3. Nel territorio dell'Impero Romano, c'erano sempre state molte
varietà di latino parlato che si distinguevano dal più unitario
latino scritto classico (che aveva come modelli i grandi autori
latini).
Tali varietà dipendevano soprattutto dall'estrazione
socioculturale dei parlanti (diastratìa), dalla situazione
comunicativa più o meno formale (diafasìa), ma soprattutto
dalla variazione geografica (diatopìa): già dall'inizio della sua
diffusione, infatti, il latino parlato risentì degli influssi delle
lingue che andava a sostituire (sostrato linguistico) presso i
popoli che entravano mano a mano a far parte del dominio
romano.
I sostrati del latino
4. I sostrati del
latino in Italia
I sostrati linguistici in Italia furono la
base dei volgari che affiancavano il
latino classico e che hanno originato
i dialetti che ancora oggi affiancano
l'italiano.
I tre gruppi più importanti sono:
• i sostrati gallo-italici nell'area
settentrionale e centrale
• il sostrato etrusco nell'area
centrale
• il sostrato greco nell'area
meridionale
5. Dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.) le dominazioni
straniere di popoli germanici (goti, longobardi, franchi) contribuirono in
modo decisivo ad aumentare la grande frammentazione linguistica
dell'area in cui prima si parlava latino (detta Romània). Cominciarono a
formarsi le lingue volgari locali con caratteri diversi e specifici.
In Italia, in particolare, a questa frammentazione contribuirono
soprattutto i longobardi (568-773) che arrivarono fino al Sud coi ducati di
Spoleto e Benevento e divisero la Penisola politicamente e
geograficamente.
I dominatori germanici, a differenza dei romani che imponevano ai popoli
vinti il latino, adottarono la lingua delle popolazioni conquistate,
immettendo però alcuni elementi della loro lingua (superstrato).
I superstrati romano-barbarici
7. I prestiti longobardi rappresentano il più sostanzioso gruppo di elementi
germanici entrati nel latino volgare prima dell'avvio di una tradizione scritta.
Essi sono ancora oggi diffusi nel lessico comune in molti ambiti semantici:
• lessico di campagna: striscia, annaffiare, gora, parco, zolla…
• lessico anatomico: anca, baffo, gozzo, grinfia, schiena, stinco, zanna, zazzera…
• lessico degli atteggiamenti: beffare, sbigottire, ghignare, scherzare…
• lessico domestico: gruccia, benda, branda, panca, sala, stamberga, stia…
• lessico di cucina: sbafare, brodo, gnocco, piluccare, trincare…
• toponomastica: Lombardia (che indicava tutta l'Italia settentrionale) Garda,
Guastalla, Amiata, Gualdo…
• antroponimia: cognomi come Cataldo, Grimaldi, Mari, Pertini, Sassetti…
Il superstrato longobardo
8. Già in età Imperiale si affermano, nel latino parlato delle varie aree, mutamenti
importanti, a noi noti attraverso fonti scritte diverse (iscrizioni, graffiti, testimonianze di
scrittori o di grammatici che ci segnalano le innovazioni come "errori”).
Tra i più rilevanti…
• Cadono le consonanti finali di parola (amat > ama, panem > pane)
• Si indebolisce il sistema flessivo fondato sui casi e i costrutti con preposizione
sostituiscono le forme declinate (vini > de vino 'del vino')
• Il dimostrativo ille in funzione anaforica assume funzioni di articolo, prima assente in
latino (illa rosa 'la rosa')
• Si introducono forme perifrastiche con valore di futuro e di condizionale (amare
habeo 'amerò'; amare habebam o amare hebui 'amerei')
• L'ordine delle parole, con la perdita dei casi che segnalano i rapporti sintattici tra i
costituenti, non è più̀ libero ma inizia a seguire il modello SVO (soggetto-verbo-
oggetto: Petrus Paulum amat 'Pietro ama Paolo').
Dal latino ai volgari romanzi
9. Tra il IV e il V secolo (ma l'inizio del fenomeno è più antico) nel sistema
vocalico del latino scompare la distinzione degli accenti fondata sulla
quantità (vocali lunghe/brevi) e si instaura la distinzione fondata sulla
qualità (vocali aperte/chiuse): le vocali brevi venivano pronunciate aperte
e le lunghe chiuse.
Si passa così dal sistema vocalico latino a quello italico a sette vocali
toniche (o cinque nei sistemi diversi dal tosco-fiorentino, come il
siciliano), ridotte a cinque in sillaba atona (i, e, a, o, u).
Vocalismo tonico italico
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō Ŭ Ū
fīlum
> filo
pĭlum
> pélo
tēlam
> téla
bĕne
> bène
fābulam
> favola
măre
> mare
nŏvem
> nòve
sōlem
> sóle
crŭcem
> cróce
mūrum
> muro
i é è a ò ó u
/i/ /e/ /ɛ/ /a/ /ɔ/ /o/ /u/
11. Il vero e proprio distacco tra la lingua scritta della cultura e i volgari
avviene in tempi e modi diversi, comunque non prima del VII-VIII secolo,
e presuppone una situazione di convivenza del latino con il volgare
(diglossia), in cui il volgare è la lingua bassa, l'unica usata dagli incolti (gli
illitterati), mentre il latino è la lingua alta, usata da una minoranza colta (i
litterati, che sono veri e propri bilingui).
Prima che affiorasse la consapevolezza della separazione, e che si
manifestasse l'esigenza di scrivere in volgare, troviamo però scritture in
latino “rustico”, cioè in un latino venato di volgarismi fonomorfologici,
sintattici e lessicali.
La scripta latina rustica rappresenta dunque una sorta di “ponte” tra
latino scritto e le scritture volgari vere e proprie, anche se latino e
volgare continueranno per lungo tempo a interferire e a coesistere nei
documenti.
Scripta latina rustica
12. L'avvio di scriptae volgari fu sollecitato e favorito dalla riforma carolingia del latino (tra
VIII e IX sec.), che approfondì la distanza tra latino scritto e gli usi volgari parlati e la
coscienza di tale separazione.
Queste scritture intermedie provengono da ambienti alfabetizzati e da importanti figure di
"mediatori" linguistici e culturali:
• I notai, che dovevano tradurre e riformulare di continuo da una lingua all'altra.
• I mercanti, che di solito non conoscevano il latino, ma sapevano scrivere e far di conto,
e dovevano usare il volgare per esigenze pratiche (conti, corrispondenza ecc.).
• I religiosi, che nella loro predicazione dovevano farsi comprendere anche dagli
illitterati.
L'area geografica privilegiata per l'attestazione di scriptae volgari già dal IX-X sec. è l'area
mediana, da Montecassino all'Umbria, in cui agì profondamente la cultura monastica
benedettina. In altre regioni, invece, la documentazione è più tarda.
Scripta latina rustica
13. Pur essendo espressione di tradizioni culturali locali differenti, le
scriptae volgari presentano tendenze comuni:
• L'ibridismo linguistico, dovuto alla mescolanza di tratti locali con
elementi latini o latineggianti.
• La variabilità e instabilità, dovute ai problemi della resa grafica
di suoni volgari con l'alfabeto latino e al sovrapporsi di usi
differenti, oltre che alla mancanza di una norma univoca.
• La forte specificità dell'elemento locale, che caratterizza le
scriptae dei vari centri e le rende molto diversificate tra loro,
anche se provengono da zone contigue geograficamente.
Per le scriptae medievali si parla perciò di plurilinguismo e
policentrismo.
Scripta latina rustica
14. Uno dei più antichi casi di
testo latino intriso di
volgarismi è il cosiddetto
Indovinello veronese (fine
VIII-inizio IX sec.). Si tratta di
una nota in corsivo che allude
metaforicamente all'atto dello
scrivere: l'indovinello è stato
aggiunto, insieme a un'altra
breve nota in latino corretto,
su una pagina di un codice
scritto in Spagna al principio
dell'VIII secolo e poi arrivato
nella Biblioteca Capitolare di
Verona.
L'indovinello
veronese
15. “✝ Se pareba boues alba pratalia araba & albo uersorio teneba & negro semen seminaba
✝ gratias tibi agimus omnip(oten)s sempiterne d(eu)s”
L'indovinello veronese
Forme già volgari Forme ancora latine
• pareba, araba, seminaba perdono la -t
della III persona sing. dell'imperfetto
• albo, versorio, negro hanno la finale in -o
invece che in -um
• negro si discosta dal latino nigrum
• la -s plurale di boves
• gli imperfetti in -eba, -aba invece dei
betacismi -eva, -ava
• la -n di semen
• il nesso -ri-+ vocale in versorio e
• albo e alba dal latino albus 'bianco'
16. Il più antico testo noto in volgare è
l'Iscrizione della Catacomba di Comodilla a
Roma risalente alla prima metà del IX sec.
Il documento è una frase graffita sulla parete
della catacomba (sotto a un più tardo affresco
raffigurante la Vergine in trono col Bambino)
che offre un suggerimento all'officiante della
Messa:
“NON
DICE
RE IL
LE SE
CRITA
A BBOCE”
L'iscrizione della
Catacomba di Comodilla
17. La formula può essere così ricostruita:
“NON DICERE ILLE SECRITA ABBOCE ”
• La formula proibitiva non + infinito ha sostituito il costrutto
classico ne + congiuntivo perfetto
• secrita è al posto del latino secrēta
• Il dimostrativo ille è interpretabile come uno dei primi esempi in
area italiana di articolo determinativo (precursore della sua
forma aferetica le)
• A bboce segnala graficamente il betacismo di v (pronunciata /b/)
e il raddoppiamento fonosintattico del parlato
L'iscrizione della Catacomba di Comodilla
18. Un altro antico esempio di scrittura volgare esposta per una lettura collettiva è
l'iscrizione che correda l'affresco raffigurante la Passione di San Clemente (XI sec.)
nell'omonima basilica sotterranea a Roma.
Le parole pronunciate dai servi che credono di aver imprigionato il santo sono in
volgare: «Falite dereto colo palo Carvoncelle» «Albertel Gosmari tràite»; e così le
esortazioni del persecutore patrizio Sisinnio: «Fili de le pute tràite»; mentre le parole
del santo, miracolosamente trasformato in colonna, sono in latino approssimativo:
«Duritiam cordis vestris saxa trahere meruistis»
L'iscrizione di San Clemente
19. Servi: FALITE DERETO COLO PALO
CARVONCELLE
San Clemente: DURITIAM CORDIS VESTRIS
SAXA TRAHERE MERUISTIS
Servi: ALBERTEL GOSMARI TRAITE
Persecutore SISINUS: FILI DE LE PUTE TRAITE
Il testo è rilevante per il ruolo di diverso
prestigio assegnato al volgare e al latino
(lingua attribuita solo al santo e presente
anche nell'iscrizione dedicatoria sotto
l'affresco) e per la caratterizzazione parlata e
bassa delle battute in volgare nelle quali
possiamo ravvisare l'antico dialetto
romanesco.
L'iscrizione di San Clemente
20. I primi usi consapevoli del volgare in documenti
ufficiali (considerati l'atto di nascita dell'italiano) sono
i placiti ('decisioni giudiziali') ritrovati nell'abbazia di
Montecassino, ma provenienti da diverse località
campane (uno a Capua, uno a Sessa Aurunca, due a
Teano) tra il marzo del 960 d.C. (il Placito di Capua) e
l'ottobre 963 d.C. (il secondo Placito di Teano).
I placiti sono dei verbali scritti in latino su pergamena,
nei quali, però, i notai redattori hanno avuto lo
scrupolo di restituirci consapevolmente e quanto più
fedelmente possibile la lingua volgare dei testimoni
sotto giuramento.
Placiti cassinesi
21. Nel Placito di Capua, il più antico, il notaio Atenolfo trascrive per tre volte la
testimonianza (lasciata volutamente in volgare) che il giudice Arechisi aveva richiesto
ai testimoni:
“Sao ko kelle terre per kelle fini que ki kontene trenta anni le possette parte S(an)c(t)i
Benedicti.”
Il testo presenta la prima attestazione di dislocazione a sinistra con ripresa
pronominale “kelle terre… le possette” ed elementi volgari sia nella grafia (k in ki,
kontene, kelle) che nella fonetica (ko < latino quŏd; kelle > latino ĕccŭm + ĭlle; ki <
latino ĕccŭm + hĭc; Sao, probabile forma meridionale su cui prevalse il tipo Saccio <
latino săpĭo).
Il Placito di Capua
22. Sempre della fascia appenninico-mediana è uno dei più antichi
testi bilingui latino-volgari finora noti: la Formula di confessione
umbra (fine dell'XI sec.) ritrovata nel monastero benedettino
Sant'Eutizio presso Norcia.
Il manoscritto è una litania penitenziale che i fedeli dovevano
recitare a voce alta e la sua struttura si può dividere così:
• il penitente inizia la formula di rito della confessione in un
latino ecclesiastico fortemente contaminato (“Confessu
so…”)
• il penitente chiede perdono riconoscendosi colpevole dei
suoi peccati in volgare (con una lista di “Miserere.
Accusome…” e una sintassi paratattica)
• sempre in spiccato volgare è la richiesta di perdono del
penitente (“De istis et his similia sì me nde metto en colpa”)
• il confessore, ancora in volgare, accetta la confessione del
penitente in nome di Dio e dei santi (“ke lu diabolu non te
nde poza accusare”)
• il confessore pronuncia la formula d'assoluzione in corretto
latino (“Indulgentiam et remissiones, absolutiones […]
tribuat”)
Formula di confessione umbra
23. In Toscana invece uno dei testi più antichi è la Testimonianza di Travale risalente al
1158. Il documento notarile riguarda il possesso conteso di alcuni casolari nel
territorio di Travale, una piccola frazione del comune di Montieri (Grosseto).
Anche qui la deposizione dei testimoni, che lo scrivente ha trascritto col gusto
dell'aneddoto, della frase breve e ad effetto, presenta numerose forme e frasi intere
in volgare.
In particolare è di difficile interpretazione, ma molto lontana dal latino, la frase di un
certo Malfredo che, avendo prestato servizio di guardia presso il podere di Travale,
lamenta di non essere stato adeguatamente nutrito:
“Guaita, guaita male; non mangiai ma mezo pane.“
Il termine guaita, sia come sostantivo (come è da intendersi nella prima occorrenza
della frase), sia come verbo (come nella seconda) deriva dal germanico. Il sostantivo
wahta e il verbo wathon sono alla base del fiorentino guatare e vicini ad altri termini
germanici entrati poi nella nostra lingua come guerra, guancia, guardia, guardare.
La Testimonianza di Travale
Notes de l'éditeur
La fonologia (o fonematica) è lo studio dei fonemi e si distingue dalla fonetica che è lo studio dei foni.
L'Impero romano d'Occidente iniziò a configurarsi come organismo statale autonomo alla morte dell'imperatore Teodosio (395) il quale decise di affidare gli immensi territori, sempre più vulnerabili alla pressione dei barbari, ai suoi due figli: ad Arcadio, il maggiore, fu assegnato il governo della parte orientale dell'Impero mentre a Onorio, il minore, spettò la parte occidentale.
Questo consolidò anche la grande divisione linguistica che vedeva l'Occidente avere come lingua ufficiale il latino e l'Oriente il greco.
Troviamo le trascrizioni più fedeli del latino parlato (con tutte le sue deviazioni rispetto al latino puro) in commediografi come Plauto o Terenzio o in autori classici quali Cicerone e Petronio, ma anche in testi come l'Appendix Probi, che è un'appendice al trattato di grammatica di Probo dove vengono registrate delle forme “scorrette” (ma quindi usate) di parole latine (e si suggerisce l'uso di vetulus e non veclus, auris e non oricla, calida e non calda…).
La fonologia (o fonematica) è lo studio dei fonemi e si distingue dalla fonetica che è lo studio dei foni.
'Sembrava come i buoi, arava campi bianchi e teneva un aratro bianco e seminava seme nero. Rendiamo grazia a te onnipotente sempiterno Dio'.
Lo scrivente non era certo incolto e la soluzione all'indovinello rinvia all'idea di un chierico che paragona la sua fatica allo scrittorio alle fatiche nei campi.
'Non pronunciare le orazioni segrete a voce alta'.
'Non pronunciare le orazioni segrete a voce alta'.
Le “secrita”, le orazioni segrete, sono un termine specifico della liturgia che segnala le preghiere dopo l'Offertorio della Messa che secondo le prescrizioni liturgiche dell'epoca.
'Fagliti dietro col palo, Carvoncello. Albertello, Gosmari, tirate! [e il persecutore patrizio Sisinnio:] Figli delle puttane, tirate. [San Clemente invece dice:] Per la durezza del vostro cuore meritaste di trascinare pietre'.
'Fagliti dietro col palo, Carvoncello. Albertello, Gosmari, tirate! [e il persecutore patrizio Sisinnio:] Figli delle puttane, tirate. [San Clemente invece dice:] Per la durezza del vostro cuore meritaste di trascinare pietre'.
La dedica sotto è «Ego Beno de Rapiza com Maria uxor mea pro amore Dei et Beati Clementi PGR (per grazia ricevuta)».
Successe un po' come per i Giuramenti di Strasburgo, il primo documento che documentasse ufficialmente e consapevolmente le lingue romanze. Il 14 febbraio dell'anno 842 Carlo II il Calvo e Ludovico II il Germanico si trovano a Strasburgo per giurarsi fedeltà reciproca, e per affermare che nessuno di loro avrebbe stretto patti di alleanza con Lotario I (imperatore e fratello di entrambi).
I due fili di Ludovico il Pio si fecero i rispettivi giuramenti l'uno nella lingua dell'altro (Ludovico parlava alto-tedesco antico, Carlo un proto-francese) che vennero solennemente trascritti come furono pronunciati.
'So che quelle terre, entro i confini che qui contiene/che qui si dice, trenta anni le possedette il monastero di San Benedetto'.
Documenti di area toscana più antichi della testimonianza di Travale sono pochi: un Conto navale Pisano della seconda metà dell'XI sec. scoperto in un codice conservato nella Biblioteca di Filadelfia; la cosiddetta Postilla amiatina (una nota nell'Atto di donazione all'Abbazia di San Salvatore sul monte Amiata) del 1087.