45. R. Villano “Riflessioni e talune implicazioni sulle strutture dell’essere cristiano nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger” - Lavoro realizzato nell’ambito del Seminario teologico di Lettura (corrispondente a 3 crediti universitari CFU/ECTS) su “Strutture dell’essere cristiano” di Joseph Ratzinger tenutosi a Città del Vaticano, presso la Cattedra Teologia del Popolo di Dio della Pontificia Università Lateranense, Aula 310, dal 13 feb al 15 mag 2013 sotto la guida del Direttore Prof. Rev. Achim BUCKENMAIER (Allievo del Prof. Joseph Ratzinger, Docente di dogmatica, Direttore della Cattedra per la Teologia del Popolo di Dio presso l’Università Lateranense, Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e della Congregazione per la dottrina della Fede) e con la collaborazione del Prof. Rev. Ludwig WEIMER (Docente di dogmatica e Vice-Direttore della Cattedra; abilitato nel 1981 alla libera docenza in teologia dogmatica dal Prof. Joseph Ratzinger a Ratisbona) - Chiron, CDD 230 VIL rif 2013, LCC BX1746-1755, pp. 82, maggio 2013;
4. Indice
Presentazione
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Premessa
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1. Significato per Ratzinger del 1968 e 1989 - Punti che accentuerebbe
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oggi nella sua opera
2. Movimenti ecclesiali
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3. Analisi del singolo e del tutto
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4. Diritto della comunità all’Eucaristia
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5. Fede e futuro. Come si presenterà la Chiesa nel 2000. Teologia e
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futuro
6. Rilevanza della struttura del ‘per’ nella storia della salvezza
7. Il sacerdozio dell’uomo: un’offesa ai diritti della donna?
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8. Omelia di Benedetto XVI a conclusione dell’Anno sacerdotale
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9. Legge dell’incognito
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10. Delitti di pedofilia e conseguenze pastorali
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11. Lettera Pastorale di Benedetto XVI ai Cattolici dell’Irlanda
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12. Conoscenza di Dio nel pensiero di Pascal
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13. Ulteriori riflessioni sul Dio nascosto
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14. Legge della sovrabbondanza
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15. Connessioni tra il pensiero di Pesch e di Ratzinger
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Profilo sintetico dell’autore
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36
71
R. Villano - Riflessioni e talune implicazioni sulle strutture dell’essere cristiano
nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
5. “Deus est id quo maius cogitare nequit”
Sant’Anselmo d’Aosta
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nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
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6. 4. Diritto della comunità all’Eucaristia(1)
Dalla fine del Concilio nella Chiesa cattolica si è condotto con grande
passione una controversia intorno al ministero presbiterale riguardante,
prevalentemente, il tema del diritto della comunità all’Eucaristia. Tale nuova
concezione del problema lascia intravedere un progresso sia perché è
riconosciuto che le comunità sono incentrate sull’Eucaristia (e, dunque, il
concetto di Chiesa è riconsiderato dal suo centro vero e proprio che è
liturgico) sia perché in tal modo appare nuovamente insostituibile il ministero
presbiteriale (quale guida della comunità a partire proprio dal centro
eucaristico, e non viceversa).
Ciò, d’altro canto, evidenzia una criticità dei nuovi ‘ministeri sostitutivi’,
ovvero i nuovi servizi dei laici impegnati a tempo pieno.
Inoltre, vi è la tendenza a considerare il requisito del celibato universale del
sacerdote non come un bene necessario per la mediazione sacerdotale con la
comunità.
Progredendo nell’approfondimento del diritto della comunità
all’Eucaristia, tuttavia, emerge quanto ciò che appare intellegibile ed
evidente sia equivoco e dalle non ovvie implicazioni, tra l’altro diversificate.
J. Blank, ad esempio, partendo dall’esegesi del Nuovo Testamento, giunge a
sostenere che “la celebrazione dell’Eucaristia ha oggettivamente priorità sul
‘ministero’ (…) che non può assolutizzare se stesso e far dipendere dalla
propria permanenza la possibilità della celebrazione”. Egli, inoltre, definisce
l’Eucaristia quale “memoriale mediante una prassi analogica” sottolineando
che non si deve parlare di ‘transustanziazione’ bensì di ‘parole
d’interpretazione’, divenendo del tutto evidente una diversa concezione della
Chiesa e dell’Eucaristia.
Schillebeeckx, dal canto suo, effettua un tentativo più radicale per fondare la
tesi del diritto della comunità all’Eucaristia partendo dall’analisi non solo del
Nuovo Testamento ma anche dell’intera tradizione, collegandosi ad una critica
di principio della tradizione dogmatica del II millennio cristiano: egli scorge,
in effetti, un’opposizione fondamentale tra i due millenni, in quanto nel II con
l’idea del carattere sacramentale si sarebbe creata l’immagine ontologicosacerdotalizzante del presbitero. In opposizione a tale situazione egli aspira a
ridare vigore alla concezione non sacrale bensì sacramentale del ministero. Il
punto centrale di tale concetto non sacrale del sacramento consiste nella
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nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
7. considerazione dell’ordinazione letteralmente come ordinatio, ovvero di
ordinazione per porsi al servizio della comunità: domina, dunque, un rigoroso
carattere comunitario del ministero. Egli da teologo, inoltre, afferma che la
prassi che trae la sua ispirazione da Gesù come il Cristo è dogmaticamente e
apostolicamente possibile.
Ratzinger confuta evidenziando che il diritto della comunità all’Eucaristia,
definito poi in uno quale diritto della comunità ad avere un sacerdote tende
alla rivendicazione di un diritto e, nel contempo, a modificare i concetti di
Eucaristia e di sacerdote. “Quando l’Eucaristia è reclamata come diritto della
comunità, si deduce rapidamente che la comunità può fondamentalmente
darsela da sé, e che essa allora non ha bisogno di un sacerdozio, non
accordabile se non con la consacrazione nella successione apostolica, quindi
attingendo all’elemento ‘cattolico’, alla Chiesa universale e al suo potere
sacramentale(2)”.
Ratzinger, quindi, individuando un problema nel rapporto tra i concetti di
‘diritto’ e di ‘comunità’ ritiene necessario effettuarne un chiarimento. In
effetti, risulta messa in causa la struttura fondamentale della Chiesa, ovvero in
quale misura la cattolicità sia essenziale alla Chiesa dall’interno, nell’intimo
della sua vita. Il concetto decisivo è quello di comunità: nel Codice di Diritto
Canonico(3) si parla del diritto dei laici alla recezione dei beni spirituali e,
specialmente, ai soccorsi necessari per la salvezza. La Chiesa, dunque,
riconosce espressamente che i fedeli hanno diritto ai sacramenti, che le sono
stati dati per gli uomini: il Codice, tuttavia, parla non di diritto delle
comunità ma diritto dei laici, dunque del battezzato(4).
In secondo luogo esso lega all’ordinamento della Chiesa universale: essa è
posta in gioco ma, di contro, è messo in risalto l’individuo quando si tratta
della via della salvezza.
Le due differenze fra Codice e tesi moderna riconducono nuovamente alla
‘questione comunità’ che appare quale soggetto vero e proprio del diritto,
recando in sé anche il diritto di stabilire essa stessa il sacramento e il
ministero, rendendo necessari dei chiarimenti di concetti.
1. Il linguaggio del Concilio Vaticano II
La teologia cattolica fino al Concilio Vaticano II non conosce il concetto di
comunità. Ci si orienta intendendo in modo biblico la Chiesa e il termine
‘comunità’ è trattato come concetto protestante. Il Concilio stesso non
conosce il concetto di comunità; i tre gradi del concetto di Chiesa sono:
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nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
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8. Chiesa universale (ecclesia universalis), ovvero Chiesa cattolica
comprendente le diverse famiglie di riti; Chiesa locale (ecclesia localis), il
patriarcato o le specifiche comunità; Chiesa particolare (ecclesia particulalis),
comunità di fedeli riferiti a un vescovo, ovvero la diocesi.
Risulta notevole considerare che il livello inferiore è rappresentato dalla
Chiesa episcopale, oggi denominata diocesi. L’assemblea locale è collegata
con il contesto della successione apostolica e così con la Chiesa universale. Se
questa cattolicità intrinseca manca all’assemblea essa non è un’assemblea
‘legittima’, cioè non si attua come comunità eucaristica vera. La comunità
attorno all’altare, poi, è definibile comunione con il vescovo solo se essa
supera i limiti locali. Diversa è la situazione del Nuovo Testamento e dei
primi Padri, quando l’assemblea locale e la Chiesa episcopale si presentano in
larga misura identiche. Ciò che è costitutivo della Chiesa locale, della
comunità è in misura minore il luogo quale elemento geografico rispetto alla
comunione con il vescovo quale elemento teologico, a sua volta considerato
nel contesto della realtà della ‘successione apostolica’ di cui è garante.
2. Radici del concetto moderno di comunità
Nell’articolazione terminologica e teologica del concetto di Chiesa nel
linguaggio e nel pensiero del Concilio Vaticano II non vi è la creazione del
concetto né trattazione di ‘comunità’ nell’accezione intesa in questa sede; ciò
non significa che tale concetto sia in assoluto inaccettabile, anzi il silenzio del
Concilio pone segnali di rilievo essenziale per il nuovo discorso e bisogna
chiedersi quali siano le radici del concetto di comunità, dato che esso non
proviene dalla concezione cattolica, di quali siano i contenuti e di come possa
essere accolto.
La radice decisiva è rintracciabile nella riforma di Lutero che vedeva spesso
nella parola Chiesa ciò che voleva eliminare: la Catholica della tradizione, per
cui non usa mai la parola Chiesa in senso positivo optando invece per il
termine comunità (nell’Antico Testamento, tra l’altro, la parola Chiesa indica
quasi sempre luoghi sacri pagani). Lo spostamento terminologico della Chiesa
alla comunità mostra il processo interno della trasposizione della struttura
della fede nella Riforma: la Chiesa si riduce a comunità, ovvero essa come
successione perde per Lutero il suo contenuto teologico divenendo, nel
migliore dei casi, apparato e organizzazione, mentre nel peggiore dei casi essa
diviene anti-Cristo. Teologicamente non assume valore in conformità
dell’Evangelo se non la comunità che di volta in volta si riunisce ponendosi
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R. Villano - Riflessioni e talune implicazioni sulle strutture dell’essere cristiano
nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
9. sotto la Parola; solo questa comunità sarebbe propriamente la Chiesa nel vero
senso della parola, cioè il luogo dell’Evangelo, mentre il resto, la grande
Chiesa, non sarebbe che apparato, organizzazione senza significato
propriamente spirituale. Tale idea si impone anche oggi al cristiano medio
quasi in modo ovvio e manifesta il suo influsso nell’ambito cattolico(5).
Presso Lutero il concetto di comunità è compreso in larga misura a partire dal
Vangelo e, così, il luterano Gloege ha potuto dire che due elementi essenziali
fondano il concetto di comunità: l’appello di Dio a riunirsi e la risposta che
realizza quest’appello.
Altri teologi, come Afanasiev, hanno sviluppato con forza un’ecclesiologia
eucaristica che è allo stesso tempo della Chiesa locale, della comunità: dov’è
l’Eucaristia, cioè nel luogo dove una comunità celebra l’Eucaristia, là sono
dati allo stesso tempo il Signore intero e, quindi, anche la Chiesa intera. A una
comunità che celebra l’Eucaristia non manca nulla: essa ha il Signore
totalmente e nel sacramento ha la Chiesa totale ed è la Chiesa totale(6).
In prima istanza, tuttavia, queste ultime affermazioni sembrerebbero
irrecusabili; certamente nulla può essere aggiunto al mistero eucaristico, ma la
questione si pone sulle condizioni e sul modo in cui esso si attua.
Il Signore, in effetti, non sorge da ciò che intrinsecamente possiede
l’assemblea bensì non può che giungere dall’esterno, come Colui che dona, un
Signore sempre e soltanto ‘uno’, non diviso, intero nell’universo: riceverlo,
pertanto, comporta l’entrare in unità con gli altri. L’essere una sola cosa con
gli altri è il fondamento intrinseco dell’Eucaristia, senza il quale essa non
potrebbe realizzarsi: celebrare l’Eucaristia significa entrare nell’unità della
Chiesa universale, ovvero nell’unità del Signore uno e nel suo corpo uno: per
questo l’Eucaristia comporta l’anamnesi nel suo insieme della storia sacra,
della comunità dei santi, dei morti e dei credenti viventi sulla terra.
Il segno esteriore della sottrazione dell’Eucaristia al nostro disporre e del suo
carattere relativo alla Chiesa universale è la successione apostolica(7), per cui
nessun gruppo può fare di se stesso Chiesa ma che diviene Chiesa solo
ricevendo se stesso come Chiesa dalla grande Chiesa; ciò significa anche che
la Chiesa non può organizzare se stessa a suo piacimento bensì che essa può
divenire se stessa solo attraverso i doni dello Spirito Santo ottenuti mediante il
sacramento. Il rapporto di ogni celebrazione eucaristica con uno dei portatori
di questa successione costituisce la relazione necessaria al sacramento
dell’unità. Il Concilio parte sempre dal carattere episcopale dell’Eucaristia e
dalla Chiesa locale. Non bisogna separare la cattolicità dall’apostolicità, la
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nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
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10. condizione dell’apostolicità è la cattolicità, il contenuto della cattolicità è
l’apostolicità(8).
Se si abbandona l’idea dell’unità, l’essenzialità e l’autenticità della
sacramentalità cade allo stesso tempo. L’eucaristia si riduce, allora, ad un
mero pasto della comunità e si perde la grande funzione d’espressione del
potere di Gesù di rimettere i peccati ed annunciare il Regno che viene.
3. Conclusioni
Si è visto come secondo Lutero la comunità sia costituita dall’appello della
Paola di Dio. Si deve, tuttavia, aggiungere che la Parola di Dio non sussiste
come entità liberamente fluttuante ma come qualcosa che ci vincola e, quindi,
ci collega, cioè esiste in un modo sia personale che storico e comunitario e ci
introduce in una storia che ci obbliga, presa in mano dal Signore stesso.
La concezione fondamentale del Concilio è che la comunità non si costituisce
in antitesi al ministero. L’Ecclesia, a tutti i suoi livelli, non è reale se non è
strutturata sacramentalmente e, dunque, intrecciata nella rete della successione
apostolica.
Tornando a considerare i dati conciliari, da cui emerge che la Chiesa
episcopale costituisce l’unità più bassa dai punti di vista terminologico e
teologico, va sottolineato che le diverse formazioni comunitarie locali o
personali sono designate come ‘sede’, ‘parte’ e cellula solo se in relazione con
il vescovo.
La proposta di Ratzinger di definizione di comunità è di individuarla come
forma concreta attraverso cui la fede trova un suo ambiente: nel caso
favorevole, essa coinciderebbe con la parrocchia, benché non sia
necessariamente così e purtroppo sempre più spesso non lo sarà, per cui essa
non dovrebbe essere considerata alla stregua di un concetto direttamente
teologico quanto piuttosto come entità antropologica.
D’altro canto, occorre tener presente che la comunità reale non può formarsi
che rivendicando per sé nella misura estrema la persona. Si incontrano talora
anche romanticismi del pensiero comunitario che attendono praticamente dalla
comunità la liberazione del fardello dell’io. Certamente una vera comunità
può effettivamente divenire terreno portante della persona che vi trova il ‘tu’ e
il ‘noi’ di cui ha bisogno, ma essa non può compierlo se la persona non è resa
capace di donare se stessa e, così donando, non impara anche a ricevere se
stessa in modo nuovo.
Ricade, poi, sull’autorità la responsabilità di organizzare ed equipaggiare le
comunità episcopali in modo tale che esse siano nella condizione di costruire
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nell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger
11. la vita di fede della Chiesa nel loro territorio nella variabilità ed apertura
necessarie. Tuttavia, una pura soluzione dall’alto non può sortire un risultato
sufficiente, occorrendo anche generare sufficienti sacerdoti ed entusiasmare
abbastanza persone per un servizio indiviso nel regno di Dio, anche unito al
celibato, essendoci corrispondenza parallela tra la capacità del matrimonio
sacramentale, conforme all’Evangelo, e la disponibilità alla verginità.
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Note
(1) SER Card. Joseph Ratzinger, Diritto della comunità all’eucaristia? La ‘comunità’ e la cattolicità
della chiesa, Elementi di teologia fondamentale. Saggi sulla fede e sul ministero, Parte seconda Ministero, a cura di Giacomo Canobbio, Morcelliana., pp. 203-219.
(2) SER Card. Joseph Ratzinger, Ibidem, p. 206.
(3) Canone 682.
(4) SER Card. Joseph Ratzinger, Ibidem, p. 207.
(5) SER Card. Joseph Ratzinger, Ibid., p. 210.
(6) SER Card. Joseph Ratzinger, Ibid., p. 211.
(7) SER Card. Joseph Ratzinger, Ibid., p. 212.
(8) SER Card. Joseph Ratzinger, Ibid., p. 213.
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