1. Vibrazioni
Altezza e udito
Note musicali
Notazione musicale
Intervalli
I nomi delle note
Scala e nomi dei gradi
Tono e semitono - la tastiera
Le scale maggiori e minori
Pentatonia, cromatismo,
seconde eccedenti
Temperamento equabile
Suono
Altezza
Melodia
Soggetto
Tema
Motivo
Gregoriano
Vivaldi
Chopin
Schonberg
Klezmer
2. Pulsazione
Ritmo binario e ternario
Ritmi complessi
Metro
Battuta
Scrittura delle durate
Legature
Sincope
Contrattempo
Corona
Tempo
Durata
Agogica
Balli binari, ternari
e quaternari
Swing
Musiche non
misurate
Il Novecento:
secolo del ritmo
Strawinsky
Confronto tra
agogiche
5. Scena 2ª Mentre Isotta piange la morte di Tristano,
un'altra nave approda al castello. Si tratta di re Marco che,
venuto a conoscenza del filtro magico e dell'inevitabile
verità, è venuto con Melot a chiedere perdono. Ma
Curvenaldo, furibondo per la morte del suo padrone, si
scaglia contro di lui. Appena Melot arriva, lo uccide in un
colpo; resta ferito a sua volta e muore egli stesso accanto
al corpo di Tristano. Il Re, addolorato, cerca di spiegarsi
con Isotta, ma lei, ormai, non lo ascolta neppure. Nel suo
ultimo canto meraviglioso, Isotta invoca la celebre
Liebestod, la "morte d'amore" che riunirà i due amanti:
"Son forse onde di teneri zaffiri? Son forse onde di
voluttuosi vapori? Nel flusso ondeggiante, nell'armonia
risonante, nello spirante universo del respiro del mondo -
annegare, inabissarmi - senza coscienza - suprema
voluttà!"
Sulla melodia della Felicità, Isotta cade trasfigurata sul
corpo di Tristano. Il Re benedice i cadaveri. Si chiude
lentamente il sipario.
WAGNER LIEBESTOD
6. Ouverture fuori programma
Che succede dopo Wagner?
Polifonia
Contrappunto
Canone
Come si costruisce un
contrappunto
La fuga in do minore
Bach e... Mina
Dalla polifonia all’armonia
Palestrina 1 Palestrina II
Bach toccata fuga in re minore
Scarlatti
8. La fuga
L’oratorio
La cantata
La suite
Il concerto solista
Il concerto grosso
J. S. Bach
1685-1750
Caratteri della musica
barocca
Coro
Aria
Aria col da capo
Recitativo
Recitativo accompagnato
Corale protestante
Oratorio di Natale
ParteVI per l’Epifania BWV 248
9. W. A. Mozart
1756-1791
Caratteri della musica
classica
Sinfonia - Concerto - Trio - Quartetto - Sonata
Forma sonata :
esposizione
sviluppo
ripresa.
Lied
Rondò
Concerto
per pianoforte e orchestra
n. 23 in la maggiore K. 488
10. L.v. Beethoven 1770-1827
Beethoven l'architetto dei suoni
LE IDEE
di ALESSANDRO BARICCO
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VEDO il gran rumore che si fa sui media per questa maratona beethoveniana di Abbado e dei Berliner, e mi immagino che alla gente normale faccia la
stessa impressione che fa a me trovare sulle prime pagine dei giornali le cronache dalle sfilate di moda milanesi, o parigine: penseranno: ma chi sono,
'sti marziani? E anche: ma io che c'entro? E infine: ma non c'è proprio niente di più importante di cui parlare?
Per me quello della moda resta un mistero insondato. Ma quanto alla musica classica, qualche idea ce l'ho. Tipo: pagine e pagine sul Do di petto non
eseguito al Trovatore scaligero è miseria intellettuale pura. Pagine e pagine sui Berliner e Abbado e Beethoven, no. Ho passato due sere all'Auditorium
di Santa Cecilia, e la cosa mi ha aiutato a cancellare i dubbi residui. Non siamo pazzi. Non siamo marziani.
Chissà se riesco a spiegare perché. Venerdì sera c'era la Prima sinfonia. Beethoven a inizio carriera. Apparentemente, una cosa abbastanza
insignificante, una specie di numero zero. Dato che uno ha in mente la Terza, e la Quinta, e la Nona, quella robetta passa via così indolore che si finisce
per dedicarsi al piacevole passatempo di leggere sul programma di sala cosa s'è inventato il musicologo di turno per dimostrare, arrampicandosi sui
vetri, che invece è un capolavoro.
Giuro che riescono a dire cose incredibili. Che verrebbe voglia di alzarsi e applaudire. Meglio non farlo, comunque. Consiglio caldamente di non farlo.
Dunque, dicevo.
Io ho messo a punto un altro trucchetto, che tutto sommato mi sembra più produttivo. Ti siedi, aspetti che l’orchestra entri, applaudi e poi inizi ad
ascoltare, ma facendo finta che stai ascoltando una sinfonia di Mozart. Convinto che in programma ci sia una sinfonia di Mozart. (Per i più coltivati,
una variante ancora più utile è immaginare che sia di Haydn: ma comunque con Mozart funziona lo stesso). Quello che succede, immediatamente, fin
dalle prime note, e in un modo che ti sconcerta, e ti smarrisce, quello che succede è che pensi: ehi, ehi, cosa diavolo sta succedendo? Cosa gli è preso?
Più o meno tutto quello che ascolti è roba che Mozart avrebbe potuto scrivere, spesso anzi è roba che lui aveva già scritto. Ma c’è qualcosa che non
quadra. È come se tutto fosse diventato improvvisamente così serio, e adulto, e importante. Non lo era, fino a qualche minuto prima, potresti giurarlo.
Non lo era. E adesso lo è. È come quando incontri quella ragazzina che per tutti gli anni del liceo avevi desiderato in quanto lapiùcarinadellaclasse, e
adesso, dopo un sacco di tempo, la incontri per strada, e ha trent’anni e un marmocchio per mano, e i tratti del volto son gli stessi, è proprio lei non c’è
santo, ma nel frattempo è diventata una donna, e tu questo non te lo eri mai immaginato, non avevi mai immaginato che quella ragazzina potesse
contenere dentro di sé una donna, che quella bellezza là potesse ospitare questa bellezza qua bellezza che adesso ti dice beh ci vediamo, e se ne va. La
prima sinfonia di Beethoven è una sinfonia di Mozart che si è sposata.
Provo a dirlo in termini vagamente più tecnici: nella Prima sinfonia tu vedi lo stesso materiale con cui costruivano Mozart e Haydn, ma l’architetto è
pazzo: pensa, con quella roba, di fare grattacieli, invece che gazebo da giardino. State attenti, perché questa non è una svolta qualunque. È la svolta.
Tutto un patrimonio di tecnica, di sapere, di gusto tutta una civiltà vecchia di più di un secolo viene presa in mano da un uomo che la guarda e pensa:
con questa forza noi possiamo raccontare l’uomo, possiamo raccontare agli uomini se stessi. Adesso sembra scontato ma allora non lo era: allora era
una follia da megalomane.
11. Per decenni quella musica era stato fondamentalmente diletto, elegante decorazione, piacevole intrattenimento, tutt’al più
emozionante performance, al limite bozzetto della natura e di qualche edulcorato riflesso sentimentale: ma quell’uomo intuì
che in tanti anni di perfezionamento, quella musica era diventata una macchina potentissima, capace di fare molto di più: la
usavano per tosare il prato, ma volendo ci voleva niente a farne una locomotiva. Questo bisogna capire di Beethoven: lui intuì
la donna nei gesti e nei tratti della ragazzina. Lui pensò che quella musica, quel linguaggio e quella civiltà di gusto, poteva
raccontare il cuore dell’esperienza umana, il dolore, la speranza, la morte, l’utopia. Nel momento in cui lo pensò, in quel
preciso momento, inventò la musica classica. Beethoven non è un compositore di musica classica. È l’inventore della musica
classica: che è, appunto, ancor oggi, l’idea di attribuire a un certo linguaggio (quello musicale setteottocentesca) la capacità
effettiva di tramandare il cuore dell’esperienza umana, e addirittura il cuore vero, non quello simulato dell’Opera settecentesca,
no, proprio il buco nero che si trova in fondo, se continui a scavare, senza cautela, il cuore smarrito, quello illeggibile, quello
che batte ritmi che non sappiamo ballare. Quando senti la Prima sinfonia, e fai finta che sia di Mozart, la prima cosa che ti viene
addosso è proprio: il ritmo. Ce n’è troppo, ed è violento, ed è storpiato. È come se Mozart fosse andato a lezione di batteria jazz.
Eccolo là il cuore bastardo che inizia a battere, si sente lontano ma ormai è fatta, non lo nascondi più. Avevano inventato la
musica classica, e non c’era più niente da fare.
Io la conosco l’obiezione: e Mozart, e Bach, e Haendel, e tutto quello, cos’era, se la musica classica l’ha inventata Beethoven?
Forse che loro non avevano ambizioni spirituali, forse che non erano artisti? La conosco l’obiezione. So che al pubblico della
musica classica piace pensare che tutto, da Gesualdo da Venosa, a Ligeti, è spiritualmente alto, è arte, è tensione verso la verità.
Ma io non ci credo tanto. Magari mi sbaglio. Ma non ci credo. So che alcuni sprazzi profetici indovinarono quello che sarebbe
successo, questo sì: alcune pagine del teatro mozartiano, qualche scheggia delle Passioni bachiane... Chi può negare che lì
crepitasse la stessa ambizione che Beethoven assunse su di sé? Ma cosa sono quelle poche pagine rispetto alla sterminata
letteratura musicale del tempo? E, a voler essere drastici, quanto erano consapevoli? E perché poi alla fine tornavano sempre
indietro, e dopo aver composto il Don Giovanni pensavano che avesse ancora senso scrivere La clemenza di Tito? Come diceva
Borges: non ci sono anticipatori: ci sono dei grandi che creano, a ritroso, la grandezza dei loro predecessori. Detta nuda e cruda:
se non ci fosse stato Beethoven, siamo sicuri che ameremmo il Don Giovanni? Se non fosse passata l’idea che quel linguaggio
musicale dovesse cavare il cuore all’uomo, se la musica del Settecento fosse rimasta semplice ostentazione di una civiltà, di un
gusto, di un galateo morale, siamo sicuri che non troveremmo quell’opera un po’ esagerata, come dire..., fuori luogo,
inopportuna? Non avremmo in fondo apprezzato di più Salieri, e la sua misura? Non posso esserne sicuro, ma per spiegarmi:
se non ci fosse stato Beethoven, le Nozze di Figaro sarebbero un’opera eccentrica, vagamente fuori luogo, e il vero capolavoro
dell’opera buffa sarebbe Il matrimonio segreto di Cimarosa.
Insomma. Volevo dire che c’è una ragione per cui questo articolo parte dalla prima pagina, e in generale la maratona
beethoveniana con Abbado e i Berliner è trattato come un evento quasi sacro. Cioè, ci sono molte ragioni, ma una è: lì si
celebrano le origini della musica classica.
12. E ciò che noi chiamiamo musica classica è una di quelle rare, grandi occasioni in cui l’umanità
ha cercato di far saltare il banco: ha coniato un linguaggio fortissimo, e con quello è andata a
prendersi il proprio cuore. Adesso quell’avventura sembra appannaggio di una piccola élite di
attempati benestanti. Ma non è così. È un’illusione ottica. La memoria di quell’avventura è
diventato rito di pochi, questo sì: ma quell’avventura riguardava, e riguarda, tutti: quando
Beethoven puntava dritto al cuore, non faceva distinzioni. Era un uomo illuminista, ed era
abituato a pensare all’uomo, non a differenti target. E la sua musica, come tutta quella che a lui è
seguita, dice qualcosa dell’uomo inteso in quel senso lì, dice qualcosa di tutti, racconta l’eroe che
noi tutti siamo, non solo Napoleone, racconta la tragedia che noi siamo, tutti, e la fantastica forza
che siamo, tutti, non pensate che non vi riguardi, lo scorbutico genio aveva in mente anche voi,
nel suo mirino c’erano Bobbio e Taricone, simultaneamente, che ambizione, eh?, non si è più
capaci di pensare così in grande, quella sì era una sfida, che sfida, che spettacolo. Da prima
pagina.
Poi ci sono altre ragioni, interessanti anche quelle: Abbado, i Berliner, Brendel, Argerich. Anche
quella è una cosa che vale la pena di essere raccontata. Il prossimo articolo, però.
(Dimenticavo: sapete un cosa che mi piace di Beethoven? A scuola era un disastro. Da bambino,
a scuola, non c’era verso di fargli imparare niente. Soprattutto con l’aritmetica: negato cronico.
Volete proprio saperla tutta? Per tutta la vita Beethoven non riuscì ad andare al di là
dell’addizione. Voglio dire, la moltiplicazione, la divisione: non le sapeva fare. Fuori dalla sua
portata. Non è grande? Non è una cosa che se ci pensi ti raddrizza la giornata? Ammesso che tu
abbia giornate da raddrizzare, of course.