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Buddismo e Società n.98 - maggio giugno 2003
Principi fondamentali
I benefici
Giulio Mario Rampelli
Solo con la fede si può accedere alla Buddità, il beneficio “incospicuo” che gli
esseri umani non sono in grado di percepire né di comprendere con le loro
capacità da “comuni mortali”. Avere fede nel Gohonzon vuol dire credere nel
potenziale infinito insito nella nostra vita, nella possibilità di trasformare
qualsiasi problema in un’esperienza e qualsiasi sofferenza in gioia. Per questo
“coltivare” la propria fede è la cosa più importante, è la causa fondamentale
per l’ottenimento di ogni genere di benefici. Una fede che nasce e si rafforza
attraverso l’esperienza ci rende pian piano sempre più liberi dalla paura di
dover affrontare nuove difficoltà, estendendo i nostri limiti via via più lontano
Il beneficio “incospicuo”
Tutti noi abbiamo iniziato a praticare con delle aspettative. Smettere di soffrire
per qualcosa, realizzare un sogno, o anche semplicemente sentirsi
“spiritualmente” appagati. In assenza di esperienza di pratica, le nostre
aspettative nascevano dall’aver sentito raccontare di benefici ottenuti da
qualcuno di cui ci fidavamo. Per chi inizia, spesso la risposta più gradita alle
proprie “preghiere” è rappresentata dai benefici visibili e materiali, e senza di
essi probabilmente un principiante non continuerebbe con lo stesso
entusiasmo. Ma, a distanza di anni, è necessario interrogarsi sinceramente
sulle nostre aspettative e sulla qualità dei risultati che abbiamo ottenuto: qual è
il reale beneficio della pratica buddista?
Nel Gosho L’insegnamento, la pratica e la prova leggiamo che «le persone
nate oggi, nell’Ultimo giorno della Legge, ricevono il seme della Buddità per la
prima volta, e il loro beneficio è quindi incospicuo» (Gli scritti di Nichiren
Daishonin, v. 6, p. 201). Come è spiegato in un brano successivo, “incospicuo”
significa che «le persone non possono né percepirli né comprenderli». Il
motivo di questa affermazione è che il beneficio fondamentale della pratica
buddista è l’Illuminazione, il risveglio della natura di Budda che risiede
profondamente in noi stessi senza che ne siamo consapevoli. «La saggezza di
tutti i Budda è difficile da credere e difficile da comprendere» afferma il capitolo
Hoben del Sutra del Loto. Alla luce di questi brani si scopre che lo scopo
fondamentale del Buddismo non ha a che fare con l’ottenimento di benefici
“visibili”, ma riguarda la progressiva presa di coscienza, da parte delle persone
comuni, del fondamentale beneficio invisibile che è l’emergere della natura di
Budda.
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La trasformazione dell’ichinen
Il Buddismo descrive la Legge fondamentale della vita come il principio mistico
di causa ed effetto. Nel Buddismo del Daishonin il manifestarsi della natura di
Budda è un effetto della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon,
ma a sua volta è anche la potenziale causa di progressive e radicali
trasformazioni della vita individuale, le quali originano dal profondo
cambiamento a livello dell’ichinen. L’ichinen è il modo in cui viviamo il singolo
attimo presente. Per fare un esempio, è esperienza abbastanza comune per
un praticante che una sofferenza che sembra insopportabile si sciolga
naturalmente durante la preghiera e si trasformi, nella nostra percezione, in un
problema normale e risolvibile. Nulla è cambiato durante la preghiera, se non
l’ichinen, cioè il modo di “sentire”.
Si può affermare che tutto il Buddismo riguarda soltanto questo breve
momento presente e gli infiniti tesori nascosti che esso contiene. Anche i
benefici della pratica sgorgano da questo breve attimo: «Poiché la vita non
dura che un momento, il Budda ha esposto i benefici che derivano da un
singolo momento di gioia [per avere ascoltato il Sutra del Loto]. Se avesse
detto che sono necessari due o tre momenti, non si potrebbe più parlare di
voto originale del Budda di grande e indiscriminata saggezza, di unico veicolo
dell’insegnamento immediato, di Legge che permette a tutti di raggiungere la
Buddità» (Domande e risposte sulla fede nel Sutra del Loto, Gli scritti di
Nichiren Daishonin, v. 7, p. 3).
È incredibile quanto questa trasformazione, apparentemente così
insignificante, possa provocare una vera e propria rivoluzione della vita
dell’individuo e del suo ambiente, la “rivoluzione umana”. Tutto origina
dall’ichinen, il quale, secondo la teoria buddista di ichinen sanzen, contiene in
sé tutte le potenziali manifestazioni fenomeniche dell’universo, abbracciando,
oltre all’individuo, anche l’ambito sociale e l’ambiente fisico.
Anche il principio buddista di interdipendenza, spiegando come tutti i fenomeni
siano in relazione tra di loro e si influenzino a vicenda come se fossero nodi di
una fitta rete, afferma che non esiste discontinuità tra l’ichinen individuale e
l’intero universo. Non dimentichiamo mai, quindi, che le ricompense “visibili”
che desideriamo e sperimentiamo grazie alla pratica non sono altro che
l’effetto del cambiamento dell’ichinen, il beneficio “incospicuo” di cui parla il
Gosho.
La libertà dal karma
Secondo la teoria del karma, qualsiasi caratteristica della vita individuale – la
nascita, le caratteristiche fisiche e psicologiche, la famiglia, il luogo e le
condizioni di nascita, l’ambiente sociale e naturale, gli eventi che formano la
storia personale, le gioie e i problemi, gli incontri, le malattie e la morte – non
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sono frutto del caso, ma sono determinati da cause poste in precedenza.
Dal punto di vista dello scorrere del tempo, la vita può dunque essere vista
come un eterno flusso, determinato dalla legge del karma, in cui le cause
poste producono effetti i quali, a loro volta, determinano nuove cause. Da
questo punto di vista sembra assai difficile modificare anche di poco il flusso
karmico, che assomiglia alla corrente impetuosa di un torrente che trascina a
valle la nostra vita. Principi come il karma, la Legge di causa ed effetto e
l’interdipendenza sembrano lasciare poco spazio alla libertà dell’individuo di
cambiare il proprio destino, tanto è vero che sia il Buddismo che le altre
religioni dell’India vengono spesso accusate di fatalismo.
Ma esiste un tempo e un luogo in cui è possibile modificare il flusso
inesorabile delle azioni e delle reazioni: il qui e ora. Il singolo istante presente,
o ichinen, racchiude in sé l’eternità, essendo in esso rappresentato l’intero
passato sotto forma di effetti e il futuro sotto forma di cause.
Il beneficio “incospicuo” della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, che
abbiamo descritto come trasformazione dell’ichinen, si manifesta quindi come
libertà, per un istante, di spezzare le catene karmiche che naturalmente ci
spingerebbero ad essere e ad agire come schiavi del passato senza inizio. Il
beneficio “incospicuo” è questa possibilità, che spesso sentiamo chiamare
“Budda di assoluta libertà”, e che in ciascun istante possiamo decidere se
sfruttare oppure no. Brani del Gosho come «il Budda afferma che dobbiamo
diventare padroni della nostra mente e non lasciare che la mente sia la nostra
padrona» (Lettera a Gijo Bo, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5, p. 3) o
«Shakyamuni insegnò che è facile abbracciare il superficiale, ma abbracciare
il profondo è difficile. Scartare il superficiale e ricercare il profondo richiede
coraggio» (Ripagare i debiti di gratitudine, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 2,
p. 115) esprimono la possibilità, il modo, ma anche la difficoltà di tradurre in
azione questo breve istante di libertà senza limiti.
La purificazione dei sei sensi
Utilizzare bene “un istante” di libertà non è facile, in quanto il karma si
manifesta a livello dei cinque sensi e della mente (le sei coscienze inferiori
nella classificazione delle nove coscienze) sotto forma di preconcetti e
illusioni, le quali costituiscono un grande ostacolo. È a causa delle illusioni che
la nostra percezione della realtà è incompleta, le idee che ci facciamo riguardo
ai fenomeni relativi alla nostra vita sono spesso erronee e di conseguenza il
nostro agire, invece di portarci a essere felici, spesso produce il risultato
opposto.
Ritenere che le cause della sofferenza siano fuori di noi, credere di poter
essere felici indipendentemente dagli altri, attendersi degli effetti senza aver
posto le cause, pensare che la sofferenza o la gioia durino per sempre, essere
convinti che possiamo essere felici solo in un altro luogo o in un altro tempo,
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sono solo alcuni esempi assai comuni di convinzioni sbagliate che ci
impediscono di creare un’esistenza felice. Per questo, nell’Ongi kuden
Nichiren descrive il beneficio della pratica buddista come la “purificazione dei
sei sensi”: la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’olfatto e la mente.
Attraverso questa purificazione, che è un altro effetto della trasformazione
dell’ichinen, possiamo migliorare la nostra capacità di percepire e
comprendere la realtà della vita e del nostro ambiente, e quindi possiamo
dirigere il nostro agire in modo da creare armonia e felicità in noi e intorno a
noi. Smaschereremo gli alibi e le scuse che ci siamo creati e in tal modo
conosceremo sempre meglio noi stessi, le nostre debolezze e i nostri punti di
forza, così come quelli degli altri. E non solo scopriremo che la realtà non è
soltanto quello che credevamo fosse, ma ci accorgeremo anche delle
potenzialità inespresse e infinite che la vita spesso ci nasconde.
Nel capitolo Juryo del Sutra del Loto Shakyamuni esprime il potere della
purificazione dei sei sensi quando afferma che «la mia terra pura non viene
distrutta, eppure la moltitudine la vede come se fosse consumata dal fuoco:
ansia, paura e altre sofferenze predominano in essa». La nostra vita, che ci
appare a volte come sofferenza insopportabile, è in realta la stessa vita del
Budda, la pura terra in cui le persone vivono “felici e a loro agio”. Anche
Nichiren esprime lo stesso concetto nel Gosho Lettera a Soya Nyudo: «Gli
spiriti affamati vedono il fiume Gange come fuoco, gli esseri umani vi vedono
l’acqua e gli esseri celesti lo vedono come amrita. L’acqua è sempre uguale,
ma appare diversamente secondo la capacità karmica degli individui» (Gli
scritti di Nichiren Daishonin, v. 7 p. 147).
La trasformazione della sofferenza
Il beneficio fondamentale della pratica buddista è “incospicuo”, ma se non ci
aiutasse ad affrontare le sofferenze della vita quotidiana sarebbe inutile, e
neppure avremmo un metodo per verificare che tale beneficio esista
veramente. Ma cosa vuol dire trasformare la sofferenza?
Shakyamuni volle superare le sofferenze della vita eppure, come tutti gli esseri
viventi, invecchiò, si ammalò più volte e alla fine non potè sfuggire alla morte.
Ai nostri occhi, apparentemente, persino il Budda non riuscì a sottrarsi alle
sofferenze. Eppure tutti i sutra affermano che egli ottenne la liberazione da
esse e impiegò il resto della sua vita a insegnare ai suoi discepoli come fare lo
stesso. Evidentemente il tipo di “beneficio” sperimentato dal Budda non fu
quello di non soffrire più: se avessimo una simile aspettativa per noi stessi
dobbiamo comprendere che non otterremo alcuna risposta.
In un brano del Gosho Le quattordici offese si legge: «Osservando
attentamente il mondo, Sessen Doji comprese che, per la legge
dell’impermanenza della vita, tutto ciò che nasce è destinato a morire. La
transitorietà di questo mondo fuggevole è simile alla luce di un lampo, alla
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rugiada che svanisce al sole del mattino, alla lampada che è spenta facilmente
dal vento o alle fragili foglie del banano. Nessuno può sfuggire a questa
impermanenza: alla fine tutti faremo il viaggio alle sorgenti gialle» (Gli scritti di
Nichiren Daishonin, v. 5, p. 171). Eppure, nonostante l’impermanenza sia una
verità evidente per chiunque, le illusioni che originano dalla nostra mente ci
impediscono spesso di accettarne la realtà. Così come non accettiamo
facilmente che i momenti di gioia siano destinati a finire, mentre soffriamo ci è
difficile percepire che anche la sofferenza è impermanente, cioè che non dura
per sempre e che è possibile superarla, e cadiamo preda della disperazione.
Ma per chi pratica la sofferenza è uno stimolo a pregare il Gohonzon, e
l’effetto di tale azione è la trasformazione del mondo di Inferno nel mondo di
Budda, un evento che ribalta completamente il nostro modo di percepire la
situazione e quindi di agire per cambiarla. Come afferma Ikeda nella
Saggezza del Sutra del Loto (edizioni Esperia, v. I, p. 96), «il problema è
l’espediente che conduce alla verità. Anche dopo aver abbracciato la fede
abbiamo delle sofferenze, dei problemi che sembrano senza via d’uscita. Ma
ora qualunque cosa ci accada rappresenta un’opportunità per dare una prova
della nostra fede».
La trasformazione della sofferenza è un beneficio “cospicuo” o visibile che
deriva da un cambiamento profondo a livello dell’ichinen. Nel Gosho I tre tipi di
tesori è spiegata questa relazione tra cambiamento interiore e manifestazione
di tale cambiamento all’esterno: «Un importante principio buddista dice che “la
fragranza interna otterrà protezione esterna”[…] Il Daijo kishin ron di
Ashvagosha afferma: “Quando la natura di Budda si manifesta continuamente,
spariscono subito le illusioni e appare il corpo della Legge”. Lo Yuga ron del
bodhisattva Maitreya contiene un’affermazione simile. Un’azione invisibile
produrrà un beneficio visibile» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5 p. 171. Su
questa frase vedi anche Buddismo e Società, n. 97, p. 6).
Il potere della fede
I benefici visibili rappresentano, soprattutto all’inizio della pratica, un elemento
fondamentale per costruire una salda fede nel Gohonzon.
Avere fede nel Gohonzon vuol dire credere nel potenziale infinito insito nella
nostra vita, nella possibilità di trasformare qualsiasi problema in un’esperienza
e qualsiasi sofferenza in gioia. Una fede che nasce e si rafforza attraverso
l’esperienza ci rende pian piano sempre più liberi dalla paura di dover
affrontare nuove difficoltà, estendendo i nostri limiti via via più lontano.
La grandezza del potere della fede è descritta, ad esempio, nel Gosho Il
generale Tigre di Pietra (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 4, p. 181), in cui è
raccontata la storia di un leggendario guerriero di nome Li Kuang, il quale
scoccò una freccia che si conficcò profondamente in una roccia soltanto
perché egli credette senza alcun dubbio di mirare alla tigre che aveva ucciso
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suo madre.
Per chi pratica il Buddismo di Nichiren, è attraverso la fede che è possibile
attingere all’infinito potere di Nam-myoho-renge-kyo, che è «come una goccia
del grande oceano che contiene in sé tutta l’acqua di tutti i fiumi che vi
sfociano e come la gemma che realizza i desideri, la quale, sebbene non sia
più grande di un granello di senape, è in grado di far apparire tutti i tesori di
tutte le gemme che realizzano i desideri» (Il Daimoku del Sutra del Loto).
La storia di Li Kuang mostra che la cosa più importante è che la fede sia
assoluta nel preciso momento dell’azione. Nel nostro caso il momento
dell’azione corrisponde alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo. Quando
recitiamo è necessaria una fede completamente libera dal dubbio. In tal modo
l’ichinen non si disperde e non si distrae, ma è completamente concentrato
nella straordinaria impresa di trasformare l’impossibile in possibile. Nessuno
può evitare i problemi, ma il consolidamento della fede consiste proprio nello
stabilire un ichinen sempre meno soggetto alle tempeste della vita. Il
presidente Ikeda paragona l’alto stato vitale che scaturisce dalla fede alla
profondità dell’oceano, che non viene turbata dalle tempeste che avvengono in
superficie.
La fede è in stretta relazione con la felicità stessa. Nel Gosho Felicità in
questo mondo si legge che «non c’è felicità più grande che avere fede nel
Sutra del Loto. Esso assicura “pace e sicurezza in questa vita e circostanze
favorevoli nella prossima”» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 4, p. 157).
Solo con la fede si può accedere alla Buddità, il beneficio “incospicuo” che gli
esseri umani non sono in grado di percepire né comprendere con le loro
capacità. Per questo “coltivare” la propria fede è la cosa più importante, è la
causa fondamentale per l’ottenimento di ogni genere di benefici.
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  • 1. Buddismo e Società n.98 - maggio giugno 2003 Principi fondamentali I benefici Giulio Mario Rampelli Solo con la fede si può accedere alla Buddità, il beneficio “incospicuo” che gli esseri umani non sono in grado di percepire né di comprendere con le loro capacità da “comuni mortali”. Avere fede nel Gohonzon vuol dire credere nel potenziale infinito insito nella nostra vita, nella possibilità di trasformare qualsiasi problema in un’esperienza e qualsiasi sofferenza in gioia. Per questo “coltivare” la propria fede è la cosa più importante, è la causa fondamentale per l’ottenimento di ogni genere di benefici. Una fede che nasce e si rafforza attraverso l’esperienza ci rende pian piano sempre più liberi dalla paura di dover affrontare nuove difficoltà, estendendo i nostri limiti via via più lontano Il beneficio “incospicuo” Tutti noi abbiamo iniziato a praticare con delle aspettative. Smettere di soffrire per qualcosa, realizzare un sogno, o anche semplicemente sentirsi “spiritualmente” appagati. In assenza di esperienza di pratica, le nostre aspettative nascevano dall’aver sentito raccontare di benefici ottenuti da qualcuno di cui ci fidavamo. Per chi inizia, spesso la risposta più gradita alle proprie “preghiere” è rappresentata dai benefici visibili e materiali, e senza di essi probabilmente un principiante non continuerebbe con lo stesso entusiasmo. Ma, a distanza di anni, è necessario interrogarsi sinceramente sulle nostre aspettative e sulla qualità dei risultati che abbiamo ottenuto: qual è il reale beneficio della pratica buddista? Nel Gosho L’insegnamento, la pratica e la prova leggiamo che «le persone nate oggi, nell’Ultimo giorno della Legge, ricevono il seme della Buddità per la prima volta, e il loro beneficio è quindi incospicuo» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 6, p. 201). Come è spiegato in un brano successivo, “incospicuo” significa che «le persone non possono né percepirli né comprenderli». Il motivo di questa affermazione è che il beneficio fondamentale della pratica buddista è l’Illuminazione, il risveglio della natura di Budda che risiede profondamente in noi stessi senza che ne siamo consapevoli. «La saggezza di tutti i Budda è difficile da credere e difficile da comprendere» afferma il capitolo Hoben del Sutra del Loto. Alla luce di questi brani si scopre che lo scopo fondamentale del Buddismo non ha a che fare con l’ottenimento di benefici “visibili”, ma riguarda la progressiva presa di coscienza, da parte delle persone comuni, del fondamentale beneficio invisibile che è l’emergere della natura di Budda. Buddismo e Società - Numero 181 http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='357' 1 di 6 21/03/2017 23:02
  • 2. La trasformazione dell’ichinen Il Buddismo descrive la Legge fondamentale della vita come il principio mistico di causa ed effetto. Nel Buddismo del Daishonin il manifestarsi della natura di Budda è un effetto della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon, ma a sua volta è anche la potenziale causa di progressive e radicali trasformazioni della vita individuale, le quali originano dal profondo cambiamento a livello dell’ichinen. L’ichinen è il modo in cui viviamo il singolo attimo presente. Per fare un esempio, è esperienza abbastanza comune per un praticante che una sofferenza che sembra insopportabile si sciolga naturalmente durante la preghiera e si trasformi, nella nostra percezione, in un problema normale e risolvibile. Nulla è cambiato durante la preghiera, se non l’ichinen, cioè il modo di “sentire”. Si può affermare che tutto il Buddismo riguarda soltanto questo breve momento presente e gli infiniti tesori nascosti che esso contiene. Anche i benefici della pratica sgorgano da questo breve attimo: «Poiché la vita non dura che un momento, il Budda ha esposto i benefici che derivano da un singolo momento di gioia [per avere ascoltato il Sutra del Loto]. Se avesse detto che sono necessari due o tre momenti, non si potrebbe più parlare di voto originale del Budda di grande e indiscriminata saggezza, di unico veicolo dell’insegnamento immediato, di Legge che permette a tutti di raggiungere la Buddità» (Domande e risposte sulla fede nel Sutra del Loto, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 7, p. 3). È incredibile quanto questa trasformazione, apparentemente così insignificante, possa provocare una vera e propria rivoluzione della vita dell’individuo e del suo ambiente, la “rivoluzione umana”. Tutto origina dall’ichinen, il quale, secondo la teoria buddista di ichinen sanzen, contiene in sé tutte le potenziali manifestazioni fenomeniche dell’universo, abbracciando, oltre all’individuo, anche l’ambito sociale e l’ambiente fisico. Anche il principio buddista di interdipendenza, spiegando come tutti i fenomeni siano in relazione tra di loro e si influenzino a vicenda come se fossero nodi di una fitta rete, afferma che non esiste discontinuità tra l’ichinen individuale e l’intero universo. Non dimentichiamo mai, quindi, che le ricompense “visibili” che desideriamo e sperimentiamo grazie alla pratica non sono altro che l’effetto del cambiamento dell’ichinen, il beneficio “incospicuo” di cui parla il Gosho. La libertà dal karma Secondo la teoria del karma, qualsiasi caratteristica della vita individuale – la nascita, le caratteristiche fisiche e psicologiche, la famiglia, il luogo e le condizioni di nascita, l’ambiente sociale e naturale, gli eventi che formano la storia personale, le gioie e i problemi, gli incontri, le malattie e la morte – non Buddismo e Società - Numero 181 http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='357' 2 di 6 21/03/2017 23:02
  • 3. sono frutto del caso, ma sono determinati da cause poste in precedenza. Dal punto di vista dello scorrere del tempo, la vita può dunque essere vista come un eterno flusso, determinato dalla legge del karma, in cui le cause poste producono effetti i quali, a loro volta, determinano nuove cause. Da questo punto di vista sembra assai difficile modificare anche di poco il flusso karmico, che assomiglia alla corrente impetuosa di un torrente che trascina a valle la nostra vita. Principi come il karma, la Legge di causa ed effetto e l’interdipendenza sembrano lasciare poco spazio alla libertà dell’individuo di cambiare il proprio destino, tanto è vero che sia il Buddismo che le altre religioni dell’India vengono spesso accusate di fatalismo. Ma esiste un tempo e un luogo in cui è possibile modificare il flusso inesorabile delle azioni e delle reazioni: il qui e ora. Il singolo istante presente, o ichinen, racchiude in sé l’eternità, essendo in esso rappresentato l’intero passato sotto forma di effetti e il futuro sotto forma di cause. Il beneficio “incospicuo” della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, che abbiamo descritto come trasformazione dell’ichinen, si manifesta quindi come libertà, per un istante, di spezzare le catene karmiche che naturalmente ci spingerebbero ad essere e ad agire come schiavi del passato senza inizio. Il beneficio “incospicuo” è questa possibilità, che spesso sentiamo chiamare “Budda di assoluta libertà”, e che in ciascun istante possiamo decidere se sfruttare oppure no. Brani del Gosho come «il Budda afferma che dobbiamo diventare padroni della nostra mente e non lasciare che la mente sia la nostra padrona» (Lettera a Gijo Bo, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5, p. 3) o «Shakyamuni insegnò che è facile abbracciare il superficiale, ma abbracciare il profondo è difficile. Scartare il superficiale e ricercare il profondo richiede coraggio» (Ripagare i debiti di gratitudine, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 2, p. 115) esprimono la possibilità, il modo, ma anche la difficoltà di tradurre in azione questo breve istante di libertà senza limiti. La purificazione dei sei sensi Utilizzare bene “un istante” di libertà non è facile, in quanto il karma si manifesta a livello dei cinque sensi e della mente (le sei coscienze inferiori nella classificazione delle nove coscienze) sotto forma di preconcetti e illusioni, le quali costituiscono un grande ostacolo. È a causa delle illusioni che la nostra percezione della realtà è incompleta, le idee che ci facciamo riguardo ai fenomeni relativi alla nostra vita sono spesso erronee e di conseguenza il nostro agire, invece di portarci a essere felici, spesso produce il risultato opposto. Ritenere che le cause della sofferenza siano fuori di noi, credere di poter essere felici indipendentemente dagli altri, attendersi degli effetti senza aver posto le cause, pensare che la sofferenza o la gioia durino per sempre, essere convinti che possiamo essere felici solo in un altro luogo o in un altro tempo, Buddismo e Società - Numero 181 http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='357' 3 di 6 21/03/2017 23:02
  • 4. sono solo alcuni esempi assai comuni di convinzioni sbagliate che ci impediscono di creare un’esistenza felice. Per questo, nell’Ongi kuden Nichiren descrive il beneficio della pratica buddista come la “purificazione dei sei sensi”: la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’olfatto e la mente. Attraverso questa purificazione, che è un altro effetto della trasformazione dell’ichinen, possiamo migliorare la nostra capacità di percepire e comprendere la realtà della vita e del nostro ambiente, e quindi possiamo dirigere il nostro agire in modo da creare armonia e felicità in noi e intorno a noi. Smaschereremo gli alibi e le scuse che ci siamo creati e in tal modo conosceremo sempre meglio noi stessi, le nostre debolezze e i nostri punti di forza, così come quelli degli altri. E non solo scopriremo che la realtà non è soltanto quello che credevamo fosse, ma ci accorgeremo anche delle potenzialità inespresse e infinite che la vita spesso ci nasconde. Nel capitolo Juryo del Sutra del Loto Shakyamuni esprime il potere della purificazione dei sei sensi quando afferma che «la mia terra pura non viene distrutta, eppure la moltitudine la vede come se fosse consumata dal fuoco: ansia, paura e altre sofferenze predominano in essa». La nostra vita, che ci appare a volte come sofferenza insopportabile, è in realta la stessa vita del Budda, la pura terra in cui le persone vivono “felici e a loro agio”. Anche Nichiren esprime lo stesso concetto nel Gosho Lettera a Soya Nyudo: «Gli spiriti affamati vedono il fiume Gange come fuoco, gli esseri umani vi vedono l’acqua e gli esseri celesti lo vedono come amrita. L’acqua è sempre uguale, ma appare diversamente secondo la capacità karmica degli individui» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 7 p. 147). La trasformazione della sofferenza Il beneficio fondamentale della pratica buddista è “incospicuo”, ma se non ci aiutasse ad affrontare le sofferenze della vita quotidiana sarebbe inutile, e neppure avremmo un metodo per verificare che tale beneficio esista veramente. Ma cosa vuol dire trasformare la sofferenza? Shakyamuni volle superare le sofferenze della vita eppure, come tutti gli esseri viventi, invecchiò, si ammalò più volte e alla fine non potè sfuggire alla morte. Ai nostri occhi, apparentemente, persino il Budda non riuscì a sottrarsi alle sofferenze. Eppure tutti i sutra affermano che egli ottenne la liberazione da esse e impiegò il resto della sua vita a insegnare ai suoi discepoli come fare lo stesso. Evidentemente il tipo di “beneficio” sperimentato dal Budda non fu quello di non soffrire più: se avessimo una simile aspettativa per noi stessi dobbiamo comprendere che non otterremo alcuna risposta. In un brano del Gosho Le quattordici offese si legge: «Osservando attentamente il mondo, Sessen Doji comprese che, per la legge dell’impermanenza della vita, tutto ciò che nasce è destinato a morire. La transitorietà di questo mondo fuggevole è simile alla luce di un lampo, alla Buddismo e Società - Numero 181 http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='357' 4 di 6 21/03/2017 23:02
  • 5. rugiada che svanisce al sole del mattino, alla lampada che è spenta facilmente dal vento o alle fragili foglie del banano. Nessuno può sfuggire a questa impermanenza: alla fine tutti faremo il viaggio alle sorgenti gialle» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5, p. 171). Eppure, nonostante l’impermanenza sia una verità evidente per chiunque, le illusioni che originano dalla nostra mente ci impediscono spesso di accettarne la realtà. Così come non accettiamo facilmente che i momenti di gioia siano destinati a finire, mentre soffriamo ci è difficile percepire che anche la sofferenza è impermanente, cioè che non dura per sempre e che è possibile superarla, e cadiamo preda della disperazione. Ma per chi pratica la sofferenza è uno stimolo a pregare il Gohonzon, e l’effetto di tale azione è la trasformazione del mondo di Inferno nel mondo di Budda, un evento che ribalta completamente il nostro modo di percepire la situazione e quindi di agire per cambiarla. Come afferma Ikeda nella Saggezza del Sutra del Loto (edizioni Esperia, v. I, p. 96), «il problema è l’espediente che conduce alla verità. Anche dopo aver abbracciato la fede abbiamo delle sofferenze, dei problemi che sembrano senza via d’uscita. Ma ora qualunque cosa ci accada rappresenta un’opportunità per dare una prova della nostra fede». La trasformazione della sofferenza è un beneficio “cospicuo” o visibile che deriva da un cambiamento profondo a livello dell’ichinen. Nel Gosho I tre tipi di tesori è spiegata questa relazione tra cambiamento interiore e manifestazione di tale cambiamento all’esterno: «Un importante principio buddista dice che “la fragranza interna otterrà protezione esterna”[…] Il Daijo kishin ron di Ashvagosha afferma: “Quando la natura di Budda si manifesta continuamente, spariscono subito le illusioni e appare il corpo della Legge”. Lo Yuga ron del bodhisattva Maitreya contiene un’affermazione simile. Un’azione invisibile produrrà un beneficio visibile» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5 p. 171. Su questa frase vedi anche Buddismo e Società, n. 97, p. 6). Il potere della fede I benefici visibili rappresentano, soprattutto all’inizio della pratica, un elemento fondamentale per costruire una salda fede nel Gohonzon. Avere fede nel Gohonzon vuol dire credere nel potenziale infinito insito nella nostra vita, nella possibilità di trasformare qualsiasi problema in un’esperienza e qualsiasi sofferenza in gioia. Una fede che nasce e si rafforza attraverso l’esperienza ci rende pian piano sempre più liberi dalla paura di dover affrontare nuove difficoltà, estendendo i nostri limiti via via più lontano. La grandezza del potere della fede è descritta, ad esempio, nel Gosho Il generale Tigre di Pietra (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 4, p. 181), in cui è raccontata la storia di un leggendario guerriero di nome Li Kuang, il quale scoccò una freccia che si conficcò profondamente in una roccia soltanto perché egli credette senza alcun dubbio di mirare alla tigre che aveva ucciso Buddismo e Società - Numero 181 http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='357' 5 di 6 21/03/2017 23:02
  • 6. suo madre. Per chi pratica il Buddismo di Nichiren, è attraverso la fede che è possibile attingere all’infinito potere di Nam-myoho-renge-kyo, che è «come una goccia del grande oceano che contiene in sé tutta l’acqua di tutti i fiumi che vi sfociano e come la gemma che realizza i desideri, la quale, sebbene non sia più grande di un granello di senape, è in grado di far apparire tutti i tesori di tutte le gemme che realizzano i desideri» (Il Daimoku del Sutra del Loto). La storia di Li Kuang mostra che la cosa più importante è che la fede sia assoluta nel preciso momento dell’azione. Nel nostro caso il momento dell’azione corrisponde alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo. Quando recitiamo è necessaria una fede completamente libera dal dubbio. In tal modo l’ichinen non si disperde e non si distrae, ma è completamente concentrato nella straordinaria impresa di trasformare l’impossibile in possibile. Nessuno può evitare i problemi, ma il consolidamento della fede consiste proprio nello stabilire un ichinen sempre meno soggetto alle tempeste della vita. Il presidente Ikeda paragona l’alto stato vitale che scaturisce dalla fede alla profondità dell’oceano, che non viene turbata dalle tempeste che avvengono in superficie. La fede è in stretta relazione con la felicità stessa. Nel Gosho Felicità in questo mondo si legge che «non c’è felicità più grande che avere fede nel Sutra del Loto. Esso assicura “pace e sicurezza in questa vita e circostanze favorevoli nella prossima”» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 4, p. 157). Solo con la fede si può accedere alla Buddità, il beneficio “incospicuo” che gli esseri umani non sono in grado di percepire né comprendere con le loro capacità. Per questo “coltivare” la propria fede è la cosa più importante, è la causa fondamentale per l’ottenimento di ogni genere di benefici. Buddismo e Società - Numero 181 http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='357' 6 di 6 21/03/2017 23:02