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S.I.R.S.Servizio Informativo
Rappresentanti
dei Lavoratori alla Sicurezza
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DELLA RETE DI RLS DELLE AZIENDE DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA
Sommario
1
4
2
di SIlvia Dall’Olio
In riferimento alle ore di formazione al-
la sicurezza, l’Accordo Stato-Regioni del
21/12/2011 prevede pacchetti orari dif-
ferenziati, a seconda che il lavoratore operi
in aziende a alto, medio o basso rischio, ed
individua, come criterio discriminante per il
livello di rischio, la classificazione delle attività
lavorative in base al codice cosiddetto ATECO.
Diversi RLS ci hanno posto quesiti simili,
che vertono su di uno stesso punto: la diffe-
renziazione del numero di ore di formazione
è da intendersi come rigidamente vincolante e
tassativa, oppure come orientativa, da calibra-
re in base alle reali condizioni di rischio?
I quesiti nascono certamente dal fatto che l’Ac-
cordo stesso prevedeva che, ad esempio, gli im-
piegati che non accedono ai reparti di produzio-
ne per esigenze di lavoro ma operano solo negli
uffici siano da considerarsi a “rischio basso”, an-
che se operano in aziende che per codice ATE-
CO sono da classificarsi a” rischio alto”.
Molti ci chiedono se questa considerazione si
applichi solo agli impiegati o anche ad altri la-
voratori nelle stesse condizioni e caratteristiche,
mentre altri ci chiedono il contrario, ovvero se in
aziende classificate come codice ATECO a me-
dio o basso rischio si possano individuare situa-
zioni di lavoratori da considerare esposti ad alto
rischio e quindi aventi diritto a percorsi formati-
vi più lunghi e corposi. In sostanza, la domanda
(che interessa molto i RLS che sono chiamati a
dare un parere sui programmi di formazione che
i datori di lavoro prevedono di attivare) è molto
semplice: la formazione aziendale si programma
sempre e solo applicando rigorosamente la clas-
sificazione ATECO, oppure si programma par-
tendo dalla valutazione dei rischi reali (e quindi
la classificazione ATECO diventa un importante
riferimento, un’opportunità da sfruttare ma non
un tabù da rispettare acriticamente)?
Se avessimo dovuto fornire un nostro parere,
ci saremmo sicuramente espressi per la se-
conda interpretazione, ma come è noto non
compete al SIRS esprimere pareri. Pochi mesi
fa nel merito si è espressa la Commissione per
gli Interpelli, sollecitata da un quesito posto
da Federambiente (Interpello n. 11/2013 del
24/10/22013) e la risposta è in perfetta sintonia
col nostro orientamento, per cui la riportiamo
integralmente di seguito. Prima però vogliamo
evidenziare come la Commissione, nel fornire
la sua risposta, si sia ispirata ad un passaggio
dell’Accordo Stato-Regioni del 25/07/2012 che
concerne le linee guida applicative dell’Accordo
base già richiamato.
Ebbene, nell’Accordo del 25/07/2012 si dice
espressamente che la classificazione dei lavo-
ratori “può essere fatta anche tenendo conto
delle attività concretamente svolte dai soggetti
medesimi, avendo a riferimento quanto nella
valutazione dei rischi” e ciò naturalmente vale
in entrambe le possibilità: ci può essere una
classificazione del livello di rischio più basso di
quello che sarebbe previsto dal codice ATECO
ma anche di un livello di rischio più alto.
In conclusione, la Commissione per gli Interpel-
li così si esprime nel merito: la formazione- che
deve essere “sufficiente ed adeguata”- va rife-
rita all’effettiva mansione svolta dal lavorato-
re, considerata in sede di valutazione dei ri-
schi; pertanto la durata del corso può
prescindere dal codice ATECO di appartenen-
za dell’Azienda.
Formazioneallasicurezzadeilavoratori:
ilcodice Atecoèunvincolooun’opportunità?
Formazione
alla sicurezza
dei lavoratori:
il codice Ateco
è un vincolo o
un’opportunità
di Silvia Dall’Olio
Sigaretta elettronica
ammessa o vietata?
di CdR Articolo 19
Visite mediche
preventive: per quanto
tempo valgono?
di Leopoldo Magelli
Anno 14 - numero 2
marzo
aprile 2014
Provincia di Bologna
Comune di Bologna
Azienda USL di Bologna
INAIL di Bologna
Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna
CGIL CISL UIL di Bologna
Approfondimento
3
generalizzato di fumare negli ambienti di lavoro, ivi
sancito, si applica non solo al fumo di tabacco ma an-
che all’uso della sigaretta elettronica.
A questo quesito siamo in grado oggi di rispondere in
modo preciso, sulla base di una fonte ufficiale, istitu-
zionalmente preposta a fornire risposte a quesiti ri-
guardanti modalità applicative ed interpretative delle
vigenti norme di legge in campo di sicurezza del la-
voro. Si tratta della Commissione per gli Interpelli,
istituita ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs 81/2008, presso
il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali, proprio per dare risposta a quesiti di ordine
generale sull’applicazione della normativa in materia
di salute e sicurezza del lavoro.
Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costitu-
iscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio
delle attività di vigilanza, quindi i pareri espressi dalla
Commissione assumono un preciso valore giuridico.
In data 24 ottobre 2013 la Commissione per gli In-
terpelli si è espressamente pronunciata sul tema in
questione (Applicazione Legge n. 3/2003 alle siga-
rette elettroniche), rispondendo ad un quesito posto
dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) che chiedeva
se la normativa generale sul divieto di fumo nei luoghi
di lavoro fosse estendibile anche alle cosiddette siga-
rette elettroniche.
La Commissione ha preso in esame diversi aspetti del
problema:
a) secondo le recenti classificazioni merceologiche la
sigaretta elettronica è considerata un articolo con car-
tucce sostituibili contenenti miscele di sostanze, tra
cui in particolare nicotina (ma anche in concentrazio-
ni nanometriche - cioè quasi infinitesimali cromo, ni-
chel, stagno, alluminio, frerro, solventi organici, etc.);
Da parte di numerosi RLS ci è stato chiesto,
per diverse situazioni lavorative, se sia lecito
oppure vietato fare uso nei luoghi di lavoro
delle sigarette elettroniche, in quanto il problema è
controverso e spesso si creano dissapori sia tra sia tra i
lavoratori, sia tra lavoratori e datori di lavoro.
Il problema è come interpretare l’applicazione dell’art.
51, Tutela della salute dei non fumatori, della Legge
n. 3 , 16 gennaio 2003, che al primo comma così re-
cita: È vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di:
a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico; b)
[quelli riservati] ai fumatori e come tali contrassegnati.
Il testo è chiarissimo, non lascia spazio ad interpre-
tazioni di alcun genere, garantendo una totale prote-
zione dal fumo passivo per i non fumatori (nel nostro
caso i lavoratori non fumatori).
Ma tutto è cambiato con la comparsa sul mercato del-
la sigaretta elettronica, fumando la quale non si pro-
duce il tipo di fumo prodotto dalle normali sigarette
a base di tabacco.
Allora il nodo diventa quello di capire se il divieto
articol19
2 Anno 14 - numero 2
di CdR Articolo 19
Sigaretta elettronica:
ammessa o vietata?
articol19
b) è pur vero che, anche con un uso moderato e con
uso di prodotti a bassa concentrazione di nicotina, può
essere superata la dose quotidiana (s’intende ovviamen-
te di nicotina) accettabile prevista dall’Agenzia Euro-
pea per la sicurezza alimentare;
c) è altrettanto vero che non sono ancora riportati ef-
fetti univoci certi sulla salute da parte del particolato
che, negli ambienti chiusi, si forma con l’uso della si-
garetta elettronica e che può essere ovviamente inalato
(in perfetta analogia col fumo passivo) anche dai non
fumatori.
Dopo queste premesse, la Commissione formula delle
precise indicazioni, richiamandosi ad una fonte molto
autorevole dal punto di vista tecnico, ovvero l’Istituto
Superiore di Sanità, che il 26 settembre 2012 ha emes-
so nel merito un parere formale (espresso in analogia
all’orientamento europeo oggi esistente), che considera
le sigarette elettroniche al di fuori del campo di ap-
plicazione della Direttiva Comunitaria 2001/37/CE in
materia di tabacco, in quanto non contengono tabacco.
Quindi, in mancanza di una specifica (e aggiungiamo
“nuova”) previsione normativa non si applica alle
sigarette elettroniche il divieto di fumo previsto
dall’art. 51 delle legge n. 3/2003 a tutela della salu-
te dei non fumatori.
Ma la Commissione non si ferma a questa lapidaria di-
chiarazione e intende precisare altri due punti, di parti-
colare interesse per il RLS, in quanto attengono anche
alla valutazione dei rischi, ovvero ad un processo su cui
il RLS è chiamato ad intervenire, che sono i seguenti:
1) il Datore di Lavoro ha la possibilità (e quindi la
piena facoltà) di vietare l’uso delle sigarette elettroni-
che in azienda;
2) se non lo fa, l’uso delle sigarette elettroniche in
azienda è subordinato al fatto che il Datore di lavoro
prenda in esame il problema in sede di valutazione dei
rischi.
Infatti, il parere della Commissione recita testualmen-
te: della sigaretta elettronica […] ne potrà consentire
l’uso solo previa valutazione dei rischi, ai sensi delle
disposizioni vigenti.
Quindi coinvolgendo il RSPP ed il medico competente
ed acquisendo, in sede di consultazione, il parere del
RLS.
Nella valutazione inoltre si dovrà tenere conto del ri-
schio cui l’utilizzazione della sigaretta elettronica può
esporre i lavoratori, in base alle sostanze che possono
essere inalate a seguito del processo di vaporizzazione
(nicotina ma non solo).
Quindi, in conclusione, nei luoghi di lavoro si potrà
“svapare” (neologismo che indica il processo di aspirare
da una sigaretta elettronica) solo se il datore di lavoro
non lo ha esplicitamente vietato ed ha, contestual-
mente, valutato specificamente i rischi connessi all’uso
della sigaretta elettronica (ed adottato eventualmente
le conseguenti misure in campo di areazione, ecc.).
Analizzando il problema dal punto di vista del Datore
di lavoro, egli ha pertanto due sole opzioni:
- o vieta l’uso delle sigarette elettroniche, con un espli-
cito e formale provvedimento;
- o lo consente, ma dopo essersi assunto l’onere e la
responsabilità di una puntuale e documentata valuta-
zione dei rischi.
Non riteniamo opportuno entrare nel merito della no-
stra opinione in merito al problema: trovandoci in pre-
senza di un formale ed esplicito pronunciamento di un
organo istituzionalmente preposto, non possiamo che
prenderne atto.
Quesiti e pareriarticol19
4
Visite mediche
preventive: per quanto
tempo valgono?
Anno 14 - numero 2
Come è noto, la visita medica preventiva viene ef-
fettuata prima che il lavoratore interessato inizi
a svolgere la sua mansione/attività a rischio, per
accertare se è idoneo a svolgere tale specifica mansione/
attività, constatando quindi che non esistano controin-
dicazioni al lavoro a cui è destinato ed ai suoi rischi.
Tale visita è disciplinata dall’art. 41 del D.lgs 81/2008
e s.m.i., al comma 2, che così recita:
a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assen-
za di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è
destinato al fine di valutare la sua idoneità alla man-
sione specifica.
Si coglie l’occasione per ricordare due importanti ele-
menti, correlati al quesito in oggetto:
1) All’art. 2-bis si precisa che le visite mediche preven-
tive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta
del datore di lavoro, dal medico competente o dai di-
partimenti di prevenzione delle ASL.
2) All’art. 41, comma 9, si precisa che Contro il giu-
dizio emesso in sede di visita preventiva (anche il fase
preassuntiva) è ammesso il ricorso del lavoratore: entro
trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio
medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente com-
petente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamen-
ti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
Il quesito che ci è stato posto è il seguente: se un lavo-
ratore è stato dichiarato idoneo alla sua mansione spe-
cifica alla visita preventiva e poi, per qualsiasi motivo,
viene a cessare il rapporto di lavoro con quell’azienda,
un eventuale rientro nell’azienda per svolgere la stessa
mansione (o una mansione analoga in termini di profi-
lo di rischio) obbliga l’azienda ed il lavoratore a svolge-
re una nuova visita preventiva?
La risposta della Commissione per gli Interpelli ha for-
nito una risposta ufficiale a questo quesito (cfr. Iner-
pello N. 8/2013 del 24/10/2013) ed al suo parere ci
atterremo nella nostra risposta.
La Commissione, partendo dalla considerazione che la
visita medica periodica, per controllare lo stato di salu-
te dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla
mansione specifica, è prevista con una periodicità di
norma di in una volta l’anno (salvo i casi in cui specifi-
ci riferimenti normativi non prevedano diversamente),
ritiene di poter assumere lo stesso intervallo temporale
(un anno) come limite di validità di una visita preventi-
va (ovviamente a parità di mansione e quindi di rischi).
Pertanto la Commissione così si pronuncia :
“Nel caso di assunzioni successive, qualora il lavora-
tore sia impiegato in mansioni che lo espongono allo
stesso rischio nel corso del periodo di validità della
visita preventiva o della visita periodica […] e co-
munque per un periodo non superiore a un anno, il
datore di lavoro non è tenuto ad effettuare una nuova
visita preventiva, in quanto la situazione sanitaria del
lavoratore risulta conosciuta dal medico competente”.
Attenzione però a non interpretare male questo parere:
esso infatti si applica solo al caso in cui il nuovo accesso
(dopo una cessazione dal lavoro) alla stessa mansione a
rischio per cui si era stati dichiarati idonei avviene nella
stessa azienda, mentre non vale ovviamente per assun-
zioni, anche entro un anno dalla prima visita preventi-
va, in aziende diverse.
Infine si fa notare che dire “il datore di lavoro non è
tenuto” non equivale a dire che è vietato effettuarla,
quindi il datore di lavoro potrebbe decidere, magari in
accordo col medico competente, di rieffettuare una
nuova visita preventiva.
di Leopoldo Magelli
articolo19 Anno 14 - Numero 2, MARZO-APRILE 2014
Bimestrale della
Provincia di Bologna
Iscrizione al tribunale
di Bologna n° 729
del 12/03/2003
Direttore responsabile:
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Leopoldo Magelli (Provincia di Bologna)
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213 bollettino di informazione e comunicazione della rete di rls delle aziende della provincia di bologna

  • 1. S.I.R.S.Servizio Informativo Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza BOLLETTINO DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DELLA RETE DI RLS DELLE AZIENDE DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA Sommario 1 4 2 di SIlvia Dall’Olio In riferimento alle ore di formazione al- la sicurezza, l’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011 prevede pacchetti orari dif- ferenziati, a seconda che il lavoratore operi in aziende a alto, medio o basso rischio, ed individua, come criterio discriminante per il livello di rischio, la classificazione delle attività lavorative in base al codice cosiddetto ATECO. Diversi RLS ci hanno posto quesiti simili, che vertono su di uno stesso punto: la diffe- renziazione del numero di ore di formazione è da intendersi come rigidamente vincolante e tassativa, oppure come orientativa, da calibra- re in base alle reali condizioni di rischio? I quesiti nascono certamente dal fatto che l’Ac- cordo stesso prevedeva che, ad esempio, gli im- piegati che non accedono ai reparti di produzio- ne per esigenze di lavoro ma operano solo negli uffici siano da considerarsi a “rischio basso”, an- che se operano in aziende che per codice ATE- CO sono da classificarsi a” rischio alto”. Molti ci chiedono se questa considerazione si applichi solo agli impiegati o anche ad altri la- voratori nelle stesse condizioni e caratteristiche, mentre altri ci chiedono il contrario, ovvero se in aziende classificate come codice ATECO a me- dio o basso rischio si possano individuare situa- zioni di lavoratori da considerare esposti ad alto rischio e quindi aventi diritto a percorsi formati- vi più lunghi e corposi. In sostanza, la domanda (che interessa molto i RLS che sono chiamati a dare un parere sui programmi di formazione che i datori di lavoro prevedono di attivare) è molto semplice: la formazione aziendale si programma sempre e solo applicando rigorosamente la clas- sificazione ATECO, oppure si programma par- tendo dalla valutazione dei rischi reali (e quindi la classificazione ATECO diventa un importante riferimento, un’opportunità da sfruttare ma non un tabù da rispettare acriticamente)? Se avessimo dovuto fornire un nostro parere, ci saremmo sicuramente espressi per la se- conda interpretazione, ma come è noto non compete al SIRS esprimere pareri. Pochi mesi fa nel merito si è espressa la Commissione per gli Interpelli, sollecitata da un quesito posto da Federambiente (Interpello n. 11/2013 del 24/10/22013) e la risposta è in perfetta sintonia col nostro orientamento, per cui la riportiamo integralmente di seguito. Prima però vogliamo evidenziare come la Commissione, nel fornire la sua risposta, si sia ispirata ad un passaggio dell’Accordo Stato-Regioni del 25/07/2012 che concerne le linee guida applicative dell’Accordo base già richiamato. Ebbene, nell’Accordo del 25/07/2012 si dice espressamente che la classificazione dei lavo- ratori “può essere fatta anche tenendo conto delle attività concretamente svolte dai soggetti medesimi, avendo a riferimento quanto nella valutazione dei rischi” e ciò naturalmente vale in entrambe le possibilità: ci può essere una classificazione del livello di rischio più basso di quello che sarebbe previsto dal codice ATECO ma anche di un livello di rischio più alto. In conclusione, la Commissione per gli Interpel- li così si esprime nel merito: la formazione- che deve essere “sufficiente ed adeguata”- va rife- rita all’effettiva mansione svolta dal lavorato- re, considerata in sede di valutazione dei ri- schi; pertanto la durata del corso può prescindere dal codice ATECO di appartenen- za dell’Azienda. Formazioneallasicurezzadeilavoratori: ilcodice Atecoèunvincolooun’opportunità? Formazione alla sicurezza dei lavoratori: il codice Ateco è un vincolo o un’opportunità di Silvia Dall’Olio Sigaretta elettronica ammessa o vietata? di CdR Articolo 19 Visite mediche preventive: per quanto tempo valgono? di Leopoldo Magelli Anno 14 - numero 2 marzo aprile 2014 Provincia di Bologna Comune di Bologna Azienda USL di Bologna INAIL di Bologna Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna CGIL CISL UIL di Bologna
  • 2. Approfondimento 3 generalizzato di fumare negli ambienti di lavoro, ivi sancito, si applica non solo al fumo di tabacco ma an- che all’uso della sigaretta elettronica. A questo quesito siamo in grado oggi di rispondere in modo preciso, sulla base di una fonte ufficiale, istitu- zionalmente preposta a fornire risposte a quesiti ri- guardanti modalità applicative ed interpretative delle vigenti norme di legge in campo di sicurezza del la- voro. Si tratta della Commissione per gli Interpelli, istituita ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs 81/2008, presso il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, proprio per dare risposta a quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro. Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costitu- iscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza, quindi i pareri espressi dalla Commissione assumono un preciso valore giuridico. In data 24 ottobre 2013 la Commissione per gli In- terpelli si è espressamente pronunciata sul tema in questione (Applicazione Legge n. 3/2003 alle siga- rette elettroniche), rispondendo ad un quesito posto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) che chiedeva se la normativa generale sul divieto di fumo nei luoghi di lavoro fosse estendibile anche alle cosiddette siga- rette elettroniche. La Commissione ha preso in esame diversi aspetti del problema: a) secondo le recenti classificazioni merceologiche la sigaretta elettronica è considerata un articolo con car- tucce sostituibili contenenti miscele di sostanze, tra cui in particolare nicotina (ma anche in concentrazio- ni nanometriche - cioè quasi infinitesimali cromo, ni- chel, stagno, alluminio, frerro, solventi organici, etc.); Da parte di numerosi RLS ci è stato chiesto, per diverse situazioni lavorative, se sia lecito oppure vietato fare uso nei luoghi di lavoro delle sigarette elettroniche, in quanto il problema è controverso e spesso si creano dissapori sia tra sia tra i lavoratori, sia tra lavoratori e datori di lavoro. Il problema è come interpretare l’applicazione dell’art. 51, Tutela della salute dei non fumatori, della Legge n. 3 , 16 gennaio 2003, che al primo comma così re- cita: È vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di: a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico; b) [quelli riservati] ai fumatori e come tali contrassegnati. Il testo è chiarissimo, non lascia spazio ad interpre- tazioni di alcun genere, garantendo una totale prote- zione dal fumo passivo per i non fumatori (nel nostro caso i lavoratori non fumatori). Ma tutto è cambiato con la comparsa sul mercato del- la sigaretta elettronica, fumando la quale non si pro- duce il tipo di fumo prodotto dalle normali sigarette a base di tabacco. Allora il nodo diventa quello di capire se il divieto articol19 2 Anno 14 - numero 2 di CdR Articolo 19 Sigaretta elettronica: ammessa o vietata? articol19 b) è pur vero che, anche con un uso moderato e con uso di prodotti a bassa concentrazione di nicotina, può essere superata la dose quotidiana (s’intende ovviamen- te di nicotina) accettabile prevista dall’Agenzia Euro- pea per la sicurezza alimentare; c) è altrettanto vero che non sono ancora riportati ef- fetti univoci certi sulla salute da parte del particolato che, negli ambienti chiusi, si forma con l’uso della si- garetta elettronica e che può essere ovviamente inalato (in perfetta analogia col fumo passivo) anche dai non fumatori. Dopo queste premesse, la Commissione formula delle precise indicazioni, richiamandosi ad una fonte molto autorevole dal punto di vista tecnico, ovvero l’Istituto Superiore di Sanità, che il 26 settembre 2012 ha emes- so nel merito un parere formale (espresso in analogia all’orientamento europeo oggi esistente), che considera le sigarette elettroniche al di fuori del campo di ap- plicazione della Direttiva Comunitaria 2001/37/CE in materia di tabacco, in quanto non contengono tabacco. Quindi, in mancanza di una specifica (e aggiungiamo “nuova”) previsione normativa non si applica alle sigarette elettroniche il divieto di fumo previsto dall’art. 51 delle legge n. 3/2003 a tutela della salu- te dei non fumatori. Ma la Commissione non si ferma a questa lapidaria di- chiarazione e intende precisare altri due punti, di parti- colare interesse per il RLS, in quanto attengono anche alla valutazione dei rischi, ovvero ad un processo su cui il RLS è chiamato ad intervenire, che sono i seguenti: 1) il Datore di Lavoro ha la possibilità (e quindi la piena facoltà) di vietare l’uso delle sigarette elettroni- che in azienda; 2) se non lo fa, l’uso delle sigarette elettroniche in azienda è subordinato al fatto che il Datore di lavoro prenda in esame il problema in sede di valutazione dei rischi. Infatti, il parere della Commissione recita testualmen- te: della sigaretta elettronica […] ne potrà consentire l’uso solo previa valutazione dei rischi, ai sensi delle disposizioni vigenti. Quindi coinvolgendo il RSPP ed il medico competente ed acquisendo, in sede di consultazione, il parere del RLS. Nella valutazione inoltre si dovrà tenere conto del ri- schio cui l’utilizzazione della sigaretta elettronica può esporre i lavoratori, in base alle sostanze che possono essere inalate a seguito del processo di vaporizzazione (nicotina ma non solo). Quindi, in conclusione, nei luoghi di lavoro si potrà “svapare” (neologismo che indica il processo di aspirare da una sigaretta elettronica) solo se il datore di lavoro non lo ha esplicitamente vietato ed ha, contestual- mente, valutato specificamente i rischi connessi all’uso della sigaretta elettronica (ed adottato eventualmente le conseguenti misure in campo di areazione, ecc.). Analizzando il problema dal punto di vista del Datore di lavoro, egli ha pertanto due sole opzioni: - o vieta l’uso delle sigarette elettroniche, con un espli- cito e formale provvedimento; - o lo consente, ma dopo essersi assunto l’onere e la responsabilità di una puntuale e documentata valuta- zione dei rischi. Non riteniamo opportuno entrare nel merito della no- stra opinione in merito al problema: trovandoci in pre- senza di un formale ed esplicito pronunciamento di un organo istituzionalmente preposto, non possiamo che prenderne atto.
  • 3. Quesiti e pareriarticol19 4 Visite mediche preventive: per quanto tempo valgono? Anno 14 - numero 2 Come è noto, la visita medica preventiva viene ef- fettuata prima che il lavoratore interessato inizi a svolgere la sua mansione/attività a rischio, per accertare se è idoneo a svolgere tale specifica mansione/ attività, constatando quindi che non esistano controin- dicazioni al lavoro a cui è destinato ed ai suoi rischi. Tale visita è disciplinata dall’art. 41 del D.lgs 81/2008 e s.m.i., al comma 2, che così recita: a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assen- za di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla man- sione specifica. Si coglie l’occasione per ricordare due importanti ele- menti, correlati al quesito in oggetto: 1) All’art. 2-bis si precisa che le visite mediche preven- tive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai di- partimenti di prevenzione delle ASL. 2) All’art. 41, comma 9, si precisa che Contro il giu- dizio emesso in sede di visita preventiva (anche il fase preassuntiva) è ammesso il ricorso del lavoratore: entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente com- petente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamen- ti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso. Il quesito che ci è stato posto è il seguente: se un lavo- ratore è stato dichiarato idoneo alla sua mansione spe- cifica alla visita preventiva e poi, per qualsiasi motivo, viene a cessare il rapporto di lavoro con quell’azienda, un eventuale rientro nell’azienda per svolgere la stessa mansione (o una mansione analoga in termini di profi- lo di rischio) obbliga l’azienda ed il lavoratore a svolge- re una nuova visita preventiva? La risposta della Commissione per gli Interpelli ha for- nito una risposta ufficiale a questo quesito (cfr. Iner- pello N. 8/2013 del 24/10/2013) ed al suo parere ci atterremo nella nostra risposta. La Commissione, partendo dalla considerazione che la visita medica periodica, per controllare lo stato di salu- te dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica, è prevista con una periodicità di norma di in una volta l’anno (salvo i casi in cui specifi- ci riferimenti normativi non prevedano diversamente), ritiene di poter assumere lo stesso intervallo temporale (un anno) come limite di validità di una visita preventi- va (ovviamente a parità di mansione e quindi di rischi). Pertanto la Commissione così si pronuncia : “Nel caso di assunzioni successive, qualora il lavora- tore sia impiegato in mansioni che lo espongono allo stesso rischio nel corso del periodo di validità della visita preventiva o della visita periodica […] e co- munque per un periodo non superiore a un anno, il datore di lavoro non è tenuto ad effettuare una nuova visita preventiva, in quanto la situazione sanitaria del lavoratore risulta conosciuta dal medico competente”. Attenzione però a non interpretare male questo parere: esso infatti si applica solo al caso in cui il nuovo accesso (dopo una cessazione dal lavoro) alla stessa mansione a rischio per cui si era stati dichiarati idonei avviene nella stessa azienda, mentre non vale ovviamente per assun- zioni, anche entro un anno dalla prima visita preventi- va, in aziende diverse. Infine si fa notare che dire “il datore di lavoro non è tenuto” non equivale a dire che è vietato effettuarla, quindi il datore di lavoro potrebbe decidere, magari in accordo col medico competente, di rieffettuare una nuova visita preventiva. di Leopoldo Magelli articolo19 Anno 14 - Numero 2, MARZO-APRILE 2014 Bimestrale della Provincia di Bologna Iscrizione al tribunale di Bologna n° 729 del 12/03/2003 Direttore responsabile: Davide Bergamini Comitato Redazionale: Barbara Cevenini (Inail) Maria Capozzi (Direzione Provinciale del Lavoro) Leopoldo Magelli (Provincia di Bologna) Andrea Spisni (Azienda USL) Stefano Franceschelli (Cisl). Segreteria di redazione: Silvia Dall’Olio S.I.R.S. Via Gramsci, 12 Terzo piano, lato ovest 40121 Bologna Fax 051/6079541 Sito internet: www.sirsrer.it Andrea Spisni Tel. 051/6079805 andrea.spisni@ausl.bologna.it Direzione: Provincia di Bologna Via Zamboni, 13 - 40126 Bologna tel. 051/6598435 - fax 051/6598226 Realizzazione a cura di: Produzioni editoriali Provincia di Bologna Impaginazione: Annalisa Degiovannini