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MICHELE SARTORI
LA PERSONA
AL CENTRO
UN MEMORANDUM DOVE VIENE
RACCOLTA L’ESPERIENZA DI UN
SERVIZIO ALLA PERSONA DISABILE
ADULTA,
PRESSO LA COOPERATIVA FILO
CONTINUO, NEL CENTRO EDUCATIVO
OCCUPAZIONALE DIURNO
1
LA PERSONA
AL CENTRO
INDICE
Premessa pag. 1
In cattedra la storia pag. 3
Excursus storico pag. 5
Italia onu cee pag. 16
Le competenze nel sociale pag. 34
Pep pag. 43
La valutazione nel sociale pag. 73
La scheda di entrata utente pag. 85
La qualità di un servizio pag. 94
Criticità dei servizi pag. 102
Uno sguardo all’attività di computer pag. 104
2
Premessa
Da tempo ho concluso il mio rapporto di lavoro con la cooperativa
sociale Filo Continuo, per entrate a far parte dell’ente pubblico.
Dopo sette anni ho lasciato il coordinamento di un centro che avevo
visto nascere e che attualmente sta proseguendo il suo cammino. In
questi sette anni ho lavorato con diverse persone, molte di loro mi
hanno insegnato tanto e aiutato a crescere come professionista
nell’ambito del sociale e in particolare modo nell’area della disabilità
adulta.
Preso servizio presso la cooperativa, notai quante persone con
impegno e dedizione svolgevano il proprio lavoro.
Rimasi piacevolmente sorpreso nel vedere persone che nonostante il
turno-over e born-out presente spesso nell’ambito del sociale, da più
di vent’anni lavoravano in cooperativa sviluppando metodologie e
buone prassi nella quotidianità.
Nel momento in cui sono stato assunto avevo necessità di osservare e
comprendere la realtà in cui andavo ad operare, c’era una storia
pregressa della cooperativa e una mission già implicita in chi
lavorava. C’era poco che documentava il bagaglio di conoscenze
pratiche e teoriche utilizzate in cooperativa e questo ha comportato
alcune difficoltà iniziali e la necessità di un confronto continuo. Ciò
mi ha permesso di accedere ad un sapere sviluppato dai soci della
cooperativa nella pratica, conoscenza che, se non documentata,
rischia di perdersi e rimanere confinata alle strutture della
cooperativa stessa.
Questo memorandum vuole essere un momento per raccogliere
quanto appreso e quanto è stato costruito in sette anni di lavoro
presso la cooperativa sociale Filo Continuo.
La conoscenza e la relazione con le persone disabili del centro, mi ha
messo in discussione e mi ha fatto riflettere sul significato del mio
lavoro con loro. Il bisogno da parte mia di poter dare sempre un
servizio alla persona di maggiore qualità, mi ha portato a riprendere
gli studi e trasformare il diploma triennale regionale di educatore
professionale animatore, prima in laurea triennale e poi specialistica.
3
Tesine e project work fatti negli anni presso l’università di Padova
mi hanno permesso di vedere come la teoria appresa poteva essere
calata nella quotidianità del mio operare, accreditando e avvalorando
metodologie e prassi messe in atto.
Spero, attraverso questo memorandum, di poter trasmettere a chi
legge una serie di conoscenze e strumenti che possano essere
utilizzati e fruiti in maniera critica, da professionisti e persone che si
relazioneranno con le persone disabili.
Le famiglie dei ragazzi disabili che in questi anni mi hanno permesso
di fare un pezzo di strada con loro, mi hanno insegnato tanto e
ritengo con questo manoscritto di poter restituire loro uno stralcio di
vita passato insieme, una riconoscenza che potrà essere utile a quanti
incontreranno i loro figli sapendo che potranno lavorare con
professionalità e vicinanza, con passione e dedizione, leggendo la
strada tracciata insieme.
4
In cattedra la storia
Inizio questo manoscritto con un excursus storico sulla disabilità,
non voglio fare una dettagliata e minuziosa cronologia e riflessioni
sulla storia, ma riporterò di seguito i fatti che maggiormente mi
hanno colpito studiando la storia delle persone disabili, brevi spunti
per proporre a chi legge delle riflessioni su quello che è stato e su
come ognuno di noi può dare il suo contributo per disegnare la storia
futura.
Ritengo importante che un professionista che lavora con la disabilità
guardi alla storia passata, voltandosi indietro si ha la possibilità di
dare e avere giusta misura di quello che accade nella quotidianità di
tutti i giorni, dei traguardi importanti raggiungi in questi anni e di
quanto nella nostra società, dove si erogano servizi alle persone
disabili, sia necessario dare visibilità e instaurare un dialogo con le
persone che ancora oggi possiedono stereotipi e “pregiudizi”1
provenienti dai tempi passati e mantenuti nell'immaginario collettivo.
Quando uso il termine pregiudizio intendo un giudizio anticipato
sulla persona disabile, caratterizzato da una mancanza di conoscenza.
“al massimo livello di specificità si intende per pregiudizio la
tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le
persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale”2
.
Per stereotipo3
faccio riferimento a delle opinioni pre-costituite da
parte delle persone sulle persone disabili.
Una delle definizioni che si possono dare dello stereotipo è “quella di
un’immagine - riguardante una categoria di persone, un’istituzione o
un evento - che è semplificata al massimo ed è condivisa, nei suoi
tratti essenziali, da grandi masse di persone”4
.
1
Lascioli, A., Handicap e pregiudizio. Le radici culturali, FrancoAngeli, Milano 2001.
2
Mazzara, B. M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 14.
3
In tipografia lo stereotipo è la lastra applicata ai rulli per stampare con la macchina rotativa
cilindrica
4
Stallybrass, O., “Stereotype”, in The Fontana Dictionary of Modern Thought, a cura di A.
Bullock e O. Stallybrass, London, Fontana-Collins, 1977, p. 601.
5
Insegnando in questi anni nei corsi per operatori socio-sanitari, molto
spesso, quando chiedevo agli allievi chi era per loro la persona
disabile, dal confronto in classe, emergevano diverse paure e giudizi.
Si potevano scorgere atteggiamenti pietistici e di assistenzialismo, in
un lavoro in classe una allieva mi scrive “provo compassione e
tenerezza per la persona disabile e mi da la carica istintiva ad aiutarlo
perché non è autosufficiente e non potrà mai avere una vita normale,
cioè una famiglia, ecc”. Sono emerse diverse credenze come
l’opinione condivisa che i ragazzi down sono tutti simpatici, giocosi,
musicisti e mai aggressivi.
Alcune persone vedono i disabili come persone da schivare perché
imprevedibili, difficilmente gestibili e violenti.
“Quando vedo una persona disabile, provo disagio, mi mette in
difficoltà”, “quando vedo una persona disabile, penso a mio figlio,
alla fortuna che ho io, ai genitori di questa persona, a cosa possano
aver vissuto e vivere”5
Durante i miei anni di lavoro presso la cooperativa, parlando con
diverse persone, soprattutto con le generazioni più anziane, ho
scoperto come alcune credenze popolari sulle persone disabili siano
quanto meno radicate.
Nella cronaca dei giornali, riportanti i fatti di tutti i giorni nonostante
siano passati dei secoli, leggiamo di comportamenti e modi di
pensiero delle persone che discriminano ancora la persona disabile.
Di seguito riporto una serie di riferimenti storici che per me sono
stati rivelatori di alcuni atteggiamenti e credenze delle persone sulle
persone disabili6
. Dalle uscite di socializzazione fatte con le persone
disabili è stato interessante vedere come le persone che si
incontravano per strada, nei negozi o altri luoghi pubblici mettessero
in atto atteggiamenti diversi e come nei loro occhi si potessero
scorgere preoccupazioni e paure appartenenti al passato.
5
Interventi in classe durante i lavori di gruppo nel corso per operatori socio-sanitari gestiti
dall’ulss 22
6
Per un maggiore approfondimento Canevaro A. e Goussot A. nel libro “La difficile storia
degli handiccapati, Carocci editore, Roma, 2000” riportano in maniera esaustiva i diversi
atteggiamenti e passaggi storici che hanno interessato le persone disabili
6
La storia antica
Proveniamo da una storia, soprattutto nel vecchio continente, dove il
neonato che presentava deformità fisiche o psichiche evidenti, veniva
eliminato fisicamente attraverso l’infaticidio o l’abbandono alla
natura.
UCCISE FIGLIOLETTO NEL FIUME
A CALCINATO, ASSOLTA7
E' stata assolta perché incapace di intendere e di volere al momento
del gesto. Marisa Pasini la sera del 7 dicembre '99 gettò nelle acque
gelide del fiume Chiese a Calcinato (Bs) il figlio di 4 anni, Giorgio
Panizzolo. Il gip Massimo Vaccari ha la posizione della difesa della
donna che sosteneva che, quando uccise il figlio, non era sana di
mente. (…) Temeva che il piccolo Giorgio, affetto da alcuni disturbi
psichici, non potesse vivere una vita normale …
Brescia, 21/09/2001
Nel mondo greco e romano troviamo testimonianze e documenti
come Aristotele, che nella sua Politica e De generazione animalium
auspicava una legge che proibiva l’allevamento dei bambini deformi,
lo stesso Seneca nell’Epistulae pensava alla distruzione della
“progenie snaturata” perché nella società di allora si poneva la
necessità di disporre di eserciti robusti. Nell'antica Sparta, i bambini
malati o deformi venivano gettati dal monte Taigeto come nell’antica
Roma dalla rupe tarpea.
Nelle famiglie romane il padre deteneva sui figli il diritto di vita e di
morte. Alla nascita del bambino il padre poteva sollevare il figlio e
riconoscerlo, oppure poteva decidere di esporlo e di non riconoscerlo
decretando, nei migliori dei casi, la schiavitù del figlio.
7
www.agedi.it/news_15.htm
7
STRANGOLA IL FIGLIO AUTISTICO E POI SI CONSEGNA
AI CARABINIERI
Crapanzano, esasperato per la situazione, ha proposto al figlio
Angelo di fare una passeggiata, lo ha portato in un luogo appartato,
e lì lo ha ucciso
PALERMO - Tragedia della disperazione a Palermo. Un maestro in
pensione di 60 anni, Calogero Crapanzano, ha strangolato il proprio
figlio autistico di 26 anni e poi si è consegnato ai carabinieri, dai
quali è andato col cadavere del figlio in automobile.
Il fatto è avvenuto sabato mattina …
La Stampa - 27 giugno 2007
Nel tardo medioevo le nascite mostruose erano considerate segni
dell’ira divina e preannuncio di imminenti catastrofi, la credenza di
quell’epoca era che le persone malforme fossero il frutto di rapporti
sessuali con animali o con lo stesso diavolo.
Da tener presente che in questo periodo dilaga in tutta Europa il
fenomeno della stregoneria, con la morte sul rogo per tutti coloro che
erano sospettati di essere al servizio del demonio. Eventuali
malformazioni o nei, diventavano prova incriminante di stregoneria
per i condannati.
Era diffusa l’idea che la causa della nascita di un bambino menomato
fosse legata a qualche colpa dei genitori, alla condotta sbagliata nei
confronti di Dio e fosse dunque interpretabile come il segno della
MORTO MATTEO, IL NEONATO DOWN ABBANDONATO
Anche il piccolo non ce l'ha fatta: è deceduto in ospedale per
un'infezione dopo l'intervento al cuore
MANTOVA - Anche il piccolo Matteo non ce l'ha fatta. (…) il
bimbo di 7 mesi, affetto da sindrome di Down e da una
malformazione cardiaca e rifiutato dai genitori fin dalla nascita, è
morto venerdì notte all'ospedale Carlo Poma di Mantova …
Corriere delle Sera, 3 aprile 2006
8
riprovazione divina che marchiava la famiglia e la sottoponeva a una
dura prova.
LA MADRE SI VERGOGNAVA... ...DELLA SUA MALATTIA
È stata segregata in un bagnetto di servizio per trent'anni, chiusa a
chiave, perché essendo affetta da un deficit mentale, la madre si
vergognava di lei. In questo bagno di sei o sette metri quadrati è stata
costretta a mangiare gli avanzi di cibo in ciotole di plastica, a
dormire su una brandina, senza avere neppure la luce elettrica, e
senza poter mai uscire. Per lavarla, di tanto in tanto, la madre usava
un tubo da giardino, e l'operazione si svolgeva sul balcone di casa, in
un alloggio popolare di via Caduti per Servizio alla periferia di
Pescara. L'incubo di questa donna, Giuseppina, di 52 anni, è finito
nei giorni scorsi …
http://canali.libero.it, 17/01/2006
“Per Agostino i sordi sono
esclusi dalla fede in quanto,
secondo la frase di Paolo: «La
fede deriva dall’ascolto»”8
Mentre nei Vangeli troviamo
l’esempio di Gesù che rompe
lo stigma posto dalla società
di quel tempo su malati e
handicappati.
“In quel tempo, Gesù
passando vide un uomo cieco
dalla nascita e i suoi discepoli
lo interrogarono: «Rabbì, chi
ha peccato, lui o i suoi
genitori, perché sia nato
cieco?». Rispose Gesù: «Né
lui ha peccato né i suoi
genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”9
.
8
Antonio Tripodi, rivista LucidaMente, anno I, n. 10, ottobre 2006, edizioni inEdiction,
Bologna, www.lucidamente.com
9
Vangelo di Giovanni 9,1-41
Fig. 1 Hieronymus Bosch - La nave dei folli - 1490
9
Nel ‘500 e ‘600 la valorizzazione della ragione e la capacità di
esercitarla trova la persona disabile ancora esclusa nella civiltà di
quel tempo. “Quando la borghesia propone nuovi modelli e nuovi
plusvalori e la ragione e il profitto diventano valori indiscussi, chi
non è capace di partecipare con efficienza al progresso è considerato
zavorra che ostacola il benessere, ed è quindi nemico sociale da cui
ci si deve difendere con l’esclusione”10
In questo periodo troviamo una tensione verso il classificare,
definire, etichettare le cose e le persone per comprendere il mondo.
Le eccezioni erano rappresentate da quelle persone che non si
riuscivano a classificare. Le conoscenze mediche e scientifiche
sull’uomo, erano scarse e solamente in una fase iniziale.
Le differenze psico-fisiche di una persona davano possibilità alla
gente di collocarla in una struttura sociale che metteva in forte
similitudine le condizioni di produttività, salute e religiosità con
quelle di improduttività, malattia ed eresia.
Si è nel periodo della riforma protestante, per la quale la produttività
e il benessere economico e materiale vengono considerati come
possibili segni divini. Iniziarono così a prendere forma i primi luoghi
di detenzione , allontanamento e segregazione per le persone disabili,
come i lazzaretti e le carceri, spazi delimitati per evitare il
“contagio”11
.
10
Pompa F., “Atteggiamenti culturali nei confronti dell’handicap”, anffas, Roma, 1984,
pag.31.
11
SCHMITT J,C., La storia dei marginali, in J. LE GOFF (a cura di) La nuova storia, Mondadori,
Milano,1987,p.277
Io Nato Morto
“Mens sana in corpore sano è stato un pregiudizio che ci ha fatto
molto male. Se una donna incinta guardava un disabile,c’era la
convinzione che nascesse un figlio handicappato”.
Vanity fair marzo 2008
10
Aerei e disabilità: forse è la svolta!12
Ho partecipato nei giorni scorsi alla settima conferenza sulla
manutenzione e gestione a terra, organizzata dall'Airports Council
International (…). All'interno di essa vi è stata una sessione specifica
dedicata all'elaborazione di un regolamento sui diritti dei passeggeri
con disabilità che viaggiano in aereo, (…) Ci resta a questo punto la
speranza di non dover più sentire che il capitano dell’aereo vuole un
certificato che dichiari "non contagiosa" la spasticità del passeggero.
Oppure che l’hostess si rifiuti di allacciare la cintura di sicurezza alla
passeggera senza braccia perché non di sua competenza! O ancora,
che il passeggero con disabilità debba viaggiare solo di notte, così da
non interferire con le sue problematiche sulla puntualità dell’aereo.
giovedì 12/01/2006
Le persone internate vengono accomunate dalla caratteristica di
“animalità”, perché si pensava fossero senza anima, rimanendo
segregati fuori dalle mura della città.
IL QUADRIFOGLIO DA CASA DI ASSISTENZA A CASA
DEGLI ORRORI13
Enna, una comunità alloggio per minori disabili era stata
trasformata dalla direttrice in un lager, i ragazzi venivano seviziati,
nutriti poco, con cibo scaduto e vivevano in condizioni igieniche
disastrose.
TG3, 5/06/2007
Si ricorda inoltre la pratica della “ruota degli esposti” o “degli
innocenti”, che consentiva di abbandonare in modo anonimo un
12
Presidente del Consiglio Nazionale sulla Disabilità (CND)
http://www.superando.it/content/view/472/117/
13
http://news.centrodiascolto.it/view/161201/d=2007-11-15/w=disabili/lager_ad_enna
11
figlio indesiderato. Attraverso una ruota di legno, posta
orizzontalmente, situata nelle pareti delle chiese e comunicante tra
interno ed esterno veniva posto il bambino. Strumento il cui primo
utilizzo si fa risalire al 1188, in Italia l’ultima ruota fu chiusa a
Padova chiusa nel 1888.
BIMBO DI 4 MESI ABBANDONATO NELLA "RUOTA" DEL
POLICLINICO CASILINO
L'iniziativa per arginare un fenomeno che già coinvolge il
nosocomio. Nel biennio 2004-2005 sono stati 17 i bambini lasciati
presso il presidio
ROMA - Pesa circa 6 chili, le sue condizioni di salute …
Repubblica 24/02/2007
Bisogna aspettare il 1700 prima che la reclusione di queste persone
divenga oggetto di studio medico, come malattia da curare.
Si ricorda in quest’epoca l’opera controcorrente di Comenio, uno dei
padri dell’educazione che la promuove come patrimonio accessibile
a tutti, perché ogni persona ha impresso in sé l’immagine di Dio e
necessita di realizzare la propria umanità.
“Né ci deve far ostacolo il vedere alcuni ebeti e stupidi per natura,
perché questo ci raccomanda anche di più coltivar l’anima di tutti e
ce ne mostra l’urgenza. Quanto più invero uno ha natura tarda e
scema e tanto più ha bisogno d’essere aiutato, per liberarsi quanto è
possibile dal suo ebetismo e dalla sua stupidità brutale. E non è
possibile trovare un ingegno così infelice, che con la cultura non si
possa emendare affatto”14
.
Il secolo XVII
Con la rivoluzione illuminista, la disabilità si trasforma da
“animalità” ad “anomalia umana”, che diventerà oggetto di studio.
Questo permise alla persone affette da malformazioni di avere delle
14
Comenius J. A. Didattica Magna, Ed. Sandron, Firenze, 1969, CAP. IX, 4, p. 125
12
condizioni diverse ma sempre collocate in spazi delimitati per evitare
il “contagio”.
“Nel XVII e nel XVIII secolo c'è un grande interesse della cultura
scientifica e filosofica per le varie forme di deficit e malformazioni,
che si esprime attraverso la "storia naturale" dei cosiddetti "mostri".
Basta pensare ai lavori di naturalisti come Linneo o Buffon, oppure
alle riflessioni di Diderot. G. Canguilhem ha dato un contributo
interessante nel suo lavoro ideologia e razionalità nella storia delle
scienze della vita dove parla di una «storia critica delle
classificazioni»; egli afferma che «l'esistenza dei mostri», nella parte
dedicata al «problema della normalità nella storia del pensiero
biologico», testimonia che esistono "bizzarrie" nella natura”15
.
In Francia nel 1765 il medico Philippe Pinel, direttore dell'ospizio di
Bicétre a Parigi, propone la revoca dell'internamento e la riforma
degli ospizi, chiedendo maggiore igiene negli ambienti, attrezzature
adeguate, riconoscimento della libertà dei pazienti e la fine delle
terapie repressive, come le docce gelate o le frustate e l'abolizione
delle catene. Pinel fa notare come gli idioti presenti negli ospizi siano
molto numerosi e la condizione in cui si trovano spesso è la
conseguenza dì un trattamento troppo brusco subito in altri luoghi”.
Pinel porta la sua attenzione verso la condizione del paziente, e
propone un cambiamento di atteggiamento verso la persona.
VIOLENZE SESSUALI SU DUE DISABILI
Sono 24 le persone arrestate dai carabinieri di Martinafranca
nell'ambito di una inchiesta incredibile: due sorelle con gravi
problemi psichici di San Giorgio Jonico venivano sfruttate
sessualmente dal 2005.
Le accuse sono di sfruttamento della prostituzione e violenza
sessuale.
TG5, 14/11/2006
“Un caso particolare, fra i più strani che mi siano mai capitati, è
quello di una giovane idiota di undici anni … che per le sue
15
A. Canevaro, A. Goussot, la difficile storia degli handicappati, carocci, Roma, 2000, p.
28
13
abitudini, sembrava essere simile a una pecora. … Con il cieco
istinto animalesco che aveva, non riusciva a controllare per niente la
collera, e la sua rabbia, che si poteva scatenare per motivi più futili,
arrivava fino alle convulsioni. Non si è mai riusciti a farla sedere su
una sedia per riposarsi o per mangiare, dormiva acciambellata e
distesa per terra come le pecore. Dorso, lombi e spalle erano coperti
da una peluria morbida e nerastra lunga un pollice e mezzo o due,
che per la sua morbidezza somigliava alla lana; l'aspetto era
ripugnante. Dei giocolieri, venuti a conoscenza del caso, avevano
chiesto alla madre il permesso di mostrarla nelle fiere e nei mercati
vicini come un oggetto molto raro e curioso; il permesso venne
negato, nonostante che i genitori fossero molto poveri”16
.
In questo periodo il medico francese J. Itard scopre Victor "Ragazzo
selvaggio dell’Aveyron”, con quel incontro si comincia ad adottare
un approccio educativo verso la persona disabile.
Itard ipotizzo che Victor, visto il grave stato di abbandono che per
lungo tempo aveva affrontato, avesse un grave ritardo sia sul piano
affettivo che cognitivo.
Gli obiettivi che si poneva erano quelli di:
“1. reinserire nella vita sociale un individuo ch'era stato fino ad allora
tagliato fuori dalla vita associativa «l'uomo diventa capace di
occupare la posizione eminente conferitagli dalla natura solo
entrando a far parte della società»;
2. riattivare la sensibilità umana, risvegliandola «attraverso gli
stimolanti più energici» e qualche volta anche «attraverso Ì vivi
affetti dell'anima»;
3. «estendere la sfera delle sue idee, suscitando in lui nuovi bisogni, e
moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri a cui accostarsi»;
4. insegnare l'uso della parola;
5. riuscire a sviluppare in lui alcune operazioni intellettuali dapprima
sull'oggetto dei suoi bisogni fisici e poi su soggetti più astratti e
lontani dalla sfera dell'istinto e dell'immediatezza”17
.
Itard in questo cerca di portare il bambino ad inserirsi nella società e
a sviluppare le competenze intellettive.
16
P. Pinel, Trattato medico-filosofico sull'alienazione mentale, Pisa 1985, p. 185
17
L. Malson, / ragazzi selvaggi, Milano 1971
14
Allievo di Itard, fu Sèguin il quale nel 1839 fonda la prima scuola
per l’educazione integrale dei ritardati e propone l’integrazione
sociale e lavorativa delle persone disabili.
Il secolo XIX
Nel '900 con la psicometria nata in Francia, scienza che misura il
quoziente intellettivo di una persona, il medico Binet realizzò per il
ministero della pubblica istruzione francese, una scala di sviluppo
intellettivo per misurare l'intelligenza delle persone e capire chi
poteva accedere all’istruzione.
Le persone disabili non riuscivano quindi ad essere ammesse
all’istruzione. "E’ in nome della scienza che noi vogliamo redimere
questi infelici e renderli utili per la società che li protegge. La cura
dei deficienti è più una questione sociale che una questione didattica.
Infatti alla società non importa che il deficiente diventi istruito,
quanto che sia reso innocuo "18
.
LO STERMINIO NAZISTA DI DISABILI E MALATI DI
MENTE
Prima ancora dell'olocausto, il regime nazista nel 1939 aveva già
dato l'avvio alla cosiddetta "operazione t4" che, per esplicito volere
di Hitler, mirava a sopprimere malati di mente e disabili fisici. Al
contrario dell'Olocausto, a questa operazione era stata fatta ampia
propaganda anche con filmati.
TG3, 28/01/2006
Con i primi del 1900 l'attenzione di medici, di psicologi, di
pedagogisti verso i soggetti con deficit sensoriali e psichici porta a
creare le scuole speciali e gli istituti medìco-psico-pedagogici, che
raccolgono tutti i disabili psichici adolescenti e adulti19
.
18
S. De Sanctis, L’educazione dei deficienti, 1915
19
Già a partire dal ‘700 l’interesse alla condizione dei bambini disabili ciechi portò alla
creazione della Fondazione Nazionale dei giovani ciechi nel 1786 e alla quale sono seguite
quelle di Liverpool (1791), di Londra (1799) e di Vienna (1804).
15
Citiamo tra gli studiosi del tempo Maria Montessori, primo medico
donna che si laurea in Italia che porta in primo piano la pedagogia
come cura dei deficienti. Il metodo Montessori valorizza
l’educazione sensoriale, secondo il quale attraverso l’azione si
modifica la coscienza della persona.
Maria Montessori teorizza che il bambino ha dentro di sé le
condizioni per perseguire il proprio sviluppo e l’educazione permette
la creazione di queste condizioni. Si sofferma poi sull’eccessivo
protezionismo degli adulti nei confronti dei bambini disabili,
impedendone in questo modo l’autonomia, da qui la celebre frase
“aiutami a fare da solo”.
16
Importanti conquiste
Portando l’attenzione a questi ultimi anni, vediamo che sono stati
raggiunti dei traguardi importantissimi per la persona disabile.
Diverse azioni hanno portato a riconoscere dignità e pari diritti alla
persona disabile, non solo in Italia ma a livello internazionale
attraverso le nazioni unite e l’unione europea.
Nelle pagine successive proverò a citare quelli che ritengo dei
traguardi importanti per la persona disabile. Di certo c’è ancora
molto da fare per vedere riconosciuto pari dignità e diritti a tutte le
persone, ma ritengo si possa essere soddisfatti dell’accelerazione che
c’è stata in questi anni e le conquiste ottenute, rispetto ad una storia
antica.
17
Italia terra di confine
L’assistenza alle persone disabili in Italia fino ai primi del ‘900,
viene seguita soprattutto da istituzioni religiose e di beneficenza
pubblica, lo Stato non emana leggi specifiche a favore delle persone
disabili, ma si limita a normare con provvedimenti20
, le Opere Pie e
gli Istituti di Beneficenza che prestavano assistenza ai poveri tanto in
stato di sanità, quanto di malattia e procuravano educazione,
istruzione e avviamento a qualche mestiere per il miglioramento
morale ed economico.
Lo Stato con la prima guerra mondiale comincia a doversi fare carico
di invalidi e mutilati, emanando provvedimenti specifici per le
persone disabili, prevedendo interventi economici, sanitari e forme di
avviamento professionale21
.
In quegli anni nei comuni come Roma e Milano sorgono le prime
scuole speciali.
20
Legge 6972 del 17/07/1890 “Norme sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza”
21
legge 481 del 25/03/1917, collocamento obbligatorio per mutilati e invalidi di guerra e
legge 1132 del 21/08/1924 aliquote di invalidi di guerra da assumere obbligatoriamente da
parte dei datori di lavoro.
18
Con la riforma Gentile del 192322
, il sistema di istruzione italiano
viene ri-organizzato, includendo anche le scuole speciali per
handicappati sensoriali della vista e dell’udito, definendo l’obbligo
scolastico, esami, formazione degli insegnanti speciali, classi
differenziali e modalità di invio degli alunni.
Lo Stato nel 193323
convenziona le scuole speciali nate nei Comuni
avvalorando così un doppio sistema scolastico, uno normale per gli
alunni normodotati e l'altro speciale per gli ipodotati e i minorati.
Attraverso i test di intelligenza, un bambino poteva essere assegnato
alle scuole normali a quelle speciali, alle classi differenziali o a dei
laboratori protetti.
I bambini con minorazioni psichiche gravi, venivano inseriti presso
le scuole speciali, mentre per le persone con lievi anomalie del
carattere per cause non costituzionali o gli alunni scarsamente dotati,
con un quoziente di intelligenza di poco inferiore a quello normale
erano da avviare alle classi differenziali.
22
La prima legge che si occupa del sistema scolastico e la legge Casati del 13/11/1859,
susseguita dalla legge Coppino del 15/07/1877, la legge Orlando dell’8/07/1904 e la legge
Credano del 4/06/1911
23 R.D. 1/07/1933, n. 786, "Passaggio allo Stato delle scuole elementari dei Comuni
autonomi"
19
Nel 1947 con la costituzione italiana all’art. 2 la Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale.
Nell’art. 3 si declama come “Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e dell'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Negli anni settanta troviamo le prime applicazioni dei principi della
costituzione, con le nuove norme24
a favore dei mutilati ed invalidi
civili, promuovendone il reinserimento e l’integrazione.
“L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della
scuola pubblica (...) Sarà facilitata inoltre la frequenza degli invalidi
e mutilati civili alle scuole medie superiori e universitarie. Le stesse
disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i
doposcuola”25
. Si individuano le “istituzioni terapeutiche quali
comunità di tipo residenziale e simili”26
in alternativa al ricovero in
istituto. Si enuncia che i mutilati e invalidi civili, dopo l'espletamento
dell'obbligo scolastico sono ammessi a fruire delle provvidenze
intese all'orientamento, all'addestramento, alla qualificazione e
“riqualificazione professionale a cura del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale”27
.
Con questa legge le scuole speciali diminuiscono come numero di
istituti e alunni iscritti fino a scomparire e gli istituti
contemporaneamente registrano una riduzione dei ricoveri.
24
legge n. 118 del 30/03/1971
25
legge n. 118 del 30/03/1971, art. 28
26
legge n. 118 del 30/03/1971, art. 4
27
legge n. 118 del 30/03/1971, art. 23
20
Nel 1977 con la legge 517 si sancisce il diritto alla frequenza
scolastica di tutti i portatori di handicap, in classi che non devono
superare i 20 alunni28
e ai quali devono “essere assicurati la
necessaria integrazione specialistica, il servizio
sociopsicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le
rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti"29
Nella legge si riconosce inoltre l'importanza di interventi educativi
individualizzati e finalizzati al pieno sviluppo della personalità degli
studenti, prevede attività di gruppo anche fra classi diverse, consente
di svolgere attività integrative nell'ambito della programmazione
educativa e indica criteri per l'utilizzazione degli insegnanti di
sostegno.
LA LEGGE QUADRO 104/92
La legge 104 del 1992 “detta i principi dell’ordinamento in materia
di diritti, integrazione sociale ed assistenza della persona
handicappata”30
28
legge 517 del 4 agosto 1977, art. 7
29
legge 517 del 4 agosto 1977, art. 2
30
Legge 104 del 1992, art. 2
21
Questa legge ha permesso di interrompere un modo di legiferare da
parte dello Stato basato su risposte date a problematiche che
portavano le diverse categorie svantaggiate.
Con questa legge si vuole garantire “il pieno rispetto della dignità
umana e i diritti di libertà e autonomia della persona handicappata e
ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel
lavoro e nella società.
a) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo
sviluppo della persona umana, (…)
b) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da
minorazioni (…)
c) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di
esclusione sociale della persona handicappata”31
.
Per la prima volta con questa legge si definisce la persona
handicappata, come “colui che presenta una minorazione fisica,
psichica o sensoriale stabilizzata o progressiva che è causa di
difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa
e tale da determinare un processo di svantaggio sociale e/o di
emarginazione”32
.
Si tocca con la legge 104 diversi temi riguardanti la persona disabile:
la prevenzione e diagnosi (art. 6), la cura e riabilitazione (art. 7),
inserimento ed integrazione sociale (art. 8).
Per quanto riguarda l’istruzione si sancisce che è “garantito il diritto
all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle
sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni
scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.
L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle
potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella
comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione"33
.
Per quanto riguarda la formazione professionale della persona
disabile "le regioni … realizzano l'inserimento della persona
handicappata negli ordinari corsi di formazione professionale dei
centri pubblici e privati e garantiscono agli allievi handicappati che
non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento ordinari
31
Legge 104 del 1992, art. 1
32
Legge 104 del 1992, art. 3
33
Legge 104 del 1992, art. 12
22
l'acquisizione di una qualifica anche mediante attività specifiche
nell'ambito delle attività del centro di formazione professionale
tenendo conto dell'orientamento emerso dai piani educativi
individualizzati realizzati durante l'iter scolastico"34
.
Per quanto riguarda l’integrazione lavorativa “in attesa dell’entrata in
vigore della nuova disciplina del collocamento obbligatorio le
disposizioni di cui alla legge 482/68, e successive modificazioni,
devono intendersi applicabili anche a coloro che sono affetti da
minorazioni psichiche, i quali hanno una capacità lavorativa che ne
consente l’impiego in mansioni compatibili” 35
Il nuovo ordinamento
per il diritto al lavoro delle persone disabili viene definito nel 1999
con la legge del 12 marzo n° 68 “Norme per il diritto al lavoro dei
disabili”.
Un importante passo è stato sancito il 28 dicembre 2007 quando il
Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di ratifica
della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilità, impegnandosi ad accelerarne il più possibile il processo di
ratifica con i necessari interventi legislativi al fine di darne concreta
applicazione. I principi generali della convenzione sono “
il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale,
compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza
delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva
partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza
e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della
diversità umana e dell’umanità stessa; la parità di opportunità;
l’accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo
delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei
minori con disabilità a preservare la propria identità”36
.
34
Legge 104 del 5 febbraio 1992, art. 17
35
Legge 104 del 1992, art. 18
36
http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/disabili_convenzione/
23
Nazioni Unite
Nel 1948 con la dichiarazione universale dei diritti umani si afferma
che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti
(…) ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà
enunciate nella presente dichiarazione, senza limitazione alcuna, per
ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizione37
.
Solamente negli anni settanta possiamo intravedere le applicazioni di
questo enunciato, perché fino ad allora la “persona disabile viveva in
una condizione di invisibilità, in quanto vista come problema,
‘oggetto’ di interventi sanitari e di politica sociale e non ‘soggetto’ di
diritto. Tale approccio giustificava e promuoveva forme di esclusione
e separazione, con la creazione di scuole, edifici, trasporti dedicati ai
disabili”38
.
Nelle nazioni unite il 20/12/1971 si adotta la risoluzione n. 2856 che
riporta la “dichiarazione dei diritti delle persone mentalmente
ritardate”39
e Il 9 dicembre 1975 la risoluzione 3447, contente una
“dichiarazione sui diritti delle persone disabili”40
.
Queste prime conquiste raggiunte riportano in esse un modello
essenzialmente medico-assistenziale della disabilità, ottica che si
modificherà nel 1981 con la proclamazione dell’anno internazionale
dei disabili, l’inaugurazione del decennio dei disabili dal 1983 al
1992 e l’avvio di politiche importanti per la proclamazione dei diritti
dei disabili.
Sempre negli anni ottanta si ha la “dichiarazione sui principi di tutela
delle persone colpite da malattia mentale e per il miglioramento
dell’assistenza nell’ambito della salute mentale”41
e si approva il
37
http://www.onuitalia.it/diritti/index2.html
38
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/02.asp?menu=bollettino
39
http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/m_mental.htm
40
http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/72.htm
41
G. A. Res. 46/119, 46 UN. GAOR Supp. (No. 49) at 189, UN. Doc. A/46/49 (1991)
24
programma mondiale d’azione concernente le persone con
disabilità42
.
Nella Dichiarazione di Vienna e Programma d’azione, adottati dalla
Seconda Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani,
il 14-25 giugno 1993, si ribadiscono i diritti delle persone disabili
ritenendoli universali.
“Un’attenzione speciale deve essere prestata alle persone disabili, al
fine di assicurare loro la non discriminazione e l’eguale godimento di
tutti i diritti umani e della libertà fondamentali, inclusa l’attiva
partecipazione in tutti gli aspetti della vita sociale. (…)
La Conferenza Mondiale sui diritti umani ribadisce che tutti i diritti
umani e le libertà fondamentali sono universali e includono senza
riserve le persone disabili. Ogni persona è nata uguale alle altre e
vanta gli stessi diritti alla vita e al benessere, all’educazione e al
lavoro, a vivere in modo indipendente e all’attiva partecipazione a
tutti gli aspetti della società. (…)
Il posto delle persone disabili è ovunque. Alle persone disabili
dovrebbero essere garantite uguali opportunità, attraverso
l’eliminazione di tutte quelle barriere socialmente determinate, siano
esse fisiche, finanziarie, sociali o psicologiche, che escludono o
restringono la piena partecipazione alla società.”43
.
Nel 1993 l’assembla generale delle nazioni unite stabilisce le
“Norme standard per le pari opportunità delle persone disabili”44
, la
risoluzione richiama i governi all’adozione di politiche verso
l’uguaglianza dei diritti, delle opportunità e dei doveri delle persone
disabili, per la creazione di politiche che riconoscano le persone
disabili come soggetti attivi ed unici, responsabili delle proprie scelte
e quando questo non sia possibile, riconoscano tale capacità alle
famiglie.
Il documento illustra i vari ambiti della vita delle persone con
disabilità, strutturandosi in ventidue regole, raggruppate in quattro
temi: le condizioni di base per la piena partecipazione, le aree di
intervento, le misure attuative e il meccanismo di monitoraggio.
42
Risoluzione 37/52 del 3/12/1982
43
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_strumenti/testoit/22001it.asp?menu=strumenti
44
http://www.un.org/esa/socdev/enable/dissre00.htm, risoluzione 48/96 del 20/12/1993
25
Alle persone disabili si vuole garantire l’accesso ai diritti
fondamentali, aumentando la coscienza delle persone su diritti e
potenzialità. La riabilitazione è proposta come processo finalizzato al
raggiungimento di migliori livelli fisici, sensoriali, intellettuali e
sociali della persona disabile. Alle persone disabili deve essere
riconosciuto il diritto l’accessibilità non solo quella fisica, ma anche
sociale, all’ambiente fisico e all’informazione, allo studio,
all’occupazione, ad un reddito e alla previdenza sociale, ad una vita
familiare, alle attività culturali, sportive, ricreative e al culto
religioso.
Nel diritto allo studio le persone disabili devono essere inseriti nei
cicli educativi normali nei limiti del possibile, con l’eventuale aiuto
di insegnanti di sostegno e di supporti adatti.
Il diritto al lavoro è visto come fondamentale e imprescindibile per
tutte le persone, soprattutto per le persone disabili visto che si ritiene
legato alla dignità umana.
Nel 2001 l’Assemblea generale, “istituisce un Comitato ad hoc con il
compito di elaborare un progetto per una Convenzione globale per la
promozione e la protezione dei diritti e della dignità delle persone
disabili. Nel corso della sessione del 2003, il Comitato ad hoc
istituisce un gruppo di lavoro per l’elaborazione del progetto di
convenzione”45
.
Questa attenzione alla disabilità da parte delle nazioni unite con la
strutturazione di una convenzione è un approccio basato sul diritto e
prende in considerazione cinque principi fondamentali: la dignità
umana, l’uguaglianza delle persone, l’autonomia come possibilità per
la persona disabile di vivere nella società, l’etica e la pratica della
solidarietà.
Nel progetto di convenzione si proclama il diritto da parte della
persona disabile all’educazione, per lo sviluppo delle potenzialità
umane, del senso di dignità, del rispetto per i diritti umani e le libertà
fondamentali. Un educazione che garantisca ai bambini disabili
l’inclusione all’interno della loro comunità. Si riporta poi la necessità
per le persone disabili di poter accedere all’educazione di terzo
livello, alla formazione professionale, all’educazione degli adulti e il
45
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/02.asp?menu=bollettino,
Ris.56/168
26
diritto al “sostegno economico o di altro tipo necessario per garantire
l’effettivo accesso”46
.
L’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani della Nazioni
Unite a favore dei disabili, il 14 gennaio 2002 presenta a Ginevra il
rapporto “Human Rights and Disability”, dove in collaborazione con
il Relatore speciale sulla disabilità, vengono esaminate misure per
rafforzare la protezione delle persone disabili.
Nel rapporto si considerano le disposizioni di sei principali strumenti
internazionali47
sui diritti umani.
46
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_strumenti/testoit/32001it.asp?menu=strumenti
47
Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, Patto internazionale sui diritti
civili e politici, Convenzione contro la tortura, Convenzione sull’eliminazione di ogni forma
di discriminazione razziale, Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti delle donne e Convenzione sui diritti dell’infanzia
27
L’Unione Europea e i diritti delle persone disabili
La disabilità come forma fisica, sensoriale, mentale e intellettuale
riguarda all’interno della comunità europea “circa 50 milioni”48
di
persone, “un decimo della popolazione complessiva” 49
.
Le attività del Consiglio d’Europa a favore dell’integrazione delle
persone con disabilità “si fondano sul riconoscimento ‹della dignità
umana, della piena cittadinanza, dell’indipendenza e della
partecipazione attiva nella comunità›. L’obiettivo delle politiche è ‹la
promozione della coesione sociale›, riconciliando la garanzia di
‹eguali diritti per tutti›”50
.
Nel 1992 si incoraggia i diversi stati a facilitare il processo di
integrazione delle persone disabili nella raccomandazione “Una
coerente politica per l’integrazione dei disabili”51
con politiche
nazionali che comprendano diversi ambiti, partendo dalla
prevenzione ed educazione sanitaria, all’identificazione e la diagnosi,
al trattamento medico-sanitario, alla formazione, l’occupazione,
l’integrazione sociale, la protezione sociale, economica e giuridica,
l’informazione e la ricerca.
Nel 1995 la Comunità Europea adotta52
la Carta sulla valutazione
professionale delle persone con disabilità, come riferimento per una
strategia di integrazione professionale delle persone con disabilità.
Nel documento la valutazione professionale, è “quel processo di
valutazione delle capacità professionali delle persone insieme ai
requisiti professionali per una reintegrazione lavorativa”53
. Gli scopi
della carta comportano un cambio di prospettiva, dove si vanno a
valutare le abilità e non le difficoltà della persona.
48
http://www.ens.it/documenti/doc_mondo/Dichiarazione_Madrid.pdf
49
http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-prot/disable/com406/406-it.pdf
50
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/04.asp?menu=bollettino
51
Raccomandazione n. R (92) 6, adottata nell’aprile 1992
52
Ris. AP (95) 3
53
http://cm.coe.int/ta/res/resAP/1995/95xp3.htm, art. 1.1.
28
Pari opportunità per le persone disabili
Nel 1996 con le “Norme standard per le pari opportunità delle
persone disabili” stabilite dalle nazioni unite, l’Unione Europea
dispone la “Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei
governi degli Stati membri sulla parità di opportunità per le persone
con disabilità”54
, questo documento rappresenta un riferimento per
diverse politiche europee. “E’ fondamentale che la CE chiarisca e
confermi la propria strategia generale in materia di disabilità che
dovrebbe essere incentrata su un impegno condiviso da parte di tutti
gli Stati membri a promuovere la parità delle opportunità, eliminare
le discriminazioni e riconoscere i diritti delle persone disabili”55
.
Con questa risoluzione si passa dal vecchio approccio di tipo medico
ad un approccio sociale, che pone attenzione nel trovare ed eliminare
gli ostacoli, alle pari opportunità e alla partecipazione a tutti gli
aspetti della vita per le persone disabili.
L’approccio medico vedeva la disabilità nella persona, l’approccio
sociale tiene in considerazione la persona nell’ambiente che non si
adatta alla disabilità.
In questo documento il passaggio fondamentale risulta
dall’adattabilità, all’integrazione delle persone con disabilità nella
società come chiave di accesso alla vita attiva. Il compito
complessivo di questa risoluzione si può sintetizzare con il termine
“mainstreaming”. Si vuole trovare una strategia per facilitare e
rendere possibile la partecipazione e il coinvolgimento delle persone
con disabilità ai processi economici, sociali e altri nel rispetto delle
scelte personali.
Si necessita di distaccarsi da una politica assistenzialista ed
esclusione dalla vita sociale, passando ad azioni che promuovano
l’integrazione delle persone disabili.
Vengono sottolineati alcuni ambiti che rappresentano per il momento
dei nodi critici nell’integrazione della persona disabile nella società e
54
http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-prot/disable/com406/406-it.pdf,
risoluzione approvata il 20 dicembre 1996
55
http://europa.eu.int/infonet/library/m/97c1201/it.htm
29
sono l’istruzione, l’occupazione, la mobilità e accesso, la presenza di
alloggi e la presenza di un sistema di sicurezza sociale.
Si considera come area problematica l’ istruzione, in quanto
numerosi bambini disabili sono esclusi dalle scuole ordinarie senza
una reale misurazione delle loro potenzialità e possibile integrazione,
venendo prescritti in istituzioni che non prevedono inclusione
sociale. Le persone disabili nei momenti di crisi economica sono i
primi a perdere la propria occupazione. Viene limitata la mobilità e
l’accesso della persona disabile in diversi sistemi di trasporto ed
edifici pubblici inaccessibili per la presenza di barriere
architettoniche e infrastrutturali. Esistono pochi alloggi strutturati per
rispondere alle esigenze della persona disabile e quelli esistenti molto
spesso hanno dei costi proibitivi.
Il sistema di sicurezza sociale attualmente presente in Europa
solamente in parte riesce ad incontro alla persona disabile facilitando
la sua partecipazione sociale.
L’Unione Europea in questi anni per favorire politiche di
cambiamento e integrazione della persona disabile ha messo a
disposizione dei "Fondi strutturali", in particolare il "Fondo Sociale
Europeo", per l’inserimento professionale.
Viene messo in rilievo in questi anni l’importanza e le potenzialità
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, strumento
per le persone disabili conseguire migliori condizioni di vita e di
lavoro.
30
Diversi punti all’ordine del giorno
Nella Carta sociale europea entrata in vigore con la versione riveduta
nel 1999, all’articolo 15 si ribadiscono i diritti delle persone
portatrici di handicap all’autonomia, integrazione sociale e alla
partecipazione alla vita in comunità, tutelando le persone disabili
negli ambiti dell’educazione, occupazione e integrazione.
Anche nella Risoluzione del Consiglio del 17 giugno 1999 si
sottolinea l’importanza delle pari opportunità di lavoro per le persone
disabili56
.
Nella comunicazione «Verso un’Europa senza ostacoli per i
disabili», si riporta la necessità di “eliminare le barriere ambientali,
tecniche e giuridiche che si frappongono all'effettiva partecipazione
delle persone con disabilità a un'economia e a una società basate
sulla conoscenza”57
.
La “Direttiva 2000/78/CE, stabilisce un quadro generale per la parità
di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro” 58
che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su
religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali.
“Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti
appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per
consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere
una promozione o perché possano ricevere una formazione.”59
.
Nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE “è vietata qualsiasi
forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza (…), la nascita,
gli handicap. (…) l’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili
di beneficiare di misure intese a garantire l’autonomia, l’inserimento
sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”60
.
56
G.U.C.E., C 186, del 2 luglio 1999, pag. 3.
57
http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c11414.htm, comunicazione del 10 maggio 2000
58
G.U.C.E., L 303, del 2.12.2000, pag. 16
59
Richard Whittle, “The Framework Directive for equal treatment in employment and
occupation: an analysis from a disability
rights perspective”, European Law Review, Giugno 2002
60
http://www.europarl.eu.int/charter/pdf/text_it.pdf, Nizza 7/12/2000, art. 21, 26
31
Madrid e l’anno europeo
In occasione del Congresso europeo sulla disabilità tenutosi nel 2002
si è promulgata la dichiarazione di Madrid, risultato del lavoro
congiunto del Forum europeo delle persone con disabilità, della
Commissione europea e della Presidenza dell’Unione Europea.
L’obiettivo della dichiarazione è quello di “proporre un quadro ideale
d’azione da sviluppare durante l’Anno europeo nell’ambito
dell’Unione Europea, a livello nazionale, regionale e locale61
.
Nella dichiarazione si ribadisce che le persone disabili sono cittadini
indipendenti pienamente integrati nella società, abbandonando una
visione paternalistica.
Il fine è rappresentato dal modificare la società per adattarla alle
necessità di ogni persona.
Le persone disabili non devono essere più dei cittadini invisibili ma
persone che possono avere un ruolo attivo nella società.
“NON DISCRIMINAZIONE + AZIONE POSITIVA
=INTEGRAZIONE SOCIALE”62
Nella dichiarazione di Madrid viene riportata l’importanza di attuare
le strategie proposte per portare beneficio non solo alle persone
disabili ma a tutta la società.
Nel 2003 la Comunità Europea propone l’“Anno europeo delle
persone disabili”63
, per promuovere la parità di diritti e la
partecipazione alla società delle persone disabili, aumentando
l’informazione e la conoscenza delle problematiche legate alla
disabilità.
Alcuni degli obiettivi ambivano ad aumentare da parte di tutti la
consapevolezza dei diritti delle persone con disabilità, incoraggiando
la riflessione e discussione delle misure necessarie alla promozione
di pari opportunità, di buone prassi e strategie efficaci. Intensificando
la cooperazione fra tutte le istanze interessate.
61
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/03.asp?menu=bollettino#3
62
http://www.ens.it/documenti/doc_mondo/Dichiarazione_Madrid.pdf
63
Decisione 2001/903/CE del Consiglio del 3 dicembre 2001
32
La promozione dei diritti dei disabili nell’anno 2003 si è attuata in
tutti gli Stati membri cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica
riguardo le difficoltà delle persone e i problemi che le persone si
trovano ad affrontare, dall’esclusione sociale, alla necessità di
maggiore partecipazione, alla promozione della qualità della vita e di
un’assistenza appropriata.
Il parlamento europeo durante l’anno si è fatto promotore
“dell’intergruppo disabilità”64
e diverse altre iniziative65
. Nel piano
d’azione dell’UE sulla disabilità, la Commissione europea adotta la
“Comunicazione sul follow-up dell’Anno europeo delle persone con
disabilità”66
, un piano di azione pluriennale, che propone di
accrescere l’integrazione e la partecipazione delle persone con
disabilità.
Nella prima fase del piano si porta l’attenzione verso quattro azioni
legate all’occupazione, quali l’accesso e il mantenimento ad una
occupazione; l’educazione permanente, la maggiore autonomia della
persona attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie e l’accessibilità
all’ambiente edificato pubblico.
Nel 2003 si riunisce la conferenza67
europea dei ministri responsabili
delle politiche per l’integrazione delle persone disabili con oggetto
dell’incontro di "Migliorare la qualità della vita dei disabili: condurre
una politica coerente per una piena partecipazione"68
. È emersa la
necessità di una promozione della cittadinanza e la piena e completa
partecipazione della persona disabile, elaborando una politica e delle
disposizioni giuridiche volte a garantire la parità di opportunità ai
portatori di handicap e sviluppando approcci innovativi nei servizi
forniti. L’obiettivo con la conferenza era quello di elaborare dei
principi comuni per orientare le future politiche in tema di disabilità
e la fornitura di servizi pubblici adeguati.
A fine lavori si è adottata la "Dichiarazione ministeriale di Malaga
relativa ai disabili: Procedere verso la piena partecipazione come
64
http://edf-feph.org/en/welcome.htm
65
“Risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2002” e
“Risoluzione sui diritti umani nel mondo e la politica dell’UE in materia di diritti umani”
66
http://europa.eu.int/comm/employment_social/news/2003/oct/it.pdf
67
Conferenza tenuta il 7 e 8 maggio del 2003 a Malaga, riunendo i ministri dei 45 Paesi
membri, rappresentanti di organizzazioni intergovernative e ONG.
68
http://www.coe.int/T/I/Com/Dossier/Conferenze-ministeriali/2003-05-
Disabili/decl_finale_IT.asp#TopOfPage
33
cittadini", che propone di elaborare un ambizioso piano d'azione
europeo “dettagliato e nel contempo flessibile, nella prospettiva
dell'attuazione a livello nazionale e internazionale dei principi
evocati in occasione di questa seconda Conferenza europea”69
.
Nel 2003 il consiglio dell’unione con la Risoluzione del 15 luglio
2003 del Consiglio dell’Unione, invita a riflettere sulla necessità di
ulteriori misure per promuovere l’occupazione e l’integrazione
sociale delle persone con disabilità nella società.
Si auspica che tutti gli stati membri collaborino con tutti gli
organismi che si occupano di persone con disabilità per favorire
l’integrazione e la partecipazione a tutti gli aspetti della società.
Nella Strategia europea per l’occupazione (SEO) si richiama gli stati
a promuovere misure attive nel mercato del lavoro per le persone con
disabilità e a migliorare l’offerta di assistenza e orientamento
personale, nel contesto delle attività del Fondo sociale europeo e
dell’iniziativa comunitaria EQUAL (2000-06).
Sempre nel 2003 viene adottata la “Risoluzione sull’Agenda di
Politica Sociale”, la “Risoluzione sulla Convenzione delle Nazioni
Unite sui diritti delle persone disabili” e la “Risoluzione sulla
televisione senza frontiere”.
L’intergruppo disabilità dell’unione europea da inpulso al
“Parlamento europeo delle persone disabili”, dove partecipano
delegati di persone disabili e di familiari di persone disabili e diversi
osservatori dei movimenti sulla disabilità.
A conclusione del parlamento europeo vengono creati una
Risoluzione e un Manifesto con lo slogan “niente su di noi, senza di
noi.”
Dopo l’anno europeo dei disabili con il piano d'azione dell'unione
europea a favore dei disabili (pad) e nel 2005 con la comunicazione
della commissione ai diversi organismi dell’unione europea e al
comitato delle Regioni, viene riferita la situazione dei disabili
nell’Unione Europea allargata e lo stato d’azione europeo 2006-
2007. “La strategia dell'UE si basa su tre pilastri: (1) la legislazione e
le iniziative miranti a combattere la discriminazione, che
garantiscono i diritti individuali; (2) l’eliminazione degli ostacoli di
69
http://www.coe.int/T/I/Com/Dossier/Conferenze-ministeriali/2003-05-
Disabili/decl_finale_IT.asp#TopOfPage
34
natura ambientale che impediscono ai disabili di sfruttare le loro
capacità e (3) la considerazione dell’aspetto della disabilità in tutte le
politiche comunitarie, che promuove l'inclusione attiva dei
disabili”70
.
Il Piano di azione copre il periodo 2004-2010, suddiviso in diverse
fasi, la prima fase andava dal 2004 al 2005 e ha visto l’integrazione
di alcuni aspetti della disabilità ad azioni dirette nei settori
dell'occupazione avendo un migliore inserimento dei disabili nel
mondo del lavoro, nelle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione e nell'istruzione come l’e-learning.
“La seconda fase del pad sarà incentrata sull'inclusione attiva delle
persone disabili, basandosi sul concetto di disabilità rispecchiato
dalla carta dei diritti fondamentali dell'unione e sui valori a cui si
ispira la futura convenzione delle nazioni unite sulla protezione e la
promozione dei diritti e della dignità dei disabili”71
.
70
http://www.disabilitaincifre.it/europa/com_2005_604_it.pdf
71
COM(2005) 604 definitivo, Bruxelles, 28.11.2005
35
Imprenditori di sè stessi con gli altri
A conclusione del rapporto di lavoro con la cooperativa sociale Filo
Continuo, le considerazioni che venivano portate negli ultimi anni
soprattutto fra coordinatori e responsabili di struttura erano quelle di
azzardare dei paragoni tra la nostra realtà ed un piccola media
impresa.
Erano presenti a libro paga circa trenta soci lavoratori e si gestivano
più servizi alla persona. Nel mio percorso universitario i paragoni
con le metodologie utilizzate nelle aziende e la possibilità di adattarle
alle realtà del no-profit era un tema che veniva affrontato spesso,
mettendo in luce di come alcune risorse umane presenti nelle
cooperativa sociali provenivano dal mondo del profit, causa la
politica dei tagli e i diversi licenziamenti di operai, impiegati e
dirigenti. Si trattava di capire cosa c’era di buono nell’ ”aziendalese”
per essere poi adattato ai servizi alla persona.
Studiando il modello delle piccole aziende famigliari del nord-est
italia, che si erano imposte negli anni passati nel panorama
dell’economia Italiana, ho visto alcune analogie con la realtà della
cooperativa. In entrambi ho riscontrato un forte senso di
appartenenza alla propria realtà lavorativa, una grande motivazione
nel lavoro e la tensione da parte delle persone nel raggiungere gli
obiettivi prefissati.
Ritengo che il lavoro fatto negli anni in cooperativa sul significato di
essere socio, sul senso di appartenenza e la possibilità di avere una
informazione chiara e aggiornata sulla situazione della propria realtà
lavorativa, abbia prodotto come risultato un contesto positivo,
limitando in questi anni il turn-over dei professionisti.
In questo momento storico è difficile che una persona rimanga in una
stessa cooperativa per tutta la sua vita lavorativa, soprattutto se deve
fare sempre le stesse attività o mansioni.
Le persone e in particolare i giovani, riescono ad acquisire un
maggiore grado di scolarizzazione e il lavoro diventa, in alcuni casi,
solamente un sostegno ai loro interessi senza coinvolgerli
particolarmente o solamente una occupazione temporanea per
accedere poi ad altre realtà.
36
Il contratto delle cooperative è uno dei più bassi a livello nazionale e
determina condizioni che non favoriscono la permanenza nella realtà
lavorativa.
Questi e altri problemi mi hanno fatto riflettere sul rapporto che c’è
tra cooperativa e socio, dell’importanza di condividere una mission
comune e sviluppare un atteggiamento da parte delle persone che
faciliti la messa in campo delle competenze di ognuno per favorire
prestazioni efficaci ed efficienti.
Una regia attenta dell’organizzazione della cooperativa dovrebbe
valorizzare, riconoscere e gestire le competenze e conoscenze che
vengo utilizzate nel lavoro da parte dei diversi professionisti, per
riuscire a garantire il continuo sviluppo della realtà lavorativa e così
affrontare le diverse sfide che ogni giorno ci pone inevitabilmente un
mercato dei servizi alla persona, caratterizzato da gare, convenzioni e
svariati altri tipi di trattative.
Attualmente un educatore o un operatore che viene assunto da un
ente, oltre alle capacità relazionali e comportamentali, deve
possedere anche altre abilità, vista la complessità del lavoro e dei
bisogni dell’utenza.
La persona, il professionista operante nelle realtà lavorative del no-
profit diventa un capitale inestimabile che un ente non può
trascurare, al quale dovrebbe dare riconoscimento e valore.
Le realtà del non profit hanno in sè un valore complessivo che
potremmo chiamare “capitale umano”72
il quale contribuisce in modo
significativo alla crescita e alla produttività di un ente.
In questo momento nelle realtà dei servizi alla persona, trovo che
gratificare e incentivare il professionista e la persona che dimostra
competenza e ottime prestazioni nello svolgere il proprio lavoro sia
importante.
Il rischio di perdere dei bravi professionisti, si insinua quando non si
garantiscono delle adeguate condizioni lavorative e un corretto
coordinamento delle risorse umane.
Tante volte, nella mia realtà lavorativa ho visto professionisti
competenti e preparati lasciare il posto di lavoro, perché ricevevano
proposte lavorative più vantaggiose da un punto di vista economico,
72
De la Fuente e Ciccone, Human capital in a global and knowledge-based economy,
relazione finale per DG Occupazione e affari sociali, Commissione europea, 2002.
37
ma poi meno gratificanti da un punto vista della motivazione
personale. Ho conosciuto anche degli eccellenti professionisti
operanti in altre cooperative costretti ad abbandonare perché il loro
operato poteva mettere in discussione gli organi direttivi della realtà
in cui erano inseriti, ponendo le basi per un cambiamento che
metteva in discussione la leadership e il potere di pochi.
Da tenere presente come nelle cooperative sociali di piccola e media
dimensione la persona, oltre a rappresentare una risorsa
fondamentale a volte identifica la realtà in cui opera.
Privarsi di un bravo professionista o un collega competente,
comporta una perdita in termini non solo economici, ma anche la
necessità di dover reperire, formare e avviare al lavoro un altro o a
volte più professionisti.
Le selezioni che vengono fatte per le assunzioni dei professionisti
che si vanno ad inserire nelle realtà lavorative, dovrebbero essere dei
momenti progettati e organizzati adeguatamente, con la
predisposizione di strumenti oggettivi che permettano di avere
qualche certezze sul fatto di inserire la persona giusta al posto giusto
nel momento giusto.
Molto spesso i diversi curriculum che arrivavano alla cooperativa
andavano ad aumentare un faldone che veniva aperto quando c’era la
necessità di assumere delle persone e frequentemente dall’esame
della documentazione prodotta dai candidati risultava non esserci le
competenze necessarie per il profilo ricercato.
Le qualifiche formali e i titoli di studio non sempre risultavano
funzionali ad un riscontro oggettivo delle capacità della persona e la
conoscenza diretta delle persone a volte poteva rappresenta un limite
perché molto spessa connotata da possibili pregiudizi.
Investire anche da un punto di vista economico nella selezione del
personale, fatto con strumenti e professionisti competenti, permette a
mio parere di risparmiare a lungo termine, tempo e denaro.
“Il costo di una selezione efficiente viene ad essere coperto proprio
da ciò che l’azienda risparmia successivamente in costi di ricambio
del personale, di addestramento, di limitato rendimento”73
73
N. A. De Carlo, teorie & strumenti per lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni,
volume primo, franco angeli, milano, 2002, pag. 69
38
Ho incontrato nella mia esperienza lavorativa diversi responsabili di
cooperative che gestendo da diversi anni servizi alle persona,
conoscendo e selezionando diversi professionisti e sostanzialmente
svolgendo nel proprio ambito soprattutto un lavoro di relazione,
sviluppano una sensibilità verso l’altro che nella scelta di un
operatore o un educatore molto spesso hanno già presente
implicitamente quali sono le caratteristiche che deve avere il neo
assunto e se sono presenti già in un primo colloquio con la persona.
Non sempre l’esperienza e la sensibilità verso l’altro da parte dei
responsabili dei servizi alla persona è sufficiente ad evitare errori
nell’assumere dei professionisti che non sempre riescono ad inserirsi
correttamente nella realtà lavorativa, causando diversi problemi.
Il capitale umano
La necessità per una cooperativa di mantenere il proprio capitale
umano e sociale, dovrebbe attivare da parte dei diversi presidenti e
direttori, dei processi che possano stimolare e mantenere alta la
motivazione delle persone nel proprio lavoro.
Nella cooperativa in questi anni si è pensato di predisporre dei
percorsi di sviluppo di carriera e un sistema incentivante, che
premiasse le persone che dimostravano competenze e investimento
professionale sul lavoro.
In questo modo si crea un sistema, che va a riconoscere in maniera
diversa le persone che raggiungono determinati risultati e
garantiscono elevate prestazioni che mantengono efficacie ed
efficiente il servizio in cui sono inseriti. Per attivare tali processi si
necessita di definire le competenze che un eccellente professionista
deve avere per lavorare con criteri di efficacia ed efficienza nella
propria realtà lavorativa, creando poi un sistema di riconoscimento e
rilevazione delle competenze.
Quando parlo di competenza mi riferisco al dibattito che in questi
anni in Europa a portato a riflettere sul significato di questa parola,
alla definizione di vari modelli soprattutto nel campo della
formazione e i curricoli della formazione professionale.
39
Diversi modelli autorevoli che si sono espressi nella formazione alle
competenze e sono quello di Spencer e Spencer74
, quello sociale di
Bandura75
, quello per competenze trasversali dell’isfol76
a quello di
sviluppo ramificato di Authier e Lèvy77
, denominatore comune di
tutti tutte le opere è la centralità della persona come detentore delle
competenze. Per competenza in questo manoscritto intendo
“l’insieme delle caratteristiche individuali (di tipo diverso) che
concorrono all’efficace presidio di una situazione lavorativa, di
un’attività, compito, prestazione.
Competenza è intesa per lo più come l'insieme delle conoscenze,
abilità e atteggiamenti che consentono ad un individuo di ottenere
risultati utili al proprio adattamento negli ambienti per lui
significativi e che si manifesta come capacità di affrontare e
padroneggiare problemi attraverso l'uso di abilità cognitive e sociali.
Le competenze si configurano inoltre come strutturalmente capaci di
trasferire la loro valenza in diversi campi generando così
dinamicamente anche una spirale di altre conoscenze e competenze.
La competenza esprime infatti una «relazione» tra un soggetto e una
specifica situazione lavorativa. In questo senso essa non è ricavabile
da un’esclusiva analisi della natura tecnica dei compiti lavorativi, e
neppure dalla definizione di una somma di conoscenze e capacità
aspecificamente possedute da un soggetto.
Essa scaturisce dall’analisi del «soggetto in azione», dalla
considerazione del tipo di risorse che mette in campo e delle
modalità con cui le combina, per raggiungere i risultati di volta in
volta richiesti”78
.
La cooperativa sociale “insieme si può” ha condotto una ricerca
raccolta in tre volumi79
che tratta il dizionario delle competenze nelle
professioni sociali. Nell’introduzione iniziale si specifica che la
finalità di questo processo ha un aspetto sociale decisamente
74
L. M. Spencer, S. M. Spencer, Competenze nel lavoro, Franco Angeli, Milano 1995.
75
A. Bandura, Social Learning theory, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1977
76
Isfol, competenze trasversali e comportamento organizzativo, Franco Angeli, Milano
1994
77
M. Authier, P. Lèvy, Gli alberi di conoscenze. Educazione e gestione dinamica delle
competenze, Feltrinelli, Milano, 2000.
78
GLOSSARIO MINIMO SULLE COMPETENZE, Regione Emilia Romagna, 1999
79
Professioni sociali, dizionari delle competenze a cura di Giuliano Trevisiol, progetto
lavorare in rosa nel sociale, 2004
40
importante, che mira a restituire dignità e qualità alla figura
dell’operatore sociale.
“Dobbiamo sfatare una convinzione, che per molto tempo ha abitato i
responsabili dei servizi sociali e gli operatori stessi, secondo la quale
era sufficiente una buona motivazione, una grande disponibilità e
<amore> per gli altri per fare un buon operatore sociale. La
prevalenza data alle sole spinte motivazionali dell’operatore e una
certa visione filantropico-assistenziale dell’attività sociale ha
permesso l’introduzione in servizio di operatori con scarsa
formazione, con competenze non costruite e verificate e ha portato al
crollo di tanti di essi di fronte alla complessità e alle frustrazioni del
lavoro sociale”80
.
Quante volte nel cambio di un operatore o un educatore all’interno
della propria realtà lavorativa, ci poniamo di fronte all’incertezza di
poter trovare un collega competente, in grado di imparare in fretta le
diverse mansioni e compiti, mantenendo alcune routine consolidate
nella realtà in cui operiamo e a dirittura migliorarle.
Un diploma di Operatore Socio Sanitario o la Laurea in scienze
dell’educazione o formazione, non sono sufficienti a placare le
preoccupazioni di un equipe, di un coordinatore o un direttore.
Sarebbe importante determinare all’interno della realtà lavorativa per
i propri soci e dipendenti dei percorsi interni basati sulla formazione
e definizioni di crescita professionale, garantendo in questo modo un
investimento sulle persone già inserite nel proprio organico e
l’efficacia di una struttura e la sua prosecuzione.
Nel selezionare una persona la cooperativa dovrebbe avere chiaro e
definito le competenze di cui necessita per mantenere la propria
identità e operatività, garantendo alla persona a sua volta di poter
essere poi riconosciuto nelle proprie competenze e prestazioni.
Troppo spesso nelle realtà sociali, non si investe tempo nel definire
quali sono le cose che funzionano e le buone prassi che vengono
messe in atto, per poi replicarle e trasmetterle.
Quando si incontrano presidenti di cooperative dello stesso territorio
o professionisti del sociale, sanno benissimo indicarti quali sono le
realtà del no-profit come servizi alla persona che sono più efficaci e
funzionali, delineando gli aspetti positivi e negativi.
80
Ibidem, pag. 12
41
Nella stessa realtà lavorativa, gli stessi membri di un gruppo, sanno
indicare chi è la persona che maggiormente spicca per competenze e
prestazioni.
Perché quindi non analizzare le realtà e le persone che nella propria
azione si dimostrano efficaci ed efficienti, vedere di quali risorse
dispone, quali usa e come le equilibra per raggiungere i fini che si
pone? Attivando questo processo di miglioramento, porta benefici a
tutte le realtà partecipanti, aumentando la qualità dei servizi alla
persona.
Quello che manca in diverse realtà cooperative è una vera e propria
cultura della valutazione, non ci sono degli strumenti che eseguono
una attenta riflessione su quelle che sono le competenze e
conoscenze che non si possono perdere e quindi trattenere.
Manca la predisposizione di un processo di valutazione, che
definisca procedure, strumenti, modalità di comunicazione, prodotto
della valutazione e azioni possibili per il miglioramento a livello
gestionale, informativo, organizzativo e formativo della realtà in cui
si opera.
Un sistema di valutazione implica una corretta gestione della
comunicazione, coinvolgimento e fiducia tra le parti e la possibilità
di programmare spazi per modificare le competenze.
Uno strumento che ritengo fondamentale per raggiungere obiettivi di
cambiamento è la formazione che nelle realtà lavorative dovrebbe
mirare a fare acquisire, mantenere e sviluppare le competenze,
conoscenze professionali e sviluppo di mentalità e comportamenti
organizzativi efficaci da parte dei membri di una organizzazione o
soci di cooperativa.
I diversi momenti formativi,81
, dovrebbero essere visti come
opportunità per la cooperativa nel comunicare i valori e le strategie
che si voglio adottare, per trasferire conoscenze tra generazioni,
innovare e competere.
Nella formazione la necessità di sviluppare competenze porta a
considerare l’importanza dell’apprendimento come la capacità di
interiorizzare qualcosa di differente da prima e utilizzarlo poi nella
propria attività e comportamenti. Si dovrebbe arrivare al momento in
81
La formazione rientra in questi anni nei parametri di qualità dell’accreditamento da parte
del pubblico nei confronti del privato sociale L. Reg. Ven. 22/2002
42
cui un operatore o un educatore comprende e fa sua la necessità e la
capacità di apprendere ad apprendere.
L’apprendimento comincia con l’esperienza concreta nelle azioni che
una persona mette in atto durante la pratica lavorativa,
dall’esperienza la persona opera astrazioni e concettualizzazioni che
permettono una migliore comprensione del proprio agire secondo
propri schemi di riferimento.
Riflettere sulle attività lavorative permette di attribuire senso
all’esperienza e di creare conoscenza e apprendimenti condivisi. Da
questo si originano routine e si rafforzano competenze comuni
strategiche e condizionanti positivamente la capacità del sistema
della propria realtà lavorativa. Dai processi di apprendimento
emergono le competenze necessarie per l’attività lavorativa sia per
governarla che per controllare l’incertezza.
Per costruire competenze all’interno di una realtà lavorativa, anche
quella cooperativistica, sarebbe indispensabile operare per
identificare chi possiede determinate competenze, trovare le modalità
di trasmissione, riconoscere i ruoli a chi è chiamato ad avere funzioni
di maestro premiando questa capacità.
Per valorizzare le competenze di una persona è necessario
determinare un riconoscimento e un pay for competence.
Il pagamento degli operatori sociali, non è solo con l’aumento in
busta paga, ma anche attraverso dei benefit e riconoscimenti che
gratificano e motivano la persona.
Nella realtà lavorativa dove operavo anche se il progetto di
definizione delle competenze e sistema incentivante non è stato
portato a termine, ho assistito ad azioni della direzione molto attente
a poter incentivare e motivare maggiormente le persone.
Le convenzioni che venivano stipulate ogni anno con l’ente pubblico
non coprivano tutti i costi della cooperativa e quindi non era
possibile avere molte risorse economiche per aumentare gli stipendi
o dare degli incentivi in denaro, sono però state promosse alcune
azioni:
 Riconoscimento e copertura dei costi a carico della
cooperativa per iscrizioni a seminari o corsi di formazione richiesti
dai soci e valutati idonei per aumentarne le competenze e la propria
43
formazione personale nell’ambito dei servizi erogati dalla
cooperativa.
 Flessibilità di orario per permettere al socio che ne faceva
richiesta di poter proseguire gli studi o specializzarsi in un
determinato settore sociale o sanitario, riconoscendo allo stesso a
fine percorso un ruolo diverso in cooperativa o in alcuni servizi.
 Disponibilità da parte del consiglio di amministrazione nel
vagliare e sostenere da un punto economico e di infrastrutture
progetti innovativi proposti dai soci, per migliorare o ampliare i
servizi della cooperativa.
Queste sono solo alcune delle diverse iniziative che può
intraprendere una realtà sociale, di certo non è possibile competere
con i benefit delle grandi aziende, rappresentati da viaggi o beni di
lusso, ma permettono alle persone di avere un minimo
riconoscimento delle proprie competenze e sviluppare una maggiore
fidelizzazione al servizio in cui operano.
44
La soluzione C.E.O.D.
Negli anni di coordinamento del centro educativo, ho avuto modo di
ascoltare e confrontarmi con diverse persone che hanno mosso
critiche costruttive e distruttive alla realtà del centro educativo.
Dirigenti u.l.s.s. che considerano il c.e.o.d. solo come ultima
spiaggia, soluzione economicamente svantaggiosa e rifugio
peccatorum per gli esclusi da ogni possibile percorso di inserimento
lavorativo.
Famigliari che banalizzavano il servizio considerandolo un posto
dove le persone vengono solamente ad occupare il tempo, facendo
qualche lavoretto.
Docenti universitari che presentano ai propri alunni i c.e.o.d. come la
morte sociale delle persone.
Persone esterne ai circuiti dei servizi sociali, che vedono noi
operatori sociali come i bravi ragazzi che seguono gli scarti del
mondo.
La Regione Veneto definisce i C.E.O.D., adesso chiamati Centri
Diurni82
, servizi di accoglienza diurna delle persone con disabilità
grave in età giovane/adulta, che hanno adempito all’obbligo
scolastico. Rappresenta un servizio per l’educazione, riabilitazione e
sviluppo dell’autonomia delle persone con grave disabilità.
“I C.e.o.d. consentono di integrare le risorse della famiglia, a
sostegno del difficile compito di affrontare nel quotidiano i gravi
carichi che l’assistenza alla persona disabile comporta. Consentono
alla persona disabile di permanere nel proprio ambiente di vita,
contribuendo alla sua integrazione e contrastando ricoveri ospedalieri
inappropriati, alla residenzialità e alla istituzionalizzazione”83
.
Il C.e.o.d. viene definito come “una struttura territoriale, a carattere
diurno, che ha la funzione di favorire negli ospiti, con specifiche
attività e programmi, come il mantenimento e lo sviluppo
dell’autonomia personale, le relazione interpersonali e sociali con
l’ambiente, il conseguimento di capacità lavorative e la
82
DGR n.84/2007
83
Osservatorio regionale handicap, Il centro educativo occupazionale diurno, Padova, 2003,
p. 3
45
professionalizzazione, in rapporto alle potenzialità ed attitudini
individuali”84
.
In questi anni ho percepito il centro educativo non solo come un
servizio con importanti finalità, ma come una realtà presente insieme
ad altre realtà sul territorio, che necessariamente soprattutto in questi
momento storico, deve essere percepito in un ottica di “community
care”85
. Il c.e.o.d. deve essere pensato e inserito in una rete sociale
nella comunità di appartenenza. “Nella direzione di creare, per
rispondere alle difficoltà di vita del cittadino-utente, servizi integrati
nella comunità, collocati dunque nel punto fisico più vicino
all’insorgere dei bisogni e al fluire naturale delle risorse umane”86
.
Finalità del lavoro di rete e nel momento in cui si organizza e si
struttura un servizio è quello di valorizzare le relazioni della persona
disabile nel suo contesto di vita. “La persona in difficoltà, l’utente,
potrà così trovare sostegno a diverso livello potendo muoversi in
questa rete sociale”87
.
L’obiettivo dei diversi servizi in rete è quello di rispondere ai bisogni
delle persone disabili in un ottica di promozione sociale e di “qualità
della vita”88
.
IL C.E.O.D. L’INCONTRO
Il centro nasce il 1 ottobre 1997, quando presi servizio erano presenti
8 utenti con tipologie di disabilità eterogenee, con bisogni e necessità
che coprivano una gamma molto varia. C’erano persone in
carrozzina con distrofia e altri con sindrome di down; persone con un
grave ritardo mentale e persone con buone autonomie e disturbi
soprattutto nell’ambito psichiatrico. Nel primo periodo di lavoro
presso il centro, l’esigenza era di poter comprendere e chiarire verso
quale tipo di utenza propendere e che tipo di impostazione
organizzativa e metodologica adottare.
Il centro ora accoglie un target di persone adulte con disabilità
medio-grave, che presentano varie autonomie e capacità.
84
Regolamento regionale 17/12/1984 – n.8 in riferimento alla legge reg. 15/12/1982
85
Folgheraiter F., Donati P., Community care. Teoria e pratica del lavoro sociale di rete,
Trento: Centro studi Erickson, 1991
86
F. Folgheraiter, L’utente che non c’è, Erickson, Trento, 2000, p.17
87
A.A. V.V., Quaderni di formazione e animazione, Gruppo Abele, Torino, 1995
88
R. L. Schalock, M. A. Verdugo Alonso, Manuale di qualità della vita, Vannini editrice,
brescia, 2006
46
La capacità di accoglienza degli utenti si è ampliata e attualmente il
centro ha 19 persone disabili e per ognuno è strutturato un progetto
educativo personalizzato.
Il centro offre attività educative in ambito occupazionale e
riabilitativo. Sono presenti le attività di laboratorio, quali computer,
carta pesta, bricolage, assemblaggi, pasta di mais ed espressività.
Sono presenti delle attività in esterno come l’attività di giardinaggio
e aula natura, attività di ginnastica dolce, psicomotricità,
musicoterapia e idrokinesiterapia.
L’equipe educativa del centro è composta da educatori e operatori è
supportata nel lavoro con le persone disabili da psicomotricisti,
psicologi, psichiatri, assistenti sociali e altri professionisti con
diverse qualifiche. In questi anni si è consolidato un lavoro di rete tra
i diversi enti e professionisti in un ottica di interdisciplinarità, dove si
è sempre cercato di rapportarsi “dialogicamente e pariteticamente,
con disponibilità di sapere e volontà di ascoltare e con capacità di
guardare all’uomo con più ottiche per meglio com-prenderlo”89
.
89
R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova, 2001, p. 76
Attività educative
C.e.o.d. L’Incontro
Attività riabilitativeAttività occupazionali
Assemblaggi
Bricolage
Carta Pesta
Computer
Pasta di mais
Espressività
Aula natura
Idrokinesiterapia
Psicomotricità
Ginnastica dolce
Musicoterapia
47
Cose si accede al c.e.o.d. ? (vedi allegato A)
L’u.l.s.s. 22 ha definito le modalità di ingresso e inserimento delle
persone al c.e.o.d. legittimando le assistenti sociali nella valutazione
per l’accesso e la presa in carico dell’utente.
In questi anni ho avuto modo di avere diversi colloqui con assistenti
sociali e psicologi che presentavano un utente per l’inserimento al
centro educativo.
In alcune riunioni scorgevo nelle parole dell’assistente sociale un
senso di frustrazione e “sconfitta”, perché la persona negli anni
nonostante la frequenza fino a trenta anni dei centri professionali di
formazione, non era riuscita a maturare nel proprio percorso
formativo delle minime capacità lavorative o a sviluppare
comportamenti adeguati in situazioni occupazionali.
Ho incontrato diversi genitori che nel momento in cui veniva
concordato l’inserimento del figlio e si presentava il centro nel primo
colloquio, si ponevano in un atteggiamento di rassegnazione,
schiacciati dai tanti sensi di colpa verso il figlio e improntanti verso
una continua ”iperprotezione90
”.
Ho conosciuto persone disabili e professionisti provenienti da
istituzioni totalitarie e totalizzanti, che raccontavano di come
mancava una vera attenzione e propensione verso il benessere della
persona disabile, la presenza era solamente verso una perversa
ossessione per perpetuare la realtà e la sopravvivenza dell’istituto,
non permettendo alla persona di intraprendere un cammino di
crescita ed evitando di aiutarlo nell’autodefinirsi per trovare una
propria interpretazione del mondo.
Nelle riunioni di equipe a volte riproponevo un brano di Montobio:
“Andiamo a visitare un centro diurno socio-educativo per giovani ed
adulti con handicap mentale, … l’istituzione si chiama centro di
lavoro protetto “il raggio”. … al centro, di fronte all’ingresso, un
grande pannello di fotografie ci racconta l’ultima festa di carnevale.
… Il nostro immaginario sul centro è disorientato! Non stiamo
visitando un centro di lavoro protetto? … abbiamo toccato con mano
l’atmosfera e gli stili relazionali che si instaurano nei centri per
disabili mentali. Siamo sempre disorientati, ci viene in mente il
90
ibidem, p.148
48
“paese che non c’è” di Peter Pan, dove vanno i bambini caduti dalla
carrozzella di mamme o di governanti distratte. Come può una
persona strutturare un sé, ed in particolare la dimensione sociale del
sé, vivendo in luoghi ed in rapporti sociali senza tempo e senza
storia, senza passato e senza futuro? … queste persone disabili
sembrano rapportarsi con il mondo con una modalità relazionale
costantemente recitativa all’insegna del “sono come tu mi vuoi”. …
piccoli “yes men” che si confondono con i loro operatori e con i loro
genitori che si sono auto-incaricati di interpretarne i bisogni, di
sostituirli nelle scelte e di deciderne la vita. …l’incastro degli status
condanna il nostro giovane ad una situazione relazionale che ha le
caratteristiche dell’asimmetria e dell’immutabilità. … questo ci fa
finalmente comprendere con chiarezza perché gli handicappati del
centro diurno si presentano per nome e ci baciano, mentre gli
operatori ci stringono la mano e si presentano per cognome”91
.
Questo brano mi ha sempre colpito perché si intravede come enti e
operatori sociali possono essere artefici di criticità e problematiche
che impediscono e rendono vano il cammino di crescita della persona
disabile.
Nella mia esperienza lavorativa mi sono trovato di fronte a
professionisti del sociale che da anni operavano nel settore e si
trovavano a condividere con un singolo utente anche quindici anni di
cammino assieme. Molto spesso si dicevano frustranti del lavoro con
l’utenza, perché non vedevano progressi, né sviluppo delle capacità e
abilità della persona, ma anzi riscontravano nel tempo un declino e
involuzione.
Con questo stato d’animo l’operatore difficilmente riesce ad “aiutare
la persona a realizzarsi, guidarla alla personale riflessione e
responsabilità, alla specifica visione del mondo in ogni momento
della sua vita e in ogni situazione esistenziale”92
. In quei momenti
per la persona disabile viene meno la possibilità di definirsi nei
confronti di se e del mondo.
Il percorso educativo che la persona disabile, intraprende accanto
agli operatori sociali, dovrebbe configurarsi come “processo
91
E. Montobbio, Il viaggio del signor down nel mondo dei grandi, Edizioni del cerro, Pisa,
1994, pag. 21
92
R. Caldin, introduzione alla pedagogia speciale, op. cit., p. 99
49
formativo per il quale l’uomo si costituisce nel tempo in una costante
tensione che dal presente lo proietta nel futuro, che da ciò che è già
dato lo stimola verso ciò che non è o che non è ancora”93
.
Nelle discussioni con alcuni educatori, operatori e professionisti
vicino all’orlo del born-out, quando proponevo alcuni contenuti e
stimoli appresi durante le varie esperienze formative universitarie, le
obiezioni che mi venivano mosse erano che la teoria è troppo lontana
dalla realtà di tutti i giorni.
Le critiche proposte mi hanno permesso di cambiare e convalidare
alcuni apporti teorici, interiorizzandoli di più, trovano nel quotidiano
le buone prassi e i contenuti appresi dai testi universitari trasformati
in pratica, constatando che diversi operatori implicitamente
proponevano una certa modalità operativa e si riferivano ad alcune
teorie, manca molte volte il passaggio di esprimere le proprie
modalità e metodologie, dando visibilità e diventando stimolo per dei
confronti in equipe. Solo in questo modo si può riuscire a trovare
quel giusto compromesso dove un sapere pratico si incontra con un
sapere teorico, permettendo di trovare e progettare degli strumenti
efficaci per la propria realtà lavorativa. “Non è possibile scindere il
livello teorico da quello pratico: la ricerca, infatti, si muove in una
duplice direzione, che arricchisce la teoria educativa come sapere
della pratica e integra la pratica come teoria in atto, anche implicita o
inconsapevole: Per questo il bagaglio pedagogico teorico appare
spesso inadeguato a spiegare accadimenti, fatti, morali ed educativi e
richiede un continuo aggiustamento, una ricostruzione più adeguata
alla comprensione della stessa ambiguità insita nei problemi”94.
93
ibidem, p. 102
94
O. Cian D., Metodologia della ricerca pedagogica, La scuola, Brescia, 1997, p. 18
50
Gli strumenti teorici usati nella pratica
La metodologia educativa che da tempo adotta la Cooperativa
Sociale Filo Continuo nel mondo della disabilità adulta, prende in
considerazione la persona e il soggetto dell’educazione come unico e
irripetibile, dove attraverso gli strumenti pedagogici si vuole riuscire
ad aiutare l’altro nel superamento delle sue resistenze.
Lo strumento più importante utilizzato nella cooperativa è il progetto
educativo personalizzato, ha mantenuto la dicitura Progetto
Educativo Personalizzato (P.e.p.) per conservare l’attenzione e la
tensione verso la persona e non all’individuo, presente dal 1988 nei
diversi servizi, in questi anni si è adattato alle diverse necessità per
essere uno strumento agevole e condiviso tra i diversi professionisti e
persone che si trovano ad utilizzarlo o consultarlo.
Il P.e.p. viene sviluppato annualmente per ogni singolo utente
inserito in cooperativa ed è richiesto dall’ulss 22, quale documento
necessario per il rinnovo della convenzione.
Dal progetto si desumono le finalità, gli obiettivi e la
programmazione educativa che si metterà in pratica con l’utente,
quale riferimento per le diverse azioni che si andranno a compiere.
“Dalla centralità del soggetto, dalla sua storia psico-fisico- socio-
culturale, dai processi attraverso i quali egli percepisce, fa proprie,
investe o svuota di senso le sue condizioni di esistenza, si diparte il
progetto pedagogico”95.
Perché all’interno di un progetto educativo si contemplino delle
azioni, che abbiano valenza educativa e formativa per la persona, si
necessità di un lavoro di condivisione e dialogo tra i professionisti e
le persone che seguono il disabile sul progetto di vita messo in
essere, sulla possibilità di valutare l’efficacia e l’efficienza di quanto
intrapreso.
Attraverso il progetto educativo si definisce una programmazione
che faciliti la persona nell’acquisizione di apprendimenti nuovi
attraverso un cammino esperienziale nelle diverse proposte formative
strutturare.
95
Contini M., Possibilità, progettualità, impegno, nis, Roma, 1991, pp. 258-263
51
Si incentiva il cambiamento nella persona e il mantenimento di
comportamenti che permettono una corretta valorizzazione della
dignità della persona.
Si cerca di creare un dialogo con l’altro per stimolare la presa
coscienza di sè e la propria qualità della vita, per arrivare ad una
propria autodeterminazione.
“apprendimenti nuovi, (…) svolte esistenziali, (…) disapprendimenti,
(…) rielaborazioni personali a livello auto-riflessivo e introspettivo,
condiviso con altri e oggetto di dialoghi interiori.
Se l’incontro con l’educatore (professionale o naturale) non incide in
termini di variazione, incrementi, potenziamenti e perfezionamenti
utili affinché un individuo- indipendentemente dall’età o dalla sua
maggiore o minore normalità – possa sperimentare almeno una delle
quattro vie ricordate, non è possibile che un fato educativo si dia”96
.
Risulta importante l’azione, ma soprattutto la relazione educativa in
quanto “intenzionale, attuata di proposito, con intenzione: punta al
raggiungimento di uno scopo; è ponderata voluta, preparata non
casuale.
La relazione educativa è sistematica, procede con metodo, cioè si da
un modo di procedere; non è improvvisata, ma organizzata con
efficienza (il rapporto migliore tra le risorse disponibili e le finalità)
e con efficacia (tendente ad ottenere il risultato ottimale)
La relazione educativa vuole aggiungere nell’instaurare un rapporto
la conferma dell’altro”97
.
Il progetto educativo personalizzato come strumento utilizzato nella
realtà del c.e.o.d. e nel lavoro educativo, mi ha permesso di trovare
degli spazi per riflettere, in un contesto di lavoro dove si opera
sempre in “prima linea”, dove l’emergenza ti propone un ritmo in cui
la dimensione del fare diventa prioritaria e a volte si rischia di non
ponderare il proprio operato.
Dovendo presentare all’ente pubblico come c.e.o.d. ogni anno i
progetti educativi per mantenere il rapporto di convenzione, era
96
D. Demetrio, Educazione o effetto placebo?, Animazione sociale, n. 12, Gruppo Abele,
Torino, 2000
97
Vittorio Mariani, Piano educativo e riabilitativo individualizzato per il disabile adulto,
Del Cerro, Pisa, 1998, p. 12
52
d’obbligo trovare il tempo per attivare il processo per arrivare alla
produzione del documento.
La definizione del progetto educativo personalizzato come
strumento, viene imposta anche dalla legge regionale
sull’accreditamento98
, dove si richiede all’ente gestore di servizi per
persone disabili di possedere un sistema di gestione e
documentazione della qualità, avendo una personalizzazione degli
interventi e una “Definizione di un progetto educativo
individualizzato (PP): Deve essere definito e documentato un
progetto personalizzato sulla base:
- delle caratteristiche dell'utente, dei suoi bisogni e del suo contesto
familiare e sociale
- dei risultati che si vogliono ottenere
- della capacità di risposta dell'ente in termini organizzativi interni e
di eventuale integrazione e ricorso ai servizi della rete.
Il progetto personalizzato deve comprendere:
1. la valutazione multidimensionale dell'utente
2. l’individuazione degli obiettivi specifici d’intervento
3. l’individuazione dell’operatore responsabile del PP
4. l’informazione e il coinvolgimento dell’utente e/o dei suoi
familiari nella definizione del PP
5. la formalizzazione del PP, con la descrizione delle attività
specifiche, dei tempi indicativi di realizzazione, la frequenza e la
titolarità degli interventi
6. la realizzazione di attività di verifica sul PP (procedure, tempi e
strumenti)
Deve essere definito e adottato un sistema di valutazione dei risultati
(valido e attendibile) sul singolo utente, i dati in output da tale
sistema devono essere utilizzati per ridefinire il PP.
L’organizzazione della giornata e delle attività deve tenere in
considerazioni le esigenze e i ritmi di vita di ciascun ospite (es.
98
L. R. n. 22 del 16/08/02, nella definizione degli Standard relativi ai requisiti di
autorizzazione all’esercizio e accreditamento istituzionale dei servizi sociali della Regione
Veneto
53
possibilità di riposo, possibilità di avere dei momenti individuali,
possibilità alla partecipazione alle attività organizzate, ecc.)”99
.
Con decreto del presidente della repubblica, in quanto "Atto di
indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie
locali in materia di alunni portatori di handicap" si ribadisce che “Il
Piano educativo individualizzato (indicato in seguito con il termine
P.E.I.), è il documento nel quale vengono descritti gli interventi
integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l'alunno in
situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini
della realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione”100
.
Il progetto educativo personalizzato nella cooperativa veniva redatto
dai coordinatori dei servizi, ma in un ottica interdisciplinare e
scaturiva da un confronto fra i diversi professionisti che a diverso
titoli si occupavano del benessere e qualità di vita della persona
inserita nel servizio.
Il progetto ha una durata annuale e ogni sei mesi avviene una verifica
e ri-progettazione, si presenta come il risultato del dialogo tra le
persone che “hanno cura”101
della persona e con il protagonista
dell’intervento educativo che è l’utente stesso.
99
L.R. n. 22 del 16 agosto 2002, “Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie e
socio-sanitarie”.
https://www.arssveneto.it/html_pages/documents/att_accreditamento_allegatob.pdf
100
Decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994, pubblicato la prima volta nella
G.U 6 aprile 1994, n. 79, il D.P.R. è stato ripubblicato, dopo la registrazione alla Corte dei
conti, sulla G.U. 15 aprile 1994, n. 87
101
R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova, 2001, p. 85
54
Un esempio102
: Alberto, 28 anni, viene segnalato alla cooperativa
dall’assistente sociale, è una persona con sindrome di down, alla quale sono
mancati in poco tempo entrambi i genitori, il fratello segnala l’impossibilità
per lui di poterlo seguire durante il giorno.
L’assistente sociale, la psicologa dei servizi sociali e lo psichiatra del
distretto si trovano con l’educatore coordinatore del centro per definire gli
obiettivi da porsi per il benessere della persona inserita.
L’educatore dopo un periodo di osservazione su Alberto, si confronta con
la sua equipe formata da personale con qualifica di operatori specializzati e
un psicomotricista.
Ne scaturisce una prima proposta delle finalità a cui tendere per l’azione
educativa.
L’educatore redige il progetto educativo e lo sottopone per validarlo ed
eventualmente modificarlo all’assistente sociale, alla consulente psicologa
e allo psichiatra, nel momento in cui si è raggiunto l’accordo e la
condivisione degli obiettivi, il progetto viene presentato al fratello di
Alberto con il quale si dichiara i propri intenti e si condivide con lui quelle
che sono le sue necessità e prospettive sul futuro del suo famigliare.
Si presenta poi con tutte le figure che partecipano alla definizione degli
obiettivi il progetto a Alberto per avere da parte sua il suo consenso e dare
la possibilità di fare presente quelle che sono le sue intenzioni nel suo
personale percorso di crescita.
Ci si congeda con la firma da parte di tutti sul progetto e con
l’appuntamento per l’anno prossimo per ridefinirlo. In questo modo Alberto
e il suo famigliare vengono messi al corrente delle attività programmare
durante l’anno al centro ed essere partecipi del cammino di sviluppo
predisposto.
Dopo un anno alla scadenza del progetto educativo personalizzato vengono
valutati i risultati raggiunti e ridefiniti gli obiettivi per l’anno successivo.
102
Nell’esempio si usano dati di fantasia e non riconducibili a dati reali
La persona al centro
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  • 1. MICHELE SARTORI LA PERSONA AL CENTRO UN MEMORANDUM DOVE VIENE RACCOLTA L’ESPERIENZA DI UN SERVIZIO ALLA PERSONA DISABILE ADULTA, PRESSO LA COOPERATIVA FILO CONTINUO, NEL CENTRO EDUCATIVO OCCUPAZIONALE DIURNO
  • 2. 1 LA PERSONA AL CENTRO INDICE Premessa pag. 1 In cattedra la storia pag. 3 Excursus storico pag. 5 Italia onu cee pag. 16 Le competenze nel sociale pag. 34 Pep pag. 43 La valutazione nel sociale pag. 73 La scheda di entrata utente pag. 85 La qualità di un servizio pag. 94 Criticità dei servizi pag. 102 Uno sguardo all’attività di computer pag. 104
  • 3. 2 Premessa Da tempo ho concluso il mio rapporto di lavoro con la cooperativa sociale Filo Continuo, per entrate a far parte dell’ente pubblico. Dopo sette anni ho lasciato il coordinamento di un centro che avevo visto nascere e che attualmente sta proseguendo il suo cammino. In questi sette anni ho lavorato con diverse persone, molte di loro mi hanno insegnato tanto e aiutato a crescere come professionista nell’ambito del sociale e in particolare modo nell’area della disabilità adulta. Preso servizio presso la cooperativa, notai quante persone con impegno e dedizione svolgevano il proprio lavoro. Rimasi piacevolmente sorpreso nel vedere persone che nonostante il turno-over e born-out presente spesso nell’ambito del sociale, da più di vent’anni lavoravano in cooperativa sviluppando metodologie e buone prassi nella quotidianità. Nel momento in cui sono stato assunto avevo necessità di osservare e comprendere la realtà in cui andavo ad operare, c’era una storia pregressa della cooperativa e una mission già implicita in chi lavorava. C’era poco che documentava il bagaglio di conoscenze pratiche e teoriche utilizzate in cooperativa e questo ha comportato alcune difficoltà iniziali e la necessità di un confronto continuo. Ciò mi ha permesso di accedere ad un sapere sviluppato dai soci della cooperativa nella pratica, conoscenza che, se non documentata, rischia di perdersi e rimanere confinata alle strutture della cooperativa stessa. Questo memorandum vuole essere un momento per raccogliere quanto appreso e quanto è stato costruito in sette anni di lavoro presso la cooperativa sociale Filo Continuo. La conoscenza e la relazione con le persone disabili del centro, mi ha messo in discussione e mi ha fatto riflettere sul significato del mio lavoro con loro. Il bisogno da parte mia di poter dare sempre un servizio alla persona di maggiore qualità, mi ha portato a riprendere gli studi e trasformare il diploma triennale regionale di educatore professionale animatore, prima in laurea triennale e poi specialistica.
  • 4. 3 Tesine e project work fatti negli anni presso l’università di Padova mi hanno permesso di vedere come la teoria appresa poteva essere calata nella quotidianità del mio operare, accreditando e avvalorando metodologie e prassi messe in atto. Spero, attraverso questo memorandum, di poter trasmettere a chi legge una serie di conoscenze e strumenti che possano essere utilizzati e fruiti in maniera critica, da professionisti e persone che si relazioneranno con le persone disabili. Le famiglie dei ragazzi disabili che in questi anni mi hanno permesso di fare un pezzo di strada con loro, mi hanno insegnato tanto e ritengo con questo manoscritto di poter restituire loro uno stralcio di vita passato insieme, una riconoscenza che potrà essere utile a quanti incontreranno i loro figli sapendo che potranno lavorare con professionalità e vicinanza, con passione e dedizione, leggendo la strada tracciata insieme.
  • 5. 4 In cattedra la storia Inizio questo manoscritto con un excursus storico sulla disabilità, non voglio fare una dettagliata e minuziosa cronologia e riflessioni sulla storia, ma riporterò di seguito i fatti che maggiormente mi hanno colpito studiando la storia delle persone disabili, brevi spunti per proporre a chi legge delle riflessioni su quello che è stato e su come ognuno di noi può dare il suo contributo per disegnare la storia futura. Ritengo importante che un professionista che lavora con la disabilità guardi alla storia passata, voltandosi indietro si ha la possibilità di dare e avere giusta misura di quello che accade nella quotidianità di tutti i giorni, dei traguardi importanti raggiungi in questi anni e di quanto nella nostra società, dove si erogano servizi alle persone disabili, sia necessario dare visibilità e instaurare un dialogo con le persone che ancora oggi possiedono stereotipi e “pregiudizi”1 provenienti dai tempi passati e mantenuti nell'immaginario collettivo. Quando uso il termine pregiudizio intendo un giudizio anticipato sulla persona disabile, caratterizzato da una mancanza di conoscenza. “al massimo livello di specificità si intende per pregiudizio la tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale”2 . Per stereotipo3 faccio riferimento a delle opinioni pre-costituite da parte delle persone sulle persone disabili. Una delle definizioni che si possono dare dello stereotipo è “quella di un’immagine - riguardante una categoria di persone, un’istituzione o un evento - che è semplificata al massimo ed è condivisa, nei suoi tratti essenziali, da grandi masse di persone”4 . 1 Lascioli, A., Handicap e pregiudizio. Le radici culturali, FrancoAngeli, Milano 2001. 2 Mazzara, B. M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 14. 3 In tipografia lo stereotipo è la lastra applicata ai rulli per stampare con la macchina rotativa cilindrica 4 Stallybrass, O., “Stereotype”, in The Fontana Dictionary of Modern Thought, a cura di A. Bullock e O. Stallybrass, London, Fontana-Collins, 1977, p. 601.
  • 6. 5 Insegnando in questi anni nei corsi per operatori socio-sanitari, molto spesso, quando chiedevo agli allievi chi era per loro la persona disabile, dal confronto in classe, emergevano diverse paure e giudizi. Si potevano scorgere atteggiamenti pietistici e di assistenzialismo, in un lavoro in classe una allieva mi scrive “provo compassione e tenerezza per la persona disabile e mi da la carica istintiva ad aiutarlo perché non è autosufficiente e non potrà mai avere una vita normale, cioè una famiglia, ecc”. Sono emerse diverse credenze come l’opinione condivisa che i ragazzi down sono tutti simpatici, giocosi, musicisti e mai aggressivi. Alcune persone vedono i disabili come persone da schivare perché imprevedibili, difficilmente gestibili e violenti. “Quando vedo una persona disabile, provo disagio, mi mette in difficoltà”, “quando vedo una persona disabile, penso a mio figlio, alla fortuna che ho io, ai genitori di questa persona, a cosa possano aver vissuto e vivere”5 Durante i miei anni di lavoro presso la cooperativa, parlando con diverse persone, soprattutto con le generazioni più anziane, ho scoperto come alcune credenze popolari sulle persone disabili siano quanto meno radicate. Nella cronaca dei giornali, riportanti i fatti di tutti i giorni nonostante siano passati dei secoli, leggiamo di comportamenti e modi di pensiero delle persone che discriminano ancora la persona disabile. Di seguito riporto una serie di riferimenti storici che per me sono stati rivelatori di alcuni atteggiamenti e credenze delle persone sulle persone disabili6 . Dalle uscite di socializzazione fatte con le persone disabili è stato interessante vedere come le persone che si incontravano per strada, nei negozi o altri luoghi pubblici mettessero in atto atteggiamenti diversi e come nei loro occhi si potessero scorgere preoccupazioni e paure appartenenti al passato. 5 Interventi in classe durante i lavori di gruppo nel corso per operatori socio-sanitari gestiti dall’ulss 22 6 Per un maggiore approfondimento Canevaro A. e Goussot A. nel libro “La difficile storia degli handiccapati, Carocci editore, Roma, 2000” riportano in maniera esaustiva i diversi atteggiamenti e passaggi storici che hanno interessato le persone disabili
  • 7. 6 La storia antica Proveniamo da una storia, soprattutto nel vecchio continente, dove il neonato che presentava deformità fisiche o psichiche evidenti, veniva eliminato fisicamente attraverso l’infaticidio o l’abbandono alla natura. UCCISE FIGLIOLETTO NEL FIUME A CALCINATO, ASSOLTA7 E' stata assolta perché incapace di intendere e di volere al momento del gesto. Marisa Pasini la sera del 7 dicembre '99 gettò nelle acque gelide del fiume Chiese a Calcinato (Bs) il figlio di 4 anni, Giorgio Panizzolo. Il gip Massimo Vaccari ha la posizione della difesa della donna che sosteneva che, quando uccise il figlio, non era sana di mente. (…) Temeva che il piccolo Giorgio, affetto da alcuni disturbi psichici, non potesse vivere una vita normale … Brescia, 21/09/2001 Nel mondo greco e romano troviamo testimonianze e documenti come Aristotele, che nella sua Politica e De generazione animalium auspicava una legge che proibiva l’allevamento dei bambini deformi, lo stesso Seneca nell’Epistulae pensava alla distruzione della “progenie snaturata” perché nella società di allora si poneva la necessità di disporre di eserciti robusti. Nell'antica Sparta, i bambini malati o deformi venivano gettati dal monte Taigeto come nell’antica Roma dalla rupe tarpea. Nelle famiglie romane il padre deteneva sui figli il diritto di vita e di morte. Alla nascita del bambino il padre poteva sollevare il figlio e riconoscerlo, oppure poteva decidere di esporlo e di non riconoscerlo decretando, nei migliori dei casi, la schiavitù del figlio. 7 www.agedi.it/news_15.htm
  • 8. 7 STRANGOLA IL FIGLIO AUTISTICO E POI SI CONSEGNA AI CARABINIERI Crapanzano, esasperato per la situazione, ha proposto al figlio Angelo di fare una passeggiata, lo ha portato in un luogo appartato, e lì lo ha ucciso PALERMO - Tragedia della disperazione a Palermo. Un maestro in pensione di 60 anni, Calogero Crapanzano, ha strangolato il proprio figlio autistico di 26 anni e poi si è consegnato ai carabinieri, dai quali è andato col cadavere del figlio in automobile. Il fatto è avvenuto sabato mattina … La Stampa - 27 giugno 2007 Nel tardo medioevo le nascite mostruose erano considerate segni dell’ira divina e preannuncio di imminenti catastrofi, la credenza di quell’epoca era che le persone malforme fossero il frutto di rapporti sessuali con animali o con lo stesso diavolo. Da tener presente che in questo periodo dilaga in tutta Europa il fenomeno della stregoneria, con la morte sul rogo per tutti coloro che erano sospettati di essere al servizio del demonio. Eventuali malformazioni o nei, diventavano prova incriminante di stregoneria per i condannati. Era diffusa l’idea che la causa della nascita di un bambino menomato fosse legata a qualche colpa dei genitori, alla condotta sbagliata nei confronti di Dio e fosse dunque interpretabile come il segno della MORTO MATTEO, IL NEONATO DOWN ABBANDONATO Anche il piccolo non ce l'ha fatta: è deceduto in ospedale per un'infezione dopo l'intervento al cuore MANTOVA - Anche il piccolo Matteo non ce l'ha fatta. (…) il bimbo di 7 mesi, affetto da sindrome di Down e da una malformazione cardiaca e rifiutato dai genitori fin dalla nascita, è morto venerdì notte all'ospedale Carlo Poma di Mantova … Corriere delle Sera, 3 aprile 2006
  • 9. 8 riprovazione divina che marchiava la famiglia e la sottoponeva a una dura prova. LA MADRE SI VERGOGNAVA... ...DELLA SUA MALATTIA È stata segregata in un bagnetto di servizio per trent'anni, chiusa a chiave, perché essendo affetta da un deficit mentale, la madre si vergognava di lei. In questo bagno di sei o sette metri quadrati è stata costretta a mangiare gli avanzi di cibo in ciotole di plastica, a dormire su una brandina, senza avere neppure la luce elettrica, e senza poter mai uscire. Per lavarla, di tanto in tanto, la madre usava un tubo da giardino, e l'operazione si svolgeva sul balcone di casa, in un alloggio popolare di via Caduti per Servizio alla periferia di Pescara. L'incubo di questa donna, Giuseppina, di 52 anni, è finito nei giorni scorsi … http://canali.libero.it, 17/01/2006 “Per Agostino i sordi sono esclusi dalla fede in quanto, secondo la frase di Paolo: «La fede deriva dall’ascolto»”8 Mentre nei Vangeli troviamo l’esempio di Gesù che rompe lo stigma posto dalla società di quel tempo su malati e handicappati. “In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”9 . 8 Antonio Tripodi, rivista LucidaMente, anno I, n. 10, ottobre 2006, edizioni inEdiction, Bologna, www.lucidamente.com 9 Vangelo di Giovanni 9,1-41 Fig. 1 Hieronymus Bosch - La nave dei folli - 1490
  • 10. 9 Nel ‘500 e ‘600 la valorizzazione della ragione e la capacità di esercitarla trova la persona disabile ancora esclusa nella civiltà di quel tempo. “Quando la borghesia propone nuovi modelli e nuovi plusvalori e la ragione e il profitto diventano valori indiscussi, chi non è capace di partecipare con efficienza al progresso è considerato zavorra che ostacola il benessere, ed è quindi nemico sociale da cui ci si deve difendere con l’esclusione”10 In questo periodo troviamo una tensione verso il classificare, definire, etichettare le cose e le persone per comprendere il mondo. Le eccezioni erano rappresentate da quelle persone che non si riuscivano a classificare. Le conoscenze mediche e scientifiche sull’uomo, erano scarse e solamente in una fase iniziale. Le differenze psico-fisiche di una persona davano possibilità alla gente di collocarla in una struttura sociale che metteva in forte similitudine le condizioni di produttività, salute e religiosità con quelle di improduttività, malattia ed eresia. Si è nel periodo della riforma protestante, per la quale la produttività e il benessere economico e materiale vengono considerati come possibili segni divini. Iniziarono così a prendere forma i primi luoghi di detenzione , allontanamento e segregazione per le persone disabili, come i lazzaretti e le carceri, spazi delimitati per evitare il “contagio”11 . 10 Pompa F., “Atteggiamenti culturali nei confronti dell’handicap”, anffas, Roma, 1984, pag.31. 11 SCHMITT J,C., La storia dei marginali, in J. LE GOFF (a cura di) La nuova storia, Mondadori, Milano,1987,p.277 Io Nato Morto “Mens sana in corpore sano è stato un pregiudizio che ci ha fatto molto male. Se una donna incinta guardava un disabile,c’era la convinzione che nascesse un figlio handicappato”. Vanity fair marzo 2008
  • 11. 10 Aerei e disabilità: forse è la svolta!12 Ho partecipato nei giorni scorsi alla settima conferenza sulla manutenzione e gestione a terra, organizzata dall'Airports Council International (…). All'interno di essa vi è stata una sessione specifica dedicata all'elaborazione di un regolamento sui diritti dei passeggeri con disabilità che viaggiano in aereo, (…) Ci resta a questo punto la speranza di non dover più sentire che il capitano dell’aereo vuole un certificato che dichiari "non contagiosa" la spasticità del passeggero. Oppure che l’hostess si rifiuti di allacciare la cintura di sicurezza alla passeggera senza braccia perché non di sua competenza! O ancora, che il passeggero con disabilità debba viaggiare solo di notte, così da non interferire con le sue problematiche sulla puntualità dell’aereo. giovedì 12/01/2006 Le persone internate vengono accomunate dalla caratteristica di “animalità”, perché si pensava fossero senza anima, rimanendo segregati fuori dalle mura della città. IL QUADRIFOGLIO DA CASA DI ASSISTENZA A CASA DEGLI ORRORI13 Enna, una comunità alloggio per minori disabili era stata trasformata dalla direttrice in un lager, i ragazzi venivano seviziati, nutriti poco, con cibo scaduto e vivevano in condizioni igieniche disastrose. TG3, 5/06/2007 Si ricorda inoltre la pratica della “ruota degli esposti” o “degli innocenti”, che consentiva di abbandonare in modo anonimo un 12 Presidente del Consiglio Nazionale sulla Disabilità (CND) http://www.superando.it/content/view/472/117/ 13 http://news.centrodiascolto.it/view/161201/d=2007-11-15/w=disabili/lager_ad_enna
  • 12. 11 figlio indesiderato. Attraverso una ruota di legno, posta orizzontalmente, situata nelle pareti delle chiese e comunicante tra interno ed esterno veniva posto il bambino. Strumento il cui primo utilizzo si fa risalire al 1188, in Italia l’ultima ruota fu chiusa a Padova chiusa nel 1888. BIMBO DI 4 MESI ABBANDONATO NELLA "RUOTA" DEL POLICLINICO CASILINO L'iniziativa per arginare un fenomeno che già coinvolge il nosocomio. Nel biennio 2004-2005 sono stati 17 i bambini lasciati presso il presidio ROMA - Pesa circa 6 chili, le sue condizioni di salute … Repubblica 24/02/2007 Bisogna aspettare il 1700 prima che la reclusione di queste persone divenga oggetto di studio medico, come malattia da curare. Si ricorda in quest’epoca l’opera controcorrente di Comenio, uno dei padri dell’educazione che la promuove come patrimonio accessibile a tutti, perché ogni persona ha impresso in sé l’immagine di Dio e necessita di realizzare la propria umanità. “Né ci deve far ostacolo il vedere alcuni ebeti e stupidi per natura, perché questo ci raccomanda anche di più coltivar l’anima di tutti e ce ne mostra l’urgenza. Quanto più invero uno ha natura tarda e scema e tanto più ha bisogno d’essere aiutato, per liberarsi quanto è possibile dal suo ebetismo e dalla sua stupidità brutale. E non è possibile trovare un ingegno così infelice, che con la cultura non si possa emendare affatto”14 . Il secolo XVII Con la rivoluzione illuminista, la disabilità si trasforma da “animalità” ad “anomalia umana”, che diventerà oggetto di studio. Questo permise alla persone affette da malformazioni di avere delle 14 Comenius J. A. Didattica Magna, Ed. Sandron, Firenze, 1969, CAP. IX, 4, p. 125
  • 13. 12 condizioni diverse ma sempre collocate in spazi delimitati per evitare il “contagio”. “Nel XVII e nel XVIII secolo c'è un grande interesse della cultura scientifica e filosofica per le varie forme di deficit e malformazioni, che si esprime attraverso la "storia naturale" dei cosiddetti "mostri". Basta pensare ai lavori di naturalisti come Linneo o Buffon, oppure alle riflessioni di Diderot. G. Canguilhem ha dato un contributo interessante nel suo lavoro ideologia e razionalità nella storia delle scienze della vita dove parla di una «storia critica delle classificazioni»; egli afferma che «l'esistenza dei mostri», nella parte dedicata al «problema della normalità nella storia del pensiero biologico», testimonia che esistono "bizzarrie" nella natura”15 . In Francia nel 1765 il medico Philippe Pinel, direttore dell'ospizio di Bicétre a Parigi, propone la revoca dell'internamento e la riforma degli ospizi, chiedendo maggiore igiene negli ambienti, attrezzature adeguate, riconoscimento della libertà dei pazienti e la fine delle terapie repressive, come le docce gelate o le frustate e l'abolizione delle catene. Pinel fa notare come gli idioti presenti negli ospizi siano molto numerosi e la condizione in cui si trovano spesso è la conseguenza dì un trattamento troppo brusco subito in altri luoghi”. Pinel porta la sua attenzione verso la condizione del paziente, e propone un cambiamento di atteggiamento verso la persona. VIOLENZE SESSUALI SU DUE DISABILI Sono 24 le persone arrestate dai carabinieri di Martinafranca nell'ambito di una inchiesta incredibile: due sorelle con gravi problemi psichici di San Giorgio Jonico venivano sfruttate sessualmente dal 2005. Le accuse sono di sfruttamento della prostituzione e violenza sessuale. TG5, 14/11/2006 “Un caso particolare, fra i più strani che mi siano mai capitati, è quello di una giovane idiota di undici anni … che per le sue 15 A. Canevaro, A. Goussot, la difficile storia degli handicappati, carocci, Roma, 2000, p. 28
  • 14. 13 abitudini, sembrava essere simile a una pecora. … Con il cieco istinto animalesco che aveva, non riusciva a controllare per niente la collera, e la sua rabbia, che si poteva scatenare per motivi più futili, arrivava fino alle convulsioni. Non si è mai riusciti a farla sedere su una sedia per riposarsi o per mangiare, dormiva acciambellata e distesa per terra come le pecore. Dorso, lombi e spalle erano coperti da una peluria morbida e nerastra lunga un pollice e mezzo o due, che per la sua morbidezza somigliava alla lana; l'aspetto era ripugnante. Dei giocolieri, venuti a conoscenza del caso, avevano chiesto alla madre il permesso di mostrarla nelle fiere e nei mercati vicini come un oggetto molto raro e curioso; il permesso venne negato, nonostante che i genitori fossero molto poveri”16 . In questo periodo il medico francese J. Itard scopre Victor "Ragazzo selvaggio dell’Aveyron”, con quel incontro si comincia ad adottare un approccio educativo verso la persona disabile. Itard ipotizzo che Victor, visto il grave stato di abbandono che per lungo tempo aveva affrontato, avesse un grave ritardo sia sul piano affettivo che cognitivo. Gli obiettivi che si poneva erano quelli di: “1. reinserire nella vita sociale un individuo ch'era stato fino ad allora tagliato fuori dalla vita associativa «l'uomo diventa capace di occupare la posizione eminente conferitagli dalla natura solo entrando a far parte della società»; 2. riattivare la sensibilità umana, risvegliandola «attraverso gli stimolanti più energici» e qualche volta anche «attraverso Ì vivi affetti dell'anima»; 3. «estendere la sfera delle sue idee, suscitando in lui nuovi bisogni, e moltiplicando i suoi rapporti con gli esseri a cui accostarsi»; 4. insegnare l'uso della parola; 5. riuscire a sviluppare in lui alcune operazioni intellettuali dapprima sull'oggetto dei suoi bisogni fisici e poi su soggetti più astratti e lontani dalla sfera dell'istinto e dell'immediatezza”17 . Itard in questo cerca di portare il bambino ad inserirsi nella società e a sviluppare le competenze intellettive. 16 P. Pinel, Trattato medico-filosofico sull'alienazione mentale, Pisa 1985, p. 185 17 L. Malson, / ragazzi selvaggi, Milano 1971
  • 15. 14 Allievo di Itard, fu Sèguin il quale nel 1839 fonda la prima scuola per l’educazione integrale dei ritardati e propone l’integrazione sociale e lavorativa delle persone disabili. Il secolo XIX Nel '900 con la psicometria nata in Francia, scienza che misura il quoziente intellettivo di una persona, il medico Binet realizzò per il ministero della pubblica istruzione francese, una scala di sviluppo intellettivo per misurare l'intelligenza delle persone e capire chi poteva accedere all’istruzione. Le persone disabili non riuscivano quindi ad essere ammesse all’istruzione. "E’ in nome della scienza che noi vogliamo redimere questi infelici e renderli utili per la società che li protegge. La cura dei deficienti è più una questione sociale che una questione didattica. Infatti alla società non importa che il deficiente diventi istruito, quanto che sia reso innocuo "18 . LO STERMINIO NAZISTA DI DISABILI E MALATI DI MENTE Prima ancora dell'olocausto, il regime nazista nel 1939 aveva già dato l'avvio alla cosiddetta "operazione t4" che, per esplicito volere di Hitler, mirava a sopprimere malati di mente e disabili fisici. Al contrario dell'Olocausto, a questa operazione era stata fatta ampia propaganda anche con filmati. TG3, 28/01/2006 Con i primi del 1900 l'attenzione di medici, di psicologi, di pedagogisti verso i soggetti con deficit sensoriali e psichici porta a creare le scuole speciali e gli istituti medìco-psico-pedagogici, che raccolgono tutti i disabili psichici adolescenti e adulti19 . 18 S. De Sanctis, L’educazione dei deficienti, 1915 19 Già a partire dal ‘700 l’interesse alla condizione dei bambini disabili ciechi portò alla creazione della Fondazione Nazionale dei giovani ciechi nel 1786 e alla quale sono seguite quelle di Liverpool (1791), di Londra (1799) e di Vienna (1804).
  • 16. 15 Citiamo tra gli studiosi del tempo Maria Montessori, primo medico donna che si laurea in Italia che porta in primo piano la pedagogia come cura dei deficienti. Il metodo Montessori valorizza l’educazione sensoriale, secondo il quale attraverso l’azione si modifica la coscienza della persona. Maria Montessori teorizza che il bambino ha dentro di sé le condizioni per perseguire il proprio sviluppo e l’educazione permette la creazione di queste condizioni. Si sofferma poi sull’eccessivo protezionismo degli adulti nei confronti dei bambini disabili, impedendone in questo modo l’autonomia, da qui la celebre frase “aiutami a fare da solo”.
  • 17. 16 Importanti conquiste Portando l’attenzione a questi ultimi anni, vediamo che sono stati raggiunti dei traguardi importantissimi per la persona disabile. Diverse azioni hanno portato a riconoscere dignità e pari diritti alla persona disabile, non solo in Italia ma a livello internazionale attraverso le nazioni unite e l’unione europea. Nelle pagine successive proverò a citare quelli che ritengo dei traguardi importanti per la persona disabile. Di certo c’è ancora molto da fare per vedere riconosciuto pari dignità e diritti a tutte le persone, ma ritengo si possa essere soddisfatti dell’accelerazione che c’è stata in questi anni e le conquiste ottenute, rispetto ad una storia antica.
  • 18. 17 Italia terra di confine L’assistenza alle persone disabili in Italia fino ai primi del ‘900, viene seguita soprattutto da istituzioni religiose e di beneficenza pubblica, lo Stato non emana leggi specifiche a favore delle persone disabili, ma si limita a normare con provvedimenti20 , le Opere Pie e gli Istituti di Beneficenza che prestavano assistenza ai poveri tanto in stato di sanità, quanto di malattia e procuravano educazione, istruzione e avviamento a qualche mestiere per il miglioramento morale ed economico. Lo Stato con la prima guerra mondiale comincia a doversi fare carico di invalidi e mutilati, emanando provvedimenti specifici per le persone disabili, prevedendo interventi economici, sanitari e forme di avviamento professionale21 . In quegli anni nei comuni come Roma e Milano sorgono le prime scuole speciali. 20 Legge 6972 del 17/07/1890 “Norme sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza” 21 legge 481 del 25/03/1917, collocamento obbligatorio per mutilati e invalidi di guerra e legge 1132 del 21/08/1924 aliquote di invalidi di guerra da assumere obbligatoriamente da parte dei datori di lavoro.
  • 19. 18 Con la riforma Gentile del 192322 , il sistema di istruzione italiano viene ri-organizzato, includendo anche le scuole speciali per handicappati sensoriali della vista e dell’udito, definendo l’obbligo scolastico, esami, formazione degli insegnanti speciali, classi differenziali e modalità di invio degli alunni. Lo Stato nel 193323 convenziona le scuole speciali nate nei Comuni avvalorando così un doppio sistema scolastico, uno normale per gli alunni normodotati e l'altro speciale per gli ipodotati e i minorati. Attraverso i test di intelligenza, un bambino poteva essere assegnato alle scuole normali a quelle speciali, alle classi differenziali o a dei laboratori protetti. I bambini con minorazioni psichiche gravi, venivano inseriti presso le scuole speciali, mentre per le persone con lievi anomalie del carattere per cause non costituzionali o gli alunni scarsamente dotati, con un quoziente di intelligenza di poco inferiore a quello normale erano da avviare alle classi differenziali. 22 La prima legge che si occupa del sistema scolastico e la legge Casati del 13/11/1859, susseguita dalla legge Coppino del 15/07/1877, la legge Orlando dell’8/07/1904 e la legge Credano del 4/06/1911 23 R.D. 1/07/1933, n. 786, "Passaggio allo Stato delle scuole elementari dei Comuni autonomi"
  • 20. 19 Nel 1947 con la costituzione italiana all’art. 2 la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Nell’art. 3 si declama come “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e dell'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Negli anni settanta troviamo le prime applicazioni dei principi della costituzione, con le nuove norme24 a favore dei mutilati ed invalidi civili, promuovendone il reinserimento e l’integrazione. “L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica (...) Sarà facilitata inoltre la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori e universitarie. Le stesse disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i doposcuola”25 . Si individuano le “istituzioni terapeutiche quali comunità di tipo residenziale e simili”26 in alternativa al ricovero in istituto. Si enuncia che i mutilati e invalidi civili, dopo l'espletamento dell'obbligo scolastico sono ammessi a fruire delle provvidenze intese all'orientamento, all'addestramento, alla qualificazione e “riqualificazione professionale a cura del Ministero del lavoro e della previdenza sociale”27 . Con questa legge le scuole speciali diminuiscono come numero di istituti e alunni iscritti fino a scomparire e gli istituti contemporaneamente registrano una riduzione dei ricoveri. 24 legge n. 118 del 30/03/1971 25 legge n. 118 del 30/03/1971, art. 28 26 legge n. 118 del 30/03/1971, art. 4 27 legge n. 118 del 30/03/1971, art. 23
  • 21. 20 Nel 1977 con la legge 517 si sancisce il diritto alla frequenza scolastica di tutti i portatori di handicap, in classi che non devono superare i 20 alunni28 e ai quali devono “essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio sociopsicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti"29 Nella legge si riconosce inoltre l'importanza di interventi educativi individualizzati e finalizzati al pieno sviluppo della personalità degli studenti, prevede attività di gruppo anche fra classi diverse, consente di svolgere attività integrative nell'ambito della programmazione educativa e indica criteri per l'utilizzazione degli insegnanti di sostegno. LA LEGGE QUADRO 104/92 La legge 104 del 1992 “detta i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale ed assistenza della persona handicappata”30 28 legge 517 del 4 agosto 1977, art. 7 29 legge 517 del 4 agosto 1977, art. 2 30 Legge 104 del 1992, art. 2
  • 22. 21 Questa legge ha permesso di interrompere un modo di legiferare da parte dello Stato basato su risposte date a problematiche che portavano le diverse categorie svantaggiate. Con questa legge si vuole garantire “il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società. a) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, (…) b) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni (…) c) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata”31 . Per la prima volta con questa legge si definisce la persona handicappata, come “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata o progressiva che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale e/o di emarginazione”32 . Si tocca con la legge 104 diversi temi riguardanti la persona disabile: la prevenzione e diagnosi (art. 6), la cura e riabilitazione (art. 7), inserimento ed integrazione sociale (art. 8). Per quanto riguarda l’istruzione si sancisce che è “garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie. L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione"33 . Per quanto riguarda la formazione professionale della persona disabile "le regioni … realizzano l'inserimento della persona handicappata negli ordinari corsi di formazione professionale dei centri pubblici e privati e garantiscono agli allievi handicappati che non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento ordinari 31 Legge 104 del 1992, art. 1 32 Legge 104 del 1992, art. 3 33 Legge 104 del 1992, art. 12
  • 23. 22 l'acquisizione di una qualifica anche mediante attività specifiche nell'ambito delle attività del centro di formazione professionale tenendo conto dell'orientamento emerso dai piani educativi individualizzati realizzati durante l'iter scolastico"34 . Per quanto riguarda l’integrazione lavorativa “in attesa dell’entrata in vigore della nuova disciplina del collocamento obbligatorio le disposizioni di cui alla legge 482/68, e successive modificazioni, devono intendersi applicabili anche a coloro che sono affetti da minorazioni psichiche, i quali hanno una capacità lavorativa che ne consente l’impiego in mansioni compatibili” 35 Il nuovo ordinamento per il diritto al lavoro delle persone disabili viene definito nel 1999 con la legge del 12 marzo n° 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Un importante passo è stato sancito il 28 dicembre 2007 quando il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, impegnandosi ad accelerarne il più possibile il processo di ratifica con i necessari interventi legislativi al fine di darne concreta applicazione. I principi generali della convenzione sono “ il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; la parità di opportunità; l’accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità”36 . 34 Legge 104 del 5 febbraio 1992, art. 17 35 Legge 104 del 1992, art. 18 36 http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/disabili_convenzione/
  • 24. 23 Nazioni Unite Nel 1948 con la dichiarazione universale dei diritti umani si afferma che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti (…) ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente dichiarazione, senza limitazione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione37 . Solamente negli anni settanta possiamo intravedere le applicazioni di questo enunciato, perché fino ad allora la “persona disabile viveva in una condizione di invisibilità, in quanto vista come problema, ‘oggetto’ di interventi sanitari e di politica sociale e non ‘soggetto’ di diritto. Tale approccio giustificava e promuoveva forme di esclusione e separazione, con la creazione di scuole, edifici, trasporti dedicati ai disabili”38 . Nelle nazioni unite il 20/12/1971 si adotta la risoluzione n. 2856 che riporta la “dichiarazione dei diritti delle persone mentalmente ritardate”39 e Il 9 dicembre 1975 la risoluzione 3447, contente una “dichiarazione sui diritti delle persone disabili”40 . Queste prime conquiste raggiunte riportano in esse un modello essenzialmente medico-assistenziale della disabilità, ottica che si modificherà nel 1981 con la proclamazione dell’anno internazionale dei disabili, l’inaugurazione del decennio dei disabili dal 1983 al 1992 e l’avvio di politiche importanti per la proclamazione dei diritti dei disabili. Sempre negli anni ottanta si ha la “dichiarazione sui principi di tutela delle persone colpite da malattia mentale e per il miglioramento dell’assistenza nell’ambito della salute mentale”41 e si approva il 37 http://www.onuitalia.it/diritti/index2.html 38 http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/02.asp?menu=bollettino 39 http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/m_mental.htm 40 http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/72.htm 41 G. A. Res. 46/119, 46 UN. GAOR Supp. (No. 49) at 189, UN. Doc. A/46/49 (1991)
  • 25. 24 programma mondiale d’azione concernente le persone con disabilità42 . Nella Dichiarazione di Vienna e Programma d’azione, adottati dalla Seconda Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, il 14-25 giugno 1993, si ribadiscono i diritti delle persone disabili ritenendoli universali. “Un’attenzione speciale deve essere prestata alle persone disabili, al fine di assicurare loro la non discriminazione e l’eguale godimento di tutti i diritti umani e della libertà fondamentali, inclusa l’attiva partecipazione in tutti gli aspetti della vita sociale. (…) La Conferenza Mondiale sui diritti umani ribadisce che tutti i diritti umani e le libertà fondamentali sono universali e includono senza riserve le persone disabili. Ogni persona è nata uguale alle altre e vanta gli stessi diritti alla vita e al benessere, all’educazione e al lavoro, a vivere in modo indipendente e all’attiva partecipazione a tutti gli aspetti della società. (…) Il posto delle persone disabili è ovunque. Alle persone disabili dovrebbero essere garantite uguali opportunità, attraverso l’eliminazione di tutte quelle barriere socialmente determinate, siano esse fisiche, finanziarie, sociali o psicologiche, che escludono o restringono la piena partecipazione alla società.”43 . Nel 1993 l’assembla generale delle nazioni unite stabilisce le “Norme standard per le pari opportunità delle persone disabili”44 , la risoluzione richiama i governi all’adozione di politiche verso l’uguaglianza dei diritti, delle opportunità e dei doveri delle persone disabili, per la creazione di politiche che riconoscano le persone disabili come soggetti attivi ed unici, responsabili delle proprie scelte e quando questo non sia possibile, riconoscano tale capacità alle famiglie. Il documento illustra i vari ambiti della vita delle persone con disabilità, strutturandosi in ventidue regole, raggruppate in quattro temi: le condizioni di base per la piena partecipazione, le aree di intervento, le misure attuative e il meccanismo di monitoraggio. 42 Risoluzione 37/52 del 3/12/1982 43 http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_strumenti/testoit/22001it.asp?menu=strumenti 44 http://www.un.org/esa/socdev/enable/dissre00.htm, risoluzione 48/96 del 20/12/1993
  • 26. 25 Alle persone disabili si vuole garantire l’accesso ai diritti fondamentali, aumentando la coscienza delle persone su diritti e potenzialità. La riabilitazione è proposta come processo finalizzato al raggiungimento di migliori livelli fisici, sensoriali, intellettuali e sociali della persona disabile. Alle persone disabili deve essere riconosciuto il diritto l’accessibilità non solo quella fisica, ma anche sociale, all’ambiente fisico e all’informazione, allo studio, all’occupazione, ad un reddito e alla previdenza sociale, ad una vita familiare, alle attività culturali, sportive, ricreative e al culto religioso. Nel diritto allo studio le persone disabili devono essere inseriti nei cicli educativi normali nei limiti del possibile, con l’eventuale aiuto di insegnanti di sostegno e di supporti adatti. Il diritto al lavoro è visto come fondamentale e imprescindibile per tutte le persone, soprattutto per le persone disabili visto che si ritiene legato alla dignità umana. Nel 2001 l’Assemblea generale, “istituisce un Comitato ad hoc con il compito di elaborare un progetto per una Convenzione globale per la promozione e la protezione dei diritti e della dignità delle persone disabili. Nel corso della sessione del 2003, il Comitato ad hoc istituisce un gruppo di lavoro per l’elaborazione del progetto di convenzione”45 . Questa attenzione alla disabilità da parte delle nazioni unite con la strutturazione di una convenzione è un approccio basato sul diritto e prende in considerazione cinque principi fondamentali: la dignità umana, l’uguaglianza delle persone, l’autonomia come possibilità per la persona disabile di vivere nella società, l’etica e la pratica della solidarietà. Nel progetto di convenzione si proclama il diritto da parte della persona disabile all’educazione, per lo sviluppo delle potenzialità umane, del senso di dignità, del rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali. Un educazione che garantisca ai bambini disabili l’inclusione all’interno della loro comunità. Si riporta poi la necessità per le persone disabili di poter accedere all’educazione di terzo livello, alla formazione professionale, all’educazione degli adulti e il 45 http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/02.asp?menu=bollettino, Ris.56/168
  • 27. 26 diritto al “sostegno economico o di altro tipo necessario per garantire l’effettivo accesso”46 . L’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani della Nazioni Unite a favore dei disabili, il 14 gennaio 2002 presenta a Ginevra il rapporto “Human Rights and Disability”, dove in collaborazione con il Relatore speciale sulla disabilità, vengono esaminate misure per rafforzare la protezione delle persone disabili. Nel rapporto si considerano le disposizioni di sei principali strumenti internazionali47 sui diritti umani. 46 http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_strumenti/testoit/32001it.asp?menu=strumenti 47 Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, Patto internazionale sui diritti civili e politici, Convenzione contro la tortura, Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne e Convenzione sui diritti dell’infanzia
  • 28. 27 L’Unione Europea e i diritti delle persone disabili La disabilità come forma fisica, sensoriale, mentale e intellettuale riguarda all’interno della comunità europea “circa 50 milioni”48 di persone, “un decimo della popolazione complessiva” 49 . Le attività del Consiglio d’Europa a favore dell’integrazione delle persone con disabilità “si fondano sul riconoscimento ‹della dignità umana, della piena cittadinanza, dell’indipendenza e della partecipazione attiva nella comunità›. L’obiettivo delle politiche è ‹la promozione della coesione sociale›, riconciliando la garanzia di ‹eguali diritti per tutti›”50 . Nel 1992 si incoraggia i diversi stati a facilitare il processo di integrazione delle persone disabili nella raccomandazione “Una coerente politica per l’integrazione dei disabili”51 con politiche nazionali che comprendano diversi ambiti, partendo dalla prevenzione ed educazione sanitaria, all’identificazione e la diagnosi, al trattamento medico-sanitario, alla formazione, l’occupazione, l’integrazione sociale, la protezione sociale, economica e giuridica, l’informazione e la ricerca. Nel 1995 la Comunità Europea adotta52 la Carta sulla valutazione professionale delle persone con disabilità, come riferimento per una strategia di integrazione professionale delle persone con disabilità. Nel documento la valutazione professionale, è “quel processo di valutazione delle capacità professionali delle persone insieme ai requisiti professionali per una reintegrazione lavorativa”53 . Gli scopi della carta comportano un cambio di prospettiva, dove si vanno a valutare le abilità e non le difficoltà della persona. 48 http://www.ens.it/documenti/doc_mondo/Dichiarazione_Madrid.pdf 49 http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-prot/disable/com406/406-it.pdf 50 http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/04.asp?menu=bollettino 51 Raccomandazione n. R (92) 6, adottata nell’aprile 1992 52 Ris. AP (95) 3 53 http://cm.coe.int/ta/res/resAP/1995/95xp3.htm, art. 1.1.
  • 29. 28 Pari opportunità per le persone disabili Nel 1996 con le “Norme standard per le pari opportunità delle persone disabili” stabilite dalle nazioni unite, l’Unione Europea dispone la “Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri sulla parità di opportunità per le persone con disabilità”54 , questo documento rappresenta un riferimento per diverse politiche europee. “E’ fondamentale che la CE chiarisca e confermi la propria strategia generale in materia di disabilità che dovrebbe essere incentrata su un impegno condiviso da parte di tutti gli Stati membri a promuovere la parità delle opportunità, eliminare le discriminazioni e riconoscere i diritti delle persone disabili”55 . Con questa risoluzione si passa dal vecchio approccio di tipo medico ad un approccio sociale, che pone attenzione nel trovare ed eliminare gli ostacoli, alle pari opportunità e alla partecipazione a tutti gli aspetti della vita per le persone disabili. L’approccio medico vedeva la disabilità nella persona, l’approccio sociale tiene in considerazione la persona nell’ambiente che non si adatta alla disabilità. In questo documento il passaggio fondamentale risulta dall’adattabilità, all’integrazione delle persone con disabilità nella società come chiave di accesso alla vita attiva. Il compito complessivo di questa risoluzione si può sintetizzare con il termine “mainstreaming”. Si vuole trovare una strategia per facilitare e rendere possibile la partecipazione e il coinvolgimento delle persone con disabilità ai processi economici, sociali e altri nel rispetto delle scelte personali. Si necessita di distaccarsi da una politica assistenzialista ed esclusione dalla vita sociale, passando ad azioni che promuovano l’integrazione delle persone disabili. Vengono sottolineati alcuni ambiti che rappresentano per il momento dei nodi critici nell’integrazione della persona disabile nella società e 54 http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-prot/disable/com406/406-it.pdf, risoluzione approvata il 20 dicembre 1996 55 http://europa.eu.int/infonet/library/m/97c1201/it.htm
  • 30. 29 sono l’istruzione, l’occupazione, la mobilità e accesso, la presenza di alloggi e la presenza di un sistema di sicurezza sociale. Si considera come area problematica l’ istruzione, in quanto numerosi bambini disabili sono esclusi dalle scuole ordinarie senza una reale misurazione delle loro potenzialità e possibile integrazione, venendo prescritti in istituzioni che non prevedono inclusione sociale. Le persone disabili nei momenti di crisi economica sono i primi a perdere la propria occupazione. Viene limitata la mobilità e l’accesso della persona disabile in diversi sistemi di trasporto ed edifici pubblici inaccessibili per la presenza di barriere architettoniche e infrastrutturali. Esistono pochi alloggi strutturati per rispondere alle esigenze della persona disabile e quelli esistenti molto spesso hanno dei costi proibitivi. Il sistema di sicurezza sociale attualmente presente in Europa solamente in parte riesce ad incontro alla persona disabile facilitando la sua partecipazione sociale. L’Unione Europea in questi anni per favorire politiche di cambiamento e integrazione della persona disabile ha messo a disposizione dei "Fondi strutturali", in particolare il "Fondo Sociale Europeo", per l’inserimento professionale. Viene messo in rilievo in questi anni l’importanza e le potenzialità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, strumento per le persone disabili conseguire migliori condizioni di vita e di lavoro.
  • 31. 30 Diversi punti all’ordine del giorno Nella Carta sociale europea entrata in vigore con la versione riveduta nel 1999, all’articolo 15 si ribadiscono i diritti delle persone portatrici di handicap all’autonomia, integrazione sociale e alla partecipazione alla vita in comunità, tutelando le persone disabili negli ambiti dell’educazione, occupazione e integrazione. Anche nella Risoluzione del Consiglio del 17 giugno 1999 si sottolinea l’importanza delle pari opportunità di lavoro per le persone disabili56 . Nella comunicazione «Verso un’Europa senza ostacoli per i disabili», si riporta la necessità di “eliminare le barriere ambientali, tecniche e giuridiche che si frappongono all'effettiva partecipazione delle persone con disabilità a un'economia e a una società basate sulla conoscenza”57 . La “Direttiva 2000/78/CE, stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro” 58 che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali. “Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione.”59 . Nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza (…), la nascita, gli handicap. (…) l’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”60 . 56 G.U.C.E., C 186, del 2 luglio 1999, pag. 3. 57 http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c11414.htm, comunicazione del 10 maggio 2000 58 G.U.C.E., L 303, del 2.12.2000, pag. 16 59 Richard Whittle, “The Framework Directive for equal treatment in employment and occupation: an analysis from a disability rights perspective”, European Law Review, Giugno 2002 60 http://www.europarl.eu.int/charter/pdf/text_it.pdf, Nizza 7/12/2000, art. 21, 26
  • 32. 31 Madrid e l’anno europeo In occasione del Congresso europeo sulla disabilità tenutosi nel 2002 si è promulgata la dichiarazione di Madrid, risultato del lavoro congiunto del Forum europeo delle persone con disabilità, della Commissione europea e della Presidenza dell’Unione Europea. L’obiettivo della dichiarazione è quello di “proporre un quadro ideale d’azione da sviluppare durante l’Anno europeo nell’ambito dell’Unione Europea, a livello nazionale, regionale e locale61 . Nella dichiarazione si ribadisce che le persone disabili sono cittadini indipendenti pienamente integrati nella società, abbandonando una visione paternalistica. Il fine è rappresentato dal modificare la società per adattarla alle necessità di ogni persona. Le persone disabili non devono essere più dei cittadini invisibili ma persone che possono avere un ruolo attivo nella società. “NON DISCRIMINAZIONE + AZIONE POSITIVA =INTEGRAZIONE SOCIALE”62 Nella dichiarazione di Madrid viene riportata l’importanza di attuare le strategie proposte per portare beneficio non solo alle persone disabili ma a tutta la società. Nel 2003 la Comunità Europea propone l’“Anno europeo delle persone disabili”63 , per promuovere la parità di diritti e la partecipazione alla società delle persone disabili, aumentando l’informazione e la conoscenza delle problematiche legate alla disabilità. Alcuni degli obiettivi ambivano ad aumentare da parte di tutti la consapevolezza dei diritti delle persone con disabilità, incoraggiando la riflessione e discussione delle misure necessarie alla promozione di pari opportunità, di buone prassi e strategie efficaci. Intensificando la cooperazione fra tutte le istanze interessate. 61 http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_bollettino/2627/03.asp?menu=bollettino#3 62 http://www.ens.it/documenti/doc_mondo/Dichiarazione_Madrid.pdf 63 Decisione 2001/903/CE del Consiglio del 3 dicembre 2001
  • 33. 32 La promozione dei diritti dei disabili nell’anno 2003 si è attuata in tutti gli Stati membri cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le difficoltà delle persone e i problemi che le persone si trovano ad affrontare, dall’esclusione sociale, alla necessità di maggiore partecipazione, alla promozione della qualità della vita e di un’assistenza appropriata. Il parlamento europeo durante l’anno si è fatto promotore “dell’intergruppo disabilità”64 e diverse altre iniziative65 . Nel piano d’azione dell’UE sulla disabilità, la Commissione europea adotta la “Comunicazione sul follow-up dell’Anno europeo delle persone con disabilità”66 , un piano di azione pluriennale, che propone di accrescere l’integrazione e la partecipazione delle persone con disabilità. Nella prima fase del piano si porta l’attenzione verso quattro azioni legate all’occupazione, quali l’accesso e il mantenimento ad una occupazione; l’educazione permanente, la maggiore autonomia della persona attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie e l’accessibilità all’ambiente edificato pubblico. Nel 2003 si riunisce la conferenza67 europea dei ministri responsabili delle politiche per l’integrazione delle persone disabili con oggetto dell’incontro di "Migliorare la qualità della vita dei disabili: condurre una politica coerente per una piena partecipazione"68 . È emersa la necessità di una promozione della cittadinanza e la piena e completa partecipazione della persona disabile, elaborando una politica e delle disposizioni giuridiche volte a garantire la parità di opportunità ai portatori di handicap e sviluppando approcci innovativi nei servizi forniti. L’obiettivo con la conferenza era quello di elaborare dei principi comuni per orientare le future politiche in tema di disabilità e la fornitura di servizi pubblici adeguati. A fine lavori si è adottata la "Dichiarazione ministeriale di Malaga relativa ai disabili: Procedere verso la piena partecipazione come 64 http://edf-feph.org/en/welcome.htm 65 “Risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2002” e “Risoluzione sui diritti umani nel mondo e la politica dell’UE in materia di diritti umani” 66 http://europa.eu.int/comm/employment_social/news/2003/oct/it.pdf 67 Conferenza tenuta il 7 e 8 maggio del 2003 a Malaga, riunendo i ministri dei 45 Paesi membri, rappresentanti di organizzazioni intergovernative e ONG. 68 http://www.coe.int/T/I/Com/Dossier/Conferenze-ministeriali/2003-05- Disabili/decl_finale_IT.asp#TopOfPage
  • 34. 33 cittadini", che propone di elaborare un ambizioso piano d'azione europeo “dettagliato e nel contempo flessibile, nella prospettiva dell'attuazione a livello nazionale e internazionale dei principi evocati in occasione di questa seconda Conferenza europea”69 . Nel 2003 il consiglio dell’unione con la Risoluzione del 15 luglio 2003 del Consiglio dell’Unione, invita a riflettere sulla necessità di ulteriori misure per promuovere l’occupazione e l’integrazione sociale delle persone con disabilità nella società. Si auspica che tutti gli stati membri collaborino con tutti gli organismi che si occupano di persone con disabilità per favorire l’integrazione e la partecipazione a tutti gli aspetti della società. Nella Strategia europea per l’occupazione (SEO) si richiama gli stati a promuovere misure attive nel mercato del lavoro per le persone con disabilità e a migliorare l’offerta di assistenza e orientamento personale, nel contesto delle attività del Fondo sociale europeo e dell’iniziativa comunitaria EQUAL (2000-06). Sempre nel 2003 viene adottata la “Risoluzione sull’Agenda di Politica Sociale”, la “Risoluzione sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili” e la “Risoluzione sulla televisione senza frontiere”. L’intergruppo disabilità dell’unione europea da inpulso al “Parlamento europeo delle persone disabili”, dove partecipano delegati di persone disabili e di familiari di persone disabili e diversi osservatori dei movimenti sulla disabilità. A conclusione del parlamento europeo vengono creati una Risoluzione e un Manifesto con lo slogan “niente su di noi, senza di noi.” Dopo l’anno europeo dei disabili con il piano d'azione dell'unione europea a favore dei disabili (pad) e nel 2005 con la comunicazione della commissione ai diversi organismi dell’unione europea e al comitato delle Regioni, viene riferita la situazione dei disabili nell’Unione Europea allargata e lo stato d’azione europeo 2006- 2007. “La strategia dell'UE si basa su tre pilastri: (1) la legislazione e le iniziative miranti a combattere la discriminazione, che garantiscono i diritti individuali; (2) l’eliminazione degli ostacoli di 69 http://www.coe.int/T/I/Com/Dossier/Conferenze-ministeriali/2003-05- Disabili/decl_finale_IT.asp#TopOfPage
  • 35. 34 natura ambientale che impediscono ai disabili di sfruttare le loro capacità e (3) la considerazione dell’aspetto della disabilità in tutte le politiche comunitarie, che promuove l'inclusione attiva dei disabili”70 . Il Piano di azione copre il periodo 2004-2010, suddiviso in diverse fasi, la prima fase andava dal 2004 al 2005 e ha visto l’integrazione di alcuni aspetti della disabilità ad azioni dirette nei settori dell'occupazione avendo un migliore inserimento dei disabili nel mondo del lavoro, nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e nell'istruzione come l’e-learning. “La seconda fase del pad sarà incentrata sull'inclusione attiva delle persone disabili, basandosi sul concetto di disabilità rispecchiato dalla carta dei diritti fondamentali dell'unione e sui valori a cui si ispira la futura convenzione delle nazioni unite sulla protezione e la promozione dei diritti e della dignità dei disabili”71 . 70 http://www.disabilitaincifre.it/europa/com_2005_604_it.pdf 71 COM(2005) 604 definitivo, Bruxelles, 28.11.2005
  • 36. 35 Imprenditori di sè stessi con gli altri A conclusione del rapporto di lavoro con la cooperativa sociale Filo Continuo, le considerazioni che venivano portate negli ultimi anni soprattutto fra coordinatori e responsabili di struttura erano quelle di azzardare dei paragoni tra la nostra realtà ed un piccola media impresa. Erano presenti a libro paga circa trenta soci lavoratori e si gestivano più servizi alla persona. Nel mio percorso universitario i paragoni con le metodologie utilizzate nelle aziende e la possibilità di adattarle alle realtà del no-profit era un tema che veniva affrontato spesso, mettendo in luce di come alcune risorse umane presenti nelle cooperativa sociali provenivano dal mondo del profit, causa la politica dei tagli e i diversi licenziamenti di operai, impiegati e dirigenti. Si trattava di capire cosa c’era di buono nell’ ”aziendalese” per essere poi adattato ai servizi alla persona. Studiando il modello delle piccole aziende famigliari del nord-est italia, che si erano imposte negli anni passati nel panorama dell’economia Italiana, ho visto alcune analogie con la realtà della cooperativa. In entrambi ho riscontrato un forte senso di appartenenza alla propria realtà lavorativa, una grande motivazione nel lavoro e la tensione da parte delle persone nel raggiungere gli obiettivi prefissati. Ritengo che il lavoro fatto negli anni in cooperativa sul significato di essere socio, sul senso di appartenenza e la possibilità di avere una informazione chiara e aggiornata sulla situazione della propria realtà lavorativa, abbia prodotto come risultato un contesto positivo, limitando in questi anni il turn-over dei professionisti. In questo momento storico è difficile che una persona rimanga in una stessa cooperativa per tutta la sua vita lavorativa, soprattutto se deve fare sempre le stesse attività o mansioni. Le persone e in particolare i giovani, riescono ad acquisire un maggiore grado di scolarizzazione e il lavoro diventa, in alcuni casi, solamente un sostegno ai loro interessi senza coinvolgerli particolarmente o solamente una occupazione temporanea per accedere poi ad altre realtà.
  • 37. 36 Il contratto delle cooperative è uno dei più bassi a livello nazionale e determina condizioni che non favoriscono la permanenza nella realtà lavorativa. Questi e altri problemi mi hanno fatto riflettere sul rapporto che c’è tra cooperativa e socio, dell’importanza di condividere una mission comune e sviluppare un atteggiamento da parte delle persone che faciliti la messa in campo delle competenze di ognuno per favorire prestazioni efficaci ed efficienti. Una regia attenta dell’organizzazione della cooperativa dovrebbe valorizzare, riconoscere e gestire le competenze e conoscenze che vengo utilizzate nel lavoro da parte dei diversi professionisti, per riuscire a garantire il continuo sviluppo della realtà lavorativa e così affrontare le diverse sfide che ogni giorno ci pone inevitabilmente un mercato dei servizi alla persona, caratterizzato da gare, convenzioni e svariati altri tipi di trattative. Attualmente un educatore o un operatore che viene assunto da un ente, oltre alle capacità relazionali e comportamentali, deve possedere anche altre abilità, vista la complessità del lavoro e dei bisogni dell’utenza. La persona, il professionista operante nelle realtà lavorative del no- profit diventa un capitale inestimabile che un ente non può trascurare, al quale dovrebbe dare riconoscimento e valore. Le realtà del non profit hanno in sè un valore complessivo che potremmo chiamare “capitale umano”72 il quale contribuisce in modo significativo alla crescita e alla produttività di un ente. In questo momento nelle realtà dei servizi alla persona, trovo che gratificare e incentivare il professionista e la persona che dimostra competenza e ottime prestazioni nello svolgere il proprio lavoro sia importante. Il rischio di perdere dei bravi professionisti, si insinua quando non si garantiscono delle adeguate condizioni lavorative e un corretto coordinamento delle risorse umane. Tante volte, nella mia realtà lavorativa ho visto professionisti competenti e preparati lasciare il posto di lavoro, perché ricevevano proposte lavorative più vantaggiose da un punto di vista economico, 72 De la Fuente e Ciccone, Human capital in a global and knowledge-based economy, relazione finale per DG Occupazione e affari sociali, Commissione europea, 2002.
  • 38. 37 ma poi meno gratificanti da un punto vista della motivazione personale. Ho conosciuto anche degli eccellenti professionisti operanti in altre cooperative costretti ad abbandonare perché il loro operato poteva mettere in discussione gli organi direttivi della realtà in cui erano inseriti, ponendo le basi per un cambiamento che metteva in discussione la leadership e il potere di pochi. Da tenere presente come nelle cooperative sociali di piccola e media dimensione la persona, oltre a rappresentare una risorsa fondamentale a volte identifica la realtà in cui opera. Privarsi di un bravo professionista o un collega competente, comporta una perdita in termini non solo economici, ma anche la necessità di dover reperire, formare e avviare al lavoro un altro o a volte più professionisti. Le selezioni che vengono fatte per le assunzioni dei professionisti che si vanno ad inserire nelle realtà lavorative, dovrebbero essere dei momenti progettati e organizzati adeguatamente, con la predisposizione di strumenti oggettivi che permettano di avere qualche certezze sul fatto di inserire la persona giusta al posto giusto nel momento giusto. Molto spesso i diversi curriculum che arrivavano alla cooperativa andavano ad aumentare un faldone che veniva aperto quando c’era la necessità di assumere delle persone e frequentemente dall’esame della documentazione prodotta dai candidati risultava non esserci le competenze necessarie per il profilo ricercato. Le qualifiche formali e i titoli di studio non sempre risultavano funzionali ad un riscontro oggettivo delle capacità della persona e la conoscenza diretta delle persone a volte poteva rappresenta un limite perché molto spessa connotata da possibili pregiudizi. Investire anche da un punto di vista economico nella selezione del personale, fatto con strumenti e professionisti competenti, permette a mio parere di risparmiare a lungo termine, tempo e denaro. “Il costo di una selezione efficiente viene ad essere coperto proprio da ciò che l’azienda risparmia successivamente in costi di ricambio del personale, di addestramento, di limitato rendimento”73 73 N. A. De Carlo, teorie & strumenti per lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni, volume primo, franco angeli, milano, 2002, pag. 69
  • 39. 38 Ho incontrato nella mia esperienza lavorativa diversi responsabili di cooperative che gestendo da diversi anni servizi alle persona, conoscendo e selezionando diversi professionisti e sostanzialmente svolgendo nel proprio ambito soprattutto un lavoro di relazione, sviluppano una sensibilità verso l’altro che nella scelta di un operatore o un educatore molto spesso hanno già presente implicitamente quali sono le caratteristiche che deve avere il neo assunto e se sono presenti già in un primo colloquio con la persona. Non sempre l’esperienza e la sensibilità verso l’altro da parte dei responsabili dei servizi alla persona è sufficiente ad evitare errori nell’assumere dei professionisti che non sempre riescono ad inserirsi correttamente nella realtà lavorativa, causando diversi problemi. Il capitale umano La necessità per una cooperativa di mantenere il proprio capitale umano e sociale, dovrebbe attivare da parte dei diversi presidenti e direttori, dei processi che possano stimolare e mantenere alta la motivazione delle persone nel proprio lavoro. Nella cooperativa in questi anni si è pensato di predisporre dei percorsi di sviluppo di carriera e un sistema incentivante, che premiasse le persone che dimostravano competenze e investimento professionale sul lavoro. In questo modo si crea un sistema, che va a riconoscere in maniera diversa le persone che raggiungono determinati risultati e garantiscono elevate prestazioni che mantengono efficacie ed efficiente il servizio in cui sono inseriti. Per attivare tali processi si necessita di definire le competenze che un eccellente professionista deve avere per lavorare con criteri di efficacia ed efficienza nella propria realtà lavorativa, creando poi un sistema di riconoscimento e rilevazione delle competenze. Quando parlo di competenza mi riferisco al dibattito che in questi anni in Europa a portato a riflettere sul significato di questa parola, alla definizione di vari modelli soprattutto nel campo della formazione e i curricoli della formazione professionale.
  • 40. 39 Diversi modelli autorevoli che si sono espressi nella formazione alle competenze e sono quello di Spencer e Spencer74 , quello sociale di Bandura75 , quello per competenze trasversali dell’isfol76 a quello di sviluppo ramificato di Authier e Lèvy77 , denominatore comune di tutti tutte le opere è la centralità della persona come detentore delle competenze. Per competenza in questo manoscritto intendo “l’insieme delle caratteristiche individuali (di tipo diverso) che concorrono all’efficace presidio di una situazione lavorativa, di un’attività, compito, prestazione. Competenza è intesa per lo più come l'insieme delle conoscenze, abilità e atteggiamenti che consentono ad un individuo di ottenere risultati utili al proprio adattamento negli ambienti per lui significativi e che si manifesta come capacità di affrontare e padroneggiare problemi attraverso l'uso di abilità cognitive e sociali. Le competenze si configurano inoltre come strutturalmente capaci di trasferire la loro valenza in diversi campi generando così dinamicamente anche una spirale di altre conoscenze e competenze. La competenza esprime infatti una «relazione» tra un soggetto e una specifica situazione lavorativa. In questo senso essa non è ricavabile da un’esclusiva analisi della natura tecnica dei compiti lavorativi, e neppure dalla definizione di una somma di conoscenze e capacità aspecificamente possedute da un soggetto. Essa scaturisce dall’analisi del «soggetto in azione», dalla considerazione del tipo di risorse che mette in campo e delle modalità con cui le combina, per raggiungere i risultati di volta in volta richiesti”78 . La cooperativa sociale “insieme si può” ha condotto una ricerca raccolta in tre volumi79 che tratta il dizionario delle competenze nelle professioni sociali. Nell’introduzione iniziale si specifica che la finalità di questo processo ha un aspetto sociale decisamente 74 L. M. Spencer, S. M. Spencer, Competenze nel lavoro, Franco Angeli, Milano 1995. 75 A. Bandura, Social Learning theory, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1977 76 Isfol, competenze trasversali e comportamento organizzativo, Franco Angeli, Milano 1994 77 M. Authier, P. Lèvy, Gli alberi di conoscenze. Educazione e gestione dinamica delle competenze, Feltrinelli, Milano, 2000. 78 GLOSSARIO MINIMO SULLE COMPETENZE, Regione Emilia Romagna, 1999 79 Professioni sociali, dizionari delle competenze a cura di Giuliano Trevisiol, progetto lavorare in rosa nel sociale, 2004
  • 41. 40 importante, che mira a restituire dignità e qualità alla figura dell’operatore sociale. “Dobbiamo sfatare una convinzione, che per molto tempo ha abitato i responsabili dei servizi sociali e gli operatori stessi, secondo la quale era sufficiente una buona motivazione, una grande disponibilità e <amore> per gli altri per fare un buon operatore sociale. La prevalenza data alle sole spinte motivazionali dell’operatore e una certa visione filantropico-assistenziale dell’attività sociale ha permesso l’introduzione in servizio di operatori con scarsa formazione, con competenze non costruite e verificate e ha portato al crollo di tanti di essi di fronte alla complessità e alle frustrazioni del lavoro sociale”80 . Quante volte nel cambio di un operatore o un educatore all’interno della propria realtà lavorativa, ci poniamo di fronte all’incertezza di poter trovare un collega competente, in grado di imparare in fretta le diverse mansioni e compiti, mantenendo alcune routine consolidate nella realtà in cui operiamo e a dirittura migliorarle. Un diploma di Operatore Socio Sanitario o la Laurea in scienze dell’educazione o formazione, non sono sufficienti a placare le preoccupazioni di un equipe, di un coordinatore o un direttore. Sarebbe importante determinare all’interno della realtà lavorativa per i propri soci e dipendenti dei percorsi interni basati sulla formazione e definizioni di crescita professionale, garantendo in questo modo un investimento sulle persone già inserite nel proprio organico e l’efficacia di una struttura e la sua prosecuzione. Nel selezionare una persona la cooperativa dovrebbe avere chiaro e definito le competenze di cui necessita per mantenere la propria identità e operatività, garantendo alla persona a sua volta di poter essere poi riconosciuto nelle proprie competenze e prestazioni. Troppo spesso nelle realtà sociali, non si investe tempo nel definire quali sono le cose che funzionano e le buone prassi che vengono messe in atto, per poi replicarle e trasmetterle. Quando si incontrano presidenti di cooperative dello stesso territorio o professionisti del sociale, sanno benissimo indicarti quali sono le realtà del no-profit come servizi alla persona che sono più efficaci e funzionali, delineando gli aspetti positivi e negativi. 80 Ibidem, pag. 12
  • 42. 41 Nella stessa realtà lavorativa, gli stessi membri di un gruppo, sanno indicare chi è la persona che maggiormente spicca per competenze e prestazioni. Perché quindi non analizzare le realtà e le persone che nella propria azione si dimostrano efficaci ed efficienti, vedere di quali risorse dispone, quali usa e come le equilibra per raggiungere i fini che si pone? Attivando questo processo di miglioramento, porta benefici a tutte le realtà partecipanti, aumentando la qualità dei servizi alla persona. Quello che manca in diverse realtà cooperative è una vera e propria cultura della valutazione, non ci sono degli strumenti che eseguono una attenta riflessione su quelle che sono le competenze e conoscenze che non si possono perdere e quindi trattenere. Manca la predisposizione di un processo di valutazione, che definisca procedure, strumenti, modalità di comunicazione, prodotto della valutazione e azioni possibili per il miglioramento a livello gestionale, informativo, organizzativo e formativo della realtà in cui si opera. Un sistema di valutazione implica una corretta gestione della comunicazione, coinvolgimento e fiducia tra le parti e la possibilità di programmare spazi per modificare le competenze. Uno strumento che ritengo fondamentale per raggiungere obiettivi di cambiamento è la formazione che nelle realtà lavorative dovrebbe mirare a fare acquisire, mantenere e sviluppare le competenze, conoscenze professionali e sviluppo di mentalità e comportamenti organizzativi efficaci da parte dei membri di una organizzazione o soci di cooperativa. I diversi momenti formativi,81 , dovrebbero essere visti come opportunità per la cooperativa nel comunicare i valori e le strategie che si voglio adottare, per trasferire conoscenze tra generazioni, innovare e competere. Nella formazione la necessità di sviluppare competenze porta a considerare l’importanza dell’apprendimento come la capacità di interiorizzare qualcosa di differente da prima e utilizzarlo poi nella propria attività e comportamenti. Si dovrebbe arrivare al momento in 81 La formazione rientra in questi anni nei parametri di qualità dell’accreditamento da parte del pubblico nei confronti del privato sociale L. Reg. Ven. 22/2002
  • 43. 42 cui un operatore o un educatore comprende e fa sua la necessità e la capacità di apprendere ad apprendere. L’apprendimento comincia con l’esperienza concreta nelle azioni che una persona mette in atto durante la pratica lavorativa, dall’esperienza la persona opera astrazioni e concettualizzazioni che permettono una migliore comprensione del proprio agire secondo propri schemi di riferimento. Riflettere sulle attività lavorative permette di attribuire senso all’esperienza e di creare conoscenza e apprendimenti condivisi. Da questo si originano routine e si rafforzano competenze comuni strategiche e condizionanti positivamente la capacità del sistema della propria realtà lavorativa. Dai processi di apprendimento emergono le competenze necessarie per l’attività lavorativa sia per governarla che per controllare l’incertezza. Per costruire competenze all’interno di una realtà lavorativa, anche quella cooperativistica, sarebbe indispensabile operare per identificare chi possiede determinate competenze, trovare le modalità di trasmissione, riconoscere i ruoli a chi è chiamato ad avere funzioni di maestro premiando questa capacità. Per valorizzare le competenze di una persona è necessario determinare un riconoscimento e un pay for competence. Il pagamento degli operatori sociali, non è solo con l’aumento in busta paga, ma anche attraverso dei benefit e riconoscimenti che gratificano e motivano la persona. Nella realtà lavorativa dove operavo anche se il progetto di definizione delle competenze e sistema incentivante non è stato portato a termine, ho assistito ad azioni della direzione molto attente a poter incentivare e motivare maggiormente le persone. Le convenzioni che venivano stipulate ogni anno con l’ente pubblico non coprivano tutti i costi della cooperativa e quindi non era possibile avere molte risorse economiche per aumentare gli stipendi o dare degli incentivi in denaro, sono però state promosse alcune azioni:  Riconoscimento e copertura dei costi a carico della cooperativa per iscrizioni a seminari o corsi di formazione richiesti dai soci e valutati idonei per aumentarne le competenze e la propria
  • 44. 43 formazione personale nell’ambito dei servizi erogati dalla cooperativa.  Flessibilità di orario per permettere al socio che ne faceva richiesta di poter proseguire gli studi o specializzarsi in un determinato settore sociale o sanitario, riconoscendo allo stesso a fine percorso un ruolo diverso in cooperativa o in alcuni servizi.  Disponibilità da parte del consiglio di amministrazione nel vagliare e sostenere da un punto economico e di infrastrutture progetti innovativi proposti dai soci, per migliorare o ampliare i servizi della cooperativa. Queste sono solo alcune delle diverse iniziative che può intraprendere una realtà sociale, di certo non è possibile competere con i benefit delle grandi aziende, rappresentati da viaggi o beni di lusso, ma permettono alle persone di avere un minimo riconoscimento delle proprie competenze e sviluppare una maggiore fidelizzazione al servizio in cui operano.
  • 45. 44 La soluzione C.E.O.D. Negli anni di coordinamento del centro educativo, ho avuto modo di ascoltare e confrontarmi con diverse persone che hanno mosso critiche costruttive e distruttive alla realtà del centro educativo. Dirigenti u.l.s.s. che considerano il c.e.o.d. solo come ultima spiaggia, soluzione economicamente svantaggiosa e rifugio peccatorum per gli esclusi da ogni possibile percorso di inserimento lavorativo. Famigliari che banalizzavano il servizio considerandolo un posto dove le persone vengono solamente ad occupare il tempo, facendo qualche lavoretto. Docenti universitari che presentano ai propri alunni i c.e.o.d. come la morte sociale delle persone. Persone esterne ai circuiti dei servizi sociali, che vedono noi operatori sociali come i bravi ragazzi che seguono gli scarti del mondo. La Regione Veneto definisce i C.E.O.D., adesso chiamati Centri Diurni82 , servizi di accoglienza diurna delle persone con disabilità grave in età giovane/adulta, che hanno adempito all’obbligo scolastico. Rappresenta un servizio per l’educazione, riabilitazione e sviluppo dell’autonomia delle persone con grave disabilità. “I C.e.o.d. consentono di integrare le risorse della famiglia, a sostegno del difficile compito di affrontare nel quotidiano i gravi carichi che l’assistenza alla persona disabile comporta. Consentono alla persona disabile di permanere nel proprio ambiente di vita, contribuendo alla sua integrazione e contrastando ricoveri ospedalieri inappropriati, alla residenzialità e alla istituzionalizzazione”83 . Il C.e.o.d. viene definito come “una struttura territoriale, a carattere diurno, che ha la funzione di favorire negli ospiti, con specifiche attività e programmi, come il mantenimento e lo sviluppo dell’autonomia personale, le relazione interpersonali e sociali con l’ambiente, il conseguimento di capacità lavorative e la 82 DGR n.84/2007 83 Osservatorio regionale handicap, Il centro educativo occupazionale diurno, Padova, 2003, p. 3
  • 46. 45 professionalizzazione, in rapporto alle potenzialità ed attitudini individuali”84 . In questi anni ho percepito il centro educativo non solo come un servizio con importanti finalità, ma come una realtà presente insieme ad altre realtà sul territorio, che necessariamente soprattutto in questi momento storico, deve essere percepito in un ottica di “community care”85 . Il c.e.o.d. deve essere pensato e inserito in una rete sociale nella comunità di appartenenza. “Nella direzione di creare, per rispondere alle difficoltà di vita del cittadino-utente, servizi integrati nella comunità, collocati dunque nel punto fisico più vicino all’insorgere dei bisogni e al fluire naturale delle risorse umane”86 . Finalità del lavoro di rete e nel momento in cui si organizza e si struttura un servizio è quello di valorizzare le relazioni della persona disabile nel suo contesto di vita. “La persona in difficoltà, l’utente, potrà così trovare sostegno a diverso livello potendo muoversi in questa rete sociale”87 . L’obiettivo dei diversi servizi in rete è quello di rispondere ai bisogni delle persone disabili in un ottica di promozione sociale e di “qualità della vita”88 . IL C.E.O.D. L’INCONTRO Il centro nasce il 1 ottobre 1997, quando presi servizio erano presenti 8 utenti con tipologie di disabilità eterogenee, con bisogni e necessità che coprivano una gamma molto varia. C’erano persone in carrozzina con distrofia e altri con sindrome di down; persone con un grave ritardo mentale e persone con buone autonomie e disturbi soprattutto nell’ambito psichiatrico. Nel primo periodo di lavoro presso il centro, l’esigenza era di poter comprendere e chiarire verso quale tipo di utenza propendere e che tipo di impostazione organizzativa e metodologica adottare. Il centro ora accoglie un target di persone adulte con disabilità medio-grave, che presentano varie autonomie e capacità. 84 Regolamento regionale 17/12/1984 – n.8 in riferimento alla legge reg. 15/12/1982 85 Folgheraiter F., Donati P., Community care. Teoria e pratica del lavoro sociale di rete, Trento: Centro studi Erickson, 1991 86 F. Folgheraiter, L’utente che non c’è, Erickson, Trento, 2000, p.17 87 A.A. V.V., Quaderni di formazione e animazione, Gruppo Abele, Torino, 1995 88 R. L. Schalock, M. A. Verdugo Alonso, Manuale di qualità della vita, Vannini editrice, brescia, 2006
  • 47. 46 La capacità di accoglienza degli utenti si è ampliata e attualmente il centro ha 19 persone disabili e per ognuno è strutturato un progetto educativo personalizzato. Il centro offre attività educative in ambito occupazionale e riabilitativo. Sono presenti le attività di laboratorio, quali computer, carta pesta, bricolage, assemblaggi, pasta di mais ed espressività. Sono presenti delle attività in esterno come l’attività di giardinaggio e aula natura, attività di ginnastica dolce, psicomotricità, musicoterapia e idrokinesiterapia. L’equipe educativa del centro è composta da educatori e operatori è supportata nel lavoro con le persone disabili da psicomotricisti, psicologi, psichiatri, assistenti sociali e altri professionisti con diverse qualifiche. In questi anni si è consolidato un lavoro di rete tra i diversi enti e professionisti in un ottica di interdisciplinarità, dove si è sempre cercato di rapportarsi “dialogicamente e pariteticamente, con disponibilità di sapere e volontà di ascoltare e con capacità di guardare all’uomo con più ottiche per meglio com-prenderlo”89 . 89 R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova, 2001, p. 76 Attività educative C.e.o.d. L’Incontro Attività riabilitativeAttività occupazionali Assemblaggi Bricolage Carta Pesta Computer Pasta di mais Espressività Aula natura Idrokinesiterapia Psicomotricità Ginnastica dolce Musicoterapia
  • 48. 47 Cose si accede al c.e.o.d. ? (vedi allegato A) L’u.l.s.s. 22 ha definito le modalità di ingresso e inserimento delle persone al c.e.o.d. legittimando le assistenti sociali nella valutazione per l’accesso e la presa in carico dell’utente. In questi anni ho avuto modo di avere diversi colloqui con assistenti sociali e psicologi che presentavano un utente per l’inserimento al centro educativo. In alcune riunioni scorgevo nelle parole dell’assistente sociale un senso di frustrazione e “sconfitta”, perché la persona negli anni nonostante la frequenza fino a trenta anni dei centri professionali di formazione, non era riuscita a maturare nel proprio percorso formativo delle minime capacità lavorative o a sviluppare comportamenti adeguati in situazioni occupazionali. Ho incontrato diversi genitori che nel momento in cui veniva concordato l’inserimento del figlio e si presentava il centro nel primo colloquio, si ponevano in un atteggiamento di rassegnazione, schiacciati dai tanti sensi di colpa verso il figlio e improntanti verso una continua ”iperprotezione90 ”. Ho conosciuto persone disabili e professionisti provenienti da istituzioni totalitarie e totalizzanti, che raccontavano di come mancava una vera attenzione e propensione verso il benessere della persona disabile, la presenza era solamente verso una perversa ossessione per perpetuare la realtà e la sopravvivenza dell’istituto, non permettendo alla persona di intraprendere un cammino di crescita ed evitando di aiutarlo nell’autodefinirsi per trovare una propria interpretazione del mondo. Nelle riunioni di equipe a volte riproponevo un brano di Montobio: “Andiamo a visitare un centro diurno socio-educativo per giovani ed adulti con handicap mentale, … l’istituzione si chiama centro di lavoro protetto “il raggio”. … al centro, di fronte all’ingresso, un grande pannello di fotografie ci racconta l’ultima festa di carnevale. … Il nostro immaginario sul centro è disorientato! Non stiamo visitando un centro di lavoro protetto? … abbiamo toccato con mano l’atmosfera e gli stili relazionali che si instaurano nei centri per disabili mentali. Siamo sempre disorientati, ci viene in mente il 90 ibidem, p.148
  • 49. 48 “paese che non c’è” di Peter Pan, dove vanno i bambini caduti dalla carrozzella di mamme o di governanti distratte. Come può una persona strutturare un sé, ed in particolare la dimensione sociale del sé, vivendo in luoghi ed in rapporti sociali senza tempo e senza storia, senza passato e senza futuro? … queste persone disabili sembrano rapportarsi con il mondo con una modalità relazionale costantemente recitativa all’insegna del “sono come tu mi vuoi”. … piccoli “yes men” che si confondono con i loro operatori e con i loro genitori che si sono auto-incaricati di interpretarne i bisogni, di sostituirli nelle scelte e di deciderne la vita. …l’incastro degli status condanna il nostro giovane ad una situazione relazionale che ha le caratteristiche dell’asimmetria e dell’immutabilità. … questo ci fa finalmente comprendere con chiarezza perché gli handicappati del centro diurno si presentano per nome e ci baciano, mentre gli operatori ci stringono la mano e si presentano per cognome”91 . Questo brano mi ha sempre colpito perché si intravede come enti e operatori sociali possono essere artefici di criticità e problematiche che impediscono e rendono vano il cammino di crescita della persona disabile. Nella mia esperienza lavorativa mi sono trovato di fronte a professionisti del sociale che da anni operavano nel settore e si trovavano a condividere con un singolo utente anche quindici anni di cammino assieme. Molto spesso si dicevano frustranti del lavoro con l’utenza, perché non vedevano progressi, né sviluppo delle capacità e abilità della persona, ma anzi riscontravano nel tempo un declino e involuzione. Con questo stato d’animo l’operatore difficilmente riesce ad “aiutare la persona a realizzarsi, guidarla alla personale riflessione e responsabilità, alla specifica visione del mondo in ogni momento della sua vita e in ogni situazione esistenziale”92 . In quei momenti per la persona disabile viene meno la possibilità di definirsi nei confronti di se e del mondo. Il percorso educativo che la persona disabile, intraprende accanto agli operatori sociali, dovrebbe configurarsi come “processo 91 E. Montobbio, Il viaggio del signor down nel mondo dei grandi, Edizioni del cerro, Pisa, 1994, pag. 21 92 R. Caldin, introduzione alla pedagogia speciale, op. cit., p. 99
  • 50. 49 formativo per il quale l’uomo si costituisce nel tempo in una costante tensione che dal presente lo proietta nel futuro, che da ciò che è già dato lo stimola verso ciò che non è o che non è ancora”93 . Nelle discussioni con alcuni educatori, operatori e professionisti vicino all’orlo del born-out, quando proponevo alcuni contenuti e stimoli appresi durante le varie esperienze formative universitarie, le obiezioni che mi venivano mosse erano che la teoria è troppo lontana dalla realtà di tutti i giorni. Le critiche proposte mi hanno permesso di cambiare e convalidare alcuni apporti teorici, interiorizzandoli di più, trovano nel quotidiano le buone prassi e i contenuti appresi dai testi universitari trasformati in pratica, constatando che diversi operatori implicitamente proponevano una certa modalità operativa e si riferivano ad alcune teorie, manca molte volte il passaggio di esprimere le proprie modalità e metodologie, dando visibilità e diventando stimolo per dei confronti in equipe. Solo in questo modo si può riuscire a trovare quel giusto compromesso dove un sapere pratico si incontra con un sapere teorico, permettendo di trovare e progettare degli strumenti efficaci per la propria realtà lavorativa. “Non è possibile scindere il livello teorico da quello pratico: la ricerca, infatti, si muove in una duplice direzione, che arricchisce la teoria educativa come sapere della pratica e integra la pratica come teoria in atto, anche implicita o inconsapevole: Per questo il bagaglio pedagogico teorico appare spesso inadeguato a spiegare accadimenti, fatti, morali ed educativi e richiede un continuo aggiustamento, una ricostruzione più adeguata alla comprensione della stessa ambiguità insita nei problemi”94. 93 ibidem, p. 102 94 O. Cian D., Metodologia della ricerca pedagogica, La scuola, Brescia, 1997, p. 18
  • 51. 50 Gli strumenti teorici usati nella pratica La metodologia educativa che da tempo adotta la Cooperativa Sociale Filo Continuo nel mondo della disabilità adulta, prende in considerazione la persona e il soggetto dell’educazione come unico e irripetibile, dove attraverso gli strumenti pedagogici si vuole riuscire ad aiutare l’altro nel superamento delle sue resistenze. Lo strumento più importante utilizzato nella cooperativa è il progetto educativo personalizzato, ha mantenuto la dicitura Progetto Educativo Personalizzato (P.e.p.) per conservare l’attenzione e la tensione verso la persona e non all’individuo, presente dal 1988 nei diversi servizi, in questi anni si è adattato alle diverse necessità per essere uno strumento agevole e condiviso tra i diversi professionisti e persone che si trovano ad utilizzarlo o consultarlo. Il P.e.p. viene sviluppato annualmente per ogni singolo utente inserito in cooperativa ed è richiesto dall’ulss 22, quale documento necessario per il rinnovo della convenzione. Dal progetto si desumono le finalità, gli obiettivi e la programmazione educativa che si metterà in pratica con l’utente, quale riferimento per le diverse azioni che si andranno a compiere. “Dalla centralità del soggetto, dalla sua storia psico-fisico- socio- culturale, dai processi attraverso i quali egli percepisce, fa proprie, investe o svuota di senso le sue condizioni di esistenza, si diparte il progetto pedagogico”95. Perché all’interno di un progetto educativo si contemplino delle azioni, che abbiano valenza educativa e formativa per la persona, si necessità di un lavoro di condivisione e dialogo tra i professionisti e le persone che seguono il disabile sul progetto di vita messo in essere, sulla possibilità di valutare l’efficacia e l’efficienza di quanto intrapreso. Attraverso il progetto educativo si definisce una programmazione che faciliti la persona nell’acquisizione di apprendimenti nuovi attraverso un cammino esperienziale nelle diverse proposte formative strutturare. 95 Contini M., Possibilità, progettualità, impegno, nis, Roma, 1991, pp. 258-263
  • 52. 51 Si incentiva il cambiamento nella persona e il mantenimento di comportamenti che permettono una corretta valorizzazione della dignità della persona. Si cerca di creare un dialogo con l’altro per stimolare la presa coscienza di sè e la propria qualità della vita, per arrivare ad una propria autodeterminazione. “apprendimenti nuovi, (…) svolte esistenziali, (…) disapprendimenti, (…) rielaborazioni personali a livello auto-riflessivo e introspettivo, condiviso con altri e oggetto di dialoghi interiori. Se l’incontro con l’educatore (professionale o naturale) non incide in termini di variazione, incrementi, potenziamenti e perfezionamenti utili affinché un individuo- indipendentemente dall’età o dalla sua maggiore o minore normalità – possa sperimentare almeno una delle quattro vie ricordate, non è possibile che un fato educativo si dia”96 . Risulta importante l’azione, ma soprattutto la relazione educativa in quanto “intenzionale, attuata di proposito, con intenzione: punta al raggiungimento di uno scopo; è ponderata voluta, preparata non casuale. La relazione educativa è sistematica, procede con metodo, cioè si da un modo di procedere; non è improvvisata, ma organizzata con efficienza (il rapporto migliore tra le risorse disponibili e le finalità) e con efficacia (tendente ad ottenere il risultato ottimale) La relazione educativa vuole aggiungere nell’instaurare un rapporto la conferma dell’altro”97 . Il progetto educativo personalizzato come strumento utilizzato nella realtà del c.e.o.d. e nel lavoro educativo, mi ha permesso di trovare degli spazi per riflettere, in un contesto di lavoro dove si opera sempre in “prima linea”, dove l’emergenza ti propone un ritmo in cui la dimensione del fare diventa prioritaria e a volte si rischia di non ponderare il proprio operato. Dovendo presentare all’ente pubblico come c.e.o.d. ogni anno i progetti educativi per mantenere il rapporto di convenzione, era 96 D. Demetrio, Educazione o effetto placebo?, Animazione sociale, n. 12, Gruppo Abele, Torino, 2000 97 Vittorio Mariani, Piano educativo e riabilitativo individualizzato per il disabile adulto, Del Cerro, Pisa, 1998, p. 12
  • 53. 52 d’obbligo trovare il tempo per attivare il processo per arrivare alla produzione del documento. La definizione del progetto educativo personalizzato come strumento, viene imposta anche dalla legge regionale sull’accreditamento98 , dove si richiede all’ente gestore di servizi per persone disabili di possedere un sistema di gestione e documentazione della qualità, avendo una personalizzazione degli interventi e una “Definizione di un progetto educativo individualizzato (PP): Deve essere definito e documentato un progetto personalizzato sulla base: - delle caratteristiche dell'utente, dei suoi bisogni e del suo contesto familiare e sociale - dei risultati che si vogliono ottenere - della capacità di risposta dell'ente in termini organizzativi interni e di eventuale integrazione e ricorso ai servizi della rete. Il progetto personalizzato deve comprendere: 1. la valutazione multidimensionale dell'utente 2. l’individuazione degli obiettivi specifici d’intervento 3. l’individuazione dell’operatore responsabile del PP 4. l’informazione e il coinvolgimento dell’utente e/o dei suoi familiari nella definizione del PP 5. la formalizzazione del PP, con la descrizione delle attività specifiche, dei tempi indicativi di realizzazione, la frequenza e la titolarità degli interventi 6. la realizzazione di attività di verifica sul PP (procedure, tempi e strumenti) Deve essere definito e adottato un sistema di valutazione dei risultati (valido e attendibile) sul singolo utente, i dati in output da tale sistema devono essere utilizzati per ridefinire il PP. L’organizzazione della giornata e delle attività deve tenere in considerazioni le esigenze e i ritmi di vita di ciascun ospite (es. 98 L. R. n. 22 del 16/08/02, nella definizione degli Standard relativi ai requisiti di autorizzazione all’esercizio e accreditamento istituzionale dei servizi sociali della Regione Veneto
  • 54. 53 possibilità di riposo, possibilità di avere dei momenti individuali, possibilità alla partecipazione alle attività organizzate, ecc.)”99 . Con decreto del presidente della repubblica, in quanto "Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap" si ribadisce che “Il Piano educativo individualizzato (indicato in seguito con il termine P.E.I.), è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l'alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione”100 . Il progetto educativo personalizzato nella cooperativa veniva redatto dai coordinatori dei servizi, ma in un ottica interdisciplinare e scaturiva da un confronto fra i diversi professionisti che a diverso titoli si occupavano del benessere e qualità di vita della persona inserita nel servizio. Il progetto ha una durata annuale e ogni sei mesi avviene una verifica e ri-progettazione, si presenta come il risultato del dialogo tra le persone che “hanno cura”101 della persona e con il protagonista dell’intervento educativo che è l’utente stesso. 99 L.R. n. 22 del 16 agosto 2002, “Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie”. https://www.arssveneto.it/html_pages/documents/att_accreditamento_allegatob.pdf 100 Decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994, pubblicato la prima volta nella G.U 6 aprile 1994, n. 79, il D.P.R. è stato ripubblicato, dopo la registrazione alla Corte dei conti, sulla G.U. 15 aprile 1994, n. 87 101 R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova, 2001, p. 85
  • 55. 54 Un esempio102 : Alberto, 28 anni, viene segnalato alla cooperativa dall’assistente sociale, è una persona con sindrome di down, alla quale sono mancati in poco tempo entrambi i genitori, il fratello segnala l’impossibilità per lui di poterlo seguire durante il giorno. L’assistente sociale, la psicologa dei servizi sociali e lo psichiatra del distretto si trovano con l’educatore coordinatore del centro per definire gli obiettivi da porsi per il benessere della persona inserita. L’educatore dopo un periodo di osservazione su Alberto, si confronta con la sua equipe formata da personale con qualifica di operatori specializzati e un psicomotricista. Ne scaturisce una prima proposta delle finalità a cui tendere per l’azione educativa. L’educatore redige il progetto educativo e lo sottopone per validarlo ed eventualmente modificarlo all’assistente sociale, alla consulente psicologa e allo psichiatra, nel momento in cui si è raggiunto l’accordo e la condivisione degli obiettivi, il progetto viene presentato al fratello di Alberto con il quale si dichiara i propri intenti e si condivide con lui quelle che sono le sue necessità e prospettive sul futuro del suo famigliare. Si presenta poi con tutte le figure che partecipano alla definizione degli obiettivi il progetto a Alberto per avere da parte sua il suo consenso e dare la possibilità di fare presente quelle che sono le sue intenzioni nel suo personale percorso di crescita. Ci si congeda con la firma da parte di tutti sul progetto e con l’appuntamento per l’anno prossimo per ridefinirlo. In questo modo Alberto e il suo famigliare vengono messi al corrente delle attività programmare durante l’anno al centro ed essere partecipi del cammino di sviluppo predisposto. Dopo un anno alla scadenza del progetto educativo personalizzato vengono valutati i risultati raggiunti e ridefiniti gli obiettivi per l’anno successivo. 102 Nell’esempio si usano dati di fantasia e non riconducibili a dati reali