1. Così, ti dài da fare.
La situazione è difficile e precaria.
E tuttavia.
Non vuoi lasciare nulla d’intentato.
Inondi scrivanie col tuo CV.
Leggi le inserzioni
ed i tuoi estremi lasci all’agenzia
che gli sia chiaro, infine, chi sei tu.
Colloqui e concorsi e selezioni.
Spendi fortune in posta prioritaria.
Vivi nell’attesa e non respiri
ché ti manca l’aria.
Ma un giorno ti raggiunge la notizia!
Così, tu entri in azienda
e finalmente
che ormai non ci speravi quasi più
tu sei assunto! AS-SUN-TO!
Come il sole per…
al poker, quando fuori piove
e sei servito
(rallegramenti, congratulazioni
e pacche sulla spalla e telegrammi
sostengono il tuo rito
il tuo entusiasmo…
ma si festeggia, dimmi, con l’orgasmo
la morte psicologica di un uomo?)
Sono ottocento dindi al mese
(quando mille non ti bastano a campare)
e in cambio, ecco, gli dài il fritto:
tutto il tuo tempo, da mattina a sera
Oh, il tempo…
tutto quel che hai
ma soprattutto
tutto quel che sei -
vero, Heidegger?
…È la tua vita presa in un sequestro
per?
Ottocento sporchi dindi
ad ogni mese
che al massimo tu ci sopravvivi
riscatto quotidiano in busta paga
con un contratto a termine capestro
ché te lo danno come un gran favore
il precariato.
Flessibile. Mobile. Disposto.
2. Come un ingranaggio bene oliato
un pezzo a incastro,
un mozzo nel suo posto
funzionale a tutto il meccanismo.
Così ha deciso devi essere qualcuno
che precario non è affatto
attaccato con la colla alla poltrona
e non la molla mica
ché guadagna ottantamila
volte più di te.
L’ho visto l’altro giorno con la Fica
che gli stava accanto in Maserati
(mentre la tua al massimo è una Skoda)
guidare col suo stile prepotente
lo sguardo misterioso e trincerato
dietro un bel paio di lenti blé,
modello ultima moda.
Sarà poi un caso, ma
da quel giorno la tua vita si trasforma
e non in meglio.
Testa d’aglio, sale, crocifisso
e paletto in frassino appuntito
tu mettere dovrai nella tua borsa.
Ma oggi - ne sei fiero - è il primo maggio
ed hai finito appena di giocare.
Da domani si comincia e fai davvero.
Sei uomo. Sei grande. Sei forte.
E con coraggio affronti la tua sorte.
Sei stato punzonato per la corsa
la grande maratona delle fate
didietro al pifferaio direttore
che tiene tutti quanti con le briglie
incontro alle migliori meraviglie
per le più dolci ore -
che è, questo, o non è
il bel paese splendido del sole?
Basta con i sogni e le menate
sproloqui da idealisti e sciocche fole!
Serietà. Sicurtà. Respònsabilità.
Tu non esisti più, quello di prima.
Devi scordarti di te stesso
quello che sei stato e che tu sei.
3. Sei un altro. Sei sposo del padrone:
è il porco del tuo corpo
è il tuo signore
cui devi dedicarti culo e cuore
finalizzarti tutto al suo progetto
identificarti col suo sogno
essere ingranaggio funzionale,
che il tuo bene è diventato il suo
e non può farti male:
gli devi la speranza e la tua luce -
solo Lui ti porta alla salvezza!
Sei chiamato, insomma, a scegliere una cosa:
o il padrone o mammona;
o meglio: il padrone di mammona;
o meglio ancora: immolarti
alla mammona del padrone
che è una grassa puttanazza cremolosa
e ti vuole bendisposto a tutte l’ore
per le sue voglie, per le sue viltà.
E la tua anima? E la tua luce vera?
E le esigenze dello spirito interiore?
E le energie che ti fanno uomo?
Niente, non hai tempo più per niente.
Ti succhiano, ti spremono a limone.
Quando torni a casa sei distrutto
confuso, obnubilato ti addormenti
e spegni sul cuscino i tuoi tormenti.
Non leggi più.
Non pensi più.
Solo un pocolino di TV
quel tanto di serale disimpegno
le cosce sgambettanti al varietà
e la pubblicità - che ti consiglia
mentre tua figlia chiede le istruzioni
per vivere la vita e non rispondi
perché da un po’ di tempo
tu hai già smesso
di farti le domande
d’esser vivo
tragicamente inconscio, piano piano.
Sei come in trance.
Ti blocca l’aporia
l’opposto sentimento ambivalente
ché odi ma anche ami i tuoi aguzzini:
non ne puoi fare a meno.
4. Dov’è la verità?
Dov’è la giusta via?
Tu non capisci più.
Così, nel giro di sei mesi
o un anno, male che gli vada
il gioco è fatto:
sei reso inoffensivo
automa, inerte, addormentato
un pesce incappiolato nella rete.
Ci son riusciti anche con te.
E i tuoi occhi infine sono spenti
come pozzi vuoti e inespressivi.
Ma un giorno all’improvviso ti risvegli
come Belluca al fischio del vapore.
Capisci che ogni giorno lavori
praticamente solo per…
mantenere la macchina!
che ti serve per…
andare ogni giorno a lavorare!
La macchina! Ah!
L’ipostasi-emblema del sistema!
L’invenzione più geniale e redditizia.
La scatola infernale
che ammorba col fetore viscerale
che scappa dal suo tubo inverecondo
e fonde con l’usura la frizione
mentre il motore va in ebollizione.
È il petroliere che accende
e mantiene il semaforo rosso
e gode dell’ingorgo procurato
perché ogni attimo che tu rimani là
inscatolato come una sardina
con l’occhio strabuzzato ed impotente
sognando il tuo bel pieno di benzina
che lentamente in fumo se ne va,
per lui è un affare grosso
un bucintoro
di milioni che gli piovono addosso
senza muovere dito
e la tua macchina, pur quando utilitaria
è una gallina d’oro.
Ogni mattina due ore di traffico
e altre due la sera per tornare.
L’aria irrespirabile che appesta,
di piombo avvelenata e di furore.
Ma si può campare in questo modo?
5. Cos’è questa spirale?
Chi è che l’ha inventata?
E quale soluzione?
Realizzi che così non può più andare:
devi uscirne, devi migliorare.
E allora chiedi un colloquio
e Lui te lo concede
franco paterno liberale
abbronzato anche a gennaio
e sorridente. Bello.
Ti abbraccia, ti accoglie col suo viso
da porcello, da salvadanaio
senza una ruga liscio come un bimbo
reduce dal sole di Cancun.
Sigaretta, wiskino - no grazie.
Si adagia nella valva che lo accoglie
prezioso ripieno imbottito
della sua Chesterfield nera
la classica poltrona in pelle umana.
È a tua disposizione - Dimmi pure.
“Scusi, My Tycoon
pregiato dirigente
mio dottore
o grande chiarissimo capo
di buona speranza,
non vorrei sembrarle inopportuno
se ardisco addivenire alla sua stanza…”
“Dimmi, caro, dimmi…”
“Recarle disappunto ma
io sono un uomo
e la prego di degnarmi
in quanto tale”.
“Ma carissimo, che cosa non ti va…
Hai bisogno di un ritocco,
un rinforzino?
Ti aumento lo stipendio di tre dindi!”
“Non è questione di danari”.
“Suvvia, facciamo trentatre.
Per trenta si convinse pure Giuda”.
6. “Ho bisogno di più tempo a realizzarmi”
(e la mia fronte suda)
“per diventar me stesso, che io sono
venuto al mondo - ho un compito assegnato
il mio ruolo evolutivo, la creazione
che mi vuole ancora pronto,
ancora vivo: sono uscito dal mio
corso, ho deragliato:
io devo ritornare alla missione
sono artista”…
Pausa, caduta, buco del discorso.
Silenzio imbarazzato e controverso.
Ops. Guai in vista.
Si è spento lievemente il suo sorriso
come quando il sole che splendeva
di bruma un po’ si vela e non convince
e l’occhio suo di lince si fa cupo.
Un’ombra di pensiero, un nuovo caso?
“Ne hai parlato con il referente
preposto per l’appunto alla gestione
delle risorse umane?”
“Ne ho parlato, sì,
non serve a niente: del resto
risorse certamente,
ma non Le chiami umane
per piacere - e infine
non sono un caso che si può gestire
facilmente”…
È sorpreso, più che deluso.
“Che ti sei messo in testa, lascia stare.
Vuoi farmi concorrenza?
Vuoi metterti in affare?”.
“Mi dica che cos’è questo rumore
questa potenza immane
che involve al meccanismo
e ci fa male”.
“È il build, è il bit, è il cip
è il plinto costruttore,
l’impulso della macchina mondiale.
È la vita, è la gioia, è la natura!
7. Non hai orgoglio a farne parte?”.
“Direi che è storia, altro che natura!
Preferisco giocare a carte.
Io tento la mia sorte”.
“Tu tenti, sciocco, la tua morte.
È una signora ad ore”.
“Di spirito le parlo, mio signore”.
“Di spirito? Soccorso? Infermeria?
Un sorso di liquore?”.
Ti guarda strano, come dalla luna…
Non ti capisce più - ma che gli dici?
Sei una frana in un massiccio di saldezze
Tu sei solo un mezzo, non un fine,
tanto meno gli puoi essere d’impiccio:
la tua spinta è necessaria alla catena
e l’olocausto delle tue energie
è sacro sulla pira dell’Idea
di cui a godere i frutti sarà Lui.
Così, dopo una vita
spesa in nome di quel fuoco
che ti brucia ma non ti appartiene
al sacrificio immane dei tuoi giorni
di rinunce, di grame apostasie
di vie che non hai scelto
ma hai percorso
ti guarderai allo specchio
e dirai “Fui”.
Arbeit macht frei.
È questo il tuo discorso.
Si meraviglia inquieto
e innaturale
e a questo punto, poi
mi chiede il nome
per conoscere chi è
che gli fa male…
Ma come? Ingrato!
Sputo dentro il piatto
dove mangio?
8. Così, così gli rendo fede
del bene che mi fa
da diciassette mesi
mi dà il pane
che ha creduto in me
e addirittura!
mi ha dato un numero
nella sua struttura
mi ha reso matricola,
particola di un cuore
così grande…
“Il glande io non succhio
del suo pene
ché non gradisco il sesso,
e nato non son fatto
a portar pesi…
Bruttura di abbrutiti
è la struttura
la macina che pesta
e che tritura
la strada senza uscita,
e non ne faccio parte
io non gioco
da questo punto lascio
la partita
che in cesso ha trasformato
la mia vita”.
“Ma tapino, sciagurato, impertinente:
perché la storia non t’insegna niente?
Cos’è quest’Aventino?
Non ricordi Menenio Agrippa?”
“Ricordo che la trippa vi s’ingrassa
a dismisura, mentre a noi, noi
non bastano i passanti alla cintura”.
“Lascia fare, che a star magri si sta bene…
Voglio dire, stammi un pochino a sentire:
siamo membra dello stesso corpo!
Ci siamo mutuamente necessari…
Ma forse è questione di orari?”
“Peccato voi siate la testa
e in testa c’è la bocca
e il grimaldello, e gli occhi
9. e tutto quel che gode e che decide
e alle altre membra niente
resta, o pressappoco:
è un corpo servitore
è un brutto gioco”.
“Ah, lo capisti… Da quanto?”
“Da un po’ di tempo:
non avrei dovuto?”
“Ammetto. È questo
purtroppo il mondo.
E non le puoi cambiare certe cose:
c’è chi nasce testa e chi vil piede…
E allora che vuoi fare?”
“Fra testa e croce vince solo questa
e gliela rendo piena di interessi
i passi barcollanti e traditori
sotto lo strazio acuto del mio corpo
le spine, le frustate, i machiavelli
e quindi senza odi né rancori
Le dico che è un gran porco
dentro e fuori: voi siete sempre quelli
e la mia testa non l’avrete mai:
vi mando tutti quanti a quel paese”.
Poi l’ho schiaffeggiato brutalmente.
Licenziato su due piedi. Polizia.
Condannato, con la condizionale.
Ma prima gli ho lasciato i quattro chiodi
sulla scrivania.