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L’edificio alto nella Milano moderna
Torre Velasca e grattacielo Pirelli, architetture simbol0 dell’Italia
del boom economico
Teoria della progettazione contemporanea
professori: Enrico Bordogna | Tommaso Brighenti
studente: Sabin Andrei Zapareniuc 915012
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Teoria della progettazione contemporanea
professori: Enrico Bordogna | Tommaso Brighenti
studente: Sabin Andrei Zapareniuc 915012
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Introduzione. p.4
Capitolo 1. Torre Velasca, centro storico p.6
1.1 Opinioni e critiche nazionali e internazionali p.8
1.2 Collegamento intimo con la città p.11
1.3 Storia e progetto p.14
Capitolo 2. Grattacielo Pirelli, nuovo centro direzionale p.21
2.1 Dimensione simbolica del grattacielo p.22
2.2 Ipotesi di progetto p.23
2.3 Progetto finale p.24
Conclusione p.30
Tavole tecniche p.32
Indice
4
Introduzione Milano è la capitale della modernità dell’architettura in Italia. Questo è
dato dal fatto che è stata sempre in prima fila tra le città italiane nella
creazione di opere di architettura di grande rilievo sulla scena mon-
diale per la qualità architettonica e particolare creatività. Il grattacielo,
struttura importata dall’America nell’Italia post-bellica, in particolare in
una Milano che si sviluppa sempre più freneticamente e in cui avven-
gono molte trasformazioni che fino al decennio prima sembravano
impossibili, ha un particolare successo per vari motivi.
La tesina affronta il tema dell’edificio alto a Milano durante il perio-
do del boom economico, analizzando due opere fondamentali sotto
molteplici punti di vista, partendo dall’iter progettuale fino alla realiz-
zazione.
Il primo e secondo capitolo tratteranno dei due esempi più emble-
matici di questa ‘’nuova modernità”: Il grattacielo Pirelli del 1958-61
di Gio Ponti in collaborazione con l’ingegner Pierluigi Nervi e la torre
Velasca del 1956-58 del gruppo BBPR, chiamato dai milanesi anche
il ‘’grattacielo con le bretelle’’. Queste realizzazioni saranno fonda-
mentali non solo dal punto di vista architettonico ma anche dal punto
di vista di organizzazione urbana (centro direzionale - terziarizzazione
centro storico).
Due strutture di identità molto forti ma di storie e stile architettonico
differente che hanno dato una
nuova forma a Milano. La diversità tra i due grattacieli rappresentava
anche la diversità creativa sulla scena milanese durante gli anni del
boom.
Fotografia del 1957, periodo
d’inizio del boom economico
italiano. Si nota la Torre Velasca
con ancora le impalcature
prima dell’inaugurazione ufficiale del
1961. Fotografia dal blog di Mauro
Colombo
5
6
La torre Velasca è un’architettura più giovane del Pirellone e simbo-
leggia il volere durante il postguerra di rinnovare l’architettura italiana
razionale in una chiave storicista in quanto venne posto per la prima
volta il problema della ‘’continuità’’ storica del moderno. Questa pro-
blematica nasce e viene dibattuta all’interno di Casabella-Continuità,
rivista diretta da Rogers al tempo. La torre Velasca è un edificio che
comunica con la storia non soltanto per la sua forma e disegno ma
anche per la sua posizione: essa si inserisce in pieno centro storico
di Milano grazie alla sua progressiva terziarizzazione durante gli anni
del boom economico italiano, facendo la comparsa sullo skyline
antico della città tra le guglie del Duomo di Milano, torre di San Got-
tardo oppure la torre del vecchio tribunale di Milano, tutte architet-
ture prossime a piazza del Duomo. Alla ricerca con l’antico la BBPR
spezza l’equilibrio della forma con un aggetto nella parte superiore
non ammettendo una ‘purezza di forma’, come fece invece Gio Pon-
ti con il Pirellone, e rendendo l’architettura estranea al contesto con
cui si era imposta a livello internazionale la tipologia di grattacielo.
1.Torre Velasca, 1955-
1957
anni del boom economico
e terziarizzazione del
centro storico di Milano
Archivio Paolo Monti - fotografia del 1963
Da sinistra: Rogers, Peressutti e
Belgiojoso nello studio di via dei
Chiostri
7
8
Queste trasformazioni portarono molte ferocie critiche e confron-
ti per le visioni troppo diverse degli architetti e critici maggiori nel
campo architettonico mondiale di allora come tutt’oggi: Un articolo
del 2/04/2012 del giornale inglese ‘the Telegraph’ inserisce la torre
in una lista dal titolo ‘Sono questi gli edifici più brutti al mondo?’ e
dalla nota: ‘Milano è sede degli edifici italiani di più qualità: il Duomo,
la Scala… e questo particolare grattacielo di 26 piani’.
Le polemiche iniziarono molto prima, ancora prima che la torre fosse
finita. Rogers, uno dei quattro progettisti della torre e redattore della
rivista allora chiamata ‘Casabella-Continuità’ definiva la direzione e
la modalità con la quale si sarebbe sviluppata l’architettura contem-
poranea in italia in quegli anni, in un tentativo di superamento dei
formalismi sterili del International style.
Fin dalle prime pubblicazioni di Rogers su ‘Casabella-Continui-
tà’ (n.199, dicembre 1953-gennaio 1954) si capisce qual è la sua
posizione riguardo a cosa dovesse essere architettura italiana e che
ruolo avesse la Torre Velasca. In un articolo denominato ‘Continuità’
Rogers scrive:
‘’Continuità, assai più del fatto pratico di utilizzare una testata col
nome di Casabella, significa conoscenza storica; cioè la vera essen-
za della tradizione nella precisa accettazione di una tendenza che,
per Pagano, per Persico, come per noi, è l’eterna varietà dello spirito
avversa a ogni formalismo passato o presente. Dinamico prose-
guimento e non passiva ricopiatura: non maniera; non dogma, ma
libera ricerca spregiudicata con costanza di metodo’’.
(p. 3, Ernesto Nathan Rogers, Casabella-Continuità n.199, dicembre 1953-gennaio 1954).
Con ciò, in riferimento alla Torre Velasca si capisce l’atteggiamento
di anti-formalismo gratuito di Rogers. La torre Velasca è una torre ra-
dicata nel contesto milanese che cerca di esprimere l’atmosfera che
è anche il carattere della città. Già da semplici considerazioni come
1.1 Torre Velasca,
opinioni e critiche nazio-
nali e internazionali
Prima pagina del Telegraph del
2/04/2012, ‘Sono questi gli edifici
più brutti al mondo?’
Prima copertina di ‘Casabella-Con-
tinuità’ n. 199, dicembre 1953-gen-
naio 1954, sotto la guida di E.N.
Rogers
9
il fatto che non è un grattacielo di ferro e vetro ma è in muratura,
minerale che le dona un aspetto massiccio appunto le da la rende
una ‘torre fortificata’, che si ricollega alle forme della Milano filaretia-
na, non a caso da un lato di essa si trova la Ca Granda, antico ospe-
dale filaretiano e dall’altra, la basilica di San Nazaro in Brolo, chiesa
originariamente paleocristiana.
Ci saranno poi ulteriori scritti in cui Rogers riprenderà l’argomento in
Casabella-Continuità: n.202, agosto settembre 1954, La resposabi-
lità verso la tradizione e sul n. 204, febbraio-marzo 1955, Le preesi-
stenze ambientali e i temi pratici contemporanei.
La discussione si accese particolarmente sul piano internazionale
quando in risposta a un saggio di Paolo Portoghesi pubblicato nel
1958 su ‘Comunità’ dal titolo ‘Dal neorealismo al neoliberty’, il teori-
co dell’architettura Reyner Banham commenta con un articolo nella
rivista ‘The Architectural Review’ per cui faceva da caporedattore nel
1959, dal titolo: ‘Neoliberty. The Italian retreat from modern archi-
tecture’ – ‘Neoliberty. La ritirata italiana dal movimento moderno in
architettura’. Banham mostra un allarmante sconcerto internazionale
nei confronti dell’architettura moderna italiana. Egli definisce il grup-
po della BBPR, Gardella, Figini, Pollini e giovani architetti pubblicati
su ‘Casabella-Continuità come divulgatori di una ‘’regressione infan-
tile’’.
Questa provocazione dal fronte internazionale porterà alla pubbli-
cazione di un articolo su ‘Casabella-Continuità’ giugno 1959, n.
228 dal titolo ‘L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei
frigidaires’. Egli respinge l’attacco di Banham, sostenendo che la
direzione presa dall’architettura italiana fosse quella giusta:
‘’ tanto utile che critica e produzione architettoniche italiane hanno
fatto, malgrado tutto, qualche passo che in molti paesi è da tentare’’
(p. 4, Ernesto Nathan Rogers, Casabella-Continuità n.228, giugno 1959).
Fotografia del lato lungo della Torre
Velasca che mette in risalto l’aspet-
to massiccio, caratteristico delle torri
fortificate.
Copertina di ‘Architectural Review’ di
Reyner Banham, n.747, aprile 1959.
10
Un confronto diretto arrivò poi ad Otterlo in occasione del CIAM del
1959 quando Peter Smithson, fondatore del New Brutalism in Inghil-
terra commentò la torre Velasca:
‘’In realtà, non è altro che decorazione. In breve, sembra che il pro-
gramma del progetto abbia portato alla definizione delle parti fonda-
mentali dell’edificio, e da quel momento in poi la torre è stata proget-
tata all’interno di un sistema formale autonomo. (…)
Questa architettura non ha consonanti a sé stanti, i suoi legami con il
passato sono casuali come quelli delle persone che useranno i suoi
edifici, e deve essere usata perché solo allora, nel movimento e nel
cambiamento, le sequenze delle sue forme, le implicazioni oltre i suoi
limiti fisici, possono diventare evidenti.’’
(p. 96, Oscar Newman, CIAM ’59 in Otterlo, Gedruckt, 1961).
In tali affermazioni emerge come le direzioni in cui si stava sviluppan-
do l’architettura contemporanea di allora non potevano più essere
unitarie in quanto le visioni dei vari progettisti erano estremamente
diverse.
Copertina di ‘Casabella-Continuità’
n. 228, giugno 1959, sotto la guida
di E.N. Rogers.
Tange e Bakema che assistono alla
spiegazione del progetto della Torre
Velasca da parte di Rogers al CIAM
di Otterlo
11
Va precisato che la ricerca storica eseguita dalla BBPR fa risaltare un
collegamento molto intimo con la città di Milano: la dimensione delle
finestre, la misura degli aggetti, i materiali e tonalità cromatiche, sono
ad esempio un risultato di un attento studio dei 4 architetti eseguito
con un approccio molto intimo e soggettivo alla città, alla materia e
al tempo. Giuseppe Samonà, architetto che tra i primi si è espresso
pubblicamente sulla torre, commenterà positivamente la scelta del
non aver optato per un volume puro, oppure prismi, ‘’dalle pareti
traslucide e appena reticolate’’ della maggior parte delle ‘’torri mo-
derne’’ che si piantano ‘’come una vera eccezione meccanicistica
nella compatta e appiattita struttura della città’’.
(p. 659-66, Giuseppe Samonà, L’architettura. Cronache e storia. n.40, febbraio 1959;
p.28, Enrico Bordogna, La Torre Velasca dei BBPR a Milano, simbolo e monumento dell’ar-
chitettura italiana del dopoguerra, Teca 10, 2017).
Questo sguardo verso il passato conta moltissimo nella decisione
progettuale degli architetti anche riguardo all’area in cui si inserisce
torre Velasca in quanto si sostiene che piazza Velasca sia troppo
piccola per l’impronta dell’edificio.
La forma esterna però non è giustificabile del tutto dal carattere
storico della torre in quanto è risultato anche di una distribuzione
razionale interna: i piani superiori essendo adibiti ad appartamenti
hanno maggiore necessità di spazio mentre la parte bassa è adibita
ad uffici. ( disegni tecnici in fondo alla tesina.)
Questo fatto è indicato anche dall’alternanza delle finestre meno ca-
suale nella parte inferiore degli uffici, che in pianta è anche più ripeti-
tiva, mentre variante per ciascun’unità abitativa nella parte superiore,
indicando un attento studio della BBPR su ciascun appartamento.
1.2 Collegamento intimo
con la città di Milano
12
Ludovico Belgioioso commenterà: ‘’Il CIAM di Bergamo del 1949,
ove si discusse della ricostruzione delle città distrutte dalla guerra,
vide la partecipazione di molti architetti europei e statunitensi ed
ebbe un’influenza sui successivi sviluppi della cultura architettonica.
Noi che nell’anteguerra eravamo stati molto legati ai protagonisti
del movimento razionalista, cercavamo ora di superare la freddezza
dell’International Style, ricollegandoci a elementi desunti da tradizioni
più antiche. Ci eravamo formati avendo come riferimenti progettisti
del calibro di Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Mendel-
sohn, e cercavamo nello spirito del loro esempio, di portare avanti
un rinnovamento che fosse anche la ripresa di una tradizione.’’
(p. 20, Brunetti Federico, BBPR La Torre Velasca, Alinea, 2000).
L’architetto riaffermava in questo modo l’estrema ricerca storica
eseguita dallo studio, in particolare sul periodo spagnolo di Milano,
prendendo come riferimento la pesantezza delle mura spagnole che
circondano la città.
Manifesto del CIAM di Bergamo del
1949.
Vista sulla torre da Via Pantano, foto di Paolo Monti
13
14
1.3 Storia e progetto Per quanto riguardo la storia del progetto, l’idea di una torre arriva
grazie a dott. Samaritani della Società Generale Immobiliare, com-
mittente e reduce da un viaggio negli Stati Uniti da dove tornò con
la ferrea idea di costruire un grattacielo di acciaio e vetro, scelta
che la BBPR e Arturo Danusso, allora insegnante al Politecnico di
Milano ed esperto in edilizia in cemento armato, difficilmente con-
trastarono convincendo la committenza a una scelta più legata alla
tradizione ‘’massiva’’ milanese. Lo stesso Belgioioso parlò del con-
fronto definendolo molto difficile. Questa scelta non solo continuava
una tradizione milanese ma aiutava molto anche economicamente
la realizzazione della torre in quanto l’acciaio in quel periodo era
diventato particolarmente costoso e l’industria siderurgica italiana
non era nelle condizioni di una tale produzione. Una volta risolto il
problema dei materiali si ha avuto una discussione sulla volumetria
e gli architetti dovettero scegliere tra una volumetria più estesa che
occupasse tutto il lotto, avvicinandosi anche alle altezze degli edifi-
ci circostanti, oppure di alzarsi di più lasciando una piccola piazza
antistante all’entrata. Venne scelta la seconda opzione perché come
commenta Belgioioso: ‘dal punto di vista urbanistico ci sembrava
più interessante.’
(p. 20, Brunetti Federico, BBPR La Torre Velasca, Alinea, 2000).
Modello prima soluzione interamen-
te in metallo;
Modello seconda soluzione;
Modello terza soluzione interamente
in c.a con tetto piano;
Variante della precedente con il cor-
po aggettante di 6 piani invece di 7.
15
16
Il progetto definitivo di una torre in cemento armato venne finalizzato
dal 1952 al 1955 mentre i lavori partirono un anno dopo.
Essa quindi si poneva come un simbolo di quel caotico e ‘’sbrigato’’
boom economico, quindi l’immagine della torre Velasca assumeva
un’importanza maggiore nella società milanese di quegli anni proprio
per il suo significato: rinascita, modernità e ripresa economica. Non
a caso in molti film del periodo come ad esempio ‘’il vedovo’’ diretto
dal regista Dino Risi nel ‘59, mostrano le vicende della classe diri-
gente di Milano legate quasi sempre alla torre Velasca.
L’architettura di forma non compiuta è la sua critica ma anche la sua
particolarità. Essa è data per ovvie ragioni funzionali ma gli rendono
l’aspetto particolare ‘’a fungo’’ che nessun grattacielo americano ha
mai avuto prima. La volumetria molto varia era composta da un’en-
trata sporgente e sottolineata che si affacciava su piazza Velasca,
sulla quale si alzava subito il corpo che comprendeva gli uffici e che
comprendeva i primi diciotto piani ed era composto da un vano
centrale dedicato a scale e ascensori, circondato da un corridoio
che poi portava ai vari uffici posti sul perimetro esterno in modo da
permettere un’illuminazione omogenea e paritaria. Il punto d’incon-
tro tra la volumetria comprendente gli uffici e quella sporgente che
era dedicata agli appartamenti, era separato da un piano rientrante
che faceva rimarcare questa differenza in uso e volumetria. I piani
restanti fino al ventiseiesimo, destinati ad appartamenti che seguono
la stessa distribuzione della parte destinata ad uffici, sono retti da
sei travi oblique sul lato lungo e quattro sul lato corto. Le travi poste
sugli angoli della pianta non sono ortogonali ad essa ma tendono ad
avvicinarsi. Per quanto riguarda la parte finale si ha una copertura in
rame che permette l’accesso a dei piccoli terrazzi su tutto il perime-
tro dell’edificio.
Vista sul lato nord-est della torre.
17
A differenza del Pirellone, la torre Velasca ha avuto una banalizzazione
della sua immagine a causa dell’idea comune che si era creata, cioè
una semplice interpretazione di alcuni elementi di carattere storico del
centro storico di Milano. Gli elementi poco spesso presi in considera-
zione sono la capacità dello studio BBPR di analizzare una tipologia,
che in questo caso è la torre e che è la rappresentazione per eccel-
lenza del moderno rifiutando di renderla l’immagine formale che si
era creata nel mondo, un grattacielo con caratteri che ormai Rogers
criticava da tempo in Casabella, ma di renderla un’opera che affermi
la capacità espressiva individuale e italiana con l’aiuto di elementi
esterni, non considerati nell’architettura dell’International style, cioè la
storia. Durante la fase progettuale, Belgioioso affermò che a differen-
za di quello che si era pensato all’inizio, non si ha mai avuto un con-
trasto tra la formazione razionalista degli architetti e il riferimento alla
storia della propria città, anzi le due cose sono arrivate all’inizio dei
lavori, contemporaneamente, senza contrasti, anzi per Rogers ‘‘(…)
essere moderni significa semplicemente sentire la storia contempora-
nea nell’ordine di tutta la storia (…)’’.
(p. 23, Brunetti Federico, BBPR La Torre Velasca, Alinea, 2000).
Questo voler affermare un’individualità all’interno di un contesto pro-
gettuale fortemente omogeneo dell’epoca ha portato a un’estetica
per certi versi definita brutalista e che si inserisce con più difficoltà
all’interno del contesto storico milanese di quanto lo faccia il Pirelli
con una connotazione più internazionale.
18
Fotografia scattata dalla terrazza del Duomo. Si intravedono: la Torre Velasca, la Torre
di San Gottardo e le guglie del Duomo
19
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21
Il Pirelli, chiamato anche il Pirellone, è il più alto tra i due grattacieli,
arrivando a un’altezza di 33 piani e si trova presso la Stazione Cen-
trale di Milano, poco lontano dal moderno centro direzionale che si
sviluppa in zona Gioia.
Un’architettura controcorrente alle sperimentazioni linguistiche che
sono volte molto spesso nel segno di interpretazioni storiciste,
come ad esempio le architetture della BBPR, di Gardella o di Albi-
ni, il Pirellone tende alla ‘’forma finita’’ tipica dell’architettura tardo
pontiana di tradizione moderno-classicista, definita da alcuni anche
come ‘’forma perfetta pontiana’’. Emergono pareri che sostengono
sia rappresentazione dell’essenzialità, ovvero la ‘’costruzione porta-
ta all’essenziale’’ contro ‘’ogni esteticismo di marca o tradizionale o
modernistica’’.
(p.63 Cevini Paolo, Grattacielo Pirelli, NIS, 1996).
Ciò è dato anche dal fatto che l’ubicazione stessa del grattacielo nel
margine est del nuovo centro direzionale ha permesso all’architetto
di conferirgli tale forma in quanto il contesto poco importante a livello
storico non vincola le scelte progettuali.
Un’altra dimensione fondamentale da prendere in considerazione
è anche quella tecnica, cioè l’impiego del cemento armato per fare
una costruzione alta, contrapposto all’acciaio dei grattacieli america-
ni. Bisogna precisare che però la dimensione tecnica non è ostenta-
ta in quanto l’espressività del cemento è molto controllata anche in
base alla tipologia di edificio. Si ha quindi una dialettica spontanea
nata tra costruttore- architetto (Nervi e Ponti) che rende il grattacielo
un’opera di intima qualità, ‘’una vera architettura, un’opera d’arte’’.
(p.61 Cevini Paolo, Grattacielo Pirelli, NIS, 1996).
2. Grattacielo Pirelli,
nuovo centro direzionale
Vista laterale e frontale del grattacie-
lo Pirelli
22
Un’altra dimensione che aggiunge qualità al progetto è quella sim-
bolica, un’immagine fortemente moderna: il grattacielo, elemento
sia moderno che internazionale costruito con tecnica tradizionale e
locale portandolo ad essere un’icona milanese, ma non tanto per la
palese contrapposizione con l’evocazione storicista della Velasca ma
dell’adesione intima e profonda al carattere della città, tradizional-
mente aperta alla modernità.
Per publicizzare al meglio il progetto si è deciso di creare dei vuoti
nella recintazione del cantiere per permettere alla popolazione di
assistere alla metamorfosi della città.
2.1 Dimensione simbolica
del grattacielo
Domenica del Corriere annuncia il
grattacielo Pirelli come edificio più
alto d’Europa (1958-1966).
Fotografia che mostra la recintazio-
ne finestrata per permettere ai pas-
santi di vedere il cantiere.
23
2.2 Prime ipotesi di pro-
getto
Per quanto riguarda il quadro storico tutto iniziò con Giovanni Batti-
sta Pirelli: il giovane ingegnere torna in Italia nel 1872 dalla Germania
e decide di fondare la società che porta il suo cognome per la pro-
duzione industriale di articoli in gomma. La circostanza vuole che il
Nord del paese entri in un clima pionieristico e del fervore impren-
ditoriale, particolarmente nel milanese, luogo della sede della Pirelli.
Questo passaggio avvierà una rivoluzione sul piano della moderniz-
zazione e crescita della produzione e farà arrivare la società al culmi-
ne della parabola della cosiddetta impresa capitalistica tradizionale
con la costruzione della torre poco oltre la metà degli anni cinquanta
e lo spostamento degli stabilimenti verso la periferia della città che si
stava espandendo sempre di più. La scelta dunque dell’ubicazione
del nuovo edificio direzionale cadde sul luogo simbolo della fondazio-
ne della società cioè gli stabilimenti storici.
La prima ipotesi di progetto viene proposta nel 1952 dagli ingegneri
Valtolina e Loria, dunque è una torre di 21 piani e 77 metri di altezza
con una superficie in pianta di 1.200 mq. Questa soluzione era più
massiccia e bassa rispetto al grattacielo oggi costruito.
Essa aveva anche un corpo che veniva in avanti sull’esedra disegna-
ta da Piacentini nel piano regolatore di Piazzale Duca d’Aosta forma-
ta interamente da portici e sui due lati in Via Pirelli e Via Galvani.
Verso la fine del 1952 viene chiamato Gio Ponti per il progetto, si
pensa per scelta di Valtolina. Questa mossa non fu casuale in quan-
to si pensa sempre a quanto può influire sull’immagine della società
Pirelli una figura di peso e autorevolezza come il direttore di Domus.
Il critico d’architettura Banham nel 1961 sottolineerà l’importanza di
tale scelta per la pubblicizzazione dell’azienda.
Stabilimenti storici della Pirelli, suc-
cessivamente spostati.
Progetto di Piacentini di una gran-
de esedra che si aprisse su Piazzale
Duca d’Aosta.
24
Dopo vari disegni e discussioni con l’amministrazione si arrivò final-
mente a una scelta progettuale nell’ottobre del 1954. L’architettura
era costituita da pochi elementi irrigidenti, cioè le punte laterali a
doppio triangolo e i setti posizionati al centro. L’immagine è forte-
mente influenzata dall’aspetto tecnico poiché deve rispondere alle
sollecitazioni orizzontali del vento in quanto il lato corto del grattacie-
lo raggiunge soltanto i 18,5 metri di profondità nella parte più ampia,
per una larghezza di 70 metri. Per questo motivo dovettero interve-
nire i strutturisti Pierluigi Nervi e Arturo Danusso. L’edificio è più largo
al centro e si restringe man mano che raggiunge le estremità, tutto
segnato da un serramento che è appena percettibile composto da
parte opaca e trasparente (anche se Ponti avrebbe preferito tutto in
trasparenza) che poi lascia posto alle punte improvvisamente ra-
stremate che formano le parti strutturali massive e che sono visibili
all’esterno ma ricoperte in piastrelle com’è tipico nell’architettura
pontiana. Le parti rastremate agli angoli non si chiudono del tutto
formando una feritoia che accompagna tutta l’altezza dell’edificio.
Sono questi gli elementi che Ponti ha ricercato con una moltitudine
di prove per trovare una forma finita, chiusa e pulita che poi rendono
il grattacielo Pirelli uno degli esempi più eleganti al mondo del perio-
do. Le scale principali, gli ascensori e i vani tecnici principali vengo-
no posizionati nell’area centrale sul retro mentre le scale seconda-
rie vengono posizionate negli elementi rigidi di lato lasciando così
ampi spazi luminosi dedicati agli uffici. Gli spazi ai primi piani erano
dedicati a funzioni diverse come ad esempio accesso pedonale e
veicolare ma anche sale riunioni in quanto l’edificio occupava tutta
l’impronta del lotto, mentre per quanto riguarda la punta, Ponti ha
deciso di creare uno spazio panoramico, in cui fossero visibili i pila-
stri strutturali all’interno in cemento armato lasciato a vista. L’edificio
raggiunge così un’altezza totale di 127 metri distribuiti su 31 piani.
(disegni tecnici in fondo alla tesina.)
2.3 Progetto Finale
Modello del grattacielo Pirelli, vi-
sta sul fronte principale in direzione
Piazza Duca d’Aosta
Fotografia d’epoca del grattacie-
lo che mostra gli angoli laterali ra-
stremati, che danno la caratteristi-
ca all’edificio di assomigliare a una
lama.
25
26
Il cantiere verrà ultimato sotto l’entusiasmo della folla il 4 aprile 1960
segnando un’altezza record non solo europea ma anche italiana,
tanto che in rispetto alle vecchie normative che riguardavano il supe-
ramento dell’altezza del Duomo verrà posta una statua della Madon-
nina sul tetto del grattacielo.
Con quest’opera si inaugura ufficialmente il nuovo decennio all’inse-
gna del boom economico, tanto che Il Pirellone diventerà simbolo di
eleganza, modernità e prosperità italiana, e come per volere dell’ar-
chitetto illuminerà Milano dall’alto come una ‘’torcia’’ fino alla fine del
decennio con l’inizio della crisi energetica degli anni ‘70.
Ultimo piano del grattacielo: la festa
per l’ultima gettata di calcestruzzo,
1958.
Fotografia del grattacielo da zona
Garibaldi.
27
28
29
Grattacielo Pirelli, inizio del cantie-
re, si intravede Stazione Centrale
Grattacielo Pirelli, fine cantiere. Si
vede la forma finita con sopra le
impalcature
30
Dopo il grave danno afflitto alla città con la guerra, i vari avveni-
menti e la lenta ripresa industriale ed economica, successivamente
poi accelerata fino al risultare nel boom economico, permisero agli
architetti rimasti di ripensare con grande creatività alla ricostruzione
della città. Varie idee arrivate dall’oltreoceano in commistione con la
cultura locale, legata sempre al materiale pesante, permisero la cre-
azione del primo grattacielo italiano orgogliosamente milanese. Lo
‘’sbarco dell’America’’ in Italia dunque importa il concetto di gratta-
cielo che viene pensato in una maniera tutta italiana, come illustrato
nei paragrafi precedenti. Grazie poi alla scena creativa che si stava
sviluppando a Milano durante gli anni del boom economico, questa
tipologia edilizia non si sparse in modo omogeneo sul territorio ma
ebbe variazioni, come nei due grandi esempi del grattacielo Pirelli
del 1958 e la torre Velasca del 1961. Nel primo caso si tratta di un
grattacielo dalla ‘’forma finita’’ con una linea semplice ma molto forte
dal punto di vista identitario, tanto che sarà pesantemente criticato
a livello mondiale dopo la realizzazione. Esso è l’immagine dell’a-
zienda Pirelli ma allo stesso tempo si presenta come un’architettura
milanese per lo stile e per il suo ancoraggio a terra, grazie al disegno
pontiano fortemente radicato nella tradizione locale: le rastremazio-
ni laterali in cemento armato, visibili all’esterno, insieme ai pilastri
a farfalla e agli infissi posti sullo stesso piano, danno l’idea di una
lama perfetta dai primi piani fino al piano panoramico. Nel secondo
esempio si ha una torre in una zona di grande importanza storica (la
Milano quattrocentesca di Filarete). Essa cerca di esprimere un’at-
mosfera storica percepibile secondo i progettisti e dunque anche le
sue forme seguono, a differenza del Pirellone, un andamento non
regolare, diviso in 3 fasce principali. Ciò rende possibile una divisione
anche funzionale, in quanto la torre Velasca era destinata a residen-
za oltre che ad ufficio. La parte alta è sporgente e ciò le da la carat-
teristica forma ‘’a fungo’’, storicamente associabile alle torri milanesi.
L’intera struttura poi è scandita dai costoloni che danno una mag-
giore impressione di fortificazione.
Conclusione
31
Ciò che è interessante osservare in questi due esempi del boom
economico è anche la posizione in cui vengono costruiti: nel caso
del Pirellone esso viene ubicato in quello che stava diventando il
nuovo centro direzionale, mentre la torre Velasca all’interno del cen-
tro storico che fu oggetto durante gli anni del boom economico di
una terziarizzazione su ampia scala.
Gli esempi riportati in questa tesina, che sono i principali della Mi-
lano alta, mostrano come la città, attraverso la sua rinascita con
l’architettura moderna e contemporanea e utilizzando una tipologia
proveniente dall’oltreoceano, sia riuscita a produrre degli esem-
pi che rimasero nella storia dell’architettura moderna. I progettisti
hanno sempre avuto idee tendenti ad un progetto innovativo, ma
a contribuire al loro successo è stato contemporaneamente il loro
sguardo verso il passato della città. Sono due esempi di spicco che
guardando all’anima della città riuscirono a conferire grande qualità
all’architettura e contesto urbano. Purtroppo nella contemporaneità
ciò non avviene spesso e Milano oggigiorno si indirizza in molti casi
verso un architettura sterile e superare questo ostacolo del nostro
tempo si potrà fare solo con uno sguardo all’anima della città.
32
Tavole tecniche
Torre Velasca 1955-61, 26 piani, da sinistra verso destra:
pianta del piano tipo degli uffici, pianta del diciottesimo
piano che è il distacco tra la parte inferiore adibita ad uffici
e la parte superiore adibita ad abitazione, pianta
del ventesimo piano – esempio di piano per abitazione.
Prospetto e sezione laterale.
33
34
Tavole tecniche
Grattacielo Pirelli 1956-60, piani e sezione mostrano la
rastremazione dell’ossatura in calcestruzzo armato
35
Sezione del grattacielo a progetto finito
36
Bibliografia Oscar Newman, CIAM ’59 in Otterlo, Gedruckt, 1961.
Biraghi, Marco, et al. Guida All’architettura Di Milano: 1954-2015. Hoepli,
2015.
Bordogna, Enrico. La Torre Velasca Dei BBPR A Milano, Simbolo e Monu-
mento Dell’Architettura Italiana Del Dopoguerra. TECA 10, 2017.
Brunetti, Federico. BBPR La Torre Velasca. Alinea, 2000.
Castellaneta, Carlo, et al. Storia Di Milano: Dalle Origini Ai Giorni Nostri.
Edizioni Biblioteca Dell’immagine, 2017.
Cevini, Paolo. Grattacielo Pirelli. NIS, 1996.
Curtis, William. L’architettura Moderna Dal 1900. Phaidon, 2012.
D’Avino, Mauro. Milano, Si Gira!: Gli Scorci Ritrovati Del Cinema
Di Ieri: Gremese, 2012.
Portoghesi Paolo, Comunità, Dal Neorealismo Al Liberty 1958
Fiori, Leonardo, and Massimo Prizzon. BBPR, La Torre Velasca: Disegni e
Progetto Della Torre Velasca. Abitare Segesta, 1982.
Banham, Reyner, Copertina Di ‘Architectural Review’ Di Reyner Banham,
n.747, Aprile 1959.
Rogers, Ernesto Nathan, Casabella-Continuità n.199, Dicembre
1953-Gennaio 1954.
Rogers, Ernesto Nathan Casabella-Continuità n.228, Giugno 1959.
Samonà Giuseppe, Cronache e storia. n.40, febbraio 1959.

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  • 1. 1 L’edificio alto nella Milano moderna Torre Velasca e grattacielo Pirelli, architetture simbol0 dell’Italia del boom economico Teoria della progettazione contemporanea professori: Enrico Bordogna | Tommaso Brighenti studente: Sabin Andrei Zapareniuc 915012
  • 2. 2 Teoria della progettazione contemporanea professori: Enrico Bordogna | Tommaso Brighenti studente: Sabin Andrei Zapareniuc 915012
  • 3. 3 Introduzione. p.4 Capitolo 1. Torre Velasca, centro storico p.6 1.1 Opinioni e critiche nazionali e internazionali p.8 1.2 Collegamento intimo con la città p.11 1.3 Storia e progetto p.14 Capitolo 2. Grattacielo Pirelli, nuovo centro direzionale p.21 2.1 Dimensione simbolica del grattacielo p.22 2.2 Ipotesi di progetto p.23 2.3 Progetto finale p.24 Conclusione p.30 Tavole tecniche p.32 Indice
  • 4. 4 Introduzione Milano è la capitale della modernità dell’architettura in Italia. Questo è dato dal fatto che è stata sempre in prima fila tra le città italiane nella creazione di opere di architettura di grande rilievo sulla scena mon- diale per la qualità architettonica e particolare creatività. Il grattacielo, struttura importata dall’America nell’Italia post-bellica, in particolare in una Milano che si sviluppa sempre più freneticamente e in cui avven- gono molte trasformazioni che fino al decennio prima sembravano impossibili, ha un particolare successo per vari motivi. La tesina affronta il tema dell’edificio alto a Milano durante il perio- do del boom economico, analizzando due opere fondamentali sotto molteplici punti di vista, partendo dall’iter progettuale fino alla realiz- zazione. Il primo e secondo capitolo tratteranno dei due esempi più emble- matici di questa ‘’nuova modernità”: Il grattacielo Pirelli del 1958-61 di Gio Ponti in collaborazione con l’ingegner Pierluigi Nervi e la torre Velasca del 1956-58 del gruppo BBPR, chiamato dai milanesi anche il ‘’grattacielo con le bretelle’’. Queste realizzazioni saranno fonda- mentali non solo dal punto di vista architettonico ma anche dal punto di vista di organizzazione urbana (centro direzionale - terziarizzazione centro storico). Due strutture di identità molto forti ma di storie e stile architettonico differente che hanno dato una nuova forma a Milano. La diversità tra i due grattacieli rappresentava anche la diversità creativa sulla scena milanese durante gli anni del boom. Fotografia del 1957, periodo d’inizio del boom economico italiano. Si nota la Torre Velasca con ancora le impalcature prima dell’inaugurazione ufficiale del 1961. Fotografia dal blog di Mauro Colombo
  • 5. 5
  • 6. 6 La torre Velasca è un’architettura più giovane del Pirellone e simbo- leggia il volere durante il postguerra di rinnovare l’architettura italiana razionale in una chiave storicista in quanto venne posto per la prima volta il problema della ‘’continuità’’ storica del moderno. Questa pro- blematica nasce e viene dibattuta all’interno di Casabella-Continuità, rivista diretta da Rogers al tempo. La torre Velasca è un edificio che comunica con la storia non soltanto per la sua forma e disegno ma anche per la sua posizione: essa si inserisce in pieno centro storico di Milano grazie alla sua progressiva terziarizzazione durante gli anni del boom economico italiano, facendo la comparsa sullo skyline antico della città tra le guglie del Duomo di Milano, torre di San Got- tardo oppure la torre del vecchio tribunale di Milano, tutte architet- ture prossime a piazza del Duomo. Alla ricerca con l’antico la BBPR spezza l’equilibrio della forma con un aggetto nella parte superiore non ammettendo una ‘purezza di forma’, come fece invece Gio Pon- ti con il Pirellone, e rendendo l’architettura estranea al contesto con cui si era imposta a livello internazionale la tipologia di grattacielo. 1.Torre Velasca, 1955- 1957 anni del boom economico e terziarizzazione del centro storico di Milano Archivio Paolo Monti - fotografia del 1963 Da sinistra: Rogers, Peressutti e Belgiojoso nello studio di via dei Chiostri
  • 7. 7
  • 8. 8 Queste trasformazioni portarono molte ferocie critiche e confron- ti per le visioni troppo diverse degli architetti e critici maggiori nel campo architettonico mondiale di allora come tutt’oggi: Un articolo del 2/04/2012 del giornale inglese ‘the Telegraph’ inserisce la torre in una lista dal titolo ‘Sono questi gli edifici più brutti al mondo?’ e dalla nota: ‘Milano è sede degli edifici italiani di più qualità: il Duomo, la Scala… e questo particolare grattacielo di 26 piani’. Le polemiche iniziarono molto prima, ancora prima che la torre fosse finita. Rogers, uno dei quattro progettisti della torre e redattore della rivista allora chiamata ‘Casabella-Continuità’ definiva la direzione e la modalità con la quale si sarebbe sviluppata l’architettura contem- poranea in italia in quegli anni, in un tentativo di superamento dei formalismi sterili del International style. Fin dalle prime pubblicazioni di Rogers su ‘Casabella-Continui- tà’ (n.199, dicembre 1953-gennaio 1954) si capisce qual è la sua posizione riguardo a cosa dovesse essere architettura italiana e che ruolo avesse la Torre Velasca. In un articolo denominato ‘Continuità’ Rogers scrive: ‘’Continuità, assai più del fatto pratico di utilizzare una testata col nome di Casabella, significa conoscenza storica; cioè la vera essen- za della tradizione nella precisa accettazione di una tendenza che, per Pagano, per Persico, come per noi, è l’eterna varietà dello spirito avversa a ogni formalismo passato o presente. Dinamico prose- guimento e non passiva ricopiatura: non maniera; non dogma, ma libera ricerca spregiudicata con costanza di metodo’’. (p. 3, Ernesto Nathan Rogers, Casabella-Continuità n.199, dicembre 1953-gennaio 1954). Con ciò, in riferimento alla Torre Velasca si capisce l’atteggiamento di anti-formalismo gratuito di Rogers. La torre Velasca è una torre ra- dicata nel contesto milanese che cerca di esprimere l’atmosfera che è anche il carattere della città. Già da semplici considerazioni come 1.1 Torre Velasca, opinioni e critiche nazio- nali e internazionali Prima pagina del Telegraph del 2/04/2012, ‘Sono questi gli edifici più brutti al mondo?’ Prima copertina di ‘Casabella-Con- tinuità’ n. 199, dicembre 1953-gen- naio 1954, sotto la guida di E.N. Rogers
  • 9. 9 il fatto che non è un grattacielo di ferro e vetro ma è in muratura, minerale che le dona un aspetto massiccio appunto le da la rende una ‘torre fortificata’, che si ricollega alle forme della Milano filaretia- na, non a caso da un lato di essa si trova la Ca Granda, antico ospe- dale filaretiano e dall’altra, la basilica di San Nazaro in Brolo, chiesa originariamente paleocristiana. Ci saranno poi ulteriori scritti in cui Rogers riprenderà l’argomento in Casabella-Continuità: n.202, agosto settembre 1954, La resposabi- lità verso la tradizione e sul n. 204, febbraio-marzo 1955, Le preesi- stenze ambientali e i temi pratici contemporanei. La discussione si accese particolarmente sul piano internazionale quando in risposta a un saggio di Paolo Portoghesi pubblicato nel 1958 su ‘Comunità’ dal titolo ‘Dal neorealismo al neoliberty’, il teori- co dell’architettura Reyner Banham commenta con un articolo nella rivista ‘The Architectural Review’ per cui faceva da caporedattore nel 1959, dal titolo: ‘Neoliberty. The Italian retreat from modern archi- tecture’ – ‘Neoliberty. La ritirata italiana dal movimento moderno in architettura’. Banham mostra un allarmante sconcerto internazionale nei confronti dell’architettura moderna italiana. Egli definisce il grup- po della BBPR, Gardella, Figini, Pollini e giovani architetti pubblicati su ‘Casabella-Continuità come divulgatori di una ‘’regressione infan- tile’’. Questa provocazione dal fronte internazionale porterà alla pubbli- cazione di un articolo su ‘Casabella-Continuità’ giugno 1959, n. 228 dal titolo ‘L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei frigidaires’. Egli respinge l’attacco di Banham, sostenendo che la direzione presa dall’architettura italiana fosse quella giusta: ‘’ tanto utile che critica e produzione architettoniche italiane hanno fatto, malgrado tutto, qualche passo che in molti paesi è da tentare’’ (p. 4, Ernesto Nathan Rogers, Casabella-Continuità n.228, giugno 1959). Fotografia del lato lungo della Torre Velasca che mette in risalto l’aspet- to massiccio, caratteristico delle torri fortificate. Copertina di ‘Architectural Review’ di Reyner Banham, n.747, aprile 1959.
  • 10. 10 Un confronto diretto arrivò poi ad Otterlo in occasione del CIAM del 1959 quando Peter Smithson, fondatore del New Brutalism in Inghil- terra commentò la torre Velasca: ‘’In realtà, non è altro che decorazione. In breve, sembra che il pro- gramma del progetto abbia portato alla definizione delle parti fonda- mentali dell’edificio, e da quel momento in poi la torre è stata proget- tata all’interno di un sistema formale autonomo. (…) Questa architettura non ha consonanti a sé stanti, i suoi legami con il passato sono casuali come quelli delle persone che useranno i suoi edifici, e deve essere usata perché solo allora, nel movimento e nel cambiamento, le sequenze delle sue forme, le implicazioni oltre i suoi limiti fisici, possono diventare evidenti.’’ (p. 96, Oscar Newman, CIAM ’59 in Otterlo, Gedruckt, 1961). In tali affermazioni emerge come le direzioni in cui si stava sviluppan- do l’architettura contemporanea di allora non potevano più essere unitarie in quanto le visioni dei vari progettisti erano estremamente diverse. Copertina di ‘Casabella-Continuità’ n. 228, giugno 1959, sotto la guida di E.N. Rogers. Tange e Bakema che assistono alla spiegazione del progetto della Torre Velasca da parte di Rogers al CIAM di Otterlo
  • 11. 11 Va precisato che la ricerca storica eseguita dalla BBPR fa risaltare un collegamento molto intimo con la città di Milano: la dimensione delle finestre, la misura degli aggetti, i materiali e tonalità cromatiche, sono ad esempio un risultato di un attento studio dei 4 architetti eseguito con un approccio molto intimo e soggettivo alla città, alla materia e al tempo. Giuseppe Samonà, architetto che tra i primi si è espresso pubblicamente sulla torre, commenterà positivamente la scelta del non aver optato per un volume puro, oppure prismi, ‘’dalle pareti traslucide e appena reticolate’’ della maggior parte delle ‘’torri mo- derne’’ che si piantano ‘’come una vera eccezione meccanicistica nella compatta e appiattita struttura della città’’. (p. 659-66, Giuseppe Samonà, L’architettura. Cronache e storia. n.40, febbraio 1959; p.28, Enrico Bordogna, La Torre Velasca dei BBPR a Milano, simbolo e monumento dell’ar- chitettura italiana del dopoguerra, Teca 10, 2017). Questo sguardo verso il passato conta moltissimo nella decisione progettuale degli architetti anche riguardo all’area in cui si inserisce torre Velasca in quanto si sostiene che piazza Velasca sia troppo piccola per l’impronta dell’edificio. La forma esterna però non è giustificabile del tutto dal carattere storico della torre in quanto è risultato anche di una distribuzione razionale interna: i piani superiori essendo adibiti ad appartamenti hanno maggiore necessità di spazio mentre la parte bassa è adibita ad uffici. ( disegni tecnici in fondo alla tesina.) Questo fatto è indicato anche dall’alternanza delle finestre meno ca- suale nella parte inferiore degli uffici, che in pianta è anche più ripeti- tiva, mentre variante per ciascun’unità abitativa nella parte superiore, indicando un attento studio della BBPR su ciascun appartamento. 1.2 Collegamento intimo con la città di Milano
  • 12. 12 Ludovico Belgioioso commenterà: ‘’Il CIAM di Bergamo del 1949, ove si discusse della ricostruzione delle città distrutte dalla guerra, vide la partecipazione di molti architetti europei e statunitensi ed ebbe un’influenza sui successivi sviluppi della cultura architettonica. Noi che nell’anteguerra eravamo stati molto legati ai protagonisti del movimento razionalista, cercavamo ora di superare la freddezza dell’International Style, ricollegandoci a elementi desunti da tradizioni più antiche. Ci eravamo formati avendo come riferimenti progettisti del calibro di Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Mendel- sohn, e cercavamo nello spirito del loro esempio, di portare avanti un rinnovamento che fosse anche la ripresa di una tradizione.’’ (p. 20, Brunetti Federico, BBPR La Torre Velasca, Alinea, 2000). L’architetto riaffermava in questo modo l’estrema ricerca storica eseguita dallo studio, in particolare sul periodo spagnolo di Milano, prendendo come riferimento la pesantezza delle mura spagnole che circondano la città. Manifesto del CIAM di Bergamo del 1949. Vista sulla torre da Via Pantano, foto di Paolo Monti
  • 13. 13
  • 14. 14 1.3 Storia e progetto Per quanto riguardo la storia del progetto, l’idea di una torre arriva grazie a dott. Samaritani della Società Generale Immobiliare, com- mittente e reduce da un viaggio negli Stati Uniti da dove tornò con la ferrea idea di costruire un grattacielo di acciaio e vetro, scelta che la BBPR e Arturo Danusso, allora insegnante al Politecnico di Milano ed esperto in edilizia in cemento armato, difficilmente con- trastarono convincendo la committenza a una scelta più legata alla tradizione ‘’massiva’’ milanese. Lo stesso Belgioioso parlò del con- fronto definendolo molto difficile. Questa scelta non solo continuava una tradizione milanese ma aiutava molto anche economicamente la realizzazione della torre in quanto l’acciaio in quel periodo era diventato particolarmente costoso e l’industria siderurgica italiana non era nelle condizioni di una tale produzione. Una volta risolto il problema dei materiali si ha avuto una discussione sulla volumetria e gli architetti dovettero scegliere tra una volumetria più estesa che occupasse tutto il lotto, avvicinandosi anche alle altezze degli edifi- ci circostanti, oppure di alzarsi di più lasciando una piccola piazza antistante all’entrata. Venne scelta la seconda opzione perché come commenta Belgioioso: ‘dal punto di vista urbanistico ci sembrava più interessante.’ (p. 20, Brunetti Federico, BBPR La Torre Velasca, Alinea, 2000). Modello prima soluzione interamen- te in metallo; Modello seconda soluzione; Modello terza soluzione interamente in c.a con tetto piano; Variante della precedente con il cor- po aggettante di 6 piani invece di 7.
  • 15. 15
  • 16. 16 Il progetto definitivo di una torre in cemento armato venne finalizzato dal 1952 al 1955 mentre i lavori partirono un anno dopo. Essa quindi si poneva come un simbolo di quel caotico e ‘’sbrigato’’ boom economico, quindi l’immagine della torre Velasca assumeva un’importanza maggiore nella società milanese di quegli anni proprio per il suo significato: rinascita, modernità e ripresa economica. Non a caso in molti film del periodo come ad esempio ‘’il vedovo’’ diretto dal regista Dino Risi nel ‘59, mostrano le vicende della classe diri- gente di Milano legate quasi sempre alla torre Velasca. L’architettura di forma non compiuta è la sua critica ma anche la sua particolarità. Essa è data per ovvie ragioni funzionali ma gli rendono l’aspetto particolare ‘’a fungo’’ che nessun grattacielo americano ha mai avuto prima. La volumetria molto varia era composta da un’en- trata sporgente e sottolineata che si affacciava su piazza Velasca, sulla quale si alzava subito il corpo che comprendeva gli uffici e che comprendeva i primi diciotto piani ed era composto da un vano centrale dedicato a scale e ascensori, circondato da un corridoio che poi portava ai vari uffici posti sul perimetro esterno in modo da permettere un’illuminazione omogenea e paritaria. Il punto d’incon- tro tra la volumetria comprendente gli uffici e quella sporgente che era dedicata agli appartamenti, era separato da un piano rientrante che faceva rimarcare questa differenza in uso e volumetria. I piani restanti fino al ventiseiesimo, destinati ad appartamenti che seguono la stessa distribuzione della parte destinata ad uffici, sono retti da sei travi oblique sul lato lungo e quattro sul lato corto. Le travi poste sugli angoli della pianta non sono ortogonali ad essa ma tendono ad avvicinarsi. Per quanto riguarda la parte finale si ha una copertura in rame che permette l’accesso a dei piccoli terrazzi su tutto il perime- tro dell’edificio. Vista sul lato nord-est della torre.
  • 17. 17 A differenza del Pirellone, la torre Velasca ha avuto una banalizzazione della sua immagine a causa dell’idea comune che si era creata, cioè una semplice interpretazione di alcuni elementi di carattere storico del centro storico di Milano. Gli elementi poco spesso presi in considera- zione sono la capacità dello studio BBPR di analizzare una tipologia, che in questo caso è la torre e che è la rappresentazione per eccel- lenza del moderno rifiutando di renderla l’immagine formale che si era creata nel mondo, un grattacielo con caratteri che ormai Rogers criticava da tempo in Casabella, ma di renderla un’opera che affermi la capacità espressiva individuale e italiana con l’aiuto di elementi esterni, non considerati nell’architettura dell’International style, cioè la storia. Durante la fase progettuale, Belgioioso affermò che a differen- za di quello che si era pensato all’inizio, non si ha mai avuto un con- trasto tra la formazione razionalista degli architetti e il riferimento alla storia della propria città, anzi le due cose sono arrivate all’inizio dei lavori, contemporaneamente, senza contrasti, anzi per Rogers ‘‘(…) essere moderni significa semplicemente sentire la storia contempora- nea nell’ordine di tutta la storia (…)’’. (p. 23, Brunetti Federico, BBPR La Torre Velasca, Alinea, 2000). Questo voler affermare un’individualità all’interno di un contesto pro- gettuale fortemente omogeneo dell’epoca ha portato a un’estetica per certi versi definita brutalista e che si inserisce con più difficoltà all’interno del contesto storico milanese di quanto lo faccia il Pirelli con una connotazione più internazionale.
  • 18. 18 Fotografia scattata dalla terrazza del Duomo. Si intravedono: la Torre Velasca, la Torre di San Gottardo e le guglie del Duomo
  • 19. 19
  • 20. 20
  • 21. 21 Il Pirelli, chiamato anche il Pirellone, è il più alto tra i due grattacieli, arrivando a un’altezza di 33 piani e si trova presso la Stazione Cen- trale di Milano, poco lontano dal moderno centro direzionale che si sviluppa in zona Gioia. Un’architettura controcorrente alle sperimentazioni linguistiche che sono volte molto spesso nel segno di interpretazioni storiciste, come ad esempio le architetture della BBPR, di Gardella o di Albi- ni, il Pirellone tende alla ‘’forma finita’’ tipica dell’architettura tardo pontiana di tradizione moderno-classicista, definita da alcuni anche come ‘’forma perfetta pontiana’’. Emergono pareri che sostengono sia rappresentazione dell’essenzialità, ovvero la ‘’costruzione porta- ta all’essenziale’’ contro ‘’ogni esteticismo di marca o tradizionale o modernistica’’. (p.63 Cevini Paolo, Grattacielo Pirelli, NIS, 1996). Ciò è dato anche dal fatto che l’ubicazione stessa del grattacielo nel margine est del nuovo centro direzionale ha permesso all’architetto di conferirgli tale forma in quanto il contesto poco importante a livello storico non vincola le scelte progettuali. Un’altra dimensione fondamentale da prendere in considerazione è anche quella tecnica, cioè l’impiego del cemento armato per fare una costruzione alta, contrapposto all’acciaio dei grattacieli america- ni. Bisogna precisare che però la dimensione tecnica non è ostenta- ta in quanto l’espressività del cemento è molto controllata anche in base alla tipologia di edificio. Si ha quindi una dialettica spontanea nata tra costruttore- architetto (Nervi e Ponti) che rende il grattacielo un’opera di intima qualità, ‘’una vera architettura, un’opera d’arte’’. (p.61 Cevini Paolo, Grattacielo Pirelli, NIS, 1996). 2. Grattacielo Pirelli, nuovo centro direzionale Vista laterale e frontale del grattacie- lo Pirelli
  • 22. 22 Un’altra dimensione che aggiunge qualità al progetto è quella sim- bolica, un’immagine fortemente moderna: il grattacielo, elemento sia moderno che internazionale costruito con tecnica tradizionale e locale portandolo ad essere un’icona milanese, ma non tanto per la palese contrapposizione con l’evocazione storicista della Velasca ma dell’adesione intima e profonda al carattere della città, tradizional- mente aperta alla modernità. Per publicizzare al meglio il progetto si è deciso di creare dei vuoti nella recintazione del cantiere per permettere alla popolazione di assistere alla metamorfosi della città. 2.1 Dimensione simbolica del grattacielo Domenica del Corriere annuncia il grattacielo Pirelli come edificio più alto d’Europa (1958-1966). Fotografia che mostra la recintazio- ne finestrata per permettere ai pas- santi di vedere il cantiere.
  • 23. 23 2.2 Prime ipotesi di pro- getto Per quanto riguarda il quadro storico tutto iniziò con Giovanni Batti- sta Pirelli: il giovane ingegnere torna in Italia nel 1872 dalla Germania e decide di fondare la società che porta il suo cognome per la pro- duzione industriale di articoli in gomma. La circostanza vuole che il Nord del paese entri in un clima pionieristico e del fervore impren- ditoriale, particolarmente nel milanese, luogo della sede della Pirelli. Questo passaggio avvierà una rivoluzione sul piano della moderniz- zazione e crescita della produzione e farà arrivare la società al culmi- ne della parabola della cosiddetta impresa capitalistica tradizionale con la costruzione della torre poco oltre la metà degli anni cinquanta e lo spostamento degli stabilimenti verso la periferia della città che si stava espandendo sempre di più. La scelta dunque dell’ubicazione del nuovo edificio direzionale cadde sul luogo simbolo della fondazio- ne della società cioè gli stabilimenti storici. La prima ipotesi di progetto viene proposta nel 1952 dagli ingegneri Valtolina e Loria, dunque è una torre di 21 piani e 77 metri di altezza con una superficie in pianta di 1.200 mq. Questa soluzione era più massiccia e bassa rispetto al grattacielo oggi costruito. Essa aveva anche un corpo che veniva in avanti sull’esedra disegna- ta da Piacentini nel piano regolatore di Piazzale Duca d’Aosta forma- ta interamente da portici e sui due lati in Via Pirelli e Via Galvani. Verso la fine del 1952 viene chiamato Gio Ponti per il progetto, si pensa per scelta di Valtolina. Questa mossa non fu casuale in quan- to si pensa sempre a quanto può influire sull’immagine della società Pirelli una figura di peso e autorevolezza come il direttore di Domus. Il critico d’architettura Banham nel 1961 sottolineerà l’importanza di tale scelta per la pubblicizzazione dell’azienda. Stabilimenti storici della Pirelli, suc- cessivamente spostati. Progetto di Piacentini di una gran- de esedra che si aprisse su Piazzale Duca d’Aosta.
  • 24. 24 Dopo vari disegni e discussioni con l’amministrazione si arrivò final- mente a una scelta progettuale nell’ottobre del 1954. L’architettura era costituita da pochi elementi irrigidenti, cioè le punte laterali a doppio triangolo e i setti posizionati al centro. L’immagine è forte- mente influenzata dall’aspetto tecnico poiché deve rispondere alle sollecitazioni orizzontali del vento in quanto il lato corto del grattacie- lo raggiunge soltanto i 18,5 metri di profondità nella parte più ampia, per una larghezza di 70 metri. Per questo motivo dovettero interve- nire i strutturisti Pierluigi Nervi e Arturo Danusso. L’edificio è più largo al centro e si restringe man mano che raggiunge le estremità, tutto segnato da un serramento che è appena percettibile composto da parte opaca e trasparente (anche se Ponti avrebbe preferito tutto in trasparenza) che poi lascia posto alle punte improvvisamente ra- stremate che formano le parti strutturali massive e che sono visibili all’esterno ma ricoperte in piastrelle com’è tipico nell’architettura pontiana. Le parti rastremate agli angoli non si chiudono del tutto formando una feritoia che accompagna tutta l’altezza dell’edificio. Sono questi gli elementi che Ponti ha ricercato con una moltitudine di prove per trovare una forma finita, chiusa e pulita che poi rendono il grattacielo Pirelli uno degli esempi più eleganti al mondo del perio- do. Le scale principali, gli ascensori e i vani tecnici principali vengo- no posizionati nell’area centrale sul retro mentre le scale seconda- rie vengono posizionate negli elementi rigidi di lato lasciando così ampi spazi luminosi dedicati agli uffici. Gli spazi ai primi piani erano dedicati a funzioni diverse come ad esempio accesso pedonale e veicolare ma anche sale riunioni in quanto l’edificio occupava tutta l’impronta del lotto, mentre per quanto riguarda la punta, Ponti ha deciso di creare uno spazio panoramico, in cui fossero visibili i pila- stri strutturali all’interno in cemento armato lasciato a vista. L’edificio raggiunge così un’altezza totale di 127 metri distribuiti su 31 piani. (disegni tecnici in fondo alla tesina.) 2.3 Progetto Finale Modello del grattacielo Pirelli, vi- sta sul fronte principale in direzione Piazza Duca d’Aosta Fotografia d’epoca del grattacie- lo che mostra gli angoli laterali ra- stremati, che danno la caratteristi- ca all’edificio di assomigliare a una lama.
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  • 26. 26 Il cantiere verrà ultimato sotto l’entusiasmo della folla il 4 aprile 1960 segnando un’altezza record non solo europea ma anche italiana, tanto che in rispetto alle vecchie normative che riguardavano il supe- ramento dell’altezza del Duomo verrà posta una statua della Madon- nina sul tetto del grattacielo. Con quest’opera si inaugura ufficialmente il nuovo decennio all’inse- gna del boom economico, tanto che Il Pirellone diventerà simbolo di eleganza, modernità e prosperità italiana, e come per volere dell’ar- chitetto illuminerà Milano dall’alto come una ‘’torcia’’ fino alla fine del decennio con l’inizio della crisi energetica degli anni ‘70. Ultimo piano del grattacielo: la festa per l’ultima gettata di calcestruzzo, 1958. Fotografia del grattacielo da zona Garibaldi.
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  • 29. 29 Grattacielo Pirelli, inizio del cantie- re, si intravede Stazione Centrale Grattacielo Pirelli, fine cantiere. Si vede la forma finita con sopra le impalcature
  • 30. 30 Dopo il grave danno afflitto alla città con la guerra, i vari avveni- menti e la lenta ripresa industriale ed economica, successivamente poi accelerata fino al risultare nel boom economico, permisero agli architetti rimasti di ripensare con grande creatività alla ricostruzione della città. Varie idee arrivate dall’oltreoceano in commistione con la cultura locale, legata sempre al materiale pesante, permisero la cre- azione del primo grattacielo italiano orgogliosamente milanese. Lo ‘’sbarco dell’America’’ in Italia dunque importa il concetto di gratta- cielo che viene pensato in una maniera tutta italiana, come illustrato nei paragrafi precedenti. Grazie poi alla scena creativa che si stava sviluppando a Milano durante gli anni del boom economico, questa tipologia edilizia non si sparse in modo omogeneo sul territorio ma ebbe variazioni, come nei due grandi esempi del grattacielo Pirelli del 1958 e la torre Velasca del 1961. Nel primo caso si tratta di un grattacielo dalla ‘’forma finita’’ con una linea semplice ma molto forte dal punto di vista identitario, tanto che sarà pesantemente criticato a livello mondiale dopo la realizzazione. Esso è l’immagine dell’a- zienda Pirelli ma allo stesso tempo si presenta come un’architettura milanese per lo stile e per il suo ancoraggio a terra, grazie al disegno pontiano fortemente radicato nella tradizione locale: le rastremazio- ni laterali in cemento armato, visibili all’esterno, insieme ai pilastri a farfalla e agli infissi posti sullo stesso piano, danno l’idea di una lama perfetta dai primi piani fino al piano panoramico. Nel secondo esempio si ha una torre in una zona di grande importanza storica (la Milano quattrocentesca di Filarete). Essa cerca di esprimere un’at- mosfera storica percepibile secondo i progettisti e dunque anche le sue forme seguono, a differenza del Pirellone, un andamento non regolare, diviso in 3 fasce principali. Ciò rende possibile una divisione anche funzionale, in quanto la torre Velasca era destinata a residen- za oltre che ad ufficio. La parte alta è sporgente e ciò le da la carat- teristica forma ‘’a fungo’’, storicamente associabile alle torri milanesi. L’intera struttura poi è scandita dai costoloni che danno una mag- giore impressione di fortificazione. Conclusione
  • 31. 31 Ciò che è interessante osservare in questi due esempi del boom economico è anche la posizione in cui vengono costruiti: nel caso del Pirellone esso viene ubicato in quello che stava diventando il nuovo centro direzionale, mentre la torre Velasca all’interno del cen- tro storico che fu oggetto durante gli anni del boom economico di una terziarizzazione su ampia scala. Gli esempi riportati in questa tesina, che sono i principali della Mi- lano alta, mostrano come la città, attraverso la sua rinascita con l’architettura moderna e contemporanea e utilizzando una tipologia proveniente dall’oltreoceano, sia riuscita a produrre degli esem- pi che rimasero nella storia dell’architettura moderna. I progettisti hanno sempre avuto idee tendenti ad un progetto innovativo, ma a contribuire al loro successo è stato contemporaneamente il loro sguardo verso il passato della città. Sono due esempi di spicco che guardando all’anima della città riuscirono a conferire grande qualità all’architettura e contesto urbano. Purtroppo nella contemporaneità ciò non avviene spesso e Milano oggigiorno si indirizza in molti casi verso un architettura sterile e superare questo ostacolo del nostro tempo si potrà fare solo con uno sguardo all’anima della città.
  • 32. 32 Tavole tecniche Torre Velasca 1955-61, 26 piani, da sinistra verso destra: pianta del piano tipo degli uffici, pianta del diciottesimo piano che è il distacco tra la parte inferiore adibita ad uffici e la parte superiore adibita ad abitazione, pianta del ventesimo piano – esempio di piano per abitazione. Prospetto e sezione laterale.
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  • 34. 34 Tavole tecniche Grattacielo Pirelli 1956-60, piani e sezione mostrano la rastremazione dell’ossatura in calcestruzzo armato
  • 35. 35 Sezione del grattacielo a progetto finito
  • 36. 36 Bibliografia Oscar Newman, CIAM ’59 in Otterlo, Gedruckt, 1961. Biraghi, Marco, et al. Guida All’architettura Di Milano: 1954-2015. Hoepli, 2015. Bordogna, Enrico. La Torre Velasca Dei BBPR A Milano, Simbolo e Monu- mento Dell’Architettura Italiana Del Dopoguerra. TECA 10, 2017. Brunetti, Federico. BBPR La Torre Velasca. Alinea, 2000. Castellaneta, Carlo, et al. Storia Di Milano: Dalle Origini Ai Giorni Nostri. Edizioni Biblioteca Dell’immagine, 2017. Cevini, Paolo. Grattacielo Pirelli. NIS, 1996. Curtis, William. L’architettura Moderna Dal 1900. Phaidon, 2012. D’Avino, Mauro. Milano, Si Gira!: Gli Scorci Ritrovati Del Cinema Di Ieri: Gremese, 2012. Portoghesi Paolo, Comunità, Dal Neorealismo Al Liberty 1958 Fiori, Leonardo, and Massimo Prizzon. BBPR, La Torre Velasca: Disegni e Progetto Della Torre Velasca. Abitare Segesta, 1982. Banham, Reyner, Copertina Di ‘Architectural Review’ Di Reyner Banham, n.747, Aprile 1959. Rogers, Ernesto Nathan, Casabella-Continuità n.199, Dicembre 1953-Gennaio 1954. Rogers, Ernesto Nathan Casabella-Continuità n.228, Giugno 1959. Samonà Giuseppe, Cronache e storia. n.40, febbraio 1959.