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MASTER IN
“BUSINESS MANAGEMENT”
Relatore: Dott.ssa Circhetta Maria Cristina
Consulente del Lavoro
Lecce, 20 Giugno 2014
Modulo 3
“L’ASSUNZIONE: GLI
ADEMPIMENTI AMMINISTRATIVI“
IL COLLOCAMENTO: ORDINARIO E OBBLIGATORIO
La comunicazione anticipata ex L. 296/2006
Nel sistema vigente di assunzione diretta del lavoratore, l’unico adempimento che permane per i
datori di lavoro è quello di effettuare una comunicazione agli uffici pubblici, cioè al Centro per
l’Impiego Territoriale competente. A partire dal 01/01/2007, per effetto della L.296/2006, è
entrata in vigore la nuova comunicazione anticipata di assunzione. La legge stabilisce infatti che
la comunicazione deve essere effettuata entro il giorno antecedente l’instaurazione del rapporto
di lavoro, anche se trattasi di giorno festivo.
La scadenza del termine è fissata alle ore 24 del giorno antecedente a quello di effettivo inizio del
rapporto di lavoro.
L’obbligo di informare il lavoratore sulle condizioni del rapporto di lavoro
L’art. 96 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile prevede espressamente che l’imprenditore
deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che
gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto.
L’obbligo contenuto in questa norma piuttosto obsoleta è stato riformulato con il D.Lgs. 26/05/1997,
n. 152 che sancisce l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni
applicabili al contratto o al rapporto di lavoro .
Le informazioni che devono essere fornite al lavoratore sono le seguenti:
•identità della controparte contrattuale;
•luogo di lavoro;
•la data di inizio del rapporto e la durata, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo
determinato o indeterminato (nonché la durata del periodo di prova se prevista);
•l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore.
Inoltre, deve essere indicato l’importo iniziale della retribuzione ed i relativi elementi costitutivi,
con l’indicazione del periodo di pagamento, la durata delle ferie retribuite, orario di lavoro e i
termini del preavviso in caso di recesso (alcune informazioni possono essere sostituite da rinvii
al Contratto Collettivo). L’importanza dell’obbligo in questione è sottolineata dalla previsione di
misure di tutela per il lavoratore che può rivolgersi alla DPL affinché intimi al datore di lavoro a
provvedere entro 15 giorni e di apposite sanzioni amministrative in capo al datore inadempiente.
Il D.L. 112/2008 (art. 40, co. 2), conv. in L. 06/08/2008 n. 133, con lo scopo di semplificare gli
adempimenti connessi alla gestione del rapporto di lavoro, ha previsto che l’obbligo informativo
in questione possa essere adempiuto con la consegna al lavoratore, all’atto dell’assunzione prima
dell’inizio dell’attività di lavoro, di copia della comunicazione preventiva di assunzione
effettuata al centro per l’impiego. Il provvedimento prevede inoltre che l’obbligo può essere
adempiuto anche con la consegna al lavoratore, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, di copia
del contratto individuale di lavoro (che deve contenere però tutte le informazioni previste dal
D.Lgs. 152/1997).
L’assunzione delle persone disabili
Al raggiungimento della soglia dimensionale (numero di addetti) cui la legge connette l’obbligo di
assumere una certa quota di disabili, il datore di lavoro deve provvedere a presentare agli uffici
competenti la richiesta di assunzione (art. 7 D.P.R. 333/2000).
Circa le modalità di assunzione, la L. 68/1999 (art. 7) prevede la richiesta nominativa per:
•tutte le assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti
nonché i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi;
•il 50% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, che occupano da 36 a 50 dipendenti;
•il 60% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, che occupano più di 50 dipendenti.
La restante parte della quota deve essere coperta con avviamento da parte del centro per l’impiego
degli iscritti nella graduatoria regionale. Il datore di lavoro del settore privato (per le pubbliche
amministrazioni valgono particolari modalità applicative) è tenuto a presentare agli uffici
competenti (centri per l’impiego) la richiesta di assunzione entro 60 giorni dal momento in cui scatta
l’obbligo di assumere lavoratori disabili.
RAPPORTI CON GLI ENTI PREVIDENZIALI
I soggetti erogatori delle prestazioni
Si tratta degli Enti previdenziali che costituiscono i soggetti attivi del rapporto.
Il nostro ordinamento è caratterizzato dalla pluralità degli enti previdenziali, fenomeno dovuto al
fatto che il sistema delle assicurazioni sociali è organizzato in base sia alla natura del rischio
assicurato (ciascun ente è competente ad una determinata assicurazione) sia alla natura della
attività espletata (lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato, libera professione, ecc.) e
talvolta anche in base alla tipologia di attività (lavoro giornalistico, sportivo, ecc.). Esistono quindi
numerosi enti e casse previdenziali, anche se tra essi assumono particolare rilievo, in quanto enti
assicuratori per la generalità dei lavoratori:
•INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) per i lavoratori dipendenti del settore privato
(assicura circa 13 milioni di lavoratori);
•INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro).
Soggetti obbligati alla contribuzione
Sono principalmente i datori di lavoro ai quali l’onere del pagamento dei contributi è stato
progressivamente addossato in misura sempre maggiore. Soggetti obbligati sono talvolta,
anche i lavoratori dipendenti. Alcune assicurazioni sociali, pongono a carico di questi
ultimi determinate percentuali di contribuzione.
I lavoratori autonomi, invece assumono insieme, la figura dell’assicurante e del beneficiario e
sono integralmente responsabili per il versamento dei propri contributi.
Per i lavoratori parasubordinati l’obbligo contributivo grava sui committenti per una quota e
sugli stessi lavoratori per la parte restante.
Soggetti protetti
Attualmente, sono protetti non solo tutti i lavoratori subordinati pubblici e privati, ma anche la
quasi totalità dei lavoratori autonomi, sia professionisti (ivi compresi quelli per cui non è
obbligatoria l’iscrizione ad albi, registri o elenchi professionali, come invece avviene per
avvocati, medici, geometri ecc), sia artigiani, piccoli commercianti, pescatori, sia titolari di
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (cd. parasubordinazione), i rapporti
contrattuali a progetto, le collaborazioni occasionali (cd. mini co.co.co.) e gli associati in
partecipazione. Tra i soggetti protetti rientrano altresì i superstiti dei lavoratori deceduti, nei casi
previsti dalla legge (coniuge, orfani minorenni o inabili al lavoro, altre categorie di familiari a
carico).
L’oggetto del rapporto previdenziale
L’oggetto del rapporto giuridico previdenziale è costituito dallo stato di bisogno che si viene a creare
al verificarsi di determinati eventi che sono indicati, in modo non tassativo, nell’art. 38,co. 2 Cost.
che menziona l’infortunio, la malattia, l’invalidità, la vecchiaia e la disoccupazione involontaria. Gli
eventi contemplati sono distinti, sotto il profilo del tipo di danno che arrecano, in:
•quelli che agiscono prevalentemente sulla capacità lavorativa, intesa come idoneità fisica allo
svolgimento dell’attività lavorativa;
•quelli che influiscono sulla capacità di guadagno intesa come possibilità per il datore di lavoro di
assorbire manodopera, o garantire continuità di lavoro ai propri dipendenti (disoccupazione,
riduzione dell’orario di lavoro);
•quelli che comportano un aumento dei bisogni dell’assicurato (carichi familiari).
Obbligatorietà
L’obbligo contributivo trova la sua fonte nella legge che ne determina altresì l’ammontare con criteri
variabili a seconda delle categorie, dei soggetti e dei rischi protetti. L’obbligo del pagamento sorge al
verificarsi delle condizioni previste, cioè generalmente, all’atto dello svolgimento di una qualunque
attività lavorativa, ma talvolta è subordinato al verificarsi di eventi ulteriori (ad es. per
la tutela infortunistica solo quando, in circostanza di rapporto di lavoro, si svolga una delle attività
specificamente protette).
GLI ASSEGNI PER IL NUCLEO FAMILIARE
Gli elementi per determinare il diritto e la misura dell’assegno sono:
•la composizione del nucleo familiare;
•il reddito del nucleo stesso.
Il nucleo familiare è composto dal richiedente l’assegno, dal coniuge che non sia legalmente ed
effettivamente separato, dai figli equiparati e dai fratelli, sorelle e nipoti collaterali sulla base dei
criteri indicati dalla prassi amministrativa.
Il reddito del nucleo familiare è costituito dall’ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili
all’IRPEF, conseguiti dai suoi componenti nell’anno solare precedenti al 1° luglio di ciascun anno e
ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo.
Si ha diritto all’assegno solo se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra
prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente, ammonti almeno al 70% del reddito
complessivo del nucleo familiare.
L’erogazione degli assegni
Per ottenere il pagamento dell’assegno, il lavoratore deve presentare apposita
domanda utilizzando il modulo disposto dall’INPS e corredandola della
documentazione necessaria. In generale, la domanda deve essere presentata al datore
di lavoro, il quale provvede a pagare l’assegno per conto dell’INPS, alla fine di ogni
periodo di paga.
I LIBRI OBBLIGATORI
Il Libro Unico del Lavoro
Uno dei principali adempimenti del datore di lavoro, sia ai fini della regolarità del rapporto di
lavoro sia ai fini della gestione del rapporto assicurativo con gli enti previdenziali, è stato a lungo
rappresentato dall’obbligo di registrare i lavoratori assunti nei cd. libri obbligatori.
Tali libri erano previsti e disciplinati in relazione dal D.P.R. 1124/1965 che prevedeva per tutti i
datori di lavoro soggetti all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
l’obbligo di tenere un libro matricola e un libro paga ai fini di documentare l’esistenza del
rapporto di lavoro nei confronti dell’istituto assicuratore (INAIL).
La descritta documentazione è stata sostituita dal libro unico del lavoro, introdotto dagli artt. 39 e
40 della cd. manovra economica e disciplinato compiutamente dal D.M. 09/07/2008.
Funzioni e caratteristiche del libro unico
Mentre i tradizionali libri obbligatori hanno rappresentato il mezzo più importante per attestare la
regolarità del lavoratore, la funzione del nuovo libro unico è, invece, quella di uno strumento
gestionale per il corretto adempimento degli obblighi retributivi, assicurativi, previdenziali e
fiscali, documentando a ogni singolo lavoratore lo stato effettivo del proprio rapporto di lavoro e
agli organi di vigilanza lo stato occupazionale dell’impresa.
Come per i precedenti libri aziendali, l’istituzione del libro unico è obbligatoria per tutti i datori di
lavoro privati di qualunque settore, soggetti o meno all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
e le malattie professionali, ad eccezione del datore di lavoro domestico.
Luogo di tenuta del libro
Le regole concernenti le modalità di tenuta del libro unico, pur ricalcando quelle prescritte in
relazione ai precedenti libri, presentano non pochi elementi di novità in specie per ciò che concerne
l’attività di consulenza del lavoro.
Con la nuova normativa, infatti, il luogo di conservazione della documentazione obbligatoria
aziendale non è più obbligatoriamente il “luogo in cui si esegue il lavoro”.
Attualmente il datore di lavoro può decidere liberamente di tenere la documentazione aziendale o
presso la propria sede legale o, in alternativa, direttamente presso lo studio del professionista
incaricato (consulenti del lavoro o altro professionista abilitato ex L.12/1979).
Modulo 4
“SVOLGIMENTO DEL
CONTRATTO“
L’ATTUALE DISCIPLINA DEL TFR (art. 2120 c.c.)
Secondo l’art. 2120 c.c., nel testo vigente dal 01/06/1982 a seguito della riforma della L.
297/1982, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto (TFR) in ogni caso
di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, e quindi indipendentemente dalle motivazioni
che l’hanno determinata.
Esso matura durante lo svolgimento del rapporto di lavoro ed è di importo variabile in quanto è in
funzione dell’ammontare della retribuzione percepita dal lavoratore.
Il TFR è escluso dalla contribuzione ed è soggetto al regime della tassazione separata.
Il calcolo della quota annua di TFR
Il TFR si calcola accantonando, al termine di ciascun anno di servizio, una quota pari, e
comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, costituita dalla
somma di tutte le retribuzioni mensili, diviso per il 13,5.
La retribuzione che si deve prendere in considerazione è quella lorda erogata al lavoratore durante
l’anno, che poi si divide per il numero fisso di 13,5. All’importo annuo così ottenuto il datore di
lavoro deve sottrarre la somma derivante dall’applicazione dell’aliquota contributiva dello 0,50%.
LE FERIE
Le ferie annuali
L’art. 36 della Costituzione sancisce il diritto del lavoratore a fruire di ferie annuali retribuite.
La funzione delle ferie è quella di tutelare la salute del lavoratore consentendogli di recuperare
le energie psico-fisiche usurate dal lavoro nonché di partecipare più incisivamente alla vita
familiare e sociale. Per tale motivo il diritto alle ferie annuali è irrinunciabile ed ogni accordo in
senso contrario sarebbe radicalmente nullo.
Ulteriore fonte è l’art. 2109 c.c. per il quale “il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie
retribuite, possibilmente continuativo”. La materia è oggi disciplinata dal D.Lgs. 66/2003 (art.
10) che introduce importanti innovazioni, determinando direttamente il periodo minimo di ferie
e formulando espressamente il principio della effettività delle ferie nel senso di promuoverne, a
beneficio del lavoratore , la loro effettiva fruizione nell’anno di maturazione.
Il periodo di ferie spettante per legge o per contratto collettivo
Per la durata delle ferie il codice civile rimanda alla legge, ai contratti collettivi, agli usi o
all’equità. Fino all’emanazione del D.Lgs. 66/2003, la durata delle ferie era disciplinata solo dai
contratti collettivi. Attualmente il decreto quantifica direttamente il periodo minimo feriale,
stabilendo che “il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non
inferiore a 4 settimane”. La contrattazione collettiva ha però facoltà di derogare in senso più
favorevole, prevedendo più giorni di ferie l’anno.
Le ferie si maturano anche se nel mese si verificano determinati eventi sospensivi del rapporto
come la malattia, l’infortunio, astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, secondo le
previsioni del contratto collettivo.
PERMESSI E CONGEDI
I permessi o congedi previsti dalla legge si distinguono a seconda che i relativi periodi siano o
meno retribuiti.
Permessi o congedi retribuiti
L’attuale disciplina dei permessi retribuiti prevede che:
•i donatori di sangue e di emocomponenti hanno diritto di astenersi dal lavoro per l’intera
giornata in cui effettuano il prelievo (L. 584/1967, D.M. 8-4-1968 e art. 18 L. 219/2005);
•i donatori di midollo osseo hanno diritto a permessi per lo svolgimento degli atti preliminari
alla donazione (effettuazione dei prelievi necessari ad individuare i dati generici e la compatibilità
con i pazienti in attesa di trapianto, accertamento dell’idoneità della donazione), per la donazione
e per i giorni successivi di convalescenza (L. 52/2001);
•i lavoratori-studenti, oltre a particolari agevolazioni nei turni di lavoro e sul lavoro
straordinario, hanno diritto a permessi giornalieri per sostenere prove di esame presso ogni ordine
e grado di scuole (art. 10 L. 300/1970);
•i lavoratori in genere hanno la possibilità di utilizzare le ore di permesso per l’aggiornamento
professionale o per il conseguimento del titolo di istruzione della scuola dell’obbligo il cui
ammontare è determinato dalla contrattazione collettiva;
•i lavoratori mutilati ed invalidi civili (con riduzione dell’attitudine lavorativa superiore al 50%)
possono usufruire di un congedo straordinario per cure non superiore ai 30 giorni ogni anno, previa
autorizzazione di un medico della struttura sanitaria pubblica e sempre che le cure siano connesse
alla infermità invalidante riconosciuta (art. 26 L. 118/1971 e art. 10 D.Lgs. 509/1988). Tale congedo
è a totale carico del datore di lavoro e può essere usufruito anche da lavoratori invalidi affetti da
patologia tumorale come un ulteriore periodo di astensione dal lavoro non computabile nel periodo
di comporto per malattia (circ. INPS 40/2005 e Min. Lav. risposta ad interpello 5-12-2006, n.
25/I/0006893);
•le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali,
accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbano essere
eseguiti durante l’orario di lavoro (art. 14, D.Lgs. 151/2001);
•i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, di cui alla L. 300/1970, hanno diritto a
permessi (art. 23) in misura proporzionata alle dimensioni dell’azienda; a permessi analoghi nella
misura prevista dai contratti collettivi hanno diritto (art. 30) i dirigenti sindacali provinciali e
nazionali;
•i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto (art. 32 L. 300/1970) a permessi per il tempo
necessario allo svolgimento delle loro funzioni;
•in occasione di elezioni politiche ed amministrative e dei referendum i lavoratori chiamati a
svolgere funzioni presso gli uffici elettorali (presidente, segretario, scrutatore, rappresentante di
lista o di candidato) hanno diritto di assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente alle
operazioni elettorali e a riposi compensativi o maggiorazioni retributive per i giorni festivi o non
lavorativi compresi in tale periodo (L. 53/1990 e 59/1992);
•al lavoratore che contragga matrimonio deve essere consesso, a sua richiesta, un periodo di
congedo (di durata variabile a seconda delle qualifiche e del settore produttivo) la cui retribuzione è
interamente a carico del datore di lavoro per gli impiegati (R.D.L. 1334/1937) mentre per gli operai i
primi 7 giorni sono a carico dell’INPS (c.d. assegno per congedo matrimoniale).
Permessi o congedi non retribuiti
La disciplina normativa prevede che:
•i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto, oltre ai permessi previsti
dall’art. 23 L. 300/1970, a non meno di 8 giorni annui di permesso (non retribuito) per convegni,
congressi e iniziative sindacali in genere (art. 24 L. 300/1970);
•i sindaci e gli assessori comunali oltre ai permessi spettanti quali consiglieri, hanno diritto a
permessi non retribuiti per almeno 30 ore mensili;
•il lavoratore ha diritto a permessi, non retribuiti, per adempiere a doveri civili (es. votazioni,
comparizioni in giudizio come parte o come teste etc.);
•i lavoratori tossicodipendenti assunti a tempo indeterminato e sottoposti ad un trattamento
riabilitativo, e i lavoratori familiari di un tossicodipendente (qualora sia necessaria la loro
partecipazione al programma di recupero), hanno diritto ad un periodo di aspettativa non retribuita
per tutta la durata della terapia ma non superiore ai 3 anni (art. 124 D.P.R. 309/1990);
•i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive hanno diritto, secondo il principio dell’art. 51,
co. 3 Cost., «di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il posto di lavoro».
In attuazione del dettato costituzionale sono previsti, a richiesta, periodi di aspettativa non retribuita
per tutta la durata del mandato, per i lavoratori eletti al Parlamento nazionale o europeo o in
assemblee regionali (art. 31 St. Lav.) e per i lavoratori eletti alle cariche di consigliere comunale e
provinciale, sindaco, presidente della provincia etc. (art. 32 St. Lav., D.Lgs. 267/2000).
LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Pluralità di cause
Il rapporto di lavoro può estinguersi per una pluralità di cause previste dall’ordinamento. In
particolare:
 per scadenza del termine, se trattasi di rapporti di lavoro che prevedono una scadenza finale;
 per morte del lavoratore. Non produce, invece, l’estinzione del rapporto di lavoro la morte
del datore di lavoro in quanto l’attività produttiva continua, di regola, con chi succede nella
titolarità dell’impresa;
 per accordo delle parti, in base al principio civilistico del cd. mutuo consenso (art. 1372 c.c.)
che però trova scarsa applicazione in ambito lavoristico;
 per altre specifiche cause previste dalla legge;
 per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per forza maggiore.
LA TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO DEI MINORI
Il legislatore ha inteso tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore minore d’età, attraverso una
normativa protettiva speciale, per lo più derogatoria di quella ordinaria in ragione delle peculiari
esigenze di tutela accordata a tale categoria di lavoratori.
La normativa protettiva contenuta nella L. 977/1967, come riformata dal D.Lgs. 345/1999, si
applica ai minori di 18 anni, che hanno un contratto di lavoro, anche speciale (e pertanto anche nei
casi di minori occupati con contratto di apprendistato e di lavoro a domicilio).
Il livello di protezione è graduato a seconda che si tratti di (art. 1 L. 977/1967):
•bambini, cioè minori che non hanno compiuto i 15 anni o che sono ancora soggetti all’obbligo
scolastico.
•adolescenti, cioè minori di età compresa tra i 15 e i 18 anni compiuti, non più soggetti all’obbligo
scolastico.
Non trova invece applicazione nei confronti degli adolescenti addetti a lavori occasionali o di
breve durata concernenti servizi domestici prestati in ambito familiare o, comunque, prestazioni
non nocive e non pericolose rese in imprese a conduzione familiare.
Per effetto poi della L. 27-12-2006, n. 296 (art. 1, co. 622), a decorrere dall’anno scolastico
2007/2008, l’istruzione, finalizzata a conseguire un titolo di studio di scuola secondaria
superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro i 18 anni, è
obbligatoria per almeno dieci anni.
L’età per l’accesso al lavoro è di conseguenza pari a 16 anni. (art. 1 co. 623).
I bambini (nei casi in cui sono eccezionalmente autorizzati a lavorare) e gli adolescenti possono
essere ammessi al lavoro solo se sono riconosciuti idonei all’attività lavorativa cui saranno
adibiti a seguito di visita medica preassuntiva (art. 8 co. 1, L. 977/1967).
L’idoneità all’attività lavorativa dei minori deve permanere per tutta la durata del rapporto, per
cui essi devono essere sottoposti a visite mediche periodiche ad intervalli non superiori ad un
anno (art. 8 co. 2 L. 977/1967).
Per quanto concerne l’orario di lavoro, non trova applicazione il D.Lgs. 66/2003 che disciplina
la materia per la generalità dei lavoratori, ma la norma speciale dell’art. 18 della L. 977/1967.
Pertanto, l’orario di lavoro non può superare, per i bambini, le 7 ore giornaliere e le 35 ore
settimanali, mentre per gli adolescenti, le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali.
I minori hanno altresì diritto ad un periodo di riposo settimanale di almeno 2 giorni, se
possibile consecutivi e comprendenti la domenica.
Particolare è anche il regime delle pause giornaliere giacché è stabilito che l’orario quotidiano non
possa durare senza interruzioni più di 4 ore e mezza; in caso contrario, esso deve essere interrotto da
un riposo intermedio di almeno un’ora (che può essere ridotto a mezz’ora dalla contrattazione
collettiva).
L’art. 15 della L. 977/1967 vieta di adibire al lavoro notturno i minori, introducendo all’uopo una
nozione speciale di lavoro notturno (differente da quella del D.Lgs. 66/2003 applicabile alla
generalità dei lavoratori): con il termine notte si intende «il periodo di almeno 12 ore consecutive
comprendente l’intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le 23 e le 7».
LA DISCIPLINA DELL’ ORARIO DI LAVORO
L’orario di lavoro è il cardine del contratto di lavoro in quanto consente di stabilire, da un lato, la
durata della prestazione lavorativa e, dall’altro, la retribuzione dovuta.
Inoltre, ponendosi come limite massimo della prestazione lavorativa, ha anche la funzione di tutelare
l’integrità psico-fisica del lavoratore.
La disciplina dell’orario di lavoro è stata completamente riformata dal D.Lgs. 8-4-2003 n. 66, con
cui sono formalmente recepite nell’ordinamento le direttiva 93/104/CE e 2000/34/CE, «concernenti
taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro», e che, in un’ottica di semplificazione e
razionalizzazione, coordina in un unico testo normativo le previdenti disposizioni in materia (orario
notturno, lavoro straordinario etc.).
L’orario settimanale (normale o contrattuale)
Il concetto di partenza nella disciplina dell’orario di lavoro è quello dell’orario normale di
lavoro che corrisponde alla durata normale della settimana lavorativa e che la legge
stabilisce in 40 ore settimanali (art. 3 D.Lgs. 66/2003). I contratti collettivi possono però
stabilire una durata inferiore dell’orario settimanale, rispetto alla durata legale (40 ore), e/o
riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non
superiore all’anno (cd. orario multiperiodale).
L’orario di lavoro giornaliero e le pause intermedie
Il lavoratore deve osservare un periodo di riposo di 11 ore ogni 24 ore (cd. riposo giornaliero).
In considerazione dell’esistenza di tale obbligo, posto a tutela dell’integrità psicofisica del
lavoratore, ed in conformità alla Costituzione (art. 36 co. 2), la durata massima della giornata
lavorativa deve ritenersi pari a 13 ore.
Durante la giornata lavorativa, i lavoratori hanno diritto a fare delle pause ai fini del recupero delle
energie psicofisiche, di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo e, eventualmente, per la
consumazione del pasto (art. 8).
La pausa deve essere osservata solo se l’orario di lavoro stabilito dal contratto collettivo prevede
che debbano svolgersi più di 6 ore al giorno di lavoro.
La durata della pausa giornaliera non è astrattamente fissata dalla legge ma è la contrattazione
collettiva (nazionale, provinciale,aziendale) a determinarla. In assenza di alcuna previsione
collettiva al lavoratore deve essere concessa una pausa di minimo 10 minuti compresi tra l’inizio e
la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro.
Il riposo obbligatorio settimanale
Un ulteriore elemento importante da considerare nell’organizzazione dell’orario di lavoro è
l’obbligo di osservare il riposo settimanale. Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce (art. 9) che il lavoratore
ha diritto ogni 7 giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in
coincidenza con la domenica.
La norma risponde al principio generale stabilito dall’art. 36, co. 3, Cost. secondo cui: «Il
lavoratore ha diritto al riposo settimanale e non può rinunziarvi». Detto principio è, poi,
specificato dall’art. 2109 c.c. in cui è stabilito che esso, di regola, debba coincidere con la
domenica.
Il diritto al riposo settimanale è irrinunciabile, come è espressamente previsto dall’art. 36 co. 2
Cost.: una eventuale pattuizione contraria di un contratto collettivo o di un contratto individuale
sarebbe radicalmente nulla.
IL LAVORO STRAORDINARIO
Nozioni e limiti
Il lavoro straordinario è «il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro», cioè oltre la
quarantesima ora (art. 1, co. 2 D.Lgs. 66/2003).
Principio del contingentamento
Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce in via generale che il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario
deve essere contenuto (art. 5 co. 1).
E’ il contratto collettivo che deve, poi, provvedere a stabilire specificamente la disciplina del
lavoro straordinario in un determinato settore o azienda. Se mancano previsioni da parte del
contratto collettivo, il ricorso al lavoro straordinario è legittimo soltanto sulla base dei seguenti
requisiti:
 previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore;
 per un periodo che non superi le 250 ore annuali.
LA MALATTIA
L’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato può essere sospesa nell’ipotesi di impossibilità
temporanea della prestazione per cause che riguardano il lavoratore ma che non sono a lui
imputabili a titolo di colpa.
Mentre la disciplina generale dei contratti a prestazioni corrispettive prevede che, nel caso in cui la
controparte non può effettuare la prestazione a cui è tenuta, la parte è liberata dalla propria
obbligazione e può recedere dal contratto, per il contratto di lavoro vigono norme speciali che,
ispirate alla tutela del prestatore di lavoro, producono effetti diversi.
Infatti l’art. 2110 c.c. stabilisce che:
•il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, la cui
durata è determinata dai contratti collettivi. Durante tale periodo, denominato periodo di comporto,
il lavoratore assente non può essere licenziato;
•i giorni di assenza del lavoratore sono computati nell’anzianità di servizio;
•il lavoratore ha diritto alla tutela economica per i giorni di assenza, in forza di retribuzione o di
indennità sostitutiva della stessa a carico degli enti previdenziali, ove sussista la relativa copertura
assicurativa.
Ai sensi dell’art. 6 del R.D.L. n. 1825 del 1924, le retribuzioni da corrispondere ai lavoratori
ammalati aventi qualifica impiegatizia nel settore industria sono interamente a carico del datore di
lavoro. Sono invece, a carico dell’INPS, le indennità giornaliere di malattia per i seguenti
lavoratori subordinati:
•operai e categorie assimilate dell’industria, dell’artigianato e dell’agricoltura;
•operai e impiegati nel settore del commercio e del terziario;
•lavoratori soci di società ed enti cooperativi.
L’ente previdenziale eroga un’indennità giornaliera a partire dal quarto giorno di malattia fino ad
un massimo di 180 giornate nell’anno solare. I primi tre giorni di malattia (cd. periodo di carenza)
sono invece a carico del datore di lavoro. Quasi tutti i contratti di categoria comunque prevedono a
carico
del datore di lavoro quote aggiuntive ed integrative alla indennità economica di malattia corrisposta
dall’INPS.
L’INFORTUNIO SUL LAVORO
Tanto per i lavoratori dell’industria, quanto per quelli dell’agricoltura, la legge (artt. 2 e 210 del
T.U.) dispone che il diritto alle prestazioni assicurative sorge in tutti i casi di “infortunio
avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’invalidità
permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’invalidità temporanea assoluta che importi
l’astensione dal lavoro per più di tre giorni”.
Partendo da questa formulazione legislativa si può definire l’infortunio sul lavoro come “ogni
lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona
o ne abolisca o comunque ne menomi permanentemente o temporaneamente la capacità
lavorativa”.
Analizzando tale definizione vengono in rilievo i seguenti elementi caratterizzanti l’infortunio:
la lesione, la causa violente e l’occasione del lavoro che debbono sussistere
contemporaneamente per configurare un infortunio indennizzabile.
La lesione
Per lesione si intende ogni alterazione legata all’organismo fisiopsichico del lavoratore. Le
conseguenza della lesione rilevanti ai fini assicurativi sono:
•la morte del lavoratore;
•la inabilità al lavoro; L’inabilità al lavoro può essere temporanea o permanente, a seconda che le
conseguenze dell’infortunio siano o meno sanabili nel tempo. L’inabilità permanente, a sua
volta, può essere:
•assoluta quando pregiudichi completamente le attitudini lavorative;
•parziale quando riduca, senza eliminarle, tali attitudini.
La causa violenta
Per causa violenta si intende ogni fatto esterno che agisca rapidamente sulla persona e costituisca
pertanto, un nesso di causa ed effetto con la lesione. Un eventuale concorso di concause (per
condizioni morbose preesistenti o sopravvenute) non impedisce il riconoscimento dell’esistenza
dell’infortunio sul lavoro.
L’infortunio in itinere
L’assicurazione comprende “gli infortuni accorsi alle persone assicurate durante il normale
percorso di andata o di ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale
percorso che collega due luoghi di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa
aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di
consumazione abituale dei pasti ”.
Adempimenti del lavoratore e del datore di lavoro
Il lavoratore cui sia occorso un infortunio in occasione di lavoro deve informarne immediatamente il
proprio datore di lavoro.
La sanzione per la violazione di questo obbligo è la perdita dell’indennità per i giorni antecedenti a
quelli in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio (non si subisce la perdita
dell’indennità quando il datore sia venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio e abbia fatto la
denuncia all’INAIL nei termini legali).
Il datore di lavoro è tenuto a denunciare all’INAIL gli infortuni occorsi ai dipendenti con prognosi
superiore a tre giorni, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi per la
loro indennizzabilità (art. 53 T.U. e art. 18, co. 1, lett. r, D.Lgs. 81/2008).
LA TUTELA DELLA GENITORIALITA’ DELLE PERSONE CHE LAVORANO
•Fondamento
Il nostro ordinamento ha da sempre tutelato l’assolvimento dei compiti di maternità e cura dei figli
ritenendo “essenziale” la funzione familiare svolta dalla donna. Per evitare però che attraverso una
normativa protezionistica speciale possano derivare per la madre lavoratrice conseguenze
discriminatorie e penalizzanti, la Costituzione ha sancito all’art. 37 la parità normativa e retributiva
(quest’ ultima a parità di lavoro) fra lavoratori e lavoratrici.
Allo stesso tempo la norma richiede che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla
lavoratrice “l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al
bambino una speciale adeguata protezione”.
La Costituzione dunque afferma, da un lato, la specialità della tutela riguardante la lavoratrice madre,
e, dall’altro, sancisce il (generale) principio fondamentale di uguaglianza fra i due sessi.
Le disposizioni in materia di tutela del ruolo socio-familiare della lavoratrice, contenute
originariamente nella L. 30/12/1971, n. 1204 e nella L. 08/03/2000, n. 53 (cd. legge sui congedi
parentali), sono state trasfuse nel Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della
paternità, emanato con D.Lgs. 26/03/2001, n. 151.
Il T.U. , ribadendo quanto già previsto dalla L. 53/2000, ha riconosciuto anche al padre
lavoratore la possibilità di fruire delle forme di tutela previste dalla legge per le lavoratrici madri
favorendo, dunque, anche grazie ad una più equa ripartizione dei carichi familiari, pari possibilità
di carriera tra lavoratori e lavoratrici.
•Congedo di maternità e di paternità
L’art. 16 del T.U. disciplina il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, cd. congedo di
maternità, in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro delle donne. Il congedo di maternità
comprende il periodo relativo ai 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 3 mesi successivi
al parto.
•Congedi parentali
L’art. 32 del T.U. ha riformulato, in aderenza con quanto già previsto dalla L. 53/2000 in materia
di congedi parentali, le previdenti disposizioni relative alla cd. astensione facoltativa.
Attualmente è previsto un congedo della durata massima cumulativa di 10 mesi, fruibile per
ogni figlio, in alternativa dal padre o dalla madre, nei primi 8 anni di vita del bambino. In
particolare, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
•alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo obbligatorio di maternità, per un
periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi;
•al padre lavoratore , dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non
superiore a 6 mesi , elevabile a 7 mesi se ne usufruisca (in modo continuativo o frazionato) per
almeno 3 mesi.
Per i periodi di congedo parentale alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di
vita del bambino, un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo massimo
complessivo tra i genitori di 6 mesi e senza condizioni reddituali; invece, per i periodi
successivi, l’indennità spetta soltanto se il reddito dell’interessato sia inferiore ad un certo
importo.
Il versamento dei contributi figurativi è effettuato per l’ intero per le astensioni facoltative entro
i primi 3 anni di vita del bambino, in misura ridotta per congedi fruiti dai lavoratori nel
periodo compreso tra i 3 e gli 8 anni di vita del bambino.
IL PATTO DI NON CONCORRENZA
Il datore di lavoro e il lavoratore possono eventualmente stipulare un patto di non concorrenza, con
cui il secondo si obbliga a non svolgere attività concorrenziali con quelle del primo per un
determinato periodo di tempo successivo alla fine del rapporto di lavoro.
L’art. 2125 c.c. sancisce la nullità del patto di non concorrenza se non risulta da atto scritto, se non
è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro
determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. In particolare, la durata del vincolo non può
essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi: pertanto, se è
stata pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura su indicata.
Modulo 5
“LA RETRIBUZIONE E
LA BUSTA PAGA”
Il concetto di retribuzione diretta e differita
La retribuzione costituisce, secondo la definizione generale desumibile dagli artt. 2094 e 2099 c.c., la
prestazione fondamentale cui è obbligato il datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Secondo
l’art. 36 della Costituzione, infatti, essa deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro,
nonché in ogni caso sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e
dignitosa: la norma individua nella proporzionalità e nella sufficienza i requisiti essenziali della
retribuzione (inderogabili cioè non solo dall’autonomia individuale e collettiva ma anche dal potere
legislativo).
Di conseguenza, la retribuzione deve essere determinata secondo un criterio obiettivo di
equivalenza alla quantità e qualità del lavoro prestato (requisito della proporzionalità)
tenendo cioè presenti tutti gli elementi di valutazione della prestazione (orario di lavoro,
tipo di mansioni, etc.).
La corrispettività è il carattere tradizionalmente attribuito alla retribuzione poiché questa
costituisce la prestazione del datore strutturalmente e funzionalmente correlata alla
prestazione di lavoro.
Vero è, però, che il principio della corrispettività subisce significative deroghe nel rapporto
di lavoro, tutte tassativamente previste, nelle quali la disciplina legale o contrattuale impone
al datore di corrispondere la retribuzione anche in assenza di prestazione (malattia,
infortunio, richiamo alle armi, puerperio, etc.) o in misura non strettamente correlata al
lavoro effettivamente svolto.
Si è distinto in tal modo tra:
 retribuzione diretta, strettamente corrispettiva e cioè correlata alla prestazione eseguita
dal lavoratore quale compenso per il lavoro prestato;
 retribuzione indiretta, che ricomprende le attribuzioni corrisposte a titolo previdenziale,
indipendentemente dalla esecuzione della prestazione lavorativa (artt. 2108 c.c.: riposo
settimanale; 2019 c.c.: ferie annuali; 2110 c.c.: malattia infortuni, gravidanza, puerperio), o
differite nel tempo (l’esempio tipico è il trattamento di fine rapporto).
Dott.ssa Maria Cristina CIRCHETTA
(Consulente del Lavoro)
____________________________________
Iscritta all’Ordine dei Consulenti del Lavoro della Provincia di Lecce
Seguici su:
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  • 3. IL COLLOCAMENTO: ORDINARIO E OBBLIGATORIO La comunicazione anticipata ex L. 296/2006 Nel sistema vigente di assunzione diretta del lavoratore, l’unico adempimento che permane per i datori di lavoro è quello di effettuare una comunicazione agli uffici pubblici, cioè al Centro per l’Impiego Territoriale competente. A partire dal 01/01/2007, per effetto della L.296/2006, è entrata in vigore la nuova comunicazione anticipata di assunzione. La legge stabilisce infatti che la comunicazione deve essere effettuata entro il giorno antecedente l’instaurazione del rapporto di lavoro, anche se trattasi di giorno festivo. La scadenza del termine è fissata alle ore 24 del giorno antecedente a quello di effettivo inizio del rapporto di lavoro.
  • 4. L’obbligo di informare il lavoratore sulle condizioni del rapporto di lavoro L’art. 96 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile prevede espressamente che l’imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto. L’obbligo contenuto in questa norma piuttosto obsoleta è stato riformulato con il D.Lgs. 26/05/1997, n. 152 che sancisce l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro . Le informazioni che devono essere fornite al lavoratore sono le seguenti: •identità della controparte contrattuale; •luogo di lavoro; •la data di inizio del rapporto e la durata, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato (nonché la durata del periodo di prova se prevista);
  • 5. •l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore. Inoltre, deve essere indicato l’importo iniziale della retribuzione ed i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo di pagamento, la durata delle ferie retribuite, orario di lavoro e i termini del preavviso in caso di recesso (alcune informazioni possono essere sostituite da rinvii al Contratto Collettivo). L’importanza dell’obbligo in questione è sottolineata dalla previsione di misure di tutela per il lavoratore che può rivolgersi alla DPL affinché intimi al datore di lavoro a provvedere entro 15 giorni e di apposite sanzioni amministrative in capo al datore inadempiente. Il D.L. 112/2008 (art. 40, co. 2), conv. in L. 06/08/2008 n. 133, con lo scopo di semplificare gli adempimenti connessi alla gestione del rapporto di lavoro, ha previsto che l’obbligo informativo in questione possa essere adempiuto con la consegna al lavoratore, all’atto dell’assunzione prima dell’inizio dell’attività di lavoro, di copia della comunicazione preventiva di assunzione effettuata al centro per l’impiego. Il provvedimento prevede inoltre che l’obbligo può essere adempiuto anche con la consegna al lavoratore, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, di copia del contratto individuale di lavoro (che deve contenere però tutte le informazioni previste dal D.Lgs. 152/1997).
  • 6. L’assunzione delle persone disabili Al raggiungimento della soglia dimensionale (numero di addetti) cui la legge connette l’obbligo di assumere una certa quota di disabili, il datore di lavoro deve provvedere a presentare agli uffici competenti la richiesta di assunzione (art. 7 D.P.R. 333/2000). Circa le modalità di assunzione, la L. 68/1999 (art. 7) prevede la richiesta nominativa per: •tutte le assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti nonché i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi; •il 50% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, che occupano da 36 a 50 dipendenti; •il 60% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, che occupano più di 50 dipendenti. La restante parte della quota deve essere coperta con avviamento da parte del centro per l’impiego degli iscritti nella graduatoria regionale. Il datore di lavoro del settore privato (per le pubbliche amministrazioni valgono particolari modalità applicative) è tenuto a presentare agli uffici competenti (centri per l’impiego) la richiesta di assunzione entro 60 giorni dal momento in cui scatta l’obbligo di assumere lavoratori disabili.
  • 7. RAPPORTI CON GLI ENTI PREVIDENZIALI I soggetti erogatori delle prestazioni Si tratta degli Enti previdenziali che costituiscono i soggetti attivi del rapporto. Il nostro ordinamento è caratterizzato dalla pluralità degli enti previdenziali, fenomeno dovuto al fatto che il sistema delle assicurazioni sociali è organizzato in base sia alla natura del rischio assicurato (ciascun ente è competente ad una determinata assicurazione) sia alla natura della attività espletata (lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato, libera professione, ecc.) e talvolta anche in base alla tipologia di attività (lavoro giornalistico, sportivo, ecc.). Esistono quindi numerosi enti e casse previdenziali, anche se tra essi assumono particolare rilievo, in quanto enti assicuratori per la generalità dei lavoratori: •INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) per i lavoratori dipendenti del settore privato (assicura circa 13 milioni di lavoratori); •INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro).
  • 8. Soggetti obbligati alla contribuzione Sono principalmente i datori di lavoro ai quali l’onere del pagamento dei contributi è stato progressivamente addossato in misura sempre maggiore. Soggetti obbligati sono talvolta, anche i lavoratori dipendenti. Alcune assicurazioni sociali, pongono a carico di questi ultimi determinate percentuali di contribuzione. I lavoratori autonomi, invece assumono insieme, la figura dell’assicurante e del beneficiario e sono integralmente responsabili per il versamento dei propri contributi. Per i lavoratori parasubordinati l’obbligo contributivo grava sui committenti per una quota e sugli stessi lavoratori per la parte restante.
  • 9. Soggetti protetti Attualmente, sono protetti non solo tutti i lavoratori subordinati pubblici e privati, ma anche la quasi totalità dei lavoratori autonomi, sia professionisti (ivi compresi quelli per cui non è obbligatoria l’iscrizione ad albi, registri o elenchi professionali, come invece avviene per avvocati, medici, geometri ecc), sia artigiani, piccoli commercianti, pescatori, sia titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (cd. parasubordinazione), i rapporti contrattuali a progetto, le collaborazioni occasionali (cd. mini co.co.co.) e gli associati in partecipazione. Tra i soggetti protetti rientrano altresì i superstiti dei lavoratori deceduti, nei casi previsti dalla legge (coniuge, orfani minorenni o inabili al lavoro, altre categorie di familiari a carico).
  • 10. L’oggetto del rapporto previdenziale L’oggetto del rapporto giuridico previdenziale è costituito dallo stato di bisogno che si viene a creare al verificarsi di determinati eventi che sono indicati, in modo non tassativo, nell’art. 38,co. 2 Cost. che menziona l’infortunio, la malattia, l’invalidità, la vecchiaia e la disoccupazione involontaria. Gli eventi contemplati sono distinti, sotto il profilo del tipo di danno che arrecano, in: •quelli che agiscono prevalentemente sulla capacità lavorativa, intesa come idoneità fisica allo svolgimento dell’attività lavorativa; •quelli che influiscono sulla capacità di guadagno intesa come possibilità per il datore di lavoro di assorbire manodopera, o garantire continuità di lavoro ai propri dipendenti (disoccupazione, riduzione dell’orario di lavoro); •quelli che comportano un aumento dei bisogni dell’assicurato (carichi familiari). Obbligatorietà L’obbligo contributivo trova la sua fonte nella legge che ne determina altresì l’ammontare con criteri variabili a seconda delle categorie, dei soggetti e dei rischi protetti. L’obbligo del pagamento sorge al verificarsi delle condizioni previste, cioè generalmente, all’atto dello svolgimento di una qualunque attività lavorativa, ma talvolta è subordinato al verificarsi di eventi ulteriori (ad es. per la tutela infortunistica solo quando, in circostanza di rapporto di lavoro, si svolga una delle attività specificamente protette).
  • 11. GLI ASSEGNI PER IL NUCLEO FAMILIARE Gli elementi per determinare il diritto e la misura dell’assegno sono: •la composizione del nucleo familiare; •il reddito del nucleo stesso. Il nucleo familiare è composto dal richiedente l’assegno, dal coniuge che non sia legalmente ed effettivamente separato, dai figli equiparati e dai fratelli, sorelle e nipoti collaterali sulla base dei criteri indicati dalla prassi amministrativa. Il reddito del nucleo familiare è costituito dall’ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili all’IRPEF, conseguiti dai suoi componenti nell’anno solare precedenti al 1° luglio di ciascun anno e ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo. Si ha diritto all’assegno solo se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente, ammonti almeno al 70% del reddito complessivo del nucleo familiare.
  • 12. L’erogazione degli assegni Per ottenere il pagamento dell’assegno, il lavoratore deve presentare apposita domanda utilizzando il modulo disposto dall’INPS e corredandola della documentazione necessaria. In generale, la domanda deve essere presentata al datore di lavoro, il quale provvede a pagare l’assegno per conto dell’INPS, alla fine di ogni periodo di paga.
  • 13. I LIBRI OBBLIGATORI Il Libro Unico del Lavoro Uno dei principali adempimenti del datore di lavoro, sia ai fini della regolarità del rapporto di lavoro sia ai fini della gestione del rapporto assicurativo con gli enti previdenziali, è stato a lungo rappresentato dall’obbligo di registrare i lavoratori assunti nei cd. libri obbligatori. Tali libri erano previsti e disciplinati in relazione dal D.P.R. 1124/1965 che prevedeva per tutti i datori di lavoro soggetti all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali l’obbligo di tenere un libro matricola e un libro paga ai fini di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro nei confronti dell’istituto assicuratore (INAIL). La descritta documentazione è stata sostituita dal libro unico del lavoro, introdotto dagli artt. 39 e 40 della cd. manovra economica e disciplinato compiutamente dal D.M. 09/07/2008.
  • 14. Funzioni e caratteristiche del libro unico Mentre i tradizionali libri obbligatori hanno rappresentato il mezzo più importante per attestare la regolarità del lavoratore, la funzione del nuovo libro unico è, invece, quella di uno strumento gestionale per il corretto adempimento degli obblighi retributivi, assicurativi, previdenziali e fiscali, documentando a ogni singolo lavoratore lo stato effettivo del proprio rapporto di lavoro e agli organi di vigilanza lo stato occupazionale dell’impresa. Come per i precedenti libri aziendali, l’istituzione del libro unico è obbligatoria per tutti i datori di lavoro privati di qualunque settore, soggetti o meno all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ad eccezione del datore di lavoro domestico. Luogo di tenuta del libro Le regole concernenti le modalità di tenuta del libro unico, pur ricalcando quelle prescritte in relazione ai precedenti libri, presentano non pochi elementi di novità in specie per ciò che concerne l’attività di consulenza del lavoro. Con la nuova normativa, infatti, il luogo di conservazione della documentazione obbligatoria aziendale non è più obbligatoriamente il “luogo in cui si esegue il lavoro”. Attualmente il datore di lavoro può decidere liberamente di tenere la documentazione aziendale o presso la propria sede legale o, in alternativa, direttamente presso lo studio del professionista incaricato (consulenti del lavoro o altro professionista abilitato ex L.12/1979).
  • 16. L’ATTUALE DISCIPLINA DEL TFR (art. 2120 c.c.) Secondo l’art. 2120 c.c., nel testo vigente dal 01/06/1982 a seguito della riforma della L. 297/1982, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto (TFR) in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, e quindi indipendentemente dalle motivazioni che l’hanno determinata. Esso matura durante lo svolgimento del rapporto di lavoro ed è di importo variabile in quanto è in funzione dell’ammontare della retribuzione percepita dal lavoratore. Il TFR è escluso dalla contribuzione ed è soggetto al regime della tassazione separata. Il calcolo della quota annua di TFR Il TFR si calcola accantonando, al termine di ciascun anno di servizio, una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, costituita dalla somma di tutte le retribuzioni mensili, diviso per il 13,5. La retribuzione che si deve prendere in considerazione è quella lorda erogata al lavoratore durante l’anno, che poi si divide per il numero fisso di 13,5. All’importo annuo così ottenuto il datore di lavoro deve sottrarre la somma derivante dall’applicazione dell’aliquota contributiva dello 0,50%.
  • 17. LE FERIE Le ferie annuali L’art. 36 della Costituzione sancisce il diritto del lavoratore a fruire di ferie annuali retribuite. La funzione delle ferie è quella di tutelare la salute del lavoratore consentendogli di recuperare le energie psico-fisiche usurate dal lavoro nonché di partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale. Per tale motivo il diritto alle ferie annuali è irrinunciabile ed ogni accordo in senso contrario sarebbe radicalmente nullo. Ulteriore fonte è l’art. 2109 c.c. per il quale “il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite, possibilmente continuativo”. La materia è oggi disciplinata dal D.Lgs. 66/2003 (art. 10) che introduce importanti innovazioni, determinando direttamente il periodo minimo di ferie e formulando espressamente il principio della effettività delle ferie nel senso di promuoverne, a beneficio del lavoratore , la loro effettiva fruizione nell’anno di maturazione.
  • 18. Il periodo di ferie spettante per legge o per contratto collettivo Per la durata delle ferie il codice civile rimanda alla legge, ai contratti collettivi, agli usi o all’equità. Fino all’emanazione del D.Lgs. 66/2003, la durata delle ferie era disciplinata solo dai contratti collettivi. Attualmente il decreto quantifica direttamente il periodo minimo feriale, stabilendo che “il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane”. La contrattazione collettiva ha però facoltà di derogare in senso più favorevole, prevedendo più giorni di ferie l’anno. Le ferie si maturano anche se nel mese si verificano determinati eventi sospensivi del rapporto come la malattia, l’infortunio, astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, secondo le previsioni del contratto collettivo.
  • 19. PERMESSI E CONGEDI I permessi o congedi previsti dalla legge si distinguono a seconda che i relativi periodi siano o meno retribuiti. Permessi o congedi retribuiti L’attuale disciplina dei permessi retribuiti prevede che: •i donatori di sangue e di emocomponenti hanno diritto di astenersi dal lavoro per l’intera giornata in cui effettuano il prelievo (L. 584/1967, D.M. 8-4-1968 e art. 18 L. 219/2005); •i donatori di midollo osseo hanno diritto a permessi per lo svolgimento degli atti preliminari alla donazione (effettuazione dei prelievi necessari ad individuare i dati generici e la compatibilità con i pazienti in attesa di trapianto, accertamento dell’idoneità della donazione), per la donazione e per i giorni successivi di convalescenza (L. 52/2001); •i lavoratori-studenti, oltre a particolari agevolazioni nei turni di lavoro e sul lavoro straordinario, hanno diritto a permessi giornalieri per sostenere prove di esame presso ogni ordine e grado di scuole (art. 10 L. 300/1970); •i lavoratori in genere hanno la possibilità di utilizzare le ore di permesso per l’aggiornamento professionale o per il conseguimento del titolo di istruzione della scuola dell’obbligo il cui ammontare è determinato dalla contrattazione collettiva;
  • 20. •i lavoratori mutilati ed invalidi civili (con riduzione dell’attitudine lavorativa superiore al 50%) possono usufruire di un congedo straordinario per cure non superiore ai 30 giorni ogni anno, previa autorizzazione di un medico della struttura sanitaria pubblica e sempre che le cure siano connesse alla infermità invalidante riconosciuta (art. 26 L. 118/1971 e art. 10 D.Lgs. 509/1988). Tale congedo è a totale carico del datore di lavoro e può essere usufruito anche da lavoratori invalidi affetti da patologia tumorale come un ulteriore periodo di astensione dal lavoro non computabile nel periodo di comporto per malattia (circ. INPS 40/2005 e Min. Lav. risposta ad interpello 5-12-2006, n. 25/I/0006893); •le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbano essere eseguiti durante l’orario di lavoro (art. 14, D.Lgs. 151/2001); •i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, di cui alla L. 300/1970, hanno diritto a permessi (art. 23) in misura proporzionata alle dimensioni dell’azienda; a permessi analoghi nella misura prevista dai contratti collettivi hanno diritto (art. 30) i dirigenti sindacali provinciali e nazionali; •i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto (art. 32 L. 300/1970) a permessi per il tempo necessario allo svolgimento delle loro funzioni;
  • 21. •in occasione di elezioni politiche ed amministrative e dei referendum i lavoratori chiamati a svolgere funzioni presso gli uffici elettorali (presidente, segretario, scrutatore, rappresentante di lista o di candidato) hanno diritto di assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente alle operazioni elettorali e a riposi compensativi o maggiorazioni retributive per i giorni festivi o non lavorativi compresi in tale periodo (L. 53/1990 e 59/1992); •al lavoratore che contragga matrimonio deve essere consesso, a sua richiesta, un periodo di congedo (di durata variabile a seconda delle qualifiche e del settore produttivo) la cui retribuzione è interamente a carico del datore di lavoro per gli impiegati (R.D.L. 1334/1937) mentre per gli operai i primi 7 giorni sono a carico dell’INPS (c.d. assegno per congedo matrimoniale). Permessi o congedi non retribuiti La disciplina normativa prevede che: •i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto, oltre ai permessi previsti dall’art. 23 L. 300/1970, a non meno di 8 giorni annui di permesso (non retribuito) per convegni, congressi e iniziative sindacali in genere (art. 24 L. 300/1970); •i sindaci e gli assessori comunali oltre ai permessi spettanti quali consiglieri, hanno diritto a permessi non retribuiti per almeno 30 ore mensili;
  • 22. •il lavoratore ha diritto a permessi, non retribuiti, per adempiere a doveri civili (es. votazioni, comparizioni in giudizio come parte o come teste etc.); •i lavoratori tossicodipendenti assunti a tempo indeterminato e sottoposti ad un trattamento riabilitativo, e i lavoratori familiari di un tossicodipendente (qualora sia necessaria la loro partecipazione al programma di recupero), hanno diritto ad un periodo di aspettativa non retribuita per tutta la durata della terapia ma non superiore ai 3 anni (art. 124 D.P.R. 309/1990); •i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive hanno diritto, secondo il principio dell’art. 51, co. 3 Cost., «di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il posto di lavoro». In attuazione del dettato costituzionale sono previsti, a richiesta, periodi di aspettativa non retribuita per tutta la durata del mandato, per i lavoratori eletti al Parlamento nazionale o europeo o in assemblee regionali (art. 31 St. Lav.) e per i lavoratori eletti alle cariche di consigliere comunale e provinciale, sindaco, presidente della provincia etc. (art. 32 St. Lav., D.Lgs. 267/2000).
  • 23. LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO Pluralità di cause Il rapporto di lavoro può estinguersi per una pluralità di cause previste dall’ordinamento. In particolare:  per scadenza del termine, se trattasi di rapporti di lavoro che prevedono una scadenza finale;  per morte del lavoratore. Non produce, invece, l’estinzione del rapporto di lavoro la morte del datore di lavoro in quanto l’attività produttiva continua, di regola, con chi succede nella titolarità dell’impresa;  per accordo delle parti, in base al principio civilistico del cd. mutuo consenso (art. 1372 c.c.) che però trova scarsa applicazione in ambito lavoristico;  per altre specifiche cause previste dalla legge;  per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per forza maggiore.
  • 24. LA TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO DEI MINORI Il legislatore ha inteso tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore minore d’età, attraverso una normativa protettiva speciale, per lo più derogatoria di quella ordinaria in ragione delle peculiari esigenze di tutela accordata a tale categoria di lavoratori. La normativa protettiva contenuta nella L. 977/1967, come riformata dal D.Lgs. 345/1999, si applica ai minori di 18 anni, che hanno un contratto di lavoro, anche speciale (e pertanto anche nei casi di minori occupati con contratto di apprendistato e di lavoro a domicilio). Il livello di protezione è graduato a seconda che si tratti di (art. 1 L. 977/1967): •bambini, cioè minori che non hanno compiuto i 15 anni o che sono ancora soggetti all’obbligo scolastico. •adolescenti, cioè minori di età compresa tra i 15 e i 18 anni compiuti, non più soggetti all’obbligo scolastico. Non trova invece applicazione nei confronti degli adolescenti addetti a lavori occasionali o di breve durata concernenti servizi domestici prestati in ambito familiare o, comunque, prestazioni non nocive e non pericolose rese in imprese a conduzione familiare.
  • 25. Per effetto poi della L. 27-12-2006, n. 296 (art. 1, co. 622), a decorrere dall’anno scolastico 2007/2008, l’istruzione, finalizzata a conseguire un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro i 18 anni, è obbligatoria per almeno dieci anni. L’età per l’accesso al lavoro è di conseguenza pari a 16 anni. (art. 1 co. 623). I bambini (nei casi in cui sono eccezionalmente autorizzati a lavorare) e gli adolescenti possono essere ammessi al lavoro solo se sono riconosciuti idonei all’attività lavorativa cui saranno adibiti a seguito di visita medica preassuntiva (art. 8 co. 1, L. 977/1967). L’idoneità all’attività lavorativa dei minori deve permanere per tutta la durata del rapporto, per cui essi devono essere sottoposti a visite mediche periodiche ad intervalli non superiori ad un anno (art. 8 co. 2 L. 977/1967). Per quanto concerne l’orario di lavoro, non trova applicazione il D.Lgs. 66/2003 che disciplina la materia per la generalità dei lavoratori, ma la norma speciale dell’art. 18 della L. 977/1967. Pertanto, l’orario di lavoro non può superare, per i bambini, le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali, mentre per gli adolescenti, le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali. I minori hanno altresì diritto ad un periodo di riposo settimanale di almeno 2 giorni, se possibile consecutivi e comprendenti la domenica.
  • 26. Particolare è anche il regime delle pause giornaliere giacché è stabilito che l’orario quotidiano non possa durare senza interruzioni più di 4 ore e mezza; in caso contrario, esso deve essere interrotto da un riposo intermedio di almeno un’ora (che può essere ridotto a mezz’ora dalla contrattazione collettiva). L’art. 15 della L. 977/1967 vieta di adibire al lavoro notturno i minori, introducendo all’uopo una nozione speciale di lavoro notturno (differente da quella del D.Lgs. 66/2003 applicabile alla generalità dei lavoratori): con il termine notte si intende «il periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l’intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le 23 e le 7».
  • 27. LA DISCIPLINA DELL’ ORARIO DI LAVORO L’orario di lavoro è il cardine del contratto di lavoro in quanto consente di stabilire, da un lato, la durata della prestazione lavorativa e, dall’altro, la retribuzione dovuta. Inoltre, ponendosi come limite massimo della prestazione lavorativa, ha anche la funzione di tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore. La disciplina dell’orario di lavoro è stata completamente riformata dal D.Lgs. 8-4-2003 n. 66, con cui sono formalmente recepite nell’ordinamento le direttiva 93/104/CE e 2000/34/CE, «concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro», e che, in un’ottica di semplificazione e razionalizzazione, coordina in un unico testo normativo le previdenti disposizioni in materia (orario notturno, lavoro straordinario etc.). L’orario settimanale (normale o contrattuale) Il concetto di partenza nella disciplina dell’orario di lavoro è quello dell’orario normale di lavoro che corrisponde alla durata normale della settimana lavorativa e che la legge stabilisce in 40 ore settimanali (art. 3 D.Lgs. 66/2003). I contratti collettivi possono però stabilire una durata inferiore dell’orario settimanale, rispetto alla durata legale (40 ore), e/o riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (cd. orario multiperiodale).
  • 28. L’orario di lavoro giornaliero e le pause intermedie Il lavoratore deve osservare un periodo di riposo di 11 ore ogni 24 ore (cd. riposo giornaliero). In considerazione dell’esistenza di tale obbligo, posto a tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore, ed in conformità alla Costituzione (art. 36 co. 2), la durata massima della giornata lavorativa deve ritenersi pari a 13 ore. Durante la giornata lavorativa, i lavoratori hanno diritto a fare delle pause ai fini del recupero delle energie psicofisiche, di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo e, eventualmente, per la consumazione del pasto (art. 8). La pausa deve essere osservata solo se l’orario di lavoro stabilito dal contratto collettivo prevede che debbano svolgersi più di 6 ore al giorno di lavoro. La durata della pausa giornaliera non è astrattamente fissata dalla legge ma è la contrattazione collettiva (nazionale, provinciale,aziendale) a determinarla. In assenza di alcuna previsione collettiva al lavoratore deve essere concessa una pausa di minimo 10 minuti compresi tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro.
  • 29. Il riposo obbligatorio settimanale Un ulteriore elemento importante da considerare nell’organizzazione dell’orario di lavoro è l’obbligo di osservare il riposo settimanale. Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce (art. 9) che il lavoratore ha diritto ogni 7 giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica. La norma risponde al principio generale stabilito dall’art. 36, co. 3, Cost. secondo cui: «Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e non può rinunziarvi». Detto principio è, poi, specificato dall’art. 2109 c.c. in cui è stabilito che esso, di regola, debba coincidere con la domenica. Il diritto al riposo settimanale è irrinunciabile, come è espressamente previsto dall’art. 36 co. 2 Cost.: una eventuale pattuizione contraria di un contratto collettivo o di un contratto individuale sarebbe radicalmente nulla.
  • 30. IL LAVORO STRAORDINARIO Nozioni e limiti Il lavoro straordinario è «il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro», cioè oltre la quarantesima ora (art. 1, co. 2 D.Lgs. 66/2003). Principio del contingentamento Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce in via generale che il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto (art. 5 co. 1). E’ il contratto collettivo che deve, poi, provvedere a stabilire specificamente la disciplina del lavoro straordinario in un determinato settore o azienda. Se mancano previsioni da parte del contratto collettivo, il ricorso al lavoro straordinario è legittimo soltanto sulla base dei seguenti requisiti:  previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore;  per un periodo che non superi le 250 ore annuali.
  • 31. LA MALATTIA L’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato può essere sospesa nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione per cause che riguardano il lavoratore ma che non sono a lui imputabili a titolo di colpa. Mentre la disciplina generale dei contratti a prestazioni corrispettive prevede che, nel caso in cui la controparte non può effettuare la prestazione a cui è tenuta, la parte è liberata dalla propria obbligazione e può recedere dal contratto, per il contratto di lavoro vigono norme speciali che, ispirate alla tutela del prestatore di lavoro, producono effetti diversi. Infatti l’art. 2110 c.c. stabilisce che: •il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, la cui durata è determinata dai contratti collettivi. Durante tale periodo, denominato periodo di comporto, il lavoratore assente non può essere licenziato; •i giorni di assenza del lavoratore sono computati nell’anzianità di servizio; •il lavoratore ha diritto alla tutela economica per i giorni di assenza, in forza di retribuzione o di indennità sostitutiva della stessa a carico degli enti previdenziali, ove sussista la relativa copertura assicurativa.
  • 32. Ai sensi dell’art. 6 del R.D.L. n. 1825 del 1924, le retribuzioni da corrispondere ai lavoratori ammalati aventi qualifica impiegatizia nel settore industria sono interamente a carico del datore di lavoro. Sono invece, a carico dell’INPS, le indennità giornaliere di malattia per i seguenti lavoratori subordinati: •operai e categorie assimilate dell’industria, dell’artigianato e dell’agricoltura; •operai e impiegati nel settore del commercio e del terziario; •lavoratori soci di società ed enti cooperativi. L’ente previdenziale eroga un’indennità giornaliera a partire dal quarto giorno di malattia fino ad un massimo di 180 giornate nell’anno solare. I primi tre giorni di malattia (cd. periodo di carenza) sono invece a carico del datore di lavoro. Quasi tutti i contratti di categoria comunque prevedono a carico del datore di lavoro quote aggiuntive ed integrative alla indennità economica di malattia corrisposta dall’INPS.
  • 33. L’INFORTUNIO SUL LAVORO Tanto per i lavoratori dell’industria, quanto per quelli dell’agricoltura, la legge (artt. 2 e 210 del T.U.) dispone che il diritto alle prestazioni assicurative sorge in tutti i casi di “infortunio avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’invalidità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’invalidità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni”. Partendo da questa formulazione legislativa si può definire l’infortunio sul lavoro come “ogni lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona o ne abolisca o comunque ne menomi permanentemente o temporaneamente la capacità lavorativa”. Analizzando tale definizione vengono in rilievo i seguenti elementi caratterizzanti l’infortunio: la lesione, la causa violente e l’occasione del lavoro che debbono sussistere contemporaneamente per configurare un infortunio indennizzabile. La lesione Per lesione si intende ogni alterazione legata all’organismo fisiopsichico del lavoratore. Le conseguenza della lesione rilevanti ai fini assicurativi sono: •la morte del lavoratore;
  • 34. •la inabilità al lavoro; L’inabilità al lavoro può essere temporanea o permanente, a seconda che le conseguenze dell’infortunio siano o meno sanabili nel tempo. L’inabilità permanente, a sua volta, può essere: •assoluta quando pregiudichi completamente le attitudini lavorative; •parziale quando riduca, senza eliminarle, tali attitudini. La causa violenta Per causa violenta si intende ogni fatto esterno che agisca rapidamente sulla persona e costituisca pertanto, un nesso di causa ed effetto con la lesione. Un eventuale concorso di concause (per condizioni morbose preesistenti o sopravvenute) non impedisce il riconoscimento dell’esistenza dell’infortunio sul lavoro. L’infortunio in itinere L’assicurazione comprende “gli infortuni accorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata o di ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti ”.
  • 35. Adempimenti del lavoratore e del datore di lavoro Il lavoratore cui sia occorso un infortunio in occasione di lavoro deve informarne immediatamente il proprio datore di lavoro. La sanzione per la violazione di questo obbligo è la perdita dell’indennità per i giorni antecedenti a quelli in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio (non si subisce la perdita dell’indennità quando il datore sia venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio e abbia fatto la denuncia all’INAIL nei termini legali). Il datore di lavoro è tenuto a denunciare all’INAIL gli infortuni occorsi ai dipendenti con prognosi superiore a tre giorni, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi per la loro indennizzabilità (art. 53 T.U. e art. 18, co. 1, lett. r, D.Lgs. 81/2008).
  • 36. LA TUTELA DELLA GENITORIALITA’ DELLE PERSONE CHE LAVORANO •Fondamento Il nostro ordinamento ha da sempre tutelato l’assolvimento dei compiti di maternità e cura dei figli ritenendo “essenziale” la funzione familiare svolta dalla donna. Per evitare però che attraverso una normativa protezionistica speciale possano derivare per la madre lavoratrice conseguenze discriminatorie e penalizzanti, la Costituzione ha sancito all’art. 37 la parità normativa e retributiva (quest’ ultima a parità di lavoro) fra lavoratori e lavoratrici. Allo stesso tempo la norma richiede che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla lavoratrice “l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. La Costituzione dunque afferma, da un lato, la specialità della tutela riguardante la lavoratrice madre, e, dall’altro, sancisce il (generale) principio fondamentale di uguaglianza fra i due sessi. Le disposizioni in materia di tutela del ruolo socio-familiare della lavoratrice, contenute originariamente nella L. 30/12/1971, n. 1204 e nella L. 08/03/2000, n. 53 (cd. legge sui congedi parentali), sono state trasfuse nel Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità, emanato con D.Lgs. 26/03/2001, n. 151.
  • 37. Il T.U. , ribadendo quanto già previsto dalla L. 53/2000, ha riconosciuto anche al padre lavoratore la possibilità di fruire delle forme di tutela previste dalla legge per le lavoratrici madri favorendo, dunque, anche grazie ad una più equa ripartizione dei carichi familiari, pari possibilità di carriera tra lavoratori e lavoratrici. •Congedo di maternità e di paternità L’art. 16 del T.U. disciplina il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, cd. congedo di maternità, in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro delle donne. Il congedo di maternità comprende il periodo relativo ai 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 3 mesi successivi al parto. •Congedi parentali L’art. 32 del T.U. ha riformulato, in aderenza con quanto già previsto dalla L. 53/2000 in materia di congedi parentali, le previdenti disposizioni relative alla cd. astensione facoltativa. Attualmente è previsto un congedo della durata massima cumulativa di 10 mesi, fruibile per ogni figlio, in alternativa dal padre o dalla madre, nei primi 8 anni di vita del bambino. In particolare, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
  • 38. •alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo obbligatorio di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi; •al padre lavoratore , dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi , elevabile a 7 mesi se ne usufruisca (in modo continuativo o frazionato) per almeno 3 mesi. Per i periodi di congedo parentale alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi e senza condizioni reddituali; invece, per i periodi successivi, l’indennità spetta soltanto se il reddito dell’interessato sia inferiore ad un certo importo. Il versamento dei contributi figurativi è effettuato per l’ intero per le astensioni facoltative entro i primi 3 anni di vita del bambino, in misura ridotta per congedi fruiti dai lavoratori nel periodo compreso tra i 3 e gli 8 anni di vita del bambino.
  • 39. IL PATTO DI NON CONCORRENZA Il datore di lavoro e il lavoratore possono eventualmente stipulare un patto di non concorrenza, con cui il secondo si obbliga a non svolgere attività concorrenziali con quelle del primo per un determinato periodo di tempo successivo alla fine del rapporto di lavoro. L’art. 2125 c.c. sancisce la nullità del patto di non concorrenza se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. In particolare, la durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi: pertanto, se è stata pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura su indicata.
  • 40. Modulo 5 “LA RETRIBUZIONE E LA BUSTA PAGA”
  • 41. Il concetto di retribuzione diretta e differita La retribuzione costituisce, secondo la definizione generale desumibile dagli artt. 2094 e 2099 c.c., la prestazione fondamentale cui è obbligato il datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Secondo l’art. 36 della Costituzione, infatti, essa deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, nonché in ogni caso sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa: la norma individua nella proporzionalità e nella sufficienza i requisiti essenziali della retribuzione (inderogabili cioè non solo dall’autonomia individuale e collettiva ma anche dal potere legislativo). Di conseguenza, la retribuzione deve essere determinata secondo un criterio obiettivo di equivalenza alla quantità e qualità del lavoro prestato (requisito della proporzionalità) tenendo cioè presenti tutti gli elementi di valutazione della prestazione (orario di lavoro, tipo di mansioni, etc.). La corrispettività è il carattere tradizionalmente attribuito alla retribuzione poiché questa costituisce la prestazione del datore strutturalmente e funzionalmente correlata alla prestazione di lavoro.
  • 42. Vero è, però, che il principio della corrispettività subisce significative deroghe nel rapporto di lavoro, tutte tassativamente previste, nelle quali la disciplina legale o contrattuale impone al datore di corrispondere la retribuzione anche in assenza di prestazione (malattia, infortunio, richiamo alle armi, puerperio, etc.) o in misura non strettamente correlata al lavoro effettivamente svolto. Si è distinto in tal modo tra:  retribuzione diretta, strettamente corrispettiva e cioè correlata alla prestazione eseguita dal lavoratore quale compenso per il lavoro prestato;  retribuzione indiretta, che ricomprende le attribuzioni corrisposte a titolo previdenziale, indipendentemente dalla esecuzione della prestazione lavorativa (artt. 2108 c.c.: riposo settimanale; 2019 c.c.: ferie annuali; 2110 c.c.: malattia infortuni, gravidanza, puerperio), o differite nel tempo (l’esempio tipico è il trattamento di fine rapporto).
  • 43. Dott.ssa Maria Cristina CIRCHETTA (Consulente del Lavoro) ____________________________________ Iscritta all’Ordine dei Consulenti del Lavoro della Provincia di Lecce Seguici su: Recapiti: Tel. 0836/901766 Fax 0836/904366 Cell. 339/3381433 Cell. 339/3435515 sito: www.studiocarlucciocirchetta.com mail: circhetta@studiocarlucciocirchetta.it