Introduzione
MicheleVianello si autodefinisce – in sintesi – un Consulente e un
Digital Evangelist.
Cosa significa? Che assiste nei processi di digitalizzazione le Imprese,
le Associazioni imprenditoriali, le Pubbliche Amministrazioni e gli
Ordini Professionali.
È anche uno strategist digitale, ovvero indirizza e forma i suoi clienti
nell’ideazione e nella realizzazione di strategie digitali per competere
negli attuali ecosistemi mediali e avere successo nell’era di Internet.
Cavalca dunque l'onda dell'attualità su temi cruciali non solo per gli
addetti ai lavori, ma per la collettività nel suo insieme.
E, proprio a partire dalla sua esperienza con le Pubbliche
Amministrazioni nell’adeguare le proprie strutture alla trasparenza e
alle modifiche introdotte dalla più recente legislazione, ha accettato
(buon per noi :-) di scrivere alcuni contributi sul tema per il Blog
6MEMES.
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Ne è uscito un punto di vista più che mai attuale, capace non solo di
fotografare l'esistente, ma anche di dare spunti, suggerimenti e
incitazioni. E lo diciamo non a caso, vista la sua eccezionale attitudine
alla fotografia dimostrata dalle bellissime immagini che troviamo sui
suoi profili social.
Del resto, studi recenti hanno definito i suoi libri sulle smart cities, i
suoi scritti e il suo accountTwitter @michelevianello come “i cluster
tematici più virali” in Italia sull’innovazione urbana.
Di cosa ha parlato, dunque,Vianello, sul nostro blog? Di temi cruciali,
dallo sviluppo di modelli per estendere l’alfabetizzazione digitale nei
territori e nelle imprese alla Partecipazione, dalla trasparenza nella
Pubblica Amministrazione al governo della complessità.
Ne è uscito unWhite Paper che condividiamo con i nostri lettori,
denso di contenuti e piacevole da scorrere.
A voi, lettori di #6MEMES, il giudizio finale!
MicheleVianello
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Indice
Introduzione
Indice
01. Il Codice dell’Amministrazione Digitale sancisce un
diritto fondamentale per il cittadino.
02. La città della trasparenza: il diritto a partecipare alla vita
della Pubblica Amministrazione
03. Rivoluzione digitale: ci aiuta a risolvere problemi
complessi, ma non le complessità dell’epoca moderna.
About
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'01
Il Codice dell’Amministrazione
Digitale sancisce un diritto
fondamentale per il cittadino
Quando un qualsiasi ente pubblico – un
Comune in particolare – si pone il problema di
applicare le norme previste dal Codice
dell’Amministrazione Digitale, deve prima di tutto
predisporsi a concepire la propria
riorganizzazione.
Software, digitale, informatici preposti all’attività:
tutto ciò va considerato dopo. Contrariamente a
quanto comunemente si pensa, infatti, gli Enti Pubblici
sono già abbondantemente digitalizzati. Forse anche
troppo.
La realtà è che in questi anni tutte le contraddizioni
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e le storture burocratiche che angustiano il mondo
pubblico italiano sono state codificate dai sistemi
informativi. Per utilizzare un esempio che uso di
frequente, possiamo dire che in questi anni si è
digitalizzato l’esistente.
Avete presente la storiella – tanto vera quanto
esemplare – secondo la quale assieme ad una mail si
inoltra anche un fax? Ecco: questo è il tipico esempio di
“digitalizzazione dell’esistente”.
Per carità: fenomeni come quello descritto si
verificano anche nel privato, che non è certo scevro da
esempi di cattiva digitalizzazione. Ma gli assetti
organizzativi di tali attività, normalmente, sono molto
meno codificati e burocratizzati di quelli della Pubblica
Amministrazione. Di conseguenza, gli effetti di
ridondanza sono meno impattanti.
Affermiamo ora un principio: il Codice
dell’Amministrazione Digitale non è un
complesso di norme relative al digitale
all’informatica. Il Codice dell’Amministrazione
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Digitale è invece una legge sui procedimenti, che
stabilisce come ci si organizza, come si lavora e come ci
si relaziona con i cittadini nella Pubblica
Amministrazione.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale è
dunque e soprattutto una legge che sancisce un
diritto fondamentale per il cittadino: quello di
poter utilizzare le piattaforme digitali nelle relazioni con
la Pubblica Amministrazione.
Badate bene: quello che è un diritto per il cittadino
è un vero e proprio obbligo per la Pubblica
Amministrazione. Un diritto che pone fine ad ogni
forma di auto-referenzialità della Pubblica
Amministrazione nella sua forma organizzativa e
gestionale.
La PA, sino ad ora, ha spesso improntato il proprio
modello organizzativo senza pensare alla qualità e alla
forma del servizio erogato, seguendo inoltre un
principio base della produzione dei propri atti, dati e
notizie: quello improntato al principio della
riservatezza.
La nuova produzione normativa invece – a
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partire dall’introduzione del FOIA (Freedom of
Information Act) – considera la trasparenza come
il principio base su cui si fonda il rapporto tra i
cittadini e l’Amministrazione pubblica, e stabilisce
la necessità di riservatezza solo come una eccezione.
Si tratta di un cambio di paradigma non da poco, e
per questo il tema della trasparenza sarà l’oggetto di
una prossima analisi..
Quello che mi preme sottolineare ora è che tutta la
produzione normativa in materia organizzativa e
gestionale è stata sino ad oggi sostanzialmente
improntata sulla priorità del procedimento e del
rispetto della norma.
Tradotto in un linguaggio informatico,
possiamo dire che:
✔ le architetture dei software sono state pensate
come verticali,
✔ le banche dati sono state concepite per essere
consultate all’interno e non per essere condivise.
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Interoperabilità e aggiunta di valore dei
dati digitalizzati
In sintesi, i software gestionali (ad esempio della
scuola, del bilancio, dei lavori pubblici, dell’edilizia etc.)
non sono stati concepiti per dialogare tra di loro.Anzi:
la verticalità di ogni procedimento è stata “pietrificata”
e codificata in un software.
Discorso analogo vale per le banche dati. I dati
non si metticciano tra di loro, non si ibridano –
generando così informazioni di valore – ma sono
semplicemente raccolti e custoditi in silos
verticali non interoperabili.
La nuova legislazione, invece – soprattutto il nuovo
CAD, DL 217 dicembre 2017 – nel sancire il diritto del
cittadino all’utilizzo del digitale in nome della cosiddetta
cittadinanza digitale, afferma che i servizi debbono
venire offerti attraverso processi di dialogo tra ambienti
diversi, in larga parte residenti su piattaforme web.
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Aiutiamoci con un esempio.
Quando acquistiamo un bene su Amazon ci
“logghiamo” ed entriamo in un ambiente orizzontale
dove tra la fase di scelta del prodotto, il suo pagamento
e la sua tracciabilità non esiste alcuna discontinuità.
Non importa come è organizzato il back office di
Amazon, non importa la verticalità dei suoi settori:
parlano tutti tra di loro. E, ai nostri occhi,Amazon è un
unicum.
La nuova legislazione chiede alla Pubblica
Amministrazione di fare esattamente questo
salto organizzativo e culturale. Ne deriva che i
software dovranno adeguarsi di conseguenza. E questo
non vale soltanto per ogni singolo ente: le banche dati
delle diverse Pubbliche Amministrazioni devono tutte
dialogare tra di loro.
La stessa cosa vale anche per i soggetti che erogano
i servizi pubblici (acqua, rifiuti, trasporto pubblico
locale), anche se sono organismi privati.
La nuova parola d’ordine è interoperabilità:
dei formati, delle banche dati, dei software.
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Lo SPID, ovvero il sistema unico di identificazione
del cittadino, si basa esattamente su questo principio.
Che un utente si logghi al sito del proprio Comune,
dell’INPS, deiVigili del Fuoco e via così, la user e la
password dovranno essere le stesse.
Un discorso analogo vale anche per le piattaforme
di pagamento.
La P.A. è pronta a questo salto
culturale e operativo?
Il processo è in corso, senza dubbio. Sarà un
percorso difficile e non privo di ostacoli, ma la
strada è ormai tracciata.
È già un nostro diritto, dal 1 gennaio del 2018,
loggarci al sito del nostro Comune (in ambiente web),
trovare un form di iscrizione all’asilo nido (in ambiente
web), inviarlo all’ufficio scuola (in ambiente gestionale
interno) e, se accolta la domanda, pagare, di nuovo in
ambiente web.
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Non importa come è organizzato il Comune e quali
software gestionali ha acquistato: tutto questo a noi
non deve interessare… Non importa dove siamo né
che ora è. Ciò che ci deve interessare è poter
esercitare il nostro diritto a fruire di servizi
interamente on line.
È facile da intuire come la realizzazione di quanto
previsto dalla legge comporterà – nel tempo – evidenti
risparmi per la Pubblica Amministrazione e un miglior
servizio per il cittadino.
Prevengo a questo punto una domanda: le
Pubbliche Amministrazioni sono pronte a
realizzare quanto previsto dalla legge? In verità il
processo si sta cominciando a prefigurare, pur tra mille
difficoltà, in molte Amministrazioni.
Quando parlo di Pubbliche Amministrazioni non
parlo infatti solo dei Comuni, ma penso alla galassia
sterminata del pubblico. Per fare un esempio, le banche
dati dell’INPS e quelle dell’Agenzia delle Entrate non
sono sempre perfettamente allineate.
Nel caso di una istanza avanzata da un cittadino, che
preveda il parere di più Pubbliche Amministrazioni,
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attualmente non esiste – generalmente – una forma di
interoperabilità tra i diversi software gestionali.
Le Pubbliche Amministrazioni comunicano
tra di loro utilizzando la PEC. L’utilizzo del fax e
dei supporti cartacei è vietato, e tuttavia qualche
Amministrazione lo utilizza ancora.
La rivoluzione è dunque codificata dalla Legge e
molte Amministrazioni stanno provvedendo ad
adeguarsi, ma c’è ancora molto da lavorare. Un
tassello decisivo per realizzare questa rivoluzione
prevista in primo luogo dalla Legge è innanzitutto
l’esercizio del diritto proprio da parte di noi cittadini.
Il pallino sta solo nelle nostre mani.Andiamo
in un Ente Pubblico e cominciamo a chiedere di
comunicare esclusivamente utilizzando una mail.
Rechiamoci in Comune e chiediamo come poter
partecipare al procedimento che ci riguarda accedendo
via web al fascicolo che, come previsto dalla legge, non
può che avere un formato digitale.
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'02
La città della trasparenza:
il diritto a partecipare alla vita
della Pubblica Amministrazione
Nel precedente capitolo ho argomentato su come
una forte e incisiva riforma della Pubblica
Amministrazione possa avvenire a condizione
che i cittadini siano consapevoli della possibilità
di esercizio di una serie di diritti che la nuova
legislazione, CAD (Codice dell’amministrazione
digitale) e FOIA (Freedom of Information Act) in
primis, mette a loro disposizione.
La legislazione più recente, infatti, si limita – ed è un
eufemismo, ovviamente – a sancire i diritti per il
cittadino, affidando poi all’AgID (Agenzia per l’Italia
Digitale) o all’ANAC (Autorità Nazionale
Anticorruzione) il compito di indicare le forme
regolamentari che rendono esercitabili tali diritti.
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Viene così sancito, per il cittadino, il diritto di
partecipare a ogni procedimento che lo
riguarda attraverso strumenti digitali, con
l’attestazione ad esempio del diritto di avere una
propria e univoca identità digitale, di poter eleggere un
domicilio digitale, di effettuare i pagamenti alla P.A.
attraverso strumenti digitali e così via.
SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e
PAGO PA (il sistema nazionale per i pagamenti a
favore della Pubblica Amministrazione) sono due
esempi specifici attraverso i quali il cittadino esercita
propri diritti.
A ogni diritto, infatti, deve corrispondere un
servizio di cui usufruire attraverso specifiche
piattaforme web e grazie a una “buona digitalizzazione”
dell’Ente interessato.
Tutto ciò premesso, tuttavia, fino a quando
l’AgID non varerà le norme e i regolamenti
applicativi, queste innovazioni rimarranno
teoria anziché divenire pratica, e tali aspettative
resteranno, in larga parte, inespresse.
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Di più ancora: non essendo a tutt'oggi il cittadino a
conoscenza dei propri nuovi diritti, non li eserciterà,
ritardando così a sua volta – e suo malgrado – il
processo di innovazione della Pubblica
Amministrazione.
D’altronde, al di là delle previsioni legislative, la
velocità dei processi di cambiamento si basa sui
principi della domanda e dell’offerta, e
accelerarne il processo non è semplice.
Quanto più i cittadini (ovvero la domanda)
chiederanno di fruire dei servizi utilizzando strumenti
digitali, tanto più la Pubblica Amministrazione (ovvero
l’offerta) sarà tenuta ad adeguarsi.
Questo vale anche per la legislazione in
materia di trasparenza.
Mi riferisco in larga parte a ciò che è previsto –
ormai da tempo – dal D.Lgs. n. 33 del 2013.
A causa della storia recente del nostro Paese, infatti,
il principio di trasparenza, sul piano normativo, è legato
indissolubilmente alla lotta alla corruzione.
Non è un caso che ogni anno le Pubbliche
Amministrazioni debbano varare un unico
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Piano sia per le azioni anticorruzione che per la
trasparenza.
Così non dovrebbe essere, perché la trasparenza
costituisce in sé il valore fondante su cui si consolida
l’attività della Pubblica Amministrazione.
I modelli organizzativi, ad esempio, dovrebbero
essere pensati, realizzati, finalizzati e traguardati alla
trasparenza sia nell’azione amministrativa che
nell’accesso alla produzione di dati, atti, documenti etc.
di una P.A..
Alcuni esempi concreti: un sito Istituzionale
costruito “correttamente” è una condizione sine
qua non per esercitare il diritto all’accesso e alla
trasparenza.
Allo stesso modo, un ciclo documentale
interamente digitalizzato è la condizione
ottimale sia per reperire le relative informazioni che
per poterne fruire.
Anche in questi casi, è utile ricordarlo, il cittadino –
così come le imprese, i professionisti e le
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organizzazioni in genere – potranno esercitare un
ruolo decisivo.
Cittadini consapevoli e informati
È opportuno, a questo punto, ricordare a tutti noi
quanto previsto all’art. 1 (comma 1) del D.Lgs. n.
33/2013:
“La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei
dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni,
allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la
partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e
favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle
funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.”
Ancora, all’art 3 (comma 1), la legge recita:
“Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di
accesso civico, ivi compresi quelli oggetto di pubblicazione
obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici
e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente,
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e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7”.
Come si capisce, anche in questo caso, il
legislatore ha messo nelle mani dei cittadini
importanti opportunità.
I dati e i documenti detenuti dalla P.A. sono resi
accessibili al cittadino nella loro totalità (con un unico
limite posto negli “interessi giuridicamente tutelabili”,
come ad esempio vale per i dati sensibili, giudiziari, a
tutela della proprietà intellettuale ecc.), affinché
quest’ultimo possa partecipare in maniera
“consapevole” e “informata” alla vita pubblica.
Il cittadino, con tali informazioni, sarà infatti
messo in condizioni di vigilare sulle finalità di
una P.A. a partire da conoscenze reali e
dettagliate.
A tutto questo si deve aggiungere l’obbligo per una
P.A. di mettere a disposizione della collettività anche
per fini commerciali (Art. 1, comma ter del CAD) dati
e documenti per poter essere trasformati e riutilizzati.
L’articolo 6, inoltre, verte sulla “Qualità delle
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informazioni”, riportando che
“Le pubbliche amministrazioni garantiscono la
qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel
rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge,
assicurandone l’integrità, il costante aggiornamento, la
completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione,
la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità,
nonché la conformità ai documenti originali in possesso
dell’amministrazione, l’indicazione della loro provenienza e
la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall’articolo 7.”
A questo punto la sfida è davvero rilevante,
perché può cambiare il rapporto stesso tra la
Pubblica Amministrazione e il cittadino.
Se la P.A. deve essere trasparente come regola
generale, e inoltre ha l’obbligo dimettere a
disposizione dati e documenti, il cittadino, dal canto
suo, ha il dovere (e la convenienza) di partecipare alla
vita pubblica in modo informato riutilizzando a sua
volta, anche per fini commerciali, tali dati e documenti,
partecipando così alla loro ulteriore valorizzazione.
21
Conoscenza diffusa per esercitare
meglio i diritti di cittadinanza attiva
Se potessi utilizzare una definizione “importante”,
direi che il D.Lgs. n. 33 crea le condizioni per
l’esercizio di una cittadinanza attiva.
Quello che non deve sfuggirci, infatti, è che
l’ambito applicativo di queste disposizioni non
riguarda solo la P.A. in quanto tale, ma anche
tutto il mondo di chi gestisce servizi pubblici,
compresi i soggetti imprenditoriali di diritto privato.
Ma anche il mondo dei servizi pubblici locali e della
sanità è pienamente interessato da queste disposizioni,
e dunque la gestione dell’acqua, della salute, dell’aria,
dei rifiuti e del trasporto pubblico locale sono servizi
anch’essi soggetti a obblighi di trasparenza nei
confronti del cittadino.
Ne deriva che il perimetro delle conoscenze
potenzialmente a disposizione dei cittadini e
delle imprese, così come il confine dell’esercizio del
controllo e della partecipazione in questi stessi ambiti,
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si possono estendere di gran lunga.
Anzi: se ci pensiamo bene, a questo punto, è l’intero
ambito urbano a poter essere indagato e
“partecipato”.
Potremmo ad esempio avvalerci di tali diritti
– nel caso venissero esercitati dai cittadini in modo
organizzato – non solo individualmente, ma
anche attraverso corpi intermedi, cambiando così
le basi della convivenza e dell’esercizio della
partecipazione democratica anche in ambito urbano.
Grazie a queste normative – di fatto – la stessa idea
di smart city potrebbe essere rivista e resa
maggiormente attuale. Si potrebbe ad esempio passare
dall’idea di smartness (basata sull’uso intensivo delle
tecnologie digitali) alla rivisitazione del concetto di
egovernment (non più ridotto alla diffusione dell’uso di
servizi on line).
I principi di partecipazione e inclusione
avrebbero basi più solide in quanto fondati su
conoscenze reali; lo stesso varrebbe per la tutela
dell’ambiente e così via.
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Eppure, la partecipazione fondata sulla
conoscenza e il civismo consapevole non paiono
essere “di moda”, tanto che a volte penso che
queste mie riflessioni si riducano a mera utopia.
Il digitale sembra essere diventato una ideologia e i
social network un’arena dove disputare al di fuori della
conoscenza dei fatti (e spesso contro la stessa) in
maniera meramente ideologica, così che il mondo della
condivisione digitale sembra essere diventato lo
scenario privilegiato di una disputa tra “tribù
confliggenti”.
In questo contesto è ovvio che le Pubbliche
Amministrazioni che non vogliono innovare possono
arroccarsi agevolmente sull’esistente e difendere gli
“antichi mondi”.
E tuttavia, una volta tanto, il quadro normativo e di
principio sono chiari, e quella della trasparenza è una
opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire.
È di fatto iniziata – e di questo sono convinto –
una lunga traversata in “terrae incognite”.
L’esito non sarà certo, ma questa è un’altra
battaglia che vale la pena di combattere.
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'03
Rivoluzione digitale:
ci aiuta a risolvere problemi
complessi, ma non le complessità
dell’epoca moderna.
Tutto ciò che attiene all’innovazione digitale
è profondamente intriso di complessità.
Le piattaforme digitali, i device digitali, pervadono in
modo orizzontale ogni ambito della nostra vita nel
suo divenire. Proprio per questo le piattaforme digitali
si imbevono delle contraddizioni che tutti noi
produciamo nel nostro modo di vivere.
Anzi, le diverse piattaforme diffondono e
divulgano le nostre complessità.
Un algoritmo facilita molte nostre attività nei
svariati campi della vita, ma un algoritmo non risolve i
problemi.
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Le diverse forme di intelligenza artificiale possono
facilitare e ottimizzare la predittività, ma esse sono
alimentate dagli impulsi dei cervelli di milioni di
persone. Gli algoritmi sono scritti da esseri umani,
secondo indirizzi umani; le diverse risposte sono
“commissionate” da altri esseri umani secondo le loro
necessità.
Ecco perché le piattaforme e i device digitali ci
possono aiutare a risolvere “problemi complessi”, ma
non risolvono le diverse complessità dell’epoca
moderna. Facciamo alcuni esempi:
1) Le piattaforme digitali maggiormente
utilizzate dall’umanità in modo pervasivo
(grazie alla diffusione dei cellulari e dei tablet) sono i
social network.
Anzi, un’infinita quantità di persone è convinta che
il digitale e internet siano i social network, o, ancora
meglio, sono convinti che il digitale sia Facebook. Non
sto scherzando, purtroppo.
Per molto tempo siamo stati tutti certi che i social
network fossero uno strumento che, in modo
incomprimibile, avrebbero aiutato il diffondersi della
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democrazia nel mondo.
Abbiamo sostenuto che le “primavere arabe” (e
movimenti similari in tutto il mondo) avessero trovato
in Twitter e in Facebook lo strumento per diffondere
il messaggio di libertà e di democrazia.
Questa convinzione aveva un suo fondamento.
Ovviamente, come ha poi dimostrato la storia, dopo
la caduta dei regimi più o meno totalitari, purtroppo
non si è affermata una nuova stagione di democrazia.
Oggi, anzi, le piattaforme di social
networking sono spesso lo strumento
principale di disinformazione di massa, che
consente di minare le fondamenta del processo
democratico.
Ancora una volta ciò che fa la differenza è il genere
umano. È un essere umano a diffondere le fake
news, è un essere umano che è sollecitato nei
peggiori istinti alimentando ogni forma di
insicurezza.
Soprattutto, è un essere umano a concepire
l’algoritmo che decide chi è la tua cerchia di “amici”,
cosa condividi e con chi.
Sono le modalità espressive del social networking
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che uccidono il pensiero complesso, l’argomentare, la
visione strategica. Il messaggio “di successo”sui
social network esalta la risposta immediata, lo
slogan. Insomma, distrugge la complessità.
Il mondo moderno ha bisogno di
ragionamenti complessi, il messaggio veicolato
dai social impedisce il dispiegarsi della cultura.
Non è un caso che le piattaforme di social
networking siano lo strumento principale attraverso il
quale è messa in discussione l’autorevolezza della
scienza e degli scienziati. Il caso vaccini è la
dimostrazione palese di tutto ciò.
2) Le piattaforme digitali, i robot, i diversi
device digitali stanno impattando sempre di
più sul mondo della produzione. Ormai da tempo,
di parla di industria 4.0, di stampanti 3D, di weareable
technologies, di intelligenza artificiale.
Ovviamente queste modalità di produzione e di
riorganizzazione della produzione e della distribuzione
dei beni (logistica, ma anche punti di vendita) ha
innumerevoli aspetti positivi sotto il versante
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dell’aumento della produttività per le imprese.
La Pubblica Amministrazione italiana, ad
esempio, avrebbe un beneficio infinito dalla
diffusione di modelli organizzativi che, basati
sull’utilizzo del digitale, consentano maggiore
trasparenza per i cittadini e più efficienza nella
fruizione dei servizi.
Nessuno tuttavia si nasconde l’impatto importante
che le piattaforme digitali hanno sui livelli
occupazionali, soprattutto sulle figure professionali
facilmente sostituibili da un robot o dall’intelligenza
artificiale. Ciò vale per il lavoro dipendente in tutti i
comparti dell’industria e dei servizi, ma anche nel
mondo delle libere professioni.
Spesso a questa affermazione i “guru del digitale”
rispondono riesumando impropri paragoni con il
“luddismo”. Si dimenticano costoro che la diffusione
del digitale è avvenuta durante la peggiore crisi
economica degli ultimi decenni.
Talché gli incrementi di produttività dovuti alla
massiccia introduzione del digitale non si sono
29
tradotti in una distribuzione del reddito e
dell’occupazione.
La risposta – anche al luddismo – è il
rafforzamento delle politiche di inclusione e di
welfare. Il problema vero è che il welfare dell’epoca
digitale non è il welfare del mondo operaio del secolo
scorso.
Gli strumenti di welfare vanno interamente
ripensati in modo radicalmente diverso –una
sorta di discontinuità culturale- rispetto al passato.
Innanzitutto perché quello “state” che si accompagna
a “welfare” è sempre stato inteso come lo stato
nazionale, ma ciò non ha senso nell’epoca della
globalizzazione.
In secondo luogo nessuno può più chiedere un
aumento della pressione fiscale o un indebitamento
della Stato (nazionale ma non solo) in un mondo
globalizzato.Anche questa è una contraddizione di
quest’epoca complessa.
Il digitale genera infiniti benefici alla
produzione ma, in assenza di strumenti di
tangibile redistribuzione, contribuisce a creare
30
disoccupazione e malessere diffusi…
Venti anni fa, in modo ingenuo, c’era chi teorizzava
l’avvento delle nuove classi creative favorite anch’esse
dall’avvento del digitale. Oggi, sul piano politico,
vincono le forze che sono sostenute dagli esclusi dei
benefici del digitale o, peggio, da coloro che sono
colpiti dall’avvento del mondo digitale globalizzato.
3) Da tempo sostengo che la vera sfida sia
quella tra l’attuale modello proprietario
nell’uso dei dati generati dall’uso del digitale e
la riappropriazione e la valorizzazione della
conoscenza e del valore generati dall’uso del
digitale da parte di miliardi di persone.
Sono sempre di più convinto che il limite nella
diffusione delle piattaforme e dei device digitali stia
nel necessario coinvolgimento delle persone, del
genere umano.
Le piattaforme digitali hanno diffuso modelli
pervasivi ma “stupidi” (Facebook in primis), o modelli
basati sulla possibilità senza limiti di consumare
(Apple,Amazon), o modelli che si sono appropriati,
31
senza darci un ritorno adeguato, dei dati prodotti dalla
nostra attività (Google), o modelli produttivi che
stanno espellendo quote importanti di forza lavoro.
In ognuno di questi modelli ci sono aspetti
positivi per il genere umano ma, la sostanza sta
nella capacità di condividere la conoscenza. Più
apprendiamo grazie al digitale, più “consumeremo”
digitale.
Poiché il successo del digitale si basa sul
coinvolgimento delle persone (produttori
inconsapevoli di dati), sarà necessario ragionare sui
modi affinché consapevolmente anche i cittadini
possano fruire tangibilmente della ricchezza e dei
vantaggi generati dall’uso delle diverse piattaforme
digitali.
Mi viene sempre in mente la celebre scena finale di
Blade Runner nella quale un essere “non umano”
afferma “Ho visto cose ….”.
Non abbiamo riflettuto a sufficienza che
quelle cose “che voi umani non potete
immaginarvi” sono il frutto di una conoscenza
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non condivisa. Ciò che non è condiviso nel mondo
digitale ha scarso valore. Ecco perché un mondo
smart sarà solo quello governato da un modello
democratico di condivisione della conoscenza e del
sapere.
Il nostro obiettivo non è quindi quello di
eliminare la complessità, bensì quella di
governarla ricavandone sapere e conoscenza
condivisi.
Io e 6MEMES confidiamo, in questi articoli
raccolti in White Paper, di aver contribuito,
almeno in parte, a farlo.
MicheleVianello
33
About
MAPS GROUP
Dai Big Data ai Relevant Data, il gruppo sviluppa sistemi software che creano
conoscenza a supporto dei processi decisionali. I prodotti Maps Group
strutturano il patrimonio di informazioni di aziende private e Pubbliche
Amministrazioni in DataWarehouse, gestionali ed analitici, che si pongono come
strumenti di governance e di business.
MICHELEVIANELLO
Consulente e un Digital Evangelist, MicheleVianello assiste nei processi di
digitalizzazione le Imprese, le Associazioni imprenditoriali, le Pubbliche
Amministrazioni e gli Ordini Professionali.
Più in particolare, aiuta le PA nell’adeguare le proprie strutture organizzative, i
siti web, la cultura dei dipendenti alla trasparenza e alle modifiche introdotte
dalla Legislazione (in particolare Legge Madia), e sviluppa modelli per estendere
l’alfabetizzazione digitale nei territori e nelle imprese, perciò formo i digital
evangelist nelle Città e nelle aziende.
Dal settembre del 2016 collabora, per sviluppare la strategia digitale, con la
società RED srl, (tra gli altri partner scientifici e innovativi, Samsung, IBM,
Politecnico di Milano, HPE). Lo scopo della società (di diritto privato) è quello di
progettare e di realizzare una città “smart” a Segrate (MI).
Svolge infine attività di speaker sulle tematiche inerenti l’Information Technology,
elabora ed attua moduli formativi rivolti al personale delle imprese, delle
pubbliche amministrazioni, delle libere professioni utilizzando metodologie
ispirate al social networking, all’open innovation e alla gamification.
6MEMES
Quando si parla di Dati, l’attenzione si sposta su questioni numeriche o al limite
statistiche, ma sotto a quest’algida apparenza la realtà è un’altra. Il blog 6Memes,
dedicato all’opera Six Memos for the Next Millennium di Italo Calvino, vuole
mettere a nudo le potenzialità dei Dati, traducendoli nei linguaggi dell’Uomo:
Cultura, Natura, Economia,Arte e, perché no, Ironia.
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