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CONTENUTI
PREFAZIONE 1
EXECUTIVE SUMMARY 3
NOTA METODOLOGICA 8
SCENARI E PROSPETTIVE 9
GIORNALISMO, AI, E NUOVE RESPONSABILITÀ DIGITALI
LUCIANO FLORIDI E GUIDO ROMEO 10
LA DATIFICAZIONE DEL GIORNALISMO
COLIN PORLEZZA 13
NUOVE PROSPETTIVE PER IL GIORNALISMO
RICHARD GINGRAS 18
UN RUOLO CENTRALE PER I GIORNALISTI
ELENA GOLINO 26
IL PLURALISMO INFORMATIVO TRA TEORIE DEI MEDIA E
(LIMITI DELLA) TUTELA NORMATIVA. PROPOSTE PER UNA
EVIDENCE-BASED REGULATION
ELISA GIOMI 30
IL DIFFICILE RAPPORTO TRA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E
C.D. DIRITTO ALL’OBLIO
GUIDO SCORZA 38
UN PUZZLE COMPLICATO
ANTONIO ROSSANO 45
APPROFONDIMENTI TEMATICI 54
LEGGERE LA NUOVA COMPLESSITÀ. GLI EFFETTI DEL
DIGITALE SULLE STRATEGIE DELL’INDUSTRIA ITALIANA DEI
QUOTIDIANI
LELIO SIMI 55
GIORNALISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
ALESSIA PIZZI 78
IL PLURALISMO DELL’INFORMAZIONE ALLA PROVA DELLA
CRISI DI FIDUCIA NEI MEDIA
DAVIDE BENNATO 105
1
Con il web vi è la possibilità di accedere ad
una infinità di fonti di informazione, a una
molteplicità di strumenti, piattaforme, canali.
Una multiformità di opportunità in continua
evoluzione. L’ecosistema digitale offre la
possibilità a tutti di parlare a tutti, o almeno
offre questa illusione. Ognuno può cercare
un palcoscenico per dire la propria, così
come milioni di soggetti riversano nel web e
nei social materiali informativi di ogni tipo.
Senza disconoscere le grandi opportunità
della rete, non possiamo ignorare gli effetti
distorsivi che avvengono sui social media.
Viviamo in un gigantesco mercato mondiale
dei dati personali gestito dalle grandi
piattaforme che sfuggono, di fatto, a
qualsiasi regola, perfino di natura fiscale.
In questo quadro, l’informazione
professionale assume una nuova
importanza, il giornalismo può costituire un
punto di riferimento per offrire serietà e
trasparenza. Per questo il giornalista, nella
nuova dimensione della comunicazione
digitale, deve avere ancora più attenzione ai
propri doveri: verifica rigorosa delle fonti,
continenza nel linguaggio, accuratezza della
narrazione, rispetto della persona.
Da qui la necessità di un Osservatorio su
questa realtà mutevole e in continua
trasformazione. Uno strumento operativo e
scientifico che rafforzi la “cassetta degli
attrezzi” dei giornalisti. Vanno comprese le
dinamiche degli algoritmi, anche nelle fasi di
produzione delle news giornalistiche. Va
osservata e capita l’intelligenza artificiale che
si sta affacciando nelle redazioni e ben
presto sarà disponibile a chiunque voglia
elaborare testi di carattere giornalistico.
Ci sono nuove creature nell’universo digitale
che vanno monitorate in quanto, come
accaduto per i social media, diventano
estensioni della realtà quotidiana, con
interazioni a tutti i livelli. Penso, ad esempio,
al Metaverso la cui evoluzione è tutta da
vedere. Certamente, se dovesse espandersi,
occorrerà traslare in esso, nei modi
opportuni e se e dove possibile, le buone
pratiche del giornalismo. Certamente deve
valere la regola universale per il mondo
digitale: non possono essere le piattaforme a
decidere chi è giornalista e chi no.
Detto questo occorre riposizionare la figura
del giornalista rispetto ai nuovi scenari che si
sono aperti. Non credo lo si possa più
definire in relazione al canale o alla
piattaforma o alla tipologia di testata dove
opera (uso questo termine e non più “scrive”).
Oggi il giornalista si definisce per il lavoro
che fa. Vediamo realizzarsi, almeno dal
punto di vista delle modalità di lavoro, lo
slogan “giornalista è chi il giornalista fa”. Il
punto, quindi, non è tanto andare ad
individuare i profili tecnologici – operazione
comunque utile e importante - ma individuare
e qualificare il prodotto giornalistico nei tanti
ambiti digitali. Chi decide di aderire all’etica e
alla deontologia del giornalismo nonché alle
regole della professione, deve essere accolto
nella nostra comunità e aderire ai nostri
principi e ai nostri valori. Altrimenti, l’unico
riferimento è il guadagno, senza alcuna
attenzione alle conseguenze del proprio
operare.
Prefazione
Carlo Bartoli
Presidente Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti
Prefazione 2
Ovviamente non vedo come un “influencer”
possa entrare nell’Ordine visto che questi
svolgono attività di puro marketing. Discorso
diverso quello dei social media manager:
alcuni operano in una dimensione di
marketing, altri in una dimensione
giornalistica e questi ultimi sono una risorsa
ormai centrale per le redazioni; lo stesso vale
per youtuber, videomaker e altre figure. Non
serve attardarsi nel classificare e sezionare
le competenze digitali, la questione sta a
monte: si svolge informazione professionale
aderendo ad un’etica e rispettando le regole
deontologiche? È qui lo spartiacque per chi
fa il giornalismo e chi fa altro. Possiamo dire
che il diaframma che a lungo ha tenuto
separati il mondo della comunicazione da
quello dell’informazione, sta diventando
sempre più sottile, ma non per questo meno
decisivo.
Durante gli anni del Covid vi è stato un
fenomeno molto significativo. Diverse
ricerche universitarie hanno rilevato, durante
la pandemia, un sostanziale incremento degli
utenti del web che si sono rivolti alle fonti
giornalistiche certificate ed a quelle
istituzionali. Un segnale forte di fiducia a
fronte del dilagare di fake news e
manipolazioni soprattutto nel mondo dei
social media. Credo si tratti di una
indicazione da non far cadere, anche perché
non sappiamo ancora se si tratta di un trend
di lunga durata o di un sussulto causato dalle
fratture della pandemia. Giornalisti e
comunicatori istituzionali lo dovrebbero
tenere ben presente per migliorare
continuamente la qualità dell’offerta.
È in questi contesti che il giornalismo
professionale deve fare il massimo sforzo
per mostrare il valore della qualità
dell’informazione, che significa verità
sostanziale dei fatti, rispetto delle persone,
approccio etico e pluralismo; al di là della
piattaforma su cui si svolge l’attività.
In questo quadro l’Ordine assume una
importanza ancora maggiore proprio a fronte
del continuo mutare degli scenari
dell’informazione e della comunicazione.
Anche a livello europeo sta crescendo un
dibattito sulla necessità di avere organismi di
rappresentanza autogestiti e ben riconosciuti
per tutelare l’autonomia e l’indipendenza
dell’informazione.
L’Ordine italiano può rappresentare un
esempio in questo senso, a patto che il
Parlamento si risolva ad approvare un
drastico aggiornamento delle norme
riguardanti la professione giornalistica.
Non possiamo restare fermi alle regole di
sessanta anni fa.
Il mondo dell’informazione cambia
velocemente ed è nostro dovere cercare di
essere al passo dei tempi per garantire il
diritto dei cittadini ad informare ed essere
informati, quella “missione” che ci viene
affidata dall’articolo 21 della nostra Carta
Costituzionale, i cui valori costituiscono il
punto di riferimento della nostra professione.
Carlo Bartoli, giornalista professionista, è presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e membro del
consiglio di amministrazione della Fondazione Murialdi per il giornalismo.
Insegna Comunicazione giornalistica presso il dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Univesità di Pisa.
Ha scritto il libro "Introduzione al giornalismo” e "L'ultimo tabù", un libro che indaga le modalità con cui media,bloggers e
utenti dei social media comunicano e commentano i suicidi ed ha contribuito al volume "Etiche applicate" a cura di
Adriano Fabris.
Dal 2010 al 2021 è stato presidente dell'Ordine dei giornalisti della Toscana e dal 2018 al 2021 presidente della
Fondazione dell'Odg toscano. Per due mandati è stato consigliere generale dell’lnpgi. In precedenza presidente dell '
Associazione stampa toscana (2001-2006) e componente del consiglio nazionale della Federazione nazionale della
stampa e della Commissione contratto.
3
Obiettivi
Non è questa l’ennesima raccolta di dati sul
giornalismo, non è un sondaggio sul
gradimento di un prodotto dell’industria
dell’informazione, non è una ricerca
accademica.
Di tutti questi elementi, per fortuna, ne
abbiamo grande abbondanza: sono
disponibili, con frequenza di aggiornamento
anche annuale, studi di livello internazionale
che raccolgono dati ed interviste relative al
mondo del giornalismo1 ed alle sue
tendenze, dispositivi di maggior utilizzo per la
lettura delle notizie, consumo delle news per
fasce di età, ed altre importanti informazioni.
Sono altresì disponibili fonti
istituzionalmente riconosciute che
mensilmente forniscono dati sul consumo di
notizie in Italia, sulla pubblicità nei giornali
cartacei ed online, sul numero di copie o di
abbonamenti mensili venduti.
Fonti e studi con autori competenti,
giornalisti scientifici e ricercatori universitari,
una metodologia scientifica dettagliata ed
una costruzione narrativa tecnica e ben
strutturata.
Il nostro obiettivo è quello di rappresentare,
“carte alla mano”, ovverossia proprio
raccogliendo la grande quantità di autorevoli
informazioni già disponibili e costantemente
aggiornate, lo stato dell’arte dell’informazione
nel nostro paese (e non solo) ed abbiamo,
1 Vedi bibliografia
per questo, creato una infrastruttura di
competenze trasversali al mondo
dell’informazione, competenze giornalistiche
in primis, accademiche e del marketing
digitale. Infrastruttura che oggi chiamiamo
“Osservatorio sul giornalismo digitale” ma
che forse dovremmo in futuro chiamare
“Osservatorio sul giornalismo”, dato che,
proprio questi studi autorevoli e ricerche
competenti, dimostrano che ormai il
giornalismo è digitale.
Lo faceva notare2 Mario Tedeschini Lalli nel
recente convegno organizzato dall’Ordine dei
Giornalisti a Roma “Digito ergo sum.
L’informazione al tempo del digitale”, quando
affermava: «Repubblica è stata la prima
testata a dotarsi di una redazione web — e
andò in linea 26 anni fa, il 14 gennaio 1997.
Cinque giorni dopo, il 19 gennaio, qui a Roma
nacque una bambina, quasi gemella
di Repubblica.it. Bene… quella bambina ora è
una collega professionista e lavora per quella
stessa redazione! Capite quanto sono
vecchio e quanto è vecchio il giornalismo
digitale?
Per questo mi vengono le bolle quando sento
editori e — purtroppo — anche colleghi e
colleghe che parlano ancora di “transizione al
digitale”. Care amiche e amici: per il
giornalismo italiano non è più tempo di
transitare, il digitale già permea la nostra vita
e il nostro lavoro.»
2 Riflessioni su un quarto di secolo di giornalismo digitale: le
invarianti – Mario Tedeschini Lalli - Medium
Executive Summary
Antonio Rossano
Presidente non profit “Media Studies”
Coordinatore progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale”
4
Rappresentare evidentemente con contezza
e competenza e con testimonianze esperte, i
vari aspetti dell’ecosistema informativo, le
contaminazioni delle intelligenze artificiali
nelle redazioni ed il senso di queste
contaminazioni; l’aspetto, forse il più
rilevante per la professione, del pluralismo
informativo e di nuove proposte per la sua
comprensione e misurazione, quelli giuridici,
quelli economici e di indirizzo.
Non troveremo quindi, in questo documento,
delle risposte specifiche su come risolvere
alcune questioni fondamentali, messo che
tali risposte esistano. Ci siamo concentrati
sulla possibilità di rendere comprensibile la
complessità che determina tali questioni,
l’insieme di elementi che le caratterizzano, le
molte spinte tecnologiche, economiche,
informative, sociali, giuridiche che
caratterizzano i cambiamenti determinando
le problematiche che ci troviamo ad
affrontare.
Sono stati in particolare messi a fuoco tre
aspetti centrali che sono emersi dalle analisi
ed i contributi pervenuti:
- Il ruolo sempre più rilevante dei dati e degli
algoritmi fino all’uso degli strumenti
dell’Intelligenza Artificiale nelle redazioni
- Il pluralismo informativo e la fiducia dei
lettori in un ecosistema informativo
sempre più complesso
- Il valore economico dell’industria
dell’informazione e le prospettive per la
professione
Conclusioni
Il valore economico dell’industria
dell’informazione e le prospettive per la
professione
A partire dalla prefazione del presidente
dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli,
appare oramai imprescindibile, in una
situazione caotica dove il numero degli enti
emittenti e dei messaggi in circolazione è
divenuto enorme, che i giornalisti diventino
punto di riferimento per una narrazione seria
e trasparente, valorizzando e confermando i
buoni principi della deontologia professionale
: “verifica rigorosa delle fonti, continenza nel
linguaggio, accuratezza della narrazione,
rispetto della persona”.
Ai timori dei giornalisti di fronte al
cambiamento ed alla innovazione, oramai
continua, dei media, proprio il giornalismo
professionale può dare una risposta, fare la
differenza, riportare la fiducia, e quindi
ricostruire il rapporto con il lettore, in un
mondo dell’informazione sempre più
polarizzato e chiuso nelle dinamiche
dell’informazione relazionale.
Come fa notare Elena Golino, presidente
della Commissione cultura dell’Ordine, “[…]
negli ultimi anni, abbiamo dovuto fare i conti
con una dura realtà: il lato oscuro della forza
dell’online è la diffusione delle fake news, i
linciaggi digitali, le campagne d’odio”,
rivendicando quindi il ruolo di una
informazione professionale competente ed
etica. D’altra parte, di fronte al cambiamento
dell’informazione e del giornalismo, la Golino
rileva come sia ormai necessario che l’Ordine
si apra a nuove proposte di accoglimento
rivolte a tutti i soggetti che fanno
informazione online.
Quindi, se da un lato i principi etici e
deontologici del giornalismo possono e
debbono ancora costituire il riferimento
principale per il mondo dell’informazione, è
5
necessario accettare il cambiamento e le
nuove realtà professionali che di esso sono
parte integrante.
Dall’analisi sui dati dell’industria
dell’informazione, così come elaborati da
Lelio Simi, giornalista professionista con
grande esperienza su queste tematiche,
emerge la necessità di spostare la
valutazione degli assett industriali editoriali
da logiche di tipo quantitativo a sistemi e
metriche che siano in grado di rappresentare
i contesti e le dinamiche che attengono quei
dati e quindi su un piano qualitativo.
Operazione non semplice, come ricorda Simi,
ma che è indispensabile se vogliamo davvero
comprendere, oltre le vecchie logiche del
giornalismo cartaceo, ciò che sta accadendo
in questa situazione di “complessità”. Scrive
Simi: “[…] È cambiato soprattutto il prodotto
al centro di questa industria, il giornale, che
da almeno un paio di decenni, oltre alla sua
versione di carta — il formato “monoblocco”
che conosciamo da oltre un secolo — è
diventato molte più “cose”. In questo
contesto bisogna prendere atto che tutto è
tremendamente più complicato […]
Per Richard Gingras, vicepresidente globale
di Google News: “La più grande sfida che il
giornalismo deve affrontare è la sua
rilevanza. Il giornalismo di qualità non
esisterà, tanto meno prospererà, se una
società non riconosce l'importanza del
giornalismo e non lo sostiene con la propria
attenzione e il proprio supporto finanziario.
Praticamente tutti i sondaggi evidenziano
quanto la percezione della fiducia e del
valore del giornalismo siano in costante calo
[…]”
C’è quindi una questione sociale, di fiducia e
di qualità secondo Gingras che sottolinea
inoltre quanto sia importante il rapporto tra il
giornalismo, i giornalisti e le comunità che
essi informano. E, a proposito della crisi dei
modelli economici del giornalismo e delle
difficoltà dovute all’abbondanza di
informazione, Gingras afferma: «[…] Ma, per
molti imprenditori, non è finito il business del
giornalismo. Non hanno avviato le loro
imprese pensando di non trovare la strada
del successo. Hanno avviato quelle imprese
perché sapevano che c'erano vuoti da
riempire, opportunità da cogliere. Molti ci
stanno riuscendo. Un sacco di duro lavoro.
Lunghe notti di dubbi stressanti. Ma ci
credono. Ogni giorno ne abbiamo la prova.
In Francia, Le Figaro registra 250.000
abbonati solo digitali, con un aumento del
20% dal 2020. In Germania lo scorso anno,
Die Zeit ha registrato un aumento del 43%
degli abbonamenti digitali rispetto all'anno
precedente. Axel Springer ha ridisegnato il
suo business dei media, vendendo i suoi
giornali regionali, acquistando Politico e ora
possiede Touchstone, il più grande sito per
trovare lavoro in Europa. Il Times of London
ha registrato il suo anno migliore dal 1990. Il
direttore John Witherow ha annunciato
"un'età d'oro per il giornalismo". Il New York
Times ha ora oltre 9 milioni di abbonati. […]»
In ultimo ci occorre riportare quest’ultima
affermazione di Gingras, che riteniamo
possa rappresentare uno degli aspetti
centrali del nostro lavoro: «nessun modello di
business per il giornalismo avrà successo se
la società non rispetta e valorizza il
giornalismo di qualità che ci aspettiamo
nasca da una stampa libera.»
Dati, algoritmi e Intelligenza Artificiale
nelle redazioni
Sull’Intelligenza Artificiale, sempre Gingras
formula delle domande cui, solo nel
prossimo futuro, attraverso
l’implementazione di queste tecnologie,
potremo rispondere, ma che dobbiamo, già
ora, iniziare a porci:
• “Che effetto avrà sulla nostra concezione
di autorialità?
6
• Come possiamo essere certi della
provenienza, della fondatezza dei fatti,
dell'autenticità?
• In che modo i giornalisti dovrebbero
divulgare in modo appropriato l'uso di
questi strumenti nel loro lavoro?
• Come possiamo sfruttare i benefici e
gestire i danni dei motori di conoscenza
AI? “
Questioni etiche che pongono nel loro
contributo anche Luciano Floridi e Guido
Romeo, evidenziando come queste
problematiche, qualora non affrontate ed
inquadrate in ambito deontologico possano
creare seri problemi alla centralità del
giornalismo nella democrazia e nel dibattito
pubblico informato.
Altro aspetto interessante è evidenziato da
Colin Porlezza, Direttore dell’European
Journalism Observatory, nella sua analisi
sulla “datificazione del giornalismo” che, se
da una parte rileva come «[…]i big data,
insieme agli algoritmi e ai metodi
computazionali e i relativi processi e
prospettive legati alla quantificazione,
rappresentano il paradigma del lavoro di
produzione dell’informazione […]», dall’altra
mette in guardia sulla evidenza che si sia
creato un vero e proprio “capitalismo dei dati”
dove, ovviamente la parte del leone viene
recitata dalle grandi piattaforme verso le
quali «[…] i media si trovano sempre più in
una posizione di passività visto che
dipendono da un piccolo numero di
piattaforme potenti e centralizzate se
vogliono assicurarsi che i loro contenuti
vengono percepiti […]». E non solo, per
Porlezza il rischio è che un giornalismo
intensamente strutturato sui dati porti a
disfunzionalità come potrebbe essere, ad
esempio, una produzione editoriale mirata ai
gusti degli utenti.
Ma l’intelligenza artificiale è già, da tempo,
nelle redazioni, come racconta Alessia Pizzi,
giornalista, esperta di marketing digitale e
SEO, intervistando Charlie Beckett, direttore e
fondatore di Polis, think thank giornalistico
del Dipartimento Media e Comunicazione
presso la London School of Economics and
Political Science (LSE) nonché direttore del
progetto JournalismAI e Andrea Iannuzzi,
Senior Managing Editor presso La
Repubblica e raccogliendo numerose
evidenze sugli strumenti utilizzati e le finalità
perseguite dai giornalisti. Non è ancora, se
non a livello sperimentale, il tempo dei
contenuti creativi scritti da un sistema di IA,
ma è già da tempo quello degli articoli basati
sui dati e dei resoconti sportivi o economici
che vengono automaticamente prodotti da
software specializzati. Ma, ammonisce la
Pizzi, ci manca molto poco. E, soprattutto
evidenzia quanto la questione etica sia
fondamentale per poter correttamente
utilizzare tali sistemi.
Il pluralismo informativo e la fiducia dei
lettori in un ecosistema informativo
sempre più complesso
Davide Bennato, sociologo, docente
all’Università di Catania e consulente
scientifico di questo progetto, analizza e
raccoglie i vari studi ed analisi sulla
situazione della fiducia e del pluralismo
dell’informazione nel nostro paese
evidenziando come il problema che va
delineandosi non è tanto legato al pluralismo
dell’informazione, ma a cosa serva
un’informazione ricca e variegata quando
viene percepita come essenzialmente priva
di fiducia e non affidabile e come siano le
strategie con cui il giornalismo si presenta
negli spazi digitali a rappresentare la vera
sfida per l’informazione.
Ma il pluralismo informativo è davvero un
sistema i cui confini possono essere
banalmente definiti da elementi quantitativi
7
relativi al controllo delle infrastrutture dei
media? È una domanda che si pone Elisa
Giomi, sociologa, docente universitaria e
commissaria dell’Autorità Garante per le
Comunicazioni, in una analisi che
approfonditamente, partendo dalle teorie
sociologiche, in un percorso volto a definire
l’essenzialità logica ed ontologica del
pluralismo, giunge ad evidenziare i limiti degli
attuali sistemi regolatori, sottolineando la
necessità di sganciarli da una concezione di
“mercato”.
Vi è poi un aspetto giuridico rilevante, quello
legato alla “concorrenza” tra diritti dei
cittadini, diritto all’informazione e diritto
all’oblio , per esempio: è anche nella ricerca
di un corretto equilibrio tra questi diritti che
può sostanziarsi un ecosistema informativo
realmente plurale ed è anche necessario
osservare quanto le norme che delimitano
tali diritti possano costituire esse stesse un
problema, come emerge dall’analisi di Guido
Scorza, avvocato e membro del collegio del
Garante per la Protezione dei dati personali.
In coda alla prima parte ho relazionato su
alcune problematiche dell’informazione di
tipo deontologico che trasversalmente
attengono a questi già citati aspetti
cercando di evidenziare la dimensione di
complessità del giornalismo nell’attuale
ecosistema informativo.
Antonio Rossano, giornalista, è presidente di Media Studies, ente non profit che si occupa dell’analisi e divulgazione
delle tematiche inerenti i media.
Ha scritto e scrive per varie testate, enti e siti, tra cui L’Espresso, Repubblica, Regione Ticino, LSDI, Wired.
Nel 2010 ha fondato Youcapital, prima piattaforma italiana di crowdfunding per progetti di giornalismo e
comunicazione e nel 2011 si è trasferito a Lugano collaborando alla riprogettazione dell’ Hub informativo dell’
European Journalism Observatory, restandovi fino al 2014.
Ha insegnato di tematiche relative al giornalismo in vari Master e collabora, in qualità di docente, con l’Ordine dei
Giornalisti per la formazione degli iscritti.
Consulente per il digitale dell’Ordine dei Giornalisti di cui coordina il progetto «Osservatorio sul giornalismo digitale» è
membro del comitato scientifico della Fondazione Murialdi sul giornalismo italiano.
8
Le osservazioni presenti in questo report
sono frutto di due distinte strategie di
raccolta di informazioni.
Nella prima sezione (Scenari e prospettive) si
è utilizzata la tecnica della richiesta dei pareri
a testimoni privilegiati, ovvero si è proceduto
alla raccolta di una serie di consulenze a
stakeholder italiani e internazionali del
mondo del giornalismo in modo tale da
delineare uno scenario il quanto più possibile
ampio ed esaustivo, nonché basato sul
dibattito contemporaneo relativo al
giornalismo e alla professione giornalistica.
Questa tecnica è utilizzata per la stesura di
scenari relativamente a settori ad alto tasso
di innovatività oppure in quegli ambiti in cui il
contesto sociale di riferimento è in rapido
mutamento e pertanto risulta necessario
affidarsi al parere di persone esperte e
competenti nei settori di analisi.
Nella seconda sezione (Approfondimenti
tematici) si è utilizzata la tecnica dell’analisi
documentale, ovvero si sono passati in
rassegna una serie di documenti e report di
alto profilo nazionale e internazionale, che
hanno costituito la letteratura scientifica di
riferimento. A partire da questi materiali ci si
è soffermati sugli argomenti specifici e sulle
tematiche che hanno costituito il focus dei
singoli capitoli. La letteratura scientifica
usata come fonte per la redazione di questi
capitoli è disponibile nella bibliografia in
calce ad ognuno dei contributi della sezione.
Tutte le riflessioni presenti nei contributi
sono frutto dell’analisi delle fonti a cui si
rimanda per avere dettagli sulla metodologia
con cui sono stati raccolti i dati.
Gli estensori dei singoli contributi di questa
sezione hanno elaborato le informazioni
presenti nei capitoli di propria competenza
attraverso la lettura intenzionale della
letteratura scientifica utilizzata, ovvero una
lettura dei documenti specificamente volta
alla ricerca delle informazioni utili per
delineare il quadro di riferimento tematico.
Pertanto, le osservazioni espresse dagli
autori sono frutto delle considerazioni fatte a
partire dal confronto e dall’interpretazione dei
dati presenti in tali documenti, secondo le
proprie competenze scientifiche e
professionali.
La correttezza scientifica delle analisi che
sono state operate risiede da un lato dalla
qualità della letteratura scientifica che ha
costituito la base di riferimento, dall’altro
dalla competenza degli estensori nel proprio
ambito scientifico o professionale.
Data l’eterogeneità della letteratura
scientifica di riferimento si è fatta particolare
attenzione a confrontare le ipotesi delineate
in ogni singolo documento cercando di
valorizzare la congruenza delle osservazioni.
Nota metodologica
Davide Bennato
Docente Università di Catania
Consulente scientifico progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale”
Davide Bennato è professore associato di Sociologia dei media digitali presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche
(DISUM) dell’Università di Catania. È presidente del corso di Laurea in Scienze e Lingue per la Comunicazione
(DISUM), membro del Centro Informatica Umanistica (CINUM) dell’Università di Catania, membro del Dottorato in
Sistemi Complessi del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania.
Si occupa di comportamenti collettivi nei social media, etica dei big data, sociologia digitale.
Su questi temi cura il blog Tecnoetica.it e scrive per il magazine Agenda Digitale
9
SCENARI E
PROSPETTIVE
10
Il futuro del giornalismo è già qui, ma non è
equamente distribuito. Le applicazioni di
quell’insieme di tecnologie che chiamiamo
intelligenza artificiale (IA) nel mondo
dell’informazione sono in crescita
esponenziale e stanno cambiando il modo di
trovare, produrre e distribuire i contenuti
aprendo nuovi modelli di monetizzazione. Si
va dalla distribuzione personalizzata di
contenuti come feed o newsletter iper-
personalizzate, alla produzione automatica di
contenuti in crescita sia nella finanza che
nello sport, al pricing dinamico di banner e
abbonamenti, all’estrazione di notizie da
collezioni di big-data, a migliori trascrizioni
automatiche di audio e video, alla
moderazione dei commenti anche su grande
scala e al riconoscimento di fake news e
deep-fake, fino a nuovi strumenti di fact-
checking e all’aumento della capacità di
ricercare immagini e catturare il sentiment
dei sempre più diffusi contenuti generati
dagli utenti (UGC- user generated content).
Ancora più importante – come ha
sottolineato la London School of Economics3
- è l’aumento della domanda di questi servizi
da parte di utenti come i ragazzi della
Generazione Z, nati e cresciuti in un mondo
di contenuti personalizzati e on-demand.
La capacità di fare leva sui nuovi strumenti
dell’IA non è però sempre alla portata di tutte
le redazioni, sia per una questione di risorse
che di competenze. Le grandi testate come il
New York Times, il Financial Times, o il
3 The Journalism Ai Report - https://www.lse.ac.uk/media-and-
communications/polis/JournalismAI/The-Report
4 AI ethics and policies: why European journalism needs more of
both - Yearbook of the Digital Ethics Lab 2022 - Guido Romeo,
Emanuela Griglié.
gruppo scandinavo Schibsted da tempo
sviluppano i propri sistemi proprietari di AI e
hanno team interni di sviluppatori e data
scientist mentre le realtà più piccole, come i
giornali locali e le testate indipendenti, si
trovano spesso a dipendere da fornitori
esterni o dalle stesse grandi piattaforme
globali che, negli ultimi decenni, sono
diventate intermediari dominanti
dell’advertising online, con la conseguente
crisi dell’editoria d’informazione.
Prima ancora che tecnologica ed economica,
la partita intorno a IA e giornalismo oggi è
etica, come sottolinea un recente paper
pubblicato dal Digital Ethics Lab
dell’Università di Oxford4 e firmato da Guido
Romeo ed Emanuela Griglié.
Si ripresentano questioni ormai note: la
trasparenza dei sistemi di IA, l'attribuzione di
responsabilità per i loro fallimenti, le
conseguenze non intenzionali e all'equità dei
risultati già sottolineati da Floridi, Taddeo
2016, Tsamados et altri5 e comuni all’ambito
sanitario o difensivo. Ma vi sono questioni
uniche all’ambito del giornalismo. Se non
affrontate, queste problematiche creano
conflitti con i fondamenti etici del
giornalismo e la sua centralità per la
democrazia e un dibattito pubblico
informato. La missione etica del giornalismo
è sostenuta dal diritto di tutti all'accesso alle
informazioni e alle idee, sancito dall'articolo
19 della Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo ("Dichiarazione universale dei diritti
5 Tsamados, Andreas, Nikita Aggarwal, Josh Cowls, Jessica Morley,
Huw Roberts, Mariarosaria Taddeo, and Luciano Floridi. 2021.‘The
Ethics of Algorithms: Key Problems and Solutions’. AI & SOCIETY,
February. https://doi.org/10.1007/s00146-021-01154-8.
Giornalismo, AI, e nuove responsabilità digitali
Luciano Floridi e Guido Romeo
11
SCENARI E PROSPETTIVE
Giornalismo, AI, e nuove responsabilità digitali
Luciano Floridi – Guido Romeo
dell'uomo" 2015) e dall'articolo 10 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo
(CEDU): “Ogni individuo ha diritto alla libertà
di opinione e di espressione; questo diritto
include la libertà di avere opinioni senza
interferenze e di cercare, ricevere e
diffondere informazioni e idee attraverso
qualsiasi mezzo e indipendentemente dalle
frontiere”. Nelle democrazie moderne, la
presenza di un’informazione libera e
indipendente svolge un ruolo fondamentale.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha
sottolineato il ruolo democratico dei media
come 'fornitori di informazioni' ('Corte
europea dei diritti dell'uomo - Caso Barthold
v. Germania (1985) - Paragrafo 59.' n.d.) per
creare forum di dibattito pubblico e agire
come guardiano pubblico.
In questo panorama, quali sono le
responsabilità dei giornalisti nei confronti dei
loro lettori e della società in generale?
Come rileva la Federazione Internazionale dei
Giornalisti (‘Convenzione Europea sui Diritti
Umani - Testi, Convenzione e Protocolli
Ufficiali’ n.d.): “La responsabilità del
giornalista nei confronti del pubblico ha la
precedenza su ogni altra responsabilità, in
particolare nei confronti dei suoi datori di
lavoro e delle autorità pubbliche.
Il giornalismo è una professione, che richiede
tempo, risorse e mezzi per essere esercitata,
tutti elementi essenziali per la sua
indipendenza”. E, indipendentemente da
come i codici giornalistici e le culture
possano variare nel mondo, il primo punto
della Carta Globale6 dei giornalisti: "Il rispetto
dei fatti e il diritto del pubblico alla verità è il
primo dovere del giornalista", dovrebbe
6 Global Charter of Ethics for Journalists’. n.d. IFJ. Accessed 30
December 2020. https://www.ifj.org/who/rules-and-policy/global-
charter-of-ethics-for-journalists.html
risuonare in qualsiasi redazione,
indipendentemente dalla lingua o il mezzo.
Nella pratica, queste domande sono il
quadro all’interno del quale giornalisti e
sviluppatori insieme dovrebbero definire
come i sistemi intelligenti possano, per
esempio, profilare gli utenti e distribuire di
conseguenza i contenuti delle notizie,
aumentando il rischio di generare "echo-
chambers" (letteralmente camere d’eco) in
cui le convinzioni sono amplificate o
rafforzate dalla comunicazione e dalla
ripetizione all'interno di un sistema chiuso e
isolato dalla confutazione.
Non sorprende che una questione del genere
sia stata sotto i riflettori in molti dibattiti
pubblici e politici, dai movimenti no-vax alla
Brexit e alle elezioni statunitensi fino, più
recentemente, all'assalto al Campidoglio
degli Stati Uniti nel 2021.
Come sottolineano Romeo e Griglié, gli
antidoti a una deriva “tecnocentrica” e priva
di valutazioni etiche delle applicazioni dell’IA
al mondo dell’informazione può difficilmente
essere prescrittiva visto la natura del settore,
dove l’eccessiva regolamentazione rischia di
aprire il varco a censure e controlli. Piuttosto,
le soluzioni vanno elaborate dai giornalisti
stessi e sostenute a livello europeo anche
con risorse economiche.
La Commissione Europea, con il suo
regolamento per una intelligenza artificiale
responsabile7 dell’aprile 2021 ha posto
l’Europa all’avanguardia nelle riflessioni
sull’etica dell’intelligenza artificiale, ma i
giornalisti devono poter entrare nel gioco con
le competenze tecniche e la formazione
adeguata a difendere il loro ruolo. Che
proprio grazie ai sistemi intelligenti, può
7 https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52021PC0206
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SCENARI E PROSPETTIVE
Giornalismo, AI, e nuove responsabilità digitali
Luciano Floridi – Guido Romeo
diventare sempre più centrale in un mondo
dove un magnate della tecnologia come Elon
Musk si appresta a ristrutturare
draconianamente una delle maggiori
piattaforme di informazione globale come
Twitter.
LUCIANO FLORIDI
Professore Ordinario di Filosofia ed Etica dell'Informazione all'Università
di Oxford, e di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all’Alma
Mater Studiorum - Università di Bologna, dove dirige il Centre for Digital
Ethics. Noto come una delle voci più autorevoli della filosofia
contemporanea, è considerato il padre fondatore della filosofia
dell’informazione e uno dei maggiori interpreti internazionali della
rivoluzione digitale. Nel 2022 è stato insignito dal Presidente Mattarella
del titolo di Cavaliere della Gran Croce, il più alto riconoscimento al merito
della Repubblica Italiana https://www.oii.ox.ac.uk/people/profiles/luciano-
floridi/
GUIDO ROMEO
Giornalista e autore, è esperto di innovazione ed economia digitale,
intelligenza artificiale applicata al giornalismo e trasparenza
dell’informazione. Ha scritto per Il Sole24Ore e Wired. È autore di Per Soli
Uomini, il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design (Codice
2021) e di Silenzi di Stato, storie di trasparenza negata e di cittadini che
non si arrendono (Chiarelettere 2016). Ha ricevuto premi nazionali e
internazionali e dal 2020 interviene sui temi del genere, dei dati e della
governance dell’intelligenza artificiale. Su twitter è: @guidoromeo
13
“L’uomo, creando la macchina pensante, ha compiuto
l’ultimo passo verso la completa sottomissione alla
meccanizzazione. […] Con il perfezionamento
dell’automa l’uomo si troverà completamente alienato
dal proprio mondo e ridotto a una nullità. Il regno, il
potere e la gloria appartengono ora alla macchina”.
(Lewis Mumford, Le trasformazioni dell’uomo, p. 158.)
---
Nel lontano 1967, il teorico delle tecnologie
Lewis Mumford creò il concetto della
cosiddetta “mega-macchina”. Nel suo libro
The Myth of the Machine (Il mito della
macchina), l’intellettuale statunitense situa
questa mega-macchina nell’antico Egitto per
descrivere le organizzazioni gerarchiche
costituite da decine di migliaia di esseri
umani schiavizzati e controllati dal potere di
re venerati come degli dei.
In questa mega-macchina, gli schiavi
diventano una risorsa trasmettendo la loro
energia a un meccanismo più grande che si
può sfruttare per costruire intere piramidi. La
gestione di tutte queste vite in schiavitù viene
attribuita a un apparato militare e
amministrativo per assicurarne il controllo e
l’utilizzo efficiente. Nella sua opera
successiva, Mumford adattò il suo concetto
di "mega-macchina" al mondo digitale,
sostituendo il re divino con un cosiddetto
"Omni Computer", cioè "l'ultimo modello di
computer I.B.M., programmato con zelo dal
Dr. Stranamore e dai suoi associati" (1970, p.
273). In questo caso non c’è più un’enorme
massa di schiavi costretti a svolgere lavori
disumani, ma una "info-macchina" che
monopolizza il potere, pronta a elaborare dati
"misurati quantitativamente o osservati
oggettivamente". Nella visione critica del
progresso sociale da parte di Mumford, gli
esseri umani subiscono una disintegrazione
totale dell'autonomia dato che vengono
ridotti a un semplice ingranaggio della
macchina artificiale.
Nell’era del teorico americano, il potere di
calcolo dei computer non era ancora
sufficientemente sviluppato per poter
innescare una rivoluzione riguardo alla
società dell’informazione. Ma ciò che
l’intellettuale poliedrico descrisse all'inizio
degli anni Settanta viene oggi riflesso dalla
crescente datificazione del giornalismo
digitale: l'uso di dati, algoritmi, così come le
infrastrutture tecnologiche da cui dipendono,
rappresentano un nuovo tipo di "mega-
macchina" che definisce in larga misura il
modo in cui le notizie vengono raccolte,
prodotte e diffuse.
Come sostengono gli studiosi di giornalismo
Seth Lewis e Oscar Westlund, i big data,
insieme agli algoritmi e ai metodi
computazionali e i relativi processi e
prospettive legati alla quantificazione,
rappresentano il paradigma del lavoro di
produzione dell’informazione.
I dati diventano perciò l’ingrediente principale
nel modo in cui il giornalismo può essere
ottimizzato, valutato, curato o reso più
efficiente. Il sociologo Jason Sadowski
(2019) sostiene a questo proposito che "la
presunta universalità dei dati riformula tutto
come se rientrasse nel dominio del
capitalismo dei dati. Tutti gli spazi devono
essere sottoposti alla datificazione" La
datificazione diventa così il substrato su cui
si fonda l'attuale trasformazione del
giornalismo.
La datificazione del giornalismo
Colin Porlezza
14
SCENARI E PROSPETTIVE
La datificazione del giornalismo
Colin Porlezza
Ma come siamo arrivati a questa situazione?
Per capire l’attuale processo di
trasformazione del giornalismo trainato
dall’uso e dall’analisi di dati bisogna tener
conto di due aspetti: prima di tutto bisogna
volgere lo sguardo oltre il confine delle
redazioni e capire il modo in cui la società
intera è permeata dai dati. Per questa
ragione, il fenomeno della datificazione del
giornalismo deve essere inserito in un
contesto più ampio di trasformazioni sociali
e di come il giornalismo interagisce con
questi fenomeni sociali. In secondo luogo, è
importante tracciare il modo in cui il
giornalismo stesso abbia sviluppato un
rapporto con i dati, rapporto che è mutato
profondamente nel corso della storia
professionale.
Partendo dalle interdipendenze tra il
giornalismo e gli sviluppi sociali: il
giornalismo è sia un mezzo di
comunicazione che un fenomeno sociale e,
in quanto tale, è sia una forza trascinante che
un elemento condizionato nel rapporto
riflessivo tra media e cambiamento sociale.
La datificazione come concetto è stata
introdotta nel discorso accademico da Viktor
Mayer-Schönberger e Kenneth Cukier nel loro
libro del 2013 “Big data. Una rivoluzione che
trasformerà il nostro modo di vivere e già
minaccia la nostra libertà”. Sebbene gli autori
leghino il fenomeno alle tecnologie digitali, il
concetto è tutt'altro che nuovo: infatti ha una
lunga storia, soprattutto nell’ambito della
gestione delle popolazioni come nel
censimento, nell’organizzazione e nella
gestione di stati come anche nella storia
della burocrazia. Oggi però, la datificazione è
soprattutto legata alla tecnologia digitale e ai
big data. In tutta la sua storia, la datificazione
è sempre stata assistita dalle tecnologie dei
media, anche se in passato i media erano
analogici. In questo senso, la datificazione
precede la digitalizzazione come scrivono le
due ricercatrici Sofie Flensburg e Stine
Lomborg in un loro recente articolo.
Dagli anni 80 fino a oggi, le infrastrutture
digitali e la digitalizzazione attraverso il Web
hanno contribuito in modo massiccio alla
creazione, l’elaborazione e l’analisi di dati,
arrivando fino al processare dati in tempo
reale. In tutto questo, le tecnologie di
comunicazione mobili come il cellulare,
attraverso loro adozione nelle pratiche sociali
e negli spazi privati e pubblici, giocano un
ruolo fondamentale nell’aumento vertiginoso
della produzione di dati nella società. In più, a
partire dalla fine degli anni 2000, le
piattaforme social hanno perfezionato un
modello di business che è interamente
basato sull’estrattivismo dei dati, come
scrivono Nick Couldry e Ulisses Mejias,
appropriandosi dei nostri dati che poi
vengono venduti a chi fa pubblicità.
Queste piattaforme sono gli stessi attori - o
“frenemies” come dice la direttrice del Tow
Center for Digital Journalism della Columbia
University a New York - che esercitano un
potere enorme sul giornalismo e le case
editrici in quanto determinano in gran parte il
modo in cui gli utenti trovano, accedono e
consumano le news.
Come dimostrano Rasmus Kleis Nielsen e
Sarah Anne Ganter in un recente libro,
istituzioni precedentemente indipendenti
come i media si trovano sempre più in una
posizione di passività visto che dipendono da
un piccolo numero di piattaforme potenti e
centralizzate se vogliono assicurarsi che i
loro contenuti vengono percepiti. In altre
parole, i dati - insieme agli algoritmi che li
analizzano - sono così diventati un elemento
determinante in quasi tutte le sfere della
nostra vita.
In tutto questo, il giornalismo stesso è un
fenomeno sociale e non può quindi sottrarsi
ai processi di trasformazione, soprattutto se i
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SCENARI E PROSPETTIVE
La datificazione del giornalismo
Colin Porlezza
dati e gli algoritmi sono onnipresenti
nell’ecosistema mediatico. È dunque
costretto ad adattarsi ai cambiamenti
dell’intero ambiente comunicativo, adattando
ad esempio le pratiche alla nuova materialità
basata sui dati attraverso nuovi generi
giornalistici quantitativi quali il data
journalism, o addirittura il giornalismo
computazionale o automatizzato. Questo è
però solo una facciata della medaglia:
mentre da un lato, la crescente datificazione
della società ha fatto sì che il giornalismo
possa accedere a un crescente numero di
fonti di dati quantitativi, favorendo
l’espansione del data journalism, dall'altro,
l'ampio uso di algoritmi nella società è
diventato un argomento di interesse per il
giornalismo. Questo si riflette ad esempio
nella creazione di nuovi beat come
l'algorithmic accountability reporting, un
genere che cerca di analizzare, con l’aiuto di
dati, algoritmi e procedimenti sofisticati
come il reverse engineering, l’impatto di
algoritmi nella società. Il reverse engineering
ossia “progettazione all’incontrario” è un
processo che consente ai giornalisti, con
l’aiuto di sviluppatori o informatici, di
analizzare il funzionamento di algoritmi
spesso opachi. Attraverso l’immissione
continua e automatizzata di dati si cerca di
studiare che tipo di output produce
l’algoritmo, e se ad esempio produce dei
risultati distorti.
Questo procedimento è un esempio come
l’uso di dati e algoritmi permette al
giornalismo di studiare dei fenomeni simili
nella società. In altre parole: la datificazione
comporta un’interdipendenza tra la
datificazione della società e la datificazione
del giornalismo. Questa "svolta algoritmica"
nel giornalismo, come la chiama Philip
Napoli, che comporta un utilizzo crescente di
dati, algoritmi e machine learning nel lavoro
giornalistico al fine di analizzare la
datificazione della società, si basa sugli
stessi mezzi - dati e algoritmi - che
contraddistinguono la società datificata. Ciò
comporta una riflessività tra gli strumenti
che caratterizzano la società datificata e la
loro implementazione nel giornalismo per
osservarli. È proprio questa interdipendenza
che dimostra come, per capire la genealogia
della datificazione nel giornalismo, occorra
collocare la trasformazione nel contesto
delle influenze tecnologiche, sociali e
culturali.
Passiamo ora alla storia dell’uso dei dati nel
giornalismo, che incomincia ben prima
dell’avvento del Web. Come dimostra Chris
Anderson nel suo libro The Apostles of
Certainty (Gli apostoli della certezza), il
giornalismo ha una lunga e spesso
travagliata storia con i dati che trova il suo
inizio nel 19° secolo: dopo una prima fase di
entusiasmo riguardo all’uso di dati
quantitativi verso la fine dell’800, causato
soprattutto da movimenti sociali (ad
esempio per i diritti dei lavoratori) che
assecondavano fortemente l’uso di dati
empirici per capire meglio fenomeni sociali,
nella Progressive Era dei primi anni del 20°
secolo, i giornalisti si riorientarono di nuovo
su pratiche più individualiste seguendo
persone famose e episodi rilevanti anziché
immergendosi in analisi di strutture sociali.
Questo era anche dovuto al fatto che i
giornalisti vollero distanziarsi in modo netto
dai sociologi.
Solo nel 1952, quando la CBS adoperò per la
prima volta un Remington Rand UNIVAC
mainframe computer per realizzare delle
proiezioni sulle elezioni presidenziali, l’era del
cosiddetto computer-assisted-reporting (o
CAR) ebbe inizio. Ma solo in combinazione
con un approccio più socio-scientifico
propagato dal giornalista e ricercatore
americano Phil Meyer negli anni 60
possiamo capire l’evoluzione di quello che
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SCENARI E PROSPETTIVE
La datificazione del giornalismo
Colin Porlezza
decadi più tardi sarebbe diventato il vero e
proprio data journalism. In altre parole, se
vogliamo capire gli elementi che hanno
portato a un giornalismo orientato all’uso di
dati quantitativi dobbiamo tener conto del
fatto che queste i cambi paradigmatici sono
avvenuti ben prima dell’invenzione del Web
nei primi anni 90. Certo, l’introduzione
universale di computer nelle redazioni ha
contribuito all’adizione di forme quantitative
di giornalismo, ma la storia dell’impatto di
dati nella produzione giornalistica incomincia
ben prima.
Negli ultimi anni, nelle redazioni si può
osservare sempre di più il fenomeno del
giornalismo computazionale che comprende
“la ricerca, il racconto e la diffusione di
notizie con, da o sugli algoritmi”, come
scrivono Nick Diakopoulos e Michael Koliska.
Da qui si può capire la centralità dei dati e
degli algoritmi nel giornalismo al giorno
d’oggi: non si tratta più solamente di
utilizzare delle macchine più potenti nel
lavoro giornalistico (portato avanti
esclusivamente da esseri umani), ma la loro
applicazione è molto più centrale e pervasiva
e concerne tutte le fasi del ciclo delle notizie.
Il giornalismo computazionale rompe quindi
con le tradizionali pratiche editoriali visto che
gli strumenti che lo caratterizzano non
supportano solamente i giornalisti, ma
cambiano la natura, le routine e i ruoli
giornalistici, configurando nuove concezioni
di ciò che il lavoro giornalistico comporta.
In conclusione, l'ubiquità con cui le redazioni
al giorno d’oggi usano dati e algoritmi,
esercita un potere di trasformazione sul
giornalismo, riducendo l’essere umano
sempre di più a un elemento che assomiglia -
proprio come previsto da Mumford e la sua
info-macchina - a un ingranaggio che
subisce le logiche dei dati quantitativi
attraverso, ad esempio, le metriche che
impongono una produzione editoriale mirata
ai gusti degli utenti - con tutti gli effetti
disfunzionali per l’autonomia giornalistica. È
dunque tutt'altro che chiaro come esseri
umani e gli algoritmi possano convivere
all’interno delle redazioni tenendo conto del
fatto che l’uso massiccio di dati comporta
diverse sfide, non solo quando si tratta di
progettare il rapporto tra giudizio umano e
automazione, ma proprio in relazione all'etica
professionale riguardo alla trasparenza, la
privacy, e la responsabilità nell’uso di dati e
algoritmi. Dal momento che il giornalismo
datificato è oramai una realtà, e considerato
come sempre più decisioni editoriali vengono
determinate da algoritmi che usano quantità
di dati massicce, dobbiamo assicurarci che
le sfide etiche, legali e sociali che
accompagnano questo fenomeno vengano
affrontate - ad esempio dalle istituzioni di
autoregolamentazione giornalistica - in
maniera seria affinché venga garantito un
uso responsabile di dati nelle redazioni.
COLIN PORLEZZA
Colin Porlezza è Senior Assistant Professor di Giornalismo Digitale
all’Istituto Media e Giornalismo, Università della Svizzera italiana
(USI). Attualmente è anche Professore Onorario alla City, University of
London (UK) e Research Fellow alla Columbia University (USA).
È direttore dell’Osservatorio Europeo di Giornalismo, network
universitario europeo. Prima di raggiungere l’USI ha lavorato
all’Università di Zurigo, all’Università di Neuchâtel e alla City,
University of London. Le sue principali aree di ricerca sono il
giornalismo digitale, la datificazione del giornalismo e l’impatto
dell’intelligenza artificiale sul giornalismo. Ha pubblicato più di 50
pubblicazione tra libri, capitoli e articoli scientifici.
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SCENARI E PROSPETTIVE
La datificazione del giornalismo
Colin Porlezza
Bibliografia del capitolo
• Anderson, C. W. (2018). Apostles of Certainty: Data Journalism and the Politics of Doubt. Oxford: Oxford
University Press.
• Bell, E. (2018). The Dependent Press: how Silicon Valley threatens independent journalism. In M. Moore & D.
Tambini (eds.), Digital Dominance. The Power of Google, Amazon, Facebook, and Apple. Oxford: Oxford
University Press.
• Couldry, N., & Mejias, U. A. (2020). The costs of connection: How data are colonizing human life and
appropriating it for capitalism. Stanford: Stanford University Press.
• Diakopoulos, N. (2019). Automating the news. Cambridge: Harvard University Press.
• Diakopoulos, N., & Koliska, M. (2017). Algorithmic transparency in the news media. Digital journalism, 5(7),
809-828.
• Kleis Nielsen, R., & Ganter, S. A. (2022). The Power of Platforms. Oxford: University of Oxford Press.
• Lewis, S. C., & Westlund, O. (2015). Big data and journalism: Epistemology, expertise, economics, and ethics.
Digital journalism, 3(3), 447-466.
• Loosen, W. (2018). Four forms of datafied journalism. Journalism's response to the datafication of society.
Communicative Figurations Working Paper Series, (18). Bremen: University of Bremen.
• Mayer-Schönberger, V., & Cukier, K. (2013). Big data: A revolution that will transform how we live, work, and
think. Boston: Houghton Mifflin Harcourt.
• Mumford, L. (1967). Technics and Human Development: The Myth of the Machine, vol. I. New York: Harcourt,
Brace Jovanovich.
• Mumford, Lewis (1970). The Pentagon of Power: The Myth of the Machine, vol. II. New York: Harcourt, Brace
Jovanovich.
• Napoli, P. M. (2014). Automated media: An institutional theory perspective on algorithmic media production
and consumption. Communication Theory, 24(3), 340-360.
• Sadowski, J. (2019). When data is capital: Datafication, accumulation, and extraction. Big data & society, 6(1),
2053951718820549.
18
Nel corso del 2022 Richard Gingras ha incontrato platee
di tutto il mondo pronunciando discorsi sulle sfide che il
giornalismo si trova ad affrontare nella nostra moderna
era digitale.
Questa è una sintesi di tali discorsi, scritta e rielaborata
da Gingras per il nostro Osservatorio, nella quale
analizza i vari aspetti ed i cambiamenti del giornalismo
---
La più grande sfida che il giornalismo deve
affrontare è la sua rilevanza.
Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto
meno prospererà, se una società non
riconosce l'importanza del giornalismo e non
lo sostiene con la propria attenzione e il
proprio supporto finanziario. Praticamente
tutti i sondaggi evidenziano quanto la
percezione della fiducia e del valore del
giornalismo siano in costante calo. Ciò non
sorprende, dato che molti politici liquidano
come “fake news” tutto ciò che ritengono sia
per loro sfavorevole.
Il mondo è cambiato. Più che mai c’è
bisogno di giornalismo di qualità per
comprendere il nostro mondo ed essere
cittadini attivi. Siamo sopraffatti da internet:
cambia continuamente, clic dopo clic, con
ogni frammento di informazione che sputa
fuori. Dai teneri meme dei social network a
una schiera infinita di opinionisti e influencer.
Dagli utili tutorial e dai sogni ispirati di
creatori di video, agli imbonitori e ai
propagandisti. Dalle istantanee di graziosi
nipotini, alle foto ritoccate per manifestare
una falsa indignazione. Dall’ esperienza
profonda del giornalismo digitale innovativo,
all’astroturfing finanziato da chissà chi.
È un ecosistema mediatico complicato
composto da elementi di una semplicità
spaventosa. La cultura, la politica e le notizie
sono ridotti a meme e messaggi di 280
caratteri senza contesto né sostanza. Il
nostro mondo è distorto e stravolto da
sconfortanti meme culturali che siamo
indotti ad amplificare, da cattive pubblicità
che offrono falsi rimedi, da politici che
soffiano sul fuoco di paure che essi stessi
promettono poi di spegnere.
Certo, esiste un giornalismo responsabile e
basato sui fatti, difficile da identificare e in
gran parte sopraffatto dal cicaleccio
cacofonico e anestetizzante che è
l'espressione collettiva di internet.
In che modo il giornalismo svolge il suo ruolo
critico in mezzo a tutto ciò?
Per comprendere come viene percepito il
giornalismo nelle società in cui operiamo,
dovremmo porci delle domande:
•Il nostro pubblico comprende il ruolo del
giornalismo?
•Sa a quali fonti affidare il suo prezioso
tempo e denaro?
•L'esplosione di opinioni a basso costo ma
popolari sta soffocando la credibilità del
giornalismo basato sui fatti?
•La deriva verso le notizie di parte sta
peggiorando il problema?
•Le persone capiscono quello che noi
pensiamo loro capiscano?
•I siti di notizie cercano sottoscrizioni e
abbonamenti facendo promesse solenni
sulle virtù del "giornalismo di qualità": quale
piccola percentuale delle nostre società
comprende qualcosa di tutto ciò?
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
19
SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
Certo, possiamo chiedere più
alfabetizzazione mediatica.
Ma raccontarci venti motivi per cui
dovremmo mangiare più broccoli e meno
pizza non basta. Abbiamo bisogno di
esplorare nuove ricette per un menu
giornalistico allettante e salutare.
Il fondamentale rapporto tra giornalismo,
fiducia e comunità
Per comprendere questo rapporto chiedo
spesso agli editori quali ricerche facciano. In
genere la risposta è "poche" o "nessuna".
Oppure: “Studiamo i nostri registri di utilizzo.
Analizziamo il nostro traffico.”
Va bene. Ma questo non dice nulla su coloro
che non visitano il sito, nulla su che cosa il
pubblico apprezzi.
Un amico, un caporedattore, mi ha detto: "Ho
capito cosa vogliono i miei lettori". Non avevo
intenzione di criticare il giudizio del mio
amico, però gli ho chiesto: "Non ti aspetti che
i tuoi giornalisti facciano molte domande
prima di decidere cosa sanno o non sanno
su un determinato argomento?"
Allora perché non fare ricerche?
Collaboro con testate giornalistiche locali
emergenti un po’ in tutto il mondo. C'è
speranza. Village Media in Canada, ha
riscontrato un notevole successo
commerciale e ora opera in più di 60 città.
Partecipano alla vita della comunità. Cercano
di comprendere e soddisfare tutte le
esigenze di informazione di ciascuna
comunità. Il loro successo è un'opportunità
di cui possono beneficiare molti imprenditori
dell’informazione locale.
Un giornalismo responsabile è fondamentale
per il ruolo del giornalismo. Ma è importante
rispondere a tutte le esigenze di
informazione di una comunità: eventi, sport
locali, necrologi. È questo "giornalismo di
servizio" che stimola il coinvolgimento, crea
legami con la comunità, incentiva la
pubblicità locale e amplia il pubblico del
giornalismo di inchiesta.
Come ha osservato David Walmsley del
Canada’s Globe & Mail, "potremmo sostenere
il giornalismo di qualità senza rispettare tutte
le esigenze informative di una comunità"?
Otto anni fa mi sono unito a Sally Lerhman
per sollecitare l'attenzione sul calo della
fiducia nel giornalismo.. Con il Trust Project,
Sally ha avviato uno studio e ha raccolto i
principi e le strategie utili alle testate
giornalistiche per impostare un orientamento
basato sulla trasparenza e la fiducia. Il Trust
Project collabora con centinaia di testate
giornalistiche in tutto il mondo.
Ma come direbbe Sally, c'è molto altro da
imparare, molto altro da fare.
Ulrik Haagarup e il Constructive Journalism
Institute in Danimarca offrono una
prospettiva diversa, ripensando i modelli, i
format, la linguistica utilizzati nel nostro
lavoro giornalistico. Il termine "costruttivo" è
fondamentale. Non sono notizie che fanno
“stare bene”. Il giornalismo costruttivo va
oltre il tipico modello di informazione, con
segnali e intenti chiari, per includere il
contesto necessario, i come e i perché e,
soprattutto, una considerazione su come
l'evento disastroso poteva essere prevenuto.
È progettato per cercare un terreno comune.
Quando organizzano dibattiti, evitano
etichette divisive come Crossfire (“fuoco
incrociato” ndr).
Quale modo migliore per ottenere il rispetto
della società che dimostrare il potere del
giornalismo nell’ aiutare una comunità a
comprendere le sue sfide e ad affrontarle?
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SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
Le sfide dell’intelligenza artificiale e la sua
inevitabile presenza nell'ecosistema
dell'informazione
L'intelligenza artificiale sta rapidamente
consentendo la creazione di media, tutti i
media, dalle immagini ai testi alle persone
artificiali.
È ormai a portata di mano.
Può essere utilizzata per creare rapidamente
comunicazioni e componenti mediatiche
convincenti. Sono molte le domande che
dovremo porci ed a cui dovremo trovare
risposta:
•Che effetto avrà sulla nostra concezione di
autorialità?
•Come possiamo essere certi della
provenienza, della fondatezza dei fatti,
dell'autenticità?
•In che modo i giornalisti dovrebbero
divulgare in modo appropriato l'uso di
questi strumenti nel loro lavoro?
•Come possiamo sfruttare i benefici e
gestire i danni dei motori di conoscenza AI?
•Affronteremo la prospettiva dei silos della
conoscenza con "Il mio motore di
conoscenza è più intelligente del tuo?"
La regolamentazione di Internet e la libertà di
espressione
Il ruolo del giornalismo attiene a molte
fondamentali questioni per la nostra società.
Quando nacque internet molti, me compreso,
erano ottimisti. Avevamo immaginato che
più libertà di espressione ci fosse, meglio
sarebbe stato.
Credevamo che i nostri angeli buoni
avrebbero vinto.
Ma abbiamo scoperto che c’era un lato
oscuro. Non siamo tutti angeli. Internet ha
innescato dei comportamenti provocatori e
problematici.
È comprensibile che ora i governi stiano
cominciando a regolamentare internet,
generalmente con buone intenzioni, ma
spesso con conseguenze imprevedibili e
potenzialmente dannose per la stampa libera
e l’open internet. Lo vediamo accadere in
tutto il mondo. Fa paura, specialmente in un
mondo dove la tendenza è verso società
meno aperte e regimi più autoritari.
E questo ci porta alla questione
fondamentale da affrontare: come possiamo
garantire che la continua evoluzione della
regolamentazione di internet assicuri una
stampa libera e diversificata e non rafforzi
invece specifici interessi politici o sostenga
interessi economici radicati?
L’ open internet ci sta sfuggendo di mano. A
quanto pare i nostri venticinque anni di
internet o il fatto che abbiamo favorito la
libertà di espressione sono sembrati
un’aberrazione. Sebbene il problema dell’uso
scorretto di internet non possa essere
ignorato, è essenziale capire e riequilibrare i
rischi che corrono la libertà di espressione e
la stessa libertà di stampa.
È un terreno scivoloso.
Alcuni attori del dibattito politico vedono
internet come una minaccia alla loro share of
voice, alla loro quota di influenza. Se
potessero, trasformerebbero internet in un
ambiente di distribuzione come quelli che
hanno reso possibile i loro successi passati,
dove solo coloro che avevano il potere e
l’influenza per controllare e comandare la
distribuzione, avevano voce in capitolo.
A livello globale siamo nelle prime fasi
dell’evoluzione della regolamentazione di
internet. È importante per il futuro del
giornalismo e per la libertà di stampa che
tutti gli appartenenti alla comunità
giornalistica siano attenti alle conseguenze
dirette ed indirette della regolamentazione
man mano che essa si evolve.
21
SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
Una lezione sempre valida è la seguente:
quando c’è un cambiamento nella
distribuzione dei media - radio, televisione
(via cavo o via satellite), internet- i padroni
dei media cercano di mantenere il
predominio, di impedire l'espansione del
mercato ai nuovi imprenditori del settore e di
ridurre la diversità delle voci che i media
potrebbero consentire.
Questo è tanto comprensibile quanto
preoccupante. È quanto sta accadendo oggi
con internet. Se siete giornalisti che lavorano
per una media company, grande o piccola
che sia, siete invitati a prestare molta
attenzione.
È importante che i giornalisti che si
occupano della policy di internet vadano oltre
i meme e facciano attenzione a non farsi
accecare da interessi personali a breve
termine.
La posta in gioco è alta, per il futuro del
giornalismo e per il futuro delle società
aperte.
Siamo a favore di una regolamentazione
attenta e ragionata di internet. Ci auguriamo
solo che essi rispetti questi principi chiave:
•Proteggere l’open Web e l’open Internet e la
libera espressione che essi consentono, e
non un sistema di distribuzione chiuso che
favorisca pochi.
•Consentire una stampa libera diversificata e
finanziariamente indipendente.
•Proteggere dall'indebita influenza dei
governi che può squilibrare l'ecosistema
dell’informazione.
Anche volendo fidarci del fatto che la
regolamentazione ottenga l’effetto
desiderato, è fondamentale esaminare le
clausole scritte in caratteri piccoli.
I meccanismi creati da tale
regolamentazione potrebbero facilmente
anche rivoltarsi contro la stampa a seconda
delle motivazioni del governo in carica.
Domande difficili. Nessuna risposta facile.
-------------
Necessitiamo di una migliore comprensione
delle diverse culture nel nostro mondo
Jere Van Dyk è un inviato in Afghanistan da
più di 40 anni! Per il New York Times, per CBS
News, per Agence France Presse e molti altri.
È andato dove altri non sarebbero andati. Si è
calato nella realtà delle province tribali. Vi si è
immerso profondamente nel tentativo di
comprendere il movimento fondamentalista
dei Wahhabiti. Vi si è immerso
profondamente nel tentativo di capire i
Talebani. Il prezzo che ha pagato è stato
quello di essere rapito dai talebani e tenuto in
ostaggio per 45 giorni, pensando che ogni
giorno poteva essere l'ultimo.
Ha raccontato questa esperienza in un
bellissimo e toccante libro intitolato Captive
(lo consiglio vivamente). Il suo ultimo libro,
Without Borders: The Haqqani Network and
the Road to Kabul, (disponibile da domani) si
basa sulla sua lunga esperienza con la rete
Haqqani.
Di recente, alla Newsgeist Unconference di
Google a Bratislava, Jere ha tenuto un
discorso appassionato e stimolante. È stato
molto critico nei confronti della nostra
evidente riluttanza a guardare oltre le nostre
divisioni per comprendere culture diverse
dalla nostra. Il suo interesse fondamentale
per le province tribali e per i Wahhabiti
derivava dal desiderio di comprendere il
comportamento tribale fondamentalista,
data la sua prima esperienza di crescita in
una setta religiosa fondamentalista.
Possiamo comprendere le nostre differenze
senza riconoscere le somiglianze?
L'Occidente può permettersi di essere
semplicistico nel ritrarre l'Oriente, e
22
SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
viceversa, se vogliamo raggiungere una
stabilità sociale a lungo termine?
Mantenere la stampa libera e al sicuro nello
svolgimento del suo ruolo fondamentale
nelle società aperte
Il Moscow Times, fondato trent'anni fa da
Derk Sauer e diretto da Dimitri Dmitrienko,
sta ora lottando per rimanere operativo
dall’esilio dopo essere stato proibito dal
governo russo. Daryna Shevchenko e il Kiev
Independent, una giovane testata
giornalistica emergente in Ucraina,
affrontano sfide simili.
Il loro interesse è il nostro, come possiamo
aiutarli a rimanere attivi e funzionanti quando
i cattivi attori cercano di distruggerli?
Google ha implementato programmi di
protezione avanzata e il Project Shield per
mantenerli operativi e per questo ha ricevuto
l’Ukraine Peace Prize.
È stato un grande dell’antica Grecia ad
affermare che le nostre società aperte, le
nostre democrazie, saranno distrutte dalle
libertà che consentiamo. Parole sagge.
Parole terrificanti. Che ci colpiscono molto
da vicino.
La sfera politica si è adattata alle capacità di
internet – per parlare agli elettori, per
costruire alleanze politiche – molto più
rapidamente ed efficacemente del mondo
del giornalismo.
Ne vediamo l'impatto in tutto il mondo. La
tendenza è preoccupante, per tutti.
Le sfide sono tanto complesse quanto
cruciali. Anzi, esistenziali. È necessario
comprendere profondamente le sfide e fare
appello alla saggezza di tutti per affrontarle.
Avremo bisogno degli sforzi di molti
appassionati giornalisti, redattori, editori ed
esperti di tecnologia per concentrarci su
queste domande e trovare le risposte prima
di perdere l'opportunità di farlo.
Come può il giornalismo evitare di
amplificare il senso distorto del rischio?
Negli Stati Uniti abbiamo 400 volte più
probabilità di morire in un incidente stradale
che in un atto terroristico.
Abbiamo 35 volte più probabilità di morire di
cancro o di malattie cardiache che di
qualsiasi forma di morte violenta. Tuttavia, la
ricerca ci dice che percepiamo queste paure
al contrario: la nostra paura del terrorismo è
esponenzialmente più alta di quella di morire
nelle nostre auto.
Viviamo in uno scenario di rischio falsato.
Viviamo in una società in cui le nostre paure
percepite sono amplificate talmente da
perdere di vista i veri problemi delle nostre
società. Ogni giorno leggiamo di terrorismo,
effrazioni, rapimenti, flussi di rifugiati: tutti
eventi orribili ma anomali che si verificano
nel mondo moderno. Anche se non
intenzionalmente, i notiziari svolgono un
ruolo intrinseco nel plasmare percezioni della
realtà che sono in conflitto con la vera realtà.
Che cosa dovrebbe davvero riguardarci nelle
nostre comunità? Se entriamo in una cabina
elettorale con un senso distorto del rischio
sociale, ciò non potrebbe alterare il modo in
cui valutiamo le tematiche politiche o i
candidati?
Se crediamo che il ruolo del giornalismo sia
fornire ai cittadini le informazioni di cui
hanno bisogno per essere cittadini informati,
possiamo fornire più contesto? C'è davvero
un aumento di effrazioni o sono eventi rari?
Possiamo colmare il divario tra paura
irrazionale e paura razionale? Possiamo
costruire una base di conoscenze statistiche
che aiutino a fornire un contesto?
23
SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
Potenziare il lavoro dei giornalisti con
strumenti migliori
Nel mondo digitale, la conoscenza è spesso
nascosta nei dati e i dati spesso sono
nascosti dietro la complessità tecnica. Nuovi
strumenti potrebbero consentire ai giornalisti
di portare avanti indagini che altrimenti
sarebbero inattuabili o difficili dal punto di
vista pratico.
I Panama Papers e i Pandora Papers sono
straordinari esempi di giornalismo di grande
impatto basato sull'analisi. In questa
direzione va il lavoro dell'International
Consortium of Investigative Journalists* i cui
sforzi eccezionali hanno potenziato la
collaborazione tra le redazioni.
Ogni giornalista ha bisogno di strumenti
migliori. Ogni redazione può trarre vantaggio
dalla collaborazione con gli altri. Aiuta a
risparmiare tempo. Aumenta i loro super
poteri.
Come possiamo adattarci alle forme dei
media che le nostre culture stanno
adottando?
Il presupposto alla base di una società
democratica e della professione del
giornalismo è il seguente: se esprimiamo le
nostre idee con le parole e gli argomenti
logici giusti, se un numero sufficiente di
persone legge queste parole, allora le nostre
democrazie saranno efficaci, il mondo sarà
un posto migliore.
Ancora una volta, internet e le declinazioni
dei nuovi media hanno riorganizzato le
strutture sociali, politiche e culturali. Lo
vediamo con i social. Lo vediamo con i video
brevi. I messaggi si accorciano. Un'inevitabile
progressione, o digressione, di come
comunichiamo, di come comprendiamo la
1 Kevin Munger è professore di scienze politiche e analisi dei dati
sociali alla PennState
società in cui viviamo. Non possiamo
ignorarlo.
Kevin Munger1 sostiene che le diverse forme
di conversazione umana abbiano
un'influenza enorme su quali idee possiamo
opportunamente esprimere. E quali idee sia
conveniente esprimere diventa
inevitabilmente il contenuto importante di
una cultura.
Non sto suggerendo che TikTok sia il futuro
del giornalismo, sebbene diventerà un mezzo
di espressione giornalistica, ci piaccia o no.
Dobbiamo adattarci ai costrutti linguistici del
nostro tempo.
Come possiamo raggiungere coloro a cui
tutto questo non importa o che hanno perso
interesse?
Il Reuters Institute ci dice che solo il 10%
delle nostre società utilizza regolarmente
quelle che potremmo definire notizie serie.
Ancora minore è la percentuale di coloro che
pagano per queste notizie. Lo sentiamo dai
nostri amici. Evitano le notizie. Li
intristiscono, li rendono ansiosi, li
spaventano. Trovano conforto in altri modi,
con le grandi abbuffate di serie su Netflix o
alimentando la loro dipendenza da TikTok.
Lo faccio anche io.
Ricordo quello che scrisse Neil Postman
sulla televisione nel 1985: "Ci stiamo
divertendo da morire". Postman fece anche
le seguenti incontrovertibili osservazioni sulle
nostre culture che risuonano in maniera fin
troppo forte oggi: “Ciò che George Orwell
temeva erano coloro che avrebbero vietato i
libri. Ciò che Aldous Huxley temeva era che
non ci sarebbe stato alcun motivo per vietare
i libri, perché non ci sarebbe stato nessuno
disposto a leggerne uno. Orwell temeva
24
SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
coloro che ci avrebbero privato delle
informazioni. Huxley temeva coloro che ce
ne avrebbero date così tante da ridurci alla
passività e all'egoismo. Orwell temeva che la
verità ci sarebbe stata nascosta. Huxley
temeva che la verità sarebbe stata annegata
in un mare di irrilevanza.”
Come ha notato Huxley in Il Mondo Nuovo.
Ritorno al Mondo Nuovo, i paladini della
giustizia sociale sempre all'erta per opporsi
alla tirannia "non tengono conto del fatto che
gli uomini hanno un appetito pressoché
insaziabile di distrazioni". In 1984 di Orwell,
ha aggiunto Huxley, le persone sono
controllate infliggendo loro dolore. Nel
Mondo Nuovo, sono controllate infliggendo
loro piacere. In breve, Orwell temeva che ciò
che odiamo ci avrebbe rovinato. Huxley
temeva che ci avrebbe rovinato ciò che
amiamo
-------------
Nuovi modelli economici per il giornalismo
Sì, il modello del quotidiano metropolitano
ricco e quasi monopolista non tornerà mai
più. Nel 1985, i giornali erano internet prima
che esistesse.
Ma ora abbiamo internet. Gli annunci
economici sono migrati sui mercati online. I
grandi magazzini sono stati soffocati dall'e-
commerce.
I buoni alimentari cartacei sono diventati
programmi di fidelizzazione. Ecco che fine ha
fatto QUEL modello di business.
Ma, per molti imprenditori, non è finito il
business del giornalismo. Non hanno avviato
le loro imprese pensando di non trovare la
strada del successo. Hanno avviato quelle
imprese perché sapevano che c'erano vuoti
da riempire, opportunità da cogliere.
Molti ci stanno riuscendo. Un sacco di duro
lavoro. Lunghe notti di dubbi stressanti. Ma
ci credono. Ogni giorno ne abbiamo la prova.
In Francia, Le Figaro registra 250.000
abbonati solo digitali, con un aumento del
20% dal 2020. In Germania lo scorso anno,
Die Zeit ha registrato un aumento del 43%
degli abbonamenti digitali rispetto all'anno
precedente. Axel Springer ha ridisegnato il
suo business dei media, vendendo i suoi
giornali regionali, acquistando Politico e ora
possiede Touchstone, il più grande sito per
trovare lavoro in Europa. Il Times of London
ha registrato il suo anno migliore dal 1990. Il
direttore John Witherow ha annunciato
"un'età d'oro per il giornalismo". Il New York
Times ha ora oltre 9 milioni di abbonati.
Insomma, tanti segnali di successo digitale.
Non è più una questione se le iniziative
giornalistiche possano avere successo o
meno. Ora si tratta di condividere le formule
di chi ha avuto successo. Come estendiamo
il successo di alcuni a molti?
In ogni progresso nella distribuzione dei
media, c’è sempre stata una prima fase di
esplorazione. Fallimento. Successo.
Evoluzione. Poi è apparso chiaro quali
sarebbero stati i modelli per le radio locali, o
per i settimanali, quando ancora esistevano.
Ora siamo in quella seconda fase in cui i
modelli di successo possono essere diffusi.
Lo so, non ho posto nessuna domanda
relativa al modello di business, perché ogni
domanda che ho posto è fondamentale per
una testata giornalistica di successo, sia dal
punto di vista giornalistico che finanziario.
Sono tutte domande basilari. Le risposte
sono la strada per il successo, qualunque
esse siano. Consentitemi di ripetere ciò che
ho detto all'inizio: la più grande sfida che il
giornalismo deve affrontare non è un
problema di modello di business, ma un
problema di rilevanza.
25
SCENARI E PROSPETTIVE
Nuove prospettive per il giornalismo
Richard Gingras
Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto
meno prospererà, se la società nel suo
insieme non riconosce l’importanza del
giornalismo e non lo sostiene con la propria
attenzione e, in misura adeguata, con i propri
portafogli.
La politica pubblica non creerà rilevanza. Il
supporto delle piattaforme non creerà
rilevanza.
Nessun modello di business per il
giornalismo avrà successo se la società non
rispetta e valorizza il giornalismo di qualità
che ci aspettiamo nasca da una stampa
libera.
RICHARD GINGRAS
Richard Gingras è il vicepresidente globale del settore News di Google. In
questo ruolo Gingras si occupa del modo in cui Google pubblica le notizie
sui suoi servizi per i consumatori e degli sforzi di Google per creare un
ecosistema sano e aperto per il giornalismo di qualità. Questo include la
Google News Initiative, l'investimento globale di Google negli sforzi per
elevare la qualità del giornalismo, esplorare nuovi modelli per la sostenibilità
e fornire tecnologia per stimolare l'efficienza dei costi nelle redazioni.
Gingras fa parte dei consigli di amministrazione dell'International
Consortium of Investigative Journalists, dell'International Center for
Journalists, della First Amendment Coalition, della UC Berkeley School of
Journalism e di PRX, la Public Radio Exchange.
Gingras ha percorso le strade più innovative, dalle reti satellitari ai motori di
ricerca, da Apple a Excite a Google. Sa che l'innovazione è difficile.
Ammette prontamente di aver commesso più errori di voi.
26
Negli anni, abbiamo assistito ad una crescita
esponenziale dell’informazione nel digitale.
Le dimensioni sono diventate colossali. In un
solo minuto nel mondo vengono inviati 44
milioni di messaggi, effettuate 2,3 milioni di
ricerche su Google, generati 3 milioni di "mi
piace" e 3 milioni di condivisioni su
Facebook, e vengono effettuati 2,7 milioni di
download da YouTube. Lo scrivono l’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato e il
Garante per la protezione dei dati personali in
una indagine comune del 2020. Certamente,
questi dati “monster” oggi sono ulteriormente
lievitati.
La tecnologia digitale consente ormai da
anni questi volumi giganteschi di traffico nel
web in tempo reale, senza pause, 24 ore su
24. E soprattutto senza confini. La rete è un
tutt’uno globale e laddove dei cittadini non
riuscissero a far parte della “comunità
digitale planetaria”, la responsabilità è
unicamente da attribuirsi a governi locali che
applicano la censura. Esempi in questo
senso non mancano: dal Medio Oriente,
all’Asia, all’Europa dell’Est, in Russia, in alcuni
stati del Sud America le limitazioni di
accesso e di fruizione alla rete sono all’ordine
del giorno. E non è un caso, che queste
limitazioni siano messe in atto da governi
spesso lontani dai principi basilari della
democrazia.
Nel suo complesso, nonostante i limiti citati,
la rete ha comunque amplificato i vantaggi,
primo fra tutti conoscere quello che succede
in tempo reale e in qualunque parte del
nostro pianeta. Online, si possono ottenere la
maggior parte delle informazioni gratis, solo
alcuni gruppi editoriali offrono i prodotti a
pagamento. Inoltre, e considerazione non
irrilevante, il lettore sceglie nel web le notizie
d’interesse basandosi sul proprio personale
sentire. Non solo, quindi, nell’indirizzo di
settore: ad esempio cronaca, costume o
notizie dal mondo. Ma anche, o forse
soprattutto, di conseguenza alla propria
presa di posizione sociale, culturale e di
appartenenza politica. In sostanza, chi si
rivolge al web per informarsi predilige fonti
nelle quali si riconosce, e che quindi ritiene
attendibili, a prescindere dal contenuto
ricercato. In questo senso, il ventaglio delle
offerte comunicative e informative è aperto a
trecentosessanta gradi,
contemporaneamente, sempre.
Partendo da questa ultima considerazione,
facciamo una riflessione su quanto avviene
nella carta stampata. Riceviamo
regolarmente, anno dopo anno senza
inversione di tendenza, risultati inquietanti
sul calo delle vendite dei quotidiani. I dati resi
noti da AGCOM sono impietosi: le copie
vendute quotidianamente in formato
cartaceo si sono ridotte nei primi nove mesi
dell’anno 2022 del 9,9% rispetto al
corrispondente periodo del 2021
attestandosi a 1,36 milioni. Rispetto al
corrispondente valore del 2018, la flessione è
del 36,5%. Nulla lascia prevedere che nel
2023 la discesa finisca. Anzi, potrebbe
perfino accelerare. E comunque, precisa
ancora AGCOM, anche le vendite di copie
digitali dei quotidiani sono in calo: oscillano
intorno ad una media di 210 mila copie
giornaliere nel 2022 con una riduzione su
base annua del 5,7% rispetto il 2021,
nonostante una forte differenza di prezzo
(dal 40 al 70% in meno) e martellanti
campagne d’abbonamento con offerte
ancora più scontate.
Un ruolo centrale per i giornalisti
Elena Golino
27
SCENARI E PROSPETTIVE
Un ruolo centrale per i giornalisti
Elena Golino
Contribuisce in parte a questo declino il
pesante processo di omologazione delle
notizie cominciato a partire dal 1990.
Precedentemente a questi anni valeva la
regola del controllo vigile tra testate e la
collaborazione tra colleghi, tra direttori di
testate che a chiusura del giornale a volte si
confrontavano. Poi nel ‘92, con l’avvento
dell’inchiesta “mani pulite” nacque il caso del
“cartello” tra giornalisti di Palazzo di giustizia
che decideva in pool come e quando dare le
notizie.
La paura del “buco” e la preoccupazione
dell’inadeguatezza rispetto la concorrenza è
stata la molla che ha spinto tanti quotidiani –
a partire dagli anni ’90 – a tenere in costante
controllo i siti web, che nel frattempo erano
dilagati, ed i telegiornali. Il risultato? Un
appiattimento delle notizie con l’avvento del
fenomeno dei cosiddetti “giornali fotocopia”.
Vittime di questa tendenza soprattutto le
testate locali, troppo prese a rincorrere le
notizie di tutti gli altri quotidiani in una sorta
di girotondo senza vie d’uscita.
Anche questo fenomeno, in fondo, sembra
conseguenza della globalizzazione, che ha
finito per coinvolgere l’universo
dell’informazione. L’omologazione delle
notizie ha fatto perdere di vista, tranne poche
eccezioni (ad esempio Il fatto quotidiano e la
Verità, in crescita di vendite) le differenze tra i
prodotti giornalistici, finendo per disamorare
il lettore, convinto che un giornale valga
l’altro e le notizie siano tutte uguali.
Sul web, invece, il panorama senza confini e
non costretto nelle maglie della vecchia
editoria, è in grado di offrire notizie molto più
varie e soprattutto genuine, libere dal giogo
dell’omologazione.
Un esempio di indipendenza e obbiettività
dell’informazione, riferito alla guerra in
Ucraina, è stato presentato durante il
Convegno sull’informazione digitale
organizzato Commissione Cultura dell’Ordine
Nazionale dei Giornalisti lo scorso 24
gennaio a Roma. La giornalista ucraina Olga
Rudenko, direttora del giornale online
d’inchiesta Kyiv Independent, intervistata da
Azzurra Merigolo di Radio Rai, ha dichiarato:
“Seguo la guerra dal primo giorno, e l’essere
online ci dà il vantaggio dell’immediatezza.
Accade qualcosa, noi lo comunichiamo
direttamente. Noi ci affidiamo sempre alle
testimonianze che riusciamo a raccogliere.
La sfida più importante di essere un
giornalista in un conflitto è essere sicuri che
ciò che affermi sia vero, sia provato. La
Russia fa disinformazione, ma anche quello
che afferma il governo ucraino non è corretto
al 100%. Noi non possiamo sapere quando
dicono la verità o no. Noi non abbiamo paura
di dire ai nostri lettori che le informazioni
talvolta sono contrastanti; quindi, le
riportiamo tutte e lasciamo a chi legge,
decidere.”
Questa testimonianza dal mondo
dell’informazione online, fuori dal coro
inquanto non assoggettata ad editori
tradizionali o interessi economici definiti,
assume una grande valenza. Prova come
queste fonti di informazione siano più capaci
di intercettare richieste di genuinità e
imparzialità anche nell’insidioso terreno dei
reportage di guerra. Dal Kyiv Independent,
che ha sede e lavora nella martoriata capitale
dell’Ucraina, arriva una lezione di giornalismo
di cui fare tesoro.
Ma molti altri siti online che hanno successo
rispondendo a queste richieste alternative,
sono davvero in grado di fare vero
giornalismo, rispettando i canoni di qualità,
etica, deontologia, e rispetto della privacy?
Negli ultimi anni, abbiamo dovuto fare i conti
con una dura realtà: il lato oscuro della forza
dell’online è la diffusione delle fake news, i
linciaggi digitali, le campagne d’odio. In tal
senso, uno studio del Massachusetts Institut
of Technology evidenzia come una fake
28
SCENARI E PROSPETTIVE
Un ruolo centrale per i giornalisti
Elena Golino
news abbia il 70% di possibilità in più di
essere condivisa rispetto ad una notizia
corretta.
Alla crescita dell’informazione online non ha
corrisposto una analoga trasmissione delle
regole sulle quali è basato il giornalismo
professionale in Italia. L’Ordine dei giornalisti
si batte perché l’informazione professionale
oggi più che mai possa e debba avere un
ruolo centrale. Nel mondo in cui cambiano i
contesti, devono restare cardinali le regole
che hanno garantito in Italia il giornalismo in
quanto tale: verifica delle fonti, narrazione
precisa e rispetto della privacy. Fuori da
questi parametri, non è giornalismo. Noi
crediamo che ai valori della nostra
professione debbano ispirarsi e riferirsi tutti
coloro che oggi fanno informazione in rete,
siano o meno iscritti all’Ordine.
Per questo, un anno fa, in seno alla
Commissione cultura del Consiglio nazionale
dell’Ordine, è nata l’idea di ribaltare le parti e,
con un sondaggio, ascoltare cos’hanno da
dirci siti, blog, giornali on line non inquadrati
nelle tradizionali filiere editoriali. Quelli, non
garantiti da pubblicità o da finanziamenti di
varia natura e quelli che, magari perché
espulsi dalle produzioni editoriali tradizionali,
hanno intrapreso la via della rete.
Abbiamo inviato un questionario a 1500
indirizzi, attingendo da alcune banche dati tra
le quali quella dell’Unione stampa sportiva,
del sito specialistico Ipse.com e Prima
Comunicazione. Ci hanno risposto in 400, un
campione ragguardevole. E per meglio
comprende i risultati che sono emersi, ci
siamo affidati al professor Paolo Natale
dell’Università Statale di Milano, docente di
metodi e tecniche della ricerca sociale. Nel
merito, la sua analisi mette in luce una serie
di elementi interessanti che si possono
riassumere così: la quasi totalità dei siti
censiti ha al proprio interno almeno un
giornalista iscritto all’Ordine (85%); la vasta
maggioranza (72%) appare interessata ad un
rapporto con l’OdG, in particolare per creare
un apposito Albo per autori di siti web; anche
i siti senza iscritti all’Ordine si dichiarano
interessati (60%) ad un rapporto diretto con
l’OdG e soltanto il 13% tra loro ha un
atteggiamento negativo; oltre la metà dei
Web-magazine (55%) è formato da realtà
autonome e indipendenti che (soprav)vivono
grazie alla pubblicità commerciale (63%);
l’attività principale dichiarata da ciascuno di
coloro che hanno risposto al sondaggio è
quella di “fare giornalismo (60%) grazie ad
una corretta informazione, che a loro parere
manca, sui temi propri dei siti stessi.
Uno degli elementi principali che emergono
dalla ricerca riguarda il rapporto che l’Ordine
dei Giornalisti dovrebbe avviare con le testate
online. Mentre, come si è sottolineato,
soltanto una sparuta minoranza si dichiara
contraria a qualsiasi modalità e forma di
inquadramento e vuole restare totalmente
estranea al mondo dell’Ordine, il 40% degli
intervenuti al sondaggio pensa sia urgente
attuare la formazione di un apposito Albo per
le testate in Rete, il 30% sottolinea la
necessità di un percorso di iscrizione
all’Ordine, mentre il restante 30% circa si
dichiara comunque favorevole ad una forma
di riconoscimento. Il ruolo e la presenza
dell’Ordine dei Giornalisti vengono dunque
giudicati piuttosto rilevanti anche nel web, e
questo in assoluto è il risultato più
stimolante ottenuto dal sondaggio.
Un risultato che impone, come ha
sottolineato nell’intervento durante i lavori del
Convegno il sottosegretario all’Editoria
Alberto Barachini, che l’editoria digitale abbia
il diritto di accesso ai finanziamenti pubblici,
laddove garantisca qualità e alto valore
informativo e culturale. Per l’Ordine, quindi, è
arrivato il tempo di aprirsi a nuove proposte
di accoglimento rivolte a questi soggetti che
fanno informazione online.
29
SCENARI E PROSPETTIVE
Un ruolo centrale per i giornalisti
Elena Golino
ELENA GOLINO
Consigliera del Ordine Nazionale dei Giornalisti, è presidentessa della
Commissione Cultura. Impegnata nel sindacato dei giornalisti è stata
Consigliera della Fnsi. Da tre legislature è consigliera della Casagit
E’ diventata giornalista professionista nell’84 e dopo alcuni anni al
quotidiano “Il Giorno” è passata in Rai. E’ stata per 17 anni conduttrice
delle principali edizioni del Tg, con il grado di Vicecaporedattore
30
In questo contributo1 si analizzano la
nozione di “pluralismo informativo” e le
forme della sua tutela nel nostro
ordinamento, per poi avanzare una proposta
che possa colmare quelle che – lo
mostreremo – appaiono criticità irrisolte.
Questa operazione non può che partire da
una chiara enunciazione di come debba
intendersi il pluralismo. La nozione varia,
infatti, in base al ruolo che si assegna ai
media nel dibattito sociale e nella
costruzione dell’opinione pubblica. A sua
volta, questo ruolo varia in base ai modelli di
democrazia e alle teorie mediali che
adottiamo. È dunque da questa ricognizione
che prende avvio il percorso.
Per una definizione di pluralismo: modelli
di democrazia e teorie dei media
Crediamo che una proposta molto utile per
definire il pluralismo provenga da
Raeijmaekers e Maeseele, in un articolo del
2015 dal titolo “Media, pluralism and
democracy: what’s in a name?”2. Gli autori
analizzano tre differenti “scuole” di teoria
democratica - liberale, deliberativa,
agonistica - ed i corrispettivi ruoli assegnati
ai media, traendone due criteri identificativi
del pluralismo mediale.
Il primo criterio è la distinzione
“consenso/conflitto”. I primi due modelli di
democrazia presi in esame, liberale e
deliberativo, puntano a superare eterogeneità
e controversie sociali per raggiungere il
consenso collettivo. Il modello agonistico
1 Le opinioni espresse hanno carattere personale e non impegnano
in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza
2 D. Raeijmaekers and P. Maeseele, Media, Pluralism and democracy:
what’s in a name?, Media, Culture & Society, Volume 37, Issue 7,
non ritiene invece che eterogeneità e
controversie debbano essere superate,
giacché le considera costitutive della stessa
politica democratica.
Il ruolo assegnato ai media nei tre diversi
modelli è conseguente. Nei modelli liberale e
deliberativo, il ruolo e le “prestazioni” dei
media sono valutate in base alla loro
capacità di rappresentare e (ri)produrre il
consenso sociale, cioè portarlo in scena e
contribuire al suo mantenimento e alla sua
costruzione. Gli approcci liberale e
deliberativo rimandano alle cosiddette teorie
“affermative” dei media, caratterizzate da una
visione media-centrica: la relazione tra media
da un lato e società/democrazia dall’altro è
analizzata a partire dal ruolo dei media, in
termini di contributo alla riproduzione
dell’ordine socio-politico dominante. Tale
ordine è dato per scontato e vissuto come a-
problematico. Alle teorie affermative dei
media si oppone la tradizione dei “critical
media studies”, caratterizzata da una visione
socio-centrica anziché media-centrica.
Contrariamente alla precedente, si fonda su
una forte critica dell’esistente. L’ordine
sociopolitico è concepito come segnato da
conflitti e asimmetrie di potere,
disuguaglianze ed esclusioni.
C’è una corrispondenza abbastanza lineare
tra i modelli democratici liberale e
deliberativo da un lato e teorie “affermative”
dei media dall’altro, corrispondenza fondata
sulla comune assenza di critica dell’esistente
e sulla tensione alla riconciliazione del
dissenso. A detta degli autori, non c’è invece
October 2015, pp. 1042 – 1059,
https://doi.org/10.1177/0163443715591670
Il pluralismo informativo tra teorie dei media e (limiti della)
tutela normativa. Proposte per una evidence-based regulation
Elisa Giomi
31
SCENARI E PROSPETTIVE
Il pluralismo informativo…
Elisa Giomi
la stessa corrispondenza lineare tra il
modello agonistico e le teorie critiche dei
media perché si tratta di un modello ancora
poco praticato nell’ambito dei media studies.
Trova però analogie con l’approccio
dell’economia politica e dei cultural studies.
Il secondo criterio per l’identificazione del
pluralismo è l’asse “diversità/pluralismo”, due
termini spesso utilizzati come sinonimi nella
riflessione sui media, notano giustamente
Raeijmaekers e Maeseele. Anche se i modelli
liberale e deliberativo condividono l’idea che i
media debbano contribuire a ricomporre le
dispute sociali, differiscono nel modo in cui
immaginano il processo: il liberale guarda ai
media come a luogo di “trattativa”, meri
specchi di differenze esistenti nella società,
mentre il deliberativo guarda ai media
riconoscendo loro un ruolo attivo nel
dibattito pubblico e nel processo di
deliberazione collettiva. Il modello
deliberativo condivide con il modello
agonistico la convinzione che i contenuti
mediali non debbano solo riprodurre, portare
in scena eterogeneità e dispute sociali, ma
anche riflettere su di esse.
La distinzione tra diversità e pluralismo
consiste proprio in questo, e può essere colta
a partire dalla diversa concettualizzazione di
“pluralità” che è in gioco. La diversità intende
la pluralità come “varietà pre-esistente alla
rappresentazione mediale”, una varietà
empiricamente osservabile - varietà della
società, diremmo; il pluralismo si riferisce
invece ad una pluralità intesa come varietà
ideologica, “discorsiva”, cioè di
posizionamenti e visioni (varietà circa la
società e i suoi fenomeni). Infatti, la
distinzione tra diversità e pluralismo, nella
teoria mediale, può essere anche interpretata
come distinzione tra “selezione mediale” e
“presentazione mediale”, cioè distinzione tra
3 Le altre due nozioni, basate sul polo “pluralismo”, sono “affirmative
pluralism” e “critical pluralism”, illustrate da D. Raeijmaekers and P.
MaeseeleMedia, Pluralism and democracy: what’s in a name?, Media,
cosa viene scelto per divenire oggetto di
copertura mediale e come si sceglie di
coprirlo. Infine, occorre notare che mentre
“diversità” è un concetto descrittivo, a-
valutativo, “pluralismo” può essere inteso
come un valore sociale.
Incrociando i due criteri, (1)
consenso/conflitto, che nelle teorie mediali
corrispondono ad affermative/critiche, e (2)
diversità/pluralismo, nella proposta degli
autori si ottengono quattro diverse nozioni di
pluralismo mediale. A seconda di quella a cui
ci si richiama, varieranno le valutazioni delle
condizioni che lo favoriscono o danneggiano
e ovviamente anche del ruolo dei media, il
che spiega la variabilità degli studi di settore.
Per gli scopi di questo contributo, risulta utile
analizzare in dettaglio le prime due nozioni,
entrambe basate sul polo “diversità”3. Il
pluralismo mediale inteso come affirmative
diversity, “diversità affermativa”, rimanda
all’idea di media come “mercato delle idee” o
specchio della società. Questa nozione di
pluralismo poggia sulla teoria democratica
liberale e ne condivide dunque la tensione al
superamento del conflitto sociale e al
raggiungimento del consenso. I media
devono dunque rappresentare fedelmente,
con equilibrio, l’eterogeneità sociale, intesa
come diversità di attori, temi e punti di vista.
È l’approccio tipico della content analysis e di
molti monitoraggi mediali, ma anche delle
ricerche incentrate sui “bias dei media di
parte”, in cui una copertura equilibrata
significa assicurare, spiegano gli autori,
trattamento paritario ai partiti, se sono due, o
comunque un trattamento in linea con il
numero dei seggi posseduto da ciascuno, se
sono più di uno. È questa - mutatis mutandis -
la visione alla base della nozione di
“pluralismo politico” che si trova nella legge
Culture & Society, Volume 37, Issue 7, October 2015, pp. 1042 – 1059,
https://doi.org/10.1177/0163443715591670, a p. 1051 e ss.
Osservatorio 2023 sul Giornalismo Digitale
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Osservatorio 2023 sul Giornalismo Digitale

  • 1. Creative AI design e immagini di copertina by Alessia Bullone
  • 2. Design IA creativo e immagini di copertina di Alessia Bullone con il patrocinio di: In collaborazione con: I contenuti di questo documento vengono distribuiti con licenza Creative Commons By Tu sei libero di: • Condividere — riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato • Modificare — remixare, trasformare il materiale e basarti su di esso per le tue opere • per qualsiasi fine, anche commerciale. Il licenziante non può revocare questi diritti fintanto che tu rispetti i termini della licenza
  • 3. CONTENUTI PREFAZIONE 1 EXECUTIVE SUMMARY 3 NOTA METODOLOGICA 8 SCENARI E PROSPETTIVE 9 GIORNALISMO, AI, E NUOVE RESPONSABILITÀ DIGITALI LUCIANO FLORIDI E GUIDO ROMEO 10 LA DATIFICAZIONE DEL GIORNALISMO COLIN PORLEZZA 13 NUOVE PROSPETTIVE PER IL GIORNALISMO RICHARD GINGRAS 18 UN RUOLO CENTRALE PER I GIORNALISTI ELENA GOLINO 26 IL PLURALISMO INFORMATIVO TRA TEORIE DEI MEDIA E (LIMITI DELLA) TUTELA NORMATIVA. PROPOSTE PER UNA EVIDENCE-BASED REGULATION ELISA GIOMI 30 IL DIFFICILE RAPPORTO TRA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E C.D. DIRITTO ALL’OBLIO GUIDO SCORZA 38 UN PUZZLE COMPLICATO ANTONIO ROSSANO 45 APPROFONDIMENTI TEMATICI 54 LEGGERE LA NUOVA COMPLESSITÀ. GLI EFFETTI DEL DIGITALE SULLE STRATEGIE DELL’INDUSTRIA ITALIANA DEI QUOTIDIANI LELIO SIMI 55 GIORNALISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE ALESSIA PIZZI 78 IL PLURALISMO DELL’INFORMAZIONE ALLA PROVA DELLA CRISI DI FIDUCIA NEI MEDIA DAVIDE BENNATO 105
  • 4. 1 Con il web vi è la possibilità di accedere ad una infinità di fonti di informazione, a una molteplicità di strumenti, piattaforme, canali. Una multiformità di opportunità in continua evoluzione. L’ecosistema digitale offre la possibilità a tutti di parlare a tutti, o almeno offre questa illusione. Ognuno può cercare un palcoscenico per dire la propria, così come milioni di soggetti riversano nel web e nei social materiali informativi di ogni tipo. Senza disconoscere le grandi opportunità della rete, non possiamo ignorare gli effetti distorsivi che avvengono sui social media. Viviamo in un gigantesco mercato mondiale dei dati personali gestito dalle grandi piattaforme che sfuggono, di fatto, a qualsiasi regola, perfino di natura fiscale. In questo quadro, l’informazione professionale assume una nuova importanza, il giornalismo può costituire un punto di riferimento per offrire serietà e trasparenza. Per questo il giornalista, nella nuova dimensione della comunicazione digitale, deve avere ancora più attenzione ai propri doveri: verifica rigorosa delle fonti, continenza nel linguaggio, accuratezza della narrazione, rispetto della persona. Da qui la necessità di un Osservatorio su questa realtà mutevole e in continua trasformazione. Uno strumento operativo e scientifico che rafforzi la “cassetta degli attrezzi” dei giornalisti. Vanno comprese le dinamiche degli algoritmi, anche nelle fasi di produzione delle news giornalistiche. Va osservata e capita l’intelligenza artificiale che si sta affacciando nelle redazioni e ben presto sarà disponibile a chiunque voglia elaborare testi di carattere giornalistico. Ci sono nuove creature nell’universo digitale che vanno monitorate in quanto, come accaduto per i social media, diventano estensioni della realtà quotidiana, con interazioni a tutti i livelli. Penso, ad esempio, al Metaverso la cui evoluzione è tutta da vedere. Certamente, se dovesse espandersi, occorrerà traslare in esso, nei modi opportuni e se e dove possibile, le buone pratiche del giornalismo. Certamente deve valere la regola universale per il mondo digitale: non possono essere le piattaforme a decidere chi è giornalista e chi no. Detto questo occorre riposizionare la figura del giornalista rispetto ai nuovi scenari che si sono aperti. Non credo lo si possa più definire in relazione al canale o alla piattaforma o alla tipologia di testata dove opera (uso questo termine e non più “scrive”). Oggi il giornalista si definisce per il lavoro che fa. Vediamo realizzarsi, almeno dal punto di vista delle modalità di lavoro, lo slogan “giornalista è chi il giornalista fa”. Il punto, quindi, non è tanto andare ad individuare i profili tecnologici – operazione comunque utile e importante - ma individuare e qualificare il prodotto giornalistico nei tanti ambiti digitali. Chi decide di aderire all’etica e alla deontologia del giornalismo nonché alle regole della professione, deve essere accolto nella nostra comunità e aderire ai nostri principi e ai nostri valori. Altrimenti, l’unico riferimento è il guadagno, senza alcuna attenzione alle conseguenze del proprio operare. Prefazione Carlo Bartoli Presidente Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti
  • 5. Prefazione 2 Ovviamente non vedo come un “influencer” possa entrare nell’Ordine visto che questi svolgono attività di puro marketing. Discorso diverso quello dei social media manager: alcuni operano in una dimensione di marketing, altri in una dimensione giornalistica e questi ultimi sono una risorsa ormai centrale per le redazioni; lo stesso vale per youtuber, videomaker e altre figure. Non serve attardarsi nel classificare e sezionare le competenze digitali, la questione sta a monte: si svolge informazione professionale aderendo ad un’etica e rispettando le regole deontologiche? È qui lo spartiacque per chi fa il giornalismo e chi fa altro. Possiamo dire che il diaframma che a lungo ha tenuto separati il mondo della comunicazione da quello dell’informazione, sta diventando sempre più sottile, ma non per questo meno decisivo. Durante gli anni del Covid vi è stato un fenomeno molto significativo. Diverse ricerche universitarie hanno rilevato, durante la pandemia, un sostanziale incremento degli utenti del web che si sono rivolti alle fonti giornalistiche certificate ed a quelle istituzionali. Un segnale forte di fiducia a fronte del dilagare di fake news e manipolazioni soprattutto nel mondo dei social media. Credo si tratti di una indicazione da non far cadere, anche perché non sappiamo ancora se si tratta di un trend di lunga durata o di un sussulto causato dalle fratture della pandemia. Giornalisti e comunicatori istituzionali lo dovrebbero tenere ben presente per migliorare continuamente la qualità dell’offerta. È in questi contesti che il giornalismo professionale deve fare il massimo sforzo per mostrare il valore della qualità dell’informazione, che significa verità sostanziale dei fatti, rispetto delle persone, approccio etico e pluralismo; al di là della piattaforma su cui si svolge l’attività. In questo quadro l’Ordine assume una importanza ancora maggiore proprio a fronte del continuo mutare degli scenari dell’informazione e della comunicazione. Anche a livello europeo sta crescendo un dibattito sulla necessità di avere organismi di rappresentanza autogestiti e ben riconosciuti per tutelare l’autonomia e l’indipendenza dell’informazione. L’Ordine italiano può rappresentare un esempio in questo senso, a patto che il Parlamento si risolva ad approvare un drastico aggiornamento delle norme riguardanti la professione giornalistica. Non possiamo restare fermi alle regole di sessanta anni fa. Il mondo dell’informazione cambia velocemente ed è nostro dovere cercare di essere al passo dei tempi per garantire il diritto dei cittadini ad informare ed essere informati, quella “missione” che ci viene affidata dall’articolo 21 della nostra Carta Costituzionale, i cui valori costituiscono il punto di riferimento della nostra professione. Carlo Bartoli, giornalista professionista, è presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Murialdi per il giornalismo. Insegna Comunicazione giornalistica presso il dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Univesità di Pisa. Ha scritto il libro "Introduzione al giornalismo” e "L'ultimo tabù", un libro che indaga le modalità con cui media,bloggers e utenti dei social media comunicano e commentano i suicidi ed ha contribuito al volume "Etiche applicate" a cura di Adriano Fabris. Dal 2010 al 2021 è stato presidente dell'Ordine dei giornalisti della Toscana e dal 2018 al 2021 presidente della Fondazione dell'Odg toscano. Per due mandati è stato consigliere generale dell’lnpgi. In precedenza presidente dell ' Associazione stampa toscana (2001-2006) e componente del consiglio nazionale della Federazione nazionale della stampa e della Commissione contratto.
  • 6. 3 Obiettivi Non è questa l’ennesima raccolta di dati sul giornalismo, non è un sondaggio sul gradimento di un prodotto dell’industria dell’informazione, non è una ricerca accademica. Di tutti questi elementi, per fortuna, ne abbiamo grande abbondanza: sono disponibili, con frequenza di aggiornamento anche annuale, studi di livello internazionale che raccolgono dati ed interviste relative al mondo del giornalismo1 ed alle sue tendenze, dispositivi di maggior utilizzo per la lettura delle notizie, consumo delle news per fasce di età, ed altre importanti informazioni. Sono altresì disponibili fonti istituzionalmente riconosciute che mensilmente forniscono dati sul consumo di notizie in Italia, sulla pubblicità nei giornali cartacei ed online, sul numero di copie o di abbonamenti mensili venduti. Fonti e studi con autori competenti, giornalisti scientifici e ricercatori universitari, una metodologia scientifica dettagliata ed una costruzione narrativa tecnica e ben strutturata. Il nostro obiettivo è quello di rappresentare, “carte alla mano”, ovverossia proprio raccogliendo la grande quantità di autorevoli informazioni già disponibili e costantemente aggiornate, lo stato dell’arte dell’informazione nel nostro paese (e non solo) ed abbiamo, 1 Vedi bibliografia per questo, creato una infrastruttura di competenze trasversali al mondo dell’informazione, competenze giornalistiche in primis, accademiche e del marketing digitale. Infrastruttura che oggi chiamiamo “Osservatorio sul giornalismo digitale” ma che forse dovremmo in futuro chiamare “Osservatorio sul giornalismo”, dato che, proprio questi studi autorevoli e ricerche competenti, dimostrano che ormai il giornalismo è digitale. Lo faceva notare2 Mario Tedeschini Lalli nel recente convegno organizzato dall’Ordine dei Giornalisti a Roma “Digito ergo sum. L’informazione al tempo del digitale”, quando affermava: «Repubblica è stata la prima testata a dotarsi di una redazione web — e andò in linea 26 anni fa, il 14 gennaio 1997. Cinque giorni dopo, il 19 gennaio, qui a Roma nacque una bambina, quasi gemella di Repubblica.it. Bene… quella bambina ora è una collega professionista e lavora per quella stessa redazione! Capite quanto sono vecchio e quanto è vecchio il giornalismo digitale? Per questo mi vengono le bolle quando sento editori e — purtroppo — anche colleghi e colleghe che parlano ancora di “transizione al digitale”. Care amiche e amici: per il giornalismo italiano non è più tempo di transitare, il digitale già permea la nostra vita e il nostro lavoro.» 2 Riflessioni su un quarto di secolo di giornalismo digitale: le invarianti – Mario Tedeschini Lalli - Medium Executive Summary Antonio Rossano Presidente non profit “Media Studies” Coordinatore progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale”
  • 7. 4 Rappresentare evidentemente con contezza e competenza e con testimonianze esperte, i vari aspetti dell’ecosistema informativo, le contaminazioni delle intelligenze artificiali nelle redazioni ed il senso di queste contaminazioni; l’aspetto, forse il più rilevante per la professione, del pluralismo informativo e di nuove proposte per la sua comprensione e misurazione, quelli giuridici, quelli economici e di indirizzo. Non troveremo quindi, in questo documento, delle risposte specifiche su come risolvere alcune questioni fondamentali, messo che tali risposte esistano. Ci siamo concentrati sulla possibilità di rendere comprensibile la complessità che determina tali questioni, l’insieme di elementi che le caratterizzano, le molte spinte tecnologiche, economiche, informative, sociali, giuridiche che caratterizzano i cambiamenti determinando le problematiche che ci troviamo ad affrontare. Sono stati in particolare messi a fuoco tre aspetti centrali che sono emersi dalle analisi ed i contributi pervenuti: - Il ruolo sempre più rilevante dei dati e degli algoritmi fino all’uso degli strumenti dell’Intelligenza Artificiale nelle redazioni - Il pluralismo informativo e la fiducia dei lettori in un ecosistema informativo sempre più complesso - Il valore economico dell’industria dell’informazione e le prospettive per la professione Conclusioni Il valore economico dell’industria dell’informazione e le prospettive per la professione A partire dalla prefazione del presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, appare oramai imprescindibile, in una situazione caotica dove il numero degli enti emittenti e dei messaggi in circolazione è divenuto enorme, che i giornalisti diventino punto di riferimento per una narrazione seria e trasparente, valorizzando e confermando i buoni principi della deontologia professionale : “verifica rigorosa delle fonti, continenza nel linguaggio, accuratezza della narrazione, rispetto della persona”. Ai timori dei giornalisti di fronte al cambiamento ed alla innovazione, oramai continua, dei media, proprio il giornalismo professionale può dare una risposta, fare la differenza, riportare la fiducia, e quindi ricostruire il rapporto con il lettore, in un mondo dell’informazione sempre più polarizzato e chiuso nelle dinamiche dell’informazione relazionale. Come fa notare Elena Golino, presidente della Commissione cultura dell’Ordine, “[…] negli ultimi anni, abbiamo dovuto fare i conti con una dura realtà: il lato oscuro della forza dell’online è la diffusione delle fake news, i linciaggi digitali, le campagne d’odio”, rivendicando quindi il ruolo di una informazione professionale competente ed etica. D’altra parte, di fronte al cambiamento dell’informazione e del giornalismo, la Golino rileva come sia ormai necessario che l’Ordine si apra a nuove proposte di accoglimento rivolte a tutti i soggetti che fanno informazione online. Quindi, se da un lato i principi etici e deontologici del giornalismo possono e debbono ancora costituire il riferimento principale per il mondo dell’informazione, è
  • 8. 5 necessario accettare il cambiamento e le nuove realtà professionali che di esso sono parte integrante. Dall’analisi sui dati dell’industria dell’informazione, così come elaborati da Lelio Simi, giornalista professionista con grande esperienza su queste tematiche, emerge la necessità di spostare la valutazione degli assett industriali editoriali da logiche di tipo quantitativo a sistemi e metriche che siano in grado di rappresentare i contesti e le dinamiche che attengono quei dati e quindi su un piano qualitativo. Operazione non semplice, come ricorda Simi, ma che è indispensabile se vogliamo davvero comprendere, oltre le vecchie logiche del giornalismo cartaceo, ciò che sta accadendo in questa situazione di “complessità”. Scrive Simi: “[…] È cambiato soprattutto il prodotto al centro di questa industria, il giornale, che da almeno un paio di decenni, oltre alla sua versione di carta — il formato “monoblocco” che conosciamo da oltre un secolo — è diventato molte più “cose”. In questo contesto bisogna prendere atto che tutto è tremendamente più complicato […] Per Richard Gingras, vicepresidente globale di Google News: “La più grande sfida che il giornalismo deve affrontare è la sua rilevanza. Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto meno prospererà, se una società non riconosce l'importanza del giornalismo e non lo sostiene con la propria attenzione e il proprio supporto finanziario. Praticamente tutti i sondaggi evidenziano quanto la percezione della fiducia e del valore del giornalismo siano in costante calo […]” C’è quindi una questione sociale, di fiducia e di qualità secondo Gingras che sottolinea inoltre quanto sia importante il rapporto tra il giornalismo, i giornalisti e le comunità che essi informano. E, a proposito della crisi dei modelli economici del giornalismo e delle difficoltà dovute all’abbondanza di informazione, Gingras afferma: «[…] Ma, per molti imprenditori, non è finito il business del giornalismo. Non hanno avviato le loro imprese pensando di non trovare la strada del successo. Hanno avviato quelle imprese perché sapevano che c'erano vuoti da riempire, opportunità da cogliere. Molti ci stanno riuscendo. Un sacco di duro lavoro. Lunghe notti di dubbi stressanti. Ma ci credono. Ogni giorno ne abbiamo la prova. In Francia, Le Figaro registra 250.000 abbonati solo digitali, con un aumento del 20% dal 2020. In Germania lo scorso anno, Die Zeit ha registrato un aumento del 43% degli abbonamenti digitali rispetto all'anno precedente. Axel Springer ha ridisegnato il suo business dei media, vendendo i suoi giornali regionali, acquistando Politico e ora possiede Touchstone, il più grande sito per trovare lavoro in Europa. Il Times of London ha registrato il suo anno migliore dal 1990. Il direttore John Witherow ha annunciato "un'età d'oro per il giornalismo". Il New York Times ha ora oltre 9 milioni di abbonati. […]» In ultimo ci occorre riportare quest’ultima affermazione di Gingras, che riteniamo possa rappresentare uno degli aspetti centrali del nostro lavoro: «nessun modello di business per il giornalismo avrà successo se la società non rispetta e valorizza il giornalismo di qualità che ci aspettiamo nasca da una stampa libera.» Dati, algoritmi e Intelligenza Artificiale nelle redazioni Sull’Intelligenza Artificiale, sempre Gingras formula delle domande cui, solo nel prossimo futuro, attraverso l’implementazione di queste tecnologie, potremo rispondere, ma che dobbiamo, già ora, iniziare a porci: • “Che effetto avrà sulla nostra concezione di autorialità?
  • 9. 6 • Come possiamo essere certi della provenienza, della fondatezza dei fatti, dell'autenticità? • In che modo i giornalisti dovrebbero divulgare in modo appropriato l'uso di questi strumenti nel loro lavoro? • Come possiamo sfruttare i benefici e gestire i danni dei motori di conoscenza AI? “ Questioni etiche che pongono nel loro contributo anche Luciano Floridi e Guido Romeo, evidenziando come queste problematiche, qualora non affrontate ed inquadrate in ambito deontologico possano creare seri problemi alla centralità del giornalismo nella democrazia e nel dibattito pubblico informato. Altro aspetto interessante è evidenziato da Colin Porlezza, Direttore dell’European Journalism Observatory, nella sua analisi sulla “datificazione del giornalismo” che, se da una parte rileva come «[…]i big data, insieme agli algoritmi e ai metodi computazionali e i relativi processi e prospettive legati alla quantificazione, rappresentano il paradigma del lavoro di produzione dell’informazione […]», dall’altra mette in guardia sulla evidenza che si sia creato un vero e proprio “capitalismo dei dati” dove, ovviamente la parte del leone viene recitata dalle grandi piattaforme verso le quali «[…] i media si trovano sempre più in una posizione di passività visto che dipendono da un piccolo numero di piattaforme potenti e centralizzate se vogliono assicurarsi che i loro contenuti vengono percepiti […]». E non solo, per Porlezza il rischio è che un giornalismo intensamente strutturato sui dati porti a disfunzionalità come potrebbe essere, ad esempio, una produzione editoriale mirata ai gusti degli utenti. Ma l’intelligenza artificiale è già, da tempo, nelle redazioni, come racconta Alessia Pizzi, giornalista, esperta di marketing digitale e SEO, intervistando Charlie Beckett, direttore e fondatore di Polis, think thank giornalistico del Dipartimento Media e Comunicazione presso la London School of Economics and Political Science (LSE) nonché direttore del progetto JournalismAI e Andrea Iannuzzi, Senior Managing Editor presso La Repubblica e raccogliendo numerose evidenze sugli strumenti utilizzati e le finalità perseguite dai giornalisti. Non è ancora, se non a livello sperimentale, il tempo dei contenuti creativi scritti da un sistema di IA, ma è già da tempo quello degli articoli basati sui dati e dei resoconti sportivi o economici che vengono automaticamente prodotti da software specializzati. Ma, ammonisce la Pizzi, ci manca molto poco. E, soprattutto evidenzia quanto la questione etica sia fondamentale per poter correttamente utilizzare tali sistemi. Il pluralismo informativo e la fiducia dei lettori in un ecosistema informativo sempre più complesso Davide Bennato, sociologo, docente all’Università di Catania e consulente scientifico di questo progetto, analizza e raccoglie i vari studi ed analisi sulla situazione della fiducia e del pluralismo dell’informazione nel nostro paese evidenziando come il problema che va delineandosi non è tanto legato al pluralismo dell’informazione, ma a cosa serva un’informazione ricca e variegata quando viene percepita come essenzialmente priva di fiducia e non affidabile e come siano le strategie con cui il giornalismo si presenta negli spazi digitali a rappresentare la vera sfida per l’informazione. Ma il pluralismo informativo è davvero un sistema i cui confini possono essere banalmente definiti da elementi quantitativi
  • 10. 7 relativi al controllo delle infrastrutture dei media? È una domanda che si pone Elisa Giomi, sociologa, docente universitaria e commissaria dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, in una analisi che approfonditamente, partendo dalle teorie sociologiche, in un percorso volto a definire l’essenzialità logica ed ontologica del pluralismo, giunge ad evidenziare i limiti degli attuali sistemi regolatori, sottolineando la necessità di sganciarli da una concezione di “mercato”. Vi è poi un aspetto giuridico rilevante, quello legato alla “concorrenza” tra diritti dei cittadini, diritto all’informazione e diritto all’oblio , per esempio: è anche nella ricerca di un corretto equilibrio tra questi diritti che può sostanziarsi un ecosistema informativo realmente plurale ed è anche necessario osservare quanto le norme che delimitano tali diritti possano costituire esse stesse un problema, come emerge dall’analisi di Guido Scorza, avvocato e membro del collegio del Garante per la Protezione dei dati personali. In coda alla prima parte ho relazionato su alcune problematiche dell’informazione di tipo deontologico che trasversalmente attengono a questi già citati aspetti cercando di evidenziare la dimensione di complessità del giornalismo nell’attuale ecosistema informativo. Antonio Rossano, giornalista, è presidente di Media Studies, ente non profit che si occupa dell’analisi e divulgazione delle tematiche inerenti i media. Ha scritto e scrive per varie testate, enti e siti, tra cui L’Espresso, Repubblica, Regione Ticino, LSDI, Wired. Nel 2010 ha fondato Youcapital, prima piattaforma italiana di crowdfunding per progetti di giornalismo e comunicazione e nel 2011 si è trasferito a Lugano collaborando alla riprogettazione dell’ Hub informativo dell’ European Journalism Observatory, restandovi fino al 2014. Ha insegnato di tematiche relative al giornalismo in vari Master e collabora, in qualità di docente, con l’Ordine dei Giornalisti per la formazione degli iscritti. Consulente per il digitale dell’Ordine dei Giornalisti di cui coordina il progetto «Osservatorio sul giornalismo digitale» è membro del comitato scientifico della Fondazione Murialdi sul giornalismo italiano.
  • 11. 8 Le osservazioni presenti in questo report sono frutto di due distinte strategie di raccolta di informazioni. Nella prima sezione (Scenari e prospettive) si è utilizzata la tecnica della richiesta dei pareri a testimoni privilegiati, ovvero si è proceduto alla raccolta di una serie di consulenze a stakeholder italiani e internazionali del mondo del giornalismo in modo tale da delineare uno scenario il quanto più possibile ampio ed esaustivo, nonché basato sul dibattito contemporaneo relativo al giornalismo e alla professione giornalistica. Questa tecnica è utilizzata per la stesura di scenari relativamente a settori ad alto tasso di innovatività oppure in quegli ambiti in cui il contesto sociale di riferimento è in rapido mutamento e pertanto risulta necessario affidarsi al parere di persone esperte e competenti nei settori di analisi. Nella seconda sezione (Approfondimenti tematici) si è utilizzata la tecnica dell’analisi documentale, ovvero si sono passati in rassegna una serie di documenti e report di alto profilo nazionale e internazionale, che hanno costituito la letteratura scientifica di riferimento. A partire da questi materiali ci si è soffermati sugli argomenti specifici e sulle tematiche che hanno costituito il focus dei singoli capitoli. La letteratura scientifica usata come fonte per la redazione di questi capitoli è disponibile nella bibliografia in calce ad ognuno dei contributi della sezione. Tutte le riflessioni presenti nei contributi sono frutto dell’analisi delle fonti a cui si rimanda per avere dettagli sulla metodologia con cui sono stati raccolti i dati. Gli estensori dei singoli contributi di questa sezione hanno elaborato le informazioni presenti nei capitoli di propria competenza attraverso la lettura intenzionale della letteratura scientifica utilizzata, ovvero una lettura dei documenti specificamente volta alla ricerca delle informazioni utili per delineare il quadro di riferimento tematico. Pertanto, le osservazioni espresse dagli autori sono frutto delle considerazioni fatte a partire dal confronto e dall’interpretazione dei dati presenti in tali documenti, secondo le proprie competenze scientifiche e professionali. La correttezza scientifica delle analisi che sono state operate risiede da un lato dalla qualità della letteratura scientifica che ha costituito la base di riferimento, dall’altro dalla competenza degli estensori nel proprio ambito scientifico o professionale. Data l’eterogeneità della letteratura scientifica di riferimento si è fatta particolare attenzione a confrontare le ipotesi delineate in ogni singolo documento cercando di valorizzare la congruenza delle osservazioni. Nota metodologica Davide Bennato Docente Università di Catania Consulente scientifico progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale” Davide Bennato è professore associato di Sociologia dei media digitali presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche (DISUM) dell’Università di Catania. È presidente del corso di Laurea in Scienze e Lingue per la Comunicazione (DISUM), membro del Centro Informatica Umanistica (CINUM) dell’Università di Catania, membro del Dottorato in Sistemi Complessi del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania. Si occupa di comportamenti collettivi nei social media, etica dei big data, sociologia digitale. Su questi temi cura il blog Tecnoetica.it e scrive per il magazine Agenda Digitale
  • 13. 10 Il futuro del giornalismo è già qui, ma non è equamente distribuito. Le applicazioni di quell’insieme di tecnologie che chiamiamo intelligenza artificiale (IA) nel mondo dell’informazione sono in crescita esponenziale e stanno cambiando il modo di trovare, produrre e distribuire i contenuti aprendo nuovi modelli di monetizzazione. Si va dalla distribuzione personalizzata di contenuti come feed o newsletter iper- personalizzate, alla produzione automatica di contenuti in crescita sia nella finanza che nello sport, al pricing dinamico di banner e abbonamenti, all’estrazione di notizie da collezioni di big-data, a migliori trascrizioni automatiche di audio e video, alla moderazione dei commenti anche su grande scala e al riconoscimento di fake news e deep-fake, fino a nuovi strumenti di fact- checking e all’aumento della capacità di ricercare immagini e catturare il sentiment dei sempre più diffusi contenuti generati dagli utenti (UGC- user generated content). Ancora più importante – come ha sottolineato la London School of Economics3 - è l’aumento della domanda di questi servizi da parte di utenti come i ragazzi della Generazione Z, nati e cresciuti in un mondo di contenuti personalizzati e on-demand. La capacità di fare leva sui nuovi strumenti dell’IA non è però sempre alla portata di tutte le redazioni, sia per una questione di risorse che di competenze. Le grandi testate come il New York Times, il Financial Times, o il 3 The Journalism Ai Report - https://www.lse.ac.uk/media-and- communications/polis/JournalismAI/The-Report 4 AI ethics and policies: why European journalism needs more of both - Yearbook of the Digital Ethics Lab 2022 - Guido Romeo, Emanuela Griglié. gruppo scandinavo Schibsted da tempo sviluppano i propri sistemi proprietari di AI e hanno team interni di sviluppatori e data scientist mentre le realtà più piccole, come i giornali locali e le testate indipendenti, si trovano spesso a dipendere da fornitori esterni o dalle stesse grandi piattaforme globali che, negli ultimi decenni, sono diventate intermediari dominanti dell’advertising online, con la conseguente crisi dell’editoria d’informazione. Prima ancora che tecnologica ed economica, la partita intorno a IA e giornalismo oggi è etica, come sottolinea un recente paper pubblicato dal Digital Ethics Lab dell’Università di Oxford4 e firmato da Guido Romeo ed Emanuela Griglié. Si ripresentano questioni ormai note: la trasparenza dei sistemi di IA, l'attribuzione di responsabilità per i loro fallimenti, le conseguenze non intenzionali e all'equità dei risultati già sottolineati da Floridi, Taddeo 2016, Tsamados et altri5 e comuni all’ambito sanitario o difensivo. Ma vi sono questioni uniche all’ambito del giornalismo. Se non affrontate, queste problematiche creano conflitti con i fondamenti etici del giornalismo e la sua centralità per la democrazia e un dibattito pubblico informato. La missione etica del giornalismo è sostenuta dal diritto di tutti all'accesso alle informazioni e alle idee, sancito dall'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ("Dichiarazione universale dei diritti 5 Tsamados, Andreas, Nikita Aggarwal, Josh Cowls, Jessica Morley, Huw Roberts, Mariarosaria Taddeo, and Luciano Floridi. 2021.‘The Ethics of Algorithms: Key Problems and Solutions’. AI & SOCIETY, February. https://doi.org/10.1007/s00146-021-01154-8. Giornalismo, AI, e nuove responsabilità digitali Luciano Floridi e Guido Romeo
  • 14. 11 SCENARI E PROSPETTIVE Giornalismo, AI, e nuove responsabilità digitali Luciano Floridi – Guido Romeo dell'uomo" 2015) e dall'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU): “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include la libertà di avere opinioni senza interferenze e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo e indipendentemente dalle frontiere”. Nelle democrazie moderne, la presenza di un’informazione libera e indipendente svolge un ruolo fondamentale. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato il ruolo democratico dei media come 'fornitori di informazioni' ('Corte europea dei diritti dell'uomo - Caso Barthold v. Germania (1985) - Paragrafo 59.' n.d.) per creare forum di dibattito pubblico e agire come guardiano pubblico. In questo panorama, quali sono le responsabilità dei giornalisti nei confronti dei loro lettori e della società in generale? Come rileva la Federazione Internazionale dei Giornalisti (‘Convenzione Europea sui Diritti Umani - Testi, Convenzione e Protocolli Ufficiali’ n.d.): “La responsabilità del giornalista nei confronti del pubblico ha la precedenza su ogni altra responsabilità, in particolare nei confronti dei suoi datori di lavoro e delle autorità pubbliche. Il giornalismo è una professione, che richiede tempo, risorse e mezzi per essere esercitata, tutti elementi essenziali per la sua indipendenza”. E, indipendentemente da come i codici giornalistici e le culture possano variare nel mondo, il primo punto della Carta Globale6 dei giornalisti: "Il rispetto dei fatti e il diritto del pubblico alla verità è il primo dovere del giornalista", dovrebbe 6 Global Charter of Ethics for Journalists’. n.d. IFJ. Accessed 30 December 2020. https://www.ifj.org/who/rules-and-policy/global- charter-of-ethics-for-journalists.html risuonare in qualsiasi redazione, indipendentemente dalla lingua o il mezzo. Nella pratica, queste domande sono il quadro all’interno del quale giornalisti e sviluppatori insieme dovrebbero definire come i sistemi intelligenti possano, per esempio, profilare gli utenti e distribuire di conseguenza i contenuti delle notizie, aumentando il rischio di generare "echo- chambers" (letteralmente camere d’eco) in cui le convinzioni sono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all'interno di un sistema chiuso e isolato dalla confutazione. Non sorprende che una questione del genere sia stata sotto i riflettori in molti dibattiti pubblici e politici, dai movimenti no-vax alla Brexit e alle elezioni statunitensi fino, più recentemente, all'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti nel 2021. Come sottolineano Romeo e Griglié, gli antidoti a una deriva “tecnocentrica” e priva di valutazioni etiche delle applicazioni dell’IA al mondo dell’informazione può difficilmente essere prescrittiva visto la natura del settore, dove l’eccessiva regolamentazione rischia di aprire il varco a censure e controlli. Piuttosto, le soluzioni vanno elaborate dai giornalisti stessi e sostenute a livello europeo anche con risorse economiche. La Commissione Europea, con il suo regolamento per una intelligenza artificiale responsabile7 dell’aprile 2021 ha posto l’Europa all’avanguardia nelle riflessioni sull’etica dell’intelligenza artificiale, ma i giornalisti devono poter entrare nel gioco con le competenze tecniche e la formazione adeguata a difendere il loro ruolo. Che proprio grazie ai sistemi intelligenti, può 7 https://eur-lex.europa.eu/legal- content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52021PC0206
  • 15. 12 SCENARI E PROSPETTIVE Giornalismo, AI, e nuove responsabilità digitali Luciano Floridi – Guido Romeo diventare sempre più centrale in un mondo dove un magnate della tecnologia come Elon Musk si appresta a ristrutturare draconianamente una delle maggiori piattaforme di informazione globale come Twitter. LUCIANO FLORIDI Professore Ordinario di Filosofia ed Etica dell'Informazione all'Università di Oxford, e di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, dove dirige il Centre for Digital Ethics. Noto come una delle voci più autorevoli della filosofia contemporanea, è considerato il padre fondatore della filosofia dell’informazione e uno dei maggiori interpreti internazionali della rivoluzione digitale. Nel 2022 è stato insignito dal Presidente Mattarella del titolo di Cavaliere della Gran Croce, il più alto riconoscimento al merito della Repubblica Italiana https://www.oii.ox.ac.uk/people/profiles/luciano- floridi/ GUIDO ROMEO Giornalista e autore, è esperto di innovazione ed economia digitale, intelligenza artificiale applicata al giornalismo e trasparenza dell’informazione. Ha scritto per Il Sole24Ore e Wired. È autore di Per Soli Uomini, il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design (Codice 2021) e di Silenzi di Stato, storie di trasparenza negata e di cittadini che non si arrendono (Chiarelettere 2016). Ha ricevuto premi nazionali e internazionali e dal 2020 interviene sui temi del genere, dei dati e della governance dell’intelligenza artificiale. Su twitter è: @guidoromeo
  • 16. 13 “L’uomo, creando la macchina pensante, ha compiuto l’ultimo passo verso la completa sottomissione alla meccanizzazione. […] Con il perfezionamento dell’automa l’uomo si troverà completamente alienato dal proprio mondo e ridotto a una nullità. Il regno, il potere e la gloria appartengono ora alla macchina”. (Lewis Mumford, Le trasformazioni dell’uomo, p. 158.) --- Nel lontano 1967, il teorico delle tecnologie Lewis Mumford creò il concetto della cosiddetta “mega-macchina”. Nel suo libro The Myth of the Machine (Il mito della macchina), l’intellettuale statunitense situa questa mega-macchina nell’antico Egitto per descrivere le organizzazioni gerarchiche costituite da decine di migliaia di esseri umani schiavizzati e controllati dal potere di re venerati come degli dei. In questa mega-macchina, gli schiavi diventano una risorsa trasmettendo la loro energia a un meccanismo più grande che si può sfruttare per costruire intere piramidi. La gestione di tutte queste vite in schiavitù viene attribuita a un apparato militare e amministrativo per assicurarne il controllo e l’utilizzo efficiente. Nella sua opera successiva, Mumford adattò il suo concetto di "mega-macchina" al mondo digitale, sostituendo il re divino con un cosiddetto "Omni Computer", cioè "l'ultimo modello di computer I.B.M., programmato con zelo dal Dr. Stranamore e dai suoi associati" (1970, p. 273). In questo caso non c’è più un’enorme massa di schiavi costretti a svolgere lavori disumani, ma una "info-macchina" che monopolizza il potere, pronta a elaborare dati "misurati quantitativamente o osservati oggettivamente". Nella visione critica del progresso sociale da parte di Mumford, gli esseri umani subiscono una disintegrazione totale dell'autonomia dato che vengono ridotti a un semplice ingranaggio della macchina artificiale. Nell’era del teorico americano, il potere di calcolo dei computer non era ancora sufficientemente sviluppato per poter innescare una rivoluzione riguardo alla società dell’informazione. Ma ciò che l’intellettuale poliedrico descrisse all'inizio degli anni Settanta viene oggi riflesso dalla crescente datificazione del giornalismo digitale: l'uso di dati, algoritmi, così come le infrastrutture tecnologiche da cui dipendono, rappresentano un nuovo tipo di "mega- macchina" che definisce in larga misura il modo in cui le notizie vengono raccolte, prodotte e diffuse. Come sostengono gli studiosi di giornalismo Seth Lewis e Oscar Westlund, i big data, insieme agli algoritmi e ai metodi computazionali e i relativi processi e prospettive legati alla quantificazione, rappresentano il paradigma del lavoro di produzione dell’informazione. I dati diventano perciò l’ingrediente principale nel modo in cui il giornalismo può essere ottimizzato, valutato, curato o reso più efficiente. Il sociologo Jason Sadowski (2019) sostiene a questo proposito che "la presunta universalità dei dati riformula tutto come se rientrasse nel dominio del capitalismo dei dati. Tutti gli spazi devono essere sottoposti alla datificazione" La datificazione diventa così il substrato su cui si fonda l'attuale trasformazione del giornalismo. La datificazione del giornalismo Colin Porlezza
  • 17. 14 SCENARI E PROSPETTIVE La datificazione del giornalismo Colin Porlezza Ma come siamo arrivati a questa situazione? Per capire l’attuale processo di trasformazione del giornalismo trainato dall’uso e dall’analisi di dati bisogna tener conto di due aspetti: prima di tutto bisogna volgere lo sguardo oltre il confine delle redazioni e capire il modo in cui la società intera è permeata dai dati. Per questa ragione, il fenomeno della datificazione del giornalismo deve essere inserito in un contesto più ampio di trasformazioni sociali e di come il giornalismo interagisce con questi fenomeni sociali. In secondo luogo, è importante tracciare il modo in cui il giornalismo stesso abbia sviluppato un rapporto con i dati, rapporto che è mutato profondamente nel corso della storia professionale. Partendo dalle interdipendenze tra il giornalismo e gli sviluppi sociali: il giornalismo è sia un mezzo di comunicazione che un fenomeno sociale e, in quanto tale, è sia una forza trascinante che un elemento condizionato nel rapporto riflessivo tra media e cambiamento sociale. La datificazione come concetto è stata introdotta nel discorso accademico da Viktor Mayer-Schönberger e Kenneth Cukier nel loro libro del 2013 “Big data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà”. Sebbene gli autori leghino il fenomeno alle tecnologie digitali, il concetto è tutt'altro che nuovo: infatti ha una lunga storia, soprattutto nell’ambito della gestione delle popolazioni come nel censimento, nell’organizzazione e nella gestione di stati come anche nella storia della burocrazia. Oggi però, la datificazione è soprattutto legata alla tecnologia digitale e ai big data. In tutta la sua storia, la datificazione è sempre stata assistita dalle tecnologie dei media, anche se in passato i media erano analogici. In questo senso, la datificazione precede la digitalizzazione come scrivono le due ricercatrici Sofie Flensburg e Stine Lomborg in un loro recente articolo. Dagli anni 80 fino a oggi, le infrastrutture digitali e la digitalizzazione attraverso il Web hanno contribuito in modo massiccio alla creazione, l’elaborazione e l’analisi di dati, arrivando fino al processare dati in tempo reale. In tutto questo, le tecnologie di comunicazione mobili come il cellulare, attraverso loro adozione nelle pratiche sociali e negli spazi privati e pubblici, giocano un ruolo fondamentale nell’aumento vertiginoso della produzione di dati nella società. In più, a partire dalla fine degli anni 2000, le piattaforme social hanno perfezionato un modello di business che è interamente basato sull’estrattivismo dei dati, come scrivono Nick Couldry e Ulisses Mejias, appropriandosi dei nostri dati che poi vengono venduti a chi fa pubblicità. Queste piattaforme sono gli stessi attori - o “frenemies” come dice la direttrice del Tow Center for Digital Journalism della Columbia University a New York - che esercitano un potere enorme sul giornalismo e le case editrici in quanto determinano in gran parte il modo in cui gli utenti trovano, accedono e consumano le news. Come dimostrano Rasmus Kleis Nielsen e Sarah Anne Ganter in un recente libro, istituzioni precedentemente indipendenti come i media si trovano sempre più in una posizione di passività visto che dipendono da un piccolo numero di piattaforme potenti e centralizzate se vogliono assicurarsi che i loro contenuti vengono percepiti. In altre parole, i dati - insieme agli algoritmi che li analizzano - sono così diventati un elemento determinante in quasi tutte le sfere della nostra vita. In tutto questo, il giornalismo stesso è un fenomeno sociale e non può quindi sottrarsi ai processi di trasformazione, soprattutto se i
  • 18. 15 SCENARI E PROSPETTIVE La datificazione del giornalismo Colin Porlezza dati e gli algoritmi sono onnipresenti nell’ecosistema mediatico. È dunque costretto ad adattarsi ai cambiamenti dell’intero ambiente comunicativo, adattando ad esempio le pratiche alla nuova materialità basata sui dati attraverso nuovi generi giornalistici quantitativi quali il data journalism, o addirittura il giornalismo computazionale o automatizzato. Questo è però solo una facciata della medaglia: mentre da un lato, la crescente datificazione della società ha fatto sì che il giornalismo possa accedere a un crescente numero di fonti di dati quantitativi, favorendo l’espansione del data journalism, dall'altro, l'ampio uso di algoritmi nella società è diventato un argomento di interesse per il giornalismo. Questo si riflette ad esempio nella creazione di nuovi beat come l'algorithmic accountability reporting, un genere che cerca di analizzare, con l’aiuto di dati, algoritmi e procedimenti sofisticati come il reverse engineering, l’impatto di algoritmi nella società. Il reverse engineering ossia “progettazione all’incontrario” è un processo che consente ai giornalisti, con l’aiuto di sviluppatori o informatici, di analizzare il funzionamento di algoritmi spesso opachi. Attraverso l’immissione continua e automatizzata di dati si cerca di studiare che tipo di output produce l’algoritmo, e se ad esempio produce dei risultati distorti. Questo procedimento è un esempio come l’uso di dati e algoritmi permette al giornalismo di studiare dei fenomeni simili nella società. In altre parole: la datificazione comporta un’interdipendenza tra la datificazione della società e la datificazione del giornalismo. Questa "svolta algoritmica" nel giornalismo, come la chiama Philip Napoli, che comporta un utilizzo crescente di dati, algoritmi e machine learning nel lavoro giornalistico al fine di analizzare la datificazione della società, si basa sugli stessi mezzi - dati e algoritmi - che contraddistinguono la società datificata. Ciò comporta una riflessività tra gli strumenti che caratterizzano la società datificata e la loro implementazione nel giornalismo per osservarli. È proprio questa interdipendenza che dimostra come, per capire la genealogia della datificazione nel giornalismo, occorra collocare la trasformazione nel contesto delle influenze tecnologiche, sociali e culturali. Passiamo ora alla storia dell’uso dei dati nel giornalismo, che incomincia ben prima dell’avvento del Web. Come dimostra Chris Anderson nel suo libro The Apostles of Certainty (Gli apostoli della certezza), il giornalismo ha una lunga e spesso travagliata storia con i dati che trova il suo inizio nel 19° secolo: dopo una prima fase di entusiasmo riguardo all’uso di dati quantitativi verso la fine dell’800, causato soprattutto da movimenti sociali (ad esempio per i diritti dei lavoratori) che assecondavano fortemente l’uso di dati empirici per capire meglio fenomeni sociali, nella Progressive Era dei primi anni del 20° secolo, i giornalisti si riorientarono di nuovo su pratiche più individualiste seguendo persone famose e episodi rilevanti anziché immergendosi in analisi di strutture sociali. Questo era anche dovuto al fatto che i giornalisti vollero distanziarsi in modo netto dai sociologi. Solo nel 1952, quando la CBS adoperò per la prima volta un Remington Rand UNIVAC mainframe computer per realizzare delle proiezioni sulle elezioni presidenziali, l’era del cosiddetto computer-assisted-reporting (o CAR) ebbe inizio. Ma solo in combinazione con un approccio più socio-scientifico propagato dal giornalista e ricercatore americano Phil Meyer negli anni 60 possiamo capire l’evoluzione di quello che
  • 19. 16 SCENARI E PROSPETTIVE La datificazione del giornalismo Colin Porlezza decadi più tardi sarebbe diventato il vero e proprio data journalism. In altre parole, se vogliamo capire gli elementi che hanno portato a un giornalismo orientato all’uso di dati quantitativi dobbiamo tener conto del fatto che queste i cambi paradigmatici sono avvenuti ben prima dell’invenzione del Web nei primi anni 90. Certo, l’introduzione universale di computer nelle redazioni ha contribuito all’adizione di forme quantitative di giornalismo, ma la storia dell’impatto di dati nella produzione giornalistica incomincia ben prima. Negli ultimi anni, nelle redazioni si può osservare sempre di più il fenomeno del giornalismo computazionale che comprende “la ricerca, il racconto e la diffusione di notizie con, da o sugli algoritmi”, come scrivono Nick Diakopoulos e Michael Koliska. Da qui si può capire la centralità dei dati e degli algoritmi nel giornalismo al giorno d’oggi: non si tratta più solamente di utilizzare delle macchine più potenti nel lavoro giornalistico (portato avanti esclusivamente da esseri umani), ma la loro applicazione è molto più centrale e pervasiva e concerne tutte le fasi del ciclo delle notizie. Il giornalismo computazionale rompe quindi con le tradizionali pratiche editoriali visto che gli strumenti che lo caratterizzano non supportano solamente i giornalisti, ma cambiano la natura, le routine e i ruoli giornalistici, configurando nuove concezioni di ciò che il lavoro giornalistico comporta. In conclusione, l'ubiquità con cui le redazioni al giorno d’oggi usano dati e algoritmi, esercita un potere di trasformazione sul giornalismo, riducendo l’essere umano sempre di più a un elemento che assomiglia - proprio come previsto da Mumford e la sua info-macchina - a un ingranaggio che subisce le logiche dei dati quantitativi attraverso, ad esempio, le metriche che impongono una produzione editoriale mirata ai gusti degli utenti - con tutti gli effetti disfunzionali per l’autonomia giornalistica. È dunque tutt'altro che chiaro come esseri umani e gli algoritmi possano convivere all’interno delle redazioni tenendo conto del fatto che l’uso massiccio di dati comporta diverse sfide, non solo quando si tratta di progettare il rapporto tra giudizio umano e automazione, ma proprio in relazione all'etica professionale riguardo alla trasparenza, la privacy, e la responsabilità nell’uso di dati e algoritmi. Dal momento che il giornalismo datificato è oramai una realtà, e considerato come sempre più decisioni editoriali vengono determinate da algoritmi che usano quantità di dati massicce, dobbiamo assicurarci che le sfide etiche, legali e sociali che accompagnano questo fenomeno vengano affrontate - ad esempio dalle istituzioni di autoregolamentazione giornalistica - in maniera seria affinché venga garantito un uso responsabile di dati nelle redazioni. COLIN PORLEZZA Colin Porlezza è Senior Assistant Professor di Giornalismo Digitale all’Istituto Media e Giornalismo, Università della Svizzera italiana (USI). Attualmente è anche Professore Onorario alla City, University of London (UK) e Research Fellow alla Columbia University (USA). È direttore dell’Osservatorio Europeo di Giornalismo, network universitario europeo. Prima di raggiungere l’USI ha lavorato all’Università di Zurigo, all’Università di Neuchâtel e alla City, University of London. Le sue principali aree di ricerca sono il giornalismo digitale, la datificazione del giornalismo e l’impatto dell’intelligenza artificiale sul giornalismo. Ha pubblicato più di 50 pubblicazione tra libri, capitoli e articoli scientifici.
  • 20. 17 SCENARI E PROSPETTIVE La datificazione del giornalismo Colin Porlezza Bibliografia del capitolo • Anderson, C. W. (2018). Apostles of Certainty: Data Journalism and the Politics of Doubt. Oxford: Oxford University Press. • Bell, E. (2018). The Dependent Press: how Silicon Valley threatens independent journalism. In M. Moore & D. Tambini (eds.), Digital Dominance. The Power of Google, Amazon, Facebook, and Apple. Oxford: Oxford University Press. • Couldry, N., & Mejias, U. A. (2020). The costs of connection: How data are colonizing human life and appropriating it for capitalism. Stanford: Stanford University Press. • Diakopoulos, N. (2019). Automating the news. Cambridge: Harvard University Press. • Diakopoulos, N., & Koliska, M. (2017). Algorithmic transparency in the news media. Digital journalism, 5(7), 809-828. • Kleis Nielsen, R., & Ganter, S. A. (2022). The Power of Platforms. Oxford: University of Oxford Press. • Lewis, S. C., & Westlund, O. (2015). Big data and journalism: Epistemology, expertise, economics, and ethics. Digital journalism, 3(3), 447-466. • Loosen, W. (2018). Four forms of datafied journalism. Journalism's response to the datafication of society. Communicative Figurations Working Paper Series, (18). Bremen: University of Bremen. • Mayer-Schönberger, V., & Cukier, K. (2013). Big data: A revolution that will transform how we live, work, and think. Boston: Houghton Mifflin Harcourt. • Mumford, L. (1967). Technics and Human Development: The Myth of the Machine, vol. I. New York: Harcourt, Brace Jovanovich. • Mumford, Lewis (1970). The Pentagon of Power: The Myth of the Machine, vol. II. New York: Harcourt, Brace Jovanovich. • Napoli, P. M. (2014). Automated media: An institutional theory perspective on algorithmic media production and consumption. Communication Theory, 24(3), 340-360. • Sadowski, J. (2019). When data is capital: Datafication, accumulation, and extraction. Big data & society, 6(1), 2053951718820549.
  • 21. 18 Nel corso del 2022 Richard Gingras ha incontrato platee di tutto il mondo pronunciando discorsi sulle sfide che il giornalismo si trova ad affrontare nella nostra moderna era digitale. Questa è una sintesi di tali discorsi, scritta e rielaborata da Gingras per il nostro Osservatorio, nella quale analizza i vari aspetti ed i cambiamenti del giornalismo --- La più grande sfida che il giornalismo deve affrontare è la sua rilevanza. Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto meno prospererà, se una società non riconosce l'importanza del giornalismo e non lo sostiene con la propria attenzione e il proprio supporto finanziario. Praticamente tutti i sondaggi evidenziano quanto la percezione della fiducia e del valore del giornalismo siano in costante calo. Ciò non sorprende, dato che molti politici liquidano come “fake news” tutto ciò che ritengono sia per loro sfavorevole. Il mondo è cambiato. Più che mai c’è bisogno di giornalismo di qualità per comprendere il nostro mondo ed essere cittadini attivi. Siamo sopraffatti da internet: cambia continuamente, clic dopo clic, con ogni frammento di informazione che sputa fuori. Dai teneri meme dei social network a una schiera infinita di opinionisti e influencer. Dagli utili tutorial e dai sogni ispirati di creatori di video, agli imbonitori e ai propagandisti. Dalle istantanee di graziosi nipotini, alle foto ritoccate per manifestare una falsa indignazione. Dall’ esperienza profonda del giornalismo digitale innovativo, all’astroturfing finanziato da chissà chi. È un ecosistema mediatico complicato composto da elementi di una semplicità spaventosa. La cultura, la politica e le notizie sono ridotti a meme e messaggi di 280 caratteri senza contesto né sostanza. Il nostro mondo è distorto e stravolto da sconfortanti meme culturali che siamo indotti ad amplificare, da cattive pubblicità che offrono falsi rimedi, da politici che soffiano sul fuoco di paure che essi stessi promettono poi di spegnere. Certo, esiste un giornalismo responsabile e basato sui fatti, difficile da identificare e in gran parte sopraffatto dal cicaleccio cacofonico e anestetizzante che è l'espressione collettiva di internet. In che modo il giornalismo svolge il suo ruolo critico in mezzo a tutto ciò? Per comprendere come viene percepito il giornalismo nelle società in cui operiamo, dovremmo porci delle domande: •Il nostro pubblico comprende il ruolo del giornalismo? •Sa a quali fonti affidare il suo prezioso tempo e denaro? •L'esplosione di opinioni a basso costo ma popolari sta soffocando la credibilità del giornalismo basato sui fatti? •La deriva verso le notizie di parte sta peggiorando il problema? •Le persone capiscono quello che noi pensiamo loro capiscano? •I siti di notizie cercano sottoscrizioni e abbonamenti facendo promesse solenni sulle virtù del "giornalismo di qualità": quale piccola percentuale delle nostre società comprende qualcosa di tutto ciò? Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras
  • 22. 19 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras Certo, possiamo chiedere più alfabetizzazione mediatica. Ma raccontarci venti motivi per cui dovremmo mangiare più broccoli e meno pizza non basta. Abbiamo bisogno di esplorare nuove ricette per un menu giornalistico allettante e salutare. Il fondamentale rapporto tra giornalismo, fiducia e comunità Per comprendere questo rapporto chiedo spesso agli editori quali ricerche facciano. In genere la risposta è "poche" o "nessuna". Oppure: “Studiamo i nostri registri di utilizzo. Analizziamo il nostro traffico.” Va bene. Ma questo non dice nulla su coloro che non visitano il sito, nulla su che cosa il pubblico apprezzi. Un amico, un caporedattore, mi ha detto: "Ho capito cosa vogliono i miei lettori". Non avevo intenzione di criticare il giudizio del mio amico, però gli ho chiesto: "Non ti aspetti che i tuoi giornalisti facciano molte domande prima di decidere cosa sanno o non sanno su un determinato argomento?" Allora perché non fare ricerche? Collaboro con testate giornalistiche locali emergenti un po’ in tutto il mondo. C'è speranza. Village Media in Canada, ha riscontrato un notevole successo commerciale e ora opera in più di 60 città. Partecipano alla vita della comunità. Cercano di comprendere e soddisfare tutte le esigenze di informazione di ciascuna comunità. Il loro successo è un'opportunità di cui possono beneficiare molti imprenditori dell’informazione locale. Un giornalismo responsabile è fondamentale per il ruolo del giornalismo. Ma è importante rispondere a tutte le esigenze di informazione di una comunità: eventi, sport locali, necrologi. È questo "giornalismo di servizio" che stimola il coinvolgimento, crea legami con la comunità, incentiva la pubblicità locale e amplia il pubblico del giornalismo di inchiesta. Come ha osservato David Walmsley del Canada’s Globe & Mail, "potremmo sostenere il giornalismo di qualità senza rispettare tutte le esigenze informative di una comunità"? Otto anni fa mi sono unito a Sally Lerhman per sollecitare l'attenzione sul calo della fiducia nel giornalismo.. Con il Trust Project, Sally ha avviato uno studio e ha raccolto i principi e le strategie utili alle testate giornalistiche per impostare un orientamento basato sulla trasparenza e la fiducia. Il Trust Project collabora con centinaia di testate giornalistiche in tutto il mondo. Ma come direbbe Sally, c'è molto altro da imparare, molto altro da fare. Ulrik Haagarup e il Constructive Journalism Institute in Danimarca offrono una prospettiva diversa, ripensando i modelli, i format, la linguistica utilizzati nel nostro lavoro giornalistico. Il termine "costruttivo" è fondamentale. Non sono notizie che fanno “stare bene”. Il giornalismo costruttivo va oltre il tipico modello di informazione, con segnali e intenti chiari, per includere il contesto necessario, i come e i perché e, soprattutto, una considerazione su come l'evento disastroso poteva essere prevenuto. È progettato per cercare un terreno comune. Quando organizzano dibattiti, evitano etichette divisive come Crossfire (“fuoco incrociato” ndr). Quale modo migliore per ottenere il rispetto della società che dimostrare il potere del giornalismo nell’ aiutare una comunità a comprendere le sue sfide e ad affrontarle?
  • 23. 20 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras Le sfide dell’intelligenza artificiale e la sua inevitabile presenza nell'ecosistema dell'informazione L'intelligenza artificiale sta rapidamente consentendo la creazione di media, tutti i media, dalle immagini ai testi alle persone artificiali. È ormai a portata di mano. Può essere utilizzata per creare rapidamente comunicazioni e componenti mediatiche convincenti. Sono molte le domande che dovremo porci ed a cui dovremo trovare risposta: •Che effetto avrà sulla nostra concezione di autorialità? •Come possiamo essere certi della provenienza, della fondatezza dei fatti, dell'autenticità? •In che modo i giornalisti dovrebbero divulgare in modo appropriato l'uso di questi strumenti nel loro lavoro? •Come possiamo sfruttare i benefici e gestire i danni dei motori di conoscenza AI? •Affronteremo la prospettiva dei silos della conoscenza con "Il mio motore di conoscenza è più intelligente del tuo?" La regolamentazione di Internet e la libertà di espressione Il ruolo del giornalismo attiene a molte fondamentali questioni per la nostra società. Quando nacque internet molti, me compreso, erano ottimisti. Avevamo immaginato che più libertà di espressione ci fosse, meglio sarebbe stato. Credevamo che i nostri angeli buoni avrebbero vinto. Ma abbiamo scoperto che c’era un lato oscuro. Non siamo tutti angeli. Internet ha innescato dei comportamenti provocatori e problematici. È comprensibile che ora i governi stiano cominciando a regolamentare internet, generalmente con buone intenzioni, ma spesso con conseguenze imprevedibili e potenzialmente dannose per la stampa libera e l’open internet. Lo vediamo accadere in tutto il mondo. Fa paura, specialmente in un mondo dove la tendenza è verso società meno aperte e regimi più autoritari. E questo ci porta alla questione fondamentale da affrontare: come possiamo garantire che la continua evoluzione della regolamentazione di internet assicuri una stampa libera e diversificata e non rafforzi invece specifici interessi politici o sostenga interessi economici radicati? L’ open internet ci sta sfuggendo di mano. A quanto pare i nostri venticinque anni di internet o il fatto che abbiamo favorito la libertà di espressione sono sembrati un’aberrazione. Sebbene il problema dell’uso scorretto di internet non possa essere ignorato, è essenziale capire e riequilibrare i rischi che corrono la libertà di espressione e la stessa libertà di stampa. È un terreno scivoloso. Alcuni attori del dibattito politico vedono internet come una minaccia alla loro share of voice, alla loro quota di influenza. Se potessero, trasformerebbero internet in un ambiente di distribuzione come quelli che hanno reso possibile i loro successi passati, dove solo coloro che avevano il potere e l’influenza per controllare e comandare la distribuzione, avevano voce in capitolo. A livello globale siamo nelle prime fasi dell’evoluzione della regolamentazione di internet. È importante per il futuro del giornalismo e per la libertà di stampa che tutti gli appartenenti alla comunità giornalistica siano attenti alle conseguenze dirette ed indirette della regolamentazione man mano che essa si evolve.
  • 24. 21 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras Una lezione sempre valida è la seguente: quando c’è un cambiamento nella distribuzione dei media - radio, televisione (via cavo o via satellite), internet- i padroni dei media cercano di mantenere il predominio, di impedire l'espansione del mercato ai nuovi imprenditori del settore e di ridurre la diversità delle voci che i media potrebbero consentire. Questo è tanto comprensibile quanto preoccupante. È quanto sta accadendo oggi con internet. Se siete giornalisti che lavorano per una media company, grande o piccola che sia, siete invitati a prestare molta attenzione. È importante che i giornalisti che si occupano della policy di internet vadano oltre i meme e facciano attenzione a non farsi accecare da interessi personali a breve termine. La posta in gioco è alta, per il futuro del giornalismo e per il futuro delle società aperte. Siamo a favore di una regolamentazione attenta e ragionata di internet. Ci auguriamo solo che essi rispetti questi principi chiave: •Proteggere l’open Web e l’open Internet e la libera espressione che essi consentono, e non un sistema di distribuzione chiuso che favorisca pochi. •Consentire una stampa libera diversificata e finanziariamente indipendente. •Proteggere dall'indebita influenza dei governi che può squilibrare l'ecosistema dell’informazione. Anche volendo fidarci del fatto che la regolamentazione ottenga l’effetto desiderato, è fondamentale esaminare le clausole scritte in caratteri piccoli. I meccanismi creati da tale regolamentazione potrebbero facilmente anche rivoltarsi contro la stampa a seconda delle motivazioni del governo in carica. Domande difficili. Nessuna risposta facile. ------------- Necessitiamo di una migliore comprensione delle diverse culture nel nostro mondo Jere Van Dyk è un inviato in Afghanistan da più di 40 anni! Per il New York Times, per CBS News, per Agence France Presse e molti altri. È andato dove altri non sarebbero andati. Si è calato nella realtà delle province tribali. Vi si è immerso profondamente nel tentativo di comprendere il movimento fondamentalista dei Wahhabiti. Vi si è immerso profondamente nel tentativo di capire i Talebani. Il prezzo che ha pagato è stato quello di essere rapito dai talebani e tenuto in ostaggio per 45 giorni, pensando che ogni giorno poteva essere l'ultimo. Ha raccontato questa esperienza in un bellissimo e toccante libro intitolato Captive (lo consiglio vivamente). Il suo ultimo libro, Without Borders: The Haqqani Network and the Road to Kabul, (disponibile da domani) si basa sulla sua lunga esperienza con la rete Haqqani. Di recente, alla Newsgeist Unconference di Google a Bratislava, Jere ha tenuto un discorso appassionato e stimolante. È stato molto critico nei confronti della nostra evidente riluttanza a guardare oltre le nostre divisioni per comprendere culture diverse dalla nostra. Il suo interesse fondamentale per le province tribali e per i Wahhabiti derivava dal desiderio di comprendere il comportamento tribale fondamentalista, data la sua prima esperienza di crescita in una setta religiosa fondamentalista. Possiamo comprendere le nostre differenze senza riconoscere le somiglianze? L'Occidente può permettersi di essere semplicistico nel ritrarre l'Oriente, e
  • 25. 22 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras viceversa, se vogliamo raggiungere una stabilità sociale a lungo termine? Mantenere la stampa libera e al sicuro nello svolgimento del suo ruolo fondamentale nelle società aperte Il Moscow Times, fondato trent'anni fa da Derk Sauer e diretto da Dimitri Dmitrienko, sta ora lottando per rimanere operativo dall’esilio dopo essere stato proibito dal governo russo. Daryna Shevchenko e il Kiev Independent, una giovane testata giornalistica emergente in Ucraina, affrontano sfide simili. Il loro interesse è il nostro, come possiamo aiutarli a rimanere attivi e funzionanti quando i cattivi attori cercano di distruggerli? Google ha implementato programmi di protezione avanzata e il Project Shield per mantenerli operativi e per questo ha ricevuto l’Ukraine Peace Prize. È stato un grande dell’antica Grecia ad affermare che le nostre società aperte, le nostre democrazie, saranno distrutte dalle libertà che consentiamo. Parole sagge. Parole terrificanti. Che ci colpiscono molto da vicino. La sfera politica si è adattata alle capacità di internet – per parlare agli elettori, per costruire alleanze politiche – molto più rapidamente ed efficacemente del mondo del giornalismo. Ne vediamo l'impatto in tutto il mondo. La tendenza è preoccupante, per tutti. Le sfide sono tanto complesse quanto cruciali. Anzi, esistenziali. È necessario comprendere profondamente le sfide e fare appello alla saggezza di tutti per affrontarle. Avremo bisogno degli sforzi di molti appassionati giornalisti, redattori, editori ed esperti di tecnologia per concentrarci su queste domande e trovare le risposte prima di perdere l'opportunità di farlo. Come può il giornalismo evitare di amplificare il senso distorto del rischio? Negli Stati Uniti abbiamo 400 volte più probabilità di morire in un incidente stradale che in un atto terroristico. Abbiamo 35 volte più probabilità di morire di cancro o di malattie cardiache che di qualsiasi forma di morte violenta. Tuttavia, la ricerca ci dice che percepiamo queste paure al contrario: la nostra paura del terrorismo è esponenzialmente più alta di quella di morire nelle nostre auto. Viviamo in uno scenario di rischio falsato. Viviamo in una società in cui le nostre paure percepite sono amplificate talmente da perdere di vista i veri problemi delle nostre società. Ogni giorno leggiamo di terrorismo, effrazioni, rapimenti, flussi di rifugiati: tutti eventi orribili ma anomali che si verificano nel mondo moderno. Anche se non intenzionalmente, i notiziari svolgono un ruolo intrinseco nel plasmare percezioni della realtà che sono in conflitto con la vera realtà. Che cosa dovrebbe davvero riguardarci nelle nostre comunità? Se entriamo in una cabina elettorale con un senso distorto del rischio sociale, ciò non potrebbe alterare il modo in cui valutiamo le tematiche politiche o i candidati? Se crediamo che il ruolo del giornalismo sia fornire ai cittadini le informazioni di cui hanno bisogno per essere cittadini informati, possiamo fornire più contesto? C'è davvero un aumento di effrazioni o sono eventi rari? Possiamo colmare il divario tra paura irrazionale e paura razionale? Possiamo costruire una base di conoscenze statistiche che aiutino a fornire un contesto?
  • 26. 23 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras Potenziare il lavoro dei giornalisti con strumenti migliori Nel mondo digitale, la conoscenza è spesso nascosta nei dati e i dati spesso sono nascosti dietro la complessità tecnica. Nuovi strumenti potrebbero consentire ai giornalisti di portare avanti indagini che altrimenti sarebbero inattuabili o difficili dal punto di vista pratico. I Panama Papers e i Pandora Papers sono straordinari esempi di giornalismo di grande impatto basato sull'analisi. In questa direzione va il lavoro dell'International Consortium of Investigative Journalists* i cui sforzi eccezionali hanno potenziato la collaborazione tra le redazioni. Ogni giornalista ha bisogno di strumenti migliori. Ogni redazione può trarre vantaggio dalla collaborazione con gli altri. Aiuta a risparmiare tempo. Aumenta i loro super poteri. Come possiamo adattarci alle forme dei media che le nostre culture stanno adottando? Il presupposto alla base di una società democratica e della professione del giornalismo è il seguente: se esprimiamo le nostre idee con le parole e gli argomenti logici giusti, se un numero sufficiente di persone legge queste parole, allora le nostre democrazie saranno efficaci, il mondo sarà un posto migliore. Ancora una volta, internet e le declinazioni dei nuovi media hanno riorganizzato le strutture sociali, politiche e culturali. Lo vediamo con i social. Lo vediamo con i video brevi. I messaggi si accorciano. Un'inevitabile progressione, o digressione, di come comunichiamo, di come comprendiamo la 1 Kevin Munger è professore di scienze politiche e analisi dei dati sociali alla PennState società in cui viviamo. Non possiamo ignorarlo. Kevin Munger1 sostiene che le diverse forme di conversazione umana abbiano un'influenza enorme su quali idee possiamo opportunamente esprimere. E quali idee sia conveniente esprimere diventa inevitabilmente il contenuto importante di una cultura. Non sto suggerendo che TikTok sia il futuro del giornalismo, sebbene diventerà un mezzo di espressione giornalistica, ci piaccia o no. Dobbiamo adattarci ai costrutti linguistici del nostro tempo. Come possiamo raggiungere coloro a cui tutto questo non importa o che hanno perso interesse? Il Reuters Institute ci dice che solo il 10% delle nostre società utilizza regolarmente quelle che potremmo definire notizie serie. Ancora minore è la percentuale di coloro che pagano per queste notizie. Lo sentiamo dai nostri amici. Evitano le notizie. Li intristiscono, li rendono ansiosi, li spaventano. Trovano conforto in altri modi, con le grandi abbuffate di serie su Netflix o alimentando la loro dipendenza da TikTok. Lo faccio anche io. Ricordo quello che scrisse Neil Postman sulla televisione nel 1985: "Ci stiamo divertendo da morire". Postman fece anche le seguenti incontrovertibili osservazioni sulle nostre culture che risuonano in maniera fin troppo forte oggi: “Ciò che George Orwell temeva erano coloro che avrebbero vietato i libri. Ciò che Aldous Huxley temeva era che non ci sarebbe stato alcun motivo per vietare i libri, perché non ci sarebbe stato nessuno disposto a leggerne uno. Orwell temeva
  • 27. 24 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras coloro che ci avrebbero privato delle informazioni. Huxley temeva coloro che ce ne avrebbero date così tante da ridurci alla passività e all'egoismo. Orwell temeva che la verità ci sarebbe stata nascosta. Huxley temeva che la verità sarebbe stata annegata in un mare di irrilevanza.” Come ha notato Huxley in Il Mondo Nuovo. Ritorno al Mondo Nuovo, i paladini della giustizia sociale sempre all'erta per opporsi alla tirannia "non tengono conto del fatto che gli uomini hanno un appetito pressoché insaziabile di distrazioni". In 1984 di Orwell, ha aggiunto Huxley, le persone sono controllate infliggendo loro dolore. Nel Mondo Nuovo, sono controllate infliggendo loro piacere. In breve, Orwell temeva che ciò che odiamo ci avrebbe rovinato. Huxley temeva che ci avrebbe rovinato ciò che amiamo ------------- Nuovi modelli economici per il giornalismo Sì, il modello del quotidiano metropolitano ricco e quasi monopolista non tornerà mai più. Nel 1985, i giornali erano internet prima che esistesse. Ma ora abbiamo internet. Gli annunci economici sono migrati sui mercati online. I grandi magazzini sono stati soffocati dall'e- commerce. I buoni alimentari cartacei sono diventati programmi di fidelizzazione. Ecco che fine ha fatto QUEL modello di business. Ma, per molti imprenditori, non è finito il business del giornalismo. Non hanno avviato le loro imprese pensando di non trovare la strada del successo. Hanno avviato quelle imprese perché sapevano che c'erano vuoti da riempire, opportunità da cogliere. Molti ci stanno riuscendo. Un sacco di duro lavoro. Lunghe notti di dubbi stressanti. Ma ci credono. Ogni giorno ne abbiamo la prova. In Francia, Le Figaro registra 250.000 abbonati solo digitali, con un aumento del 20% dal 2020. In Germania lo scorso anno, Die Zeit ha registrato un aumento del 43% degli abbonamenti digitali rispetto all'anno precedente. Axel Springer ha ridisegnato il suo business dei media, vendendo i suoi giornali regionali, acquistando Politico e ora possiede Touchstone, il più grande sito per trovare lavoro in Europa. Il Times of London ha registrato il suo anno migliore dal 1990. Il direttore John Witherow ha annunciato "un'età d'oro per il giornalismo". Il New York Times ha ora oltre 9 milioni di abbonati. Insomma, tanti segnali di successo digitale. Non è più una questione se le iniziative giornalistiche possano avere successo o meno. Ora si tratta di condividere le formule di chi ha avuto successo. Come estendiamo il successo di alcuni a molti? In ogni progresso nella distribuzione dei media, c’è sempre stata una prima fase di esplorazione. Fallimento. Successo. Evoluzione. Poi è apparso chiaro quali sarebbero stati i modelli per le radio locali, o per i settimanali, quando ancora esistevano. Ora siamo in quella seconda fase in cui i modelli di successo possono essere diffusi. Lo so, non ho posto nessuna domanda relativa al modello di business, perché ogni domanda che ho posto è fondamentale per una testata giornalistica di successo, sia dal punto di vista giornalistico che finanziario. Sono tutte domande basilari. Le risposte sono la strada per il successo, qualunque esse siano. Consentitemi di ripetere ciò che ho detto all'inizio: la più grande sfida che il giornalismo deve affrontare non è un problema di modello di business, ma un problema di rilevanza.
  • 28. 25 SCENARI E PROSPETTIVE Nuove prospettive per il giornalismo Richard Gingras Il giornalismo di qualità non esisterà, tanto meno prospererà, se la società nel suo insieme non riconosce l’importanza del giornalismo e non lo sostiene con la propria attenzione e, in misura adeguata, con i propri portafogli. La politica pubblica non creerà rilevanza. Il supporto delle piattaforme non creerà rilevanza. Nessun modello di business per il giornalismo avrà successo se la società non rispetta e valorizza il giornalismo di qualità che ci aspettiamo nasca da una stampa libera. RICHARD GINGRAS Richard Gingras è il vicepresidente globale del settore News di Google. In questo ruolo Gingras si occupa del modo in cui Google pubblica le notizie sui suoi servizi per i consumatori e degli sforzi di Google per creare un ecosistema sano e aperto per il giornalismo di qualità. Questo include la Google News Initiative, l'investimento globale di Google negli sforzi per elevare la qualità del giornalismo, esplorare nuovi modelli per la sostenibilità e fornire tecnologia per stimolare l'efficienza dei costi nelle redazioni. Gingras fa parte dei consigli di amministrazione dell'International Consortium of Investigative Journalists, dell'International Center for Journalists, della First Amendment Coalition, della UC Berkeley School of Journalism e di PRX, la Public Radio Exchange. Gingras ha percorso le strade più innovative, dalle reti satellitari ai motori di ricerca, da Apple a Excite a Google. Sa che l'innovazione è difficile. Ammette prontamente di aver commesso più errori di voi.
  • 29. 26 Negli anni, abbiamo assistito ad una crescita esponenziale dell’informazione nel digitale. Le dimensioni sono diventate colossali. In un solo minuto nel mondo vengono inviati 44 milioni di messaggi, effettuate 2,3 milioni di ricerche su Google, generati 3 milioni di "mi piace" e 3 milioni di condivisioni su Facebook, e vengono effettuati 2,7 milioni di download da YouTube. Lo scrivono l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e il Garante per la protezione dei dati personali in una indagine comune del 2020. Certamente, questi dati “monster” oggi sono ulteriormente lievitati. La tecnologia digitale consente ormai da anni questi volumi giganteschi di traffico nel web in tempo reale, senza pause, 24 ore su 24. E soprattutto senza confini. La rete è un tutt’uno globale e laddove dei cittadini non riuscissero a far parte della “comunità digitale planetaria”, la responsabilità è unicamente da attribuirsi a governi locali che applicano la censura. Esempi in questo senso non mancano: dal Medio Oriente, all’Asia, all’Europa dell’Est, in Russia, in alcuni stati del Sud America le limitazioni di accesso e di fruizione alla rete sono all’ordine del giorno. E non è un caso, che queste limitazioni siano messe in atto da governi spesso lontani dai principi basilari della democrazia. Nel suo complesso, nonostante i limiti citati, la rete ha comunque amplificato i vantaggi, primo fra tutti conoscere quello che succede in tempo reale e in qualunque parte del nostro pianeta. Online, si possono ottenere la maggior parte delle informazioni gratis, solo alcuni gruppi editoriali offrono i prodotti a pagamento. Inoltre, e considerazione non irrilevante, il lettore sceglie nel web le notizie d’interesse basandosi sul proprio personale sentire. Non solo, quindi, nell’indirizzo di settore: ad esempio cronaca, costume o notizie dal mondo. Ma anche, o forse soprattutto, di conseguenza alla propria presa di posizione sociale, culturale e di appartenenza politica. In sostanza, chi si rivolge al web per informarsi predilige fonti nelle quali si riconosce, e che quindi ritiene attendibili, a prescindere dal contenuto ricercato. In questo senso, il ventaglio delle offerte comunicative e informative è aperto a trecentosessanta gradi, contemporaneamente, sempre. Partendo da questa ultima considerazione, facciamo una riflessione su quanto avviene nella carta stampata. Riceviamo regolarmente, anno dopo anno senza inversione di tendenza, risultati inquietanti sul calo delle vendite dei quotidiani. I dati resi noti da AGCOM sono impietosi: le copie vendute quotidianamente in formato cartaceo si sono ridotte nei primi nove mesi dell’anno 2022 del 9,9% rispetto al corrispondente periodo del 2021 attestandosi a 1,36 milioni. Rispetto al corrispondente valore del 2018, la flessione è del 36,5%. Nulla lascia prevedere che nel 2023 la discesa finisca. Anzi, potrebbe perfino accelerare. E comunque, precisa ancora AGCOM, anche le vendite di copie digitali dei quotidiani sono in calo: oscillano intorno ad una media di 210 mila copie giornaliere nel 2022 con una riduzione su base annua del 5,7% rispetto il 2021, nonostante una forte differenza di prezzo (dal 40 al 70% in meno) e martellanti campagne d’abbonamento con offerte ancora più scontate. Un ruolo centrale per i giornalisti Elena Golino
  • 30. 27 SCENARI E PROSPETTIVE Un ruolo centrale per i giornalisti Elena Golino Contribuisce in parte a questo declino il pesante processo di omologazione delle notizie cominciato a partire dal 1990. Precedentemente a questi anni valeva la regola del controllo vigile tra testate e la collaborazione tra colleghi, tra direttori di testate che a chiusura del giornale a volte si confrontavano. Poi nel ‘92, con l’avvento dell’inchiesta “mani pulite” nacque il caso del “cartello” tra giornalisti di Palazzo di giustizia che decideva in pool come e quando dare le notizie. La paura del “buco” e la preoccupazione dell’inadeguatezza rispetto la concorrenza è stata la molla che ha spinto tanti quotidiani – a partire dagli anni ’90 – a tenere in costante controllo i siti web, che nel frattempo erano dilagati, ed i telegiornali. Il risultato? Un appiattimento delle notizie con l’avvento del fenomeno dei cosiddetti “giornali fotocopia”. Vittime di questa tendenza soprattutto le testate locali, troppo prese a rincorrere le notizie di tutti gli altri quotidiani in una sorta di girotondo senza vie d’uscita. Anche questo fenomeno, in fondo, sembra conseguenza della globalizzazione, che ha finito per coinvolgere l’universo dell’informazione. L’omologazione delle notizie ha fatto perdere di vista, tranne poche eccezioni (ad esempio Il fatto quotidiano e la Verità, in crescita di vendite) le differenze tra i prodotti giornalistici, finendo per disamorare il lettore, convinto che un giornale valga l’altro e le notizie siano tutte uguali. Sul web, invece, il panorama senza confini e non costretto nelle maglie della vecchia editoria, è in grado di offrire notizie molto più varie e soprattutto genuine, libere dal giogo dell’omologazione. Un esempio di indipendenza e obbiettività dell’informazione, riferito alla guerra in Ucraina, è stato presentato durante il Convegno sull’informazione digitale organizzato Commissione Cultura dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti lo scorso 24 gennaio a Roma. La giornalista ucraina Olga Rudenko, direttora del giornale online d’inchiesta Kyiv Independent, intervistata da Azzurra Merigolo di Radio Rai, ha dichiarato: “Seguo la guerra dal primo giorno, e l’essere online ci dà il vantaggio dell’immediatezza. Accade qualcosa, noi lo comunichiamo direttamente. Noi ci affidiamo sempre alle testimonianze che riusciamo a raccogliere. La sfida più importante di essere un giornalista in un conflitto è essere sicuri che ciò che affermi sia vero, sia provato. La Russia fa disinformazione, ma anche quello che afferma il governo ucraino non è corretto al 100%. Noi non possiamo sapere quando dicono la verità o no. Noi non abbiamo paura di dire ai nostri lettori che le informazioni talvolta sono contrastanti; quindi, le riportiamo tutte e lasciamo a chi legge, decidere.” Questa testimonianza dal mondo dell’informazione online, fuori dal coro inquanto non assoggettata ad editori tradizionali o interessi economici definiti, assume una grande valenza. Prova come queste fonti di informazione siano più capaci di intercettare richieste di genuinità e imparzialità anche nell’insidioso terreno dei reportage di guerra. Dal Kyiv Independent, che ha sede e lavora nella martoriata capitale dell’Ucraina, arriva una lezione di giornalismo di cui fare tesoro. Ma molti altri siti online che hanno successo rispondendo a queste richieste alternative, sono davvero in grado di fare vero giornalismo, rispettando i canoni di qualità, etica, deontologia, e rispetto della privacy? Negli ultimi anni, abbiamo dovuto fare i conti con una dura realtà: il lato oscuro della forza dell’online è la diffusione delle fake news, i linciaggi digitali, le campagne d’odio. In tal senso, uno studio del Massachusetts Institut of Technology evidenzia come una fake
  • 31. 28 SCENARI E PROSPETTIVE Un ruolo centrale per i giornalisti Elena Golino news abbia il 70% di possibilità in più di essere condivisa rispetto ad una notizia corretta. Alla crescita dell’informazione online non ha corrisposto una analoga trasmissione delle regole sulle quali è basato il giornalismo professionale in Italia. L’Ordine dei giornalisti si batte perché l’informazione professionale oggi più che mai possa e debba avere un ruolo centrale. Nel mondo in cui cambiano i contesti, devono restare cardinali le regole che hanno garantito in Italia il giornalismo in quanto tale: verifica delle fonti, narrazione precisa e rispetto della privacy. Fuori da questi parametri, non è giornalismo. Noi crediamo che ai valori della nostra professione debbano ispirarsi e riferirsi tutti coloro che oggi fanno informazione in rete, siano o meno iscritti all’Ordine. Per questo, un anno fa, in seno alla Commissione cultura del Consiglio nazionale dell’Ordine, è nata l’idea di ribaltare le parti e, con un sondaggio, ascoltare cos’hanno da dirci siti, blog, giornali on line non inquadrati nelle tradizionali filiere editoriali. Quelli, non garantiti da pubblicità o da finanziamenti di varia natura e quelli che, magari perché espulsi dalle produzioni editoriali tradizionali, hanno intrapreso la via della rete. Abbiamo inviato un questionario a 1500 indirizzi, attingendo da alcune banche dati tra le quali quella dell’Unione stampa sportiva, del sito specialistico Ipse.com e Prima Comunicazione. Ci hanno risposto in 400, un campione ragguardevole. E per meglio comprende i risultati che sono emersi, ci siamo affidati al professor Paolo Natale dell’Università Statale di Milano, docente di metodi e tecniche della ricerca sociale. Nel merito, la sua analisi mette in luce una serie di elementi interessanti che si possono riassumere così: la quasi totalità dei siti censiti ha al proprio interno almeno un giornalista iscritto all’Ordine (85%); la vasta maggioranza (72%) appare interessata ad un rapporto con l’OdG, in particolare per creare un apposito Albo per autori di siti web; anche i siti senza iscritti all’Ordine si dichiarano interessati (60%) ad un rapporto diretto con l’OdG e soltanto il 13% tra loro ha un atteggiamento negativo; oltre la metà dei Web-magazine (55%) è formato da realtà autonome e indipendenti che (soprav)vivono grazie alla pubblicità commerciale (63%); l’attività principale dichiarata da ciascuno di coloro che hanno risposto al sondaggio è quella di “fare giornalismo (60%) grazie ad una corretta informazione, che a loro parere manca, sui temi propri dei siti stessi. Uno degli elementi principali che emergono dalla ricerca riguarda il rapporto che l’Ordine dei Giornalisti dovrebbe avviare con le testate online. Mentre, come si è sottolineato, soltanto una sparuta minoranza si dichiara contraria a qualsiasi modalità e forma di inquadramento e vuole restare totalmente estranea al mondo dell’Ordine, il 40% degli intervenuti al sondaggio pensa sia urgente attuare la formazione di un apposito Albo per le testate in Rete, il 30% sottolinea la necessità di un percorso di iscrizione all’Ordine, mentre il restante 30% circa si dichiara comunque favorevole ad una forma di riconoscimento. Il ruolo e la presenza dell’Ordine dei Giornalisti vengono dunque giudicati piuttosto rilevanti anche nel web, e questo in assoluto è il risultato più stimolante ottenuto dal sondaggio. Un risultato che impone, come ha sottolineato nell’intervento durante i lavori del Convegno il sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini, che l’editoria digitale abbia il diritto di accesso ai finanziamenti pubblici, laddove garantisca qualità e alto valore informativo e culturale. Per l’Ordine, quindi, è arrivato il tempo di aprirsi a nuove proposte di accoglimento rivolte a questi soggetti che fanno informazione online.
  • 32. 29 SCENARI E PROSPETTIVE Un ruolo centrale per i giornalisti Elena Golino ELENA GOLINO Consigliera del Ordine Nazionale dei Giornalisti, è presidentessa della Commissione Cultura. Impegnata nel sindacato dei giornalisti è stata Consigliera della Fnsi. Da tre legislature è consigliera della Casagit E’ diventata giornalista professionista nell’84 e dopo alcuni anni al quotidiano “Il Giorno” è passata in Rai. E’ stata per 17 anni conduttrice delle principali edizioni del Tg, con il grado di Vicecaporedattore
  • 33. 30 In questo contributo1 si analizzano la nozione di “pluralismo informativo” e le forme della sua tutela nel nostro ordinamento, per poi avanzare una proposta che possa colmare quelle che – lo mostreremo – appaiono criticità irrisolte. Questa operazione non può che partire da una chiara enunciazione di come debba intendersi il pluralismo. La nozione varia, infatti, in base al ruolo che si assegna ai media nel dibattito sociale e nella costruzione dell’opinione pubblica. A sua volta, questo ruolo varia in base ai modelli di democrazia e alle teorie mediali che adottiamo. È dunque da questa ricognizione che prende avvio il percorso. Per una definizione di pluralismo: modelli di democrazia e teorie dei media Crediamo che una proposta molto utile per definire il pluralismo provenga da Raeijmaekers e Maeseele, in un articolo del 2015 dal titolo “Media, pluralism and democracy: what’s in a name?”2. Gli autori analizzano tre differenti “scuole” di teoria democratica - liberale, deliberativa, agonistica - ed i corrispettivi ruoli assegnati ai media, traendone due criteri identificativi del pluralismo mediale. Il primo criterio è la distinzione “consenso/conflitto”. I primi due modelli di democrazia presi in esame, liberale e deliberativo, puntano a superare eterogeneità e controversie sociali per raggiungere il consenso collettivo. Il modello agonistico 1 Le opinioni espresse hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza 2 D. Raeijmaekers and P. Maeseele, Media, Pluralism and democracy: what’s in a name?, Media, Culture & Society, Volume 37, Issue 7, non ritiene invece che eterogeneità e controversie debbano essere superate, giacché le considera costitutive della stessa politica democratica. Il ruolo assegnato ai media nei tre diversi modelli è conseguente. Nei modelli liberale e deliberativo, il ruolo e le “prestazioni” dei media sono valutate in base alla loro capacità di rappresentare e (ri)produrre il consenso sociale, cioè portarlo in scena e contribuire al suo mantenimento e alla sua costruzione. Gli approcci liberale e deliberativo rimandano alle cosiddette teorie “affermative” dei media, caratterizzate da una visione media-centrica: la relazione tra media da un lato e società/democrazia dall’altro è analizzata a partire dal ruolo dei media, in termini di contributo alla riproduzione dell’ordine socio-politico dominante. Tale ordine è dato per scontato e vissuto come a- problematico. Alle teorie affermative dei media si oppone la tradizione dei “critical media studies”, caratterizzata da una visione socio-centrica anziché media-centrica. Contrariamente alla precedente, si fonda su una forte critica dell’esistente. L’ordine sociopolitico è concepito come segnato da conflitti e asimmetrie di potere, disuguaglianze ed esclusioni. C’è una corrispondenza abbastanza lineare tra i modelli democratici liberale e deliberativo da un lato e teorie “affermative” dei media dall’altro, corrispondenza fondata sulla comune assenza di critica dell’esistente e sulla tensione alla riconciliazione del dissenso. A detta degli autori, non c’è invece October 2015, pp. 1042 – 1059, https://doi.org/10.1177/0163443715591670 Il pluralismo informativo tra teorie dei media e (limiti della) tutela normativa. Proposte per una evidence-based regulation Elisa Giomi
  • 34. 31 SCENARI E PROSPETTIVE Il pluralismo informativo… Elisa Giomi la stessa corrispondenza lineare tra il modello agonistico e le teorie critiche dei media perché si tratta di un modello ancora poco praticato nell’ambito dei media studies. Trova però analogie con l’approccio dell’economia politica e dei cultural studies. Il secondo criterio per l’identificazione del pluralismo è l’asse “diversità/pluralismo”, due termini spesso utilizzati come sinonimi nella riflessione sui media, notano giustamente Raeijmaekers e Maeseele. Anche se i modelli liberale e deliberativo condividono l’idea che i media debbano contribuire a ricomporre le dispute sociali, differiscono nel modo in cui immaginano il processo: il liberale guarda ai media come a luogo di “trattativa”, meri specchi di differenze esistenti nella società, mentre il deliberativo guarda ai media riconoscendo loro un ruolo attivo nel dibattito pubblico e nel processo di deliberazione collettiva. Il modello deliberativo condivide con il modello agonistico la convinzione che i contenuti mediali non debbano solo riprodurre, portare in scena eterogeneità e dispute sociali, ma anche riflettere su di esse. La distinzione tra diversità e pluralismo consiste proprio in questo, e può essere colta a partire dalla diversa concettualizzazione di “pluralità” che è in gioco. La diversità intende la pluralità come “varietà pre-esistente alla rappresentazione mediale”, una varietà empiricamente osservabile - varietà della società, diremmo; il pluralismo si riferisce invece ad una pluralità intesa come varietà ideologica, “discorsiva”, cioè di posizionamenti e visioni (varietà circa la società e i suoi fenomeni). Infatti, la distinzione tra diversità e pluralismo, nella teoria mediale, può essere anche interpretata come distinzione tra “selezione mediale” e “presentazione mediale”, cioè distinzione tra 3 Le altre due nozioni, basate sul polo “pluralismo”, sono “affirmative pluralism” e “critical pluralism”, illustrate da D. Raeijmaekers and P. MaeseeleMedia, Pluralism and democracy: what’s in a name?, Media, cosa viene scelto per divenire oggetto di copertura mediale e come si sceglie di coprirlo. Infine, occorre notare che mentre “diversità” è un concetto descrittivo, a- valutativo, “pluralismo” può essere inteso come un valore sociale. Incrociando i due criteri, (1) consenso/conflitto, che nelle teorie mediali corrispondono ad affermative/critiche, e (2) diversità/pluralismo, nella proposta degli autori si ottengono quattro diverse nozioni di pluralismo mediale. A seconda di quella a cui ci si richiama, varieranno le valutazioni delle condizioni che lo favoriscono o danneggiano e ovviamente anche del ruolo dei media, il che spiega la variabilità degli studi di settore. Per gli scopi di questo contributo, risulta utile analizzare in dettaglio le prime due nozioni, entrambe basate sul polo “diversità”3. Il pluralismo mediale inteso come affirmative diversity, “diversità affermativa”, rimanda all’idea di media come “mercato delle idee” o specchio della società. Questa nozione di pluralismo poggia sulla teoria democratica liberale e ne condivide dunque la tensione al superamento del conflitto sociale e al raggiungimento del consenso. I media devono dunque rappresentare fedelmente, con equilibrio, l’eterogeneità sociale, intesa come diversità di attori, temi e punti di vista. È l’approccio tipico della content analysis e di molti monitoraggi mediali, ma anche delle ricerche incentrate sui “bias dei media di parte”, in cui una copertura equilibrata significa assicurare, spiegano gli autori, trattamento paritario ai partiti, se sono due, o comunque un trattamento in linea con il numero dei seggi posseduto da ciascuno, se sono più di uno. È questa - mutatis mutandis - la visione alla base della nozione di “pluralismo politico” che si trova nella legge Culture & Society, Volume 37, Issue 7, October 2015, pp. 1042 – 1059, https://doi.org/10.1177/0163443715591670, a p. 1051 e ss.