L'e-magazine di Four Tourism. In questo numero parliamo delle opportunità offerta dalla Commissione Europea nella programmazione 2014-2020 alle destinazioni turistiche per favorire la costruzione di strategia di sviluppo locale. Partendo da un'inquadramento generale dal tema, si appofondiscono nello specifico le caratteristiche dell'approccio Leader e CLLD fino ad arrivare ad esaminare le nuove sfide per i Gal per lo sviluppo di Piani Partecipati
1. Destinations
& TourismRivista di Destination Management e Marketing
comunicazione social marketing destination
Web Marketing Promocommercializzazione prodotto
strategia promozione formazione management
n. 25/ gennaio 2015
DESTINATION
MANAGEMENT
Le priorità dello sviluppo
locale 2014-2020: una
panoramica
DESTINATION
MANAGEMENT
Dall’approccio Leader al
nuovo CLLD
FOCUS
Lo Sviluppo Locale di tipo
partecipativo: le sfide per
i GAL
Visita il blog di Four Tourism: www.fourtourismblog.it
2. Destinations & Tourism n° 25| gennaio 2015
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La formazione Four Tourism 2015
Sommario
Destination Management
Le priorità dello sviluppo rurale 2014-
2020: una panoramica
Destination Management
Dall'approccio Leader al nuovo CLLD
Focus
Lo Sviluppo Locale di tipo
partecipativo: le sfide per i GAL
Four Tourism Srl
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3. Destinations & Tourism n° 25| gennaio 2015
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2
Le priorità dello sviluppo rurale 2014-2020: una
panoramica
Destination Management
di Bruno BerteroUn inquadramento generale del tema
La strategia Europa 2020, come è noto, intende
raggiungere cinque importanti traguardi in termini di
occupazione, istruzione, riduzione della povertà e
clima/energia, per ognuno dei quali ha
fissato degli obiettivi principali specifici.
Ma non solo: la strategia prevede infatti che la futura
crescita economica nell’Unione Europea abbia
determinate caratteristiche, ossia sia intelligente,
sostenibile ed inclusiva.
Di conseguenza, la politica di sviluppo rurale per la
programmazione 2014-2020 dovrà concorrere alla
realizzazione dei traguardi stabiliti da Europa 2020,
proponendosi di raggiungere nel mondo rurale
una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva in
linea con quello che è il cuore della strategia
europea.
Negli anni, la politica di sviluppo rurale dell’Unione
Europea si è evoluta costantemente, in modo tale
da riuscire a rispondere e a tenere il passo con le
continue sfide emergenti nelle zone rurali.
Il processo di riforma più recente, che ha accompa-
gnato la riorganizzazione generale della politica
agricola comune dell’UE (PAC), è stato di fatto
completato solo l’anno scorso, nel dicembre 2013,
con l’approvazione degli atti legislativi di base per il
periodo 2014-2020.
Andando ad esaminarla da più vicino, così come
riorganizzata, la nuova programmazione 2014--
2020 in pratica mantiene molte delle caratteristiche
principali della politica di sviluppo rurale del prece-
dente periodo, ossia del 2007-2013.
Ciò che interessa sottolineare ai nostri fini, è che
come in passato, la politica sarà attuata
attraverso Programmi di Sviluppo Rurale
(PSR) nazionali e/o regionali, della durata di sette
anni.
Per quanto riguarda i cambiamenti sostanziali intro-
dotti, essi invece di fatto riguardano:
• il miglioramento dell’approccio strategico
nell'elaborazione dei programmi di sviluppo rurale;
4. Destinations & Tourism n° 25| gennaio 2015
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• il rafforzamento del contenuto delle misure di
sviluppo rurale;
• la semplificazione delle norme e la riduzione dei
relativi oneri amministrativi, ove possibile;
• la creazione di maggiori sinergie tra la politica di
sviluppo rurale e gli altri fondi strutturali e di investi-
mento.
In linea con la strategia Europa 2020 e con gli
obiettivi generali della PAC, è possibile inoltre
individuare tre obiettivi strategici a lungo
termine per la politica di sviluppo rurale dell’UE nel
periodo 2014-2020.
Nello specifico, questi obiettivi prevedono di:
• stimolare e migliorare la competitività del settore
agricolo;
• garantire la gestione sostenibile delle risorse natu-
rali e l’azione per il clima;
• realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle
economie e comunità rurali, compresi la creazione
e la difesa dei posti di lavoro.
Al fine di gestire e favorire l’utilizzo della politica di
sviluppo rurale, attraverso gli appositi programmi di
sviluppo (PSR), gli obiettivi generali sopra indicati
sono stati tradotti più concretamente in 6 priorità di
intervento.
Nello specifico, la prima è orizzontale dedicata ai
temi dell’innovazione, due sono rivolte alla competi-
tività settoriale delle imprese e del sistema
agricolo, altre due sono invece a carattere
ambientale mentre la sesta è tesa ad intervenire sui
temi della qualità della vita nei territori rurali.
In sintesi, esse prevedono di:
1. promuovere il trasferimento di conoscenze e
l'innovazione nel settore agricolo e forestale e nelle
zone rurali;
2. potenziare la redditività e la competitività di tutti i
tipi di agricoltura e promuovere tecnologie innova-
tive per le aziende agricole e una gestione sosteni-
bile delle foreste;
3. promuovere l'organizzazione della filiera alimen-
tare, il benessere degli animali e la gestione dei
rischi nel settore agricolo;
4. preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosiste-
mi connessi all'agricoltura e alle foreste;
5. incoraggiare l'uso efficiente delle risorse e il pas-
saggio a un'economia a basse emissioni di CO2 e
resiliente al clima nel settore agroalimentare e fore-
stale;
I 5 target della strategia Europa 2020
1. Occupazione
innalzamento al 75% del tasso di occupazione (per
la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni);
2. &S / Innovazione
aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo ed
innovazione al 3% del PIL dell'UE (pubblico e priva-
to insieme);
3. Cambiamenti climatici /energia
a. riduzione delle emissioni di gas serra del 20%(o
persino del 30%, se le condizioni lo permettono)
rispetto al 1990;
b. 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti
rinnovabili;
c. aumento del 20% dell'efficienza energetica pari a
una riduzione di 368 Mtep;
4. Istruzione
a.riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del
10%;
b.aumento al 40% dei 30-34enni con un'istruzione
universitaria;
5. Povertà / emarginazione
almeno 20 milioni di persone a rischio o in situazi-
one di povertà ed emarginazione in meno.
I 5 target della strategia Italia 2020
1. Occupazione
innalzamento al 67-69% del tasso di occupazione
(per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni);
2. R&S / Innovazione
aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo ed
innovazione al 1,53% del PIL dell'UE (pubblico e
privato insieme);
3. Cambiamenti climatici /energia
a. riduzione delle emissioni di gas serra del 13%
rispetto al 2005, del 6,5% rispetto al 1990/2012;
b. 17% del fabbisogno di energia ricavato da fonti
rinnovabili;
c. miglioramento dell'efficienza energetica pari a
una riduzione di 27,9 Mtep;
4. Istruzione
a. riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del
15-16%;
b. aumento al 16-27% dei 30-34enni con
un'istruzione universitaria;
5. Povertà/emarginazione
almeno 2.2 milioni di persone a rischio o in situazio-
ne di povertà ed emarginazione in meno.
5. Destinations & Tourism n° 25| gennaio 2015
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6. promuovere l'integrazione sociale, la riduzione
della povertà e lo sviluppo economico nelle zone
rurali.
Le aree prioritarie del PSR costituiscono la base per
programmare e garantire il Fondo alle zone rurali
dell’Unione Europea.
Le Regioni italiane hanno quindi dovuto elaborare i
rispettivi Programmi di Sviluppo Rurale (PSR),
facendo riferimento ad almeno quattro delle sei
priorità comuni dell'UE, fissando degli obiettivi
accertati e raggiungibili in relazione alle specifiche
aree prioritarie di ciascuna tematica sulla base di
un’analisi delle esigenze del territorio interessato
dal PSR.
A partire dalla seconda metà di novembre 2014
e fino ai primi mesi del 2015, la Commissione Euro-
pea invierà le proprie osservazioni sui Piani, a cui le
Regioni dovranno rispondere apportando le modi-
fiche necessarie.
Questo, come si sta palesando per alcune situazioni
regionali, comporta revisioni anche importanti dei
testi licenziati.
È quindi importante oltre che di grande utilità andare
a rivedere nello specifico cosa comporta e
prevede ciascuna priorità tematica nella prospettiva
europea, oltre che individuare, sempre secondo la
Commissione, quali sono per ogni tema le aree di
intervento prioritarie a livello dell’Unione.
Vediamo quindi in breve le caratteristiche di ognuna
delle aree così come sono descritte e presentate nei
regolamenti comunitari
1. Promuovere il trasferimento di conoscenze e
l’innovazione sia nel settore agricolo e forestale
sia nelle zone rurali
Da sempre, la conoscenza, la competenza così
come l’innovazione rappresentano un presupposto
indispensabile per lo sviluppo sostenibile di qualsia-
si settore.
E non a caso, la facilitazione e la stimolazione
all’innovazione e al trasferimento di conoscenze
rappresenta una priorità trasversale della program-
mazione 2014-2020.
Senza dubbio, il settore rurale vanta una lunga e
comprovata esperienza in materia di stimoli
all’innovazione.
Tuttavia, per dare un maggiore incoraggiamento in
questo senso, gli Stati membri hanno promosso e
programmato una serie di misure che continueran-
no ad essere disponibili per tutto il periodo 2014-
2020, proprio con l’obiettivo di incoraggiare
l’innovazione.
Nello specifico, la novità principale è rappresentata
da “Il Partenariato europeo per l’innovazione (PEI)
Produttività e sostenibilità dell’agricoltura”, istituito
al fine di creare collegamenti tra le politiche esisten-
ti, promuovere la cooperazione tra partner e co-
struire un ponte tra i ricercatori e le imprese rurali..
In questo ambito, le aree di intervento
prioritarie sono:
1. stimolare l'innovazione, la cooperazione e lo
sviluppo della base di conoscenze nelle zone rurali;
2. incoraggiare, da una parte, i nessi tra agricoltura,
produzione alimentare e silvicoltura e, dall’altra,
intensificare i collegamenti tra la ricerca e
l’innovazione nel settore agricolo e forestale, fine di
migliorare la gestione e le prestazioni ambientali;
3. favorire l'apprendimento lungo tutto l'arco della
vita e la formazione professionale nel settore agri-
colo e forestale.
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3. Incentivare l’organizzazione della filiera
agroalimentare e la gestione dei rischi nel
settore agricolo
Nella filiera agroalimentare, così come è attual-
mente strutturata, la posizione degli agricoltori in
alcuni casi può risultare relativamente precaria.
Per superare questa debolezza sistemica, è neces-
sario introdurre dei miglioramenti a livello organizza-
tivo volti ad apportare maggiori benefici e garanzie
agli agricoltori e ad accrescerne le opportunità di
guadagno.
Una soluzione in tal senso, sicuramente è rappre-
sentata dai mercati locali e dalle filiere
corte; servono infatti strumenti di gestione, in grado
di sostenere gli agricoltori, aiutandoli a far fronte alle
incertezze legate alle problematiche imprevedibili e
tipiche del settore, quali gli eventi meteorologici, le
zoonosi e la volatilità del mercato.
In questo ambito, le aree di intervento
prioritarie sono:
1. migliorare la competitività dei produttori primari
integrandoli meglio nella filiera agroalimentare at-
traverso i regimi di qualità, la creazione di un valore
aggiunto per i prodotti agricoli, la promozione dei
prodotti nei mercati locali, le filiere corte, le associ-
azioni di produttori e le organizzazioni interprofes-
sionali;
2. sostenere la prevenzione e la gestione dei rischi
aziendali.
4. Preservare, ripristinare e valorizzare gli
ecostistemi dipendenti dall’agricoltura e dalla
silvicoltura
Il tema dell’ambiente e degli ecosistemi è un aspetto
molto sentito a causa della sua precarietà.
E i dati in effetti lo confermano.
Si ritiene infatti che soltanto il 17% degli habitat e
solo l'11% degli ecosistemi dell'Unione Europea
siano in uno stato soddisfacente così come le ec-
cedenze di nutrienti continuino a persistere in alcuni
corpi idrici (nonostante i progressi compiuti in altri)
e il 45% dei suoli presenti problemi di qualità.
Di fronte a questo scenario, è essenziale agire e
porre rimedio a questi aspetti critici, rafforzando e
incrementando i contributi positivi che le pratiche
2. Potenziare la competitività dell’agricoltura in
tutte le sue forme e la redditività delle aziende
agricole
Quello agricolo è un settore esposto a diverse mi-
nacce che di conseguenza ne mettono a repentaglio
il reddito. Questa situazione costringe quindi tutti gli
agricoltori ad impegnarsi e rinnovarsi
costantemente, in modo tale da accrescere la pro-
pria competitività e, laddove necessario, ad interve-
nire anche con ulteriori ristrutturazioni.
Non bisogna infatti dimenticare che soltanto il 6%
dei responsabili delle aziende agricole ha un'età
inferiore ai 35 anni e questo significa che i giovani in
linea di massima scelgono altri ambiti mentre an-
drebbero incoraggiati ad investire le proprie energie,
le proprie risorse e le proprie idee nel settore agrico-
lo.
In questo ambito, le aree di intervento
prioritarie sono:
1. migliorare le prestazioni economiche di tutte le
aziende agricole e incoraggiare la ristrutturazione e
l’ammodernamento delle stesse, in particolare per
aumentare le rispettive quote di mercato e
l’orientamento allo stesso nonché la diversificazione
delle attività.
Inoltre, facilitare la ristrutturazione delle aziende
agricole con problemi strutturali considerevoli
(in particolare di quelle che detengono una quota di
mercato esigua, delle aziende orientate al mercato
in particolari settori e delle aziende che hanno bi-
sogno di diversificare le attività);
2. favorire una ripartizione equilibrata delle fasce
d’età nel settore agricolo, stimolando l’ingresso degli
agricoltori adeguatamente qualificati nel settore a-
gricolo e in particolare il ricambio generazionale.
Le aree prioritarie dei PSR,
cui le Regioni hanno dovuto
fare riferimento, fissando
obiettivi accertati e
raggiungibili, costituiscono
la base per programmare e
garantire il Fondo alle zone
rurali dell’Unione Europea
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agricole e forestali apportano all’ambiente.
In questo ambito, le aree di intervento
prioritarie sono:
1. salvaguardare, migliorare e ripristinare la biodi-
versità (tra l'altro nelle zone Natura 2000 e nelle
zone agricole di alto pregio naturale), nonché
dell'assetto paesaggistico dell'Europa;
2. migliorare la gestione delle risorse idriche, com-
presa la gestione dei fertilizzanti e dei pesticidi;
3. migliorare la gestione del suolo per prevenire
l’erosione.
4. Incentivare l’uso efficiente delle risorse e il
passaggio ad un’economia a basse emissioni di
carbonio e resiliente al clima nel settore
agroalimentare e forestale
Questa misura intende appunto ottimizzare l’uso
delle risorse, stimolandone un uso più consapevole
e allo stesso tempo più efficace, evitando inutili
sprechi.
L’attenzione deve essere rivolta a tutte le materie
prime e alle fonti di energia utilizzate nel settore
agroalimentare e forestale sia in un’ottica di ri
sparmio sia in una visione di maggiore tutela
dell’ambiente.
Se quindi, da una parte, è necessario un uso più
limitato e consapevole delle risorse, dall’altra, è
necessario fare attenzione anche ad un utilizzo più
corretto e controllato delle stesse, ossia pensando
alle conseguenze dirette e indirette che generano
sull’ambiente, all’inquinamento e alle modalità per
prevenirlo e ridurlo al minimo.
In questo ambito, le aree di intervento
prioritarie sono:
1.rendere più efficiente l’uso dell’acqua
nell’agricoltura
2. rendere più efficiente l’uso dell’energia
nell’agricoltura e nell’industria alimentare;
3. favorire e stimolare l’adozione e l’utilizzo di fonti
di energia rinnovabili, sottoprodotti, materiali di scar-
to, residui e altre materie grezze non alimentari ai
fini dellabioeconomia;
4. ridurre le emissioni di gas a effetto serra e di
ammoniaca prodotte dall’agricoltura;
5. promuovere la conservazione e il sequestro del
carbonio nel settore agricolo e forestale.
6. promuovere l’inclusione sociale, la riduzione della
povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali
Nel mondo occidentale e soprattutto nella cultura
occidentale, il settore rurale purtroppo è penalizzato
e sconta il fatto di essere considerato un ambito
secondario.
E anche in questo caso sono i dati a parlare chiaro:
nelle regioni prevalentemente rurali dell’Unione Eu-
ropea circa il 14% della popolazione deve infatti fare
i conti con un tasso di occupazione che è inferiore
alla metà rispetto alla media europea; ed inoltre
esistono zone dove si registra un PIL pro capite
basso.
È necessario quindi intervenire per contribuire alla
creazione non solo di un numero maggiore di posti
di lavoro ma anche ad una varietà più ampia, in
modo tale da accrescere il livello di sviluppo locale
generale, anche attraverso l’introduzione delle tec-
nologie dell’informazione e della comunicazione
(TIC).
In questo ambito, le aree di intervento
prioritarie sono:
1. favorire la diversificazione, la creazione di nuove
piccole imprese e l’occupazione;
2. stimolare lo sviluppo locale nelle zone rurali;
3. promuovere l’accessibilità, l’uso e la qualità delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(TIC) nelle zone rurali.
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Dall’approccio Leader al nuovo CLLD
Destination Management
Nonostante i cambiamenti introdotti nella strategia
di Europa 2020, la Commissione Europea ha con-
fermato la centralità del coinvolgimento delle comu-
nità nel processo di individuazione ed
attuazione delle strategie, in modo tale da radicare
sempre di più lo sviluppo territoriale ai bisogni, alle
necessità e alle capacità di tutti soggetti che in quel
determinato spazio vivono ed operano.
Di fatto, quindi la Commissione ribadisce
l’importanza della programmazione partecipata,
richiamando i territori ad assumersi le proprie re-
sponsabilità ed un ruolo chiaro nel processo dello
sviluppo rurale.
Leader, acronimo per “Liasion Entre Actions de
Développement de l’Economie Rurale" , ossia Col-
legamento tra azioni di sviluppo dell’economia ru-
rale, è una metodologia di sviluppo locale che
consente agli attori che operano sul campo di svi-
luppare un territorio sfruttandone il potenziale en-
dogeno.
Nasce nell'ambito dell'economia rurale proprio per
le caratteristiche intrinseche di questi territori che
per loro peculiarità necessitano di una gestione non
di tipo regionale ma sotto regionale, guidata dal
basso.
Ciò non significa che l'Approccio Leader possa es-
sere applicato su territori di estensione limitata anzi
si riferisce ad aree piuttosto vaste. I GAL (Gruppi di
Azione Locale), unità di riferimento dei territori rurali,
non a caso hanno dimensioni notevoli.
In questo modo, gli attori del territori che sono coloro
che meglio li conoscono in quanto direttamente vi
operano diventano protagonisti attivi
nell’individuazione e realizzazione delle strategie: i
Piani di Azione così realizzati vengono poi conse-
L’importanza della programmazione partecipata
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gnati alle Regioni a cui la Commissione Europea ha
assegnato i fondi dell'Approccio Leader per il rag-
giungimento di un reale ed effettivo sviluppo rurale
dei territori.
Approccio Leader: origini e risultati ottenuti ad
oggi
L’approccio Leader allo sviluppo locale ha una lun-
ga storia alle spalle: varato nel 1991 dalla Commis-
sione europea come iniziativa pilota comunitaria, si
è evoluto nel corso degli ultimi vent’anni ed oggi si
candida a diventare nell’attuale periodo di
programmazione 2014 - 2020, un criterio metodo-
logico ampiamente diffuso e consolidato.
Come mai?
Proprio per la sua stessa
concezione: l’approccio Leader infatti, come già
detto, ha fornito alle comunità rurali dell’Unione
Europea un metodo per coinvolgere i partner locali
nello sviluppo futuro del proprio territorio.
Ed è proprio in questo che risiede la sua grande
innovazione, ‘rivoluzione’ e forza. Si tratta infatti di
un metodo che si basa sull'approccio
locale, promuovendo un modus operandi "guidato
dalle comunità", che coinvolge i veri attori del
territorio, oggi il solo sistema in grado di
garantire uno sviluppo territoriale efficace e reale.
Sino alla passata programmazione 2007-2013,
Leader ha aiutato gli attori delle aree rurali a ragio-
nare e programmare azioni sul lungo termine, pro-
prio perché è sul periodo medio-lungo che si posso-
no valorizzare in misura maggiore le potenzialità di
queste aree.
Inoltre, questa metodologia prevede lo sviluppo
di partnership solide e network diffusi per uno
scambio di buone pratiche ed esperienze, al fine di
riuscire a implementare strategie integrate, di qua-
lità e originali per uno sviluppo sostenibile dei terri-
tori in oggetto.
L’approccio Leader sin dall’inizio, ha suscitato
grande interesse all’interno dell’Unione Europea
non soltanto nelle zone rurali ma anche in quelle
urbane e costiere proprio per la sua stessa conce-
zione che risulta vincente per ogni tipo di territorio.
Ed è per questo che è stato stabilito di estenderne
l'applicazione anche in altre aree.
Nonostante la bontà e la grande intuizione della
metodologia, Leader ha tuttavia evidenziato dei
limiti, connessi prima di tutto con la non completa
comprensione delle sue potenzialità da parte di
coloro che per primi lo avrebbero dovuto utilizzare.
Anche, in Italia, purtroppo si sono avute delle diffi-
coltà a comprenderne l'effettiva portata e il suo
approccio 'rivoluzionario', e ciò ha creato situazioni
poco chiare che sicuramente non hanno facilitato,
così come avrebbero dovuto, il coinvolgimento degli
attori del territorio e la realizzazione dei Piani.
In particolare, i GAL, che rappresentano di fatto
l’elemento portante nel processo di attuazione
dell’approccio Leader, ne sono rimasti penalizzati, in
quanto non essendo stato adottato un reale ed
effettivo coinvolgimento delle comunità locali, non si
è riusciti ad elaborare una strategia di sviluppo
efficace.
Proprio per questo, la programmazione 2014-2020,
nel riproporre ancora la centralità dello sviluppo
locale guidato dalle comunità, ha ritenuto necessar-
io e utile identificare nei regolamenti, in modo preci-
so ed inequivocabile, i requisiti che le strategie di
sviluppo locale devono avere.
Ed ecco che così dall'Approccio Leader si è passati
al CLLD (Community Led Local Development).
E’ una metodologia di
sviluppo locale che
consente agli attori che
operano sul campo di
sviluppare un territorio,
sfruttandone il potenziale
endogeno, diventando così
protagonisti attivi
nell’individuazione e
realizzazione delle
strategie
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glio culturale e di conoscenze locali, al fine di
utilizzarle per costruire nuove soluzioni e
rispondere alle sfide economiche, ambientali e so-
ciali cui oggi costantemente sono chiamati a far
fronte i territori.
I principi del CLLD di fatto riprendono, come già
detto, l’approccio Leader e intendono:
1. individuare soluzioni mirate, targetizzate e
flessibili focalizzate sui reali bisogni ed opportunità
delle aree locali più remote;
2. sviluppare partnership pubblico-private per
ottimizzare e potenziare le risorse, le
conoscenze e le energie degli attori locali;
3. realizzare azioni in grado di rafforzare il territorio
e i diversi attori, in un’ottica verticale ed orizzontale;
4. individuare nuovi modi di pensare ed agire, ossia
nuovi mercati, nuovi prodotti e servizi;
5. confrontarsi ed imparare dagli altri, al fine di
rafforzare la propria posizione sul mercato
economico globale.
Di che cosa si tratta?
Che cos’è esattamente il CLLD?
Negli orientamenti comuni presentati dalla Commis-
sione europea il 29 aprile 2013 si afferma che:
“lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) è uno
strumento per coinvolgere i cittadini a livello locale
nell’elaborazione di risposte alle problematiche so-
ciali, ambientali ed economiche del mondo di oggi.
Il CLLD è un approccio che richiede tempo e sforzi.
Tuttavia, con investimenti finanziari relativamente
modesti, esso può avere un impatto notevole sulla
vita delle persone e generare nuove idee nonché
l’impegno comune per tradurle in pratica.”
Nello specifico, il CLLD, in linea con quelli che erano
i focus dell’approccio Leader, si pone di raggiungere
i seguenti obiettivi:
1. rafforzare la cooperazione e lo scambio di espe-
rienze tra i principali soggetti interessati;
2. contribuire a concentrare ed economizzare gli
sforzi delle reti (ed evitare la duplicazione dei lavori)
per comprendere le possibili forme e funzioni del
CLLD (ad esempio, attraverso sondaggi comuni);
3. produrre strumenti pratici e orientamenti volti ad
assistere le RRN (Reti Rurali Nazionali) ed altri
soggetti interessati nell’attuazione del CLLD;
4. articolare i fabbisogni e le lacune informative al
fine di informare il processo di elaborazione delle
linee direttrici sul CLLD ed altri documenti strategici.
Per il periodo di programmazione 2014-2020, il
CLLD quindi continuerà ad essere di fatto un ele-
mento obbligatorio dei programmi di sviluppo rurale
finanziati dal FEASR e un’opzione possibile
nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo regionale
(FESR), del Fondo sociale europeo (FSE) e del
Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca
(FEAMP).
In conclusione, si può affermare che il CLLD
è uno strumento molto valido per catturare il baga
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Sviluppo Locale di tipo partecipativo
Focus
Cosa cambia, cosa resta, quali nuove sfide per i GAL?
All’inizio del periodo di programmazione 2014-2020,
la Commissione Europea ha pubblicato una guida
dedicata allo sviluppo locale di tipo partecipativo
(CLLD) allo scopo di fornire, a coloro che sono
direttamente coinvolti nei gruppi di azione locale,
alcuni strumenti e suggerimenti pratici per attuare il
CLLD in diversi contesti.
La guida integra gli "Orientamenti sullo sviluppo
locale di tipo partecipativo nell'ambito dei Fondi
strutturali e di investimento europei" pubblicati dalle
DG dei Fondi SIE per aiutare le autorità dei vari Stati
membri a creare le condizioni necessarie per
utilizzare efficacemente il CLLD negli accordi di
partenariato e progettarlo nell'ambito dei rispettivi
programmi.
La guida offre elementi rilevanti anche per
dimostrare a città e organizzazioni sociali che il
CLLD è uno strumento efficace per affrontare
alcune delle loro sfide, spiegandone inoltre le
modalità di utilizzo relativamente al FSE e al FESR.
Nel presente articolo ripercorriamo alcuni dei pas-
saggi a nostro avviso più interessanti, soprattutto
dal punto di vista dei partenariati LEADER e FAR-
NET (Rete delle zone di pesca europee) già costitu-
iti, rispetto ai quali la guida si propone di contribuire
all'elaborazione di strategie più mirate e qualitativa-
mente migliori, capaci di un chiaro orientamento ai
risultati e rispondenti alle mutevoli condizioni es-
terne.
Dopo un paio di capitoli introduttivi (il primo incentra-
to sulle motivazioni per cui è opportuno attuare il
CLLD nel contesto in rapida evoluzione che si ri-
scontra a livello locale in diverse aree europee; il
secondo focalizzato sulle otto fasi necessarie alla
realizzazione del CLLD e sulla relazione che deve
coniugare strategia, partenariato e territorio), la gui-
da si concentra sui partenariati esistenti e fornisce
un quadro su come il CLLD possa essere adeguato
di Barbara Chiavarino
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alle nuove sfide, inclusa l’innovazione sociale (cui è
dedicato un capitolo a sé).
Il necessario punto di partenza è il contesto
economico e sociale in cui si situa la
programmazione presente. In molti Stati membri la
situazione delle comunità locali è radicalmente
diversa da quella dei due precedenti periodi di
programmazione.
Data la gravità della crisi economica, molti dei
partenariati locali esistenti stentano a reperire le
ulteriori risorse finanziarie necessarie per la mera
continuazione delle attività in corso o per la stessa
sopravvivenza.
Alla luce delle crescenti sfide di natura sociale,
ambientale ed economica, proseguire come in
passato non è più un'opzione possibile nel lungo
periodo per molte comunità locali.
Inoltre, dopo numerosi cicli di programmazione, in
alcune aree vi è il rischio di disillusione e di
stanchezza della comunità.
Al contempo, gli effetti prodotti dalla crisi sono
estremamente differenti nei diversi paesi europei, e
questo rende molto difficile individuare soluzioni
comuni a livello di Unione europea, e anzi giustifica
ancora di più approcci adattati a livello locale.
L’inefficacia di una ricetta “calata dall’alto” e uguale
per tutti si riverbera nelle implicazioni geografiche
dei cambiamenti prodotti dalla crisi all'interno dei
singoli paesi.
Alcuni sostengono che vi sarà una maggiore
concentrazione di attività economiche nei poli
metropolitani; che la crescita rallenterà e potrebbe
addirittura venir meno nelle aree turistiche e
residenziali più attraenti, e che le zone la cui
economia dipende in larga misura dai settori
industriali tradizionali, dall'edilizia e/o dai
trasferimenti pubblici continueranno a subire un
sensibile declino.
Comunque lo si interpreti e che si sia o meno
concordi, è evidente che sono mutati i rapporti tra i
diversi tipi di aree - tra le aree metropolitane, le aree
periurbane e i centri di servizi provinciali e regionali,
tra le zone costiere e quelle interne, tra le zone
densamente popolate e quelle periferiche e
scarsamente popolate, nonché tra i quartieri urbani
poveri e le aree più affluenti delle nostre città.
Se questo implica una capacità di intervenire a
livello locale in modo diversificato, al tempo stesso i
fattori alla base di gran parte dei più recenti sviluppi
di lungo periodo sono di carattere globale e/o
nazionale, quindi il margine di manovra per i
partenariati a livello locale è necessariamente
limitato.
Quale è il ruolo dei “vecchi” e dei nuovi
partenariati CLLD in questo scenario?
Nel rispondere alla domanda, la situazione italiana
porta la maggiore complessità derivante anche da
un contesto di governance esterna in mutamento,
inerente le trasformazioni che riguardano provincie,
associazioni di comuni, aree metropolitane.
In un simile scenario, la stessa governance interna
ai partenariati CLLD è mutata.
Molti di essi si sono trasformati: originariamente
erano un'iniziativa comunitaria pilota relativamente
libera e di piccole dimensioni, mentre ora sono
diventati un'azione integrata che interessa le zone
rurali e gran parte delle regioni costiere.
Ciò ha comportato considerevoli responsabilità e
oneri aggiuntivi in termini di procedure
amministrative e di audit.
Nel contempo, anche gli attuali modelli "top-down"
per l'erogazione dei servizi vengono messi in
discussione, e vi è un crescente interesse per
metodi partecipativi, reattivi e innovativi che
consentano di soddisfare le esigenze sociali
ispirandosi all'approccio del CLLD.
L’inefficacia di una ricetta
‘calata dall’alto’ e uguale per
tutti è ormai evidente; non a
caso, vi è un interesse
crescente per i metodi
partecipativi, reattivi e
innovativi che consentono
di soddisfare le esigenze
sociali dei territori
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13. Destinations & Tourism n° 25| gennaio 2015
www.fourtourism.it
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Quale ruolo, dunque, possono svolgere i
partenariati CLLD nella dimostrazione e nella
definizione di un nuovo modello di governance?
I regolamenti della nuova programmazione
rafforzano alcune delle specifiche caratteristiche di
LEADER, proprio per rinvigorirne il valore, fornendo
al contempo indirizzi precise per aumentarne
l’efficacia.
Per questo, nella nuova normativa troviamo
disposizioni volte a specificare il contenuto minimo
delle strategie e a migliorarne la qualità; altre tese a
chiarire i compiti minimi dei gruppi e a
salvaguardarne l'autonomia; maggiore attenzione
all'animazione e allo sviluppo di capacità con un
maggiore sostegno preparatorio e una maggiore
dotazione percentuale dei fondi per i costi di eser-
cizio; rafforzamento del ruolo della società civile e
del settore privato; razionalizzazione della cooper-
azione transnazionale (mediante i regolamenti spe-
cifici del FEASR e del FEAMP).
Il regolamento recante le disposizioni alla base dei
fondi SIE (Reg. 1303/2013) dedica tutto il capo II
(art. 32-35) allo Sviluppo Locale, allo scopo preciso
di fornire indicazioni chiare per rafforzare l’efficacia
di progettazione e di gestione dei partenariati CLLD.
Senza una attenta analisi dell’ambito territoriale,
una reale capacità di coinvolgere tutti i soggetti
interessati e dotarli di strumenti per progettare in-
sieme una strategia, i partenariati CLLD saranno
inefficaci di fronte al mutato e complesso scenario
economico sociale.
Questa la convinzione alla base.
Se analizziamo in particolare l’Art. 33 par. 1, vi
leggiamo che una strategia di CLLD contiene al-
meno i seguenti elementi:
a. la definizione del territorio e della popolazione
interessati dalla strategia;
b. un'analisi delle esigenze di sviluppo e delle po-
tenzialità del territorio, compresa un'analisi dei punti
di forza, di debolezza, delle opportunità e delle
minacce;
c. una descrizione della strategia e dei suoi obiet-
tivi, un'illustrazione del carattere integrato e innova-
tivo della strategia e una gerarchia di obiettivi, con
indicazione di target misurabili per le realizzazioni e
i risultati. In relazione ai risultati, i target possono
essere espressi in termini qualitativi o quantitativi.
La strategia è coerente con i programmi pertinenti di
tutti i fondi SIE interessati;
d. una descrizione del processo di associazione
della comunità locale all'elaborazione della strategia;
e. un piano d'azione che traduca gli obiettivi in
azioni concrete;
f. una descrizione delle modalità di gestione e sor-
veglianza della strategia, che dimostri la capacità
del gruppo di azione di attuarla, e una descrizione
delle modalità specifiche di valutazione;
g. il piano di finanziamento per la strategia, compre-
sa la dotazione prevista da ciascun fondo SIE inte-
ressato.
Ciascuno dei punti qui sopra richiede in primis ai
gruppi già costituiti un’analisi attuale ed approfondi-
ta, volta sia a valutare il passato, sia e soprattutto a
prendervi le mosse per ri-progettare presente e
futuro.
Questo è quanto verrà fatto durante gli incontri
formativi finalizzati proprio a dotare i partecipanti di
quegli strumenti di analisi e pianificazione, messi a
punto dalla Commissione stessa, che sono alla
base di una strategia rispondente all’art. 33 par. 1
pertinente ed efficace.