IPSOA Quotidiano. La neutralizzazione delle clausole di salvaguardia che prevedono un aumento delle aliquote Iva è un dichiarato impegno del Governo. Ma è davvero una scelta opportuna?
1. CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA- 30 AGOSTO 2016 ORE 06:00
Aumento delle aliquote IVA: trappola o
opportunità?
Fabio Ghiselli - Tax Director Italmobiliare S.p.A.
Il Governo sembra intenzionato a confermare l’impegno di sterilizzare le clausole di
salvaguardia che dispongono gli aumenti delle aliquote IVA. Se si considera isolatamente il
problema “clausole di salvaguardia”, la mera possibilità che non si trovino le risorse per
neutralizzare tali incrementi scatena ogni sorta di critica: l’aumento dell’IVA
rappresenterebbe una trappola tale da deprimere la domanda con pesanti conseguenze
sulla produzione di beni e servizi e sull’intera economia. Se però si considera questo
intervento nell’ambito di una Manovra che incida anche su altre imposte, la cui riduzione
sia in grado di dare un impulso alla domanda (come l’IRPEF, ad esempio), la stessa
trappola - adeguatamente trattata - potrebbe diventare un’opportunità.
In vista della prossima sessione di bilancio che inizierà a fine settembre con l’aggiornamento
del DEF per proseguire con la nuova legge di bilancio, il Governo sembra intenzionato a
confermare l’impegno di sterilizzare le clausole di salvaguardia previste dalla legislazione
vigente che dispongono gli aumenti delle aliquote IVA.
Clausole che saranno destinate a scomparire per effetto delle nuove regole sui contenuti che
dovranno avere le prossime leggi di bilancio, introdotte dalla legge 4 agosto 2016, n. 163, appena
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (n. 198 del 25 agosto 2016).
Se il problema “clausole di salvaguardia” viene isolatamente considerato, è evidente che la
mera possibilità che non si trovino le risorse per neutralizzare tali incrementi, scatena ogni
sorta di critica. Questo perché, alla luce dei dati sull’andamento dell’economia nazionale, primo
fra tutti l’indice dei consumi delle famiglie, che il DEF stima per il 2016 a un + 0,9% (con stime
che vanno dall’1% all’1,4%, ma l’indice è risultato negativo dal 2011 al 2013 e positivo nel 2014 e
nel 2015 ad un modesto tasso dello 0,4 e 0,5%, secondo i dati del CSC Confindustria, ISTAT e
Banca d’Italia), il timore più grande - quasi una certezza - è che l’aumento dell’IVA rappresenti
una terribile trappola, porti, cioè, a deprimere la domanda con pesanti conseguenze sulla
produzione di beni e servizi e sull’intera economia.
Ma se consideriamo questo intervento nell’ambito d una manovra che incida anche su altre
imposte la cui riduzione sia in grado di dare un impulso alla domanda - come l’IRPEF, ad
esempio - la stessa trappola, se adeguatamente trattata, potrebbe diventare un’opportunità.
In primo luogo, qualunque tipo di approccio dovrebbe partire dalla consapevolezza che le nostre
entrate tributarie sono caratterizzate da un forte squilibrio tra imposte dirette e indirette (in
particolare l’IVA): sul totale del 2015 pari a 436.347 milioni di euro, le prime coprono il 55% per un
totale di 239.727 milioni - di cui 176.175 milioni di IRPEF, pari a oltre il 40% del totale, e 33.754
milioni di IRES, pari all’8,15%; l’IVA produce un gettito di 119.321 milioni di euro, pari al 27,3%. A
differenza di quello che accade negli altri Paesi UE, dove l’IVA copre oltre il 35% in Germania, il
51% in Francia e il 27% nel Regno Unito (dati MEF-Dipartimento delle Entrate, Entrate tributarie
internazionali 2015).
Quindi, si potrebbe pensare di lasciar crescere l’aliquota IVA ordinaria dal 22 al 24%
mantenendo ferme le aliquote agevolate del 4 e del 10% sulla quasi totalità dei beni e dei
servizi compresi nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 633/1972, che andrebbero almeno parzialmente
riorganizzate. In questo modo si libererebbero risorse, dovute alla non più necessaria copertura
per il 2017 pari a 8.176 milioni di euro, che si riproporrebbero nel 2018 e nel 2019. Allo stesso
modo, liberando l’aumento dal 24 al 25% nel 2018, sarebbero recuperati altri 4.088 milioni di
euro (e un identico ammontare nel 2019).
2. Questo potrebbe rappresentare una sorta di intervento di “svalutazione fiscale” che non
inciderebbe sulle esportazioni ma graverebbe sulle importazioni di beni e servizi (già
sperimentato in altri Paesi), considerato che il peso dei prodotti importati è maggiore
nell’ambito dei beni colpiti dall’aliquota ordinaria (ISTAT analisi su dati 2010). Così facendo non
si produrrebbe un inasprimento indifferenziato dell’imposizione e un effetto regressivo sui
consumi, come paventato in passato da alcuni analisti.
Quanto agli effetti redistributivi determinati dagli aumenti dell’IVA, sebbene di difficile
stima, c’è da dire che mentre un aumento dell’aliquota ordinaria incide maggiormente sulle
famiglie con redditi più elevati, un aumento delle aliquote ridotte incide significativamente
sulle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli (ISTAT analisi su dati 2011-2013).
Mantenendo ferme queste ultime, l’incidenza dell’incremento dell’aliquota ordinaria non
dovrebbe essere eccessivo.
Ma - e questa sarebbe l’altra faccia della medaglia - le risorse che in tal modo sarebbero
liberate potrebbero finanziare una rimodulazione degli scaglioni di reddito con creazione
di nuove fasce per garantire un effetto più progressivo, concentrata su quelle comprese tra i
28.000 e i 55.000 euro, e una parziale riduzione delle aliquote, oggi troppo elevate, dal
momento che superano il 40% (considerando le addizionali), già per i redditi superiori a 28.000
euro.
La riduzione della tassazione diretta produrrebbe un aumento del reddito disponibile in
capo a quelle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli che hanno una propensione al
consumo più elevata.
In questo modo, potremmo attenderci un aumento significativo della domanda con effetti
benefici sulla produzione che il Governo sta cercando in tutti i modi di stimolare.
Naturalmente, non si esclude che una parte del maggior reddito disponibile vada ad
incrementare i risparmi, tenuto conto di un depresso indice di fiducia delle famiglie italiane
verso il futuro.
É vero che, come sostenevano alcuni analisti, l’aumento della sola aliquota ordinaria potrebbe
incidere negativamente, seppur in misura limitata, sui c.d. incapienti, ossia su coloro che non
pagando imposte non beneficerebbero della riduzione delle aliquote IRPEF e della
rimodulazione degli scaglioni di reddito. Ma per questi soggetti si potrebbe intervenire con un
bonus mirato - sul tipo di quello già adottato dal Governo Renzi - finanziato tramite una
revisione delle detrazioni d’imposta non particolarmente significative dal punto di vista sociale
o non cosi rilevanti da trovare ancora spazio nel nostro sistema tributario
Se le risorse liberate dalla mancata parziale disattivazione delle clausole di salvaguardia non
fossero, come probabile, sufficienti a garantire quell’atteso effetto espansivo sui consumi,
potrebbe essere annullata la prevista riduzione dell’aliquota IRES dal 27,5 al 24%. In
questo modo si libererebbero altri 3.970 milioni di euro già destinati a copertura dalla legge di
Stabilità 2016 per il solo 2017.
Inoltre, un aiuto significativo potrebbe arrivare anche dal recupero dell’evasione, ma non in
termini generali, sempre così difficile da realizzare, bensì in termini specifici: penso,
essenzialmente, all’evasione IVA, molto più semplice da contrastare sia con l’attività di
controllo che con quella normativa. Un’evasione valutata per il 2015 in quasi 39 miliardi di euro,
il 2,4 % del PIL. Evasione che dovrebbe essere perseguita con maggiore vigore di quello
dimostrato sino ad oggi, alla luce del fatto che l’Italia ha il maggiore tax gap IVA di tutti i Paesi
dell’UE, dopo la Grecia, pari al 33,6% del gettito teorico, contro il 16,5% della Spagna, l’11,4% della
Germania, il 9,8% del Regno Unito e l’8,9% della Francia. Se solo raggiungessimo il livello dei
nostri cugini spagnoli recupereremmo 24 miliardi di euro per finanziare la manovra sulle
aliquote IRPEF. Senza contare che il recupero dell’evasione IVA trascinerebbe automaticamente
il recupero di almeno una quota delle imposte sul reddito.
Se consideriamo che il Governo ha posto in essere significativi interventi volti a favorire gli
investimenti, e altri sono allo studio, non mi pare si possa negare che ciò di cui hanno
maggiormente bisogno le imprese oggi sia di vendere i beni e servizi prodotti. E questo, in