In questo secondo volume si intende investigare nello specifico gli strumenti utilizzati per la creazione di reti sociali reali, che possano influenzare positivamente la popolazione, rendendola partecipe rispetto alle importanti scelte da compiere in un mondo complesso ed in continuo cambiamento.
5. INTRODUZIONE
Questa tesi nasce dalla necessità di approfondire i temi trattati durante la prima discussione di Sustainable
Making, progetto realizzato sin dal principio da Daniele Bucci, Claudio Mansueto e Sebastiano Pirisi.
Il tempo di elaborazione di questo ampliamento si può definire relativamente breve, ottobre-dicembre
2014, ma grazie al lavoro svolto in precedenza si è trattato di un periodo incredibilmente denso di attività
pratiche che possono trovare in questo scritto una riformulazione teorica puntuale. Alla fine del testo è
presente un glossario che spiegherà tutti i neologismi che, per forza di cose sono stati inclusi in questo
scritto.
Il tema principale della tesi riguarda la possibilità di creare, tramite social network, comunità reali in grado
di seguire progetti condivisi che si riferiscano al fare sostenibile.
Abbiamo adottato atteggiamenti differenti per affrontare questa tematica, siamo partiti come ricercatori
imparziali, ma dato che i temi trattati erano molto coerenti rispetto ad un nostro percorso di crescita, ci
siamo presto trasformati in creatori di reti, di contenuti e di informazioni a supporto di tutto quel mondo
in fermento che sta cercando alternative economiche, sociali, ambientali e politiche.
In questo secondo volume si intende investigare nello specifico gli strumenti utilizzati per la creazione di
reti sociali reali, che possano influenzare positivamente la popolazione, rendendola partecipe rispetto alle
importanti scelte da compiere in un mondo complesso ed in continuo cambiamento. Durante questo
ultimo periodo di ricerca ci siamo resi conto che quelle realtà che avevamo mappato in maniera frammen-
taria, erano solamente la punta dell’iceberg di una rivoluzione che si sta compiendo all stesso tempo dal
basso e dall’alto. Cittadini comuni stanno iniziando a riappropriarsi del proprio spazio e grandi associa-
zioni internazionali stanno riuscendo ad avere abbastanza peso per poter influenzare le scelte politiche dei
singoli paesi, la gestione orizzontale di quest’ultime è incredibilmente innovativa e lascia sperare a nuove
possibilità di gestione politica efficiente e democratica.
Il fare sostenibile, che è stato il nostro punto di partenza sta permeando fortemente le esigenze attuali, per-
sone singole, aziende ed associazioni stanno cambiando la propria etica, riuscendo a fondere sostenibilità
economica con necessità ambientali e sociali.
Le potenzialità dei social network sono indiscutibili, è possibile scambiare informazioni con una velocità
impensabile fino a qualche anno fa, questa caratteristica dal punto di vista storico ha sempre contribuito
ad enormi cambiamenti nelle comunità, è evidente pensando ad esempio alle staffette del mondo classico,
oppure alle reti ferroviarie che hanno unificato il nord America. Il fare sostenibile si sta fondendo con
l’innovazione sociale, pratica inizialmente intesa come innovazione derivata dai social network, che però
in quest’ultimo periodo viene accostata alle possibilità di influenzare positivamente la società attraverso
l’innovazione derivata dalla riappropriazione di modelli etici equi.
Essendo questa ricerca calata specificatamente nello spaziotempo contemporaneo non potevamo ignorare
quelli che sono gli aspetti dominanti della nostra epoca, da una parte un mondo di piccoli numeri ma con
grande energia e voglia di cambiamento, dall’altra il collasso di modelli economici e politici non più in
grado di rispondere alla trasformazione in atto.
Per il nostro progetto abbiamo voluto individuare 4 criticità che meritano di essere considerate con grande
attenzione, potrebbero sembrare separate, ma sono parte dello stesso sistema, durante il nostro percorso,
proveremo a ricostruirlo.
1
6. Degrado urbano
Il degrado urbano è un tema incredibilmente attuale, le città si stanno espandendo a macchia d’olio e per i
comuni cittadini ormai è un lusso potersi permettere di abitare in un quartiere centrale. Nel 2012 a livello
mondiale la percentuale di persone che vivono in città ha superato quella che vive nelle campagne1
o nei
territori extraurbani, per questo la necessità di reinventare lo spazio cittadino deve essere posta al centro
di una progettazione concreta nel breve medio termine.
I comuni non riescono a gestire al meglio i servizi, quali ad esempio raccolta di spazzatura, mezzi pubblici
e decoro urbano, non per la penuria di fondi al quale hanno accesso, ma perché i processi che adottano
risultano antiquati e non adottabili in questo particolare contesto culturale.
Le città storiche sono le più colpite, non è un caso che 2 tra le più grandi iniziativa di protesta/azione
come Roma fa Schifo2
e Retake3
siano nate proprio a Roma, in una città con delle potenzialità enormi,
ma anche con livelli altissimi di degrado e disagio sociale.
Il processo di riappropriazione urbano è appena all’inizio, ma sono molti i segnali che indicano la neces-
sità da parte dei cittadini di riconquistare quei luoghi condivisi che l’incuria e la mancanza di senso di
appartenenza hanno sottratto da tempo.
Social Network
Questo periodo è pervaso dalla presenza dei social network, da Facebook a Twitter passando per Ello4
e
per giungere all’ultimo arrivato Tsū5
; spesso l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione di massa non è né
appropriato, né tantomeno costruttivo, i giovani ne abusano e manca completamente un piano didattico
che possa accompagnare le nuove generazioni ad un utilizzo intelligente di questi strumenti innovativi. Le
nuove piazze virtuali generate sulla rete potrebbero essere sfruttate come volano per nuove economie nel
quale porre al centro proprio l’essere umano e le sue necessità. Le possibilità sono immense, ad esempio,
l’opportunità di costruire un percorso democratico diretto, senza intermediazioni costose e poco affida-
bili.
Ambiente
Il problema ambientale è sotto gli occhi di tutti e non può essere ignorato, non si parla solamente di
macro effetti climatici, dell’innalzamento della temperatura globale, dell’inquinamento generato dalle
grandi industrie per logiche di profitto sconsiderato, è il comportamento dei singoli che più di tutti sta
contribuinedo ad uno dei disastri più grandi della storia umana.
Possiamo parlare di apatia di massa e ignavia collettiva, il fatto di non voler prendere decisioni autonome,
non schierarsi dalla parte del sistema mondo (e di conseguenza dalla parte di se stessi), sta intaccando
irreversibilmente la possibilità di avere prodotti rispettosi della terra e di chi la abita.
Non aver cura della cosa pubblica e guardare solamente i propri interessi, sono parte integrante di quel
pensiero riduzionistico che ha terminato il suo ciclo reale e rimane in vita solamente per l’ostinazione di
quei burattinai che da questo sistema traggono enormi benefici a scapito della salute del prossimo.
1 UNICEF, Rapporto globale annuale, “La Condizione dell’infanzia del mondo”, “Figli delle Città” Città del Messico
2012
2 Blog di denuncia collettivo, riguardo la situazione di degrado romana: http://www.romafaschifo.com/
3 Retake Roma è un movimento no profit che mira a ripulire la capitale in maniera aperta con atteggiamento bottom
up: http://www.retakeroma.com/
4 Social network nel quale non c’è pubblicità ed il trattamento dei dati degli utenti è possibile solamente dopo aver rice-
vuto il consenso da quest’ultimi: https://ello.co/
5 Social network che condivide il 90% degli utili generati dalla pubblicità con gli utenti creatori e condivisori di conte-
nuti: https://www.tsu.co/
2
7. 3
Il tema ambientale è tra i più caldi di questo inizio secolo e sicuramente rimarrà tale per molto tempo,
non esiste una formula magica o una soluzione a tutti i problemi, i campi di intervento sono molteplici,
come molteplici sono gli interessi in ballo, il sistema da modificare è complesso e sono tante le possibilità
di cambiamento, l’unica certezza è che come esseri umani abbiamo il dovere di mettere freno a questo
scempio che noi stessi abbiamo creato.
Lavoro e giovani
Ormai essere giovane, volenteroso ed istruito non garantisce più la possibilità di avere una vita stabile
ed economicamente appagante. La disoccupazione giovanile in Italia è alle stelle, non c’è la possibilità di
poter dimostrare il proprio valore con stage o lavori a contratto, venendo degnamente retribuiti. Una ge-
nerazione così umiliata, spesso non riesce a reagire e si rifugia in mondi alienanti senza poter immaginare
un futuro concreto.
In questo contesto c’è invece chi ci crede, chi continua a portare avanti progetti personali, autoproduzioni
dal basso di quello che un giorno potrà diventare una nuova azienda innovativa, senza supporto politico
ne economico decide di dedicare il proprio tempo a progetti nel quale si riconosce. Il rischio è notevole,
o si riesce rapidamente a raggiungere una sostenibilità economica, oppure per potersi permettere di vivere
autonomamente si è costretti a lavorare ad altro, magari svolgendo mansioni poco specializzate, che non
consentono ad un giovane professionista di esprimere le proprie potenzialità a pieno e non lasciano tempo
da dedicare a progetti personali che così sfumano e si disintegrano.
Le criticità sopra descritte rappresentano solamente dei punti di partenza dalle quali poter sviluppare un
percorso costruttivo che non si limiti alla denuncia sterile, ma che possa generare alternative concrete.
È possibile progettare un sistema che metta in comunicazione queste criticità, le persone che ne fanno
parte possono lavorare in maniera sinegica per rendere i luoghi del degrado (virtuali e reali) degli spazi di
interazione positiva dove generare valori aggiunti. Sustainable Making si pone in una posizione centrale
nel creare ricchezza dove prima non c’era. Generando reazioni a cascata il sistema progettato può autoge-
nerarsi e garantire sostenibilità per tutti i nodi che lo compongono.
In questo modo si possono sviluppare dei progetti mirati alla rigenerazione urbana e ambientale, impie-
gando social network per poter gestire il lavoro anche a distanza e sfruttare quel sapere e saper fare dei
giovani professionisti che potranno crescere professionalmente e monetizzare il proprio lavoro. Il sistema
continua a crescere grazie alla viralità garantita da internet e la condivisione di pratiche innovative speri-
mentate all’interno dei progetti specifici; l’adesione di nuovi utenti aumenta la capacità di generazione e
ridistribuzione delle informazioni.
Durante questa tesi di laurea verranno approfonditi questi temi, con particolare enfasi sull’approccio digi-
tale/analogico di Sustainable Making che per ora è composto da una pagina e diversi gruppi su Facebook,
un sito/blog e una mappa aperta che raccoglie, geolocalizzandole, tutte quelle esperienze concrete del fare
sostenibile.
Verranno anche descritte le esperienze pratiche svolte durante questo primo anno di lavoro, composte da
workshop aperti al pubblico, performance e progetti partecipati a lungo termine in aree urbane periferi-
che.
8. 4
Lo schema sottostante descrive il lavoro che abbiamo svolto realmente, connesse a Sustainable Making
possiamo individuare le 4 aree critiche sopracitate, ambiente, degrado urbano, giovani professionisti e
social network. Da queste sono state riprogettate delle dinamiche sistemiche che approfittando dei loro
punti di forza costituiscono innovativo approccio di progettazione.
Ci collocheremo quindi al centro del sistema in qualità di progettisti dei rapporti che intercorrono tra i
nodi e piattaforma web dove avverranno diverse relazioni. In rosso sono riportate le 4 criticità individuate
in precedenza, i nodi blu invece rappresentano le possibilità che proponiamo per generare valore aggiunto.
Possiamo iniziare l’analisi partendo dai giovani professionisti, che incontrandosi sulla rete di SM, acce-
dono a informazioni e know how innovativi e possono insieme strutturare progetti per la riqualificazione
sociale ed ambientale di zone degradate, magari le stesse che vivono qutidianamente. Costituendo team
multidisciplinari si può avere accesso a fondi pubblici e privati indirizzati proprio in questi contesti, gio-
vani managers, designers, architetti e makers, hanno la possibilità di agire sinergicamente avendo chance
di finanziamento molto superiori.
Condividendo unitariamente i risultati ottenuti sui social networks si incrementa visibilità, che ricade su
ogni singolo membro dei suddetti gruppi di lavoro.
Sustianable
Making
Ambiente
Processi
Innovativi
Nuovi
Utenti
Degrado
Urbano
Giovani
Professionisti
Social
Network
DidatticaInformazioneLavoro
Genera
no
Lavora con
Lavora su Lavora su
Usa
Arricchiscono
Arricchiscono
Genera
Generano
Creano
Condiv
idono
Genera
9. 5
n questo modo si attirano nuovi utenti che accrescono la capacità virale del progetto e ne aumentano le
portata. In fine si genera occupazione, nuove competenze e si vanno a rigenerare quegli spazi di disagio
sociale ed ecologico che fino a poco tempo prima risultavano essere semplicemente delle criticità.
11. Questa prima parte riassumerà brevemente il progetto nella sua interezza, come è nato, come si è svilup-
pato e come si sta sviluppando nel tempo. Non insisterò molto su questo tema perché è stato trattato già
in maniera esaustiva nel primo resoconto del lavoro svolto da Sustainable Making.
Inizialmente non sarebbe mai stato possibile ipotizzare un evoluzione così integrale del lavoro, idealmente
è possibile dividerlo in diversi momenti:
La nascita del progetto
Fase iniziale di ricerca personale, i progetti dei 3 candidati erano separati, ma le tematiche erano già
molto coerenti, spaziavano dall’opportunità di rendere autonome le città dal punto di vista alimentare,
alla possibilità di unire il mondo dei makers, al do it yourself e alle tecnologie di open harware per creare
oggetti autocostruibili e utilizzabili anche in contesti di isolamento extraurbano, senza strumenti specifici.
Abbiamo scelto di far convergere tutti questi temi in una sola tesi, riuscendo a renderli sistemici ed indi-
viduando nuove intersezioni ancora inesplorate.
Viaggio
Partendo da questi presupposti è stato possibile individure dei progetti reali sul quale strutturare una
ricerca mirata e concreta.
Sustainable Making nasce definitivamente da una ricerca realizzata durante 2 viaggi, uno in Brasile ed
uno in Italia, esperienze utili per scoprire e classificare direttamente i diversi luoghi della sostenibilità. È
stato proprio durante questo specifico periodo che il nostro lavoro ha iniziato ad aprirsi verso l’esterno,
provando a coinvolgere quelle persone che come noi avevano difficoltà a reperire questo genere di infor-
mazioni dirette. Abbiamo scelto di iniziare un ciclo di videointerviste, per cristallizzare le parole e i volti
di chi pratica la sostenibilità durante la vita quotidiana, e così vivendola genera spunti che nemmeno lui
stesso può immaginare.
In Brasile abbiamo visitato 4 luoghi molto diversi fra loro ma che avevano un filo conduttore chiaro, la
volonta di tornare ad una vita più semplice, fatta di piccole cose, di introspezione, di spiritualità, di cibo
sano e di autosufficienza. Abbiamo viaggiato nella campagna del cerrado1
vicino Belo Horizonte, nella fo-
resta atlantica2
nei pressi di Rio de Janeiro, all’interno di San Paolo e nella periferia di Curitiba scoprendo
metodi di coltivazione che si adattavano alla città, filiere di produzione dagli scarti dei mercati, sistemi di
fitodepurazione di acque grigie e nere.
In Italia invece abbiamo lavorato maggiormente sull’innovazione, le trasintion towns, il mondo dell’auto-
produzione, del design e dell’impresa. Per intraprendere questa parte di ricerca abbiamo avuto la possibili-
tà di finanziarci grazie ad un crowdfunding di 1000 euro, con i quale abbiamo comprato una videocamera
di qualità superiore e abbiamo pagato le spese di trasferta.
Il viaggio è stato breve ma molto intenso:
A Roma abbiamo visitato 2 Fablab, un laboratorio di autoproduzione con materiali di scarto e un gruppo
di guerrilla gardners.
Siamo giunti a Prato per intervistare Paolo Massenzi e l’associazione Recuperiamoci! che da anni trattano
le tematiche del recupero a 360°, lavorando con persone svantaggiate.
Abbiamo proseguito a nord, passando per Monteveglio, ex transition town e ora sede di una cooperativa
agricola che ricostruisce filiere produttive locali ormai perdute
A Verona siamo stati ospitati da Walter Franchetti, programmatore e startupper di professione, abbiamo
1 Il Cerrado è una grande savana tropicale, una ecoregione del Brasile, è caratterizzato da una grande biodiversità di
fauna e flora. Secondo il WWF è la savana più ricca biologicamente nel mondo.
2 Foresta atlantica o mata atlantica in portoghese è un particolare tipo di foresta presente lungo le zone costiere del
Brasile.
7
12. 8
incontrato il Fablab locale, il Laboratorio 29, Reverse Lab e uno spazio di coworking nato in una ex ti-
pografia.
Milano è stata una tappa fondamentale, infatti abbiamo avuto la possibilità di visitare Cascina Cucca-
gna, una ex tenuta di campagna inglobata nel tessuto cittadino e strappata al degrado da un consorzio
di associazioni che in 10 anni sono riusciti a creare uno spazio polifunzionale dove sperimentare design
autoprodotto, orticultura urbana, innovazione sociale e rigenerazione urbana.
Pag
Consumatori
digitali
Gruppo
(aperto)
Sustainable
Making.it
Gruppo
(chiuso)
Consumatori
produttori
digitali
Consumatori
produttori
reali
Prosumers
Mappa
Piattaforma web
di Sustainable Making
13. 9
Presenza nella rete
Terminato il viaggio, abbiamo iniziato a produrre materiale concreto, aprendo inizialmente la pagina Fa-
cebook per condividere i video che avevamo realizzato e creare un luogo digitale dove raccogliere notizie
generali riguardanti i temi trattati.
Questo approccio ha rivelato subito la sua inadeguatezza, le informazioni erano monodirezionali, non
c’era interazione fra noi ed il pubblico che rimaneva solamente spettatore, la nostra intenzione invece, era
quella di coinvolgere la rete e creare interesse da parte degli utenti, per rendere la comunicazione realmen-
te attiva e propositiva dovevamo ragionare in una logica peer to peer. Siamo riusciti a raggiungere questo
obiettivo aprendo un gruppo Facebook, dove la bacheca è condivisa e tutti hanno le stesse possibilità di
far circolare le informazioni liberamente. Fatto ciò ci siamo resi conto della necessità di creare noi stessi
dei contenuti originali, avevamo bisogno di un archivio dove poter mettere in ordine i report riguardanti
il nostro viaggio di ricerca, a questo scopo sono nati il blog e la mappa aperta per la geolocalizzazione dei
luoghi del fare sostenibile. Per ultimo abbiamo provveduto a creare un gruppo chiuso in Facebook com-
posto dallo staff che sta seguendo progetti reali, che verranno approfonditi in seguito.
Nello schema presente all’interno della pagina precedente si possono notare le differenti tipologie di uten-
ti e come queste si interfacciano con la piattaforma web di Sustainable Making.
Realizzare una piattaforma che si fondasse sulla possibilità di rendere creatore il consumatore stesso delle
informazioni, ci affascinava, abbiamo voluto lavorare ed accrescere il ruolo dei prosumers all’interno della
nostra rete, creando delle rubriche aperte sul nostro blog. Chiunque può scrivere un articolo riguardo un
tema che padroneggia, in questo periodo stiamo incentivando molto questo genere di pratica.
Homepage del blog SustainableMaking.it
15. Ricercando attivamente pratiche innovative in un mondo che cambia, volevamo approfondire quegli
aspetti della sharing economy riguardanti la possibilità di condividere il lavoro con persone che stanno
cercando uno spazio digitale. Dare la possibilità di rendere pubblici gli articoli di professionisti che hanno
molto da insegnare riguardo temi specifici, ma che per mancanza di spazio non riescono a pubblicare i
propri scritti.
Abbiamo quindi iniziato a coinvolgere persone di fiducia che potessero contribuire al progetto scrivendo
articoli che riguardassero la propria sfera di conoscenza. Per questo abbiamo creato un team composto da
una giornalista, laureata in lingue orientali che da anni partecipa a progetti di cooperazione internazio-
nale, un ex studente di ingegneria gestionale che si occupa di economia e finanza, un biologo che segue le
dinamiche della biodiversità urbana, una giovane giornalista professionista e un permacultore.
Ognuno di queste figure sta contribuendo in maniera assolutamente gratuita, nel medio termine sarebbe
interessante riuscire a creare delle possibilità di ricambiare queste persone in qualche modo, o in maniera
economica classica o garantendo altri tipi di servizi o prodotti in un ottica di banca del tempo. Per mo-
strare quale è il contributo che queste persone possono apportare al progetto riporterò 2 articoli esempli-
ficativi scritti proprio da loro:
La finanza sostenibile
di Matteo Mocci
“Il mondo è ammalato! Si, ma per colpa di Chi?”
Già, per colpa di chi? La risposta a questa domanda, con tutte le attenuanti generiche, è probabilmente la
più lunga che l’uomo abbia mai formulato nella sua storia. Non un semplice, lungo elenco di scelte, quan-
to piuttosto un lungo elenco di “paradigmi”. Nuovi, vecchi, riciclati, rispolverati. Insomma, un armadio
variegato ricco di completi destinati ad un unico modello: la sostenibilità.
Fra i tanti abiti cuciti sul tema della sostenibilità, quello della finanza è senz’altro uno dei più controversi.
La finanza è la disciplina economica che studia le dinamiche dei flussi monetari, proiettandole alla sod-
disfazione dei soggetti coinvolti nelle stesse. La sostenibilità è invece la capacità di un sistema, processo o
stato, di mantenersi in determinate condizioni per un tempo indefinito. Da una lettura superficiale dei
due concetti la conclusione appare scontata: la finanza sostenibile dovrebbe garantire la soddisfazione dei
soggetti interessati per un tempo indefinito.
I modelli economici e di sviluppo largamente diffusi fino ad oggi, concentrano la propria attenzione sulla
creazione di valore per un certo numero di stakeholders. Questo è banalmente l’obiettivo di ogni attività,
dal piccolo orto coltivato dal contadino, alla grande multinazionale che produce su scala globale. L’obiet-
tivo è il profitto, la remunerazione degli investimenti, dare a Cesare quel che Cesare ha creato e si è meri-
tato. E così i frutti dell’orto valgono per il contadino più della fatica e del costo per coltivarli, allo stesso
modo in cui il valore aggiunto generato dalla multinazionale vale la soddisfazione dei propri azionisti allo
stacco della cedola. Il valore è, o almeno dovrebbe essere, il fulcro del sistema.
Tuttavia, la storia recente insegna come valore e profitto possano percorrere strade molto distanti tra
loro. La crisi finanziaria del 2008 è stata solo l’ultima dimostrazione di come una crescita esponenziale di
profitti, priva della sottostante creazione di valore, sia destinata a generare pesanti e insabili squilibri nel
sistema, tanto economici quanto sociali. Inoltre, la distribuzione asimmetrica del (poco) valore sottostan-
te i profitti potrebbe essere la prima vera causa di dissesto. Il valore da una parte, i profitti dall’altra, la
reciproca dipendenza, la distribuzione del valore (creato). Nell’ottica della sostenibilità, il quadro appare
abbastanza chiaro: è sostenibile un sistema finanziario in grado di preservare il legame tra valore creato e
11
16. 12
profitti generati, garantendo un’equa distribuzione di questi ultimi (e quindi del valore), in misura tale
da garantire la soddisfazione “misurata” di tutti i soggetti coinvolti. A livello di politica macroeconomica
potremmo parlare di welfare.
Ma questa analisi è parziale. Basta cambiare la prospettiva di osservazione nelle considerazioni precedenti
per comprendere meglio i limiti degli attuali modelli economico-sociali e introdurre l’approccio alla fi-
nanza sostenibile. Fondamentalmente è sufficiente spostare l’attenzione dal valore creato alla possibilità
che il valore venga distrutto, al fatto che questo avvenga nel processo stesso di creazione di valore, e a
come i residui di questo processo, creazione e distruzione, vengano distribuiti ad una platea di stakehol-
ders allargata. Un esempio molto semplice è quello dell’allevamento di pesci su scala industriale. L’alleva-
mento nasce come conseguenza dell’impoverimento dei mari, non più in grado di soddisfare la crescente
domanda di specie ittiche e mitigarne la stagionalità. Così è iniziata l’attività di allevamento del pesce in
bacini controllati, nei quali i giovani pinnuti vengono alimentati prevalentemente con mangime, anch’es-
so prodotto industrialmente. Il paradosso sta nel fatto che tale mangime viene ricavato in larga parte da
altre specie ittiche, soprattutto merluzzi. La conseguenza è che la presenza di merluzzo diminuisce sensi-
bilmente su scala globale.
Seppur molto semplice e generalista, questo esempio mostra in maniera chiara la dualità intrinseca agli
attuali modelli di ricerca del valore. In questo caso, la produzione di valore associata alla lavorazione e
presentazione di pesce fresco sul banco del mercato, va di pari passo con la distruzione di valore generata
dal duplice impoverimento del mare, prima col prelievo diretto poi con il prelievo indiretto. E dunque,
guardando agli stakeholder del sistema, questo genera valore per la cerchia ristretta composta da catena
della lavorazione ittica e consumatore, ma distrugge valore per una platea ben più ampia, che sul lungo
periodo includerà anche coloro per cui oggi viene apparentemente generato valore. Conclusione: il mo-
dello non è sostenibile.
Mantenere o accrescere i profitti in questo modello equivale a una lenta e inesorabile inversione degli
effetti legati a generazione e distruzione di valore. Sebbene il profitto sottenda una produzione di valore
stabile (non cumulativa) nel tempo, la distruzione di valore NECESSARIA a sostenere il modello cresce
fisiologicamente, sia in maniera relativa che con una risultante cumulata sul lungo periodo (gli effetti
distruttivi si stratificano nel tempo). Paradossalmente, produrre valore implicherà distruggerne molto di
più: il modello non è sostenibile. In quest’ottica possono essere inquadrate molte considerazioni sul modo
in cui i modelli produttivi, e dunque finanziari, possano distruggere valore nel processo di creazione dello
stesso. Negli anni il baricentro del consumo è stato spostato dai piccoli orti domestici, verso produzioni
su larga scala, dalle commesse in falegnameria all’acquisto dei mobili online. Costi inferiori, nessuna sta-
gionalità, tempi ridotti, e così via. Apparentemente un continuo incremento di valore, diretto e indiretto.
Si potrebbe indagare il valore della qualità, ma il tema è un altro. Il tema è la quantificazione del valore
prodotto al di la della mera identificazione dello stesso con la disponibilità del consumatore a pagare e
dell’azienda a gonfiare la cedola.
Allargando la platea degli stakeholder si allarga anche la base di ripartizione del valore generato, sia esso
positivo o negativo. Al consumatore che richiede il pesce fresco, riconoscendone un valore positivo, si
contrappone l’ecosistema, con annessi stakeholders, che subisce il danno. Così la multinazionale della
pesca avrà creato valore per il consumatore e valore per se, remunerando adeguatamente gli investimenti
sostenuti per pescare, trattare, distribuire il pesce. Ma contemporaneamente, quegli stessi investimenti
hanno generato una distruzione di valore, che sul lungo periodo avrà delle conseguenze molto più dra-
stiche. In altre parole, la ripartizione asimmetrica della risultante in valore ha generato uno squilibrio
sistemico INSOSTENIBILE.
È possibile estendere questi ragionamenti alla stragrande maggioranza delle situazione quotidiane di con-
17. 13
sumo e di vita. Al di là del loro consolidamento sociale,l’ostacolo principale allo studio dei modelli di
produzione e consumo attuale è rappresentato proprio dalla natura non scalabile e limitatamente sti-
mabile dei costi sociali e ambientali generati dagli investimenti. Costi fortemente differiti nel tempo e
nelle generazioni, inseriti nei modelli economici a lungo termine ma difficilmente computati nelle analisi
di breve periodo. Insomma, vale sempre il principio dell’uomo che cade dal 50esimo piano: arrivato al
30ismo, fin qui tutto bene.
Come due temi fortemente inflazionati come finanza e sostenibilità potessero coniugarsi lo spiegò per la
prima volta l’economista belga Pauli Gunter, a cui si deve il primo approccio pionieristico concreto alla
finanza sostenibile. Dopo aver fondato la “Zero Emissions Research Initiative“, una rete internazionale
di scienziati, studiosi, ed economisti che si occupano di trovare soluzioni innovative, progettando nuovi
modi di produzione e di consumo a minor impatto ambientale, Pauli ha introdotto il concetto di Blue
Economy. La Blue economy, contrapposta alla Red economy e alla Green economy, propone un nuovo
paradigma economico basato sul concetto di “ecosistema” : attività e processi autosufficienti, quindi so-
stenibili, a impatto zero. La soluzione di continuità tra il costosissimo prodotto Green e il processo “blu”
è la capacità di quest’ultimo di azzerare gli scarti, sfruttando i propri per la generazione di nuovi profitti,
in un circolo potenzialmente infinito di auto sussistenza.
Da economista ed imprenditore, Pauli propone un modello di business che possa sfruttare con profitto i
meccanismi di funzionamento e sopravvivenza di piante e animali, dimostrandone concretamente l’appli-
cabilità a qualsiasi realtà produttiva. L’attenzione si sposta dal core business alle reti di processi in cascata,
dalle produzioni su larga scala a quelle locali, dall’impostazione conservativa della Green economy a quella
rigenerativa dell’economia blu, in un modello in grado di perseguire il profitto e la creazione di posti di
lavoro, tutelando e valorizzando le risorse globali. In Svezia alcuni designer e programmatori hanno svi-
luppato un modello matematico che sfrutta i principi strutturali dei termitai per regolare temperatura e
umidità in ambienti chiusi. Il gruppo Daiwa House ha progettato in Giappone (Sendai) un sistema di
termoregolazione basato sull’alternanza delle correnti calde e fredde che si formano sul manto a strisce
delle zebre e ne abbassano la temperatura. Questi sono solo alcuni degli esempi e delle innovazioni propo-
ste da Pauli, inserite in un contesto più ampio di rimodulazione dei paradigmi di produzione e consumo.
La rivoluzione promossa dalla Blue Economy affianca diverse correnti che si stanno affermando da alcuni
anni sui temi della finanza etica e degli investimenti responsabili, dove l’ottimizzazione del rapporto ri-
schio rendimento tipico della gestione finanziaria è modulato da principi di natura ambientale, sociale o
di governance. La finanza sostenibile si pone l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo, indirizzando
i capitali verso attività che non solo generino un plusvalore economico, ma siano in grado di generare al
contempo un plusvalore sociale e ambientale, senza superare le capacità del sistema.
Estratto del profilo autore del blog Sustainablemaking.it
18. 14
Opportunità su due ruote
di Flavia Cruciani
Tutti, chi più chi meno, conoscono i vantaggi di usare una bicicletta come mezzo di trasporto. Non si
producono emissioni, e questo giova all’ambiente. Si usa solamente energia prodotta dal nostro corpo,
e questo giova alla nostra salute. E ci fosse anche un vantaggio in termini economici? Non si parla del
risparmio sulla benzina o sul biglietto della metropolitana, che in ogni caso è importante e rilevante, ma
di un approccio più comprensivo, un approccio a livello europeo.
Secondo lo studio “Unlocking new opportunities. Jobs in green and healthy transport”, pubblicato
quest’anno dal World Health Organisation, l’industria ciclistica cela una grande opportunità sociale ed
economica per il mondo del lavoro in Europa. Visto che nelle aree urbane la metà dei viaggi non rag-
giunge i 5 km e che più del 30% non copre una distanza maggiore di 3 km, esiste un ampio spazio per
cavalcare il sellino e scoprirne i vantaggi. Questi si delineano in tre ambiti principali.
Primo fra tutti il carattere locale. La bicicletta è un mezzo di trasporto che spinge l’utente a ri-localizzare
le proprie spese, creando beneficio per esempio ai servizi turistici tipici o a locali di ristorazione sul terri-
torio. Qui si parla di grandi numeri, visto che secondo lo studio del WHO quello turistico è il settore di
maggiore potenziale per l’industria ciclistica.
Secondo, la versatilità. In questo caso, ci si riferisce specificatamente al tipo di posti di lavoro collegati
all’industria ciclistica. Dalla produzione alla vendita passando per i servizi, la bicicletta prevede l’interven-
to di diversi tipi di lavoratori, specializzati e non specializzati, creando un ampio raggio di opportunità
per la popolazione.
Infine, l’enorme potenziale. In Francia, un giro di affari pari a 1 milione di euro nell’industria ciclistica
corrisponde a 10 posti di lavoro, mentre lo stesso fatturato nell’industria automobilistica corrisponde a
solamente 2,5 posti di lavoro. Questa maggiore “efficienza” svela le possibilità delle due ruote. Prendendo
come esempio Copehagen, che insieme ad Amsterdam detiene lo scettro in Europa per l’utilizzo delle bi-
ciclette, lo studio dimostra che 76.600 nuovi posti di lavoro potrebbero essere creati in Europa se 56 città
selezionate adottassero la percentuale di utilizzo delle due ruote della capitale danese (ovvero circa il 26%).
Facendo un esempio nostrano, incentivando l’industria ciclistica Roma potrebbe offrire 3.219 nuovi posti
di lavoro. In generale, in 21 delle città selezionate il numero di nuovi posti di lavoro supererebbe i 1000.
Il report, inoltre, spiega come questa stima sia in realtà al ribasso, poiché include solamente alcuni dei
lavori riconducibili al mondo delle due ruote green. Ovviamente altri lavori legati al settore dei trasporti si
perderebbero, nel settore automobilistico in primis, ma lo studio assicura che alla fine dei conti il cambio
sarebbe in ogni caso vantaggioso per la popolazione.
Estratto del profilo autore del blog Sustainablemaking.it
19. 15
Per placare lo scetticismo, un secondo studio che sarà pubblicato a breve dalla European Cyclists’ Federa-
tion dimostra come in alcune parti del vecchio continente si sia già sulla buona strada. Secondo quanto
pubblicato sul Guardian, infatti, l’industria ciclistica europea dà lavoro a più persone di quanto non faccia
il settore minerario, e quasi il doppio rispetto all’industria dell’acciaio. Precisamente, 655.000 persone si
occupano di produzione, vendita, servizi, turismo e infrastrutture legate al mondo delle biciclette.
Come risulta da questi articoli, le possibilità di approfondimento su temi di sostenibilità sono molto
ampie ed avere l’occasione di far partecipare attivamente persone competenti e appassionate aumenta
sicuramente il coinvolgimento del pubblico interessato al tema.
È facile intuire la differenza stilistica e formativa dei 2 autori, a nostro avviso queste differenze arricchisco-
no notevolmente l’esperienza del lettore, infatti ognuno potrà trovare facilmente quello che cerca.
Si spazia da temi molto tecnici, semplificati per migliorarne l’approccio ad un pubblico non del set-
tore, a temi che rispecchiano quelli che sono i comportamenti e le abitudini di molti. Questo modus
operandi è molto positivo essendo al tempo stesso fonte di approfondimento e formazione continua, il
crowdsourcing di informazioni è basilare se si vogliono affrontare temi innovativi specifici che insieme
andranno a formare una cornice sistemica di sviluppo possibile. È importante notare che questi ragazzi
non lavorano per noi, ma con noi, se si riuscirà a rendere questo progetto attualmente autoprodotto ed
autofinanziato, qualcosa di più strutturato e capace di generare entrate, queste verranno ridistribuite in
maniera equa tra tutte quelle persone che hanno contribuito positivamente. Nella pagina successiva si no-
terà come tutto il sistema si arricchisce di questa redazione aperta, che genera contenuti inediti e richiama
nuovi potenziali utenti.
Avendo sperimentato tutti questi strumenti pratici bottom up, la nostra portata virale e la nostra capacità
di far circolare informazioni si è rivelata sufficiente, abbiamo quindi cercato dei contesti nel quale poter
lavorare praticamente ai temi ricercati e descritti fino ad allora solamante in maniera teorica.
22. 18
Come descritto nell’introduzione questo progetto non vuole rimanere ancorato ad una dimensione senza
spazio come quella di internet, vuole poter sfruttare al meglio quelle che sono le potenzialità della rete, ma
diventare propositore attivo di nuove possibilità del fare sostenibile, comune ed etico. Durante i mesi che
vanno da luglio a novembre, abbiamo lavorato duramente per riuscire ad estendere la nostra sfera d’azione
nel mondo reale, cercando possibilità di concretizzazione di tutto quello che avevamo fino ad allora solo
letto, scritto e documentato.
Riassumerò brevemente quelli che sono gli aspetti base che abbiamo riscontrato durante il lavoro pratico,
in seguito passerò ad approfondirli nel dettaglio.
Abbiamo iniziato organizzando una summer school a Prato, nella quale sperimentare un metodo di didat-
tica informale preso in prestito dalle esperienze pregresse fatte con Studio Superfluo. durante l’evento si
sono toccati diversi temi, rigenerazione urbana, orticultura cittadina, street art, permacultura, upcycling,
autoproduzione e generazione di comunità. Ci siamo accorti che per un lavoro di qualità era necessario
adottare simultaneamente più metodologie, capaci di intervenire sistemicamente in tutti i contesti sopra
citati. La difficoltà nel fare questo, si palesa dal punto di vista economico, costruire un team di tutor che
possano coprire con le proprie conoscenze tutti gli aspetti necessari, risulta molto oneroso con metodi
convenzionali di pagamento, di conseguenza abbiamo provato ad estendere il senso di appartenenza al
nostro progetto, integrando completamente queste persone e rendendole parte centrale dell’organizzazio-
ne. Così facendo il progetto si estende e le collaborazioni occasionali che ci sarebbero costate denaro si
trasformano in uno scambio reciproco di saperi e di saper fare.
Un’altra esperienza che si è rivelata molto interessante è stata all’interno del BIO 501
di Lubiana. Siamo
stati invitati a partecipare al progetto BIO 50 Hotel, attraverso il quale si voleva riflettere e far riflettere
sulle potenzialità dei musei, dei luoghi d’arte e cultura per quanto riguarda il turismo. Infatti gli organiz-
zatori hanno coniato un neologismo appositamente per l’evento, nanoturismo, termine che intende un
turismo di qualità e piccoli numeri, molto focalizzato sulle esigenze del singolo, sfruttando quell’effetto di
coda lunga possibile solamente con l’avvento di internet. In questo contesto abbiamo deciso di realizzare
una performance che avesse potuto unire diversi mondi da noi ricercati durante le prime fasi di Sustai-
nable Making. L’ esperienza è consistita nel vivere una settimana all’internto museo e autocostruire con
materiali di recupero, tutto quello che ci sarebbe potuto essere utile alla sopravvivenza. Siamo riusciti ad
occuparci di quasi tutto, avendo accesso al magazino del museo, abbiamo avuto tutto il legno che ci ser-
viva per costruirci, letti, dispensa, cucina con lavandino, divano ed altri oggetti utili alla vita quotidiana.
Da una parte è stata molto utile l’esperienza di DIY fatta con Studio Superfluo, dall’altra i rudimenti di
permacultura appresi nelle nostre ricerche hanno fatto si che potessimo costruirci dei fornelli pirolitici ed
una hay box con il quale preparare il nostro cibo. In quel momento abbiamo realizzato come le diverse di-
scipline che fino ad allora avevamo documentato, fossero effettivamente complementari e potessero forni-
re delle risposte concrete alla domanda di innovazione ed autosufficienza. Rinvigoriti da questa esperienza
ci siamo buttati a capo fitto nell’esperimento definitivo, quello che veramente avvalorerà o meno la tesi
secondo la quale facendo convergere in progetti di rigenerazione urbana, sociale ed ambientale, giovani
professionisti con competenze innovative e, lavorando a partire dai social network sia possibile generare
progetti interessanti e vantaggiosi per tutti i partecipanti.
Per comprendere meglio questa possibilità e necessario scendere più nel dettaglio rispetto ad ogni singolo
progetto, di seguito quindi saranno riportati i diversi articoli pubblicati nel nostro blog nei quali descri-
viamo in maniera completa tutte le tappe delle varie esperienze:
1 BIO, ovvero bienale oblikovanja, è la biennale di design più antica d’Europa, il numero che si trova alla destra cambia
di volta in volta perché rappresenta gli anni che sono trascorsi dalla prima edizione: http://bio.si/en/
23. 19
Recuperaction!
Recuperaction! è stato un workshop di rigenerazione urbana che si è tenuto a Prato nel luglio del 2014
grazie alla collaborazione tra Studio Superfluo e Sustainable Making.
Il laboratorio è stato incentrato sulla riqualificazione del cortile della “Casa dell’Insostenibilità“, base ope-
rativa dell’associazione Recuperiamoci!, che da anni promuove il recupero sociale, lavorando con detenuti
e persone con dipendenze di diversa natura. L’edificio si trova proprio nel centro di Prato, a due passi dal
municipio e dal duomo, ma la via in cui è situato è un crocevia dello spaccio di eroina per tutta la regione
circostante.
Riattivando questo spazio si vogliono contrastare quei poteri che da troppo tempo agiscono indisturbati,
facendo del business con la vita delle persone.
Per la realizzazione di questo evento si è tenuta inizialmente una open call rivolta ai creativi di tutta Italia
alla quale hanno risposto 10 volenterosi, tra designers, architetti ed artisti.
Differentemente dai soliti workshop organizzati, per rendere il progetto davvero completo abbiamo avuto
l’esigenza di dividere il lavoro in 4 gruppi differenti, ognuno con la propria area di intervento:
Tavoli e sedute, uno dei punti sul quale Recuperiamoci! vuole puntare è la cucina sociale, da una parte
è un buon modo per guadagnare qualcosa stringendo rapporti conviviali, dall’altra genera possibilità di
lavoro per persone svantaggiate. Il gruppo che si è occupato di questo progetto ha avuto a disposizione
legno da recuperare e chassi di computer.
Tettoia, se piove non si può mangiare all’aperto… è per questo motivo che coerentemente con le esigenze
di Paolo Massenzi( presidente di Recuperiamoci!) abbiamo deciso di costruire una tettoia dove potersi
riparare durante i giorni di pioggia. In questo caso abbiamo avuto la fortuna di essere stati aiutati da
Osvaldo Brizzi, falegname pratese di enorme esperienza. Il gruppo ha utilizzato legno di recupero e un
vecchio telone da tir.
Orto urbano, la struttura che ci ha ospitato, precedentemente era una tintoria, la vasca che una volta
serviva per colorare i vestiti, ora è piena di terra, quindi non abbiamo trovato modo migliore di sfruttarla
che realizzando un orto urbano che seguisse i principi della permacultura. Il gruppo ha piantato verdure
stagionali e ha riorganizzato funzionalmente le aree del piccolo orto-giardino.
Street Art, per una rigenerazione urbana completa, non si può prescindere dalle mura. L’ambiente nel
quale si trascorre molto tempo deve essere gradevole e colorato, questo ha un impatto psicologico molto
positivo. Il gruppo ha lavorato con vernici di risulta donateci da diversi negozi pratesi. Il tema del mare è
stato scelto come elemento di unione di molte culture e popoli, il faro illumina il cammino da percorrere
e le barche realizzate con la tecnica del collage conservano messaggi nascosti, decifrabili solamente dai più
attenti osservatori.
Personalmente a lavoro concluso, sono rimasto molto stupito, il fatto di esserci occupati di aree comple-
mentari ha reso possibile una rigenerazione a 360° che altrimenti non sarebbe stata possibile.
Abbiamo vissuto insieme per più di una settimana, condividendo qualunque momento della giornata,
dalla colazione, alla progettazione mattutina, al riposo pomeridiano, fino allo sfinimento serale (il lavoro
è stato molto intenso), non è stato sempre facile, per 15 persone che non si conoscono, vivere nello stesso
spazio può diventare problematico… ma così non è stato, anche essendo persone molto diverse, l’espe-
rienza è stata estremamente costruttiva.
Finalmente Prato ha il suo spazio dove far convivere, innovazione sociale, rigenerazione urbana, orto con-
diviso, cucina sociale, recupero di persone con dipendenze, integrazione culturale e design autoprodotto.
Grazie a tutti!
24. 20
Daniele Barco, Osvaldo Brizzi, Daniele Bucci, Lorella Forconi, Francesco Fortino, Tiziano Maffeis, Clau-
dio Mansueto, Paolo Massenzi, Lahiri Montuori, Martina Muggiri, Valentina Pallotti, Sebastiano Pirisi,
Alessio Puglisi, Linda Rotondi, Valentina Serra, Massimo Vannozzi e Valeri Volpe.
L’unione fa la forza!
Nanoturismo e Upcycling al Bio50 hotel
L’idea è allettante e da subito si cerca di mettere in piedi un progetto che racconti il massimo nel minimo
dei giorni possibili. Il nanoturismo è un concetto nuovo, intrigante nella sua semplicità. Promuove il turi-
smo sostenibile, lontano dalle grandi migrazioni, dalle spiagge strabordanti e i parcheggi introvabili. Come
nuovo approccio suggerisce il vivere gli spazi, anche quelli più impensabili, più banali, come propri, come
luoghi di interesse culturale, paesaggistico, attrattivo, dandogli il valore che, molto probabilmente, non
hanno mai avuto. Attraverso questo cambio di paradigma interpretativo il museo diventa luogo di vita,
ostello di menti creative che lo riempiono con i propri esperimenti e con le proprie abitudini giornaliere.
Siamo partiti nella tarda mattinata di una domenica d’ottobre, caricando la macchina con lo stretto neces-
sario e una certa consapevolezza di andare a vivere un’esperienza decisamente da non farsi scappare. Siamo
partiti in tre, una rappresentanza di Sustainable Making e una rappresentanza di Studio SuperFluo, amici
che da anni lavorano con materiali di recupero. Lubiana si presenta come una cittadina tranquilla, pulita e
ordinata, attraversata da un verde che fa bene agli occhi. È sera quando attraversiamo l’arco che precede la
grande corte del castello che, da qualche anno, ospita il Museo di architettura e design di Lubiana. Il tap-
peto di ghiaia scricchiola sotto le nostre scarpe mentre andiamo ad incontrare Silvia Susanna, che lavora
Sperimentazioni con materiale di recupero Particolare tettoiaLavori terminati
I ragazzi che hanno partecipato all’evento Osvaldo Brizzi, falegname locale mentre lavora
il legno per la tettoia
Orto urbano realizzato a Prato
25. 21
per Bio 50, la biennale del design e che si occupa della nostra permanenza. Ci sediamo sulle graziose sedie
di ferro che circondano il maestoso albero che domina la parte sinistra del cortile, davanti all’entrata del
museo. Silvia ci spiega che la biennale di Lubiana è la biennale più antica d’Europa, che, nonostante sia
un posto incantevole, il castello è per molti abitanti di Lubiana un perfetto sconosciuto. Facciamo i primi
passi all’interno di quelle stanze che per qualche giorno saranno la nostra casa. Passiamo tra le tante opere
e ammiriamo tutta la collezione del museo, soffermandoci ad ammirare le più curiose, ci attrezziamo per
la notte con cuscini e lenzuola. Salutiamo Silvia e ci concediamo una notte di riposo, sdraiandoci sui ma-
terassi in un angolo della grande sala e abbandonandoci ad una sincera allegria.
Il mattino seguente ci sveglia un sole timido, coperto da una fitta coltre di nebbia che sale dal fiume e
copre tutto il cortile; ci prepariamo e conosciamo Maja Vardjan, curatrice della biennale. Andiamo a
vedere i magazzini del museo dove riposano quintali di materiale inutilizzato che andranno a essere la
materia prima del nostro progetto. Ci sono tavole, vecchie sedie, tavoli, un tesoro di legno pronto per
essere rimesso in vita sotto altre forme, perfetto per costruire i tasselli che comporranno il nostro spazio
abitativo all’interno del museo. Ed è così che, giorno dopo giorno, dalla mattina presto fino alla sera,
abbiamo costruito la struttura di un divano, una dispensa, una struttura attaccata al letto con stendino e
attaccapanni e una cucina con lavello, piano e ripiani. Abbiamo anche inserito, oltre alla lavorazione del
legno, tecnologie low tech di sopravvivenza, come il fornello pirolitico e la hay-box, rispettivamente un
fornello fatto con due latte e dell’alcool e una scatola in legno che riempita di coperte e polistirolo serve a
mantenere la temperatura dei cibi o a continuare la cottura. Il nostro spazio è stato completato in cinque
giorni, con tanta fatica ed enorme soddisfazione, soprattutto nel vedere quello spazio vivere anche oltre
la nostra permanenza, grazie agli altri artisti che hanno abitato il museo, facendo loro quelle strutture e
quegli arredi.
Hay Box costruita con una cassa da spedizone Spazio abitativo minimo realizzato a termine
del workshop
Cucina
Risveglio dopo la prima notte passata a dormire
nel museo
Fornello pirolitico per cucinare i nostri pastiDopo aver visto i materiali di recupero a
disposizione, siamo passati alla progettazione
26. 22
Il significato profondo di questo lavoro sta nel far comprendere quanto nella produzione attuale si dia
per scontata la vita di un materiale e quanto in realtà sarebbe opportuno riconsiderarne il ciclo vitale e
ridurre drasticamente lo sfruttamento di materie prime. Il magazzino di un museo non è che un esempio
di quello che si può trovare nei magazzini di qualsiasi azienda o di qualsiasi istituzione pubblica o privata,
a dimostrazione del fatto che basta guardare nel posto giusto per trovare le risorse per qualsiasi progetto.
La rete romana del fare sostenibile
Durante questi mesi abbiamo viaggiato molto, scoprendo più di 15 luoghi del fare sostenibile, ricercando
e capendo come questi funzionassero internamente e come si interfacciassero nel tessuto sociale del quale
facevano parte.
Sin dall’inizio ci siamo resi conto che a livello macro, ovvero considerando una città o una regione qualun-
que, era sempre possibile rintracciare persone che si occupassero di sostenibilità, innovazione sociale, rige-
nerazione urbana ecc… è stato interessante scoprire che queste tematiche, che potrebbero sembrare così
di nicchia, fossero invece già di pubblico dominio. I progetti spesso però rischiano di rimanere piccoli,
non andando ad intercettare i veri bisogni dei territori o la domanda dei suoi abitanti, alle volte mancano
delle competenze complete, un team che possa sostenere tutti gli aspetti della progettazione sostenibile.
Il problema comune è la mancanza di una rete composta dagli attori del fare sostenibile, da chi ha compe-
tenze, da chi ha conoscenze, da chi ha dei bisogni e non sa come risolverli, solamente dalla condivisione
e il confronto possono nascere progetti di qualità capaci di lasciare il segno, migliorare il contesto che li
ospita e creare valore aggiunto da condividere localmente.
Creare delle reti di persone che possano incarnare i valori del fare sostenibile, ipoteticamente sembra
molto facile, in realtà richiede tempo e volontà ferrea, le persone che si occupano di progetti sostenibili
sono sempre molto impegnate, a volte non riescono a fare in modo che questi progetti siano la loro fonte
unica di rendita, di conseguenza devono trovare lavori alternativi, così facendo non hanno molto tempo
da dedicare ad una attività che può sembrare sperimentale e che non promette guadagni certi e veloci.
Nel nostro piccolo stiamo provando a costruire una rete romana del fare sostenibile, sono stati invitati a
partecipare designer, architetti, professori universitari, makers, orticultori urbani, guerrilla gardners, per-
macultori e persone che vogliono semplicemente imparare facendo qualcosa di bello per la propria città.
Fase o
Abbiamo iniziato questo esperimento a Roma, ci siamo incontrati a luglio con un piccolissimo gruppo di
persone, eravamo in 5 tutti giovanissimi, nessuno conosceva l’altro, eravamo accomunati semplicemente
dal sogno di condividere le nostre scoperte e capire se si poteva costruire qualcosa di nuovo. Abbiamo
parlato di noi stessi, ci siamo presentati e ognuno ha condiviso le proprie esperienze e sottolineato come
avrebbe potuto contribuire ad un progetto più grande. Questo primo incontro è stato molto positivo, chi
aveva uno spazio a disposizione ha accolto gli altri, chi aveva delle competenze per gestirlo ha donato il
proprio tempo per capire come implementarlo, da li sono nati dei dibattiti, degli incontri e tante doman-
de.
Fase 1
Da quel momento abbiamo capito che questa era la strada giusta da percorrere, le informazioni si autoge-
neravano e avevamo trovato un luogo dove mettere in pratica tutte le nostre conoscenze in materia di rige-
nerazione urbana e innovazione sociale. Francesco ci ha parlato di Villa Flaviana, parco situato a Cinecittà
Est (Roma sud est), ci ha mostrato il lavoro che il comitato di quartiere stava compiendo per riconquistare
uno spazio verde che da tempo era utilizzato come discarica a cielo aperto da parte di comunità rom che
27. 23
lo avevano colonizzato. Questa villa ha un valore immenso, è uno spazio naturale incredibilmente vasto, al
suo interno ci sono i resti di un edificio romano ancora da dissotterrare, il quartiere necessita di un luogo
dove poter svolgere tutte quelle attività ludiche e didattiche che vanno dal pic nic, al jogging alla creazione
di orti didattici e produttivi.
Villa Flaviana quindi è stata eletta come spazio nel quale far interagire tutti gli attori del fare sostenibile
che potessero generare valore aggiunto aiutando la popolazione a riappropriarsi di questo spazio, ma la-
sciando un segno importante del loro personale passaggio, un laboratorio urbano dove venire incontro alle
esigenze dei creatori e dei fruitori.
Per un progetto così ambizioso è fondamentale costruire un team completo, per questo abbiamo invitato
persone che si potessero occupare di fund raising, di comunicazione, di rapporti con le istituzioni, con il
quartiere, designers, architetti, persone che potessero progettare spazi verdi e orti funzionanti.
Abbiamo iniziato creando un gruppo facebook dove conoscerci online, ma a fine ottobre siamo riusciti
ad organizzare 2 incontri, 1 all’interno del Design Lab Roma2
e successivamente ci siamo incontrati in
maniera più informale direttamente a Villa Flaviana per un pic nic. La fase di conoscenza è stata avviata.
Fase 2
Il lavoro è appena iniziato, durante i mesi che andranno da novembre a maggio si terrà la grandissima par-
te delle attività di preparazione, progettazione dello spazio, dei workshop, delle conferenze, reperimento
fondi, comunicazione, si getteranno le basi per un evento da tenere a giugno.
Fase 3
Sarà il momento dove finalmente verrà concretizzato tutto il lavoro di quasi un anno, realizzare workshop
con il quartiere e le scuole, parlare di sostenibilità ai più piccoli, di agricoltura familiare, riuscire a donare
uno spazio per realizzare orti urbani, creare con materiale di recupero quello che serve alla comunità,
puntare i riflettori della stampa e della politica nella periferia di Roma per mostrare come tante persone si
stiano rimboccando le maniche per cambiar faccia alla città, renderla più umane dal punto di vista estetico
ed etico.
Fase 4
Si spera che tutto vada secondo i piani, non è scontato, ma il gruppo che si è formato e che sta lavorando
è competente e pieno di energia. Terminato questo evento, una volta aver reso indipendente il comitato
per Villa Flaviana, avendolo accompagnato e avendo accelerato il processo di riappropriazione urbana,
valuteremo e rielaboreremo tutto il materiale, facendo crescere la rete troveremo nuove realtà bisognose
di interventi simili e potremmo farci forti di questa prima esperienza per riuscire a supportare tutte quelle
persone che si impegnano per avere il sacrosanto diritto di vivere in un quartiere bello, funzionale e a
misura d’uomo.
La rete romana del fare sostenibile potrà crescere diventando così strumento per tutte quelle situazioni
isolate che pur predicando un cammino sostenibile non avrebbero la forza di metterlo in pratica, sarebbe
bello rendere Roma vera capitale di un cambiamento possibile solamente grazie alla collaborazione e che
possa vedere come attori principali gli stessi cittadini.
Con la fantasia si potrebbero immaginare azioni del genere in tutte le città italiane per riconquistare quegli
spazi che anni di incuria e negligenza hanno trasformato in degrado e povertà, rigenerare qui territori
che la popolazione può sfruttare per evadere dal grigiore e dall’alienazione cittadina, ma soprattutto per
trovare delle risorse complementari che vadano a sostituire quell’enorme mancanza derivata dalla crisi
economica che non accenna a terminare.
Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale il supporto e l’aiuto di tutti, siamo sempre aperti verso
2 Evento di design tenutosi a Roma durante l’ottobre del 2014, i temi trattati sono stati giovani talenti e città creative:
http://www.romadesignlab.it/
28. 24
nuove collaborazioni e per questo vi invitiamo a scriverci per poter entrare in contatto e costruire qualcosa
che non sarebbe possibile solamente con le nostre forze.
Per rendere concreto l’esempio di villa Flaviana abbiamo costruito un team composto da Studio Super-
fluo, Laboratorio Linfa3
, Re(d)cycleLab4
, Giardinieri Sovversivi5
, Studio Extramoenia6
, Etrusco 2.0, Luigi
Cuppone professore dell’ISIA di Roma, Elisa Pellirossi europrogettista, Marco Galli permacultore e tutti i
ragazzi del comitato spontaneo di villa Flaviana che è composto di diverse professionalità, dall’architettura
alla medicina alla biologia fino alla politica. Un gruppo di lavoro del genere rende possibile una proget-
tazione realmente completa dello spazio verde di cui vorremo occuparci capace di toccare il tema del fare
sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.
3 Laboratorio Linfa è uno studio di progettazione sostenibile attivo nella capitale sin dal 2008, è molto presente sul
territorio e grazie al suo fondatore Luigi Cuppone, professore presso l’ISIA di Roma riesce a diffondere l’approccio
dell’ecodesign alle nuove generazioni di progettisti: www.laboratoriolinfa.com
4 Collettivo che si occupa di sartoria con stoffe di recupero: https://redcyclelab.wordpress.com
5 Gruppo di guerrilla gardners attivi a Roma: https://www.facebook.com/GiardinieriSovversivi
6 Studio di progettazione urbanistica e ambientale: http://www.studioextramoenia.com/
Sistema di recupero acqua piovana Riunione operativa per esplorare il territorio e
organizzare il calendario
Orto urbano
La tavola rotonda organizzata al Design Lab
Roma per creare il team di lavoro
Panchina in pallet costruita dal comitato per
Villa Flaviana
Primo progetto per Villa Flaviana
29. 25
Questi 3 esempi rappresentano chiaramente quella che è un evoluzione di visione maturata durante il
tempo, inizialmente la maggior parte delle scelte erano supportate semplicemente da supposizioni ed in-
tuizioni. Con il passare del tempo molto è stato sperimentato praticamente e ci ha confermato quello che
all’inizio sospettavamo solamente, sono stati anche parecchi i feedback che ci hanno spinto a riconsiderare
azioni compiute, ma che non si sono rivelate utili. Si è trattato di un progetto in costante evoluzione che
non si è fossilizzato ma ha continuato a mutare nel tempo. Abbiamo scelto di adottare una metodologia
molto aperta che ci ha consentito di riformulare di volta in volta gli obiettivi a breve termine e le necessità
di Sustainable Making, che è sempre stato trattato come caso studio piuttosto che come creazione perso-
nale da tutelare e difendere a spada tratta.
Nella pagina successiva è presente lo schema definitivo che rappresenta il sistema completo che è stato
creato, in cui a differenza di quelli precedenti si aggiunge la parte di progettazione sistemica reale e tutte
le esperienze concrete compiute.
32. 28
Sustainable Making si posiziona quindi come piattaforma online, gruppo di ricerca indipendente,
struttura di teambuilding e progettazione sistemica. Nel panorama attuale sono già presenti diversi
enti internazionali che si occupano di tematiche molto simili. Per dovere di cronaca è indispensabile
citarle, è necessario capire come hanno fatto ad ingrandirsi e quali potrebbe essere quindi l’evoluzio-
ne del nostro progetto. Italia che Cambia1
, Societing2
, Make Sense3
, P2P Foundation4
, Kublai5
, Rena6
e Social Street7
sono solo alcune realtà che nel corso della nostra ricerca abbiamo avuto la possibilità
di conoscere, riflettono sui temi della sostenibilità, della sharing economy, dell’innovazione socia-
le, della diffusione del sapere e del saper fare su vari livelli e nel tempo hanno avuto la possibilità di
essere finanziate e di crescere. Tutte queste iniziative sono particolarmente legate al mondo digitale o
alla possibilità di incubare o facilitare percorsi creativi di altre aziende, ma nessuna di loro è riuscita
a creare una rete glocale efficente come OuiShare.
Homepage di OuiShare
1 Testata giornalista che si occupa di mappare le persone che si impegnano per cambiare attivamente e positivamente
l’Italia: http://www.italiachecambia.org/
2 Comunità che raccoglie e genera casi studio riguardo l’innovazione sociale in Italia: http://www.societing.org/
3 Movimento internazionale che diffonde know how riguardo progetti sociali, accompagnando praticamente le persone
che decidono di aderire al manifesto: http://beta.makesense.org/
4 È una fondazione che si occupa di supportare i mutamenti sociali derivati dalle possibilità di peer to peer:http://p2p-
foundation.net/
5 Aambiente collaborativo per lo sviluppo di idee e progetti, creato nel 2008 dal Dipartimento per lo Sviluppo e la
Coesione Economica del Ministero dello Sviluppo Economico. Il principale obiettivo di Kublai è aiutare le buone idee a
trasformarsi in progetti: http://www.progettokublai.net/
6 Associazione indipendente e plurale, animata da giovani che operano con merito nei diversi settori pubblici e privati,
a livello locale, nazionale,europeo e internazionale, e che vogliono fare dell’Italia un paese aperto, responsabile, tras-
parente, equilibrato. http://www.progetto-rena.it/
7 Start up italiana che vuole ricostruire comunità locali nelle diverse zone delle città, le attività si svolgono in un duplice
contesto virtuale e reale: http://www.socialstreet.it/
33. 29
Bisogna sicuramente spendere qualche parola in più riguardo questa associazione che in ambito
internazionale sta riuscendo in un impresa incredibile. Grazie ad una struttura decentralizzata ed
orizzontale nelle singole località la strategia gestionale di Ouishare8
è fonte di ispirazione. La struttu-
ra è apertissima, siamo entrati a farne parte come membri sostenitori, ci è stata data la possibilità di
collaborare per l’organizzazione di un summer camp che si terrà durante l’estate del 2015 distribuito
fra il Rural Hub9
e l’XYLab10
due dei poli più proficui per quanto riguarda l’impresa innovativa in
Italia. Per ora tutto è ancora in divenire, ma c’è la possibilità di lavorare insieme a Ouishare e poter
diventare connectors, che nel gergo tecnico dell’associazione significa diventare hub territoriale che
mette in comunicazione la rete internazionale con quella cittadina, organizzatore di eventi nella sfera
locale che verranno sostenuti e condivisi dalle altre realtà, ciascuno nella propria regione.
Questo approccio ci consola e ci da speranze, anche sapendo che il mercato è pieno di competitors
potenziali, abbiamo capito che c’è ancora spazio per tutti se si agisce in dimensioni differenti, anzi,
possono nascere collaborazioni dove i grandi e i piccoli possano convivere e accrescere notevolmente
il loro impatto.
Anche in questo caso possiamo dimostrare che la sharing economy agisce in maniera efficiente
attraverso le sinergie tra i diversi attori, che siano singole persone o grandi associazioni, la logica
non cambia, è possibile convivere, anzi, è possibile raggiungere obiettivi molto più alti di quanto si
potrebbe fare in maniera isolata.
Sicuramente non ci sarà la possibilità di riuscire a raggiungere ottimi rapporti con tutti, ma come si è
scritto in principio questi approcci inclusivi sono un mezzo per cambiare una situazione economico,
sociale e ambientale critica, non una panacea per tutti i mali.
8 Rete internazionale che coordina eventi di social innovation a livello globale: http://ouishare.net/en
9 Nodo principale di una rete di ricercatori, attivisti, studiosi e manager interessati nel individuare nuovi modelli di
sviluppo economico per trovare soluzioni ai bisogni sociali e di mercato che emergono dal mondo delle nuove imprese
rurali: http://www.ruralhub.it/
10 Laboratorio permanente che si occupa di formare e realizzare progetti con designer, programmatori, makers e artig-
iani digitali: www.xylab.org/
34. Si passa quindi da un sustainable designing al vero Sustainable Making.
Questo progetto tecnico-pratico è un’esperienza che avvalora la tesi secondo la quale è possibile autopro-
durre opportunità connettendo diversi nodi di un sistema che attualmente non si intersecano.
L’ecosistema dell’innovazione sociale ha bisogno proprio di lavorare su diversi livelli ed è nell’interesse
di tutti riuscire a generare link tra parti periferiche, intese come singole persone che si approcciano per
la prima volta a questi temi e gli hub, quelle associazioni internazionali che ricercano e creano casi studi
riguardo a discipline neonate come questa.
Come si può vedere dallo schema sottostante, Sustainable Making si posiziona proprio in questo settore
30
CONCLUSIONI
mediano.
È fondamentale, per la sopravvivenza di tutte queste realtà e per garantirne una crescita positiva andare
ad intercettare 3 target fondamentali. I primi sono i policy maker, ovvero chi ha effettivamente il potere
di influenzare a livello legislativo intere nazioni, hanno le possibilità di compiere delle scelte responsabili
verso l’ambiente e la società, i secondi sono rappresentati dall’utenza mainstream, che il più delle volte
segue i temi dei quali si sta trattando senza possibilità di approfondirli sufficientemente per compiere
scelte oculate, in fine i terzi sono i giovani e giovanissimi, quelli che avranno la possibilità di influenzare
Realtà internazionali
Realtà nazionali
Città
Realtà locali
Cittadini
Questo schema, anche se molto semplificato descrive le differenti scale dimensionali da tener presenti per poter realizzare progetti sistemici di ampio
spettro
35. 31
il mondo fra 10 o 20 anni, loro sono fondamentali per garantire una sostenibilità duratura ai temi che
stanno emergendo.
Senza andare a competere con gli elementi di un sistema già potenzialmente delineato, abbiamo scelto di
lavorare attraverso gli strumenti di design che ci sono stati forniti durante il periodo di studio all’interno
del corso di Ecodesign. Volevamo creare un progetto che potesse essere allo stesso tempo conclusione ed
inizio di un percorso, e così è stato.
Per riuscire a sopravvivere, il progetto dovrà assolutamente trovare dei fondi con i quali garantire la pre-
senza di nuovi attori che possano introdurre le proprie competenze specifiche e per renderlo sostenibilie
dal punto di vista economico.
Fatto questo ci accoderemo a quelli che saranno i mutamenti che il tempo richiederà, lasciando immutati
gli obiettivi che ci siamo preposti, lavoreremo come abbiamo fatto fino ad ora, riconsiderando di volta in
volta i feedback che le nostre azioni genereranno.
La nostra strada e quella dell’innovazione sociale è lunga, ma i tempi sono maturi, ancora non siamo in
grado di definire come muterà la nostra società, ma la storia ci ha insegnato che ogni crisi porta con se
una rinascita, sarà questo il caso?
36. GLOSSARIO
Banca del tempo: È un “istituto di credito” dove non si deposita denaro bensì tempo e disponibilità.
È un luogo che agisce come centro di raccolta della domanda e dell’offerta di tempo. I soci della Banca
attuano uno scambio reciproco di prestazioni e di tempo offrendo ciò che sanno fare e ricevendo ciò di
cui hanno bisogno.
Coda lunga: In inglese The Long Tail, è un’espressione coniata da Chris Anderson in un articolo
dell’ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere alcuni modelli economici e commerciali. Può essere
applicata ad una strategia di vendita al dettaglio, basata su analisi statistiche, per cui si predilige vendere
un gran numero di oggetti unici in quantità relativamente piccole di ogni oggetto venduto, rispetto a
vendere un numero esiguo di elementi popolari in grandi quantità.
Competitor: In ambito economico e commerciale, persona, o, più comunemente, organizzazione o
azienda impegnata in una competizione contro altri concorrenti; competitore.
Creative Commons: Sono alcune licenze di diritto d’autore redatte e messe a disposizione del pub-
blico dalla Creative Commons (CC), un ente non-profit statunitense fondato nel 2001 da Lawrence
Lessig, professore di diritto all’ Harvard University. Queste licenze, in sostanza, rappresentano una via
di mezzo tra copyright completo (full-copyright) e pubblico dominio (public domain): da una parte la
protezione totale realizzata dal modello all rights reserved (“tutti i diritti riservati”) e dall’altra l’assenza
totale di diritti (no rights reserved). La filosofia su cui si fonda lo strumento giuridico delle licenze CC
si basa sul motto some rights reserved (“alcuni diritti riservati”): è l’autore di un’opera che decide quali
diritti riservarsi e quali concedere liberamente.
Crowdfunding: (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) o finanziamento collettivo in
italiano, è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune
per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. È una pratica di micro-finanziamento dal basso che
mobilita persone e risorse.
DIY (do it yourself): Il DIY (abbreviazione di Do It Yourself, equivalente dell’italiano fai da te) è
un’etica nata e diffusa all’interno della cultura punk, che rifiutava le major della distribuzione musicale.
Questo termine ha poi avuto uno sviluppo anche in altri ambienti, come nel movimento dei Makers,
dove si intende il fai da te in senso di produzione diffusa attraverso progettazione e realizzazione in pic-
cola scala, più vicino all’artigianato che all’industria.
Feedback: Termine equivalente all’italiano retroazione, che designa il processo per cui l’effetto risul-
tante dall’azione di un sistema si riflette sul sistema stesso per variarne o correggerne opportunamente il
funzionamento
Fornelli pirolitici (pirolisi): La piròlisi (o piroscissione) è un processo di decomposizione termo-
chimica di materiali organici, ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di un
agente ossidante (normalmente ossigeno).
Glocale: È un termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della
globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internaziona-
li. La glocalizzazione, pur ponendo idealmente il micro gruppo alla base della sua analisi, è cosciente che
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37. esso cresce, si sviluppa, interagisce con gli altri gruppi sempre più complessi fino ad arrivare alle com-
plesse realtà globalizzanti di oggi. Il significato della parola “locale” si espande di fatto inglobando senza
confondere realtà locali che rimangono a tutti gli effetti sottosistemi significanti.
Green economy: È un modello teorico di sviluppo economico dove si prende in considerazione
anche l’impatto ambientale cioè i potenziali danni ambientali prodotti dall’intero ciclo di trasformazio-
ne delle materie prime a partire dalla loro estrazione, passando per il loro trasporto e trasformazione in
energia e prodotti finiti fino ai possibili danni ambientali che produce la loro definitiva eliminazione o
smaltimento.
Guerrilla gardening: È una forma di azione nonviolenta diretta, praticata soprattutto da gruppi
ambientalisti. Gli attivisti rilevano un pezzo di terra abbandonato, che non appartiene loro, per farci
crescere piante o colture.
Hay box: Letteralmente scatola di paglia, è uno strumento che utilizza il calore del cibo appena cu-
cinato per completare il processo di cottura. Il cibo viene cotto fino al punto di ebollizione, dopodiché
viene posto all’interno della scatola e isolato. Gli alimenti continuano a cuocere dal calore trattenuto nel
contenitore isolato.
Innovazione sociale: Nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali
(in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove
collaborazioni. Sono innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione
per la società stessa.
Makers: Sono un movimento culturale contemporaneo che rappresenta un’estensione su base tecno-
logica del tradizionale mondo del fai da te. Tra gli interessi tipici degli artigiani digitali vi sono realizza-
zioni di tipo ingegneristico, come apparecchiature elettroniche, realizzazioni robotiche, dispositivi per
la stampa 3D, e apparecchiature a controllo numerico. Sono anche comprese attività più convenzionali,
come la lavorazione del metallo, del legno e l’artigianato tradizionale.
Nanoturismo: Il nanoturismo mira a fornire un’alternativa al turismo predatorio. Può essere interpre-
tata come un’ esperienza di collaborazione: si costruisce con la popolazione locale una qualsiasi costru-
zione o un’opera d’arte in modo da ricambiare l’ospitalità e creare un valore aggiunto al territorio.
Open call: È un termine che indica una chiamata o un provino, aperta a chiunque voglia provare.
Viene usato spesso per l’apertura di un concorso di progettazione o per una riunione di professionalità
specifiche.
Open harware: È un termine principalmente usato per esprimere la libera divulgazione di infor-
mazioni riguardanti il progetto stesso dell’hardware, comprendente gli schemi, la lista dei materiali e il
layout dei dati del circuito stampato.
Open Source: Termine inglese che significa codice sorgente aperto, indica un software i cui autori
(più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono e favoriscono il libero studio e l’apporto di
modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l’applicazione di
apposite licenze d’uso. Il fenomeno ha tratto grande beneficio da Internet, perché esso permette a pro-
grammatori geograficamente distanti di coordinarsi e lavorare allo stesso progetto.
Peer to peer (P2P): È un’espressione che indica una rete in cui i nodi non sono gerarchizzati, ma
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38. sono nodi equivalenti o paritari (in inglese peer) che possono cioè fungere sia da cliente che da servente
di informazioni verso gli altri nodi terminali (host) della rete.
Permacultura: È un metodo di progettazione e gestione di paesaggi antropizzati in modo che siano
in grado di soddisfare bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino
la resilienza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali. Il termine “permacultura” deriva dall’inglese
permaculture, una contrazione sia di permanent agriculture sia di permanent culture dal momento che,
secondo il coniatore del termine Bill Mollison: “una cultura non può sopravvivere a lungo senza una
base agricola sostenibile ed un’etica dell’uso della terra”
Prosumers: È una parola formata dalla composizione della parola professional oppure producer, con
la parola consumer; si riferisce ad un utente che, svincolandosi dal classico ruolo passivo, assume un
ruolo più attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo.
Red economy: È un termine legato ai teorizzatori della Blue Economy, ed è usato per indicare il mo-
dello di sviluppo attuale caratterizzato da consumi di massa a basso costo, con prodotti che non tengono
conto delle risorse del futuro e del loro spreco, con enormi danni all’ambiente. Un modello economico
basato solo sul “core business”.
Rigenerazione urbana: Sta a indicare il tentativo da parte delle istituzioni o dei cittadini di riappro-
priarsi e reinventare destinazioni d’uso per edifici e porzioni di città abbandonate e in disuso.
Sharing economy: È un modello economico basato su di un insieme di pratiche di scambio e condi-
visione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze. È un modello che vuole proporsi come alterna-
tivo al consumismo classico riducendo così l’impatto che quest’ultimo provoca sull’ambiente.
Stakeholder: Un soggetto (o un gruppo di soggetti) influente nei confronti di un’iniziativa economi-
ca, sia essa un’azienda o un progetto. Fanno, ad esempio, parte di questo insieme: i clienti, i fornitori, i
finanziatori (banche e azionisti), i collaboratori, ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di
aree limitrofe all’azienda o gruppi di interesse locali.
Start Up: È il neologismo, derivante dall’inglese, che indica la fase iniziale per l’avvio di una nuova
impresa, cioè quel periodo nel quale un’organizzazione cerca di rendere profittevole un’idea attraverso
processi ripetibili e scalabili. Inizialmente il termine veniva usato unicamente per indicare la fase di
avvio di aziende nel settore internet o tecnologie dell’informazione.
Team building: Costituisce un insieme di attività formative, variamente definite come team game,
team experience, team wellbeing (ludiche, esperienziali o di benessere), il cui scopo è la formazione di
un gruppo di persone affiatate che vadano, in seguito, ad occuparsi di un progetto.
Transition town: Rappresentano un movimento fondato in Irlanda e in Inghilterra dall’ambien-
talista Rob Hopkins. L’obiettivo del progetto è di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida
costituita dal sommarsi del riscaldamento globale e del picco del petrolio. Il movimento è attualmente
in rapida crescita e conta centinaia di comunità affiliate in diversi paesi. Le comunità sono incoraggiate
a ricercare metodi per ridurre l’utilizzo di energia ed incrementare la propria autonomia a tutti i livelli.
Esempi di iniziative riguardano la creazione di orti comuni, riciclaggio di materie di scarto come materia
prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti
in luogo della loro dismissione come rifiuti.
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39. Upcycling: È il processo di conversione e rigenerazione di materiali di scarto o prodotti in disuso in
nuovi materiali o prodotti di migliore qualità, con lo scopo di ridurre la necessità di sfruttamento di
materie prime e di conseguenza l’impatto ambientale.
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40. Bibliografia
- aa.vv., “The Open Book of Social Innovation”, licenza Creative Commons, 2010.
E’ possibile scaricare la traduzione italiana del testo a cura di Alex Giordano e Adam Arvidsson sul sito:
http://www.societing.org/wp-content/uploads/Open-Book.pdf
- Barabási Albert-László, Link, Einaudi editore, 2004
- Boeri Stefano, L’ anticittà, Laterza, 2011
- Gratton Lynda, Il salto, Il Saggiatore, 2012
- Kim W. Chan, Mauborgne Renée, Strategia oceano blu, Etas, 2005
- Latouche Serge, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri Editore, 2005.
- McDonough William, Braungart Michael, Dalla culla alla culla, Blu Edizioni, 2003
-Rifkin Jeremy, La società a costo marginale zero, Mondadori, 2014
41.
42. Ringraziamenti
Vorrei ringraziare la mia famiglia, che mi ha sempre suspportato durante il mio percorso;
i miei colleghi di lavoro, Claudio Mansueto e Sebastiano Pirisi con i quali ho strutturato il progetto sin dal
principio e che mi hanno aiutato anche dopo la loro discussione di laurea;
Martina Muggiri, che pur lavorando alla propria tesi si è sempre rivelata disponibile e che mi ha sempre
sostenuto durante questo percorso;
tutte le persone che hanno contribuito in maniera attiva a questo progetto, consapevoli o meno, conosciute di
persona o esclusivamente via social network.
Un ringraziamento speciale va al prof. Luigi Bistagnino e il prof. Fabrizio Valpreda per la
pazienza e gli utili consigli.