito della tribù verso un obiettivo
comune: la crescita del numero di snow park dove poter affinare le proprie tecniche, cimentarsi in
nuove evoluzioni, allenarsi e divertirsi organizzando feste ed eventi a tema.

97

In antropologia, un totem è un'entità naturale o soprannaturale che ha un significato simbolico particolare
per una singola persona o clan o tribù, e al quale ci si sente legati per tutta la vita. Il termine deriva dalla
parola ototeman, usata dai nativi americani Ojibway. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Totem (Consultato il
7 Dicembre 2011).
98

http://it.wikipedia.org/wiki/Snowboard (Consultato il 7 Dicembre 2011).

99

Vedi Fig. 2.5.

41
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Fig. 2.5 Lo Snowboarder dentro e fuori la Rete, rielaborato graficamente dall’autore

2.6 	 La consumerizzazione
Le aziende di oggi si trovano di fronte ad un nuovo fenomeno, il quale vede la
trasformazione e la rimodulazione del patrimonio informativo, ad opera delle tecnologie e dei
servizi fruibili tramite web dalla classe di consumatori.
Queste ultime comprendono la vasta gamma di applicazioni cloud-based e mobile, online
social network, media interattivi e dispositivi mobili intelligenti. Nonostante queste soluzioni
creino sfide tecnologiche per la gestione aziendale delle operazioni di information
technology, al tempo stesso si aprono nuove opportunità di mercato, viene alimentato il
potere dei dipendenti e si assottigliano i confini tra lavoro e ambiente domestico. Sovente
indicata come la "consumerizzazione dell'IT", questa tendenza crea un nuovo approccio
sfidante alla sicurezza delle grandi imprese, alla gestione e alle strategie di automazione.

42
La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Per meglio comprendere le opportunità e gli effetti di questo fenomeno, IDC 100 ha effettuato
due indagini parallele a livello globale: la prima avente come campione oggetto di studio
alcuni top manager IT di aziende con fatturato superiore a 1 miliardo di dollari, direttamente
responsabili o in grado di influenzare la strategia della propria organizzazione a livello di
informatizzazione; la seconda i consumatori più attenti al mondo dell’high tech. Queste
indagini hanno esaminato il grado con il quale l’apporto tecnologico dei clienti sta
trasformando il posto di lavoro e il modo in cui i leader devono proteggere, gestire e
automatizzare le operazioni, a fronte di economie di scala senza precedenti e la crescente
aspettativa degli utenti di accedere ovunque e in ogni momento a servizi di business webbased e mobile. 101
I risultati ottenuti hanno rivelato che, mentre la “consumerizzazione dell’IT” crea molteplici
nuove opportunità, fra cui una maggiore produttività dei dipendenti, migliori interazioni con i
clienti, processi decisionali e operatività più rapidi e agili, allo stesso tempo pone notevoli
problemi dal punto di vista della sicurezza e della gestione dell’information technology.
La diffusione del cloud computing fra l’utenza consumer è già una realtà; l’adozione di
questi servizi sta inaugurando una nuova era dell’informatica in cui, come dichiarato da
Dave Hansen, general Manager per Enterprise Solutions & Cloud Management di CA
Technologies, “i CIO 102 subiscono notevoli pressioni per soddisfare il fabbisogno pervasivo e
contingente di dati e servizi da parte degli utenti aziendali”.103 Il cloud computing consente
una maggiore agilità e offre alle organizzazioni la possibilità di innovare l’offerta di prodotti o
servizi. I CIO non possono più permettersi di fare a modo loro, dato che la nuova
generazione di lavoratori e clienti esige di essere “always-on, always connected” 104.

100

IDC (International Data Corporation), fondata nel 1964 da Pat McGovern, è il gruppo leader a livello
mondiale nell’ambito della ricerca di mercato, dei servizi di consulenza e degli eventi nei settori
dell’information technology, delle telecomunicazioni e della tecnologia consumer (ICT).
Fonte: http://www.idcitalia.com/about/about.jsp (Consultato il giorno 15 Novembre 2011).
101

http://www.ca.com/~/media/Files/whitepapers/signature-research-idc-whitepaper-final.pdf (Consultato
il 15 Novembre 2011).
102

Il chief information officer (CIO) è il manager responsabile della funzione aziendale information &
communication technology. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Chief_information_officer (Consultato il 26
Novembre 2011).
103

http://www.datamanager.it/aziende/mercato-e-nomine/inizia-l-era-consumer-l-informatica-aziendale
(Consultato il 15 Novembre 2011).
104

Fonte: The New World of Work: Always On, Always Connected. URL: http://www.microsoft.com/
presspass/events/ceosummit/docs/NWOWAlwaysOnWP.pdf (Consultato il 27 Novembre 2011).

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La brand reputation online nella social media world culture

Mattia Balini 732780

Questo tipo di tecnologia si occupa sostanzialmente di gestire esternamente (online) le
applicazioni e le attività anziché all’interno dell’azienda. La metafora della nuvola (cloud)
rappresenta una sorta di gigantesco magazzino virtuale nel cielo, all’interno del quale
vengono memorizzati dati, programmi e documenti che non risiedono fisicamente nelle
memorie dei personal computer, ma che sono invece “ospitati” all’interno dei server 105 di
un hosting service provider 106 che si occupa di gestire tutta l’architettura informatica.
I vantaggi derivanti dall’adozione di questo tipo di tecnologia sono molteplici e possono
essere riassunti nei seguenti punti:
I.

abbattimento dei costi, in quanto l’azienda paga le risorse che utilizza, con possibilità di

II.

espansione o riduzione in tempo reale a seconda delle esigenze;
riduzione dei costi di supporto, poiché i programmi vengono aggiornati
automaticamente e l’impresa necessita sempre meno dell’apporto di esperti informatici
per questo tipo di operazioni;

III.

riduzione dei rischi, dal momento che l’hosting provider si assume i rischi della
sicurezza sui dati;

IV. accesso alle informazioni dovunque e in ogni momento.
Come vengono esplicitati gli aspetti positivi, al tempo stesso il cloud computing non esenta
diversi aspetti negativi tra cui:
I.
II.

minore controllo dalla gestione dei dati e delle informazioni;
elevata dipendenza da un soggetto terzo che assicura la sicurezza e la riservatezza del

III.

patrimonio informativo aziendale;
minore protezione della proprietà intellettuale;

IV. completa dipendenza dalla connessione internet;

105

In informatica il termine server (dall'inglese, letteralmente “servitore”), indica genericamente un
componente informatico che fornisce, a livello logico e a livello fisico, un qualunque tipo di servizio ad altre
componenti (tipicamente chiamate client, cioè "cliente") attraverso una rete di computer. Al termine server,
così come per il termine client, possono dunque riferirsi sia la componente hardware che la componente
software che forniscono le funzionalità o servizi di cui sopra. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Server
(Consultato il 26 Novembre 2011).
106

Con questo termine viene solitamente indicato un soggetto terzo che si occupa di gestire e distribuire
servizi e applicazioni attraverso internet, garantendo la memorizzazione delle informazioni su supporti di
archiviazione centralizzati. Fonte: http://www.webopedia.com (Consultato il 26 Novembre 2011).

44
La brand reputation online nella social media world culture

V.

Mattia Balini 732780

problematiche legate alla conservazione dei dati e al relativo reperimento in caso di
fallimento dell’azienda che li gestisce.

Fig. 2.3 I sette elementi che caratterizzano un’infrastruttura di Cloud Computing

107

Ai CIO viene quindi richiesto di andare al di là della semplice manutenzione dell’operatività
informatica dietro il firewall 108. Di fronte alla rapida e intensa “consumerizzazione dell’IT”, i
CIO hanno il dovere di collaborare a stretto contatto con i responsabili aziendali per creare
ambienti sicuri e ben gestiti che consentano all’azienda di comunicare e interagire in
qualsiasi momento e in qualsiasi luogo con clienti e dipendenti. I CIO devono impegnarsi in
prima persona a controllare che i clienti collaborino attivamente, i dati confidenziali siano
protetti, sia stimolata la produttività dei dipendenti e l’impresa ottenga il rendimento
massimo da ogni centesimo speso. 109
107

N. Ward-Dutton, Software Infrastructure for Business Value, URL: http://www.ebizq.net/blogs/
softwareinfrastructure/2009/08/the_seven_elements_of_cloud_co.php (Consultato il 26 Novembre
2011).
108

In Informatica, nell'ambito delle reti di computer, un firewall è un componente passivo di difesa
perimetrale che può anche svolgere funzioni di collegamento tra due o più tronconi di rete. Fonte: http://
it.wikipedia.org/wiki/Firewall (Consultato il 26 Novembre 2011).
109

http://www.ca.com/it/news/Press-Releases/na/2011/Consumerization-of-IT-Reaches-Tipping-PointUshers-in-New-Era-of-Consumer-Driven-IT.aspx (Consultato il 15 Novembre 2011).

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I Social Network Nella Consumer Experience
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Postgraduate'degree thesis

  • 1. UNIVERSITÁ  DEGLI  STUDI  DI  MILANO-­‐BICOCCA   Facoltà  di  Economia   Corso  di  Laurea  Magistrale   in  Marketing  e  Mercati  Globali     LA  BRAND  REPUTATION  ONLINE  NELLA             SOCIAL  MEDIA  WORLD  CULTURE   Relatore:  Prof.ssa  Maria  Emilia  GARBELLI     Tesi  di  laurea  di:   Mattia  Balini   Matr.  n.  732780   Anno   Accademico   2010–2011  
  • 2. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Indice Introduzione 1 3 Il processo evolutivo del marketing nella società 1.1 Società postmoderna e consumo reincantato 5 5 1.2 1.3 7 10 1.4 2 Dal marketing classico al marketing olistico La nascita di panacee di marketing Dal marketing al societing 18 Nuovi modelli di consumo 2.1 Il consumatore postmoderno 20 20 2.2 2.3 22 27 2.4 2.5 Tribù e comunità virtuali L’epoca delle neotribù 30 36 2.6 La consumerizzazione 42 2.7 La Generazione C 2.7.1 Consumer Behavior 46 2.7.2 Business 52 2.7.3 The Developing World 3 Dal consumatore passivo al prosumer attivo I bisogni del consumatore 2.0 53 Le conversazioni e il Real-Time Web 3.1 Le nuove leve del marketing conversazionale 3.2 49 57 57 I social media 3.2.1 Question & Answer 59 68 3.2.2 Social Commerce 3.2.3 Blog Platform 71 72 3.2.4 Social Stream 3.2.5 Social Network 75 79 3.2.6 Forum 3.2.7 Review and Rating 84 85 3.2.8 Social Bookmarking 85 1
  • 3. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 3.2.9 “Wiki” 3.2.10 Location 3.2.11 Multimedia 3.2.12 Crowdsourcing 4 87 88 Il brand nel Web 2.0 Il word of mouth 89 94 3.4.1 Il buzz marketing 3.4.2 Il viral marketing 3.3 3.4 86 87 99 100 Viral and social media marketing cases 4.1 Il caso Lynx 4.1.1 Il problema Lynx 105 105 105 4.1.2 La soluzione di Lynx 4.1.3 I risultati ottenuti da Lynx 119 123 123 125 4.3.3 Dall’idea creativa alla realizzazione pratica 4.3.4 I risultati raggiunti da Toyota 126 128 Un caso sportivo di successo: Jeremy Lin 4.4.1 La storia del giocatore 133 134 4.4.2 I motivi del successo sportivo e personale 4.4.3 L’impatto del brand “Lin” nella blogosfera 137 139 4.4.4 I risultati extra-sportivi di Lin 4.4.5 I risultati economici e finanziari di Lin 149 151 4.4.6 Il valore del giocatore 4.4.7 La Lin-reputation 4.4 Il caso Disaronno Il caso Toyota 4.3.1 La sfida strategica di Toyota 4.3.2 L’idea di Toyota 4.2 4.3 106 113 154 156 Conclusioni 158 Bibliografia 160 Sitografia 163 2
  • 4. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Introduzione La progressiva crescita delle relazioni e degli scambi sui mercati globali, in un contesto di cambiamenti economici, sociali e tecnologici, ha inevitabilmente comportato una maggiore diffusione dell’informazione e l’evoluzione dei rapporti spazio-temporali di concorrenza. Le aziende si trovano oggi ad affrontare nuove sfide e a beneficiare di nuove opportunità legate alla comunicazione online, mediante la quale la marca deve essere in grado di assimilare e riflettere il sistema di valori di una società che cambia. Il brand viene proiettato al centro di una fitta rete di interazioni virtuali dove diventa fondamentale ciò che le persone dicono, pensano, e sentono attorno ad un prodotto o servizio. Con il presente elaborato si intende quindi approfondire il ruolo della marca all’interno della Social Media World Culture, descrivendo i cambiamenti societari e tecnologici che hanno portato alla definizione di nuove piattaforme partecipative e interattive, legate ai cambiamenti del World Wide Web. Gli obiettivi sono: comprendere e misurare l’apporto, in termini di ROI, che gli strumenti del Web 2.0 offrono alle imprese per le rispettive iniziative di marketing; valutare quanto il Real-Time Web e le conversazioni in Rete influiscano sulla proliferazione delle informazioni e sulla popolarità delle persone. Lo scritto si compone di quattro capitoli che possono essere agglomerati in due parti: la prima prettamente teorica, la seconda quantitativa e analitica. Nel primo capitolo viene analizzato il processo evolutivo del marketing nella società, allo scopo di introdurre il lettore nella fasi precedenti alla rivoluzione digitale e all’introduzione di internet come mezzo di comunicazione. Vengono descritte le tappe fondamentali di questo percorso: dall’orientamento alla produzione al market-driven management, il marketing olistico, l’evoluzione delle panacee di marketing e la nuova prospettiva offerta dall’approccio sociale e partecipativo. Nel secondo capitolo si approfondisce il concetto di consumatore postmoderno, il suo approccio al web e le sue forme di aggregazione in gruppi sociali. Viene enfatizzata la figura di un individuo capace di interagire con le aziende e di ricoprire un ruolo attivo nella progettazione e nella realizzazione di nuovi beni e servizi; un partner con cui interagire, dialogare e collaborare, soprattutto grazie agli strumenti messi a disposizione da internet. Viene quindi introdotta la “consumerizzazione dell’IT”, definita come la trasformazione e la rimodulazione del patrimonio informativo ad opera delle tecnologie e dei servizi fruibili 3
  • 5. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 tramite web dalla classe di consumatori, e il concetto di “Generazione C”, giovani nati con internet che diffondono contenuti tramite supporti multicanale, flessibili e convergenti. Il terzo capitolo, dopo aver introdotto la nozione di marketing conversazionale, delinea i principi cardine per una corretta lettura della parte conclusiva dell’elaborato, approfondendo le diverse tipologie di canali comunicativi e le metodologie di analisi. Il corpo centrale dell’elaborato definisce i social media, li classifica in base alla modalità di fruizione degli utenti e le caratteristiche strumentali delle piattaforme tecnologiche sulle quali poggiano, e ne analizza i dati di utilizzo. Successivamente descrive il ruolo del brand nel web 2.0, la reputazione aziendale online, il world of mouth e le iniziative di marketing associate al passaparola in Rete. La tesi si conclude con l’approfondimento di alcuni casi pratici: tre campagne aziendali e un recente fatto sportivo di successo. Lo scopo è dimostrare come i concetti espressi a livello teorico possono essere applicati, con risultati concreti, nella realtà quotidiana e nelle strategie aziendali odierne. 4
  • 6. La brand reputation online nella social media world culture 1 Mattia Balini 732780 Il processo evolutivo del marketing nella società 1.1 Società postmoderna e consumo reincantato In un contesto sociale postmoderno e di consumo reincantato 1 , le imprese incontrano sempre maggiori difficoltà nell’attirare l’attenzione dei consumatori e conquistarne la fiducia. I mercati sono sempre più “iperframmentati” e i consumatori sempre più disinteressati e scettici nei confronti della comunicazione delle imprese. Il ciclo di vita dei prodotti si è ridotto drasticamente, i distributori detengono sempre maggiore potere e la saturazione pubblicitaria logora i destinatari delle offerte. Questa situazione induce un numero sempre maggiore di aziende, agenzie di comunicazione e istituti di ricerca di mercato a ridefinire le proprie strategie, allontanandosi dai diktat tradizionali del marketing di massa. “Se è vero che le società attuali stanno affrontando un’evoluzione profonda delle strutture tipiche della società moderna, allora anche il marketing, come e forse più di tutte le scienze sociali, ha bisogno di ridisegnare i propri metodi e le proprie categorie interpretative”. 2 La crisi che il marketing ha attraversato nell’ultimo ventennio è strettamente legata all’utilizzo di strumenti metodologici e modelli analitici del tutto obsoleti e inadeguati a codificare la nuova realtà postmoderna. Quella che è stata definita la “mid-life crisis of marketing” 3 ha fatto crollare tutte le sicurezze che i marketer si erano costruiti fino agli anni Ottanta, dando vita a centinaia di panacee di marketing e facendo sentire chiunque in diritto di darne la propria definizione. 1 Il termine “reincanto”, utilizzato storicamente dal sociologo Max Weber, indica nel vissuto quotidiano la continua ricerca da parte del consumatore di una gratificazione edonistica e di un senso di appagamento conseguenti ad una una scelta d’acquisto. Il cliente vuole sentirsi appagato da una comunicazione aziendale che arricchisca di connotazioni emozionali la sua "shopping experience", in un contesto sociale nuovo e trasformato nel quale diventa fondamentale la propria costruzione identitaria. Fonte: http://gilbertoattanasi.blogspot.com/2008/04/il-consumo-reincantato.html (Consultato il giorno 11 Ottobre 2011). 2 E. Di Nallo, Quale marketing per la società complessa?, FrancoAngeli, Milano, 1998. 3 J. Brady, I. Davis, Marketing's Mid-Life Crisis, The McKinsey Quarterly, No. 2, 1993. 5
  • 7. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Tutto questo ha avuto il solo effetto di spingere il consumatore verso un’insofferenza nei confronti del marketing stesso. 4 I modelli organizzativi con i quali le imprese operano sono, con qualche modifica, quelli che si erano evoluti negli anni trenta, come una risposta alla crisi d’allora, la crisi del ’29 5, dalla quale ha preso forma l’economia industriale come noi la conosciamo. In questo modello l’impresa rimane una sorta di entità monolitica, che sfrutta le sue proprie risorse interne con lo scopo di realizzare un profitto privato, trattando il contesto sociale ed ecologico in cui opera come un mero ambiente verso il quale non ha nessuna obbligazione. Anche se molte imprese parlano sempre più di responsabilità sociale e di impegno ambientale, sotto sotto vale ancora il famoso imperativo di Milton Friedman: l’unico obbligo morale delle imprese è quello di massimizzare i propri profitti. Questo modello è diventato insostenibile. Primo perché l’espansione continua, e il continuo sfruttamento di risorse ambientali e sociali si presuppone stia già oggi incontrando dei limiti assoluti. Vediamo già oggi i costi, futuri e attuali, dello sfruttamento illimitato delle risorse naturali del pianeta. È difficile immaginare che livelli di diseguaglianza sociale possono continuare ad aumentare a lungo mantenendo la legittimità del sistema. Secondo perché le imprese non sono più delle organizzazioni a parte. Il processo produttivo si svolge sempre più al di fuori delle mura dell’azienda, coinvolgendo consumatori, risorse comuni come l’Open Source Software 6 , comunità di innovazione (alle quali partecipano esperti, fornitori e anche competitor ), e i membri del nuovo pubblico della rete, che crea reputazione e brand. Le imprese diventano sempre più aperte, si costituiscono sempre più come dei network sociali, e questo comporta nuove forme di legami e di responsabilità verso quel sociale da cui sempre di più derivano il loro 4 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-convenzionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 31. 5 La grande depressione, detta anche crisi del 1929, grande crisi o crollo di Wall Street, fu una drammatica crisi economica che sconvolse l'economia mondiale alla fine degli anni venti, con gravi ripercussioni durante i primi anni del decennio successivo. L'inizio della grande depressione è associato con la crisi del New York Stock Exchange (la borsa di Wall Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), a cui fece seguito il definitivo crollo della borsa valori del 29 ottobre (martedì nero), dopo anni di boom azionario. La depressione ebbe effetti devastanti sia nei paesi industrializzati, sia in quelli esportatori di materie prime. Il commercio internazionale diminuì considerevolmente, così come i redditi dei lavoratori, il gettito fiscale, i prezzi e i profitti. Le maggiori città di tutto il mondo furono duramente colpite, in special modo quelle che basavano la loro economia sull'industria pesante. Il settore edilizio subì un brusco arresto in molti paesi. Fonte: http://it.wikipedia.org/ wiki/Grande_depressione (Consultato il 26 Novembre 2011). 6 L’Open Source Software (OSS) è un programma disponibile in forma di codice sorgente: quest’ultimo e alcuni altri diritti normalmente riservati ai titolari del copyright sono forniti con una licenza software, che consente agli utenti di studiare, modificare, migliorare e, talvolta anche di distribuire il prodotto. Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Open-source_software (Consultato il 29 Novembre 2011). 6
  • 8. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 valore. Questo implica la necessità di una nuova filosofia, non solo di mercato, ma delle imprese nella loro totalità: Societing. 7 Per riuscire a comprendere appieno questo passaggio è necessario ripercorrere le tappe fondamentali del percorso evolutivo del marketing stesso: dall’orientamento alla produzione al market-driven management, per terminare con l’esplosione delle panacee di marketing verso la nuova prospettiva offerta dall’approccio sociale e partecipativo. 1.2 Dal marketing classico al marketing olistico “Il ruolo del processo di marketing in un’economia di mercato è quello di organizzare lo scambio volontario e concorrenziale in modo da assicurare un incontro efficiente fra domanda e offerta di prodotti e servizi”. 8 Dal punto di vista dell’organizzazione della comunicazione e dello scambio nell’economia, appare evidente come, nonostante la sua attualità, l’attività di marketing non sia una funzione nuova, poiché svolge compiti che sono in realtà sempre esistiti e che sono sempre stati realizzati, in un modo o nell’altro, in tutti i sistemi fondati sullo scambio volontario. Il tempo ha evidenziato come la complessità degli ambienti tecnologico, economico e concorrenziale ha progressivamente condotto l’impresa a creare prima, e a rinforzare poi, la funzione marketing. Si possono distinguere quattro fasi, ciascuna caratterizzata da una particolare filosofia di gestione: il marketing passivo, il marketing operativo, il marketing strategico e il marketdriven management.9 La fase dell’orientamento alla produzione viene identificata generalmente nel periodo 1920-1930, in cui il mercato è caratterizzato da una predominanza della domanda sull’offerta dovuta al fatto che il cliente ha bisogno praticamente di qualsiasi cosa. Le decisioni relative agli attributi e alla varietà dei prodotti sono fortemente influenzate da considerazioni di ordine produttivo; la tecnologia infatti, avendo come obiettivo la riduzione 7 http://www.stampa.unibocconi.it/editor/archivio_pdf/FabrisManifesto20080522104237.pdf (Consultato il giorno 24 Ottobre 2011). 8 J.J. Lambin, Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill Companies, 2003, p.10. 9 Ivi, p. 13. 7
  • 9. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 dei costi e l’aumento dei volumi, condiziona significativamente le caratteristiche dell’offerta. In questa fase il marketing viene ragionevolmente definito passivo. Il periodo successivo, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, si caratterizza per l’orientamento alle vendite. Le prime saturazioni del mercato indeboliscono la domanda, che si ritrova inferiore all’offerta, in particolare dopo la crisi del ’29; il ruolo delle vendite diventa critico e fondamentale. Come spesso accade in situazioni di offerta eccedente la domanda, si finisce per considerare come variabile chiave la scelta del consumatore. Fondamentale diviene l’azione di stimolo e di persuasione esercitata dall’organizzazione di vendita, al fine di avvicinare l’impresa ai potenziali clienti. Si affermano le attività pubblicitarie e promozionali (il prezzo di vendita diviene una leva strategica chiave), con la convinzione che esse possano persuadere e dirigere il consumatore. Il marketing si trasforma piano piano in un sistema meno passivo e più operativo, volto a ricercare ed organizzare gli sbocchi commerciale per i propri prodotti. L’obiettivo prioritario in questa fase è la creazione di un’organizzazione commerciale efficace. La necessità di integrare una dimensione di analisi del concetto di orientamento al mercato si impone all’impresa quando la crescita rallenta, il mercato si segmenta in gruppi differenti, la concorrenza si intensifica e il ritmo dell’innovazione aumenta. L’obiettivo principale diviene quello di identificare nuovi segmenti dei quali conoscere anticipatamente i bisogni in modo da adeguarvi l’offerta con una produzione di massa diretta a quel determinato target di consumatori. Queste condizioni iniziano a verificarsi a partire dagli anni Cinquanta quando prodotti più specifici vengono indirizzati verso gruppi distinti di clienti. Ne consegue uno studio più accurato del consumatore in quanto la frammentazione del mercato orienta le imprese a spostare il proprio campo di analisi sulla segmentazione dei mercati. Nell’ottica dell’orientamento al cliente, l’obiettivo del marketing non è più quello di vendere ma quello di aiutare il cliente ad acquistare, e l’attività di vendita si basa essenzialmente sui bisogni del cliente. L’ultima evoluzione teorica che configura una gestione d’impresa orientata al mercato e dominata dal customer value management è il market-driven management.10 L’orientamento al mercato implica che ogni funzione dell’impresa tenga conto, nelle proprie analisi, di tutti gli attori e i partecipanti che, direttamente o indirettamente, influenzano la decisione d’acquisto del cliente e dunque partecipano al mercato in senso ampio. 10 S. M. Brondoni, Market-Driven Management, Competitive Customer Value and Global Network, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2009. 8
  • 10. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Caratterizzato da un sistema integrato di risorse immateriali di impresa (brand equity, cultura aziendale e sistema informativo), questo approccio si qualifica con una dimensione di analisi, legata al continuo monitoraggio della concorrenza, in linea con una moderna economia d’impresa sostenuta da flussi pull/push di comunicazione aziendale e costretta ad operare in mercati globali ed in condizioni d’instabilità; con una dimensione di azione, dove il tempo è il fattore vitale (time-based competition) e l’impresa è orientata a sostenere con l’innovazione, la varietà e la mutabilità della domanda; con la soddisfazione di mutevoli e instabili bolle di domanda, generate da temporanee forme di aggregazione consumistiche. L’idea fondamentale è che l’orientamento al mercato investa tutte le funzioni aziendali e non solo la funzione marketing. Il coordinamento interfunzionale è considerato un fattore organizzativo che faciliterà il coinvolgimento di tutti i livelli dell’organizzazione nella creazione di una cultura orientata al mercato. Esso permette la comunicazione e lo scambio tra le varie funzioni, che sono in contatto o in competizione con almeno uno dei cinque attori del mercato. 11 Fig. 1.1 I principali attori del mercato 12 hilip Kotler, Dipak C. Jain e Suvit Maesincee (2007) si ricollegano a quanto espresso da Jean-Jacques Lambin (2003) introducendo ed elaborando il concetto di marketing olistico. 11 Vedi Fig. 1.1. 12 J.J. Lambin, Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill Companies, 2003, p. 27. 9
  • 11. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 “Internet, globalizzazione e ipercompetitività stanno trasformando radicalmente i mercati e il modo di operare delle imprese. Il problema è che il marketing non ha saputo tenere il passo con l’evoluzione dei mercati. Oggi sono i clienti a scarseggiare, non i prodotti, e il marketing tradizionale, per adeguarsi a questa realtà, deve essere completamente ridefinito”. 13 Il concetto di marketing olistico rappresenta un ampliamento del marketing della fase precedente, reso possibile dalla rivoluzione digitale. "Si tratta di un concetto dinamico che nasce dalla connettività e interattività elettroniche fra l'azienda, i suoi clienti e i suoi collaboratori. Integra le attività di individuazione, creazione ed erogazione del valore mirate all'instaurazione di rapporti di lungo termine e reciprocamente soddisfacenti, fonte di prosperità congiunta, fra questi stakeholder chiave". 14 1.3 La nascita di panacee di marketing Il marketing vincente degli anni Settanta-Ottanta subì una battuta d’arresto nel 1985, quando l’episodio della New Coke scrisse una delle pagine più nere della storia della multinazionale americana.15 13 P. Kotler, D. C. Jain, S. Maesincee, Il marketing che cambia, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007. 14 Ivi, p. 20. 15 Coca-Cola produsse la New Coke, utilizzando sondaggi e indagini tramite focus group per determinare quali sarebbero state le reazioni dei consumatori. Sebbene i focus group avessero indicato una diffusa contrarietà all’idea di un nuovo gusto di Coca-Cola, i sondaggi rilevarono invece, tra i bevitori di Coca-Cola, soltanto una piccola parte di insoddisfatti verso il nuovo gusto. Di fronte a questi risultati contrastanti, la Coca-Cola decise che i risultati dei sondaggi apparivano più affidabili dei commenti raccolti tra i consumatori nei focus group. La scelta si rivelò un flop. Non tutto può essere valutato solamente con le prove di degustazione, i sondaggi di opinione o le ricerche di mercato. L’azienda non aveva tenuto in considerazione che i consumatori possono avere un attaccamento emotivo a prodotti come la Coca-Cola, presente nella vita di moltissime persone per lungo tempo (circa 90 anni). La questione del gusto, sebbene importante, non avrebbe mai potuto essere l’unico elemento rilevante. Fonte: http://www.alliance-healthcare.it/mediacenter/download/settembre2006/farmacia_societa.pdf (Consultato il giorno 12 Ottobre 2011). 10
  • 12. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Questo segnò l’inizio della “mid-life crisis of marketing” e fornì un chiaro segnale che il marketing aveva bisogno di ridefinirsi e allontanarsi dalle logiche totemiche e arcaiche sulle quali poggiava ormai da anni. Ecco cosa venne riportato da Brady e Davis in un articolo apparso nel 1993 sul McKinsey Quarterly: “Whatever the reality behind marketing’s vaunted contribution to corporate success, the large budgets it has enjoyed for decades are finally beginning to attract attention – even criticism. So much so, in fact, that doubts are surfacing about the very basis of contemporary marketing: the value of ever more costly brand advertising, which are often dwells on seemingly irrelevant point of difference; of promotions, which are often just a fancy name for price cutting; and of large marketing departments, which, far from being an asset, are often a millstone around an organization’s neck.” 16 La risposta fu immediata e legata all’esplosione di numerose panacee di marketing 17 , mediante le quali un cospicuo numero di marketer tentò di risollevare le sorti delle aziende, fornendo ai manager delle “soluzioni ai malanni del marketing” come evidenziato da Stephen Brown. 18 Quest’ultimo presentò otto panacee del marketing unite, a suo parere, dall’interesse per il postmodernismo: venne posto l’accento sul rapporto con il cliente come un individuo, sul desiderio di mantenere i clienti esistenti anziché cercarne sempre di nuovi. 19 Morris, Schindehutte e LaForge hanno invece analizzato tredici panacee del marketing accomunate tra loro dalle specifiche caratteristiche imprenditoriali: efficienza nelle spese di marketing attraverso l’approvvigionamento di risorse, approcci creativi e alternativi per la gestione di variabili di marketing e una capacità di produrre cambiamenti nell’ambiente. 20 16 J. Brady, I. Davis, “Marketing mid-life crisis”, The McKinsey Quarterly, 2, 1993, pp. 17- 21. 17 Il termine Panacea deriva dal greco Panakeia e significa “rimedio per ogni cosa”; nell’antica Grecia e a Roma, questo sostantivo veniva dato a varie piante alle quali si attribuivano straordinarie virtù terapeutiche. Fonte: http://dizionari.hoepli.it (Consultato il 25 Novemnre 2011). 18 S. Brown, Postmodern Marketing, London, Routledge, 1995, p. 50. 19 S. Brown, Postmodern Marketing: Principles, Practice and Panaceas, Irish Marketing Review, Vol. 6, 1993, pp. 91-99. 20 M. H. Morris, M. Schindeutte, R. W. Laforge, “Entrepreneurial Marketing: A Construction Integrating Entrepreneurship and Marketing Perspectives”, Journal of Marketing Theory and Practice, Fall, 2002. pp. 1-18. 11
  • 13. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Un approccio completamente differente è stato invece adottato da Badot, Bucci e Cova. 21 Utilizzando un approccio induttivo, si sono esaminate le panacee di marketing esistenti maggiormente rappresentative al fine di individuarne le caratteristiche comuni e suddividerle in vari raggruppamenti. Per consentirne una corretta generalizzazione, si è effettuato un filtraggio delle panacee andando a considerare solo quelle trasversali ai vari settori e segmenti, escludendo quindi panacee relative a specifici settori, a tipi di offerte, a segmenti specifici, mercati geografici, o a specifiche organizzazioni raggruppate in funzione della dimensione. Inoltre non sono state considerate panacee che si riferissero ad un ambito B2B o che utilizzassero termini quali “selling” oppure “management”, con un approccio improntato più alla vendita che al marketing. Tabella 1.1 Elenco delle panacee di marketing 1985-2005 Anti-Marketing Authenticity Marketing Entrepreneurial Marketing Event Marketing Multi-Sensory Marketing Network Marketing Solution Marketing Stakeholder marketing Buzz Marketing Cause Related Marketing Expeditionary Marketing Experience Marketing Neural Marketing Niche Marketing Stealth Marketing Street Marketing Chrono-marketing Co-Marketing Exponential Marketing Family Marketing Non Business Marketing Nostalgia Marketing Sustainable Marketing Symbiotic Marketing Community Marketing Convergence Marketing Geo-marketing Grass Roots Marketing Olfactory Marketing One-to-One Marketing Time Based Marketing Sustainable Marketing Contextual Marketing, Counter Marketing Green Marketing Guerrilla Marketing Permission Marketing Radical Marketing Symbiotic Marketing Time Based Marketing Creative Marketing Cult Marketing Holistic Marketing Interactive Marketing Real Time Marketing Relationship Marketing Total Relationship Marketing Trade marketing Customer Centric Marketing Database Marketing Knowledge Marketing Life Event Marketing Retro-marketing Reverse Marketing Trend Marketing Tribal Marketing Eco-Marketing Emotion Marketing Loyalty Marketing Macro Marketing Scarcity Marketing Sensory Marketing Turbo Marketing Undercover Marketing Empowerment Marketing Environmental Marketing Maxi Marketing Mega Marketing Situational Marketing Slow Marketing Value Marketing Viral Marketing Ethnic Marketing Ethno-marketing Micromarketing Multilevel Marketing Social Marketing Societal Marketing Yield Marketing 22 21 Vedi Tabella 1.1. 22 B. Cova, O. Badot, A. Bucci, Beyond Marketing: In Praise of Societing, pag. 16. URL: http:// visionarymarketing.com/_repository/societing/societingcovabadotbucci.pdf (Consultato il 12 Ottobre 2011). 12
  • 14. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Nonostante questa selezione e la sequenza di cancellazioni, gli Autori hanno proposto ben oltre settanta panacee fra pubblicazioni, articoli o siti web. Si può quindi comprendere la difficoltà e la confusione nella ricerca di un valido e attuale approccio che sostituisca o implementi il marketing “kotleriano” tradizionale. Nel tentativo di ridurre la confusione e semplificare la lettura della tabella precedente, gli Autori hanno cercato di interpretare questo gruppo di panacee organizzandole in categorie derivate da logiche ben precise, frutto di un’attenta e minuziosa interpretazione. Ogni panacea è stata inizialmente analizzata con riferimento a varie caratteristiche: storia e ragion d’essere della panacea secondo i suoi autori, concetti principali, processi e/o strumenti principali, prerequisiti di implementazione, tipo di strategia di offerta, tipo di strategia di relazione, punti di forza e di debolezza. Successivamente, in maniera induttiva, si è cercato di mettere in rilievo la classe di logiche sottostanti più pertinenti nel categorizzare tutte le panacee. 23 Fig. 1.2 Prospettive alternative di mercato introdotte dalle panacee di marketing 24 I. Marketing Environment (Ambiente di Mercato): cioè una nuova autenticità, dare importanza alle qualità etiche e culturali delle imprese che commercializzano la marca, 23 Ivi, p. 7. 24 Ivi, Figure 2: Alternative prospectives of the market introduced by marketing panaceas, p. 8. 13
  • 15. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 che diventa una risorsa in grado di ispirare e stimolare i consumatori. Avviene quindi una assunzione di responsabilità da parte delle aziende nei confronti della società. II. Marketing Niche (Nicchie di Mercato): fa riferimento a tutte le comunicazioni specifiche per certe categorie di persone che non rispondono ai messaggi commerciali diretti. Questo può provare da una parte una frammentazione del consumo (che non è obbligatoriamente un fenomeno negativo come spiega la teoria della Coda Lunga 25) e dall’altra parte una unificazione attraverso le tribù postmoderne che verrano presentate in seguito. Uno dei concetti fondamentali per la teoria della coda lunga è il sistema delle raccomandazioni o passaparola: infatti esso è proprio la manifestazione della terza forza della coda lunga perché aiuta la gente a trovare ciò che vuole in questa grande abbondanza di varietà e permette che questo tipo di mercato si dispieghi in tutta la sua potenza. III. Subjective Experience (Esperienze Soggettive): secondo questa visione il consumatore non cerca di massimizzare il profitto quanto di avere una gratificazione nell’ambito di un contesto sociale. Kevin Roberts approfondisce l’argomento inserendo il concetto di Lovermarks, cioè quei brand o esperienze di cui le persone si innamorano, non solo li ammirano ma li amano con passione creando legami emotivi. Per creare un lovemark serve quindi una combinazione di mistero (storie, metafore, segni e simboli), sensualità (riferimento ai cinque sensi) e intimità (empatia, impegno e passione). IV. Client relationship (Relazione con il cliente): il marketing inteso come management delle relazioni, creazione, mantenimento e gestione di un network. È qui che si introduce il concetto di advocacy: la profonda relazione con il cliente tale da costruire il più grande livello di fiducia e dedizione. 25 L'espressione Coda Lunga, in inglese The Long Tail, è stata coniata da Chris Anderson in un articolo dell'ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere alcuni modelli economici e commerciali utilizzati in diverse forme di commercio on-line, come ad esempio Amazon.com, Netflix oppure iTunes. Considerando ad esempio quest’ultimo, la distribuzione osservabile grazie ad un grafico dove sull’asse delle ascisse viene posto il titolo della canzone e su quello delle ordinate il numero di copie vendute, evidenzia un’alta frequenza (o ampiezza) nella parte iniziale seguita da una bassa frequenza del campione che diminuisce gradualmente. iTunes ha un catalogo di vari milioni di pezzi, così come gli altri portali di musica, quindi riesce a coprire non solo i primi top-sellers ma anche tutto il resto della “coda lunga”. Se per un negozio di dischi i primi mille dischi in classifica fanno l’80% del fatturato, in uno store on-line possono rappresentare il 30%. In altre parole, quei dischi che in un negozio di CD non ci sono mai entrati, possono rappresentare la metà degli incassi di uno store on-line. Un magazzino sterminato non è l’unica condizione per sfruttare la coda lunga, bisogna accompagnarlo con degli strumenti che permettano agli utenti di trovare quello che cercano, ovvero filtri, comunità, commenti e tutto quello che serve ad ogni acquirente per trovare la propria nicchia. URL: http://it.wikipedia.org/wiki/Coda_lunga#Coda_lunga_ed_economia_del_web (Consultato il 13 Ottobre 2011). 14
  • 16. La brand reputation online nella social media world culture V. Mattia Balini 732780 Competence of the customers (competenza dei consumatori): il nuovo consumatore è più autonomo, competente, esigente e selettivo rispetto al passato ed opera su diversi livelli: conoscenza, controllo, condivisione e creazione (prosumer). 26 Il risultato del proliferare delle panacee di marketing ha contribuito ad alterare ulteriormente i sistemi ricettivi del consumatore verso una saturazione ancora più grande nei confronti del marketing stesso. “I nuovi anti-marketers non sono contro il libero mercato in sé [...] Gli anti marketers di oggi, piuttosto, ritengono che il processo sia andato troppo lontano, che il sistema abbia raggiunto i suoi limiti e che il paradiso del consumatore si sia trasformato in una palude di commercialismo, consumo e materialismo. Il marketing per loro è uno dei maggiori colpevoli di ciò”. 27 La stessa etichetta “consumatore” viene messa sotto accusa e confutata da G. P. Fabris nelle seguenti righe: “Ho cercato in tutti i miei scritti di contrastare questa etichetta indicando quanto fosse inadeguata, restrittiva e ideologicamente connotata, conseguendo ben scarsi risultati. Si tratta ormai di un termine datato e riconducibile a uno scenario ormai superato. Il termine postula un soggetto economico che si comporti, nell’agire di consumo, in maniera dissimile dagli altri momenti della sua esistenza: un soggetto razionale, proteso alla massimizzazione della sua utilità, con scelte indipendenti fra loro e rispetto a quelle degli altri. Una grottesca parodia che non trova alcun riscontro nella realtà. Se continuiamo ad usare la parola consumatore è solo per convenzione, per non generare inutili equivoci semantici, ma il suo significato è profondamente diverso da quello originariamente attribuitogli.” 28 26 https://pensiericontingenti.wordpress.com/tag/panacee-di-marketing/ (Consultato il 13 Ottobre 2011). 27 J. K. Johansson, In Your Face: How American Marketing Excess Fuels Anti-Americanism, Financial Times Prentice Hall, London, 2004. 28 G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 84. 15
  • 17. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 La parola consumatore, osserva Franchi 29 , utilizzata negli studi di marketing, riflette un’immagine inadeguata dell’esperienza del “consumare” e appare segnata da un duplice equivoco: che esista un individuo isolabile in funzione, e che l’azione del consumatore sia comprensibile al di fuori dell’insieme delle azioni che compongono la vita quotidiana. “Il marketing deve prendere coscienza del fatto che, per affrontare le sfide della complessità, non si tratta di raccogliere una massa sempre più imponente di dati relativi ad un fenomeno per meglio definirlo e nemmeno di analizzare un numero sempre più elevato di variabili, quanto di comprendere il sistema di relazioni che queste pongono in essere. L’accumulo indiscriminato di dati quantitativi, la matematizzazione della conoscenza, la geometrizzazione del sapere ha finito per far perdere contezza al marketing che il consumo è agire sociale dotato di senso.” 30 Kathy Sierra, che non è un’esperta di marketing bensì un’istruttrice Java per la Sun Microsystem 31 , nel 2005 ha pubblicato all’interno del suo blog un interessante post 32 nel quale esprimeva la sua insofferenza nei confronti del marketing old-school. All’interno dello stesso veniva raffigurata una tabella che metteva a confronto il “Neo-marketing” ed il “Marketing vecchia scuola”, evidenziandone le differenze e le peculiarità. Ciò che si evince dallo schema è che a fare marketing, secondo questa consumatrice, dovrebbero essere le persone appassionate di una marca e non i “mercenari” del marketing. 29 M. Franchi, Il senso del consumo, Milano, Bruno Mondadori, 2007. 30 G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 204. 31 La Sun Microsystems è stata un'azienda della Silicon Valley produttrice di software e semiconduttori nota, tra le altre cose, per avere prodotto il linguaggio di programmazione Java. Il 27 gennaio 2010, la Sun Microsystem è stata acquistata dalla Oracle Corporation per 7.4 miliardi di dollari. La Sun Microsystems, Inc. è stata quindi rinominata Oracle America, Inc. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/ Sun_Microsystems (Consultato il 30 Novembre 2011). 32 Un post è un messaggio testuale, con funzione di opinione o commento, inviato in uno spazio comune su Internet per essere pubblicato. Tali spazi possono essere newsgroup, forum (o board), blog, guestbook, shoutbox e qualunque altro tipo di strumento telematico (con esclusione delle chat e dei sistemi di messaggistica istantanea) che consenta a un utente generico di Internet di lasciare un proprio messaggio pubblico. L'etimologia della parola deriva dall'inglese "to post" ovvero spedire, inviare. Nel caso specifico si "invia" il messaggio al server dello spazio comune dove vogliamo sia pubblicato, il quale a seconda di come è stato programmato inoltra la richiesta all'amministratore dello spazio web o lo pubblica direttamente (nel caso di forum e blog). Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Post (Consultato il 30 Novembre 2011). 16
  • 18. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Fig. 1.3 Schema comparativo tra il “marketing vecchia scuola” ed il “neo-marketing” 33 Tutto ciò spinge a pensare che bisogna lavorare a livello di piccoli gruppi concreti, comunità, tribù. Non la grande massa né il singolo consumatore, bensì il gruppo sociale. Il mondo della produzione, la marca, deve essere in grado di assimilare e riflettere il sistema di valori di una società che cambia. Le aziende devono porsi a un livello di osservazione della società che può definirsi “microsociale” in cui l’esperienza della vita quotidiana, il vissuto soggettivo in rapporto con altri individui e dunque i contatti sociali riemergono con un’importanza accentuata. Non bisogna guardare a queste tribù come a dei target da colpire ma come a dei partner con cui interagire, dialogare, collaborare. 34 33 http://headrush.typepad.com/creating_passionate_users/2005/08/you_are_a_marke.html (Consultato il 16 Ottobre 2011) 34 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-convenzionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 46. 17
  • 19. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 1.4 Dal marketing al societing Quando i nostri contemporanei parlano del senso della vita, sempre più spesso fanno riferimento al senso che possono dare alle loro relazioni reciproche, al senso sociale, e non al senso della loro traiettoria individuale. La persona sembra cercare maggiormente nel consumo un mezzo per legarsi agli altri nel quadro di una o più comunità di riferimento; comunità che le permettono di dare un significato alla vita. Il sistema di consumo, quindi, non è più percepito come elemento primario che si serve del vincolo sociale, ma come secondario e al servizio del legame sociale: il legame è più importante del bene. In altri termini, la persona attuale assegna maggior valore alle esperienze sociali piuttosto che al consumo, all'utilizzo o al possesso di beni e servizi. 35 Sulla base di quanto espresso fino ad ora, viene introdotto un neologismo usato come ponte tra il marketing e la sociologia: il societing. Visconti riporta nel suo saggio la seguente definizione: “Societing promuove l’idea di impresa non solo come un attore economico ma anche cittadino di comunità. In tale prospettiva i prodotti non sono esclusivamente posti sul mercato ma, prima ancora, collocati all’interno di un sistema sociale che l’impresa contribuisce a costruire e, possibilmente, ad arricchire. La dinamica impresaconsumatore, che si estende nella prospettiva impresa-società, esce dagli schemi dell’individualismo capitalista per recuperare una valenza collettiva dell’agire economico.”36 Il societing cambia verso al marketing: da una filosofia verso il mercato, in cui i consumatori vengono individuati, mirati e colpiti, si passa ad una filosofia con il mercato, in cui consumatori e fornitori collaborano all’intero processo. Troppo sovente la visione fondamentalista adottata dai marketing manager determina l’insuccesso delle imprese, imprigionate da dogma di natura economica che ne ostacolano la crescita e l’innovazione (si può citare ad esempio il ciclo di vita del prodotto, i modelli di 35 B. Cova, Marketing, Societing ed Economia sociale, Impresa & Stato n°37-38, URL: http://impresastato.mi.camcom.it/im_37-38/cova.htm (Consultato il 17 Ottobre 2011). 36 L. M. Visconti, “Identità e mediterraneità: l’alternanza culturale come terza via tra anoressia e bulimia identitaria”, in Carù A., Cova B. (a cura di), Marketing mediterraneo, Milano, Egea, 2006. 18
  • 20. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 efficacia della pubblicità, le matrici strategiche di Porter, Ansoff e quelle del Boston Consulting Group). Si delinea un approccio al marketing in contrapposizione con la visione americana che da sempre fornisce un contributo significativo a questa disciplina. Prende vita la “Mediterraneità” con la sua alterità, le sue molteplicità di culture, religioni, stili di vita, voci, storie, lingue, dialetti, architetture, musiche, arti. 37 Societing vuole anche costruire una categoria interpretativa unificando l’estrema eterogeneità dei comportamenti di consumo, che possono essere compresi soltanto come momento non dissimile rispetto ad altri della nostra quotidianità, come un serbatoio da cui l’individuo attinge a piene mani, e con grande discrezionalità, per costruire ed esprimere la propria identità. 38 Fig. 1.4 Interazione tra azienda e consumatore 39 L’immagine 40 evidenzia come, in un’ottica di societing, il “consumAttore” sia l’autentico protagonista delle decisioni d’acquisto; il “consumAutore” è colui che decide senza alcun timore di essere condizionato; il “consumatoRe” pretende la piena soddisfazione. Oggi il consumatore vuole avere voce in capitolo. La tecnologia lo aiuta mettendolo in contatto con chi produce e con gli altri attori della catena della fornitura. Tutto questo può creare grossi problemi nella gestione del business, ma anche proficui dialoghi fra venditore e acquirente. Una comunicazione “a due vie”, che deve essere ben orchestrata. 41 37 A. Carù, B. Cova (a cura di), Marketing mediterraneo, Egea, Milano, 2006. 38 G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 227. 39 http://tribaling.typepad.com/my_weblog/2009/02/societing-is-the-new-marketing-updated.html (Consultato il 18 Ottobre 2011). 40 41 Vedi Fig. 1.4. http://www.mediakey.tv/index.php?id=453 (Consultato il 19 Ottobre 2011). 19
  • 21. La brand reputation online nella social media world culture 2 Mattia Balini 732780 Nuovi modelli di consumo 2.1 Il consumatore postmoderno Il passaggio dal consumatore moderno a quello postmoderno non si è ancora evoluto nella sua totalità. “Abbiamo a che fare con un individuo che è ancora in lotta con le pastoie di una tradizione così radicata (quella di una cultura preindustriale) da cui riesce difficilmente a sbarazzarsi interamente – ed in cui sono ancora immersi i soggetti socio culturalmente arretrati – ma anche, e soprattutto, dei tanti legami con la più breve ma più incisiva epoca della modernità. Perché è proprio in questo periodo storico che è avvenuta la sua socializzazione, il suo apprendistato al ruolo di consumatore”. 42 Il sociologo polacco Zygmunt Bauman suddivide la modernità in due fasi: la prima definita solida o industriale mentre la seconda liquida o postmoderna. 43 L’obiettivo sociale rappresenta l’elemento di rilievo che determina una netta suddivisione tra le due sequenze temporali: nella prima fase della modernità l’obiettivo sociale primario era quello di forgiare gli individui come produttori, creare una docile massa di lavoratori che andasse a costituire la manodopera nelle fabbriche; lo scopo che contraddistingue la seconda è invece quello di formare gli individui come consumatori. Nella modernità industriale la libertà individuale operava sul piano concreto del potere e della ricchezza e il controllo sociale veniva esercitato tramite la soppressione. Nella modernità liquida la libertà dell’individuo deriva dalla sua autonomia di consumatore e la competizione sociale si gioca sul piano puramente simbolico del consumo. La lotta tradizionale per l’autorità e la ricchezza non è mai cessata, i benefici derivanti dalla nascita del secondo sistema hanno portato alla creazione di uno spazio sicuro nel quale gli individui possono competere liberamente senza intaccare la rete fondamentale dei rapporti di potere. Il controllo sociale viene affidato al mercato dei beni di consumo e viene esercitato attraverso la seduzione. I consumatori che emergono da questo contesto socio-culturale 42 G. P. Fabris, Il nuovo consumatore verso il postmoderno, Milano, Franco Angeli, 2003, p. 15. 43 Z. Bauman, Modernita' liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002. 20
  • 22. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 sono obbligati ad essere sempre in movimento, a non fissare mai la propria attenzione su qualcosa in maniera definitiva. Ne deriva la diretta difficoltà a comprendere quale sia la scelta corretta, subentra la paura che tutto cambi e che ci siano sempre scelte migliori. La teoria della dissonanza cognitiva 44 ha spiegato l’effetto dell’incertezza nella scelta fra più opzioni come una condizione di disequilibrio che necessita di essere risolta attraverso l’accumulo di informazioni coerenti con la scelta fatta. Secondo Festinger, quando il decisore si trova di fronte a più opzioni tutte egualmente desiderabili ed è costretto a operare una scelta fra di esse, esperisce una condizione di frustrazione causata dalla necessità di rinunciare ad alternative potenzialmente preferibili. I consumatori sono in perenne stato di eccitazione: il capriccio, prende il posto del desiderio, che a sua volta aveva preso il posto del bisogno. L’attenzione si focalizza sulla novità, sul prodotto innovativo che deve essere consumato istantaneamente, prima che diventi “vecchio”. Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, quanto l'eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni; sono collezionisti di cose solo in senso secondario. 45 Nel consumatore postmoderno riemergono dunque il fascino e la magia del prodotto e della marca, mediati dall’esperienza di consumo; la shopping experience trova un riscontro concreto nelle scelte d’acquisto del cliente, nelle quali diventano protagoniste la ricerca e l’aspettativa di vivere, partecipare ad esperienze che non si esauriscono nelle modalità tradizionali di fruizione. Si definisce la figura di un consumatore eclettico che adotta percorsi sempre più flessibili e variegati rispetto a quelli tradizionali, lineari, per accedere agli acquisti e ai consumi. 46 Nella società postmoderna la tradizionale distinzione tra produzione e consumo tende sempre più ad assottigliarsi; si manifesta la figura di un individuo capace di interagire con le aziende e di ricoprire un ruolo attivo nella progettazione e nella realizzazione di nuovi beni e servizi. L’impresa cresce e si sviluppa in un rapporto di co-evoluzione con il suo pubblico, dal quale attinge saperi e conoscenze maturati nel corso degli anni. Brunetti definisce come segue questa nuova risorsa per le aziende: 44 L. Festinger, Teoria della dissonanza cognitiva, Milano, Franco Angeli, 1998. 45 Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Bari, Laterza, 2002. 46 G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 155. 21
  • 23. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 “Il Customer Knowledge Management si propone essenzialmente di trovare la modalità tramite cui entrare in possesso [...] di un patrimonio di sapere che in precedenza non si pensava nemmeno esistesse, vale a dire la conoscenza che il cliente stesso ha accumulato relativamente al prodotto dell’impresa [...] per poi trasferirlo nella progettazione di prodotti completamente nuovi o di generazioni successive di prodotti esistenti”. 47 Il CKM configurerebbe quindi un processo di tipo bottom-up, dal quale viene valorizzata ed enfatizzata l’esperienza di uso del prodotto unitamente alla creazione della conoscenza da parte del cliente. Si può considerare ad esempio il caso di Amazon.com, la compagnia di commercio elettronico statunitense che sfrutta con successo la conoscenza degli utenti fornendo recensioni di libri, suggerimenti personalizzati in base agli ordini precedenti e classifiche d’acquisto.48 2.2 Dal consumatore passivo al prosumer attivo Con l’introduzione delle nuove tecnologie e della rivoluzione digitale si evolve e si insidia tra gli stakeholder delle imprese una nuova figura: il prosumer attivo, neologismo che coniuga e fonde due termini inglesi, producer e consumer ; sta a significare la riunificazione di due ruoli, quello di produttore e di consumatore, che dall'inizio della rivoluzione industriale si sono inoltrati per percorsi separati. Le aziende ancorate ad obiettivi legati alla vendita avvertono l’esigenza sempre più pressante di un nuovo modo per interagire con i propri consumatori: la relazione tra chi produce e chi compera si traduce così in un coinvolgimento diretto, da parte di quest’ultimo, nelle prime fasi di progettazione. 49 Secondo le definizioni più comuni un prosumer è un consumatore che co-innova e coproduce in ogni parte i prodotti che consuma, interagendo col fabbricante o con consumatori del medesimo prodotto. Se si vuole guardare oltre, i clienti non si limitano a 47 F. Brunetti, Pervasività d’impresa e relazioni di mercato: quale futuro?, Torino, Giappichelli Editore, 2004. 48 M. Gibbert, M. Leibold, G. Probst, Five styles of Customer Knowledge Management, And how smart companies put them into action, URL: http://www.hec.unige.ch/recherches_publications/cahiers/ 2002/2002.09.pdf. 49 G. P. Fabris, Societing: il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea, 2009, p. 279. 22
  • 24. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 modificare o personalizzare le merci; sono in grado di darsi un’organizzazione indipendente il cui unico scopo è creare i prodotti che desiderano. Questa tendenza si è manifestata soprattutto in Rete, grazie ad internet e al passaggio dall’analogico al digitale. Gli utenti più esperti ed emancipati non aspettano che qualcuno li inviti a modificare un prodotto, al contrario, danno vita a community nell’ambito delle quali condividono, confrontano e verificano informazioni riguardanti i prodotti. 50 All’interno di esse si possono individuare quattro personalità 51 :il lurker ricerca e consuma ma non partecipa in alcun modo attivamente; il partecipant inserisce commenti e stimola la creazione di contenuti; l’amateur produce contenuti senza trarne un ritorno economico; il professional fa lo stesso ma con l’obiettivo di guadagnarsi da vivere. Appare evidente come in questi ultimi anni sia cambiato il pensiero, l’atteggiamento e il comportamento del consumatore-utente. Stiamo assistendo ad una inversione di tendenza rispetto al passato secondo cui il consumatore di un prodotto doveva adeguare la propria vita al prodotto o al servizio desiderato; oggi sono i prodotti che devono essere adeguati alle esigenze e al modo di vivere del consumatore. Fig. 2.1 Le personalità individuabili nella figura del prosumer 52 50 http://www.wikiculture.net/2010/12/30/libera-il-prosumer-in-te/ (Consultato il 28 Ottobre 2011). 51 Vedi Fig. 2.1. 52 http://digado.nl/user-generated-content-20-the-prosumer.html (Consultato il 28 Ottobre 2011). 23
  • 25. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 La facoltà di scegliere tra numerose soluzioni di qualità, conferisce potere al consumatore, ed un cliente dotato di potere, diviene fedele nella misura in cui gli vengono offerti prodotti e servizi su misura. L’avvento delle nuove tecnologie ha portato ad una progressiva riduzione dell’efficacia pubblicitaria attraverso i canali tradizionali; i nuovi contenuti multimediali mettono le informazioni personali e l’accesso alla rete nelle mani dei consumatori e ne consolidano il senso di crescente autonomia, rendendo disponibili informazioni sempre più precise e personalizzate su cui basare le singole decisioni d’acquisto. 53 Per le aziende più evolute un coinvolgimento diretto del prosumer in molte decisioni è già realtà. Non si tratta soltanto di una produzione più aderente ai bisogni dell’utenza ma la delega a questa di input progettuali disseminati lungo tutta la filiera del consumo. In particolare consumatore più forti (heavy users) e più competenti detengono conoscenze che spesso sopravanzano quelle interne alle aziende. Il caso Nike Nike, in occasione del lancio del sito nikeid.com, installò nell’incrocio di Times Square a New York un maxi schermo dove i passanti potevano progettare la loro scarpa attraverso l’utilizzo degli sms. Una volta definiti i dettagli, l’immagine veniva immediatamente inviata sul cellulare insieme all’indicazione del sito dove l’utente poteva procedere all’acquisto. Nel frattempo la scarpa oggetto del desiderio prendeva forma sullo schermo, creando un coinvolgimento indiretto verso i city user che non partecipavano attivamente al designing interattivo. 54 53 http://ideoo.wordpress.com/2011/01/04/ideoo-le-origini-il-consumattore-part-1/ (Consultato il 7 Novembre 2011). 54 http://www.technekai.com/nike/nikeid.html (Consultato il 7 Novembre 2011). 24
  • 26. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Il caso Fiat 500 Per celebrare il successo dell’iniziativa di un’altra importante azienda made in italy, si può annoverare il recente caso Fiat. Quest’ultima, nella messa a punto delle campagne pubblicitarie e nella progettazione della nuova 500, ha realizzato un grande laboratorio (500 wants you) on line dove gli utenti hanno potuto interagire fra loro, inviando allo stesso tempo contributi in termini di aspettative e preferenze sino a vere e proprie soluzioni progettuali, le quali sono state attentamente vagliate. All’interno del sito il blog “500logia” ha consentito la raccolta di informazioni con racconti e immagini prodotti dall’utenza; si è creato un concept lab all’interno del quale sono pervenute migliaia di configurazioni, spunti e soluzioni estetiche, il tutto finalizzato alla registrazione e all’implementazione di nuove idee. 55 Il caso Lego Mindstorms Lego Mindstorms è un progetto nato nel 1998 grazie alla collaborazione del celebre M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, finalizzato alla realizzazione di robot giocattolo controllabili a distanza. In poche settimane dal lancio, singoli utilizzatori e gruppi di appassionati avevano smontato e riprogrammato sensori, motori e sistemi di controllo, condividendo i propri sviluppi all’interno delle prime comunità specializzate in materia. Inizialmente l’azienda decise di intervenire legalmente 55 http://www.fiat500.com (Consultato il 7 Novembre 2011). 25
  • 27. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 contro alcuni consumatori, ma in un secondo momento, constatato il successo del prodotto e le potenzialità creative del proprio target, decise di creare una community 56 all’interno del proprio sito mediante la quale gli utenti avevano la possibilità di confrontarsi su tematiche inerenti l’elaborazione di istruzioni di programmazione e codici software. Nel 2006, grazie ai risultati ottenuti, è stata rilasciata una nuova versione del prodotto: la serie Mindstorms NXT. Con questo progetto, al quale hanno preso parte quattro tra i più prolifici e stimati membri della community, Lego ha deciso di fornire in open source il firmware 57 per l'NXT Intelligent Brick (il processore centrale che gestisce tutte le operazioni). La possibilità di modificare direttamente il giocattolo e programmarlo a proprio piacimento, unitamente ad una serie di attività collaterali (raduni annuali di appassionati, competizioni e premi) di matrice comunicativa, ha fatto in modo che l’identificazione col brand venisse ulteriormente rafforzata e stimolata. Partecipare alla creazione di questi contenuti è un atto che offre ai consumatori l’impressione di avere un maggior controllo sui propri consumi e sulla propria esistenza. I consumatori contemporanei usano il mercato come strumento per acquisire potere e rafforzare così la propria autostima, allo stesso modo in cui gli impiegati, nel recente passato, usavano il posto di lavoro per sviluppare la propria identità. Il risultato finale è quello che viene definito “consumer empowerment”, ovvero trasferimento di potere al consumatore.58 56 http://mindstorms.lego.com (Consultato il 2 Dicembre 2011). 57 Il firmware è un programma, inteso come sequenza di istruzioni, integrato direttamente in un componente elettronico nel senso più vasto del termine (integrati, schede elettroniche, periferiche). Lo scopo del programma è quello di avviare il componente stesso e consentirgli di interagire con altri componenti tramite l'implementazione di protocolli di comunicazione o interfacce di programmazione. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Firmware (Consultato il 2 Dicembre 2011). 58 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-convenzionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2007, p. 203. 26
  • 28. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 2.3 I bisogni del consumatore 2.0 La crescente popolarità di servizi orientati al coinvolgimento degli utenti si è concretizzata nel fenomeno Web 2.0, ovvero un indefinito stadio evolutivo della rete abilitato da strumenti quali blog, wiki, social network, condivisione di contenuti e messaggistica istantanea. Le tradizionali piattaforme di knowledge management si aprono all’integrazione di contributi spontanei e alla condivisione di conoscenza non strutturata; le community dedicate al brand o ai prodotti, con la volontà di dare voce ai clienti, generano “conversazioni” sempre più interattive e veloci. 59 Il cliente diventa utente, non esistono più la distribuzione, il prezzo, il prodotto e la promozione per come essi sono stati concepiti e tradizionalmente intesi dal marketing tradizionale. Il nuovo web, sociale e partecipativo, dinamico e in presa diretta, ne ha profondamente modificato il valore semantico generando nuove leve di marketing 60 . Nuovi contributi teorici hanno preso il posto di modelli passivi e nozioni obsolete; l’individuo viene proiettato in una dimensione futuristica, caratterizzata dalla presenza di bisogni e relazioni completamente differenti rispetto al passato. Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di “Hierachy of Needs” (gerarchia dei bisogni o necessità). 61 Questa scala di bisogni fu suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell’individuo) ai più complessi (di carattere sociale); all’interno di essa la realizzazione dell’individuo si manifestava passando per i vari stadi che, se non soddisfatti, non consentivano una progressione. Questa scala è internazionalmente riconosciuta come “La piramide dei bisogni di Maslow” ed individua i seguenti stadi: I. Bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo, sono i bisogni fondamentali, connessi con la sopravvivenza. II. III. Bisogni di sicurezza: devono garantire all’individuo protezione e tranquillità. Bisogno di appartenenza: consiste nella necessità di sentirsi parte di un gruppo, di essere amato, di amare e di cooperare con gli altri (è molto sentito dall’adolescenza). 59 L. De Felice, Marketing conversazionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2010. 60 Vedi Capitolo 3.1. 61 A. Maslow, Motivation and Personality, New York, Harper, 1954. 27
  • 29. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 IV. Bisogno di stima: riguarda il bisogno di essere rispettato, apprezzato ed approvato, di sentirsi competente e produttivo. V. Bisogno di autorealizzazione: inteso come l’esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo. Alcuni studiosi hanno teorizzato una probabile evoluzione della scala di Maslow: il benessere che ha contraddistinto le fasi finali del ventesimo secolo ha favorito la capacità nell’uomo di raggiungere facilmente il quinto livello e iniziare a scalare nuove piramidi con un andamento ciclico similare, ma con obiettivi sempre più sfidanti e inerenti la nuova realtà circostante. Interessante è stato il contributo offerto nel 2007 da Luca De Felice, il quale ha creato una nuova piramide che potesse essere di attualità per tutte le persone connesse ad internet e per l’introduzione delle nuove tecnologie legate al Web 2.0. 62 La piramide “COSMA” (acronimo formato dai cinque scalini che la compongono) 63 si compone dei seguenti livelli: I. Bisogno di connessione: l’individuo contemporaneo sente la costante esigenza di essere reperibile e connesso con il mondo circostante. Senza PC non si può lavorare, senza cellulare non si può addirittura uscire di casa. La pervasività di questi strumenti nel mondo di oggi è in continuo aumento, correlata allo sfrenato utilizzo da parte delle II. nuove generazioni. Bisogno di orientamento digitale: GPS (Global Positioning System), e-mail, Wi-Fi, iPod, chiave dati USB; piccoli strumenti che sono ormai diventati scontati, delle vere e proprie commodity. La generazione moderna si avvale dell’utilizzo di questi oggetti tecnologici in ogni momento della giornata e la mancanza di essi può portare a generare un senso di profondo smarrimento. III. Bisogno di socialità: strumenti di Social Networking (e.g. MySpace, LinkedIn), Social Software (e.g. Twitter, Facebook), Mobile Social Software (Mo.So.So. come Jaiku), Game Console (e.g. Wii, Xbox360, PS3). Vengono identificati tutti quei software e hardware che permettono di crearsi una community, appartenere ad un gruppo ed interagire con altre persone. 62 L. De Felice, Marketing conversazionale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2010, pag. 9. 63 Vedi Fig. 2.2. 28
  • 30. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 IV. Bisogno di medialità: Blog, Do It Yourself Media (e.g. YouTube). Necessità edonistica di essere visibili, di partecipare attivamente tramite strumenti cross-mediali. V. Bisogno di autocelebrazione: Home Theater, TV LCD Full HD, vivavoce bluetooth integrato nell’auto. Strumenti che danno alla persona, oltre che piacevolezza nel loro utilizzo, un senso di appagamento e realizzazione. In rete la ricerca dell’autorealizzazione personale si manifesta in una modalità più complessa e coinvolge tutte le “tracce” digitali che l’utente lascia nel web. Grazie alla proliferazione di account e profili personali, emerge un nuovo paradigma comunicativo, quello dello human broadcaster, in cui il bisogno di autocelebrazione s’incarna negli status update dell’individuo. Nasce il Real-Time Web caratterizzato dagli aggiornamenti in tempo reale che ne incarnano l’essenza. Il contesto tecnologico e, quindi, sociale ed economico di questi anni è in profondo mutamento e alcuni strumenti sono entrati nelle nostre abitazioni tanto da poter essere considerati dei veri e propri bisogni. Fig. 2.2 Dalla piramide dei bisogni di Maslow alla piramide C.O.S.M.A. 64 64 Rivisitazione personale in forma grafica del passaggio tra la piramide dei bisogni di Maslow, per la quale un individuo si realizza passando per i vari stadi che devono essere soddisfatti in modo progressivo, e la piramide C.O.S.M.A., che identifica i bisogni virtuali dati dal ciclo di vita tecnologico di una persona connessa alla Rete. 29
  • 31. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 2.4 Tribù e comunità virtuali La società postmoderna si manifesta come un tessuto composto da micro gruppi societari in cui gli individui stabiliscono forti legami emotivi, esperienze simili, sottocultura comune, visione del mondo condivisa. Maffesoli, tra i primi studiosi del neotribalismo, propone l’uso della parola “tribù” per descrivere la socialità contemporanea, sia nel ritorno di valori che si supponevano arcaici, sia attraverso la rinascita delle comunità. “La modernità individualista, razionalista e progressista è defunta, siamo entrati nel "tempo delle tribù", e questa “tribalizzazione” del mondo non è affatto una moda effimera venduta da una qualche multinazionale del divertimento. Essa indica in realtà il ritorno alla normalità: le ideologie moderne, che credevano di poter ridurre la persona ad individuo calcolatore, il legame sociale a contratto razionale e la storia a progresso in marcia, sono state smentite dai fatti”. 65 In primo piano non viene quindi posto l’individuo, bensì la partecipazione a qualcosa di collettivo. Tutto ciò restituisce significato alla dimensione comunitaria e selvaggia dell’esistenza, mentre induce il soggetto a perdersi in corpi sociali multipli: gruppi sportivi, musicali, religiosi, che accrescono la fusione ma anche la confusione sociale. Sintetizzando gli elementi fin qui introdotti, risulta evidente che la nozione di tribù, inscindibile dall’idea di tribalismo, rinvia ai seguenti concetti: I. arcaismo e rinascita dell’elemento selvaggio nelle società; II. III. perdita di identità da parte del soggetto in una collettività di impronta comunitaria; costituzione di gruppi di individui che non sono uniti da una scelta razionale di tipo moderno (il contratto sociale 66 ), ma piuttosto da valutazioni emotive o estetiche (tribù di tipo affettivo) dettate da un determinato status sociale; 65 M. Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell'individualismo nelle società postmoderne, Guerini e Associati, 2004. 66 Il contratto sociale è alla base della nascita della società, ossia di quella forma di vita in comune che sostituisce lo stato di natura, in cui gli esseri umani vivono in una condizione di instabilità e insicurezza per la mancanza di regole riguardo a quelli che sono i loro diritti e doveri. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/ Contratto_sociale (Consultato il 25 Novembre 2011). 30
  • 32. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 IV. forte ritualizzazione di tali raggruppamenti (codici, gerghi, mode, stili, etc.). 67 Differentemente dal significato primitivo che il concetto di tribù abitualmente veicola, qualsiasi membro di un gruppo è completamente libero di entrarne a far parte oppure di uscirne in qualsiasi momento, può partecipare alle discussioni di innumerevoli neotribù diverse ed esprimere le proprie opinioni a seconda della situazione o dell’argomento. “Una tribù postmoderna (o neotribù) è un insieme di individui non necessariamente omogeneo (in termini di caratteristiche sociali obiettive), ma interrelato da un’unica soggettività, una pulsione affettiva o un ethos in comune. Tali individui possono svolgere azioni collettive intensamente vissute, benché effimere”.68 Nel mondo digitale la condizione di stabilità viene sgretolata nei suoi fondamenti, così come accade sovente nei mercati globali ad elevato dinamismo competitivo, ove si affermano le condizioni caratteristiche della time-based competition e le tradizionali azioni di segmentazione, targeting e posizionamento perdono di efficacia, non trovando la necessaria solidità di supporto. Le imprese, non riuscendo a rincorrere i fenomeni che si succedono con rapidità crescente, devono scegliere di accettare come data l’instabilità dei mercati, assimilandola e cercando di governarla con un adeguato sistema di offerta capace di sfruttare la dinamica dei comportamenti di acquisto mediante lo sviluppo organizzato di profili di offerta destinati ad aggregare di continuo bolle di domanda. 69 Differentemente da ciò che avviene per queste ultime, le quali nascono e si estinguono a seguito di un preciso stimolo aziendale e si contraddistinguono per l’aggregazione temporanea di consumatori differenti, le tribù sono fondamentalmente dei network di persone eterogenee, legate da passioni o emozioni condivise, capaci di azioni collettive e non per ultimo da una scelta di associazione compiuta su base volontaria. Possiamo citare ad esempio i tifosi di una squadra di calcio, i fanatici degli sport estremi (snowboarding 70), le associazioni in difesa di qualcosa, gli appassionati di cucina, etc. 67 B. Cova, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo, Milano, Il Sole 24 Ore, 2003, p. 17. 68 Ivi, p. 18. 69 M. Corniani, Market, Segment and Demand Bubbles, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2005. 70 Vedi Box 2.7. 31
  • 33. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 La visione consumistica generale cambia: attraverso l’acquisto essi cercano di dare un senso alla propria vita, mirano a trovare appagamento nell’utilizzo del bene non solo dal punto di vista funzionale, generando o rafforzando i legami con altri individui. Di conseguenza non sono rari i casi in cui il valore realmente percepito dai consumatori non dipenda più solo dalla configurazione o dalla qualità del prodotto (che restano comunque importanti), bensì dal volume e dall’intensità dei legami che grazie a quest’ultimo può sviluppare. Laddove tribù differenti si aprono 71 , al fine di cogliere nuove opportunità di arricchimento reciproco o per avere le dimensioni necessarie per confrontarsi a vario titolo con soggetti altrimenti troppo grandi rispetto ad esse, nasce la comunità. “Per comunità virtuale si deve intendere un gruppo di soggetti (singoli individui, ma pure aziende od enti e istituzioni, che comunque vi partecipano per il tramite di loro rappresentanti) che condividono un interesse comune; le modalità pratiche che favoriscono l’interscambio tra i componenti la comunità e tra gli stessi e le aziende che la promuovono si concretizzano nella posta elettronica, nei forum di discussione (piazze virtuali), nelle liste, nelle bacheche e nei blog”. 72 Fig. 2.3 Differenza tra Comunità e Tribù nel web 2.0 73 71 Vedi Fig. 2.3. 72 F. Gnecchi, M. Corniani, Bolle di domanda, comunità virtuali e potenziale di domanda, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2003. 73 Fonte: Adacto Anima Gigitale (agenzia di comunicazione specializzata nella realizzazione di progetti di comunicazione crossmediali), Le invasioni digitali. La convivenza tra comunità e tribù. 32
  • 34. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Affinché una virtual community abbia successo, è necessario che attragga e mantenga un numero di membri adeguato a renderla interessante, utile e funzionale; di conseguenza, chi ha il compito di strutturare la comunità deve focalizzare l’attenzione sugli specifici benefici di cui i membri possono godere facendone parte altrimenti l’intero progetto sarà destinato al fallimento. Diversi sono i motivi che spingono gli internauti a diventare parte di una community: ricerca di informazioni e supporto, acquisto di prodotti o servizi, desiderio di interazione con altri membri e di esprimere le proprie idee, o semplicemente voglia di divertimento e svago. Preece 74 identifica quattro obiettivi fondamentali delle online communities, basati sui compiti che una virtual community dovrebbe adempiere: I. sviluppare e implementare un sistema informativo, offrendo la possibilità di trovare le risposte alle proprie domande o, semplicemente, acquisire dati in merito ad una determinata ricerca; II. fornire di un supporto, in termini non esclusivamente quantitativi, ma anche con risvolti empatici e con coinvolgimento emotivo; III. rendere possibile una comunicazione e socializzazione informale, attraverso mezzi di comunicazione simultanea; IV. favorire la discussione delle proprie idee e proposte, con la supervisione da parte di un moderatore. In questo senso, Bressler e Grantham suggeriscono che, facendo parte di una community, sia reale che virtuale, gli utenti mirino ad appagare dei bisogni fisiologici di base, classificabili secondo quattro categorie 75: I. identificazione; II. III. desiderio di appartenenza ad un’unità organica; coinvolgimento; IV. ricerca di rapporti relazionali. Tali categorie di bisogni mirano a rispondere, rispettivamente, alle domande “Chi sono?”, “Di cosa faccio parte?”, “Cosa mi permette di essere connesso con il resto del mondo?”, e 74 J. Preece, “Online communities: Designing usability, supporting sociability”, Wiley, Chichester, 2000. 75 S. Bressler, C. Grantham, Community of commerce, McGraw-Hill, New York, 2000. 33
  • 35. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 “Quali relazioni hanno importanza per me nel mondo?”. Un altro fattore che riveste un ruolo importante, come affermano Armstrong e Hagel, è la fantasia: il contesto del network online concede l’opportunità ai membri di “incontrarsi” ed esplorare insieme nuovi mondi “fantastici” in cui possono sperimentare nuove identità ed esperienze, in un gioco di ruolo in cui tutto sembra possibile.76 Stabiliti i fattori che spingono un individuo a far parte di una community, è necessario chiarire quelli che costituiscono il processo di identificazione come membri attivi. Due sono le componenti principali e interdipendenti di questo processo: in primo luogo, gioca un ruolo fondamentale la relazione che l’individuo ha con l’attività di consumo in questione (nel nostro caso, l’attività in ambito turistico: quanto spesso viaggia, quali strutture alberghiere e ristoranti frequenta, e così via); il secondo fattore consiste nell’intensità del coinvolgimento relazionale che l’individuo vive nei confronti degli altri membri della virtual community. Come si deduce da quanto detto, non è cosa facile delineare in maniera chiara quali sono tutti i bisogni che chiedono d’esser soddisfatti tramite l’appartenenza ad una comunità virtuale, e soprattutto quale peso ciascuno di essi assuma nelle dinamiche di comportamento di ciascun membro. A tal proposito, può risultare utile analizzare il modello proposto da Wang, Yu e Fesenmaier, che classifica i bisogni dei membri di una comunità virtuale in tre categorie 77 : funzionali, sociali e psicologici. 78 I. Bisogni funzionali: nascono dalla necessità di svolgere specifiche attività online e vengono soddisfatti grazie alle risorse messe a disposizione dalla virtual community per i proprio membri. Può trattarsi di effettuare una prenotazione presso una struttura alberghiera come anche di una semplice ricerca di informazioni tramite il network della comunità. II. Bisogni sociali: le comunità virtuali offrono la possibilità ai membri che ne fanno parte di entrare in relazione tra loro, comunicare e condividere esperienze, dando in tal modo luogo allo sviluppo di interazioni e relazioni. Si viene così a creare un clima di fiducia reciproca tra i membri della comunità che alimenta il processo comunicativo. 76 A. Armstrong, J. Hagel, Net gain: Expanding markets through virtual communities, MA: Harvard Business School Press, USA, 1997. 77 Vedi Fig. 2.4. 78 Y. Wang, Q. Yu, D. R. Fesenmaier, Defining the virtual tourist community: implications for tourism marketing, in Tourism Management 23, National Laboratory for Tourism and e- Commerce, Department of Leisure Studies, University of Illinois at Urbana-Champaign, USA, 2002. 34
  • 36. La brand reputation online nella social media world culture III. Mattia Balini 732780 Bisogni psicologici: Oltre ai bisogni funzionali e sociali, le comunità virtuali sono in grado di soddisfare anche alcuni bisogni psicologici, facendo sì che le community diventino parte integrante della vita dei membri stessi. E’ soprattutto per questo motivo che quello delle virtual communities è diventato un modello di business molto interessante ed affermato. In particolare, i bisogni psicologici che vengono normalmente soddisfatti dall’esser parte di una comunità virtuali sono contenuti in quei bisogni fisiologici messi in luce dagli studi di Bressler e Grantham, ovvero “identificazione, desiderio di appartenenza ad un’unità organica, coinvolgimento, ricerca di rapporti relazionali” 79 . Fig. 2.4 Modello di Wang, Yu e Fesenmaier, rielaborato graficamente dall’autore Il grado di soddisfazione dei bisogni psicologici può variare da una comunità all’altra, e possono esserci organizzazioni che si concentrano solo su alcuni di essi ma, come afferma Wang, “la forza di una virtual community risiede proprio nella capacità di soddisfare un insieme multiplo di bisogni simultaneamente”. Se l’utente riesce a soddisfare tutti i suoi bisogni facendo parte di una sola community, aumenterà il suo senso di appartenenza e la 79 S. Bressler, C. Grantham, Community of commerce, McGraw-Hill, New York, 2000. 35
  • 37. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 brand loyalty verso l’organizzazione, dando vita ad un processo che si traduce, da un punto di vista aziendale, in un aumento di redditività nel lungo termine. 2.5 L’epoca delle neotribù Comunità e tribù condividono di fatto emozioni, valori, obiettivi, identità, senso di appartenenza, simboli, opportunità e minacce; fanno la differenza l’identità degli scambi e delle relazioni, il numero dei membri e il livello di strutturazione delle regole e dei comportamenti. Si parla di tribù come un insieme di microgruppi societari in cui viene condiviso all’incirca lo stesso tipo di affettività; per citare un esempio si può pensare sia ai tifosi del Milan Club di Seregno che si ritrovano ogni settimana per festeggiare la propria squadra del cuore, sia all’insieme di neotribù analoghe su tutto il territorio italiano. Si passa così dalla neotribù alla costellazione neotribale 80, la cui formazione si manifesta o meno grazie a grandi adunate. Accanto a questo concetto, vengono affiancate due recenti categorie proposte dalla letteratura critica americana sul marketing: le sottoculture di consumo (subcultures of consumption) e le comunità di marca (brand communities). Il primo termine, coniato da Shouten e McAlexander, venne pubblicato nel 1995 dall’università di Chicago. “Distinct subgroup of society that self selects on the basis of a shared commitment to a particular product class, brand, or consumption activity”. 81 Una sottocultura di consumo riunisce individui che condividono la stessa cultura, specifica o addirittura deviante rispetto alla cultura predominante. Identifica quel nucleo di consumatori più insito e radicato nella società, un gruppo definito di appassionati che si costruiscono all’unisono una realtà al di fuori del sistema dominante. Tra i casi più rappresentativi vi è 80 Termine indicato per sottolineare il basso grado di strutturazione proprio dell’insieme (Vedi Fig. 2.3). B. Cova, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo, Milano, Il Sole 24 Ore, 2003. 81 J. W. Schouten, J. H. McAlexander, Subcultures of Consumption: An Ethnography of the New Bikers, The University of Chicago Press, Vol. 22, No. 1, Jun., 1995, pp. 43-61. 36
  • 38. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 quello di Harley Davidson 82 , il quale è stato oggetto di una ricerca etnografica durata tre anni e dalla quale è stato elaborato l’articolo citato in precedenza. Il caso Harley Davidson Il sistema sottoculturale dei bikers e dell’oggetto di culto Harley Davidson nacque negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. Il logo del brand richiama i valori condivisi dai possessori del prodotto: l’aquila come simbolo di libertà personale e il distintivo per identificare la figura autoritaria. La comunità originaria venne riconosciuta nell’Hells Angels Motorcycle Club 83 , un’associazione motociclistica i qui membri montano tradizionalmente Harley Davidson. Questi ultimi, negli anni sessanta, si fecero riconoscere nella società in molteplici occasioni, suscitando la curiosità ma più di frequente l’indignazione dell’opinione pubblica del tempo. Il modo di vestire, i vistosi ed esagerati tatuaggi, le lunghe barbe e capelli, le idee politiche, la robusta corporatura, contribuirono a creare l’identikit del consumatore medio Harley Davidson. In seguito, nel 1983, venne fondato dai proprietari delle motociclette un nuovo gruppo, sponsorizzato dalla casa madre e che attualmente si classifica come la più grande associazione di moto monomarca al mondo: la Harley Owners Group 84 (l’acronimo HOG è inoltre un voluto gioco di parole, visto che la parola nello slang USA significa maiale, cinghiale selvatico). Secondo lo statuto di quest’ultima, lo scopo della HOG è quello di offrire benefici e servizi agli appassionati del prodotto nel mondo, sviluppando una stretta relazione tra i consumatori, i concessionari e la società Harley Davidson Motor Company. 85 82 Vedi Box 2.5. 83 http://it.wikipedia.org/wiki/Hells_Angels (Consultato il 6 Dicembre 2011). 84 http://it.wikipedia.org/wiki/Harley_Owners_Group (Consultato il 6 Dicembre 2011). 85 Fonte: http://diblas-udine.blogautore.repubblica.it/2010/09/01/appuntamento-al-faakerseeper-40-000-harley-davidson/ (Consultato il 6 Dicembre 2011). 37
  • 39. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Una comunità di marca è molto meno “deviante” ed “estrema” rispetto ad una sottocultura di consumo. Una comunità di marca è specializzata ma non limitata dal punto di vista geografico, si forma intorno a un prodotto o a un servizio di marca ma allo stesso tempo non si basa su un insieme strutturato di rapporti sociali fra i cultori dello stesso brand. 86 I membri di tale comunità sono consapevoli di essere legati da un prodotto di massa, trovano ragionevole questa visione “consumeristica” ma allo stesso tempo non vogliono che venga fraintesa o interpretata come una sorta di predisposizione fanatica o attaccamento morboso verso una marca (ciò non toglie che possano verificarsi dei dialoghi al limite dell’intolleranza, sia online che offline). Il caso MINI MINI è un esempio di brand che è riuscito a “sintonizzarsi” fin da subito col il proprio pubblico, superando di gran lunga la concezione di un mero mezzo di trasporto e diventando un serbatoio di esperienze ed emozioni. Grazie al restyling proposto nel 2002 da BMW, l’azienda è riuscita a costruirsi una forte brand identity facendo leva sugli elementi caratteristici che l’avevano resa forte negli anni ’60 e le tendenze che dominano il mercato automobilistico del giorno d’oggi. Un elevato livello di personalizzazione del prodotto, unitamente a valori come passione, sportività, ironia e personalità estroversa, rappresentano i punti chiave del successo della marca e dell’elevato livello di identificazione dei suoi consumatori con il prodotto. L’azienda ha investito gran parte delle sue risorse di marketing per un’attività di comunicazione che non fosse limitata ai canali tradizionali, cercando costantemente di coinvolgere i suoi clienti in un progetto interattivo a lungo termine: nel 2003 grazie ad un concorso online per l’ideazione di una campagna pubblicitaria; nello stesso anno, in concomitanza con l’uscita del film “The italian job” 87 , attraverso una sezione del proprio sito 88 86 A. M. Jr. Muniz, T. C. O’Guinn, Brand Community, Journal of Consumer Research, Vol. 27, No. 4, March 2001, pp. 412-32. 87 The Italian Job è un film del 2003 diretto da F. Gary Gray, uscito in Italia l'11 luglio dello stesso anno. Grazie ad una strategia di product placement, MINI ha posizionato nelle scene di questa pellicola cinematografica le proprie vetture. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/The_Italian_Job_(film_2003) (Consultato il 9 Dicembre 2011). 88 http://www.mini.it (Consultato il 9 Dicembre 2011). 38
  • 40. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 riservata alla creazione di piccoli filmati con la vettura come protagonista; negli anni successivi grazie all’ideazione di “MINI WORLD” 89 e di un social media network 90 ufficiale. In tutto il mondo sono inoltre presenti numerose comunità virtuali 91 legate al mondo MINI ed eventi 92 organizzati intorno al brand. 93 I dati del 2010 94 pubblicati da BMW Group confermano la bontà delle strategie adottate dalla casa automobilistica: incremento di MINI con 234.175 auto vendute pari ad un +8.1% (da 216.538) rispetto all’anno precedente. Il mercato del brand è stato spinto in parte dalla nuova Countryman (14.337 unità) di recente commercializzazione, dalla MINI hatch (+3.9% con 155.841 unità) e dalla sua versione cabrio (+15.5% e 32.680 unità). Dai concetti fin qui espressi si evince quindi una differenza evidente tra sottocultura di consumo e comunità di marca: la prima contraddistinta da una passione estrema, una sorta di scuola di pensiero o dottrina filosofica con dei simboli e dei valori ben definiti; la seconda 89 Sezione del sito all’interno della quale l’utente può: partecipare alla community ufficiale; ricevere news e aggiornamenti relativi a nuovi eventi, premi, modelli, scelte innovative; reperire informazioni in merito a tutto quello che riguarda la responsabilità sociale dell’impresa; scaricare files; personalizzare l’autovettura; prenotare un test drive e scoprire le tappe del tour italiano attraverso fotografie e video. Fonte: http:// www.mini.it (Consultato il 9 Dicembre 2011). 90 Condivisione di contenuti testuali, immagini, video e audio all’interno dei social network principali (Facebook, Twitter, Google Plus) e su YouTube. 91 Solo in Lombardia si può menzionare New MINI Autoclub Italia, MINI & COOPER Club, MINI COOPER Garage e Club MegaMINI. 92 Tra i più importanti in Italia: MINI United a Misano Adriatico e MINI Mucchio a Franciacorta (Brescia). 93 http://www.mini.it/community/index.html (Consultato il 10 Dicembre 2011). 94 BMW Annual Report 2010. Fonte: http://annual-report.bmwgroup.com/2010/gb/files/pdf/en/ BMW_Group_AR2010.pdf (Consultato il 10 Dicembre 2011). 39
  • 41. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 caratterizzata da un’ammirazione più o meno intensa verso una marca o una pratica. Al centro di questa divisione socio-culturale si colloca la definizione di costellazione neotribale o tribù 95 , la quale può formarsi intorno ad un prodotto, un brand, una pratica oppure una passione. Fig. 2.4 Tre concetti interconnessi che illustrano la socialità postmoderna 96 Rappresenta molto più di una “collettività di consumo”: si colloca contemporaneamente all’interno e al di fuori dell’ambito commerciale; necessita di prodotti, luoghi di scambio e servizi per svolgere i rituali che rafforzano l’identità unanime dei suoi membri; i legami sociali di chi vi partecipa compongono il suo nucleo centrale. Si assiste ad una 95 Vedi Fig. 2.4. 96 B. Cova, Il marketing tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing Mediterraneo, Milano, Il Sole 24 Ore, 2003, p. 26. 40
  • 42. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 ricomposizione sociale sulla base di libere scelte emotive, dove gli individui si radunano intorno ad un totem 97, tipico della tribù arcaica ma sotto vesti nuove ed inedite. La tribù degli Snowboarder Grazie ad una semplice anima di legno provvista di lamine e soletta in materiale sintetico, lo snowboard 98 , nato intorno agli anni sessanta negli Stai Uniti con il nome di snurfer (fusione tra snow e surfer), è riuscito a fare milioni di proseliti nel mondo e a creare una vera e propria tribù di appassionati. Il totem viene identificato nella pratica sportiva, intorno alla quale si sviluppano una serie di attività online e offline 99 . Nel corso degli anni, soprattutto nel Nord America, questa disciplina è diventata un punto di riferimento per le generazioni più giovani, ha assunto i caratteri tipici di uno stile di vita con relativi valori e rappresentazioni simboliche. Il modello da esportazione statunitense ha contribuito a creare nella società lo stereotipo dello snowboarder: look trasandato, pantaloni larghi, t-shirt di una taglia o due più grande, felpa, scarpe con una parte in gomma molta alta, cappello con visiera piatta indossato in modi inusuali; la musica ascoltata spazia dal rock al reggae, mentre la scelta dei materiali, degli indumenti sportivi e dell’abbigliamento quotidiano ruota intorno ad una serie di brand (Burton, New Era, Vans, etc.) che nel tempo si sono accostati ai praticanti di questo sport. Sovente la comunità ha espresso aspre critiche in merito agli spazi limitati dedicati agli snowboarder da parte delle stazioni sciistiche, visto il crescente interesse della gente verso questo sport; questo ha contributo a creare una coesione d’intenti e a rafforzare lo spirito della tribù verso un obiettivo comune: la crescita del numero di snow park dove poter affinare le proprie tecniche, cimentarsi in nuove evoluzioni, allenarsi e divertirsi organizzando feste ed eventi a tema. 97 In antropologia, un totem è un'entità naturale o soprannaturale che ha un significato simbolico particolare per una singola persona o clan o tribù, e al quale ci si sente legati per tutta la vita. Il termine deriva dalla parola ototeman, usata dai nativi americani Ojibway. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Totem (Consultato il 7 Dicembre 2011). 98 http://it.wikipedia.org/wiki/Snowboard (Consultato il 7 Dicembre 2011). 99 Vedi Fig. 2.5. 41
  • 43. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Fig. 2.5 Lo Snowboarder dentro e fuori la Rete, rielaborato graficamente dall’autore 2.6 La consumerizzazione Le aziende di oggi si trovano di fronte ad un nuovo fenomeno, il quale vede la trasformazione e la rimodulazione del patrimonio informativo, ad opera delle tecnologie e dei servizi fruibili tramite web dalla classe di consumatori. Queste ultime comprendono la vasta gamma di applicazioni cloud-based e mobile, online social network, media interattivi e dispositivi mobili intelligenti. Nonostante queste soluzioni creino sfide tecnologiche per la gestione aziendale delle operazioni di information technology, al tempo stesso si aprono nuove opportunità di mercato, viene alimentato il potere dei dipendenti e si assottigliano i confini tra lavoro e ambiente domestico. Sovente indicata come la "consumerizzazione dell'IT", questa tendenza crea un nuovo approccio sfidante alla sicurezza delle grandi imprese, alla gestione e alle strategie di automazione. 42
  • 44. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Per meglio comprendere le opportunità e gli effetti di questo fenomeno, IDC 100 ha effettuato due indagini parallele a livello globale: la prima avente come campione oggetto di studio alcuni top manager IT di aziende con fatturato superiore a 1 miliardo di dollari, direttamente responsabili o in grado di influenzare la strategia della propria organizzazione a livello di informatizzazione; la seconda i consumatori più attenti al mondo dell’high tech. Queste indagini hanno esaminato il grado con il quale l’apporto tecnologico dei clienti sta trasformando il posto di lavoro e il modo in cui i leader devono proteggere, gestire e automatizzare le operazioni, a fronte di economie di scala senza precedenti e la crescente aspettativa degli utenti di accedere ovunque e in ogni momento a servizi di business webbased e mobile. 101 I risultati ottenuti hanno rivelato che, mentre la “consumerizzazione dell’IT” crea molteplici nuove opportunità, fra cui una maggiore produttività dei dipendenti, migliori interazioni con i clienti, processi decisionali e operatività più rapidi e agili, allo stesso tempo pone notevoli problemi dal punto di vista della sicurezza e della gestione dell’information technology. La diffusione del cloud computing fra l’utenza consumer è già una realtà; l’adozione di questi servizi sta inaugurando una nuova era dell’informatica in cui, come dichiarato da Dave Hansen, general Manager per Enterprise Solutions & Cloud Management di CA Technologies, “i CIO 102 subiscono notevoli pressioni per soddisfare il fabbisogno pervasivo e contingente di dati e servizi da parte degli utenti aziendali”.103 Il cloud computing consente una maggiore agilità e offre alle organizzazioni la possibilità di innovare l’offerta di prodotti o servizi. I CIO non possono più permettersi di fare a modo loro, dato che la nuova generazione di lavoratori e clienti esige di essere “always-on, always connected” 104. 100 IDC (International Data Corporation), fondata nel 1964 da Pat McGovern, è il gruppo leader a livello mondiale nell’ambito della ricerca di mercato, dei servizi di consulenza e degli eventi nei settori dell’information technology, delle telecomunicazioni e della tecnologia consumer (ICT). Fonte: http://www.idcitalia.com/about/about.jsp (Consultato il giorno 15 Novembre 2011). 101 http://www.ca.com/~/media/Files/whitepapers/signature-research-idc-whitepaper-final.pdf (Consultato il 15 Novembre 2011). 102 Il chief information officer (CIO) è il manager responsabile della funzione aziendale information & communication technology. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Chief_information_officer (Consultato il 26 Novembre 2011). 103 http://www.datamanager.it/aziende/mercato-e-nomine/inizia-l-era-consumer-l-informatica-aziendale (Consultato il 15 Novembre 2011). 104 Fonte: The New World of Work: Always On, Always Connected. URL: http://www.microsoft.com/ presspass/events/ceosummit/docs/NWOWAlwaysOnWP.pdf (Consultato il 27 Novembre 2011). 43
  • 45. La brand reputation online nella social media world culture Mattia Balini 732780 Questo tipo di tecnologia si occupa sostanzialmente di gestire esternamente (online) le applicazioni e le attività anziché all’interno dell’azienda. La metafora della nuvola (cloud) rappresenta una sorta di gigantesco magazzino virtuale nel cielo, all’interno del quale vengono memorizzati dati, programmi e documenti che non risiedono fisicamente nelle memorie dei personal computer, ma che sono invece “ospitati” all’interno dei server 105 di un hosting service provider 106 che si occupa di gestire tutta l’architettura informatica. I vantaggi derivanti dall’adozione di questo tipo di tecnologia sono molteplici e possono essere riassunti nei seguenti punti: I. abbattimento dei costi, in quanto l’azienda paga le risorse che utilizza, con possibilità di II. espansione o riduzione in tempo reale a seconda delle esigenze; riduzione dei costi di supporto, poiché i programmi vengono aggiornati automaticamente e l’impresa necessita sempre meno dell’apporto di esperti informatici per questo tipo di operazioni; III. riduzione dei rischi, dal momento che l’hosting provider si assume i rischi della sicurezza sui dati; IV. accesso alle informazioni dovunque e in ogni momento. Come vengono esplicitati gli aspetti positivi, al tempo stesso il cloud computing non esenta diversi aspetti negativi tra cui: I. II. minore controllo dalla gestione dei dati e delle informazioni; elevata dipendenza da un soggetto terzo che assicura la sicurezza e la riservatezza del III. patrimonio informativo aziendale; minore protezione della proprietà intellettuale; IV. completa dipendenza dalla connessione internet; 105 In informatica il termine server (dall'inglese, letteralmente “servitore”), indica genericamente un componente informatico che fornisce, a livello logico e a livello fisico, un qualunque tipo di servizio ad altre componenti (tipicamente chiamate client, cioè "cliente") attraverso una rete di computer. Al termine server, così come per il termine client, possono dunque riferirsi sia la componente hardware che la componente software che forniscono le funzionalità o servizi di cui sopra. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Server (Consultato il 26 Novembre 2011). 106 Con questo termine viene solitamente indicato un soggetto terzo che si occupa di gestire e distribuire servizi e applicazioni attraverso internet, garantendo la memorizzazione delle informazioni su supporti di archiviazione centralizzati. Fonte: http://www.webopedia.com (Consultato il 26 Novembre 2011). 44
  • 46. La brand reputation online nella social media world culture V. Mattia Balini 732780 problematiche legate alla conservazione dei dati e al relativo reperimento in caso di fallimento dell’azienda che li gestisce. Fig. 2.3 I sette elementi che caratterizzano un’infrastruttura di Cloud Computing 107 Ai CIO viene quindi richiesto di andare al di là della semplice manutenzione dell’operatività informatica dietro il firewall 108. Di fronte alla rapida e intensa “consumerizzazione dell’IT”, i CIO hanno il dovere di collaborare a stretto contatto con i responsabili aziendali per creare ambienti sicuri e ben gestiti che consentano all’azienda di comunicare e interagire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo con clienti e dipendenti. I CIO devono impegnarsi in prima persona a controllare che i clienti collaborino attivamente, i dati confidenziali siano protetti, sia stimolata la produttività dei dipendenti e l’impresa ottenga il rendimento massimo da ogni centesimo speso. 109 107 N. Ward-Dutton, Software Infrastructure for Business Value, URL: http://www.ebizq.net/blogs/ softwareinfrastructure/2009/08/the_seven_elements_of_cloud_co.php (Consultato il 26 Novembre 2011). 108 In Informatica, nell'ambito delle reti di computer, un firewall è un componente passivo di difesa perimetrale che può anche svolgere funzioni di collegamento tra due o più tronconi di rete. Fonte: http:// it.wikipedia.org/wiki/Firewall (Consultato il 26 Novembre 2011). 109 http://www.ca.com/it/news/Press-Releases/na/2011/Consumerization-of-IT-Reaches-Tipping-PointUshers-in-New-Era-of-Consumer-Driven-IT.aspx (Consultato il 15 Novembre 2011). 45