2. La storia tormentata di un Paese uscito dal colonialismo mezzo secolo fa
e che non è mai riuscito ad arrivare ad un assetto pacifico e definitivo
Somalia: dall'indipendenza del 1960
agli orrori di "Black Hawk down"
Una scena del film Black Hawk Down
Novembre 1949: L'Assemblea generale delle Nazioni Unite approva un piano che assegna all'Italia i
suoi ex domini coloniali in Somalia. Si tratta di un'amministrazione fiduciaria, per un periodo di
dieci anni (1950-1960), in vista della concessione dell'indipendenza.
1° luglio 1960 - La Somalia italiana diventa uno Stato indipendente. Gli ex domini coloniali
britannici (nord-ovest) e italiani (sud) si uniscono a formare la Repubblica di Somalia. Aden
Abdullah Osman Daar è il primo presidente della nuova nazione. Il protettorato britannico del
Somaliland ottiene l'indipendenza
1967 - Abdi Rashid Alì Shirmarke diventa presidente.
15 ottobre 1969 - Shirmarke viene assassinato da una delle sue guardie del corpo. Alcuni giorni
dopo, un colpo di stato militare porta al potere Muhammad Siad Barre.
1970 - Barre dichiara la Somalia stato socialista e nazionalizza la maggior parte delle attività
economiche del paese.
1974 - La Somalia diventa membro della Lega Araba. Carestia provocata dalla siccità. Continua la
nazionalizzazione.
1977 - La guerra a bassa intensità tra ribelli appoggiati dal governo somalo e l'esercito etiopico si
trasforma in un conflitto tra i due Paesi. Il gruppo etnico somalo della regione etiope dell'Ogaden
inizia a combattere per la propria autodeterminazione; la Somalia, invia in rinforzo anche le
proprie truppe. Circa due milioni Di profughi cercano rifugio in Somalia.
1978 - A marzo il governo somalo annuncia il suo ritiro dalla regione dell'Ogaden. L'Etiopia,
sostenuta da Cuba e dall'URSS, ripristina il controllo sulla regione e dà sostegno ai movimenti
dissidenti della Somalia, stanziati soprattutto nel Nord del paese. Gli Stati Uniti forniscono aiuti
3. umanitari e militari a entrambi i contendenti in cambio dell'utilizzo della base navale di Berbera,
impiegata in precedenza dai sovietici.
8 aprile un gruppo di ufficiali dell'esercito cerca di rovesciare il regime di Siad Barre senza
successo.
1978-
1978-81 - Viene fondato il primo movimento di opposizione armata al regime di Siad Barre: il
Fronte di Salvezza Somalo (FSS), che nel 1981 diventa il Fronte Democratico di Salvezza Somalo
(FDSS). Ysuf ne è il leader
1988 - Trattato di pace con l'Etiopia. Il Movimento nazionalista somalo scatena un'offensiva nel
nord del paese. Siad Barre risponde bombardando la regione. Centinaia di migliaia di civili sono
sfollati e molti perdono la vita. Alla fine degli anni Ottanta emergono altri movimenti di
opposizione, sostenuti dai diversi gruppi etnici.
Maggio 1990 - A Mogadiscio 144 personalità del paese, in rappresentanza di tutti i clan somali.
firmano un manifesto per chiedere la convocazione una conferenza di riconciliazione.
30 dicembre 1990 - Scoppia a Mogadiscio una rivolta armata.
Gennaio 1991 - Siad Barre fugge dalla Somalia.
28 gennaio 1991 - Il gruppo dello United Somali Congress (USC) nomina Ali Mahdi Muhammad
presidente. L'ala militare del gruppo, comandata dal generale Muhammad Farah Aidid, respinge la
nomina.
17 Novembre 1991 - Comincia la guerra tra le due fazioni dell'USC.
Novembre
18 maggio 1991 - L'ex protettorato britannico del Somailand dichiara l'indipendenza dal resto
della Somalia.
1991 - La guerra civile riprende vigore.
24 aprile 1992 - Inizia la missione Onusom I: un contingente della forza di pace delle Nazioni
Unite viene inviato in Somalia nel tentativo di restaurare l'ordine e di permettere alle
organizzazioni internazionali di riprendere la distribuzione di viveri e fornire assistenza
umanitaria.
9 dicembre 1992 - Le truppe della missione Restore Hope ("Riportare la speranza") giungono in
Somalia. L'operazione fallisce e nel marzo del 1995 le forze dell'Onusom abbandonano un paese
lacerato da un conflitto ancora più aspro tra le fazioni rivali del generale Mohamed Farah Aidid e di
Mohamed Alì Mahdi. Circa 50.000 le persone uccise in scontri armati tra opposte fazioni e quasi
300.000 i morti a causa della difficoltà di distribuire aiuti e cibo nel paese devastato dalla guerra
26 maggio 1993 - Ha inizio la missione Onusom II
maggio
15 marzo 1993 - Firma degli accordi di Mogadiscio, che prevedono l'indizione di elezioni
4. democratiche e l'insediamento di un governo legittimato dal voto popolare. Non verranno mai
applicati.
5 giugno 1993 - Le forze del contingente di pace sono attaccate dagli uomini del generale Aidid:
25 pachistani sono uccisi, 10 uomini dispersi, 54 feriti.
12 luglio 1993 - Un elicottero americano uccide più di 50 somali riuniti in un'abitazione privata a
Mogadiscio, accrescendo l'ostilità verso le forze di intervento internazionali.
3 ottobre 1993 - I miliziani del generale Aidid abbattono un elicottero di Rangers americani
impegnati in un'operazione di rastrellamento. Perdono la vita 18 uomini e 75 sono feriti. E' la
vicenda narrata nel film "Black Hawk down".
24 marzo 1994 - I generali Ali Madi e Aidid firmano la Dichiarazione di riconciliazione nazionale,
impegnandosi a porre fine alle ostilità. L'accordo non sarà mai applicato.
28 marzo 1995 - Le forze Onu in Somalia si ritirano definitivamente.
1996 - Il generale Aidid muore in battaglia. Gli succede il figlio Hussein.
1997 - Si succedono incontri e accordi tra fazioni per cercare di ristabilire un'autorità centrale. Le
condizioni della popolazione sono critiche. Centiniaia sono le bande armate fuori da ogni
controllo. A novembre i leader delle fazioni somale si riuniscono al Cairo, ma non riescono a
raggiungere un accordo.
Il Somaliland ha ricostruito un vero e proprio stato con una Costituzione, un Parlamento e un
ristretto numero di funzionari (circa 6000, su una popolazione di due milioni di abitanti). In altre
regioni del paese (ad esempio nel Puntland, nel Bari, nel Nugal e nel Mudug) sono invece sorti dei
governi su base dei clan, che hanno assicurato una certa stabilità e la ripresa di una minima
attività economica. A differenza del Somaliland, queste strutture "quasi statali" non hanno
proclamato formalmente l'indipendenza, né si sono espresse a favore della ricostituzione di uno
stato centrale. Una buona parte della Somalia, soprattutto la fascia meridionale e la regione di
Mogadiscio, è rimasta invece in preda a un violento conflitto, alimentato dalla rivalità dei vari
signori della guerra e, tra il 1998 e il 2000, anche dalla guerra tra l'Eritrea e l'Etiopia, che ha visto
1998-
1998-2000 - guerra tra l'Eritrea e l'Etiopia, con la partecipazione delle milizie di alcuni clan al
fianco delle truppe di Asmara.
5. Nel Paese rimangono solo 1500 caschi blu dell'Unione africana
Infuria lo scontro tra governativi e Al Shabab vicini ad Al Qaeda
Il dramma della Somalia in guerra
Comunità internazionale impotente
I giornalisti non lavorano più dopo che molti sono stati uccisi
Oggi colpita una moschea: 13 morti. Si parla di 150 mila vittime
di DANIELE MASTROGIACOMO
Rifugiati somali in Kenya
Hanno rinunciato tutti: Etiopia, Europa, Stati Uniti, Nazioni Unite. Solo l'Unione africana, con 1500
caschi blu burundesi e ugandesi, resiste in quell'inferno. Poco e male. Sia Bujumbura sia Kampala
hanno annunciato al presidente Muhammar Gheddafi che la loro pazienza e resistenza si stanno
esaurendo. Così, dal 7 maggio scorso, in Somalia, in un clima di generale rassegnazione si sta
consumando uno degli scontri più cruenti degli ultimi anni. Le forze del governo transitorio
nazionale, guidate dall'ex capo delle Corti islamiche e oggi presidente della Somalia, lo sceicco
Sharif Sheick Ahmed, cercano disperatamente di erodere sacche di territorio alle milizie degli Al
Shabab, legate ad Al Qaeda e dirette dallo sceicco Hassan Dahir Aweys, ormai padrone dei due
terzi del Paese. Si lotta corpo a corpo per conquistare fette di quartieri a Mogadiscio. Poche decine
di metri, tra la gente che ormai resta rintanata in casa, con raffiche di proiettili che rimbalzano sui
muri delle case, sbriciolano alberi, carcasse di auto bruciate, bombe artigianali piazzate sui cigli
delle strade dissestate e che esplodono come fossero fuochi d'artificio. Nessuno è al sicuro: è di
oggi la notizia di un colpo di mortaio che ha colpito una moschea provocando almeno 13 vittime.
Oltre 120 mila persone, per l'ennesima volta, sono costrette a fuggire. Fuggono da una città
trasformata in una terra di nessuno, dove infuriano battaglie improvvise, cecchini piazzati dietro i
muretti di quelle che un tempo erano case povere ma dignitose, squadre di giovanissimi armati di
kalashnikov nuovi di zecca, il viso nascosto dalle kefie rosse e nere, decisi a imporre un emirato
dominato e regolato dalla sharia più radicale. "Anche noi abbiamo i nostri talebani", commentano
sarcastici e rassegnati i grandi notabili e i ricchi commercianti da tempo ripiegati a Nairobi. Il
Kenya è allarmato. Teme che la spinta degli Al Shabab possa varcare i suoi confini. L'Italia, in uno
slancio di ottimismo, ha annunciato la prossima apertura di un'ambasciata. Ma sa bene, sulla base
dei resoconti forniti dalla nostra intelligence, che si tratta solo di una nobile intenzione.
6. La realtà, sul terreno, spinge al pessimismo. Ieri mattina, al termine dell'ennesima battaglia tra i
vicoli di Mogadiscio, sono rimasti tra la polvere di un'estate caldissima i corpi di otto persone. Uno
apparteneva al capo della polizia. La notizia è stata confermata dal portavoce del governatore, il
colonnello Abdulahi Hassan Barise: "Il colonnello Alì Said è tra le vittime. Che Dio lo accolga". Le
informazioni arrivano in modo confuso. Si è dissolta quella rete di giornalisti e stringer che ogni
giorno uscivano per strada e raccontavano al mondo quanto accadeva in Somalia. In due mesi,
sono morti in cinque. Due direttori di una delle più ascoltate radio del Paese, che pubblicava
notizie anche su un sito web e tre cronisti di altre due emittenti. Sono stati freddati mentre
tornavano a casa. Non sono rimasti vittime di una sparatoria improvvisa. Li hanno colpiti
deliberatamente alle spalle, dopo lunghe e continue minacce. Una settimana fa l'associazione dei
giornalisti somali ha gettato la spugna: "Ci stanno uccidendo uno alla volta. Basta, da oggi
smettiamo di lavorare".
A differenza dell'Iraq, l'Iraq dei momenti peggiori, non esiste un'associazione, un organismo,
qualcuno che aggiorni il numero delle vittime tra i civili. Un calcolo approssimativo parla di almeno
150 mila morti. Ma fonti indipendenti stimano che siano molti di più. La guerra, una guerra
selvaggia che concede solo rari momenti di tregua, produce enormi danni collaterali: non ci sono
medicine, le poche che arrivano attraverso l'Oms e il Pam finiscono in fretta o vengono razziate da
chi imbraccia le armi. Così il cibo. Senza un controllo sistematico le derrate vengono sequestrate e
poi rivendute al mercato nero. Le denunce si susseguono. Inutilmente. Persino le Nazioni Unite,
sollecitate a prendere delle iniziative, si tengono alla larga. Il segretario generale Ban Ki-Moon ha
chiaramente detto che "non ci sono le condizioni di sicurezza" per organizzare una nuova
missione di peace keeping.
I soli a resistere sono i soldati, pochi e male equipaggiati, del governo transitorio nazionale. Gli Al
Shabab, ben armati e ben motivati, adesso rischiano di conquistare anche le regioni a est.
Dall'inferno somalo arriva un'unica notizia confortante: le trattative per il rilascio dei 16 marinai
del rimorchiatore italiano Bucaneer sarebbero alla stretta finale.
(17 giugno 2009)