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LE STORIE RACCONTATE DA GESÙ
Il buon Samaritano
Molti di noi conoscono bene la parabola del Buon Samaritano.
Comunque, poiché viviamo in culture molto diverse da quella della
Palestina del primo secolo, ci sono aspetti della storia che potremmo
non capire. Quando la ascoltiamo o la leggiamo, non sembra che
questa parabola possa impressionarci o sfidare lo status quo del
mondo moderno. Tuttavia, il pubblico del primo secolo che avesse
udito Gesù raccontare questa parabola ne sarebbe rimasto
sbalordito. Il messaggio sarebbe stato contrario alle sue attese e
avrebbe sfidato i limiti della cultura di quei tempi.
Vediamo i personaggi in ordine di apparizione.
L’uomo ferito
La parabola ci racconta
pochissimo del primo
personaggio, l’uomo
derubato e picchiato, ma ci
fornisce un fattore cruciale
per la storia. Fu spogliato e
abbandonato mezzo morto.
Fu lasciato a terra,
gravemente ferito e privo di
sensi.
Questo è significativo, perché nel primo secolo le persone erano
facilmente identificabili dal tipo di vestiti che indossavano e dalla loro
lingua o il loro accento. Poiché l’uomo ferito non aveva abiti, era
impossibile capire la sua nazionalità. Il fatto che fosse privo di
sensi e non potesse parlare rendeva impossibile capire chi
fosse o da dove venisse.
Il Sacerdote
Il secondo personaggio della storia è il
sacerdote. I sacerdoti ebrei in Israele
erano il clero che prestava servizio
all’interno del tempio a Gerusalemme. I
sacerdoti ordinari erano quelli che
prestavano servizio nel tempio con turni di
una settimana in un periodo di
ventiquattro settimane. Non ci sono
particolari riguardo al sacerdote in questa
storia, ma chi ascoltò la parabola di Gesù
molto probabilmente immaginò che
stesse tornando a casa sua a Gerico dopo
aver fatto la sua settimana nel tempio.
Il Levita
Anche se tutti i sacerdoti erano leviti, non
tutti i leviti erano sacerdoti. Erano
considerati un clero minore. Prestavano
anch’essi servizio nel tempio per due
settimane due volte l’anno.
Il Samaritano
I samaritani erano un popolo che viveva
sulle colline della Samaria, tra la Galilea, al
nord, e la Giudea, al sud. Credevano nei
primi cinque libri di Mosè, ma credevano
anche che Dio avesse designato come
luogo di culto il Monte Gerizim, invece di
Gerusalemme.
Nel 128 a.C., il tempio samaritano sul
Monte Gerizim fu distrutto dall’esercito
ebraico. Tra il 6 e il 7 d.C. alcuni samaritani sparsero ossa umane nel
tempio ebraico, contaminandolo. Questi due avvenimenti ebbero un
ruolo nella profonda inimicizia esistente tra ebrei e samaritani.
Questa inimicizia è chiara nel Nuovo Testamento. Quando gli ebrei della
Galilea viaggiavano a sud per andare a Gerusalemme, spesso facevano
la strada più lunga, girando attorno alla Samaria. Ciò aggiungeva altri
quaranta chilometri, due o tre giorni di viaggio. La strada era molto più
calda e comprendeva una lunga salita da Gerico a Gerusalemme, ma
molti pensavano che ne valesse la pena pur di evitare il contatto con i
samaritani.
È in questo contesto di animosità culturale, razziale e religiosa, che
Gesù raccontò la parabola del Buon Samaritano.
La Parabola
Ora che conosciamo meglio i vari personaggi, vediamo cosa successe
quando il dottore della legge fece le sue domande a Gesù nel capitolo
10, versetto 25, di Luca.
Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse:
«Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?» (Luca 10:25)
Il problema di come si ottenesse la vita eterna era dibattuto dagli
studiosi ebraici del primo secolo, sottolineando l’ubbidienza alla legge
come mezzo per ottenerla.
Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Egli
rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima
tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come
te stesso». (Luca 10:26-27)
Come si nota in tutti i Vangeli, questo era esattamente ciò che Gesù
stava insegnando e forse il dottore della legge glielo aveva già sentito
dire. Gesù disse al dottore della legge che aveva ragione e che avrebbe
dovuto mettere in pratica queste cose. Avrebbe dovuto rispettare la
norma di amare Dio con tutto ciò che aveva dentro e di amare il suo
prossimo.
Nella sua frase successiva, il dottore cerca un modo per giustificarsi
davanti a Dio. Essere giustificato vuol dire essere considerato
meritevole agli occhi di Dio, avere la salvezza. Lui vuole sapere che
cosa deve fare, quali opere, quali azioni sono necessarie per
giustificarsi; in altre parole, per guadagnarsi la salvezza.
Ma egli [il dottore della legge], volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi
è il mio prossimo?» (Luca 10:29)
Il dottore sa che può amare Dio osservando la legge, ma questo “ama
il tuo prossimo” è un punto un po’ vago. Così vuole sapere chi è il suo
prossimo, chi esattamente deve amare. Sa che il suo prossimo include
“i figli del tuo popolo”, come afferma il versetto in Levitico, quindi
include gli altri ebrei. Ma c’è qualcun altro? I gentili non erano
considerati “prossimo”, anche se in Levitico 19,34 dice:
Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi;
tu l’amerai come te stesso...
Quindi è stabilito che se uno straniero vive nello stesso paese del
dottore della legge, anche lui dovrebbe far parte del prossimo. Così il
prossimo del dottore sarebbero probabilmente stati i suoi conterranei
ebrei e qualsiasi straniero vivesse nella sua città. Chiunque altro
certamente non sarebbe stato il suo prossimo, specialmente non gli
odiati samaritani.
È in risposta a questa domanda, “chi è il mio prossimo” — in altre
parole, “chi devo amare” — che Gesù racconta la parabola.
Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e
s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne
andarono, lasciandolo mezzo morto». (Luca 10:30)
Per caso un sacerdote
scendeva per quella
stessa strada; e lo vide,
ma passò oltre, dall’altra
parte. (Luca 10:31)
È probabile che il
sacerdote tornasse da
una delle sue settimane
di servizio nel tempio.
Per via della sua
condizione sociale, è
facile che cavalcasse
un asino e quindi avrebbe potuto trasportare il ferito fino a Gerico. Il
problema era che non poteva stabilire chi fosse, o di quale nazionalità,
dato che era svenuto e nudo. A causa della legge mosaica, il sacerdote
aveva il dovere di aiutare un concittadino ebreo, ma non uno straniero, e
in quelle circostanze non poteva stabilire chi fosse il ferito.
Per giunta, il sacerdote non sapeva se l’uomo era morto e, secondo la
legge, avvicinarsi a un cadavere, o toccarlo, lo avrebbe reso
cerimonialmente impuro. Alla fine, qualunque ne fosse il motivo, decise
di passare di fianco all’uomo, restando dall’altra parte della strada per
assicurarsi di mantenere la giusta distanza da lui.
La parabola continua così:
Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato
opposto. (Luca 10:32)
Il levita, probabilmente di ritorno a casa dopo la sua settimana di
servizio al tempio, fa la stessa cosa del sacerdote e decide di non
aiutare.
Anche se era impossibile stabilire la nazionalità dell’uomo, basandosi
sul contesto della storia, gli ascoltatori originali molto probabilmente
avrebbero supposto che l’uomo in punto di morte fosse un ebreo.
A questo punto della storia gli ascoltatori originali si sarebbero
aspettati che la prossima persona a imbattersi nell’uomo sarebbe stato
un ebreo laico. Avrebbe avuto perfettamente senso, considerando che
c’era un ordine discendente di condizione sociale: il sacerdote, il levita,
il laico. Invece, nella sua storia Gesù si allontana molto dal tracciato. La
terza persona che entra in scena è un samaritano disprezzato, un
nemico. E la cosa peggiora quando Gesù racconta tutto quello che il
samaritano fa per il moribondo, cose che avrebbero dovuto fare il
sacerdote e il levita.
Ma un samaritano che
era in viaggio,
passandogli accanto, lo
vide e ne ebbe pietà;
avvicinatosi, fasciò le
sue piaghe, versandovi
sopra olio e vino; poi lo
mise sulla propria
cavalcatura, lo condusse
a una locanda e si prese
cura di lui. (Luca 10:33-
34)
Il samaritano, probabilmente un mercante che trasportava olio e vino,
con almeno un animale, probabilmente un asino, ha compassione del
ferito. Prima gli fascia le ferite. Che cosa usa per farlo? Non fa servizio
di ambulanza, non ha una cassetta di pronto soccorso. Forse,
essendo un mercante, trasporta della stoffa. Forse si toglie la tunica di
lino che indossa sotto gli altri vestiti e usa quella; oppure si toglie la
fascia dal capo per usarla come benda. Poi usa vino e olio per pulire,
disinfettare e guarire.
Il samaritano porta il ferito nella locanda e si prende cura di lui. Se
come abbiamo pensato il ferito era un ebreo, il samaritano avrebbe
potuto correre un grosso rischio arrivando in città con un ebreo morto
sul suo asino, perché i parenti dell’uomo avrebbero potuto incolpare
lui delle sue condizioni e vendicarsi. Per la sua stessa sicurezza,
Il giorno dopo, presi due
denari, li diede all’oste e gli
disse: “Prenditi cura di lui;
e tutto ciò che spenderai
di più, te lo rimborserò al
mio ritorno”. (Luca 10:35)
Due denari era
l’equivalente del salario di
due giorni di un
lavoratore. Lasciare del
denaro all’oste garantiva
che l’uomo avrebbe ricevuto le cure necessarie mentre guariva. Se
l’oste avesse dovuto spendere più di quella somma per aiutare l’uomo
durante la sua convalescenza, il samaritano promise che l’avrebbe
ripagato alla sua visita successiva. Se non avesse fatto così, l’uomo
avrebbe potuto accumulare un debito per l’alloggio, il cibo e
l’assistenza; in quei giorni, se uno non poteva pagare i debiti, poteva
essere arrestato. La promessa del samaritano di tornare e pagare
qualsiasi spesa in più garantiva sicurezza e cure continue al ferito.
Molto probabilmente il samaritano conduceva regolarmente affari a
Gerusalemme e passava spesso per Gerico. Se era un cliente regolare
della locanda, ha senso che l’oste accettasse la sua promessa di
tornare per saldare eventuali spese in più.
Terminando la storia, Gesù chiede al dottore della legge:
«Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté
nei ladroni?» Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli
disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa». (Luca 10:36-37)
La domanda fatta dal dottore della legge era: “Chi è il mio prossimo?”
sarebbe stato meglio lasciare l’uomo appena fuori città, o alle sue porte;
invece lo portò alla locanda e passò la notte a prendersi cura di lui. Ma
fece anche qualcosa in più.
Gesù non gli rispose con i particolari che desiderava; invece raccontò
una storia e poi chiese al legale chi si era dimostrato un prossimo. Il
legale voleva una risposta chiara, categorica, come: il tuo prossimo è il
tuo concittadino ebreo, o uno che si è convertito al giudaismo, o uno
straniero che vive in mezzo a voi. Se il dottore della legge avesse
sentito un simile elenco, avrebbe saputo chi doveva amare nel rispetto
della legge. La storia di Gesù, però, dimostrava che non c’è una lista
che limita chi sei responsabile di amare o chi devi considerare tuo
prossimo. Gesù definì “tuo prossimo” qualunque persona bisognosa
Dio metta sul tuo cammino.
In tutti i Vangeli Gesù sottolineò l’amore, la misericordia e la
compassione più che il rispetto delle regole. Invece di porre attenzione
su ciò che bisogna fare, la mise sul tipo di persona che bisogna
essere. In questo caso, compassionevole, amorevole e misericordiosa
verso chi ha bisogno — e non solo in teoria, ma nella pratica.
Cristo ci chiama a essere compassionevoli. Come il dottore della
legge e quelli che originariamente ascoltarono Gesù raccontare la
parabola, siamo da Lui incitati a rispondere, andare e fare la stessa
cosa.
Mentre lo facciamo, ecco alcuni punti su cui riflettere:
• Il nostro
obbligo di amare il
prossimo non è
limitato a chi
conosciamo, o a chi
è come noi, o a chi
crede come
crediamo noi. Gesù
non ha posto limiti a
verso chi dobbiamo
dimostrare amore e
compassione.
• Le differenze di razza, credo,
stile di vita e condizione sociale non
dovrebbero impedirci di amare gli
altri.
• La bontà delle persone non è
limitata a quelle della nostra
religione. Ci sono molte persone di
altre fedi, o perfino prive di fede, che
dimostrano amore e compassione
per gli altri.
• Come discepoli, come seguaci
di Gesù, dovremmo essere pieni del
suo amore e questo amore
dovrebbe spingerci all’azione nei
confronti degli altri. Amore e
compassione sono segni del vero
cristianesimo, sono indicazioni di
chi segue le orme del Maestro.
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• L’amore in azione comporta dei sacrifici. Spesso bisogna cambiare
i propri piani per aiutare un altro. Se aiuti qualcuno finanziariamente,
vuol dire che avrai meno soldi per te stesso. Aiutare gli altri richiede un
amore costoso, ma fa parte dell’amare il tuo prossimo. Forse nessuno
saprà mai quanto ti costa amare il prossimo, ma tuo Padre che è nei
cieli, che vede nel segreto, lo sa e ti ricompenserà. (Matteo 6:4)
Prenditi un po’ di tempo per pensare ai principi illustrati da Gesù in
questa storia.
In questa parabola Gesù ha stabilito i criteri per l’amore e la
compassione; le sue parole di chiusura a voi e a me — i suoi ascoltatori
di questi giorni — sono: “Vai e fai anche tu la stessa cosa”.

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  • 1. LE STORIE RACCONTATE DA GESÙ Il buon Samaritano Molti di noi conoscono bene la parabola del Buon Samaritano. Comunque, poiché viviamo in culture molto diverse da quella della Palestina del primo secolo, ci sono aspetti della storia che potremmo non capire. Quando la ascoltiamo o la leggiamo, non sembra che questa parabola possa impressionarci o sfidare lo status quo del mondo moderno. Tuttavia, il pubblico del primo secolo che avesse udito Gesù raccontare questa parabola ne sarebbe rimasto sbalordito. Il messaggio sarebbe stato contrario alle sue attese e avrebbe sfidato i limiti della cultura di quei tempi. Vediamo i personaggi in ordine di apparizione. L’uomo ferito La parabola ci racconta pochissimo del primo personaggio, l’uomo derubato e picchiato, ma ci fornisce un fattore cruciale per la storia. Fu spogliato e abbandonato mezzo morto. Fu lasciato a terra, gravemente ferito e privo di sensi. Questo è significativo, perché nel primo secolo le persone erano facilmente identificabili dal tipo di vestiti che indossavano e dalla loro lingua o il loro accento. Poiché l’uomo ferito non aveva abiti, era impossibile capire la sua nazionalità. Il fatto che fosse privo di sensi e non potesse parlare rendeva impossibile capire chi fosse o da dove venisse.
  • 2. Il Sacerdote Il secondo personaggio della storia è il sacerdote. I sacerdoti ebrei in Israele erano il clero che prestava servizio all’interno del tempio a Gerusalemme. I sacerdoti ordinari erano quelli che prestavano servizio nel tempio con turni di una settimana in un periodo di ventiquattro settimane. Non ci sono particolari riguardo al sacerdote in questa storia, ma chi ascoltò la parabola di Gesù molto probabilmente immaginò che stesse tornando a casa sua a Gerico dopo aver fatto la sua settimana nel tempio. Il Levita Anche se tutti i sacerdoti erano leviti, non tutti i leviti erano sacerdoti. Erano considerati un clero minore. Prestavano anch’essi servizio nel tempio per due settimane due volte l’anno. Il Samaritano I samaritani erano un popolo che viveva sulle colline della Samaria, tra la Galilea, al nord, e la Giudea, al sud. Credevano nei primi cinque libri di Mosè, ma credevano anche che Dio avesse designato come luogo di culto il Monte Gerizim, invece di Gerusalemme. Nel 128 a.C., il tempio samaritano sul Monte Gerizim fu distrutto dall’esercito
  • 3. ebraico. Tra il 6 e il 7 d.C. alcuni samaritani sparsero ossa umane nel tempio ebraico, contaminandolo. Questi due avvenimenti ebbero un ruolo nella profonda inimicizia esistente tra ebrei e samaritani. Questa inimicizia è chiara nel Nuovo Testamento. Quando gli ebrei della Galilea viaggiavano a sud per andare a Gerusalemme, spesso facevano la strada più lunga, girando attorno alla Samaria. Ciò aggiungeva altri quaranta chilometri, due o tre giorni di viaggio. La strada era molto più calda e comprendeva una lunga salita da Gerico a Gerusalemme, ma molti pensavano che ne valesse la pena pur di evitare il contatto con i samaritani. È in questo contesto di animosità culturale, razziale e religiosa, che Gesù raccontò la parabola del Buon Samaritano. La Parabola Ora che conosciamo meglio i vari personaggi, vediamo cosa successe quando il dottore della legge fece le sue domande a Gesù nel capitolo 10, versetto 25, di Luca. Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse: «Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?» (Luca 10:25) Il problema di come si ottenesse la vita eterna era dibattuto dagli studiosi ebraici del primo secolo, sottolineando l’ubbidienza alla legge come mezzo per ottenerla. Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». (Luca 10:26-27) Come si nota in tutti i Vangeli, questo era esattamente ciò che Gesù stava insegnando e forse il dottore della legge glielo aveva già sentito dire. Gesù disse al dottore della legge che aveva ragione e che avrebbe
  • 4. dovuto mettere in pratica queste cose. Avrebbe dovuto rispettare la norma di amare Dio con tutto ciò che aveva dentro e di amare il suo prossimo. Nella sua frase successiva, il dottore cerca un modo per giustificarsi davanti a Dio. Essere giustificato vuol dire essere considerato meritevole agli occhi di Dio, avere la salvezza. Lui vuole sapere che cosa deve fare, quali opere, quali azioni sono necessarie per giustificarsi; in altre parole, per guadagnarsi la salvezza. Ma egli [il dottore della legge], volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» (Luca 10:29) Il dottore sa che può amare Dio osservando la legge, ma questo “ama il tuo prossimo” è un punto un po’ vago. Così vuole sapere chi è il suo prossimo, chi esattamente deve amare. Sa che il suo prossimo include “i figli del tuo popolo”, come afferma il versetto in Levitico, quindi include gli altri ebrei. Ma c’è qualcun altro? I gentili non erano considerati “prossimo”, anche se in Levitico 19,34 dice: Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso... Quindi è stabilito che se uno straniero vive nello stesso paese del dottore della legge, anche lui dovrebbe far parte del prossimo. Così il prossimo del dottore sarebbero probabilmente stati i suoi conterranei ebrei e qualsiasi straniero vivesse nella sua città. Chiunque altro certamente non sarebbe stato il suo prossimo, specialmente non gli odiati samaritani. È in risposta a questa domanda, “chi è il mio prossimo” — in altre parole, “chi devo amare” — che Gesù racconta la parabola. Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto». (Luca 10:30)
  • 5. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre, dall’altra parte. (Luca 10:31) È probabile che il sacerdote tornasse da una delle sue settimane di servizio nel tempio. Per via della sua condizione sociale, è facile che cavalcasse un asino e quindi avrebbe potuto trasportare il ferito fino a Gerico. Il problema era che non poteva stabilire chi fosse, o di quale nazionalità, dato che era svenuto e nudo. A causa della legge mosaica, il sacerdote aveva il dovere di aiutare un concittadino ebreo, ma non uno straniero, e in quelle circostanze non poteva stabilire chi fosse il ferito. Per giunta, il sacerdote non sapeva se l’uomo era morto e, secondo la legge, avvicinarsi a un cadavere, o toccarlo, lo avrebbe reso cerimonialmente impuro. Alla fine, qualunque ne fosse il motivo, decise di passare di fianco all’uomo, restando dall’altra parte della strada per assicurarsi di mantenere la giusta distanza da lui. La parabola continua così: Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. (Luca 10:32) Il levita, probabilmente di ritorno a casa dopo la sua settimana di servizio al tempio, fa la stessa cosa del sacerdote e decide di non aiutare. Anche se era impossibile stabilire la nazionalità dell’uomo, basandosi sul contesto della storia, gli ascoltatori originali molto probabilmente avrebbero supposto che l’uomo in punto di morte fosse un ebreo.
  • 6. A questo punto della storia gli ascoltatori originali si sarebbero aspettati che la prossima persona a imbattersi nell’uomo sarebbe stato un ebreo laico. Avrebbe avuto perfettamente senso, considerando che c’era un ordine discendente di condizione sociale: il sacerdote, il levita, il laico. Invece, nella sua storia Gesù si allontana molto dal tracciato. La terza persona che entra in scena è un samaritano disprezzato, un nemico. E la cosa peggiora quando Gesù racconta tutto quello che il samaritano fa per il moribondo, cose che avrebbero dovuto fare il sacerdote e il levita. Ma un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. (Luca 10:33- 34) Il samaritano, probabilmente un mercante che trasportava olio e vino, con almeno un animale, probabilmente un asino, ha compassione del ferito. Prima gli fascia le ferite. Che cosa usa per farlo? Non fa servizio di ambulanza, non ha una cassetta di pronto soccorso. Forse, essendo un mercante, trasporta della stoffa. Forse si toglie la tunica di lino che indossa sotto gli altri vestiti e usa quella; oppure si toglie la fascia dal capo per usarla come benda. Poi usa vino e olio per pulire, disinfettare e guarire. Il samaritano porta il ferito nella locanda e si prende cura di lui. Se come abbiamo pensato il ferito era un ebreo, il samaritano avrebbe potuto correre un grosso rischio arrivando in città con un ebreo morto sul suo asino, perché i parenti dell’uomo avrebbero potuto incolpare lui delle sue condizioni e vendicarsi. Per la sua stessa sicurezza,
  • 7. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. (Luca 10:35) Due denari era l’equivalente del salario di due giorni di un lavoratore. Lasciare del denaro all’oste garantiva che l’uomo avrebbe ricevuto le cure necessarie mentre guariva. Se l’oste avesse dovuto spendere più di quella somma per aiutare l’uomo durante la sua convalescenza, il samaritano promise che l’avrebbe ripagato alla sua visita successiva. Se non avesse fatto così, l’uomo avrebbe potuto accumulare un debito per l’alloggio, il cibo e l’assistenza; in quei giorni, se uno non poteva pagare i debiti, poteva essere arrestato. La promessa del samaritano di tornare e pagare qualsiasi spesa in più garantiva sicurezza e cure continue al ferito. Molto probabilmente il samaritano conduceva regolarmente affari a Gerusalemme e passava spesso per Gerico. Se era un cliente regolare della locanda, ha senso che l’oste accettasse la sua promessa di tornare per saldare eventuali spese in più. Terminando la storia, Gesù chiede al dottore della legge: «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa». (Luca 10:36-37) La domanda fatta dal dottore della legge era: “Chi è il mio prossimo?” sarebbe stato meglio lasciare l’uomo appena fuori città, o alle sue porte; invece lo portò alla locanda e passò la notte a prendersi cura di lui. Ma fece anche qualcosa in più.
  • 8. Gesù non gli rispose con i particolari che desiderava; invece raccontò una storia e poi chiese al legale chi si era dimostrato un prossimo. Il legale voleva una risposta chiara, categorica, come: il tuo prossimo è il tuo concittadino ebreo, o uno che si è convertito al giudaismo, o uno straniero che vive in mezzo a voi. Se il dottore della legge avesse sentito un simile elenco, avrebbe saputo chi doveva amare nel rispetto della legge. La storia di Gesù, però, dimostrava che non c’è una lista che limita chi sei responsabile di amare o chi devi considerare tuo prossimo. Gesù definì “tuo prossimo” qualunque persona bisognosa Dio metta sul tuo cammino. In tutti i Vangeli Gesù sottolineò l’amore, la misericordia e la compassione più che il rispetto delle regole. Invece di porre attenzione su ciò che bisogna fare, la mise sul tipo di persona che bisogna essere. In questo caso, compassionevole, amorevole e misericordiosa verso chi ha bisogno — e non solo in teoria, ma nella pratica. Cristo ci chiama a essere compassionevoli. Come il dottore della legge e quelli che originariamente ascoltarono Gesù raccontare la parabola, siamo da Lui incitati a rispondere, andare e fare la stessa cosa. Mentre lo facciamo, ecco alcuni punti su cui riflettere: • Il nostro obbligo di amare il prossimo non è limitato a chi conosciamo, o a chi è come noi, o a chi crede come crediamo noi. Gesù non ha posto limiti a verso chi dobbiamo dimostrare amore e compassione.
  • 9. • Le differenze di razza, credo, stile di vita e condizione sociale non dovrebbero impedirci di amare gli altri. • La bontà delle persone non è limitata a quelle della nostra religione. Ci sono molte persone di altre fedi, o perfino prive di fede, che dimostrano amore e compassione per gli altri. • Come discepoli, come seguaci di Gesù, dovremmo essere pieni del suo amore e questo amore dovrebbe spingerci all’azione nei confronti degli altri. Amore e compassione sono segni del vero cristianesimo, sono indicazioni di chi segue le orme del Maestro. www.freekidstories.org Text © TFI. Images on pages 1 – 7 © FreeBibleImages; used under Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License. Image on page 8 designed by Prostooleh via Freepik. Image on top of page 9 designed by valentinlacoste via Freepik. Image on the bottom of page 9 designed by pch.vector via Freepik. • L’amore in azione comporta dei sacrifici. Spesso bisogna cambiare i propri piani per aiutare un altro. Se aiuti qualcuno finanziariamente, vuol dire che avrai meno soldi per te stesso. Aiutare gli altri richiede un amore costoso, ma fa parte dell’amare il tuo prossimo. Forse nessuno saprà mai quanto ti costa amare il prossimo, ma tuo Padre che è nei cieli, che vede nel segreto, lo sa e ti ricompenserà. (Matteo 6:4) Prenditi un po’ di tempo per pensare ai principi illustrati da Gesù in questa storia. In questa parabola Gesù ha stabilito i criteri per l’amore e la compassione; le sue parole di chiusura a voi e a me — i suoi ascoltatori di questi giorni — sono: “Vai e fai anche tu la stessa cosa”.