La storia scritta da Valeria Pucci dell'incontro con silvestro,un cane randagio(lei abborriva i cani)fino alla scomparsa di lui.
Una storia tenera e commovente scritta con uno stile molto fluido.....da non perdere!!!!
Tu, silvestro(Una storia d'amore). di Valeria Pucci
1.
Silvestro
Capranica Prenestina 1993 ‐ Roma 2008
Silvestro con noi
8 gennaio 1995 – 7 febbraio 2008
2.
3.
Dedico questo scritto a Silvestro
e a tutti gli amici a quattro zampe,
in particolare ai cani randagi
e abbandonati
Valeria
4.
5. Capitoli
SILVESTRO Pag. 7
I RITUALI Pag. 13
PAVIDO E BIRBONE Pag. 15
ESTELLE Pag. 24
NUOVE AVVENTURE Pag. 32
EROE E BIRBONE Pag. 35
IL PRIVILEGIATO Pag. 40
IL GOLOSO Pag. 42
L’INTELLIGENTE ‐ L’EDUCATO Pag. 45
VILLA PAMPHILI Pag. 48
IL NOSTRO AMICO Pag. 61
6.
7.
SILVESTRO
Eri a Capranica nel Natale del 1994, ci
seguivi durante le nostre passeggiate serali
insieme ad una cana molto più svelta di te.
Tu, timidone e pauroso, ti lasciavi guidare
dall’intraprendenza della tua amica ma i
tuoi piani li avevi già preparati.
Conoscendoti dopo, avevi già da allora
congegnato tutto.
Non mi piacevi, come non mi piaceva
nessun cane perché ne avevo paura. Non mi
interessavano delle bestie sottomesse ai
padroni, le trovavo stupide e con scarso
carattere.
I gatti, invece, indipendenti ed alieni da
qualsiasi regola, mi piacevano anche se li
temevo un po’.
Del resto le mie paure, ereditate dalla
famiglia materna, non mi consentivano di
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8. avere un buon rapporto con il mondo
animale.
Ricordo quando frapposi la carrozzina con
Dario dentro, tra me ed un cane: Il famoso
senso materno!
Mi manchi tanto, Silvestro!
Quando certe persone parlavano
amorevolmente dei loro quattro zampe le
trovavo ridicole però capivo di avere io un
problema ed anche allora la violenza verso
gli animali non l’ho mai giustificata.
Da Capranica, attraverso accordi segreti tra
parenti e figli, sei stato portato a Roma.
Che paura in quei primi giorni! Ma tu mi
avevi capito e te ne stavi buono–buono sul
divano alzando la zampetta ogni volta che
passavo, per comunicarmi la tua docilità.
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9.
I tuoi “bu‐bu”, emessi la prima notte a
Roma, non hanno avuto seguito dopo che
dalla stanza da letto abbiamo gridato con
voci sgraziate ”Silvestroo”. Ti sei zittito
subito ed hai deciso che un cane non può
abbaiare a sproposito se vuole rimanere in
una casa.
E che dire di quel giorno in cui sono
rientrata dalla spesa e, sapendo che c’eri
solo tu, ho lasciato la porta di casa aperta e
le chiavi nella toppa, pronta alla fuga in caso
di un tuo assalto; tu però hai finto di non
accorgerti delle mie paure e dal divano,
diventato già di tua proprietà, mi hai
guardato con occhi indulgenti e saggi.
Ieri siamo venuti a trovarti a Capranica,
abbiamo ripulito la tua tombetta dalle
erbacce ed io ho pensato:
“Dormi bene, Silvestro!”
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10. Ti avevamo da poco tempo quando, dopo
una delle tante corse a villa Pamphili, sei
tornato da noi tutto macchiato di verde e di
marrone.
“Guarda” ho detto a Paolo “lo sciocco si è
strofinato sulla terra” Ma non era terra! Ce
ne siamo accorti solo quando il tuo
nauseabondo odore aveva invaso
l’automobile che ci riportava a casa.
Abbiamo poi saputo che molti cani, per
catturare la preda, cercano di nascondere il
loro odore strofinandosi sugli escrementi.
Ma nel tuo caso “Quali prede potevi
catturare se il primo a scappare eri tu?”.
Ti sei fatto perfino aggredire da un gatto! E’
vero era un gatto “molto feroce” ma… pur
sempre un gatto!
Di aggressioni ne hai avute tante e spesso
perché gli altri cani ti hanno frainteso.
Quando facevi vedere loro i denti non
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11.
capivano che volevi mostrare la tua
dentatura bianca e regolare; pensavano,
invece, che volessi provocarli.
Qualche volta sei stato aggredito senza tua
colpa ma la tua tempra forte e il nostro
amore ti hanno aiutato a superare.
La tua mancanza l’ho avvertita fin dal
giorno successivo alla tua scomparsa.
Mi sono alzata dal letto e sono arrivata
all’ingresso dove era la tua cuccia, vuota. Lì
ogni mattina venivo a salutarti. Mi chinavo
vicino a te e cominciavo ad accarezzarti. Ma
a quell’ora non volevi essere disturbato.
Chiudevi gli occhi stretti‐stretti facendo
finta di dormire e pensando tra te e te:
“Adesso la smetterà, adesso la smetterà”.
Solo quando lo decidevi tu, sollevavi
lentamente le zampe, ti stiracchiavi con
molta calma poi, ancora lentamente,
entravi in camera da letto e ti stendevi sul
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12. tappeto. Ti rialzavi quando era giunta l’ora
di uscire.
Andavi a svegliare Paolo, non con sonori
abbai ma piuttosto con dolorosi sospiri.
Era il tuo modo per far capire agli altri che
sapevi soffrire in silenzio e che l’ozio non fa
di certo bene alla salute, degli altri.
Ogni mattina il rito si ripeteva.
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13.
I RITUALI
Di rituali ne hai avuti diversi, alcuni
sono continuati nel tempo, altri sono stati
transitori.
Quando tornavamo nella nostra casa di
Capranica, per dimostrare la gioia di essere
lì, andavi di corsa a prendere la pecorella di
peluche e, con essa, cominciavi a saltare
quindi la lanciavi in aria, la prendevi, la
lanciavi nuovamente, la riprendevi, poi…
l’abbandonavi al suo destino. La stessa cosa
facevi a Roma di sera, sempre dopo cena,
con l’orsetto di peluche.
Il gioco poi ti ha stancato ma ti ricordavi di
loro solo quando veniva a trovarti qualche
amico cane; allora prendevi le tue piccole
prede e le nascondevi sotto il sedere. Volevi
far capire al tuo ospite che eri disposto a
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15.
PAVIDO E BIRBONE
Estelle è stata la tua prima amica e… il
tuo più grande amore.
Frequentare lei ti ha dato sicurezza, tu che
avevi paura di tutto.
Certamente quell’anno e più che hai vissuto
prima di entrare nella nostra famiglia è
stato traumatico.
Lo abbiamo capito da tanti tuoi
comportamenti: non volevi entrare nei
negozi, avvicinarti al cibo se ti eravamo
vicini, salire in automobile, fare le scale
interne di casa.
Sei salito al piano superiore della nostra
piccola abitazione capranicense dopo un
anno da che eri con noi e solo perché
costretto; volevi comunicarci che stavi
male.
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16. Noi non abbiamo capito subito e ti abbiamo
preso in giro per quell’atto di coraggio. Solo
quando sei ridisceso ed hai cominciato a
dare di fuori più volte, abbiamo compreso.
I botti sono sempre stati la cosa più
traumatica.
La mattina di capodanno, era quasi un anno
che stavi con noi, hai avuto, per via dei
botti, un attacco di convulsioni.
Hai cominciato a tremare e tremare e ti sei
quasi accasciato; a Paolo che cercava di
rianimarti, mostrasti i denti.
Appena ripreso hai provato rimorso per
quel gesto ed hai fatto di tutto per farti
perdonare: non la smettevi più di leccarlo.
Una lastra fatta negli ultimi mesi di vita ha
evidenziato un piccolo proiettile conficcato
nell’ osso della coscia. “Ecco!” Ci siamo detti
“Una delle cause di tante tue paure”.
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17.
Anche il cibo è stato un problema. Mangiavi
solo quando eravamo lontani dalla tua
pappa e i biscottini, riposti in un angolo
della cucina in un contenitore a portata del
tuo muso, non li hai mai toccati. Erano il
premio che potevano elargirti solo i tuoi
padroni. E poi tu dovevi dimostrare di
essere bravo, di non saper fare le “cosacce”.
Con i padroncini invece era diverso: se
non c’eravamo noi, con loro potevi anche
approfittare.
Mi è stato riferito da mio figlio Dario che
una sera, mentre cenava con il cugino, sei
saltato sul tavolo da pranzo. Forse volevi
condividere con i ragazzi un momento
magico qual è il rituale della cena o forse
volevi essere solidale con loro: tre maschi
che mangiano insieme.
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18. Emiliano mi ha più volte ripetuto che
appena uscivamo, spesso entravi nelle loro
stanze; se la porta era chiusa, bussavi.
Appena dentro ti spaparanzavi
tranquillamente sui letti fregandotene di un
loro possibile richiamo.
Nella nostra stanza da letto, invece, entravi
solo quando Paolo ed io non eravamo in
casa. Al ritorno trovavo sul letto le impronte
delle tue zampette, mai una volta te.
Riuscivi a scappare via dalla camera appena
avvertivi che stavo rientrando e ti facevi
trovare buono nella cuccia, posta
all’ingresso, con l’aria di essere lì da molto
tempo.
Spesso Emiliano mi veniva a prendere a
scuola in tua compagnia. Le mie alunne di
quinta ti circondavano facendoti mille
moine. Rispondevi alle coccole
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19.
pavoneggiandoti e sentendoti al centro
dell’attenzione.
Il giorno dopo raccontavo alla classe la
dolorosa storia dell’abbandono e quanto ti
riguardava, certa dell’interesse che
suscitavano le mie parole.
Solo in seguito ho saputo che le mie alunne
non erano affatto interessate a te bensì a
mio figlio.
E pensare alle tante parole spese
inutilmente!
Tornando al discorso ”paure” riuscivi a
vincerle quando la posta in gioco era grossa.
Se vedevi borsoni e valige all’ingresso di
casa non facevi storie, poi, per entrare in
macchina, anzi ci salivi velocemente.
L’anno che dalla Sardegna facemmo ritorno
a Roma sei stato il primo ad infilarti
nell’automobile; ti sei spaparanzato sul
sedile posteriore così comodamente che
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20. non volevi entrasse anche Dario. Hai
cominciato a mordicchiarlo per non farlo
salire.
Emiliano era già di troppo, per Dario non
c’era posto.
Era da poco che avevo capitolato , ma non
ancora del tutto: “passeggiata si ma legata
all’utile ovvero spesa di casa”, quando ci
siamo incamminati verso il mini‐market di
via Revoltella.
Arrivati, ti ho legato fuori dal negozio e
sono entrata.
Mentre ero dentro a scegliere la frutta ho
sentito due persone che dicevano in modo
concitato “E’ scappato un cane, è scappato
un cane!” Mi sono precipitata fuori dal
negozio ed ho visto un guinzaglio attaccato
ad un collare vuoto, il tuo.
Una telefonata ai miei figli e… via! Hanno
avuto inizio le ricerche.
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21.
Di nuovo la strada del negozio, vie e viuzze
del quartiere, domande a persone varie, le
solite grida: ”Silvestrooo”.
Tu nel frattempo sei tornato; ti abbiamo
trovato stravaccato accanto al portone del
nostro palazzo ad aspettarci.
Quando ci hai visto hai scodinzolato di
felicità.
Alla paura di un nuovo abbandono si era
sostituita nei tuoi occhi la gioia di essere a
casa… nella tua casa!
Dentro i negozi non entravi volentieri e,
quando era veramente necessario, lo facevi
con estrema riluttanza. Muovevi le zampe
con lentezza, ti fermavi ogni cinque secondi
infine, trovato l’angolino appartato, ti
sdraiavi in mia attesa.
Questo tuo modo di fare suscitava la
curiosità dei commessi che con gentilezza
chiedevano il perché di questo
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22. comportamento. Io ogni volta sciorinavo la
storia del tuo abbandono e loro, commossi
dalle mie parole, ti riempivano di coccole e,
se fortunato, rimediavi anche un biscottino.
Rispondevi loro facendo il muso mesto e
doloroso. Hai preso gusto alla cosa perché
anche negli anni seguenti, quando ormai eri
un cane con casa e famiglia, hai continuato
a recitare la parte del povero abbandonato
e sempre con maggiore impegno, da vero
attore professionista.
I negozianti della libreria di Piazza San
Giovanni di Dio ogni volta che entravamo
nel loro negozio ti regalavano un biscotto e
tu, quando passavamo di lì, tiravi e tiravi il
guinzaglio per poter entrare dentro.
Sicuramente i passanti ti ritenevano un cane
molto colto al contrario di noi padroni che,
cercando di tirarti via, passavamo per
ignoranti.
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23. La prima volta che siamo tornati a
Capranica nella nostra casa di villeggiatura
avevi collare, guinzaglio e targhetta con su
scritto nome e telefono; il pelo era folto e
pulito.
Non eri più un cane randagio ma un signor
cane. E come tale ti sei comportato. Hai
persino abbaiato ad un povero cagnetto che
girava per il paese con fare sparuto.
Però, con molti quattro zampe, ritenuti un
po’ difficili dai loro padroni, riuscivi ad
entrare in sintonia.
Ho sempre voluto pensare che avevi
sviluppato una certa sensibilità dovuta al
tuo lungo errare.
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24. ESTELLE
Con Estelle, come già scritto, hai avuto
un bel rapporto. Lei estroversa e allegrotta,
ti stimolava a giocare.
Ricordi la volta in cui siamo andati al mare?
Avete cominciato a correre sulla spiaggia
come matti. Vi rotolavate sulla sabbia,
azzannavate le bottiglie di plastica, le
abbandonavate per poi riprenderle subito
dopo. Correvate poi verso il mare ma tu
senza bagnarti: l’acqua non l’hai mai amata.
Nei giorni di forte calura, se eravamo al
mare, al massimo ti bagnavi le zampe ed in
casi eccezionali riuscivi a farti il bidet.
L’anno in cui tornammo in Sardegna
con i Leonardi non potemmo disporre sin
dalla prima notte di due case come
avevamo concordato con l’affittuario; era
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25.
libera solo una a due piani: di sotto per noi
e sopra per i Leonardi.
Estelle era in calore e tu molto gasato.
Passasti la notte a fare su e giù per le scale
mentre lei, relegata nella stanza dai cattivi
padroni, ti chiamava ripetutamente.
Una notte infernale per tutti!
A niente erano valse le argomentazioni di
Paolo, da te condivise, in favore di Estelle. I
Leonardi non vollero capire.
Avesti in seguito una scappatella con
Lucrezia, la cana di Gaetano. Quando
tornasti dalla fuga amorosa ti sei beccato
una tremenda serie di abbai dalla tua amica
Estelle.
La sua padrona ed io ci guardammo con
stupore; non avremmo mai immaginato una
tale reazione in un cane.
Era veramente arrabbiata e tu che all’inizio
eri baldanzoso e pimpante hai mutato
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26. subito aspetto assumendo quello del
colpevole anche se probabilmente pensavi:
”Il cane è cane”.
Una settimana dopo hai rivisto a distanza
Lucrezia e… di corsa le ti sei parato dinnanzi
con le zampe un po’ divaricate, la coda
roteante e l’atteggiamento che diceva:
“Eccomi, sono tornato!”. Lucrezia invece
non aveva le tue stesse idee, ha cominciato
a ringhiare e ti ha messo in fuga.
Che tristezza! Quella cana aveva perso una
seconda piacevole occasione.
Tra le varie birbonate con Estelle
ricordo quando inseguiste un gruppo di
pecore che se ne stavano calme e tranquille
a pascolare.
I nostri richiami non servirono a niente,
cominciaste a correre dietro a quelle bestie
finché spariste dalla nostra vista. Vi
rivedemmo comparire dopo pochi istanti
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27.
inseguiti dai cani pastori, voi più veloci delle
lepri. Fortunatamente quei cani si
accontentarono di allontanarvi dal gregge al
quale fecero poi ritorno per continuare a
svolgere il loro lavoro, al contrario di voi
nullafacenti.
Il pensiero di un altro episodio mi fa
ancora sorridere: eravamo sempre in zona
con i Leonardi quando a distanza abbiamo
visto un gregge controllato dal pastore e da
tre o quattro cani dall’aria non
propriamente mite. Essendo in un luogo
chiuso e temendo per voi, ho chiesto
gentilmente al pastore, che nel frattempo si
era avvicinato, dove potevamo andare
(intendendo dove poter trovare riparo) lui
con fare poco gentile ha risposto: “E che ne
saccio io dove devi andare”.
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28. Pensando che non avesse capito, ho
formulato di nuovo la domanda: “Scusi,
dove andiamo?”.
Dopo aver ricevuto la medesima risposta,
Elisabetta, la padrona di Estelle, mi ha tirata
per un braccio dicendomi a bassa voce: “Il
pastore crede che tu gli stia chiedendo se sa
dove vogliamo andare, lui pensa che questo
lo dovremmo sapere noi.
I nostri cani nel frattempo avevano assunto
un atteggiamento sussiegoso nei confronti
dei mastini, delle pecore e del pastore
dall’aria truce, per cui non ci fu più bisogno
di trovare un posto sicuro.
Eravamo tutti sani e salvi!
Le esperienze con gli animali da latte
non sono finite qui… Ce ne andavamo a
passeggio per la via che conduce a
Guadagnolo quando, dopo aver fatto
qualche chilometro, decisi di andare a
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29.
riposarci su un piazzale erboso posto al lato
della strada e prospiciente alla montagna.
Dopo aver fatto un piccolo tratto in salita, ci
trovammo nel luogo voluto. Poiché faceva
caldo pensai di salire verso la montagna
dove avremmo potuto ripararci dal sole,
sotto gli alberi.
Fu a quel punto che dal basso vedemmo
salire un bel gruppo di capre, molto
“cornute”. Venivano verso di noi ma
inizialmente non mi allarmai più di tanto. Mi
accorsi poco dopo che avanzavano in forma
semicircolare, con le teste abbassate e che
eravamo noi, il loro obiettivo.
Tu ti sei avvicinato a me molto spaventato,
non abbaiavi, mi stavi accanto aspettando
protezione.
Cominciai a salire verso l’alto e tu con me;
camminavamo senza girarci ma spostando
all’ indietro piedi e zampe.
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30. Anche le capre salivano, le loro corna da
poco appuntite con il tempera‐matite erano
minacciose.
Credo di aver emesso qualche grido
gutturale fatto sta che un signore, che era
nello spiazzo sottostante, vedendo la scena
mi ha preso per mano e, lentamente, mi ha
condotto in basso, spiegandomi che le
capre volevano colpire il cane. Tu, intanto,
con passi felpati mi camminavi accanto.
Quando arrivammo nella zona
pianeggiante, le poche parole che mi erano
restate sulle labbra furono tutte indirizzate
a quel signore. Anche tu lo ringraziasti con
abbai e scodinzolamenti a trecentosessanta
gradi.
Tornati a Capranica, dopo quella esperienza
incontrammo Estelle alla quale, credo,
raccontasti la nostra “bestiale” avventura.
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31.
Cominciaste infatti a strofinare i musetti
l’un verso l’altra e a scambiarvi affettuosità.
Avevamo passato un brutto momento!
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32. NUOVE AVVENTURE
A Capranica hai avuto altre due
avventure amorose che Estelle non seppe
mai.
Nuovamente con Lucrezia e con Greta, la
cana di mia nipote Claudia.
Eravamo tutti insieme al ristorante di
Gaetano e Francesco, suo figlio, ci disse che
se volevamo mangiare tranquilli potevamo
farti uscire nel terrazzo. Così facemmo. Lì ad
aspettarti c’era Lucrezia in calore.
Quando il padrone della cagnetta, il cognato
di Francesco, si accorse di quanto stava
accadendo, si arrabbiò tantissimo con il
parente che si difese dicendo di non saper
niente; cosa di cui ho sempre dubitato.
Fatto sta che Paolo ed io mangiammo in
tutta fretta ed andammo via temendo per le
nostre vite.
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33.
Non so se avremmo digerito un frutto al
vetriolo o un gelato al veleno.
Riguardo a Greta, invece, ricordo che una
sera andammo al villino di mia nipote
Claudia per ritirare certe medicine che ci
aveva portato da Roma suo marito Augusto,
farmacista.
Arrivati ci dissero che Greta era in calore ma
non ancora disponibile ad approcci amorosi.
Voi subito vi appartaste... desiderosi di
smentire Augusto.
Molto imbarazzati salutammo quanto prima
e ce ne andammo via.
Il giorno dopo venimmo a sapere da fonte
sconosciuta (non rivelerò mai il nome) che
di notte era stata bucata la rete che
circonda il villino dei miei parenti e che
quattro o cinque cani del paese,
rigorosamente in fila, entrarono l’uno dopo
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35.
EROE E BIRBONE
Ti ho descritto come un cane pavido
invece, in un occasione, ti sei comportato
da vero eroe.
A Bosa, in Sardegna, salvasti due cuccioli di
cane rinchiusi, con tanto di laccio, in un
sacco. Erano stati lasciati nell’angolo di uno
stradello all’interno del villaggio in cui
trascorrevamo le vacanze estive.
Ti avvicinasti al sacco, lo annusasti poi
cominciasti ad abbaiare richiamando la
nostra attenzione.
Con Paolo ci avvicinammo a quella “cosa” in
movimento ed io mi spaventai moltissimo
pensando che potesse esserci un neonato.
Paolo sciolse il nastro, aprì il sacco e… due
musetti spuntarono fuori. Dopo aver fatto
scorta di aria, cominciarono ad abbaiare
furiosamente.
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36. Prendemmo i due cani e li portammo in
direzione.
Tu seguivi quanto avveniva approvando
con la testa.
La sera stessa i cagnetti furono adottati da
due famiglie del villaggio e tu ricevesti i
meritati riconoscimenti degni di un padre
della patria.
Mi sentivo gongolare per te.
Il tuo randagismo non ti ha mai
abbandonato: scappare ed andartene per
proprio conto è sempre stata la tua
massima gioia, eri a conoscenza che il tuo
forte fiuto ti avrebbe comunque ricondotto
a noi.
Così è sempre stato!
Tornavamo da villa Pamphili diretti
verso casa e, vicino al cancello della villa, ti
misi il guinzaglio per non farti scappare. Tu
mi guardasti mestamente e ti gettasti a
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37.
terra con le zampette rivolte verso l’alto
comunicandomi che se ti avessi tolto il
guinzaglio non saresti fuggito via ma avresti
continuato a camminarmi vicino vicino.
Credendo alla veridicità dei tuoi occhi
cedetti alle richieste. Mi sembravi sincero e
ti ho slegato.
Ti sei sollevato sulle zampe, lentamente,
poi… in un battibaleno ti sei dato alla fuga.
Silvestrooo!” di Silvestro neppure l’ombra.
Sei ricomparso poco dopo, quando hai
stabilito che la corsa era stata
sufficientemente lunga.
Un’altra fuga la ricordo bene! Eravamo
all’isola del Giglio da uno o due giorni e la
nostra casa era posta un po’ distante dalla
via che costeggia il mare. Tornavi con Paolo
verso la nostra abitazione quando sentisti il
profumo di una cagnetta.
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38. Cercasti di avvicinarti ma Paolo non te lo
permise e ti tirò via per tornare a casa.
Il percorso era lungo e l’odore certamente
attutito dalla distanza.
Camminavate piano piano per la strada
entrambi affaticati per la salita. Tu, benché
stanco al pari di Paolo, lo precedevi anche
se ogni tanto ti fermavi a riprendere fiato.
All’altezza di casa, dopo essere stato
slegato, hai fatto in modo che Paolo ti
superasse; quando si è girato verso di te per
invitarti ad entrare, gentilmente gli hai fatto
capire che lo avresti seguito.
Mentre superava la soglia del portoncino di
ingresso, ti sei girato cautamente e…
saltando come un atleta olimpionico hai
ripreso la strada al contrario, dileguandoti.
La fuga questa volta è durata più del
dovuto.
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39.
Temevamo infatti che ti fossi perso anche
perché il luogo lo conoscevi appena.
Ma avevi ancora una volta programmato il
tutto!
Quando sei ricomparso eri molto
soddisfatto di te, certamente più del
padrone che accettava malvolentieri l’idea
di essersi lasciato fregare da un cane.
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40. IL PRIVILEGIATO
All’interno della nostra famiglia avevi
assunto una precisa posizione, quella del
privilegiato ed avevi dato a noi tutti un
deciso ruolo: Paolo, il capobranco e quello
delle passeggiate a passo lento; ti adeguavi
alla sua falcata da uno all’ora.
Io, la mamma che ti dava la pappa e ti
portava a spasso, ma a passo veloce; le tue
zampe aumentavano il ritmo e diventavi
gasato quanto la tua padrona.
Emiliano e Dario, i fratelli; quando a casa
c’erano gli amici andavi anche tu nelle
stanze di riunione sentendoti dei loro.
Le coccole però le pretendevi da tutti ma
quando e quante lo decidevi tu; ci volevi
molto bene, ci volevi vicini ma senza
esagerare.
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41.
Secondo Paolo quando ti poggiavi sul
groppone e muovevi le zampette
ritmicamente toccandoti la pancia non
volevi comunicare il tuo affetto ma il tuo
pensiero. “Oggi non me ne po’ fregà de
meno del mondo e di tutti voi!”
Era veramente così? Non credo, perché il
tuo amore per noi è stato immenso, la tua
riconoscenza per averti salvato la vita,
amato e rispettato l’hai avuta per tutti gli
anni che ci sei stato accanto.
Ho detto all’inizio che preferivo i gatti.
Ebbene tu possedevi il meglio dei cani e dei
gatti: il senso di appartenenza alla famiglia
dei primi e lo spirito libero dei secondi.
In te, Silvestro, si inglobava tutto anche le
mascalzonate, quasi sempre finalizzate al
tuo benessere.
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42. IL GOLOSO
Pino ed Elvira la sera d’estate, attorno
alle ventitré, erano soliti prendersi un
gelato che si godevano seduti nella piazza di
Capranica.
La fine dei coni veniva equamente spartita
tra Sonny e te.
Quella certa sera Elvira e Pino non presero il
gelato.
Paolo ed io, dopo le solite “sane
maldicenze” volte al bene comune, li
salutammo e, con te al guinzaglio, ci
incamminammo verso casa.
Arrivati, ti slegammo come al solito.
Tu, in attesa di quel momento, iniziasti a
correre in direzione contraria, senza
fermarti, nonostante i richiami.
Tornasti dopo circa mezz’ora senza dare
alcuna spiegazione.
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43.
Il giorno dopo sapemmo dai nostri amici che
eri tornato in piazza e, seduto di fronte a
loro, che nel frattempo assaporavano i coni,
hai giustamente rivendicato la tua parte.
Eri golosissimo di gelati ma non alla frutta, ti
piacevano le creme.
Ricordo che un giorno ti portai in una
gelateria di Roma “da Toni”. Dopo aver
fatto una bella fila, poiché lì il gelato è
buonissimo, uscii dal negozio, fuori del
quale mi aspettavi.
Eri di fronte ad un signore che gustava
quella ”cosa cremosa e gocciolante” lo
guardavi fisso negli occhi con la lingua a
penzoloni mentre delle goccioline di saliva
fuoriuscivano dalla bocca.
Il tizio, appurato che ero io la tua padrona,
mi si avvicinò dicendo: ”Signora, se non
glielo compra lei il gelato al cane, glielo
compro io”.
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44. Condividendo tali parole, hai all’istante
spostato il corpo verso di me riprendendo le
sembianze del goloso.
Anche quella volta non ho potuto
assaporare il cono per intero; mi privavi
sempre della parte finale, la più buona.
44
45.
L’INTELLIGENTE – L’EDUCATO
Dario aveva deciso che eri un animale
stupido perché non sapevi fare niente: non
ti piegavi quando ti si diceva : ”A cuccia!”,
non prendevi i biscotti al volo, né le pigne
quando te le tiravamo e… altro.
Riguardo alle pigne, e questo lo sappiamo io
e pochi altri, c’è un motivo: te ne tirai per
errore una sul tartufo e da allora non hai
più agguantato oggetti in tiro.
Tralasciando le divagazioni e tornando a
Dario, decise di darti lezioni di intelligenza.
Ogni sera, per alcuni giorni, mise le sedie di
casa in fila indiana ponendo alla fine di esse
un biscottino.
Voleva farti passare sotto al tunnel per poi
premiarti con il dolcetto.
Tu ogni volta attraversavi per largo lo spazio
e ti andavi a mangiare il biscotto.
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46. Io guardavo la scena senza fare commenti
ma tifavo silenziosamente per te, ti trovavo
più intelligente di mio figlio che infine
rinunciò all’impresa dicendo che non c’era
nulla da fare.
Paolo oltre a trovarti intelligente ti
riteneva anche educato, infatti soleva dire:
”Dei tre figli, il peloso è quello che c’è
venuto meglio, è l’unico che ci viene a
salutare e ci fa tante feste quando
torniamo”.
“Emiliano e Dario, apprezziamo anche voi!
Seppure in maniera diversa”.
Si, eri proprio educato, ma non per nostro
merito (o perché io sono una maestra come
mi diceva Gabriella); era scritto nel tuo
DNA.
In un viaggio verso la Sardegna,
stupenda isola nella quale abbiamo
trascorso molte vacanze estive, ci
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imbarcammo verso le due del pomeriggio e
tu, fino al mattino successivo, le dieci circa,
trattenesti la “pipì” perché non volevi
sporcare. Gli altri cani, invece la facevano
sul ponte che veniva irrorato di tanto in
tanto con grandi getti di acqua.
Sbarcati, però, alzasti la zampa sulla ruota di
una moto e la innaffiasti per almeno cinque
minuti.
Credo che, da quella gomma, siano in
seguito spuntati germogli e fiori.
A casa non abbaiavi; nessuno del
palazzo si è mai lamentato di te, anzi eri
talmente buono che tutti ti avevano in
simpatia. Solo verso gli ultimi mesi di vita,
quando uscivi con i ragazzi, cominciasti ad
abbaiare per le scale. Credo che ti divertissi
a farli arrabbiare.
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48. VILLA PAMPHILI
Villa Pamphili è stata la tua isola felice.
Lì hai potuto spaziare a tuo piacimento,
correre a perdifiato libero da guinzagli e
legacci vari, scovare gli angoli più nascosti
per incunearti nella boscaglia, rubare carne
alle volpi e pane agli uccelli, cibi che alcune
persone portano da casa; bagnarti
nell’acqua dei laghetti e bere nelle fontane,
inseguire volatili e tuoi simili e farti
inseguire da essi.
Lì, hai socializzato e stretto rapporti
temporanei e duraturi di amicizia. Hai
litigato e ti sei riappacificato, le hai date
(poche) e le hai prese (tante); hai perfino
intessuto relazioni amorose con alcune
cane.
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Con una avesti anche un rapporto vero,
seppure senza coinvolgimento emotivo da
parte di entrambi.
Era in calore ma non poteva procreare per
cui il proprietario della tua bella non si
preoccupò dei vostri approcci che durarono
abbastanza a lungo, tanto da mettere in
imbarazzo noi che vi accompagnavamo.
Come se non bastasse, dopo il “fattaccio”
eri talmente stanco che non volesti tornare
subito a casa, come io volevo. Ti sdraiasti a
terra e, benché avessi fretta di rientrare,
dovetti attendere il tuo “giustificato”
riposo.
In villa l’avevi tanto con un cagnetto;
quando lo vedevi lo raggiungevi e lo
sottomettevi.
In gergo canino “sottomettere” significa:
saltare sulla pancia dell’avversario,
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50. aspettare finché questo implora: “Mi
arrendo”, lasciarlo libero dopo averlo
guardato con disgusto.
Il padrone era seccatissimo della cosa, non
accettava che il suo cane: bello, forte, di
razza, fosse tanto docile. Tu invece,
Silvestro, continuasti imperterrito finché un
giorno ti sei stufato e disinteressato a lui,
completamente.
Il danno però era fatto e quel signore ha
continuato per sempre a guardarmi in
“cagnesco”.
Con le femmine eri molto galante.
Ricordo che una volta ti imbattesti in tre
belle cane e per non suscitare la loro
gelosia, le facesti giocare a turno. Si
divertirono e tu più di loro.
I primi tempi in cui iniziammo a
frequentare la villa, non conoscendo
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nessuno, facevamo da soli lunghe
camminate.
Poi la passeggiata si fece a quattro
comprendendo anche un altro cane con
relativo padrone; in seguito si formò un bel
gruppo di cani e canari.
Alle otto e trenta di ogni mattina ci si
vedeva davanti al bar di Franco, quindi
iniziava la passeggiata. Il gruppo canino
all’inizio molto numeroso, con il tempo,
purtroppo, si è assottigliato, ma resiste
ancora.
Adesso, anche se non ci sei più, continuo a
frequentare i miei amici perché in loro ho
trovato della bella gente inoltre i loro cani
mi ricordano te.
Il caffè è il nostro rituale, le passeggiate
sono benefiche, i discorsi stimolanti e
l’amicizia… sincera.
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52. Axel, il cane di Loretta era il
capobranco del gruppo; tutti rigavano dritti
se c’era lui perché la sua forte personalità
incuteva soggezione. Solo Maja non si
sottometteva, anzi lo bistrattava beffandosi
del folle amore di cui era oggetto. Più lui la
circondava di tenerezze più lei si sottraeva.
Si sa quanto sono fresconi certi maschi!
Lei era (adesso che è vecchietta un po’
meno) rigorosa con tutti: se un cane non
rispettava le regole o si allontanava, e tu
Silvestro lo facevi spesso, lo rimproverava
con minacciosi abbai rimettendolo
prontamente in riga. E’ golosissima di
biscotti; quando capisce che stai per
dargliene uno, ti si piazza davanti con
l’occhio languido e caritatevole.
“Passerebbe sul mio cadavere per un
biscotto!” Suole dire la sua padrona.
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Carlotta era obbediente e buona, si faceva
gli affari propri senza infrangere le regole;
rispettava ed era rispettata.
Nina accetta tutti tranne chi le sottrae il
sasso; in tal caso diventa una furia.
Secondo me a volte è in attesa che qualche
cane glielo prenda nella speranza di poterci
fare una “sana” litigata.
In villa è poco interessata a noi umani ma,
quando andiamo a casa sua, arriccia il naso
per la contentezza: ci sorride.
Un discorso a parte merita Axelino. E’ un
cane buffo nell’ aspetto e nel carattere.
Nonostante non sia più un “giovanotto”
resta sempre il Pinocchio della situazione;
immagino di vederlo un giorno o l’ altro in
catene tra due gendarmi.
Quando era più giovane scappava per
andarsi a tuffare nel laghetto e ricompariva
poi tutto gocciolante muovendo il corpo ora
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54. a destra, ora a sinistra, sempre in prossimità
nostra. Riusciva a coinvolgere nelle sue
zingarate il piccolo Dred, ben lieto di
seguirlo.
Anche adesso che è anziano continua nelle
birbonate: scappa, si nasconde, abbaia agli
altri cani e difende le femmine del gruppo
dalle invadenze dei maschi, al motto di: “Er
mejo sono io”.
Dred , il cucciolo del gruppo è stato il
discepolo di Axelino. Li chiamavamo “i
compagni di merenda” perché insieme
facevano le “cosacce”.
Adesso non viene più in villa per motivi
“prettamente tecnici” come ci ha spiegato
una volta, durante un lungo discorso.
Tommy è il cane‐ragazzo; il suo pelo è lungo
ma sempre ordinato e tagliato a la page; è
basso e cicciottello.
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55.
Benché sia un cane piccolo, si è sempre
ritenuto grande e come tale imita i suoi
amici di grande taglia.
Credo che Silvestro lo aggredì poiché non
sopportava il suo modo di fare: “Se sei
piccolo comportati come tale”.
Mi dispiacque molto di quanto accadde quel
giorno.
Isotta è la sciantosa del gruppo, provoca i
maschi invitandoli ad annusarla ed
assumendo posizioni “provocanti” poi si
alza sulle zampe e… ringhiando li mette in
fuga.
Ama molto inseguire gli uccelli e quando si
appollaiano sugli alberi, si mette in loro
attesa con lo sguardo fisso alla chioma,
pronta a sferzare un attacco appena essi
riprendono a volare.
“Dura la vita del cane!”
E tu, Silvestro?
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56. Eri un incrocio tra un setter ed un altro cane
da caccia, ovvero un cane da cuccia. Non
essendo di questa o quella razza, eri unico,
eri un Silvestro.
Il tuo pelo era lungo, grigio e folto; la tua
coda un piumino scodinzolante. Avevi una
macchietta nera sulla testa, all’altezza della
fronte ed una più grande sul groppone. Il
musetto, sottile, aveva un’ espressione
triste; diventava allegro quando ti si diceva:
“Puzzone!”.
Pensando ad un complimento, ti
comportavi come tale, saltellando tutto
soddisfatto.
Ti piacevano le corse ed in queste eri
imbattibile, per il resto eri pigro… molto
pigro.
Se è vero che ogni cane somiglia al suo
padrone, avevi ripreso certamente da
Paolo.
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Eri anche discreto, ti facevi gli affari tuoi
senza disturbare nessuno.
Non hai mai fatto danni ed anche quando
eri giovane non ho dovuto levare tappeti o
oggetti vari. Non hai mai sporcato né in casa
né sui terrazzi che consideravi parte di casa.
Solo negli ultimi giorni di vita, su nostra
sollecitazione, hai fatto pipì nel terrazzino
del salone Ti sei sentito, però, talmente
mortificato che non hai voluto mangiare il
biscottino che ti offrivo.
E pensare che non ti volevo!
Sappi che quando tua zia, mia sorella
Rosalpe, ti portò in casa, oltre ad
apostrofarla con “male parole” le ho detto
in tono minaccioso, sapendo della sua fobia
per le farfalle, che sarei andata da lei con un
barattolo pieno di falene, lo avrei aperto e
sparso il contenuto per tutta casa.
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58. Di cibo non sei mai stato ghiotto, eri
capace di mangiare solo in parte la tua
gustosa pappa o di non toccarla affatto se
poco affamato. Se però eravamo per strada
ed adocchiavi un qualche pezzetto di cibo,
anche il più ripugnante alla vista, lo spirito
del randagio prevaleva perché lo ingurgitavi
voracemente.
Il mangiare dei gatti che viene messo ogni
giorno sotto casa nostra era per te una vera
tentazione.
Come ti lasciavamo il guinzaglio più lento,
allungavi rapidamente il muso fiondandotici
letteralmente sopra.
Nell’ultimo periodo della tua vita,
poiché mangiavi pochissimo, portai, una
volta, la tua pappa sotto casa ponendola
accanto a quella dei gatti; tu la annusasti,
capisti che era tua e… non la toccasti.
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59.
Solo quella dei felini ti interessava e poi un
ladro ruba agli altri, non a se stesso.
Con i cani della villa facevi relativa vita
sociale, giocavi ma per lo più ti tenevi a
distanza; sembrava che non ti interessassi a
loro. Ma controllavi!
Se qualche cane maschio tendeva ad
entrare nel gruppo o importunava le
femmine allora intervenivi prontamente per
cacciarlo.
Con i maschi, tuoi amici, non litigavi.
Al mattino, legati davanti al bar, restavate in
attesa che finissimo il caffè per ricevere il
vostro biscotto.
Guai se mancava!
Qualche volta veniva a riprenderci
Paolo che vi aspettava sul viale, poco dopo
il primo boschetto, con un sacchetto
profumato.
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60. Il suo fischio richiamava il gruppo che,
correndo a perdifiato, gli si disponeva
attorno: chi seduto, chi in piedi ma tutti con
l’occhio godurioso e la lingua penzolante, in
attesa del dolcetto.
Ce n’era uno per ciascuno di voi, poi… tutti
a casa.
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61.
IL NOSTRO AMICO
Ti abbiamo sepolto nella tua Capranica
con i biscottini, il collare provvisto di
medaglietta, due bustine per i bisogni, il
musetto rivolto alla nostra casa e… tutto il
nostro amore.
Noi quattro ti abbiamo accompagnato
nell’ultimo viaggio.
Dormi bene, Silvestro!
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