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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SVILUPPO E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
TESI DI LAUREA
IN POLITICA ECONOMICA
I SISTEMI DI SCAMBIO NON MONETARI NEI
PAESI A CAPITALISMO MATURO
CANDIDATO RELATORE
LUCA PRIMAVERA ROBERTO FANFANI
SESSIONE DI MARZO
ANNO ACCADEMICO 2003 - 2004
1
La nostra tesi è che l’idea di un mercato autoregolato
implicasse una grossa utopia. Un’istituzione del genere non
poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza
annullare la sostanza umana e naturale della società; essa
avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto. Era
inevitabile che la società prendesse delle misure per difendersi,
ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava
l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita
industriale e metteva così in pericolo la società in un altro
modo. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo del sistema di
mercato in un solco preciso ed infine a far crollare
l’organizzazione sociale che si basava su di esso. (…) Niente
potrebbe sembrare più sciocco che ridurre una civiltà, la sua
sostanza ed il suo ethos ad un numero rigidamente chiuso di
istituzioni, sceglierne una come fondamentale e procedere
argomentando l’inevitabile autodistruzione della civiltà sulla
base di qualche qualità tecnica della sua organizzazione
economica.
Karl Polanyi, 1944
2
Sommario
I SISTEMI DI SCAMBIO NON MONETARI NEI PAESI A
CAPITALISMO MATURO.........................................................................1
La nostra tesi è che l’idea di un mercato autoregolato implicasse una
grossa utopia. Un’istituzione del genere non poteva esistere per un
qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza umana e
naturale della società; essa avrebbe trasformato il suo ambiente in un
deserto. Era inevitabile che la società prendesse delle misure per
difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava
l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e
metteva così in pericolo la società in un altro modo. Fu questo dilemma
a spingere lo sviluppo del sistema di mercato in un solco preciso ed
infine a far crollare l’organizzazione sociale che si basava su di esso.
(…) Niente potrebbe sembrare più sciocco che ridurre una civiltà, la
sua sostanza ed il suo ethos ad un numero rigidamente chiuso di
istituzioni, sceglierne una come fondamentale e procedere
argomentando l’inevitabile autodistruzione della civiltà sulla base di
qualche qualità tecnica della sua organizzazione economica....................2
Karl Polanyi, 1944.........................................................................................2
Sommario.......................................................................................................3
Introduzione.........................................................................................................................................4
1. Il mito dello sviluppo................................................................................6
1.1 I limiti dello sviluppo.....................................................................................................................6
1.2 La concorrenza posizionale ...........................................................................................................7
1.3 Il tempo........................................................................................................................................10
1.4 L’effetto tempo sulla relazionalità...............................................................................................11
1.5 L’effetto deviante della commercializzazione.............................................................................13
2. Ortodossia economica, Stato e privato sociale.....................................16
2.1 Per un’Economia Civile ..............................................................................................................16
2.2 Reciprocità e dono.......................................................................................................................18
2.3 Stato sociale e privato sociale......................................................................................................20
2.4 Il capitale sociale..........................................................................................................................22
3. Sistemi di scambio non monetari, economie senza denaro ................24
3.1 Local Excange Trading Sistem....................................................................................................25
3
3.2 Système d’Echange Local............................................................................................................26
3.3 Banca Del Tempo.........................................................................................................................27
3.4 Robust Complementary Community Currency System...............................................................27
3.5 Sistema di Reciprocità Indiretta...................................................................................................28
3.6 Réseaux d’ Échange Réciproque des Savoirs..............................................................................28
3.7 Sistema Wir..................................................................................................................................29
3.8 Tauschring....................................................................................................................................29
3.9 Ithaca Hours ................................................................................................................................30
3.10 Hureai Kippu .............................................................................................................................30
3.11 Hero Dollars...............................................................................................................................31
3.12 EcoAspromonte..........................................................................................................................31
Conclusioni........................................................................................................................................32
Bibliografia....................................................................................................................................35
Riferimenti sul web........................................................................................................................35
Introduzione
Questo breve saggio cercherà di analizzare le caratteristiche di alcune realtà presenti in tutto il mondo
che cercano di creare spazi di relazione e reciprocità all’interno del sistema di mercato. In particolare
si cercherà di esaminare l’insieme di associazioni e gruppi spontanei, che constatano una comune
necessità di relazione e accesso a beni e servizi che lo Stato non riesce a fornirgli, e che loro non
riescono ad ottenere attraverso il mercato. In ogni parte del mondo dall’Argentina al Giappone,
passando per il Senegal e gli USA, noteremo come ci si auto organizzi per superare queste empasse.
Ci chiederemo se il dono, la reciprocità, e la fiducia, che questi gruppi mettono al centro delle loro
pratiche, siano effettivamente categorie importanti per l’analisi economica, e quali siano le
conseguenze di scambi di beni e servizi effettuati non attraverso il denaro. È possibile un approccio
economico che integri al suo interno la dimensione relazionale dell’economia, cercando di superare
l’individualismo assiologico?
Il nostro percorso partirà dall’analisi di alcune conseguenze solitamente classificate come
esternalità del processo di sviluppo economico, che nei sistemi capitalistici maturi hanno conseguenze
molto importanti dal punto di vista economico, sociale, e personale. In particolare vedremo quale
pressione esercita lo sviluppo economico sulla “gestione” personale del tempo, quali ricadute esso
abbia sulla “gestione” dei rapporti interpersonali, quali conseguenze economiche generi questo
spostamento, e di conseguenza come si ripercuota tutto ciò sulla vita politica.
Lo Stato infatti, come molti politologi, sociologi, filosofi, ed economisti sostengono, si trova
di fronte ad una crisi strutturale. Crisi fiscale e di legittimazione, limiti nella gestione di fenomeni
4
transnazionali quali l’inquinamento, i conflitti asimmetrici contro entità non statuali, la
finanziarizzazione dell’economia planetaria. In generale fenomeni legati alla riduzione del significato
di spazio e di tempo: ciò che comunemente chiamiamo globalizzazione. In questo contesto
sottolineeremo l’importanza delle esperienze di economia civile1
, che magari senza saperlo, cercano di
implementare l’attuale sistema di welfare, o che cercano di arrivare là dove Stato e mercato hanno
fallito. È qui che si inserisce l’importanza delle esperienze delle economie senza denaro, dei sistemi
di scambio non monetari, delle monete locali, di quelle ad interesse negativo, e di quelle a scadenza.
Queste pratiche enormemente diffuse in tutte le zone del pianeta, non sono novità, hanno le loro radici
in esperienze storiche lontane e differenti fra loro, come per esempio le Óstraca dell’antico Egitto, i
Breakteats medioevali, i Ducati immaginari a Venezia nel XII secolo, lo Scambio dei servizi utili a
Reston in Virginia nel XVII secolo, il sistema della Tontina usato anche per fare prestiti al cardinale
Mazzarino, o come le varie esperienze sviluppate durante la Repubblica di Weimar. Ad una prima
occhiata potrebbe sembrare che si ostenti un nostalgico ritorno al passato, un presunto idilliaco
primitivismo, si cerchi di tornare al baratto, a forme di economia premoderna. Non è così. Come
avremo modo di sottolineare più precisamente osserveremo elementi fortemente innovativi in queste
pratiche, elementi che nascono dalle spinte della modernità, elementi che sono risposte ad alcuni
quesiti fondanti la modernità stessa, ed in particolare posti dai sistemi capitalistici maturi. Cercheremo
di dimostrare come le forme di economia civile cercano di rispondere ai quesiti che nascono da quella
che U. Beck chiama seconda modernità, caratterizzata da nuovi elementi derivanti dalla crisi dello
Stato nazionale e dello Stato sociale.
Infine passeremo alla descrizione più dettagliata delle varie reti e sistemi di scambio non
monetari molto differenti tra loro per riferimenti teorici, unità di misura dei trasferimenti e tipo di
moneta, caratteristiche dei partecipanti, luogo, motivazioni, e pratiche. È partendo dal presupposto che
oggi al centro della politica c’è l’economia, e che al centro dell’economia c’è il denaro, che le
economie senza denaro cercano di riportare al centro dell’economia e della politica l’uomo.
1
Questo vocabolo compare per la prima volta nel 1767 nel trattato dell’economista napoletano Antonio Genovesi, Le
lezioni di economia civile.
5
1. Il mito dello sviluppo
1.1 I limiti dello sviluppo2
Nel secolo scorso abbiamo assistito a cambiamenti epocali nell’ambito scientifico, tecnico e
tecnologico. Una parte della popolazione mondiale ha migliorato consistentemente le proprie
condizioni di vita, e si è creduto a lungo che questo processo fosse inarrestabile, esportabile in tutto il
mondo, e che tutti prima o poi ne avrebbero beneficiato.
“Dobbiamo lanciare un nuovo programma che sia audace e che metta i vantaggi della nostra
avanzata scientifica e del nostro progresso industriale al servizio del miglioramento e della
crescita delle regioni sottosviluppate. Più della metà delle persone di questo mondo vivono in
condizioni vicine alla miseria. Il loro cibo è insufficiente. Sono vittime delle malattie. La loro vita
economica è primitiva e stazionaria. La loro povertà costituisce un handicap e una minaccia, tanto
per essi che per le regioni più prospere. Per la prima volta nella storia, l’umanità detiene
conoscenze tecniche e pratiche capaci di alleviare la sofferenza di queste persone. (…) Il nostro
scopo dovrebbe essere quello di aiutare i popoli liberi del mondo a produrre, attraverso i loro
stessi sforzi, più cibo, più vestiti, più materiali di costruzione, più energia meccanica al fine di
alleggerire i loro fardelli.3
”
Con questo discorso del presidente Truman, fu ufficialmente inaugurata l’epoca dello sviluppo. Tutti
vedevano il sistema tecnologico-industriale come un’esigenza storica, e persino i sistemi socialisti
abbracciavano quello che si può definire paradigma della modernizzazione4
. Si cercò di esportare la
tecnologia occidentale, la sua tecnica, ed i suoi modelli in tutto il mondo. Ma dopo una ventina d’anni,
quella che fu chiamata l’età dell’oro del capitalismo, iniziò a dare i suoi primi cenni di sbandamento. I
modelli esportati nei paesi dei Sud del mondo, non davano i risultati programmati e sperati, e le crisi
petrolifere dei primi anni settanta con il conseguente abbandono della convertibilità del dollaro in oro e
dei tassi di cambio fissi, dettero uno scossone alle economie occidentali.
Il problema della crescita economica era stato posto fino ad allora come crescita della capacità
dell’economia di far fronte alle richieste di consumo individuali e collettive. Si era cercato di
mantenere una buona concorrenza nel settore dell’offerta dei beni privati, e di reperire risorse per
registrare e quindi finanziare la domanda di beni collettivi. Ma non ci si era posti il problema se
l’espansione di tale consumo fosse possibile in tutti i settori anche semplicemente in linea di principio.
2
Questa parte del saggio prende per buona parte spunto dal lavoro di Fred Hirsch, I limiti sociali allo sviluppo, Bompiani,
1981
3
Truman H.S., Public papers of the presidents of the United States, Year 1949, 5, United States Government Printing
Office, pp. 114-115.
4
Esso afferma che: 1- lo sviluppo economico è un processo spontaneo ed irreversibile intrinseco a ciascuna società; 2- lo
sviluppo comporta la differenziazione strutturale e la specializzazione funzionale; 3- il processo di sviluppo può essere
suddiviso in stadi differenti che mostrano il livello di sviluppo raggiunto da ciascuna società; 4- lo sviluppo può essere
stimolato dalla competizione esterna o da una minaccia militare e da misure interne che sostengano i settori moderni e
modernizzino quelli tradizionali.
6
Eppure, per il processo di crescita e la sua interazione con la distribuzione, è di rilevanza centrale
appurare in che misura i beni di consumo o i servizi possano essere riprodotti o rimpiazzati da dei
sostituti, appurare cioè la loro elasticità d’offerta e la loro elasticità di sostituzione a lungo termine. I
beni ed i servizi dai quali gli individui ricavano soddisfazione sono soggetti a limitazioni assolute
nell’offerta che derivano da diverse motivazioni. La prima fonte di scarsità, è la scarsità fisica,
tematica molto cara agli ambientalisti. Le materie prime non sono infinite, viviamo in un pianeta finito.
Fino ad ora c’è stato un processo di sostituzione sufficiente a bilanciare i freni imposti dalla scarsità
dei fattori fisici di produzione, ma non sappiamo se ciò sarà possibile anche in futuro5
. Esistono
scarsità fisiche anche dal lato del consumo. La seconda fonte di scarsità di consumo, è la scarsità
sociale. La domanda di consumo è concentrata su particolari beni e servizi la cui offerta assoluta è
limitata non da fattori fisici ma sociali, compresa la soddisfazione generata dalla scarsità in quanto tale.
Limiti sociali esistono nel senso che un aumento della disponibilità fisica di tali beni, quando è
possibile, ne determina un deterioramento di qualità, o ne cambiano la natura. Ciò dipende da
motivazioni psicologiche di vario tipo, ma anche dal fatto che tale qualità dipende dalla posizione che
si assume nella fruizione di tale bene rispetto agli altri. La soddisfazione deriva sia dalle caratteristiche
intrinseche del bene, che dall’ampiezza della sua fruizione. Se questa fruizione è ampia si avrà
congestione. La congestione non è solamente l’impedimento reciproco dell’accesso a tali beni in
termini fisici, come per esempio la congestione del traffico, o l’eccessiva urbanizzazione che
impedisce di possedere a tutti una casa nel bosco. Lo stesso fenomeno, il fatto cioè che la
soddisfazione individuale ricavata da una particolare attività venga limitata dall’analoga attività degli
altri, può verificarsi in un rapporto puramente sociale, come nel caso delle posizioni di leadership, dei
titoli di studio, delle occasioni d’impiego, ecc. Non tutti possono avere lo stesso quadro di Manet sopra
il letto; abitare in un sobborgo con una villa in mezzo al bosco, ma vicino al centro della città; essere
notai, manager, laureati. In conclusione possiamo dire che solo alcune persone, a spese di altre,
potranno beneficiare di tali beni.
1.2 La concorrenza posizionale
Seguendo questo schema concettuale possiamo dunque dividere l’economia in due comparti: quello
dell’economia materiale e quello dell’economia posizionale. Il primo comparto è composto dalla
5
Seguendo il concetto di impronta ecologica, cioè della quantità di territorio produttivo necessario per sostenere il
consumo di risorse e la richiesta di assimilazione di rifiuti da parte di una determinata popolazione, il Living Planet Report
2004, http://www.wwf.it/news/21102004_9770.asp, pubblicato da WWF, UNEP, e Global Foot Print Network, afferma
che nel 2001 l’intera umanità ha usato 2,2 ettari di terreno a testa mentre l’area disponibile per supportare l’attuale
popolazione mondiale è di 1,8 ettari di terreno procapite. Se tutta la popolazione mondiale vivesse con lo standard di vita
degli USA sarebbero necessari circa 5 pianeti Terra, e 3,5 pianeti Terra, se vivesse con lo standard di vita dei paesi ad alto
reddito. Per ciò che riguarda i cambiamenti climatici è possibile consultare il famoso rapporto del pentagono che definisce
i cambiamenti climatici un pericolo maggiore del terrorismo all’indirizzo
http://www.greenpeace.org/multimedia/download/1/417492/0/pentagon-on-climate-change.pdf
7
produzione di beni e servizi dove un aumento continuo di produttività si suppone sufficiente a
contenere le carenze emergenti di materie prime grazie al progresso tecnologico, in un modo tale, da
non creare un deterioramento di qualità agli occhi del consumatore. Il secondo comparto è composto
dall’economia posizionale, che prende in considerazione quei beni e servizi, quelle posizioni lavorative
e quegli altri rapporti sociali che sono scarsi in senso o assoluto o sociale, o soggetti a congestione e
affollamento attraverso un uso più intensivo da parte delle persone. Ma cosa accade quando la torta
materiale cresce, mentre l’economia posizionale -per sua natura- rimane praticamente fissa? Una volta
soddisfatte le necessità di mangiare, vestirsi, e abitare, e soddisfatto l’accesso ad alcuni beni materiali,
con l’aumentare del reddito, è molto probabile che gli individui spostino le loro attenzioni verso i beni
posizionali, cioè che ne aumenti la loro domanda, e quindi il loro prezzo. Come verranno allocati
dunque i beni posizionali con domanda in eccesso? Per evitare che questi beni diluiscano la loro
qualità si potrà cercare di restringerne in vario modo l’accesso. Il primo meccanismo è quello che
opera attraverso il classico processo di razionamento del prezzo: il deterrente che opera in un’asta.
Questo dispositivo non assorbe alcuna risorsa economica e rappresenta semplicemente un
trasferimento di diritti sulle risorse. L’asta può anche prevenire un processo di deterioramento di
qualità dovuto alla congestione. Gli altri tipi di filtro funzionano attraverso lo sviluppo spontaneo di
ostacoli reali che assorbono risorse e implicano quindi un potenziale spreco di risorse che chiameremo
spreco sociale. Esso ha due cause: quella della congestione irrisolta che come vedremo crea numerosi
problemi; e quella della selezione che opera non diluendo la qualità dell’output, ma aumentando
l’input necessario. L’individuo che vuole accedere al servizio scarso deve cioè “investire” una quantità
maggiore di risorse per superare la selezione.
Per l’economia nel suo complesso, entrambi questi aggiustamenti assorbono risorse reali e
comportano un allungamento della catena produttiva, un aumento di output intermedio, uno spreco
sociale, che oltre tutto delude anche le aspettative iniziali degli individui. Si allunga la gara per un
premio che resta invariato. Sia i processi di affollamento che di selezione, creano una concorrenza che
chiameremo posizionale, in quanto gli individui gareggiano per ottenere una posizione più elevata
all’interno di una qualche gerarchia, e che quindi frutta guadagni per alcuni solo al prezzo di perdite
per altri. Anche le imprese nel cercare quote di mercato sempre più ampie e massimizzazione del
profitto, rafforzano la concorrenza. Ma nel caso in cui nonostante gli sforzi non si raggiungerà questo
scopo, si potrebbe avere un ulteriore rafforzamento della concorrenza posizionale. Se non sarà
possibile un ingrandimento della torta, inizierà un’aspra lotta distributiva delle fette di mercato. È
facile in questo caso che si venga a creare un circolo perverso: più ristretta l’area di smercio, maggiore
la concorrenza; più serrata la concorrenza, minore l’area di smercio.
8
“Ogni paese della Cee, al crescere della disoccupazione «ha cercato di migliorare la sua posizione
aumentando la competitività mediante incrementi della produttività». Questi comportamenti hanno
però creato ancor maggiore disoccupazione. Si sperava che l’aumento di produttività avrebbe
favorito, nel lungo periodo, l’espansione delle esportazioni: «Ma poiché questa strategia è stata
seguita da tutti i paesi, il risultato finale è che le posizioni relative sono rimaste immutate, mentre
la disoccupazione ha continuato a salire»”6
.
Questo tipo di concorrenza può essere paragonato ad una colonna di persone in fila in un corridoio
stretto. Tutti stanno cercando di raggiungere un obiettivo, che nel caso degli individui è lo status
determinato da una certa combinazione di beni materiali, posizionali, e denaro, e nel caso delle
imprese la quota di mercato e la massimizzazione del profitto. Per riuscire a sopravanzare chi ci
precede per raggiungere prima di loro il vagone del treno stracolmo in partenza, dovremo camminare
più veloci di loro o correre, dando all’occorrenza spintoni e gomitate. Al contrario se decideremo di
non correre o di camminare più piano rispetto agli altri dopo una loro accelerata, allora ci vedremo
sopravanzare nella colonna, e se difficilmente riusciremo ad arrivare al treno prima che parta, dovremo
farci il viaggio in piedi. All’aumentare delle aspirazioni delle persone la colonna andrà sempre più
veloce, sarà sempre più faticoso mantenere il passo, sempre più difficile superare, e più costoso
rallentare. Esiste sempre in qualsiasi epoca e civiltà una piramide sociale, al cui vertice sta
un’oligarchia, può cambiare l’inclinazione delle sue pendici, ma rimarrà sempre una piramide. Così è
l’accesso ai beni posizionali per gli individui e le imprese: una lotta del tutti contro tutti per
raggiungere questo apice che proprio per la sua natura è accessibile ad una ristretta oligarchia.
Nel settore materiale dunque, se si ha una crescita sostenuta, la concorrenza di solito produce benefici
netti, cioè a somma positiva, stimolando l’esecuzione efficiente dei compiti e dirigendo lo sforzo
individuale agli usi produttivi. Nel settore posizionale la concorrenza migliorerà anche qui sia le
prestazioni individuali, sia l’allocazione dello sforzo individuale. Oltre a questo però, la concorrenza
nel settore posizionale serve da filtro generale attraverso il quale la domanda eccessiva deve essere
resa uguale all’offerta disponibile. Questo aspetto, di solito comporta costi addizionali di risorse, ed è
soggetta a diventare un gioco a somma negativa. L’esistenza del settore posizionale nel contesto della
crescita del settore materiale può essere quindi considerata come una specie di esternalità di sistema.
Per l’individuo un aumento della concorrenza posizionale comporta un deterioramento dell’ambiente
sociale. Per arrivare allo stesso risultato bisognerà spendere più fatica individuale e più risorse. La
domanda individuale nel settore posizionale è una guida fuorviante rispetto a quello che gli individui
richiederebbero se fossero in grado di vedere i risultati delle loro scelte combinate e agire di
conseguenza. Sia che si esprima nelle transazioni di mercato, sia che si traduca in domanda politica al
governo perché soddisfi i bisogni individuali considerati isolatamente, la domanda individuale di beni
posizionali è alla ricerca di qualcosa che è impossibile ottenere. Mentre nel settore materiale la crescita
6
S. Bruno, C. Sardoni, in Maione G., Le merci intelligenti, Mondatori, 2001
9
è un buon sostituto della redistribuzione, nel settore posizionale ciò non vale. Anzi, un aumento di
ricchezza materiale, innalza la domanda di ricchezza posizionale. Quello che i ricchi possiedono oggi,
non è più possibile metterlo a disposizione per tutti domani; eppure, nella misura in cui diventiamo
singolarmente più ricchi, è proprio quello che ci aspettiamo.
1.3 Il tempo
La competizione però, non sottrae solo risorse alla produzione di beni di consumo e servizi finali nel
settore commerciale; essa sottrae risorse anche dal settore non commerciale, dalle attività che restano
esterne in tutto o in parte, al mercato, come l’economia domestica e informale, lo spazio delle
relazioni, il tempo libero. Tutte queste pratiche hanno un costo in termini di tempo. Nella misura in cui
la produzione di beni materiali aumenta, mentre resta costante il tempo a disposizione per utilizzarli, e
per sviluppare una vita sociale, il tempo diventa più scarso rispetto ai beni e alla socialità, cresce cioè
l’intensità del tempo in termini di beni e socialità, ciò vuol dire che diventando più scarso aumenterà il
suo prezzo. L’individuo viene sempre più spinto a economizzare il proprio tempo in modo da poterlo
dispiegare per tutta l’estesa gamma del suo consumo.
L’aumentata pressione sul tempo porta a sostituire i beni di consumo a maggior intensità di
tempo con quelli che ne risparmiano, oppure a modificare alcune abitudini. Ciò si può notare per
esempio nell’aumento dei pasti fuori casa per essere più vicini al posto di lavoro, o nella scomparsa
dell’abitudine la mattina di farsi radere dal barbiere. Quando l’individuo sente la necessità di
aggiustare i sui consumi per economizzare tempo, non è possibile affermare che questi aumenteranno
la sua soddisfazione. È possibile invece che servano in pratica, come beni intermedi, che forniscano
risorse addizionali nella forma di tempo grazie al quale si può godere di qualche altra forma di
consumo. Può darsi così che il consumatore subisca una perdita di soddisfazione per il fatto in sé di
radersi da solo, ma è possibile che lo faccia allo scopo di usare il tempo che gli rimane per fare
palestra. Il beneficio che ricava usando il suo tempo correndo, dovrà quindi essere valutato a netto
della perdita di soddisfazione che gli deriva dal non fare quattro chiacchiere con gli amici dal barbiere.
Ciò non avviene nella contabilità nazionale, dove il guadagno risulta esagerato, in quanto si sommano
sia le spese che portano via tempo disponibile, sia le altre spese conseguenti fatte per economizzarlo.
Più intenso è il modello di consumo, più è grande il numero degli strati di spesa, e quindi maggiore la
probabilità che queste spese siano rivolte a risparmiare tempo anziché a oggetti di consumo finale
desiderati in quanto tali. La pressione sul tempo, come quella sulla mobilità geografica o sociale,
aumenta le attività di consumo che devono essere intraprese come mezzo per altre forme di consumo.
L’aumento dei bisogni degli individui creato dalla concorrenza posizionale ha un costo di tempo,
rappresentato dai soldi in più che bisogna guadagnare per pagarsi quei bisogni addizionali.
10
Per cercare di ovviare a questi ed altri limiti della contabilità nazionale, sono sorti numerosi
indici alternativi al PIL. Fra i più interessanti posiamo citare il Measure of Economic Welfare: che
parte dalle spese di consumo personali a cui poi sono apportate alcune correzioni per arrivare a una
misura totale di consumo che si ritiene l'approssimazione migliore del benessere economico; è
incentrato esclusivamente sugli aspetti economici. Il Genuine Progress Indicator: dove gli elementi di
benessere economico sono rappresentati dalla spesa privata di consumo, dalla spesa pubblica, dai beni
non di mercato, dal tempo libero; gli aspetti di sostenibilità dello sviluppo economico comprendono il
consumo delle risorse naturali non rinnovabili, i prestiti netti all'estero e dall'estero, i danni ambientali
a lungo termine. L’Index of Living Standards: che prende in esame il consumo reale delle famiglie, il
reddito reale delle famiglie, un indice delle infrastrutture abitative, la percentuale di popolazione con
educazione secondaria, uno meno il tasso di disoccupazione, la speranza di vita, la ricchezza familiare
netta; queste componenti hanno lo stesso peso. L’Indice dello Sviluppo Umano che è composto da tre
indicatori: longevità, misurata dalla speranza di vita alla nascita; livello educativo, misurato da una
combinazione del tasso di alfabetizzazione degli adulti (peso 2/3) e del tasso di iscrizioni alla scuola
secondaria (peso 1/3); standard di vita, misurato dal PIL reale pro capite. L’Index of Social Progress
che comprende 46 indicatori economico-sociali, suddivisi in 10 sottoindici, cui vengono attributi
diversi pesi: educazione, salute, condizione femminile, difesa nazionale, situazione economica,
situazione demografica, caratteristiche geografiche, partecipazione politica, diversità culturale,
welfare. La Qualità Regionale dello Sviluppo: il QUARS è composto da indicatori relativi a quattro
dimensioni dello sviluppo quali Sviluppo Umano, qualità ambientale, sviluppo sociale, e spesa
pubblica. A questo fine vengono usati indici quali: ISU aggiustato, qualità dell’aria, acqua, consumi
energetici, rifiuti, trasporti, verde pubblico, edilizia, politiche pubbliche, comportamenti delle imprese,
sanità (soddisfazione utenti), strutture e servizi scolastici, pari opportunità, indice di precarietà sul
lavoro, protezione sociale.
1.4 L’effetto tempo sulla relazionalità
Il tempo addizionale necessario per il consumo, e il reddito addizionale necessario per mantenere la
posizione, contribuiscono a spiegare un altro fenomeno al quale di solito non viene data una soluzione
economica: il tramonto della socialità. A scanso di equivoci, sarà utile fare una distinzione fra due
registri della socialità. Il primo è quello della socialità primaria, in cui si ritiene che le relazioni fra le
persone prevalgano o debbano prevalere per importanza sui ruoli funzionali che esse svolgono, è
propria della famiglia, dell’amicizia, dei rapporti di buon vicinato, dell’alleanza. Possiamo chiamare
questo registro anche relazionalità.
11
Nella socialità secondaria invece, è la funzionalità degli attori che ha più importanza della loro
personalità. Sul mercato, nella sfera d’azione regolata dallo Stato, come nel campo della scienza, la
regola da attuare è quella dell’impersonalità. Possiamo chiamare questo registro semplicemente come
socialità. L’ambito relazionale e sociale della vita, assorbe molto tempo, ed è anch’esso soggetto a
razionalizzazione da parte degli individui. I rapporti interpersonali per loro natura non sono beni
economici privati, in altre parole cioè, i costi ed i benefici delle specifiche azioni non ricadono
esclusivamente su coloro che le intraprendono, hanno anche costi e benefici esterni, di cui non terranno
conto gli individui tesi a trarre il massimo vantaggio personale da ogni transazione. Le convenzioni
sociali che spingono ad agire attraverso il sostegno reciproco in circostanze non definite formalmente,
hanno un preciso contenuto economico, in quanto tendono a far assomigliare queste norme sempre più
a beni pubblici. Un modo semplice per illustrare l’aspetto economico di queste norme di
comportamento può essere quello di analizzare il contesto dell’aiuto reciproco. Supponiamo che in
questo tipo di azione ci sia sempre un fine di dare e avere, e che le persone ruotino in queste due
posizioni. Se le rotazioni sono frequenti e avvengono tra gli stessi individui, lo scambio avrà sempre di
più il connotato di bene privato, anche in assenza di spirito altruistico. Il gesto che si fa oggi sarà molto
probabilmente ripagato domani, e questo è sufficiente per innescarlo. Supponiamo che una certa azione
sociale mi costi una serie frequente di piccole spese, e che l’azione di contraccambio avvenga
raramente, a intervalli non regolari e da persone sconosciute. Poiché la grande maggioranza di queste
specifiche transazioni che ciascuno intraprende comporteranno un costo netto, nessuna di queste
transazioni avverrà solo sulla base di un vantaggio immediato, ma dovrà reggersi su motivazioni
derivanti da convenzioni sociali, etiche, o religiose. “Il buon samaritano corregge un difetto del
mercato”7
. Quando il mercato diventa estensivo, coprendo settori sempre più ampi della vita, è
necessario un numero sempre maggiore di “buoni samaritani”. Eppure, man mano che cresce il costo
soggettivo del tempo, aumenta l’urgenza per una valutazione specifica del vantaggio personale
ricavato dalla relazione sociale. Finché il costo del tempo è relativamente basso, perché sono meno
numerose le alternative per far uso di tempo libero o perché sono meno numerose le occasioni o le
pressioni per uno sforzo lavorativo addizionale, il costo netto di ogni specifica attività che assorbe
tempo connessa con la cordialità o con qualche altro rapporto sociale, sarà relativamente basso, può
persino darsi che non sia considerato un costo. Dal momento che la maggior parte delle attività di
partecipazione sociale è ad alta intensità di tempo, si delinea il forte rischio che l’aumento della
pressione su di esso, ne induca una sostituzione con attività private a scarsa o minore intensità.
L’incremento della mobilità che ha comunque benefici effetti sull’efficienza allocativa e sulla
diffusione di informazioni, contribuisce ad abbreviare la vita utile agli input relazionali. Amplifica il
7
Hirsch F., I limiti sociali allo sviluppo, Bompiani, 1981
12
problema, rendendo la relazionalità sempre più un bene pubblico e sempre meno un bene privato.
Questa influenza è forte nei casi di mobilità geografica, dovuti per esempio a pendolarismo, o
migrazioni continue “inseguendo”un lavoro; oppure nei casi di mobilità sociale, ossia il passaggio da
un ceto ad un altro, da un lavoro ad un altro, da un titolo all’altro. Poiché la relazione non si può
comprare o vendere, a meno di non comprometterne la sua natura, come avviene per esempio nel caso
del sesso “gratuito” o a pagamento, ci troviamo in un caso di economie esterne, e le decisioni
individuali porteranno a un livello di socialità subottimale. Per raggiungere l’ottimo è necessaria una
quota di cittadini attivi, di brave persone, che non sono facilmente ottenibili con semplici obblighi o
restrizioni, ma almeno fin ora, solo attraverso l’espansione di convenzioni sociali inclini al senso
civico. L’aumento della pressione esercitata sul tempo dal consumo di beni materiali e dalla
concorrenza posizionale, contribuisce a spiegare perché queste convenzioni sociali hanno subito un
progressivo logoramento. Si arriva ad una situazione dove nelle economie capitaliste mature, il
contatto umano è sempre più ricercato ma sempre meno conseguito. La struttura di mercato infatti,
consente in linea di principio il perseguimento di obiettivi diretti in senso altruistico o comunitario
finchè questi sono sostenuti da individui e possano essere realizzati dalle loro azioni individuali. Vi è
però un obiettivo che il mercato non è in grado di ottimizzare: l’interesse altruistico per il partner della
transazione.
1.5 L’effetto deviante della commercializzazione
I tre principi del donare, ricevere, ricambiare propri dei rapporti di amicizia, e incentivati dalle
convenzioni sociali, vengono quindi sostituiti da rapporti puramente mercantili regolati da un
contratto. Sfere sempre maggiori della vita passano dalla socialità primaria a quella secondaria,
incentivando così impersonalità, e utilità strumentale. Sempre più beni e servizi passano dall’area
dell’economia domestica ed informale, al mercato, spostando l’attenzione della transazione sulla merce
piuttosto che sulla relazione, trascurando il contesto sociale di consumo. Si eroderanno le aspettative
secondo cui fiducia e obbligazione reciproca saranno disponibili senza simili specificazioni in altri
futuri rapporti dello stesso genere. Più cose verranno inserite nei contratti, meno ci si aspetterà senza di
essi; più si metterà per iscritto, meno si accetterà, o ci si aspetterà, sulla fiducia. Si espande sempre più
la commercializzazione, ossia il processo secondo il quale sempre più fasce della vita quotidiana
vengono inglobate nel sistema di mercato. Il mercato però, è inefficiente nell’erogazione di quei beni
collettivi per i quali è poco pratica o costosa la limitazione o l’esclusione, e può fallire completamente
nell’erogazione collettiva di norme sociali.
Corrispondentemente ha la tendenza a produrre in eccesso quelle merci e quei servizi specifici
per i quali è efficiente. L’esito è un’attenzione eccessiva alla merce attraverso una sua creazione ed uso
13
eccessivi. In ogni caso si fa fronte alla domanda dell’individuo confezionandola secondo le esigenze
del mercato, senza preoccuparsi se questa confezione è proprio quella che l’individuo prenderebbe se
potesse veramente fare la sua scelta. L’individuo potrà effettuare delle scelte solo parziali, e dovrà
accettare come prefissate le condizioni ambientali di consumo. Coloro che sono interessati alla merce,
o all’attività pura e semplice, saranno comunque soddisfatti, se per esempio un concerto in piazza da
gratuito diventasse a pagamento. E anche coloro che attribuiscono un valore positivo all’esclusione o
all’esclusiva, vedranno soddisfatta la loro aspettativa per quanto riguarda l’ambiente sociale, come per
esempio quando è necessario sottoscrivere una tessera per far parte di un circolo. Dall’altra parte
coloro che preferiscono un contatto sociale incentrato sulla casualità, o rapporti meno specificatamente
integrati con forme particolari di consumo, saranno trascurati, come lo saranno coloro che
attribuiscono valore positivo al libero accesso, alla non esclusione, o semplicemente coloro che non si
potranno permettere un pagamento monetario per quei beni o servizi. La loro sfortuna sta nel fatto che
ricavano soddisfazione da caratteristiche ambientali alle quali il mercato non riesce a provvedere.
Questo perché le persone che mostrano i primi due gruppi di preferenze, hanno dei gusti che le imprese
trovano profittevole soddisfare. Le forze di mercato, per quanto alcuni sostengano siano tecniche e
neutre, tenderanno a lavorare sempre più a favore delle merci, dell’esclusione, e della
commercializzazione, che nella sua forma più completa assume le forme della privatizzazione.
L’estensione della scelta attraverso il mercato ha questo aspetto paradossale: che la diffusione di leggi
restrittive e di barriere avviene nel nome della libertà, quando in realtà si privilegia l’efficienza a
scapito dell’uguaglianza, e del libero accesso. Il capovolgimento di un’attività dall’ambito di
erogazione collettiva a quello di mercato, è un esempio trascurato dell’irrazionalità aggregata che può
risultare dal comportamento economico razionale delle singole persone. Per queste varie ragioni
quindi, un’estensione del processo di commercializzazione nella nostra economia, sostituendo lo
scambio informale con quello monetario, non è in certi settori un mezzo efficiente per soddisfare le
preferenze individuali. Rappresenta non quello che tutte le persone vogliono scegliendo tra le
alternative possibili, ma quello che il mercato è tecnicamente indotto a provvedere, lasciando
insoddisfatte molte domande individuali. La commercializzazione si autoalimenta in un modo che può
ritardare anziché far avanzare il benessere della collettività.
Il processo di commercializzazione infine, nel suo stadio più avanzato, amplificando
l’importanza della merce, alimenta indirettamente l’importanza del denaro. Per essere più precisi,
faremo una distinzione fra due termini che solitamente vengono usati come sinonimi: denaro e moneta.
La differenza che intercorre fra denaro e moneta, è la sottile differenza che intercorre fra i simboli ed i
loro referenti materiali. Mentre il denaro indica come equivalente generale un valore astratto
puramente quantitativo, la moneta, conferisce al denaro stesso, una forma tangibile. Per dirla in altri
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termini, il denaro ha un valore di scambio, ma non ha un valore d’uso. Può essere consumato solo
scambiandolo, avendo come funzione appunto quella d’intermediario nello scambio. Ancora, si
potrebbe dire che il denaro ha una natura ideale, che però esso esprime attraverso caratteristiche di tipo
quantitativo piuttosto che qualitativo. L’incessante necessità di denaro, che consegue ai processi di
concorrenza posizionale, e di commercializzazione, orienta gli individui verso una sua ricerca sempre
maggiore, incentrando sempre più su di esso la loro attenzione. Le merci ed i servizi infatti, per essere
ottenuti, hanno bisogno in primo luogo di denaro. Si ha così uno spostamento di attenzione verso il
valore di scambio piuttosto che verso il valore d’uso, verso il simbolico piuttosto che il reale. Il denaro
diviene così il bene posizionale per eccellenza, ciò che da tutti è desiderato come fine in sé. La
finanziarizzazione dell’economia degli ultimi venti anni ha ulteriormente amplificato questa sua
importanza. La tecnologia applicata ai nuovi prodotti finanziari ha più o meno decuplicato la quantità
potenziale di denaro in circolazione.
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2. Ortodossia economica, Stato e privato
sociale
“Forse il difetto più grosso della tradizionale idea di uomo degli economisti è illustrato
dall’attenzione che dedichiamo alle sue attività «uomo-cose», piuttosto che alle attività «uomo-
uomo». I nostri manuali parlano di gusti concernenti il formaggio, le scarpe, o le automobili, ma
raramente del desiderio di avere figli, una compagna, dei subordinati, o dei soci. Altri scienziati
sociali, pur senza essere stati capaci di fornire un modello analitico migliore, si son fatti beffe di
questa sorta di uomo, consumatore di cose razionale e privo di legami, che interagisce con gli altri
solo attraverso scambi di mercato”. Hirschleifer, 1978
2.1 Per un’Economia Civile
Dall’analisi appena illustrata sorgono numerosi interrogativi, uno dei quali, esige di sapere se esistono
vie per far tornare l’economia alla società. Ma se l’attuale situazione è frutto di una scienza
economica imperfetta, allora il primo passo da compiere è proprio quello di affinare e introdurre
alcuni concetti, per un suo nuovo corso.
L’economa politica si è guadagnata con il passare del tempo un posto sempre più rilevante
all’interno delle scienze sociali a causa della sua forte capacità di spiegare il comportamento umano
con schemi di ragionamento rigorosi e matematicamente eleganti. L’attore dell’economia classica e
neoclassica è l’homo oeconomicus, un uomo che massimizza sempre la propria utilità attraverso
analisi costi/benefici razionali. Esso si muove nel mercato, un luogo idealtipico in cui gli individui
sono motivati all’azione dal solo interesse proprio. L’unico giudizio di valore che il mercato può
esprimere è quello di efficienza, inteso come giudizio di adeguatezza dei mezzi rispetto al fine della
massima realizzazione degli interessi di chi vi partecipa. Fin dall’Ottocento si è descritto il mercato
come una istituzione capace di conciliare interesse individuale e bene comune. Ha preso così forma il
minimalismo proprio della visione dell’homo oeconomicus, e con esso l’atomismo sociale. Si è
formata un’idea secondo la quale è possibile studiare il mercato in maniera separata rispetto alla
società nella quale si afferma, senza ricordare che ne è una sua parte, e separata dalla storia, senza
ricordare che ne è una sua conseguenza. Il mercato è divenuto il luogo in cui non c’è posto per la
libera espressione di sentimenti morali e per l’affermazione di un valore di legame da aggiungere ai
valori d’uso e di scambio. La visione parziale della natura umana che tale pensiero ha professato ha
spinto gli scienziati sociali a scegliere fra l’impostazione olistica e quella individualistica come se non
esistesse un’alternativa possibile. Al fondo della teoria economica dominante inoltre, sta una
costruzione che attiene alla dimensione pratica, vale a dire dei comportamenti dell’uomo in società,
ma non delle motivazioni o delle disposizioni sottostanti le sue scelte. Ciò che sta alla base del
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riduzionismo economico quindi, non è tanto l’assunto di comportamento egoistico - o detto in maniera
più elegante, autointeressato - da parte del soggetto economico, e neppure l’utilizzo predominante nel
lavoro teorico del paradigma della razionalità strumentale. Piuttosto, il vero fattore limitante sta
nell’impiego dell’individualismo assiologico, vale a dire di quella concezione filosofica secondo cui
alla base dell’agire economico vi sarebbe un “individuo monade” che non avrebbe altre
determinazioni che quelle dell’ homo oeconomicus. L’individualismo assiologico che spesso è stato
giustificato come una mera scelta di metodo neutrale, assume in realtà la forma di una infrastruttura
filosofica su cui posa l’assunto dell’ homo oeconomicus.
Come A. Sen ha dimostrato, ciò che l’agente sceglie, non necessariamente è ciò che preferisce.
E questo accade non solo e non tanto a causa dei problemi di informazione asimmetrica o a causa di
errori di valutazione o di calcolo, ma perché le scelte sono guidate oltre che dalle preferenze, anche da
valori. Tenendo conto di questo, si respinge sia il postulato di non sazietà, l’idea secondo la quale “di
più” coincide con “meglio”, sia il postulato di continuità delle preferenze, facendo perdere di
significato la nozione di comportamento massimizzante. Sarebbe più utile sostituire alla nozione di
individuo quella di persona, e in conseguenza di ciò, di passare dalla prospettiva individualista a
quella relazionale. Le persone inoltre instaurano relazioni che non hanno la stessa natura di quelle che
si stabiliscono tra uomo e cose. La relazione di utilità è tipica di quest’ultimo tipo; infatti l’utilità è la
proprietà della relazione tra un soggetto ed un oggetto: le cose sono utili quando soddisfano le
preferenze di un soggetto. Nel momento in cui si tratta l’attenzione o l’interesse all’altro quale
argomento di una funzione di utilità, la persona con la quale ci si rapporta viene ridotta a una cosa, ad
oggetto. Ma qual è allora il fondamento ultimo della relazionalità? Io credo che sia l’autorealizzazione
della persona.
“È importante prendere atto di ciò che implica il riconoscimento dell’altro: non solo del suo diritto
ad esistere ma anche della necessità che esista perché possa esistere io, in relazione con lui.
Riconoscere l’altro come fine in sé e riconoscerlo come mezzo rispetto al fine della propria
realizzazione tornano così ad essere unificati. Con il che viene risolto il dualismo riduzionista fra
moralità di marca kantiana, che esige che l’altro venga visto come fine in sé e basta e una teoria
della razionalità strumentale – quella della rational choice – che invece vede nell’altro il mezzo
per il proprio fine. Il bene dell’autorealizzazione è raggiunto quando il riconoscimento reciproco
tra persone è assicurato.” Zamagni, 2002
Infine, c’è da dire che tutti i grandi economisti hanno riconosciuto che il mercato genera o induce,
tratti desiderabili o indesiderabili nelle persone. Si tratta di prendere atto che i comportamenti
antisociali nella sfera economica hanno raggiunto oggi livelli preoccupanti. È necessario perciò
comprendere che non c’è una sola via al progresso economico, che esiste una varietà di modelli di
mercato, ciascuno in sintonia con una particolare cultura e storia. E dunque che la scelta del modello
di mercato è questione altrettanto interessante per la scienza economica di quanto lo è la ricerca delle
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condizioni di efficienza di un dato modello di mercato. Non si dimentichi infatti, che il nostro bene
dipende anche dalle istituzioni che riusciamo a darci, e non soltanto dalle nostre capacità di
adattamento ad un sistema istituzionale ereditate dal passato.
2.2 Reciprocità e dono
“Gli uomini sono capaci di servire una causa non egoistica molto più spesso di quanto si creda
(…) lo scopo supremo dell’economista è di scoprire come questo bene che è latente possa essere
sviluppato più in fretta e possa essere messo a frutto più saggiamente.” Marshall A.
Il trascurare l’ambito relazionale dell’economia, come abbiamo visto porta ad un approccio
merceologico della politica, ad un eccessiva commercializzazione, ed a un incremento della
concorrenza posizionale. È necessario pertanto, cercare di superare la teoria che professa il fatto che le
merci si producano esclusivamente a mezzo di merci, ma che ciò sia possibile anche per mezzo di
relazioni sociali che coinvolgono persone dotate di una specifica identità e non solo di interessi
utilitaristici. La categoria dell’ individualità relazionale potrebbe essere un riferimento sicuro per
consentire di ricomporre l’individualità, con l’interazione con l’altro, e dunque per aprire la
prospettiva della coappartenenza di bene individuale e di bene comune. È utile perciò, introdurre il
concetto di reciprocità, che ultimamente ha ricevuto notevole attenzione in diversi ambiti come per
esempio nei lavori di Kahnemann e Tversky di psicologia economica, quelli di Bewley di economia
del lavoro, quelli di Sudgen sulla contribuzione volontaria ai beni pubblici, e quelli di Faer sulla
esecutorietà dei contratti. Due sono le nozioni di reciprocità che è possibile rintracciare in letteratura.
Una interna alla prospettiva consequenzialista, e fondata sull’avversione al senso di ingiustizia: è
l’avversione nei confronti di distribuzioni non eque che stimola una risposta di reciprocità. L’altra,
basata sul principio di cortesia percepita, e tiene conto non solamente delle conseguenze dell’azione,
ma anche delle intenzioni che ne sono al fondo. La reciprocità può essere attuata all’interno di due
dimensioni del rapporto differenti: la prima basata sul dono, la seconda, basata sullo scambio di
equivalenti, cioè da un contratto. Nella relazionalità che nasce dal dono, l’incontro con l’altro
determina sempre una modificazione dell’io che si trova più ricco per l’incontro avvenuto. Non così
invece nella relazionalità che nasce dal contratto, il cui principio regolativi è piuttosto la perfetta
simmetria fra ciò che si dà, e ciò che si ottiene in cambio.
Il termine interesse letteralmente significa «essere tra»; il che vuol dire che per perseguire un
interesse bisogna interagire con l’altro, utilizzandosi reciprocamente perché ne derivino frutti ad
entrambi. Il dono non è incompatibile con l’interesse del donante, se questo viene inteso come
interesse a stare nella relazione con l’altro. Il dono non è un atto fine a se stesso, ma rappresenta
l’inizio di una catena di atti reciproci, come a dire che il dono viene fatto in vista dello stabilimento di
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un legame. Il connotato specifico di dono è dunque, quello di creare reciprocità; la sua forza non sta
nell’oggetto o nel quantum donati, cosa che avviene nell’altruismo, ma nella speciale qualità umana
che il dono rappresenta per il fatto di essere relazione. È dunque l’esistenza di uno specifico interesse
a dar vita alla relazione tra donante e donatario a costituire l’essenza del dono come reciprocità. È in
ciò il valore di legame al quale abbiamo appena accennato più sopra. Esso è una terza categoria che va
aggiunta al valore d’uso e al valore di scambio. Dilatare l’orizzonte economico includendovi il valore
di legame, è una sfida intellettuale perché la relazione fra persone è di per sé un bene che, in quanto
tale, genera valore. Il dono come reciprocità è espressione di una scelta libera. È grazie al suo
carattere profondamente libero che questo tipo di dono è in grado di intervenire sulla personalità dei
soggetti, rendendoli diversi, e soprattutto è capace di essere contagioso. La libertà non è tale se non
include il rapporto con l’altro. Non solamente la libertà deve tener conto di quella altrui, come
ammette anche il pensiero individualista, ma più profondamente la libertà ha un bisogno costitutivo
dell’altro. La recente teoria dei giochi di rete, frutto della fusione della teoria dei giochi evolutivi e
dell’analisi dei network sociali, costituisce un promettente strumento di ricerca per modellare il valore
di legame.
È possibile dire dunque, che il nostro star bene, il bem-vivir8
, dipende in buona parte dal
consumo di quella speciale categoria di beni che sono i beni relazionali. È proprio la dimensione
interpersonale ciò che viene trascurato dal modello della scelta razionale, un modello che postula un
soggetto così completamente preso dal perseguimento razionale della sua utilità da non rendersi conto
che per raggiungere tale scopo deve manipolare sistematicamente ed esplicitamente i comportamenti e
le scelte degli altri soggetti. Il punto è che all’interno della prospettiva individualista, l’altro è un mero
strumento per il conseguimento dei nostri scopi utilitaristici. Ma è un fatto difficilmente discutibile,
che la felicità presuppone l’esistenza dell’altro come un fine in sé: bisogna essere almeno in due per
essere felici, mentre per massimizzare la propria utilità, si può essere da soli.
Perché la razionalità non dovrebbe consistere nel perseguimento di tutti gli obiettivi e valori,
che l’uomo che vive in società sceglie di perseguire, anziché limitarsi esclusivamente agli obiettivi
autointeressati? In questo modo la teoria della scelta razionale ha finito con l’acquisire un vero e
proprio privilegio paradigmatico: ogni altra spiegazione del comportamento dell’agente deve fare i
8
Per bem-vivir si intende “l’esercizio umano di disporre delle mediazioni materiali, politiche, educative e informative non
solo per soddisfare eticamente le necessità biologiche e culturali di ciascuno, ma per garantire, sempre eticamente, la
realizzazione di tutto ciò che può essere concepito e considerato per una libertà personale che non neghi quella collettiva.
Il bem-vivir solidale implica il rispetto del desiderio personale e la promozione della sua realizzazione nella stessa misura
in cui rispetta il desiderio collettivo e se ne promuove la realizzazione. Garantite tutte le migliori condizioni materiali,
politiche ed educative e le informazioni necessarie per l’esercizio delle libertà umane, bem-vivir significa condividere
felicità e allegria con chi vogliamo, nel momento in cui riusciamo a realizzare quel che ci sta a cuore, così come poter
condividere sofferenze e tristezze nei momenti di dolore e sventura. (…) Se per vivere bene è necessario disporre di
mediazioni materiali che garantiscano la nostra libertà personale, è opportuno considerare che nessuna priorità materiale
offrirà il bem-vivir se non sarà, almeno indirettamente orientata alla collaborazione solidale.” Mance E. A. , La rivoluzione
delle reti. L’economia solidale per un’altra globalizzazione, EMI, 2003.
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conti con quel punto di partenza. Così ad esempio mentre si è costretti a spiegare perché qualcuno fa
un dono, si considera naturale, e dunque non bisognoso di una spiegazione un comportamento
autointeressato. Perché ci dobbiamo sentire esonerati dal fornire valide ragioni per non donare, mentre
non sarebbe vero il contrario?
2.3 Stato sociale e privato sociale
Il ruolo preminente occupato dall’economia politica all’interno delle scienze sociali con il tempo si è
trasferito anche all’ambito della politica, basti pensare ad espressioni quali l’Azienda Italia, fino a
qualche anno fa improponibili. Ma l’approccio economicistico alla politica trascura sia le condizioni
alle quali sono forniti i prodotti finali della democrazia, ossia le politiche che risultano dal processo
democratico, sia gli influssi di queste condizioni sul comportamento della gente. Di conseguenza,
definisce in modo sbagliato l’obiettivo del processo democratico e trascura un vincolo che aiuta a
determinare se il processo funziona ancora. Più propriamente potrebbe quindi essere chiamato un
approccio merceologico alla politica. Con l’entrata in crisi del modello dello Stato sociale questo
approccio ha favorito l’affermarsi dell’ideologia dello stato minimo, che ha deliberatamente dato
inizio ad un suo processo di alleggerimento, che tutt’oggi non è ancora arrivato ad una conclusione.
Le fasi di questo processo passano dalla commercializzazione e privatizzazione, alla sempre più libera
circolazione delle merci, e dei flussi finanziari e monetari; dalla delegazione di molti poteri alle
organizzazioni sovranazionali, settoriali, e regionali, allo smantellamento progressivo dello Stato
sociale, e la ricerca di fluidità nel mercato del lavoro. Gli individui, in tutti questi casi hanno visto
diminuire senza potersi o volersi opporre, il potere di far valere le proprie opinioni, il potere di
contrattazione collettiva, o di punire con il voto questo o quel comportamento. Tutti i vecchi sistemi
di protezione sociale quali la famiglia, le convenzioni sociali, i sindacati, i partiti, le associazione dei
consumatori, e lo Stato, hanno subito un forte indebolimento. Non esiste più un unico interlocutore al
quale imputare tutte le colpe ma una moltitudine, questo, assieme agli altri fattori lasciano l’individuo
sempre più solo, e sempre più spinto verso l’egoismo, in una situazione dove il nuovo è ancora in fase
embrionale.
È a partire da questo contesto che prende sempre più spazio quello che è definito privato
sociale, o in maniera meno precisa terzo settore, cioè quel campo organizzativo e istituzionale il cui
orientamento di fondo si riconnette a motivazioni di tipo non riconducibili alla semantica utilitarista, e
che per nascita e sviluppo organizzativo, non può essere definito semplicemente attraverso modelli
residuali rispetto al mercato e allo Stato. L’attenzione per questo settore è in forte ascesa negli ultimi
anni, sia per la sua forte espansione, sia perché dal punto di vista teorico in molti vedono in esso un’
alternativa all’olismo e all’individualismo, allo Stato e al mercato. In tutte le sue forme, e per
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motivazioni non necessariamente comuni, il privato sociale convoglia le proprie iniziative in attività a
forte concentrazione di relazioni sociali.
Le organizzazioni non-profit rappresentano una forma economica distinta dall’economia
domestica delle famiglie e dall’economia di capitali. Il privato sociale sposta la propria finalità, dal
perseguimento di matrice utilitarista con un utile esclusivamente individuale, alla produzione di beni
relazionali collettivi, ovvero una forma caratteristica di beni che non sono né privati, né pubblici, ma
che vengono prodotti all’interno di una relazione che privilegia valore d’uso e di legame, piuttosto che
quello di scambio. Tali beni relazionali sono l’espressione compiuta dell’inserimento degli individui in
un contesto sociale in cui riconoscono legami reciproci ed un comune destino. In questo senso si può
parlare di legami di comunità. Ambrosini ha definito quattro forme di radicamento delle iniziative
solidaristiche non-profit: a) radicamento situazionale: derivante da dalla condivisione di bisogni o
specifiche condizioni; b) radicamento relazionale: fondato su relazioni interpersonali vive,
comunitarie e ravvicinate, di tipo amicale, di vicinato, territoriale; c) radicamento culturale: si tratta
delle origini ideali, ideologiche, o religiose che stanno alla base dell’organizzazione e che
costituiscono la fonte dell’atteggiamento solidaristico e prosociale in genere; d) radicamento
organizzativo: sono i rapporti di filiazione e sponsorizzazione che travalicano il legame di tipo ideale e
che sono alla base di gemmazioni organizzative. Vedremo come nelle economie senza denaro siano
presenti a rotazione o contemporaneamente tutte queste forme di radicamento.
Il privato sociale comprende fondazioni, cooperative di servizi, cooperative sociali, volontariato,
associazioni di tutela e di mutuo aiuto. In sostanza il privato sociale appare sempre più come un
sistema misto, in cui risulta molto evidente l’esistenza di complessi motivazionali dell’agire in cui il
dono e la reciprocità rappresentano la motivazione di fondo genetica, ma sicuramente non l’unica
presente. Esso combina gli scopi sociali quali senso di comunità, beneficio pubblico, e libertà
d’impresa, propri rispettivamente delle comunità, dello Stato, e del mercato. L’introduzione del
concetto di comunità, inteso in senso costitutivo, consente di introdurre all’interno delle varie forme di
radicamento sociale, un’altra categoria utile per tematizzare variabili di tipo socioculturale, che si
rivelano indispensabili nell’analisi dell’esistenza di moventi di tipo non egoistico nel privato sociale. È
questa la strada per comprendere come e perché comportamenti non autointeressati persistono e si
sviluppano, o al contrario, decrescono fino a liquefarsi all’interno di ambiti motivazionali più
interessati da logiche di razionalità strumentale.
21
2.4 Il capitale sociale
Narayan (1999) definisce il capitale sociale9
quell’insieme di «norme e relazioni sociali, incorporate
nelle strutture sociali di una determinata società, che consentono il coordinamento delle azioni
individuali per raggiungere gli obiettivi desiderati». Ciò che distingue il capitale sociale dalle nozioni
di capitale fisico e capitale umano, consiste nell’essere incorporato nella struttura delle relazioni
sociali, anziché in beni fisici o in singoli individui. L’uso del termine capitale, appare legittimo quando
si consideri la sua natura di risorsa accumulabile e il fatto che la sua accumulazione richiede un
investimento relazionale, misurabile in termini di comportamenti non autointeressati. Diversi autori
hanno dato molteplici definizioni di questo termine, e oggi possiamo dire che capitale sociale, è più il
nome di un intero filone di ricerca che di un concetto univoco. Tuttavia tutte le sue definizioni possono
essere raggruppate attorno a due nuclei fondamentali: alcuni lo identificano con il livello di fiducia e di
effettività delle norme civiche all’interno di una società, altre si concentrano piuttosto sul livello di
partecipazione in organizzazioni orizzontali volontarie. È facile notare come entrambi gli aspetti
abbiano in comune il fatto di essere il prodotto di un’attività di partecipazione sociale. La fiducia
riveste un ruolo importante nella determinazione del capitale sociale, la sua importanza risiede nella
caratteristica di facilitare il coordinamento delle azioni di più soggetti in un piano ordinato; dato che le
opportunità migliori in genere, possono essere colte solo attraverso azioni congiunte, e dato che nella
maggior parte dei casi tali azioni sono soggette al rischio di opportunismo, la presenza di fiducia tra i
soggetti riduce tale rischio e facilita l’ottenere esiti Pareto-superiori. A tal proposito basti pensare al
dilemma del prigioniero. La fiducia comunque, non è esclusivamente quella interpersonale, ma vi è
anche un suo aspetto legato al buon funzionamento delle istituzioni statali e di mercato: si pensi al
ruolo giocato da un buon sistema di amministrazione della giustizia, nonché alla percezione del
sistema fiscale come equo e adeguato rispetto alle prestazioni sociali erogate in cambio, nel
determinare la propensione a seguire le norme di cooperazione civica e nello stabilire condizioni di
possibilità per lo sviluppo di una fiducia interpersonale generalizzata.
In sintesi quello di capitale sociale, è un concetto che mette in luce come la capacità di produrre
ricchezza e di generare efficienza è spesso dovuta almeno in parte a fattori che non rientrano nella
9
Bowles e Gintis affermano che le motivazioni esterne del successo del termine capitale sociale siano riconducibili al fatto
che « molti sono giunti alla conclusione che i fallimenti del mercato sono la regola piuttosto che l’eccezione e che i
governi non sono né sufficientemente informati né sufficientemente affidabili per correggere tutti i fallimenti di mercato.
Il capitale sociale ha conquistato la scena non per i propri meriti, ma per i difetti delle sue alternative. Quelli di sinistra
sono attratti dall’idea del capitale sociale perché afferma l’importanza della fiducia, della generosità e dell’azione
collettiva per risolvere i problemi sociali, contrastando così l’idea che diritti di proprietà ben definiti e mercati
concorrenziali possano coordinare in maniera talmente efficace le motivazioni individualistiche verso fini pubblici da
rendere superflua la virtù civica. I sostenitori del laissez faire ne sono incantati perché presenta la promessa che laddove i
mercati falliscono – ad esempio nella fornitura di beni pubblici locali e in vari tipi di assicurazione – possono intervenire a
risolvere il problema il vicinato, le associazioni di genitori e insegnanti, le bocciofile, insomma qualsiasi cosa che non sia
il governo».
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contabilità di mercato. Fattori quali la fiducia, il senso civico, il know how accumulato, la creatività, il
livello di formazione, ma anche la dotazione infrastrutturale, il capitale umano, le tradizioni culturali,
l’organizzazione familiare, i patrimoni valoriali sono tutti fattori che possono concorrere a valorizzare
un’area economica e a farle raggiungere determinati risultati. Una prospettiva eccessivamente miope
che valuti la situazione solo seguendo le valutazioni quantitative messe a disposizione dal sistema dei
prezzi finisce come abbiamo visto, con l’impoverire questo capitale sociale provocando dei costi
complessivi anche di ordine direttamente economico. Da un certo punto di vista, è possibile dire che la
maggior parte delle forme di capitale sociale è accumulata attraverso attività di partecipazione sociale
ed interpersonale, che comportano la rinuncia allo sfruttamento di possibilità di guadagno
opportunistiche. La stessa attività di partecipazione sociale genera allo stesso tempo accumulazione di
capitale sociale e consumo di beni relazionali. È una caratteristica tipica delle forme non materiali di
capitale, che consumo ed investimento non siano obbligatoriamente antitetici.
Abbiamo argomentato che nelle società a capitalismo maturo, i beni relazionali giocano un
ruolo cruciale per la determinazione del benessere individuale e collettivo. Fattore chiave per la
produzione di beni relazionali è il livello di partecipazione sociale, il quale genera effetti esterni
positivi tanto immediati quanto cumulativi, in quanto è fra le maggiori determinanti del capitale
sociale. Il capitale sociale è un fattore importante sia per la crescita di lungo periodo, sia per la
proficuità del tempo speso in attività relazionali. Come abbiamo visto precedentemente, nelle società a
capitalismo maturo si ha una pressione per la riduzione della partecipazione sociale, e dunque, del
capitale sociale. Ciò può comportare effetti esterni negativi immediati e pregiudicare la crescita di
lungo periodo.
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3. Sistemi di scambio non monetari, economie
senza denaro
“Devo riconoscere che tra l’economia e l’etica non traccio alcuna frontiera precisa, se ancora ne
faccio distinzione. Il regime economico che va contro il progresso morale di un individuo o di una
nazione non può essere che immorale e, di conseguenza peccaminoso. Così come ogni sistema
economico che permette di gettarsi su di un altro paese per farne la propria preda. Lo scopo da
raggiungere è di promuovere la felicità dell’uomo, facendolo arrivare a una completa maturità
mentale e morale (impiego qui l’aggettivo “morale” come sinonimo di spirituale). Per pervenire a
questo fine, ci deve essere decentralizzazione. Perché la centralizzazione è un sistema
incompatibile con una struttura sociale non violenta.” M. K. Gandhi
Ci occuperemo ora di quelli che generalmente vengono chiamati sistemi di scambio non monetari; essi
cercano di rispondere ad alcune delle problematiche evidenziate finora. Vedremo che oltre ad avere in
comune una forte percezione della necessità di relazione, e la ricerca di beni e servizi altrimenti non
ottenibili, attraverso famiglia, Stato e mercato, hanno forme organizzative e finalità simili. I sistemi di
scambio non monetari hanno sempre infatti un territorio o una comunità di riferimento non troppo
grande. Gli scambi avvengono all’interno di un gruppo spontaneo, di un’associazione, del vicinato, del
territorio, della municipalità, attraverso rapporti di reciprocità, e il triplice obbligo di donare ricevere e
ricambiare. I partecipanti possono offrire o chiedere servizi e beni di ogni tipo, in cambio di un
accredito o di un addebito in un proprio conto corrente a partita doppia; la transazione avviene
attraverso l’informativa, il mezzo con cui si dichiara l’avvenuto trasferimento, e/o monete
complementari, un’unità di scambio valida solo all’interno del sistema, che si affianca alla valuta
ufficiale, e che in alcuni casi le è rapportata. Palmese e Sereni definiscono i sistemi di scambio non
monetari come un «meccanismo auto organizzato attraverso il quale qualsiasi aderente può ottenere
beni e/o servizi che può autoprodurre, nel senso più esteso che questo termine può avere». In base a
tali principi chi offre qualcosa, prima o poi ne riceverà un equivalente dal sistema, di volta in volta
rappresentato da uno dei suoi membri. Perciò chi riceve ciò di cui aveva necessità, successivamente, è
chiamato a restituire ad un terzo estraneo allo scambio originario, creando un circolo di reciprocità
indiretta, o se si preferisce, un sistema di indebitamento multilaterale. Per facilitare gli scambi,
vengono stilati a scadenze regolari liste e bollettini dei beni e servizi domandati ed offerti, in modo da
far conoscere anche il saldo dei crediti e debiti di ognuno. Come accennato precedentemente, i vari
sistemi, per regolare tali scambi, hanno una propria moneta complementare più o meno rapportata alla
moneta ufficiale, oppure usano come unità di conto il tempo. La specificità dell’unità di misura delle
transazioni, sta nel suo carattere socializzante e solidaristico assente nel denaro, ed il procedere
24
attraverso continui e reciproci indebitamenti, presuppone e coadiuva, la crescita della fiducia reciproca
tra non affini.
Ciò in cui differiscono i vari sistemi, è sul come stabilire un “giusto rapporto di scambio”, ma
anche sulle finalità principali: si va dalla ricerca di occupazione, alla sconfitta della povertà, la ricerca
di rapporti di buon vicinato, i servizi alla persona, la lotta contro il neoliberismo, il contrasto
all’inflazione, l’integrazione sociale, lo scambio di conoscenza, e molti altri. Le economie senza
denaro non cercano e non vogliono sostituirsi al mercato, né attraverso una sua soppressione, né
attraverso il rinchiudersi in gruppi chiusi, isolati, settari, e autoreferenziali. Vogliono soltanto
affiancarsi, compenetrarsi, arricchirsi a vicenda con le istituzioni statali e di mercato, per rispondere a
necessità di credito, di beni, servizi, socialità, saperi, autostima. I sistemi di reciprocità indiretta
ricercano il bem-vivir, educano alla cittadinanza attiva e responsabile, all’interesse per la propria
comunità di appartenenza, professano un ritorno del denaro al servizio dell’uomo e non più un uomo al
servizio del denaro. Riplasmano il significato di consumo, di scambio, danno valore all’economia
domestica, informale e di autoproduzione, danno una nuova dimensione al problema della sicurezza.
Procederemo adesso con l’analisi più approfondita di alcuni dei sistemi che hanno avuto
maggior successo e che hanno caratteristiche particolari rispetto agli altri. Per motivi di spazio non
potremo dilungarci troppo nella loro analisi, e dovremo saltare a piè pari la descrizione di
numerosissimi sistemi, in particolare di quelli presenti massicciamente e con caratteristiche simili nel
Sud del mondo10
. Fra questi le esperienze di maggior successo sono il Système d’Echanges
Communitaires Senegalese, l’Interser Venezuelano, Red Global del Trueque Argentino. Quest’ultimo
in particolare ha svolto una funzione veramente importante durante le crisi economiche e finanziarie
di questo paese negli anni ‘90, coinvolgendo molte decine di migliaia di persone, associazioni,
aziende e municipalità.
3.1 Local Excange Trading Sistem
Dalle idee e vari progetti di David Weston, studioso di economia e sociologia, nasce una delle prime
esperienze organiche di sistemi di scambio non monetari: i Local Excange Trading Sistem,
organizzazioni diffuse soprattutto nel mondo anglosassone, che oggi sono circa 400 e coinvolgono
oltre 40.000 persone. Diffuse dagli U.S.A. alla Nuova Zelanda, sono nate una ventina di anni fa in nel
Regno Unito, e sono state lo spunto dal quale hanno preso forma molti dei sistemi di reciprocità
indiretta. Il principio secondo il quale funzionano è semplice: si apre un conto per ogni aderente al
sistema; oggetto degli scambi sono beni, servizi, e saperi. Tramite un supporto informatico si
10
Fra di essi citiamo: Time dollar, Green dollar, Toronto dollar, Rete di Economia Locale, Tianguis Tlaloc, Yogyakarta
System, Rumihuaico, Toctiuco, Thay Gerh, Flash Cash, Ndajem-Wecco, Salta Creditos.
25
contabilizzano tutti gli scambi del sistema in prestazioni orarie oppure tramite una moneta locale
complementare a quella di corso legale. All’avvio ognuno ha un saldo nullo sul proprio conto. Ogni
membro comunica cosa offre e cosa intende ricevere, dopodiché queste informazioni vengono inserite
in apposite liste. La contabilizzazione avviene attraverso l’emissione di assegni; l’unità di misura è
una moneta interna chiamata con un nome di fantasia, oppure, è il tempo. L’unità locale è
frequentemente allineata alla sterlina e ciò permette di avere trasferimenti anche fra LETS diversi.
Beni e servizi sono valutati in base al tempo di produzione (un’ora di baby sitter equivale ad un’ora di
consulenza dal commercialista) o al valore d’uso. Consenso e fiducia sono indispensabili sia per le
transazioni che per la sopravvivenza del gruppo, infatti non c’è un controllo interno, ed ognuno è
responsabile di quello che fa. In alcuni casi esiste solo un disincentivo al potenziale sfruttamento del
sistema chiamato limite di fiducia al saldo negativo che limita le possibilità di richiedere beni e servizi
fintantoché lo squilibrio fra debiti e crediti è troppo elevato. Gli obiettivi dei LETS sono soprattutto
economici e solidaristici, e cercano di andare incontro alle esigenze di chi ne ha più bisogno, come
anziani, disoccupati, migranti, lottando l’esclusione economica e sociale. In tal senso va ricordata
l’esperienza della Beckford Community LETS, che ha costituito un gruppo LETS fra gli utenti del
centro di salute mentale dell’ospedale locale. In seguito ai notevoli miglioramenti delle persone in
cura, è iniziato un progetto di collaborazione da parte delle istituzioni per la creazione di altri gruppi
LETS a scopi sanitari.
3.2 Système d’Echange Local
I SEL sono sistemi di scambio non monetario presenti nel mondo francofono, e derivano dalle
esperienze dei LETS inglesi. Il primo SEL è nato nel 1994 nell’Ariège, in Francia, cercando di ricreare
solidarietà attraverso unità locali che permettessero alle persone della stessa provincia di incontrarsi, di
donare, ricevere e ricambiare. I SEL mettono in gioco una forma di scambio simile al dono, con
caratteristiche amicali più pronunciate rispetto ai LETS. Il modello francofono si colloca tra dono e
merce, e si contabilizzano i valori d’uso, ma esso è pensato soprattutto per essere un sistema di
educazione alla solidarietà tra amici. Il sistema anglosassone e francofono, dunque sono simili per il
fatto che spingono persone non affini ad incontrarsi, il primo con lo scopo prevalente di valorizzare
l’economia locale e rispondere a necessità soprattutto in ambito economico, il secondo con lo scopo
prevalente dell’educazione e della convivialità attraverso il triplice obbligo di donare ricevere e
ricambiare. Con l’entrata nella comunità si acquisiscono una serie di diritti e doveri per i quali ognuno
diventa responsabile per sé e per gli altri. Di qui l’importanza dell’onestà e della fiducia. Ogni membro
detiene un conto corrente nel quale alla sua apertura, viene accreditata una somma nella moneta locale,
in modo tale che l’associato possa già acquistare un prodotto o sollecitare un servizio senza disporre
26
del denaro necessario. Questa forma di credito è senza interessi, e obbliga moralmente l’utente a
rimborsare il proprio debito, non necessariamente alla persona con la quale ci si è indebitati, ma
mettendo a disposizione di tutti le proprie capacità.
3.3 Banca Del Tempo
Le Banche del Tempo possono essere considerate una rete di solidarietà fondata sullo scambio alla pari
di prestazioni e servizi capaci di soddisfare bisogni legati alla vita quotidiana. Diffuse in Italia, Spagna
e Svizzera, sono un modo per potenziare la rete di reciproco aiuto tipica dei rapporti di buon vicinato.
La prima Banca del tempo nasce nel 1995 da un gruppo di donne del Comune di Santarcangelo di
Romagna (RN), e oggi in Italia sono più di 36. Le esperienze italiane si sono sviluppate in maniera
autonoma, rispetto a quelle dei LETS, dei SEL o di altri sistemi.
Aderendo si possono ottenere servizi, beni, e saperi che permettono di soddisfare piccole
necessità quotidiane e al contempo permettono di potenziare le reti di relazioni. Le Banche del tempo
si basano sulla reciprocità: si dà per ricevere, si chiede tempo per restituirlo; ogni trasferimento
accende debiti e crediti di tempo nei confronti di tutti gli altri, ed il proprio conto corrente deve sempre
tendere ad avere un saldo pari a zero. Il tempo è l’unità di misura: il valore del servizio è determinato
dal tempo impiegato nella sua prestazione. Tutte le attività sono valutate in tempo e non circola denaro
se non quello per la copertura delle spese vive. I soggetti più propensi all’adesione sono organizzazioni
sindacali o di volontariato, anziani, e donne, quei soggetti che hanno un’abbondanza relativa di tempo
libero, per questo permettono l’uso sociale del territorio, contribuendo a ridefinire il termini del
problema sicurezza. Le Banche del tempo hanno avuto un buon successo, al punto che sono nati
numerosi incentivi e facilitazioni da parte dei Comuni per il loro sviluppo e patrocinio; nell’ 8 marzo
2000 sono state regolate con la legge n° 53, art. 27.
3.4 Robust Complementary Community Currency System
Il ROCS è un sistema sviluppatosi nel Regno Unito che combina molte delle caratteristiche di molti
sistemi di scambio non monetari. L’unità di conto è l’ora che viene rapportata alla valuta nazionale in
modo da facilitare le operazioni. I partecipanti possono negoziare fra di loro ad ogni scambio il
rapporto in tempo per i servizi che stanno svolgendo in base all’impegno che richiedono. È progettato
per resistere a pressioni esterne come eventuali crisi della propria valuta nazionale, e cerca di
combattere queste pressioni e le eventuali diseconomie interne, attraverso la contrattazione collettiva
all’interno del gruppo, della quantità di moneta locale da immettere in circolazione. Sostanzialmente i
componenti dell’organizzazioni decidono insieme attraverso discussioni e scambi di opinioni, le
operazioni che di solito compiono le Banche centrali attraverso leggi economiche e convenienze
27
politiche. Un compito certamente non facile viene dunque imputato alla collettività e alla
contrattazione. Ciò implica l’incremento del sentire comune e della necessità di confronto fra i
membri. Il politico ed il sociale si impadroniscono dell’economico.
3.5 Sistema di Reciprocità Indiretta
Questo sistema nasce a Martano, in provincia di Lecce nel 1997. L’intenzione era quella di creare le
condizioni per far sbocciare dei «gruppi di adesione nell’immaginario tipico dell’amicizia», base
necessaria per la costruzione di una rileanza11
nel rispetto delle diversità. Lo SRI inizialmente aveva
un funzionamento molto simile a quello di un LETS o di un SEL, ma successivamente si sono avuti
notevoli cambiamenti. Il valore del trasferimento da registrare in contabilità esprime un valore di
riconoscenza, che è la somma di due valori di base; uno soggettivo, ed un altro oggettivo. L’unità che
misura la parte oggettiva è il tempo, inteso come tempo necessario per effettuare il trasferimento, ed è
misurato in ore-di-vita, e sue frazioni. L’unità che misura la parte soggettiva è una moneta
complementare chiamata Misthòs che si riferisce al valore emozionale del trasferimento, il valore di
riconoscenza, cioè il «grado di libertà del gesto di donazione così come compreso dal ricevente». Il
Misthòs è anche l’unità di conto dello SRI, un’ora corrisponde a dieci Misthòs. I trasferimenti fra gli
aderenti hanno lo statuto di dono, quindi se uno di essi decide di abbandonare lo SRI senza azzerare il
suo conto, tutti gli altri assorbono il suo saldo, positivo o negativo che sia, tramite un conto di
passaggio. Per dirimere eventuali controversie è prevista la figura di un mediatore.
3.6 Réseaux d’ Échange Réciproque des Savoirs
Le Reti di Scambio Reciproco dei Saperi nascono dall’intuizione di Claire Hebert Suffrin, maestra
con il pallino della valorizzazione dei talenti degli allievi appartenenti ai ceti più bassi, cronicamente
affetti da disistima. L’esperienza è diffusa in Francia, Svizzera, Belgio, Spagna e Olanda. Le RERS di
basano su quattro postulati. 1- ognuno conosce qualcosa; 2- ognuno può imparare a trasmettere le
proprie conoscenze; 3- trasmettere il proprio sapere valorizza; 4- trasmettere il proprio sapere
permette di riscoprire in sé la capacità di imparare. La trasmissione dei saperi avviene sulla base della
reciprocità aperta: ogni offerta presuppone una domanda e ogni domanda è accompagnata da
un’offerta. Si trasmettono solo saperi, è esclusa qualsiasi transazione in denaro. I RERS operano in
diversi ambiti, quali l’accoglienza di nuovi abitanti, la formazione, l’inserimento di categorie a rischio
come donne sole, sfrattati, disoccupati, la riuscita scolastica, il riconoscimento delle differenze, e
11
Con questo termine si intende «una rottura dell’isolamento; ricerca di legami funzionali, sostituto dei legami primari;
comunione umana».
28
occupandosi di persone disabili e con difficoltà di vario genere. Non esiste alcuna moneta interna,
esiste solo la reciprocità, ovvero l’impegno a trasmettere e ricevere formazione con altri aderenti al
gruppo. Ai RERS è stato riconosciuto un ruolo solidale, e per questo godono ed hanno goduto di
finanziamenti pubblici.
3.7 Sistema Wir
Il circolo economico Wir, organizzato sotto la forma di cooperativa, è stato fondato negli anni trenta in
Svizzera, durante la grande depressione, per cercare di rimediare alla insufficiente disponibilità di
denaro e all’alterazione della circolazione monetaria dovuta alla tesaurizzazione. La complementarità
del Wir poggia sul criterio del mezzo di pagamento libero da interessi, e nell’applicazione di tasse sul
denaro inattivo. I suoi fondatori si ispirarono alla teoria economica del demourrage sviluppata
dall’economista Silvio Gesell. Egli sosteneva che la moneta è un bene pubblico e che per fruirne si
dovrebbe pagare una piccola tassa. In altre parole, essa dovrebbe avere un tasso di degradazione, come
effettivamente hanno tutti gli altri beni, cioè un interesse negativo, comparabile alla degradazione
media delle merci. Ciò determinerebbe una attività economica molto più veloce, e le persone
userebbero la moneta solo come mezzo di scambio non come riserva di valore12
.
Si pensò di superare la crisi creando un sistema di scambio ad anello (Wirtschaftring), dove gli
aderenti versavano contanti su di un conto e, dopo essere stati accreditati di un bonus del 5%, potevano
fare acquisti con i Wir. Soprattutto il credito in Wir senza interessi aumentò il potere d’acquisto extra e
stimolò la circolazione di beni. L’organizzazione Wir crebbe in maniera impressionante, e tutt’oggi
gode di ottima salute. Cessata l’emergenza, l’organismo Wir ha rapidamente abbandonato gli obiettivi
di riforma monetaria, e continua a funzionare come una banca di credito cooperativo. Il suo sistema di
compensazione continua a funzionare quale traffico di pagamento senza contanti tra i clienti, ma ha
assunto prevalentemente la dimensione di marketing, anche se è rimasto inalterato il principio
originario dell’auto-aiuto. La maggioranza dei membri oggi usa i Wir e il franco svizzero in parallelo,
tramite un allineamento diretto (1 Wir = 1 franco svizzero). Questa relazione permette spesso di poter
aumentare il fatturato in franchi svizzeri aumentando il fatturato in Wir.
3.8 Tauschring
I Tauschring sono sistemi di scambio non monetario diffusi nell’Europa centrale, in cui è molto forte
la componente solidaristica. Il primo Tauschring è stato creato nel 1992 i suoi promotori si sono
ispirati ad un sistema cooperativo del sud della Germania. Si tratta di un sistema di pensioni
12
Gesell S., The natural economic order, Berlino, 1929. Il testo è praticamente introvabile, comunque scaricabile
all’indirizzo http://www.utopie.it/economie_senza_denaro/gesell.htm.
29
alternative dove alcune associazioni propongono l’organizzazione dei servizi per le persone anziane,
in questo modo è possibile accumulare punti che potranno anche essere trasferiti ad altri. A livello
teorico sono attraversati da due correnti. Una è quella più propriamente economica, che si basa sulle
teorie di Gesell, l’altra ha una connotazione più sociale ed è diretta alla ricerca di legami sociali. In
Germani ci sono circa 220 Tauschring. Il più grande è a Monaco e conta più di 1.300 membri. I
trasferimenti hanno come unità di misura il tempo; un’ora di prestazione corrisponde a venti Kreuz, la
moneta locale. I Taususchring si stanno aprendo sempre più ad imprese, municipalità, organizzazioni
non-profit, e anche se per le imprese è difficile rapportarsi con il tempo piuttosto che con il denaro, è
capitato che molte nuove imprese con carenza di liquidità, sono potute entrare nel mercato, grazie
all’appartenenza al Tauschring, che praticamente ha fornito prestiti contabilizzati in tempo e Kreuz,
piuttosto che in valuta a corso legale. I Tauschring non puntano a sostituire i servizi sociali, ma
cercano di aumentare la loro dimensione umana, conviviale e partecipativa. Non esiste un
coordinamento gerarchico, il tutto è affidato alla responsabilità e all’impegno di ogni partecipante
incentivando la creazione di fiducia.
3.9 Ithaca Hours
Le Ithaca hours sono nate nel 1991 a Ithaca, New York. Queste banconote complementari sono
applicate in almeno 39 comunità locali negli U.S.A., e permettono di pagare beni e servizi nel raggio di
50 miglia intorno a Ithaca. Una Ithaca hour in termini di potere d’acquisto vale dieci dollari e i
commercianti possono accettare questa moneta nella misura in cui a loro volta riescono a coprire le
loro spese in hours per pagare i fornitori locali. Secondo Lietar13
il sistema ha emesso l’equivalente di
oltre 630.000 dollari e la moneta è passata di mano a oltre 1.300 persone. Le Ithaca hours rimangono
nella regione per pagare il lavoro locale, rafforzare gli scambi comunitari ed espandere un commercio
maggiormente attento all’ecologia e alla giustizia sociale della comunità. Le banconote sono accettate
da idraulici, falegnami, elettricisti, bambinaie, infermieri, meccanici, ecc. La cooperativa di credito le
accetta per le ipoteche e per gli interessi sui prestiti. La gente paga l’affitto con le hours e molti
ristoranti e cinema di New York le accettano.
3.10 Hureai Kippu
Nel 1993 il ministro della giustizia giapponese Hotta lasciò il proprio incarico e fondò l’Istituto per il
welfare umano, un’organizzazione non-profit che con l’aiuto dello Stato istituì una nuova moneta:
l’Hureai kippu. La nuova moneta è stata introdotta fondamentalmente per affrontare il problema
dell’invecchiamento della popolazione, che necessita assistenza quotidiana. Il sistema praticamente
13
Lietar B., The future of money: a new way to wealth, works and a wiser world, Random Century, Londra, 2000
30
consiste nell’affittare qualcuno perché svolga alcune attività. Per esempio un anziano che ha bisogno di
assistenza a domicilio affitta qualcuno che gli faccia la spesa, gli prepari da mangiare, gli faccia il
bagno, ecc. l’unità di conto è l’ora di servizio: una persona che presta questo servizio riceve un credito
di Hureai kippu, che può mettere in un conto di risparmio di tempo sanitario, da cui può attingere
quando riterrà di averne bisogno, per esempio in caso di malattia, o per quando sarà in pensione.
Queste ore di assistenza sanitaria vanno ad integrare il normale programma di assistenza sanitaria,
finanziato in yen. È possibile anche cedere a terzi i propri crediti sanitari, e ciò avviene soprattutto fra
genitori e figli, e fra congiunti lontani.
3.11 Hero Dollars
Gli Hero dollars sono stati ideati dall’imprenditore di Minneapolis Joel Hodroff nel 1997. Tutto è
cominciato con una semplice carta di credito la Community hero card che ha creato un circuito che
assicura particolari vantaggi agli aderenti. Parte delle spese effettuate con esso vengono indirizzate
verso gli esercizi commerciali e le aziende che partecipano al progetto aumentando i profitti, il
numero dei clienti, e l’immagine. Un’altra parte della spesa effettuata con essa viene donata ad
organizzazioni non-profit che vedono aumentare i volontari e le donazioni. Se il possessore della carta
è un volontario presso un’organizzazione non-profit che fa parte del sistema, può decidere se
devolvere un’ulteriore parte ad una delle organizzazioni partecipanti o rimpinguare il proprio conto in
Hero dollars che potrà poi spendere negli esercizi o aziende partecipanti. Nel sistema ci sono due tipi
di monete in circolazione: i dollari tradizionali e i Community service dollars, la parità è fissata uno a
uno. Un’ora di servizi presso una delle organizzazioni partecipanti al progetto vale 10 Hero dollars. Il
circuito è a due livelli integrati fa loro: un livello business, di solito rivolto al profitto, ed un secondo
livello comunitario a rete, dove eventuali utili rappresentano una ricchezza sociale. Il processo di
creazione degli Hero dollars inizia a livello di business ma ad emetterli sono le organizzazioni non-
profit. Questo sistema sta avendo un forte sostegno dalla comunità d’affari, dai sindacati, e dalla
cittadinanza in generale. Si stima che entro la fine dell’anno le Community hero card siano oltre le
40.000.
3.12 EcoAspromonte
Gli Ecoaspromonte sono banconote che a partire dal gennaio 2004 sono state stampata dalla Zecca
dello stato per conto dell’Ente parco del Parco nazionale dell’Aspromonte. Sono diffusi nei numerosi
comuni che si trovano sia al suo interno, che nei pressi dei confini. Le banconote hanno una scadenza
di un anno in modo da scoraggiare la loro accumulazione. Gli Ecoaspromonte hanno un valore estetico
31
che gli permettono di essere visti dai turisti come gadget, inoltre, con questa banconota, vengono
incentivati acquisti di beni e servizi del turismo responsabile ed ecocompatibile, dei prodotti tipici del
parco nazionale, del risparmio energetico e dell’energia rinnovabile. Con questa esperienza si tende a
rafforzare, in positivo, l’identità locale e quella del Parco. L’Ecoaspromonte punta ad assumere, nel
medio-lungo periodo, una funzione sociale per rivitalizzare l’economia locale, rafforzare le attività
ecocompatibili, in una zona da sempre marginale, marginalizzata, e nelle mani della criminalità
organizzata.
Conclusioni
Inizialmente abbiamo evidenziato alcuni fenomeni che usualmente vengono classificati come
esternalità del processo produttivo. Ci siamo posti il problema di vedere se essi avessero delle cause o
delle concause nella natura stessa della scienza economica. Abbiamo dunque cercato di inserire una
nuova dimensione, quella relazionale, all’interno della teoria economica, e abbiamo introdotto
concetti quali: beni relazionali, individualità relazionale, valore di legame, reciprocità, dono, fiducia,
capitale sociale, privato sociale. Quello che poi abbiamo fatto è stato analizzare alcune realtà, per
vedere se effettivamente, le categorie analitiche introdotte avessero un significato concreto e visibile.
Abbiamo visto che queste realtà sono molto diverse le une dalle altre, ma che hanno in comune un
certo nucleo di elementi. In primo luogo mettono in risalto la relazione, la convivialità, l’incontro,
principalmente tra persone non affini. Stabiliscono la creazione dell’alleanza tra di esse, attraverso la
realizzazione di una rete costituita da indebitamenti reciproci. Essa si forma sugli obblighi di donare,
ricevere e restituire, che stimolano l’aumento della fiducia reciproca. Questa fiducia è elemento
costitutivo del capitale sociale, che come abbiamo visto è necessario per garantire il benessere e la
crescita economica di lungo periodo. Tutto questo avviene per mezzo del denaro, inteso come mezzo
di scambio e unità di conto, ma non come riserva di valore; in questo modo si privilegia il valore
d’uso, disincentivando un consumo fine a se stesso, e la tesaurizzazione. Inserendo queste
caratteristiche del denaro all’interno di un contesto di relazione, si dà importanza al valore di legame
dello scambio, cioè alla sua capacità di incentivare e consolidare il legame sociale. La rete di
reciprocità indiretta crea una piccola comunità costituita di solito da 100 persone circa, che ha una
base territoriale, e allo stesso tempo è inserita all’interno di una comunità nazionale o transnazionale
più grande. Il radicamento territoriale permette il consolidarsi del comune sentire, della cittadinanza
attiva, dello spirito di buon vicinato, e ciò tende a ridefinire anche il problema della sicurezza. Il
legame a livello nazionale o transnazionale con altre comunità affini, scongiura il rischio di
autoreferenzialità, la chiusura settaria, il ritorno alla premodernità, e sottolinea l’attuale fase di
32
cosmopolitizzazione radicata14
della società, in risposta alla crisi dello Stato. La rete, come possiamo
vedere, ha quindi una facoltà di annodare i diversi discorsi portati avanti dalle istanze personali,
economiche e politiche, e dal punto di vista teorico rende necessario un confronto ed un arricchimento
fra tutte le scienze sociali. La rete di privato sociale è il nuovo soggetto del Politico, che si affianca,
senza volersi sostituire, alla famiglia, allo Stato, al mercato, e si inserisce all’interno del processo di
trasformazione del welfare.
A volte vengono indirizzate alcune critiche ai sistemi di reciprocità indiretta ed alle monete
complementari. In particolare si dice che essi riducono l’efficienza economica, sono incapaci di
incentivare gli investimenti, sono una fonte di inflazione, incoraggiano l’evasione fiscale, e che le
valute complementari possono essere contraffatte. Innanzi tutto va ricordato che i sistemi di scambio
non monetari sono sistemi complementari, che gli aderenti non vivono esclusivamente di esse, ma
utilizzano le unità complementari all’interno del sistema, e la valuta nazionale al di fuori della
comunità. Anche i produttori non sono isolati dal mercato, anzi partecipano alla competizione. Questi
sistemi spesso stimolano iniziative economiche che altrimenti non avrebbero trovato spazio in altri
contesti, e capita spesso che dopo un primo periodo di rodaggio all’interno del sistema si possa
passare al mercato. Riguardo all’aumento dell’inflazione nazionale, le economie senza denaro si sono
mostrate ininfluenti, anche perché le unità di scambio sono principalmente utilizzate per operazioni
che non avrebbero avuto luogo senza la valuta locale. Il problema dell’inflazione ha altre motivazioni.
Anzi, la possibilità di avere unità di conto alternative alla moneta nazionale si è mostrata un utile
paracadute nelle situazioni di iperinflazione che si sono avute ad esempio nella repubblica di Weimar
o in molti casi nei paesi del Sud del mondo, uno fra tutti nel caso Argentino. Indagini empiriche
dimostrano inoltre come gli scambi non monetari non sottraggano entrate fiscali allo Stato15
, anche
per la loro natura esterna al sistema formale, ed in ogni caso, le legislazioni dei vari paesi si stanno
adeguando a riguardo. La falsificazione delle valute non appare oggi un problema rilevante grazie ad
accorgimenti tecnici quali numerazione dei biglietti, carta speciale, bollo, e altri, e all’utilizzo
prevalente del computer che sostituisce la carta moneta complementare.
Quello che sorprende di più forse, è che i sistemi di scambio non monetari non solo non
ostacolano, ma contribuiscono, alla performance economica di famiglie ed imprese. L’importanza che
pongono nella relazione infatti, si inserisce appieno nell’attuale fase di ampliamento del terziario, in
particolare nell’ambito dei servizi alla persona (cura del corpo, sanità, istruzione, assistenza a disabili,
anziani, bambini…), che necessitano un’interazione diretta fra utente e operatore, e anche
nell’industria manifatturiera hanno peso sempre maggiore le pubbliche relazioni, il marketing ed il
14
Con questo termine si intende una duplice tendenza sia al cosmopolitismo, alla transnazionalizzazione del comune
sentire delle società, che alla territorializzazione, l’identificarsi in un radicamento territoriale e locale. Ciò oltrepassa
l’identificazione intermedia, o un sentir comune intermedio, nei confronti dello Stato.
15
G.Myrdan, The relationship between social security and money, in Moral Economics n. 4, 1999
33
I Sistemi di scambio non monetari
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I Sistemi di scambio non monetari

  • 1. ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN SVILUPPO E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE TESI DI LAUREA IN POLITICA ECONOMICA I SISTEMI DI SCAMBIO NON MONETARI NEI PAESI A CAPITALISMO MATURO CANDIDATO RELATORE LUCA PRIMAVERA ROBERTO FANFANI SESSIONE DI MARZO ANNO ACCADEMICO 2003 - 2004 1
  • 2. La nostra tesi è che l’idea di un mercato autoregolato implicasse una grossa utopia. Un’istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza umana e naturale della società; essa avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto. Era inevitabile che la società prendesse delle misure per difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e metteva così in pericolo la società in un altro modo. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo del sistema di mercato in un solco preciso ed infine a far crollare l’organizzazione sociale che si basava su di esso. (…) Niente potrebbe sembrare più sciocco che ridurre una civiltà, la sua sostanza ed il suo ethos ad un numero rigidamente chiuso di istituzioni, sceglierne una come fondamentale e procedere argomentando l’inevitabile autodistruzione della civiltà sulla base di qualche qualità tecnica della sua organizzazione economica. Karl Polanyi, 1944 2
  • 3. Sommario I SISTEMI DI SCAMBIO NON MONETARI NEI PAESI A CAPITALISMO MATURO.........................................................................1 La nostra tesi è che l’idea di un mercato autoregolato implicasse una grossa utopia. Un’istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza umana e naturale della società; essa avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto. Era inevitabile che la società prendesse delle misure per difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e metteva così in pericolo la società in un altro modo. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo del sistema di mercato in un solco preciso ed infine a far crollare l’organizzazione sociale che si basava su di esso. (…) Niente potrebbe sembrare più sciocco che ridurre una civiltà, la sua sostanza ed il suo ethos ad un numero rigidamente chiuso di istituzioni, sceglierne una come fondamentale e procedere argomentando l’inevitabile autodistruzione della civiltà sulla base di qualche qualità tecnica della sua organizzazione economica....................2 Karl Polanyi, 1944.........................................................................................2 Sommario.......................................................................................................3 Introduzione.........................................................................................................................................4 1. Il mito dello sviluppo................................................................................6 1.1 I limiti dello sviluppo.....................................................................................................................6 1.2 La concorrenza posizionale ...........................................................................................................7 1.3 Il tempo........................................................................................................................................10 1.4 L’effetto tempo sulla relazionalità...............................................................................................11 1.5 L’effetto deviante della commercializzazione.............................................................................13 2. Ortodossia economica, Stato e privato sociale.....................................16 2.1 Per un’Economia Civile ..............................................................................................................16 2.2 Reciprocità e dono.......................................................................................................................18 2.3 Stato sociale e privato sociale......................................................................................................20 2.4 Il capitale sociale..........................................................................................................................22 3. Sistemi di scambio non monetari, economie senza denaro ................24 3.1 Local Excange Trading Sistem....................................................................................................25 3
  • 4. 3.2 Système d’Echange Local............................................................................................................26 3.3 Banca Del Tempo.........................................................................................................................27 3.4 Robust Complementary Community Currency System...............................................................27 3.5 Sistema di Reciprocità Indiretta...................................................................................................28 3.6 Réseaux d’ Échange Réciproque des Savoirs..............................................................................28 3.7 Sistema Wir..................................................................................................................................29 3.8 Tauschring....................................................................................................................................29 3.9 Ithaca Hours ................................................................................................................................30 3.10 Hureai Kippu .............................................................................................................................30 3.11 Hero Dollars...............................................................................................................................31 3.12 EcoAspromonte..........................................................................................................................31 Conclusioni........................................................................................................................................32 Bibliografia....................................................................................................................................35 Riferimenti sul web........................................................................................................................35 Introduzione Questo breve saggio cercherà di analizzare le caratteristiche di alcune realtà presenti in tutto il mondo che cercano di creare spazi di relazione e reciprocità all’interno del sistema di mercato. In particolare si cercherà di esaminare l’insieme di associazioni e gruppi spontanei, che constatano una comune necessità di relazione e accesso a beni e servizi che lo Stato non riesce a fornirgli, e che loro non riescono ad ottenere attraverso il mercato. In ogni parte del mondo dall’Argentina al Giappone, passando per il Senegal e gli USA, noteremo come ci si auto organizzi per superare queste empasse. Ci chiederemo se il dono, la reciprocità, e la fiducia, che questi gruppi mettono al centro delle loro pratiche, siano effettivamente categorie importanti per l’analisi economica, e quali siano le conseguenze di scambi di beni e servizi effettuati non attraverso il denaro. È possibile un approccio economico che integri al suo interno la dimensione relazionale dell’economia, cercando di superare l’individualismo assiologico? Il nostro percorso partirà dall’analisi di alcune conseguenze solitamente classificate come esternalità del processo di sviluppo economico, che nei sistemi capitalistici maturi hanno conseguenze molto importanti dal punto di vista economico, sociale, e personale. In particolare vedremo quale pressione esercita lo sviluppo economico sulla “gestione” personale del tempo, quali ricadute esso abbia sulla “gestione” dei rapporti interpersonali, quali conseguenze economiche generi questo spostamento, e di conseguenza come si ripercuota tutto ciò sulla vita politica. Lo Stato infatti, come molti politologi, sociologi, filosofi, ed economisti sostengono, si trova di fronte ad una crisi strutturale. Crisi fiscale e di legittimazione, limiti nella gestione di fenomeni 4
  • 5. transnazionali quali l’inquinamento, i conflitti asimmetrici contro entità non statuali, la finanziarizzazione dell’economia planetaria. In generale fenomeni legati alla riduzione del significato di spazio e di tempo: ciò che comunemente chiamiamo globalizzazione. In questo contesto sottolineeremo l’importanza delle esperienze di economia civile1 , che magari senza saperlo, cercano di implementare l’attuale sistema di welfare, o che cercano di arrivare là dove Stato e mercato hanno fallito. È qui che si inserisce l’importanza delle esperienze delle economie senza denaro, dei sistemi di scambio non monetari, delle monete locali, di quelle ad interesse negativo, e di quelle a scadenza. Queste pratiche enormemente diffuse in tutte le zone del pianeta, non sono novità, hanno le loro radici in esperienze storiche lontane e differenti fra loro, come per esempio le Óstraca dell’antico Egitto, i Breakteats medioevali, i Ducati immaginari a Venezia nel XII secolo, lo Scambio dei servizi utili a Reston in Virginia nel XVII secolo, il sistema della Tontina usato anche per fare prestiti al cardinale Mazzarino, o come le varie esperienze sviluppate durante la Repubblica di Weimar. Ad una prima occhiata potrebbe sembrare che si ostenti un nostalgico ritorno al passato, un presunto idilliaco primitivismo, si cerchi di tornare al baratto, a forme di economia premoderna. Non è così. Come avremo modo di sottolineare più precisamente osserveremo elementi fortemente innovativi in queste pratiche, elementi che nascono dalle spinte della modernità, elementi che sono risposte ad alcuni quesiti fondanti la modernità stessa, ed in particolare posti dai sistemi capitalistici maturi. Cercheremo di dimostrare come le forme di economia civile cercano di rispondere ai quesiti che nascono da quella che U. Beck chiama seconda modernità, caratterizzata da nuovi elementi derivanti dalla crisi dello Stato nazionale e dello Stato sociale. Infine passeremo alla descrizione più dettagliata delle varie reti e sistemi di scambio non monetari molto differenti tra loro per riferimenti teorici, unità di misura dei trasferimenti e tipo di moneta, caratteristiche dei partecipanti, luogo, motivazioni, e pratiche. È partendo dal presupposto che oggi al centro della politica c’è l’economia, e che al centro dell’economia c’è il denaro, che le economie senza denaro cercano di riportare al centro dell’economia e della politica l’uomo. 1 Questo vocabolo compare per la prima volta nel 1767 nel trattato dell’economista napoletano Antonio Genovesi, Le lezioni di economia civile. 5
  • 6. 1. Il mito dello sviluppo 1.1 I limiti dello sviluppo2 Nel secolo scorso abbiamo assistito a cambiamenti epocali nell’ambito scientifico, tecnico e tecnologico. Una parte della popolazione mondiale ha migliorato consistentemente le proprie condizioni di vita, e si è creduto a lungo che questo processo fosse inarrestabile, esportabile in tutto il mondo, e che tutti prima o poi ne avrebbero beneficiato. “Dobbiamo lanciare un nuovo programma che sia audace e che metta i vantaggi della nostra avanzata scientifica e del nostro progresso industriale al servizio del miglioramento e della crescita delle regioni sottosviluppate. Più della metà delle persone di questo mondo vivono in condizioni vicine alla miseria. Il loro cibo è insufficiente. Sono vittime delle malattie. La loro vita economica è primitiva e stazionaria. La loro povertà costituisce un handicap e una minaccia, tanto per essi che per le regioni più prospere. Per la prima volta nella storia, l’umanità detiene conoscenze tecniche e pratiche capaci di alleviare la sofferenza di queste persone. (…) Il nostro scopo dovrebbe essere quello di aiutare i popoli liberi del mondo a produrre, attraverso i loro stessi sforzi, più cibo, più vestiti, più materiali di costruzione, più energia meccanica al fine di alleggerire i loro fardelli.3 ” Con questo discorso del presidente Truman, fu ufficialmente inaugurata l’epoca dello sviluppo. Tutti vedevano il sistema tecnologico-industriale come un’esigenza storica, e persino i sistemi socialisti abbracciavano quello che si può definire paradigma della modernizzazione4 . Si cercò di esportare la tecnologia occidentale, la sua tecnica, ed i suoi modelli in tutto il mondo. Ma dopo una ventina d’anni, quella che fu chiamata l’età dell’oro del capitalismo, iniziò a dare i suoi primi cenni di sbandamento. I modelli esportati nei paesi dei Sud del mondo, non davano i risultati programmati e sperati, e le crisi petrolifere dei primi anni settanta con il conseguente abbandono della convertibilità del dollaro in oro e dei tassi di cambio fissi, dettero uno scossone alle economie occidentali. Il problema della crescita economica era stato posto fino ad allora come crescita della capacità dell’economia di far fronte alle richieste di consumo individuali e collettive. Si era cercato di mantenere una buona concorrenza nel settore dell’offerta dei beni privati, e di reperire risorse per registrare e quindi finanziare la domanda di beni collettivi. Ma non ci si era posti il problema se l’espansione di tale consumo fosse possibile in tutti i settori anche semplicemente in linea di principio. 2 Questa parte del saggio prende per buona parte spunto dal lavoro di Fred Hirsch, I limiti sociali allo sviluppo, Bompiani, 1981 3 Truman H.S., Public papers of the presidents of the United States, Year 1949, 5, United States Government Printing Office, pp. 114-115. 4 Esso afferma che: 1- lo sviluppo economico è un processo spontaneo ed irreversibile intrinseco a ciascuna società; 2- lo sviluppo comporta la differenziazione strutturale e la specializzazione funzionale; 3- il processo di sviluppo può essere suddiviso in stadi differenti che mostrano il livello di sviluppo raggiunto da ciascuna società; 4- lo sviluppo può essere stimolato dalla competizione esterna o da una minaccia militare e da misure interne che sostengano i settori moderni e modernizzino quelli tradizionali. 6
  • 7. Eppure, per il processo di crescita e la sua interazione con la distribuzione, è di rilevanza centrale appurare in che misura i beni di consumo o i servizi possano essere riprodotti o rimpiazzati da dei sostituti, appurare cioè la loro elasticità d’offerta e la loro elasticità di sostituzione a lungo termine. I beni ed i servizi dai quali gli individui ricavano soddisfazione sono soggetti a limitazioni assolute nell’offerta che derivano da diverse motivazioni. La prima fonte di scarsità, è la scarsità fisica, tematica molto cara agli ambientalisti. Le materie prime non sono infinite, viviamo in un pianeta finito. Fino ad ora c’è stato un processo di sostituzione sufficiente a bilanciare i freni imposti dalla scarsità dei fattori fisici di produzione, ma non sappiamo se ciò sarà possibile anche in futuro5 . Esistono scarsità fisiche anche dal lato del consumo. La seconda fonte di scarsità di consumo, è la scarsità sociale. La domanda di consumo è concentrata su particolari beni e servizi la cui offerta assoluta è limitata non da fattori fisici ma sociali, compresa la soddisfazione generata dalla scarsità in quanto tale. Limiti sociali esistono nel senso che un aumento della disponibilità fisica di tali beni, quando è possibile, ne determina un deterioramento di qualità, o ne cambiano la natura. Ciò dipende da motivazioni psicologiche di vario tipo, ma anche dal fatto che tale qualità dipende dalla posizione che si assume nella fruizione di tale bene rispetto agli altri. La soddisfazione deriva sia dalle caratteristiche intrinseche del bene, che dall’ampiezza della sua fruizione. Se questa fruizione è ampia si avrà congestione. La congestione non è solamente l’impedimento reciproco dell’accesso a tali beni in termini fisici, come per esempio la congestione del traffico, o l’eccessiva urbanizzazione che impedisce di possedere a tutti una casa nel bosco. Lo stesso fenomeno, il fatto cioè che la soddisfazione individuale ricavata da una particolare attività venga limitata dall’analoga attività degli altri, può verificarsi in un rapporto puramente sociale, come nel caso delle posizioni di leadership, dei titoli di studio, delle occasioni d’impiego, ecc. Non tutti possono avere lo stesso quadro di Manet sopra il letto; abitare in un sobborgo con una villa in mezzo al bosco, ma vicino al centro della città; essere notai, manager, laureati. In conclusione possiamo dire che solo alcune persone, a spese di altre, potranno beneficiare di tali beni. 1.2 La concorrenza posizionale Seguendo questo schema concettuale possiamo dunque dividere l’economia in due comparti: quello dell’economia materiale e quello dell’economia posizionale. Il primo comparto è composto dalla 5 Seguendo il concetto di impronta ecologica, cioè della quantità di territorio produttivo necessario per sostenere il consumo di risorse e la richiesta di assimilazione di rifiuti da parte di una determinata popolazione, il Living Planet Report 2004, http://www.wwf.it/news/21102004_9770.asp, pubblicato da WWF, UNEP, e Global Foot Print Network, afferma che nel 2001 l’intera umanità ha usato 2,2 ettari di terreno a testa mentre l’area disponibile per supportare l’attuale popolazione mondiale è di 1,8 ettari di terreno procapite. Se tutta la popolazione mondiale vivesse con lo standard di vita degli USA sarebbero necessari circa 5 pianeti Terra, e 3,5 pianeti Terra, se vivesse con lo standard di vita dei paesi ad alto reddito. Per ciò che riguarda i cambiamenti climatici è possibile consultare il famoso rapporto del pentagono che definisce i cambiamenti climatici un pericolo maggiore del terrorismo all’indirizzo http://www.greenpeace.org/multimedia/download/1/417492/0/pentagon-on-climate-change.pdf 7
  • 8. produzione di beni e servizi dove un aumento continuo di produttività si suppone sufficiente a contenere le carenze emergenti di materie prime grazie al progresso tecnologico, in un modo tale, da non creare un deterioramento di qualità agli occhi del consumatore. Il secondo comparto è composto dall’economia posizionale, che prende in considerazione quei beni e servizi, quelle posizioni lavorative e quegli altri rapporti sociali che sono scarsi in senso o assoluto o sociale, o soggetti a congestione e affollamento attraverso un uso più intensivo da parte delle persone. Ma cosa accade quando la torta materiale cresce, mentre l’economia posizionale -per sua natura- rimane praticamente fissa? Una volta soddisfatte le necessità di mangiare, vestirsi, e abitare, e soddisfatto l’accesso ad alcuni beni materiali, con l’aumentare del reddito, è molto probabile che gli individui spostino le loro attenzioni verso i beni posizionali, cioè che ne aumenti la loro domanda, e quindi il loro prezzo. Come verranno allocati dunque i beni posizionali con domanda in eccesso? Per evitare che questi beni diluiscano la loro qualità si potrà cercare di restringerne in vario modo l’accesso. Il primo meccanismo è quello che opera attraverso il classico processo di razionamento del prezzo: il deterrente che opera in un’asta. Questo dispositivo non assorbe alcuna risorsa economica e rappresenta semplicemente un trasferimento di diritti sulle risorse. L’asta può anche prevenire un processo di deterioramento di qualità dovuto alla congestione. Gli altri tipi di filtro funzionano attraverso lo sviluppo spontaneo di ostacoli reali che assorbono risorse e implicano quindi un potenziale spreco di risorse che chiameremo spreco sociale. Esso ha due cause: quella della congestione irrisolta che come vedremo crea numerosi problemi; e quella della selezione che opera non diluendo la qualità dell’output, ma aumentando l’input necessario. L’individuo che vuole accedere al servizio scarso deve cioè “investire” una quantità maggiore di risorse per superare la selezione. Per l’economia nel suo complesso, entrambi questi aggiustamenti assorbono risorse reali e comportano un allungamento della catena produttiva, un aumento di output intermedio, uno spreco sociale, che oltre tutto delude anche le aspettative iniziali degli individui. Si allunga la gara per un premio che resta invariato. Sia i processi di affollamento che di selezione, creano una concorrenza che chiameremo posizionale, in quanto gli individui gareggiano per ottenere una posizione più elevata all’interno di una qualche gerarchia, e che quindi frutta guadagni per alcuni solo al prezzo di perdite per altri. Anche le imprese nel cercare quote di mercato sempre più ampie e massimizzazione del profitto, rafforzano la concorrenza. Ma nel caso in cui nonostante gli sforzi non si raggiungerà questo scopo, si potrebbe avere un ulteriore rafforzamento della concorrenza posizionale. Se non sarà possibile un ingrandimento della torta, inizierà un’aspra lotta distributiva delle fette di mercato. È facile in questo caso che si venga a creare un circolo perverso: più ristretta l’area di smercio, maggiore la concorrenza; più serrata la concorrenza, minore l’area di smercio. 8
  • 9. “Ogni paese della Cee, al crescere della disoccupazione «ha cercato di migliorare la sua posizione aumentando la competitività mediante incrementi della produttività». Questi comportamenti hanno però creato ancor maggiore disoccupazione. Si sperava che l’aumento di produttività avrebbe favorito, nel lungo periodo, l’espansione delle esportazioni: «Ma poiché questa strategia è stata seguita da tutti i paesi, il risultato finale è che le posizioni relative sono rimaste immutate, mentre la disoccupazione ha continuato a salire»”6 . Questo tipo di concorrenza può essere paragonato ad una colonna di persone in fila in un corridoio stretto. Tutti stanno cercando di raggiungere un obiettivo, che nel caso degli individui è lo status determinato da una certa combinazione di beni materiali, posizionali, e denaro, e nel caso delle imprese la quota di mercato e la massimizzazione del profitto. Per riuscire a sopravanzare chi ci precede per raggiungere prima di loro il vagone del treno stracolmo in partenza, dovremo camminare più veloci di loro o correre, dando all’occorrenza spintoni e gomitate. Al contrario se decideremo di non correre o di camminare più piano rispetto agli altri dopo una loro accelerata, allora ci vedremo sopravanzare nella colonna, e se difficilmente riusciremo ad arrivare al treno prima che parta, dovremo farci il viaggio in piedi. All’aumentare delle aspirazioni delle persone la colonna andrà sempre più veloce, sarà sempre più faticoso mantenere il passo, sempre più difficile superare, e più costoso rallentare. Esiste sempre in qualsiasi epoca e civiltà una piramide sociale, al cui vertice sta un’oligarchia, può cambiare l’inclinazione delle sue pendici, ma rimarrà sempre una piramide. Così è l’accesso ai beni posizionali per gli individui e le imprese: una lotta del tutti contro tutti per raggiungere questo apice che proprio per la sua natura è accessibile ad una ristretta oligarchia. Nel settore materiale dunque, se si ha una crescita sostenuta, la concorrenza di solito produce benefici netti, cioè a somma positiva, stimolando l’esecuzione efficiente dei compiti e dirigendo lo sforzo individuale agli usi produttivi. Nel settore posizionale la concorrenza migliorerà anche qui sia le prestazioni individuali, sia l’allocazione dello sforzo individuale. Oltre a questo però, la concorrenza nel settore posizionale serve da filtro generale attraverso il quale la domanda eccessiva deve essere resa uguale all’offerta disponibile. Questo aspetto, di solito comporta costi addizionali di risorse, ed è soggetta a diventare un gioco a somma negativa. L’esistenza del settore posizionale nel contesto della crescita del settore materiale può essere quindi considerata come una specie di esternalità di sistema. Per l’individuo un aumento della concorrenza posizionale comporta un deterioramento dell’ambiente sociale. Per arrivare allo stesso risultato bisognerà spendere più fatica individuale e più risorse. La domanda individuale nel settore posizionale è una guida fuorviante rispetto a quello che gli individui richiederebbero se fossero in grado di vedere i risultati delle loro scelte combinate e agire di conseguenza. Sia che si esprima nelle transazioni di mercato, sia che si traduca in domanda politica al governo perché soddisfi i bisogni individuali considerati isolatamente, la domanda individuale di beni posizionali è alla ricerca di qualcosa che è impossibile ottenere. Mentre nel settore materiale la crescita 6 S. Bruno, C. Sardoni, in Maione G., Le merci intelligenti, Mondatori, 2001 9
  • 10. è un buon sostituto della redistribuzione, nel settore posizionale ciò non vale. Anzi, un aumento di ricchezza materiale, innalza la domanda di ricchezza posizionale. Quello che i ricchi possiedono oggi, non è più possibile metterlo a disposizione per tutti domani; eppure, nella misura in cui diventiamo singolarmente più ricchi, è proprio quello che ci aspettiamo. 1.3 Il tempo La competizione però, non sottrae solo risorse alla produzione di beni di consumo e servizi finali nel settore commerciale; essa sottrae risorse anche dal settore non commerciale, dalle attività che restano esterne in tutto o in parte, al mercato, come l’economia domestica e informale, lo spazio delle relazioni, il tempo libero. Tutte queste pratiche hanno un costo in termini di tempo. Nella misura in cui la produzione di beni materiali aumenta, mentre resta costante il tempo a disposizione per utilizzarli, e per sviluppare una vita sociale, il tempo diventa più scarso rispetto ai beni e alla socialità, cresce cioè l’intensità del tempo in termini di beni e socialità, ciò vuol dire che diventando più scarso aumenterà il suo prezzo. L’individuo viene sempre più spinto a economizzare il proprio tempo in modo da poterlo dispiegare per tutta l’estesa gamma del suo consumo. L’aumentata pressione sul tempo porta a sostituire i beni di consumo a maggior intensità di tempo con quelli che ne risparmiano, oppure a modificare alcune abitudini. Ciò si può notare per esempio nell’aumento dei pasti fuori casa per essere più vicini al posto di lavoro, o nella scomparsa dell’abitudine la mattina di farsi radere dal barbiere. Quando l’individuo sente la necessità di aggiustare i sui consumi per economizzare tempo, non è possibile affermare che questi aumenteranno la sua soddisfazione. È possibile invece che servano in pratica, come beni intermedi, che forniscano risorse addizionali nella forma di tempo grazie al quale si può godere di qualche altra forma di consumo. Può darsi così che il consumatore subisca una perdita di soddisfazione per il fatto in sé di radersi da solo, ma è possibile che lo faccia allo scopo di usare il tempo che gli rimane per fare palestra. Il beneficio che ricava usando il suo tempo correndo, dovrà quindi essere valutato a netto della perdita di soddisfazione che gli deriva dal non fare quattro chiacchiere con gli amici dal barbiere. Ciò non avviene nella contabilità nazionale, dove il guadagno risulta esagerato, in quanto si sommano sia le spese che portano via tempo disponibile, sia le altre spese conseguenti fatte per economizzarlo. Più intenso è il modello di consumo, più è grande il numero degli strati di spesa, e quindi maggiore la probabilità che queste spese siano rivolte a risparmiare tempo anziché a oggetti di consumo finale desiderati in quanto tali. La pressione sul tempo, come quella sulla mobilità geografica o sociale, aumenta le attività di consumo che devono essere intraprese come mezzo per altre forme di consumo. L’aumento dei bisogni degli individui creato dalla concorrenza posizionale ha un costo di tempo, rappresentato dai soldi in più che bisogna guadagnare per pagarsi quei bisogni addizionali. 10
  • 11. Per cercare di ovviare a questi ed altri limiti della contabilità nazionale, sono sorti numerosi indici alternativi al PIL. Fra i più interessanti posiamo citare il Measure of Economic Welfare: che parte dalle spese di consumo personali a cui poi sono apportate alcune correzioni per arrivare a una misura totale di consumo che si ritiene l'approssimazione migliore del benessere economico; è incentrato esclusivamente sugli aspetti economici. Il Genuine Progress Indicator: dove gli elementi di benessere economico sono rappresentati dalla spesa privata di consumo, dalla spesa pubblica, dai beni non di mercato, dal tempo libero; gli aspetti di sostenibilità dello sviluppo economico comprendono il consumo delle risorse naturali non rinnovabili, i prestiti netti all'estero e dall'estero, i danni ambientali a lungo termine. L’Index of Living Standards: che prende in esame il consumo reale delle famiglie, il reddito reale delle famiglie, un indice delle infrastrutture abitative, la percentuale di popolazione con educazione secondaria, uno meno il tasso di disoccupazione, la speranza di vita, la ricchezza familiare netta; queste componenti hanno lo stesso peso. L’Indice dello Sviluppo Umano che è composto da tre indicatori: longevità, misurata dalla speranza di vita alla nascita; livello educativo, misurato da una combinazione del tasso di alfabetizzazione degli adulti (peso 2/3) e del tasso di iscrizioni alla scuola secondaria (peso 1/3); standard di vita, misurato dal PIL reale pro capite. L’Index of Social Progress che comprende 46 indicatori economico-sociali, suddivisi in 10 sottoindici, cui vengono attributi diversi pesi: educazione, salute, condizione femminile, difesa nazionale, situazione economica, situazione demografica, caratteristiche geografiche, partecipazione politica, diversità culturale, welfare. La Qualità Regionale dello Sviluppo: il QUARS è composto da indicatori relativi a quattro dimensioni dello sviluppo quali Sviluppo Umano, qualità ambientale, sviluppo sociale, e spesa pubblica. A questo fine vengono usati indici quali: ISU aggiustato, qualità dell’aria, acqua, consumi energetici, rifiuti, trasporti, verde pubblico, edilizia, politiche pubbliche, comportamenti delle imprese, sanità (soddisfazione utenti), strutture e servizi scolastici, pari opportunità, indice di precarietà sul lavoro, protezione sociale. 1.4 L’effetto tempo sulla relazionalità Il tempo addizionale necessario per il consumo, e il reddito addizionale necessario per mantenere la posizione, contribuiscono a spiegare un altro fenomeno al quale di solito non viene data una soluzione economica: il tramonto della socialità. A scanso di equivoci, sarà utile fare una distinzione fra due registri della socialità. Il primo è quello della socialità primaria, in cui si ritiene che le relazioni fra le persone prevalgano o debbano prevalere per importanza sui ruoli funzionali che esse svolgono, è propria della famiglia, dell’amicizia, dei rapporti di buon vicinato, dell’alleanza. Possiamo chiamare questo registro anche relazionalità. 11
  • 12. Nella socialità secondaria invece, è la funzionalità degli attori che ha più importanza della loro personalità. Sul mercato, nella sfera d’azione regolata dallo Stato, come nel campo della scienza, la regola da attuare è quella dell’impersonalità. Possiamo chiamare questo registro semplicemente come socialità. L’ambito relazionale e sociale della vita, assorbe molto tempo, ed è anch’esso soggetto a razionalizzazione da parte degli individui. I rapporti interpersonali per loro natura non sono beni economici privati, in altre parole cioè, i costi ed i benefici delle specifiche azioni non ricadono esclusivamente su coloro che le intraprendono, hanno anche costi e benefici esterni, di cui non terranno conto gli individui tesi a trarre il massimo vantaggio personale da ogni transazione. Le convenzioni sociali che spingono ad agire attraverso il sostegno reciproco in circostanze non definite formalmente, hanno un preciso contenuto economico, in quanto tendono a far assomigliare queste norme sempre più a beni pubblici. Un modo semplice per illustrare l’aspetto economico di queste norme di comportamento può essere quello di analizzare il contesto dell’aiuto reciproco. Supponiamo che in questo tipo di azione ci sia sempre un fine di dare e avere, e che le persone ruotino in queste due posizioni. Se le rotazioni sono frequenti e avvengono tra gli stessi individui, lo scambio avrà sempre di più il connotato di bene privato, anche in assenza di spirito altruistico. Il gesto che si fa oggi sarà molto probabilmente ripagato domani, e questo è sufficiente per innescarlo. Supponiamo che una certa azione sociale mi costi una serie frequente di piccole spese, e che l’azione di contraccambio avvenga raramente, a intervalli non regolari e da persone sconosciute. Poiché la grande maggioranza di queste specifiche transazioni che ciascuno intraprende comporteranno un costo netto, nessuna di queste transazioni avverrà solo sulla base di un vantaggio immediato, ma dovrà reggersi su motivazioni derivanti da convenzioni sociali, etiche, o religiose. “Il buon samaritano corregge un difetto del mercato”7 . Quando il mercato diventa estensivo, coprendo settori sempre più ampi della vita, è necessario un numero sempre maggiore di “buoni samaritani”. Eppure, man mano che cresce il costo soggettivo del tempo, aumenta l’urgenza per una valutazione specifica del vantaggio personale ricavato dalla relazione sociale. Finché il costo del tempo è relativamente basso, perché sono meno numerose le alternative per far uso di tempo libero o perché sono meno numerose le occasioni o le pressioni per uno sforzo lavorativo addizionale, il costo netto di ogni specifica attività che assorbe tempo connessa con la cordialità o con qualche altro rapporto sociale, sarà relativamente basso, può persino darsi che non sia considerato un costo. Dal momento che la maggior parte delle attività di partecipazione sociale è ad alta intensità di tempo, si delinea il forte rischio che l’aumento della pressione su di esso, ne induca una sostituzione con attività private a scarsa o minore intensità. L’incremento della mobilità che ha comunque benefici effetti sull’efficienza allocativa e sulla diffusione di informazioni, contribuisce ad abbreviare la vita utile agli input relazionali. Amplifica il 7 Hirsch F., I limiti sociali allo sviluppo, Bompiani, 1981 12
  • 13. problema, rendendo la relazionalità sempre più un bene pubblico e sempre meno un bene privato. Questa influenza è forte nei casi di mobilità geografica, dovuti per esempio a pendolarismo, o migrazioni continue “inseguendo”un lavoro; oppure nei casi di mobilità sociale, ossia il passaggio da un ceto ad un altro, da un lavoro ad un altro, da un titolo all’altro. Poiché la relazione non si può comprare o vendere, a meno di non comprometterne la sua natura, come avviene per esempio nel caso del sesso “gratuito” o a pagamento, ci troviamo in un caso di economie esterne, e le decisioni individuali porteranno a un livello di socialità subottimale. Per raggiungere l’ottimo è necessaria una quota di cittadini attivi, di brave persone, che non sono facilmente ottenibili con semplici obblighi o restrizioni, ma almeno fin ora, solo attraverso l’espansione di convenzioni sociali inclini al senso civico. L’aumento della pressione esercitata sul tempo dal consumo di beni materiali e dalla concorrenza posizionale, contribuisce a spiegare perché queste convenzioni sociali hanno subito un progressivo logoramento. Si arriva ad una situazione dove nelle economie capitaliste mature, il contatto umano è sempre più ricercato ma sempre meno conseguito. La struttura di mercato infatti, consente in linea di principio il perseguimento di obiettivi diretti in senso altruistico o comunitario finchè questi sono sostenuti da individui e possano essere realizzati dalle loro azioni individuali. Vi è però un obiettivo che il mercato non è in grado di ottimizzare: l’interesse altruistico per il partner della transazione. 1.5 L’effetto deviante della commercializzazione I tre principi del donare, ricevere, ricambiare propri dei rapporti di amicizia, e incentivati dalle convenzioni sociali, vengono quindi sostituiti da rapporti puramente mercantili regolati da un contratto. Sfere sempre maggiori della vita passano dalla socialità primaria a quella secondaria, incentivando così impersonalità, e utilità strumentale. Sempre più beni e servizi passano dall’area dell’economia domestica ed informale, al mercato, spostando l’attenzione della transazione sulla merce piuttosto che sulla relazione, trascurando il contesto sociale di consumo. Si eroderanno le aspettative secondo cui fiducia e obbligazione reciproca saranno disponibili senza simili specificazioni in altri futuri rapporti dello stesso genere. Più cose verranno inserite nei contratti, meno ci si aspetterà senza di essi; più si metterà per iscritto, meno si accetterà, o ci si aspetterà, sulla fiducia. Si espande sempre più la commercializzazione, ossia il processo secondo il quale sempre più fasce della vita quotidiana vengono inglobate nel sistema di mercato. Il mercato però, è inefficiente nell’erogazione di quei beni collettivi per i quali è poco pratica o costosa la limitazione o l’esclusione, e può fallire completamente nell’erogazione collettiva di norme sociali. Corrispondentemente ha la tendenza a produrre in eccesso quelle merci e quei servizi specifici per i quali è efficiente. L’esito è un’attenzione eccessiva alla merce attraverso una sua creazione ed uso 13
  • 14. eccessivi. In ogni caso si fa fronte alla domanda dell’individuo confezionandola secondo le esigenze del mercato, senza preoccuparsi se questa confezione è proprio quella che l’individuo prenderebbe se potesse veramente fare la sua scelta. L’individuo potrà effettuare delle scelte solo parziali, e dovrà accettare come prefissate le condizioni ambientali di consumo. Coloro che sono interessati alla merce, o all’attività pura e semplice, saranno comunque soddisfatti, se per esempio un concerto in piazza da gratuito diventasse a pagamento. E anche coloro che attribuiscono un valore positivo all’esclusione o all’esclusiva, vedranno soddisfatta la loro aspettativa per quanto riguarda l’ambiente sociale, come per esempio quando è necessario sottoscrivere una tessera per far parte di un circolo. Dall’altra parte coloro che preferiscono un contatto sociale incentrato sulla casualità, o rapporti meno specificatamente integrati con forme particolari di consumo, saranno trascurati, come lo saranno coloro che attribuiscono valore positivo al libero accesso, alla non esclusione, o semplicemente coloro che non si potranno permettere un pagamento monetario per quei beni o servizi. La loro sfortuna sta nel fatto che ricavano soddisfazione da caratteristiche ambientali alle quali il mercato non riesce a provvedere. Questo perché le persone che mostrano i primi due gruppi di preferenze, hanno dei gusti che le imprese trovano profittevole soddisfare. Le forze di mercato, per quanto alcuni sostengano siano tecniche e neutre, tenderanno a lavorare sempre più a favore delle merci, dell’esclusione, e della commercializzazione, che nella sua forma più completa assume le forme della privatizzazione. L’estensione della scelta attraverso il mercato ha questo aspetto paradossale: che la diffusione di leggi restrittive e di barriere avviene nel nome della libertà, quando in realtà si privilegia l’efficienza a scapito dell’uguaglianza, e del libero accesso. Il capovolgimento di un’attività dall’ambito di erogazione collettiva a quello di mercato, è un esempio trascurato dell’irrazionalità aggregata che può risultare dal comportamento economico razionale delle singole persone. Per queste varie ragioni quindi, un’estensione del processo di commercializzazione nella nostra economia, sostituendo lo scambio informale con quello monetario, non è in certi settori un mezzo efficiente per soddisfare le preferenze individuali. Rappresenta non quello che tutte le persone vogliono scegliendo tra le alternative possibili, ma quello che il mercato è tecnicamente indotto a provvedere, lasciando insoddisfatte molte domande individuali. La commercializzazione si autoalimenta in un modo che può ritardare anziché far avanzare il benessere della collettività. Il processo di commercializzazione infine, nel suo stadio più avanzato, amplificando l’importanza della merce, alimenta indirettamente l’importanza del denaro. Per essere più precisi, faremo una distinzione fra due termini che solitamente vengono usati come sinonimi: denaro e moneta. La differenza che intercorre fra denaro e moneta, è la sottile differenza che intercorre fra i simboli ed i loro referenti materiali. Mentre il denaro indica come equivalente generale un valore astratto puramente quantitativo, la moneta, conferisce al denaro stesso, una forma tangibile. Per dirla in altri 14
  • 15. termini, il denaro ha un valore di scambio, ma non ha un valore d’uso. Può essere consumato solo scambiandolo, avendo come funzione appunto quella d’intermediario nello scambio. Ancora, si potrebbe dire che il denaro ha una natura ideale, che però esso esprime attraverso caratteristiche di tipo quantitativo piuttosto che qualitativo. L’incessante necessità di denaro, che consegue ai processi di concorrenza posizionale, e di commercializzazione, orienta gli individui verso una sua ricerca sempre maggiore, incentrando sempre più su di esso la loro attenzione. Le merci ed i servizi infatti, per essere ottenuti, hanno bisogno in primo luogo di denaro. Si ha così uno spostamento di attenzione verso il valore di scambio piuttosto che verso il valore d’uso, verso il simbolico piuttosto che il reale. Il denaro diviene così il bene posizionale per eccellenza, ciò che da tutti è desiderato come fine in sé. La finanziarizzazione dell’economia degli ultimi venti anni ha ulteriormente amplificato questa sua importanza. La tecnologia applicata ai nuovi prodotti finanziari ha più o meno decuplicato la quantità potenziale di denaro in circolazione. 15
  • 16. 2. Ortodossia economica, Stato e privato sociale “Forse il difetto più grosso della tradizionale idea di uomo degli economisti è illustrato dall’attenzione che dedichiamo alle sue attività «uomo-cose», piuttosto che alle attività «uomo- uomo». I nostri manuali parlano di gusti concernenti il formaggio, le scarpe, o le automobili, ma raramente del desiderio di avere figli, una compagna, dei subordinati, o dei soci. Altri scienziati sociali, pur senza essere stati capaci di fornire un modello analitico migliore, si son fatti beffe di questa sorta di uomo, consumatore di cose razionale e privo di legami, che interagisce con gli altri solo attraverso scambi di mercato”. Hirschleifer, 1978 2.1 Per un’Economia Civile Dall’analisi appena illustrata sorgono numerosi interrogativi, uno dei quali, esige di sapere se esistono vie per far tornare l’economia alla società. Ma se l’attuale situazione è frutto di una scienza economica imperfetta, allora il primo passo da compiere è proprio quello di affinare e introdurre alcuni concetti, per un suo nuovo corso. L’economa politica si è guadagnata con il passare del tempo un posto sempre più rilevante all’interno delle scienze sociali a causa della sua forte capacità di spiegare il comportamento umano con schemi di ragionamento rigorosi e matematicamente eleganti. L’attore dell’economia classica e neoclassica è l’homo oeconomicus, un uomo che massimizza sempre la propria utilità attraverso analisi costi/benefici razionali. Esso si muove nel mercato, un luogo idealtipico in cui gli individui sono motivati all’azione dal solo interesse proprio. L’unico giudizio di valore che il mercato può esprimere è quello di efficienza, inteso come giudizio di adeguatezza dei mezzi rispetto al fine della massima realizzazione degli interessi di chi vi partecipa. Fin dall’Ottocento si è descritto il mercato come una istituzione capace di conciliare interesse individuale e bene comune. Ha preso così forma il minimalismo proprio della visione dell’homo oeconomicus, e con esso l’atomismo sociale. Si è formata un’idea secondo la quale è possibile studiare il mercato in maniera separata rispetto alla società nella quale si afferma, senza ricordare che ne è una sua parte, e separata dalla storia, senza ricordare che ne è una sua conseguenza. Il mercato è divenuto il luogo in cui non c’è posto per la libera espressione di sentimenti morali e per l’affermazione di un valore di legame da aggiungere ai valori d’uso e di scambio. La visione parziale della natura umana che tale pensiero ha professato ha spinto gli scienziati sociali a scegliere fra l’impostazione olistica e quella individualistica come se non esistesse un’alternativa possibile. Al fondo della teoria economica dominante inoltre, sta una costruzione che attiene alla dimensione pratica, vale a dire dei comportamenti dell’uomo in società, ma non delle motivazioni o delle disposizioni sottostanti le sue scelte. Ciò che sta alla base del 16
  • 17. riduzionismo economico quindi, non è tanto l’assunto di comportamento egoistico - o detto in maniera più elegante, autointeressato - da parte del soggetto economico, e neppure l’utilizzo predominante nel lavoro teorico del paradigma della razionalità strumentale. Piuttosto, il vero fattore limitante sta nell’impiego dell’individualismo assiologico, vale a dire di quella concezione filosofica secondo cui alla base dell’agire economico vi sarebbe un “individuo monade” che non avrebbe altre determinazioni che quelle dell’ homo oeconomicus. L’individualismo assiologico che spesso è stato giustificato come una mera scelta di metodo neutrale, assume in realtà la forma di una infrastruttura filosofica su cui posa l’assunto dell’ homo oeconomicus. Come A. Sen ha dimostrato, ciò che l’agente sceglie, non necessariamente è ciò che preferisce. E questo accade non solo e non tanto a causa dei problemi di informazione asimmetrica o a causa di errori di valutazione o di calcolo, ma perché le scelte sono guidate oltre che dalle preferenze, anche da valori. Tenendo conto di questo, si respinge sia il postulato di non sazietà, l’idea secondo la quale “di più” coincide con “meglio”, sia il postulato di continuità delle preferenze, facendo perdere di significato la nozione di comportamento massimizzante. Sarebbe più utile sostituire alla nozione di individuo quella di persona, e in conseguenza di ciò, di passare dalla prospettiva individualista a quella relazionale. Le persone inoltre instaurano relazioni che non hanno la stessa natura di quelle che si stabiliscono tra uomo e cose. La relazione di utilità è tipica di quest’ultimo tipo; infatti l’utilità è la proprietà della relazione tra un soggetto ed un oggetto: le cose sono utili quando soddisfano le preferenze di un soggetto. Nel momento in cui si tratta l’attenzione o l’interesse all’altro quale argomento di una funzione di utilità, la persona con la quale ci si rapporta viene ridotta a una cosa, ad oggetto. Ma qual è allora il fondamento ultimo della relazionalità? Io credo che sia l’autorealizzazione della persona. “È importante prendere atto di ciò che implica il riconoscimento dell’altro: non solo del suo diritto ad esistere ma anche della necessità che esista perché possa esistere io, in relazione con lui. Riconoscere l’altro come fine in sé e riconoscerlo come mezzo rispetto al fine della propria realizzazione tornano così ad essere unificati. Con il che viene risolto il dualismo riduzionista fra moralità di marca kantiana, che esige che l’altro venga visto come fine in sé e basta e una teoria della razionalità strumentale – quella della rational choice – che invece vede nell’altro il mezzo per il proprio fine. Il bene dell’autorealizzazione è raggiunto quando il riconoscimento reciproco tra persone è assicurato.” Zamagni, 2002 Infine, c’è da dire che tutti i grandi economisti hanno riconosciuto che il mercato genera o induce, tratti desiderabili o indesiderabili nelle persone. Si tratta di prendere atto che i comportamenti antisociali nella sfera economica hanno raggiunto oggi livelli preoccupanti. È necessario perciò comprendere che non c’è una sola via al progresso economico, che esiste una varietà di modelli di mercato, ciascuno in sintonia con una particolare cultura e storia. E dunque che la scelta del modello di mercato è questione altrettanto interessante per la scienza economica di quanto lo è la ricerca delle 17
  • 18. condizioni di efficienza di un dato modello di mercato. Non si dimentichi infatti, che il nostro bene dipende anche dalle istituzioni che riusciamo a darci, e non soltanto dalle nostre capacità di adattamento ad un sistema istituzionale ereditate dal passato. 2.2 Reciprocità e dono “Gli uomini sono capaci di servire una causa non egoistica molto più spesso di quanto si creda (…) lo scopo supremo dell’economista è di scoprire come questo bene che è latente possa essere sviluppato più in fretta e possa essere messo a frutto più saggiamente.” Marshall A. Il trascurare l’ambito relazionale dell’economia, come abbiamo visto porta ad un approccio merceologico della politica, ad un eccessiva commercializzazione, ed a un incremento della concorrenza posizionale. È necessario pertanto, cercare di superare la teoria che professa il fatto che le merci si producano esclusivamente a mezzo di merci, ma che ciò sia possibile anche per mezzo di relazioni sociali che coinvolgono persone dotate di una specifica identità e non solo di interessi utilitaristici. La categoria dell’ individualità relazionale potrebbe essere un riferimento sicuro per consentire di ricomporre l’individualità, con l’interazione con l’altro, e dunque per aprire la prospettiva della coappartenenza di bene individuale e di bene comune. È utile perciò, introdurre il concetto di reciprocità, che ultimamente ha ricevuto notevole attenzione in diversi ambiti come per esempio nei lavori di Kahnemann e Tversky di psicologia economica, quelli di Bewley di economia del lavoro, quelli di Sudgen sulla contribuzione volontaria ai beni pubblici, e quelli di Faer sulla esecutorietà dei contratti. Due sono le nozioni di reciprocità che è possibile rintracciare in letteratura. Una interna alla prospettiva consequenzialista, e fondata sull’avversione al senso di ingiustizia: è l’avversione nei confronti di distribuzioni non eque che stimola una risposta di reciprocità. L’altra, basata sul principio di cortesia percepita, e tiene conto non solamente delle conseguenze dell’azione, ma anche delle intenzioni che ne sono al fondo. La reciprocità può essere attuata all’interno di due dimensioni del rapporto differenti: la prima basata sul dono, la seconda, basata sullo scambio di equivalenti, cioè da un contratto. Nella relazionalità che nasce dal dono, l’incontro con l’altro determina sempre una modificazione dell’io che si trova più ricco per l’incontro avvenuto. Non così invece nella relazionalità che nasce dal contratto, il cui principio regolativi è piuttosto la perfetta simmetria fra ciò che si dà, e ciò che si ottiene in cambio. Il termine interesse letteralmente significa «essere tra»; il che vuol dire che per perseguire un interesse bisogna interagire con l’altro, utilizzandosi reciprocamente perché ne derivino frutti ad entrambi. Il dono non è incompatibile con l’interesse del donante, se questo viene inteso come interesse a stare nella relazione con l’altro. Il dono non è un atto fine a se stesso, ma rappresenta l’inizio di una catena di atti reciproci, come a dire che il dono viene fatto in vista dello stabilimento di 18
  • 19. un legame. Il connotato specifico di dono è dunque, quello di creare reciprocità; la sua forza non sta nell’oggetto o nel quantum donati, cosa che avviene nell’altruismo, ma nella speciale qualità umana che il dono rappresenta per il fatto di essere relazione. È dunque l’esistenza di uno specifico interesse a dar vita alla relazione tra donante e donatario a costituire l’essenza del dono come reciprocità. È in ciò il valore di legame al quale abbiamo appena accennato più sopra. Esso è una terza categoria che va aggiunta al valore d’uso e al valore di scambio. Dilatare l’orizzonte economico includendovi il valore di legame, è una sfida intellettuale perché la relazione fra persone è di per sé un bene che, in quanto tale, genera valore. Il dono come reciprocità è espressione di una scelta libera. È grazie al suo carattere profondamente libero che questo tipo di dono è in grado di intervenire sulla personalità dei soggetti, rendendoli diversi, e soprattutto è capace di essere contagioso. La libertà non è tale se non include il rapporto con l’altro. Non solamente la libertà deve tener conto di quella altrui, come ammette anche il pensiero individualista, ma più profondamente la libertà ha un bisogno costitutivo dell’altro. La recente teoria dei giochi di rete, frutto della fusione della teoria dei giochi evolutivi e dell’analisi dei network sociali, costituisce un promettente strumento di ricerca per modellare il valore di legame. È possibile dire dunque, che il nostro star bene, il bem-vivir8 , dipende in buona parte dal consumo di quella speciale categoria di beni che sono i beni relazionali. È proprio la dimensione interpersonale ciò che viene trascurato dal modello della scelta razionale, un modello che postula un soggetto così completamente preso dal perseguimento razionale della sua utilità da non rendersi conto che per raggiungere tale scopo deve manipolare sistematicamente ed esplicitamente i comportamenti e le scelte degli altri soggetti. Il punto è che all’interno della prospettiva individualista, l’altro è un mero strumento per il conseguimento dei nostri scopi utilitaristici. Ma è un fatto difficilmente discutibile, che la felicità presuppone l’esistenza dell’altro come un fine in sé: bisogna essere almeno in due per essere felici, mentre per massimizzare la propria utilità, si può essere da soli. Perché la razionalità non dovrebbe consistere nel perseguimento di tutti gli obiettivi e valori, che l’uomo che vive in società sceglie di perseguire, anziché limitarsi esclusivamente agli obiettivi autointeressati? In questo modo la teoria della scelta razionale ha finito con l’acquisire un vero e proprio privilegio paradigmatico: ogni altra spiegazione del comportamento dell’agente deve fare i 8 Per bem-vivir si intende “l’esercizio umano di disporre delle mediazioni materiali, politiche, educative e informative non solo per soddisfare eticamente le necessità biologiche e culturali di ciascuno, ma per garantire, sempre eticamente, la realizzazione di tutto ciò che può essere concepito e considerato per una libertà personale che non neghi quella collettiva. Il bem-vivir solidale implica il rispetto del desiderio personale e la promozione della sua realizzazione nella stessa misura in cui rispetta il desiderio collettivo e se ne promuove la realizzazione. Garantite tutte le migliori condizioni materiali, politiche ed educative e le informazioni necessarie per l’esercizio delle libertà umane, bem-vivir significa condividere felicità e allegria con chi vogliamo, nel momento in cui riusciamo a realizzare quel che ci sta a cuore, così come poter condividere sofferenze e tristezze nei momenti di dolore e sventura. (…) Se per vivere bene è necessario disporre di mediazioni materiali che garantiscano la nostra libertà personale, è opportuno considerare che nessuna priorità materiale offrirà il bem-vivir se non sarà, almeno indirettamente orientata alla collaborazione solidale.” Mance E. A. , La rivoluzione delle reti. L’economia solidale per un’altra globalizzazione, EMI, 2003. 19
  • 20. conti con quel punto di partenza. Così ad esempio mentre si è costretti a spiegare perché qualcuno fa un dono, si considera naturale, e dunque non bisognoso di una spiegazione un comportamento autointeressato. Perché ci dobbiamo sentire esonerati dal fornire valide ragioni per non donare, mentre non sarebbe vero il contrario? 2.3 Stato sociale e privato sociale Il ruolo preminente occupato dall’economia politica all’interno delle scienze sociali con il tempo si è trasferito anche all’ambito della politica, basti pensare ad espressioni quali l’Azienda Italia, fino a qualche anno fa improponibili. Ma l’approccio economicistico alla politica trascura sia le condizioni alle quali sono forniti i prodotti finali della democrazia, ossia le politiche che risultano dal processo democratico, sia gli influssi di queste condizioni sul comportamento della gente. Di conseguenza, definisce in modo sbagliato l’obiettivo del processo democratico e trascura un vincolo che aiuta a determinare se il processo funziona ancora. Più propriamente potrebbe quindi essere chiamato un approccio merceologico alla politica. Con l’entrata in crisi del modello dello Stato sociale questo approccio ha favorito l’affermarsi dell’ideologia dello stato minimo, che ha deliberatamente dato inizio ad un suo processo di alleggerimento, che tutt’oggi non è ancora arrivato ad una conclusione. Le fasi di questo processo passano dalla commercializzazione e privatizzazione, alla sempre più libera circolazione delle merci, e dei flussi finanziari e monetari; dalla delegazione di molti poteri alle organizzazioni sovranazionali, settoriali, e regionali, allo smantellamento progressivo dello Stato sociale, e la ricerca di fluidità nel mercato del lavoro. Gli individui, in tutti questi casi hanno visto diminuire senza potersi o volersi opporre, il potere di far valere le proprie opinioni, il potere di contrattazione collettiva, o di punire con il voto questo o quel comportamento. Tutti i vecchi sistemi di protezione sociale quali la famiglia, le convenzioni sociali, i sindacati, i partiti, le associazione dei consumatori, e lo Stato, hanno subito un forte indebolimento. Non esiste più un unico interlocutore al quale imputare tutte le colpe ma una moltitudine, questo, assieme agli altri fattori lasciano l’individuo sempre più solo, e sempre più spinto verso l’egoismo, in una situazione dove il nuovo è ancora in fase embrionale. È a partire da questo contesto che prende sempre più spazio quello che è definito privato sociale, o in maniera meno precisa terzo settore, cioè quel campo organizzativo e istituzionale il cui orientamento di fondo si riconnette a motivazioni di tipo non riconducibili alla semantica utilitarista, e che per nascita e sviluppo organizzativo, non può essere definito semplicemente attraverso modelli residuali rispetto al mercato e allo Stato. L’attenzione per questo settore è in forte ascesa negli ultimi anni, sia per la sua forte espansione, sia perché dal punto di vista teorico in molti vedono in esso un’ alternativa all’olismo e all’individualismo, allo Stato e al mercato. In tutte le sue forme, e per 20
  • 21. motivazioni non necessariamente comuni, il privato sociale convoglia le proprie iniziative in attività a forte concentrazione di relazioni sociali. Le organizzazioni non-profit rappresentano una forma economica distinta dall’economia domestica delle famiglie e dall’economia di capitali. Il privato sociale sposta la propria finalità, dal perseguimento di matrice utilitarista con un utile esclusivamente individuale, alla produzione di beni relazionali collettivi, ovvero una forma caratteristica di beni che non sono né privati, né pubblici, ma che vengono prodotti all’interno di una relazione che privilegia valore d’uso e di legame, piuttosto che quello di scambio. Tali beni relazionali sono l’espressione compiuta dell’inserimento degli individui in un contesto sociale in cui riconoscono legami reciproci ed un comune destino. In questo senso si può parlare di legami di comunità. Ambrosini ha definito quattro forme di radicamento delle iniziative solidaristiche non-profit: a) radicamento situazionale: derivante da dalla condivisione di bisogni o specifiche condizioni; b) radicamento relazionale: fondato su relazioni interpersonali vive, comunitarie e ravvicinate, di tipo amicale, di vicinato, territoriale; c) radicamento culturale: si tratta delle origini ideali, ideologiche, o religiose che stanno alla base dell’organizzazione e che costituiscono la fonte dell’atteggiamento solidaristico e prosociale in genere; d) radicamento organizzativo: sono i rapporti di filiazione e sponsorizzazione che travalicano il legame di tipo ideale e che sono alla base di gemmazioni organizzative. Vedremo come nelle economie senza denaro siano presenti a rotazione o contemporaneamente tutte queste forme di radicamento. Il privato sociale comprende fondazioni, cooperative di servizi, cooperative sociali, volontariato, associazioni di tutela e di mutuo aiuto. In sostanza il privato sociale appare sempre più come un sistema misto, in cui risulta molto evidente l’esistenza di complessi motivazionali dell’agire in cui il dono e la reciprocità rappresentano la motivazione di fondo genetica, ma sicuramente non l’unica presente. Esso combina gli scopi sociali quali senso di comunità, beneficio pubblico, e libertà d’impresa, propri rispettivamente delle comunità, dello Stato, e del mercato. L’introduzione del concetto di comunità, inteso in senso costitutivo, consente di introdurre all’interno delle varie forme di radicamento sociale, un’altra categoria utile per tematizzare variabili di tipo socioculturale, che si rivelano indispensabili nell’analisi dell’esistenza di moventi di tipo non egoistico nel privato sociale. È questa la strada per comprendere come e perché comportamenti non autointeressati persistono e si sviluppano, o al contrario, decrescono fino a liquefarsi all’interno di ambiti motivazionali più interessati da logiche di razionalità strumentale. 21
  • 22. 2.4 Il capitale sociale Narayan (1999) definisce il capitale sociale9 quell’insieme di «norme e relazioni sociali, incorporate nelle strutture sociali di una determinata società, che consentono il coordinamento delle azioni individuali per raggiungere gli obiettivi desiderati». Ciò che distingue il capitale sociale dalle nozioni di capitale fisico e capitale umano, consiste nell’essere incorporato nella struttura delle relazioni sociali, anziché in beni fisici o in singoli individui. L’uso del termine capitale, appare legittimo quando si consideri la sua natura di risorsa accumulabile e il fatto che la sua accumulazione richiede un investimento relazionale, misurabile in termini di comportamenti non autointeressati. Diversi autori hanno dato molteplici definizioni di questo termine, e oggi possiamo dire che capitale sociale, è più il nome di un intero filone di ricerca che di un concetto univoco. Tuttavia tutte le sue definizioni possono essere raggruppate attorno a due nuclei fondamentali: alcuni lo identificano con il livello di fiducia e di effettività delle norme civiche all’interno di una società, altre si concentrano piuttosto sul livello di partecipazione in organizzazioni orizzontali volontarie. È facile notare come entrambi gli aspetti abbiano in comune il fatto di essere il prodotto di un’attività di partecipazione sociale. La fiducia riveste un ruolo importante nella determinazione del capitale sociale, la sua importanza risiede nella caratteristica di facilitare il coordinamento delle azioni di più soggetti in un piano ordinato; dato che le opportunità migliori in genere, possono essere colte solo attraverso azioni congiunte, e dato che nella maggior parte dei casi tali azioni sono soggette al rischio di opportunismo, la presenza di fiducia tra i soggetti riduce tale rischio e facilita l’ottenere esiti Pareto-superiori. A tal proposito basti pensare al dilemma del prigioniero. La fiducia comunque, non è esclusivamente quella interpersonale, ma vi è anche un suo aspetto legato al buon funzionamento delle istituzioni statali e di mercato: si pensi al ruolo giocato da un buon sistema di amministrazione della giustizia, nonché alla percezione del sistema fiscale come equo e adeguato rispetto alle prestazioni sociali erogate in cambio, nel determinare la propensione a seguire le norme di cooperazione civica e nello stabilire condizioni di possibilità per lo sviluppo di una fiducia interpersonale generalizzata. In sintesi quello di capitale sociale, è un concetto che mette in luce come la capacità di produrre ricchezza e di generare efficienza è spesso dovuta almeno in parte a fattori che non rientrano nella 9 Bowles e Gintis affermano che le motivazioni esterne del successo del termine capitale sociale siano riconducibili al fatto che « molti sono giunti alla conclusione che i fallimenti del mercato sono la regola piuttosto che l’eccezione e che i governi non sono né sufficientemente informati né sufficientemente affidabili per correggere tutti i fallimenti di mercato. Il capitale sociale ha conquistato la scena non per i propri meriti, ma per i difetti delle sue alternative. Quelli di sinistra sono attratti dall’idea del capitale sociale perché afferma l’importanza della fiducia, della generosità e dell’azione collettiva per risolvere i problemi sociali, contrastando così l’idea che diritti di proprietà ben definiti e mercati concorrenziali possano coordinare in maniera talmente efficace le motivazioni individualistiche verso fini pubblici da rendere superflua la virtù civica. I sostenitori del laissez faire ne sono incantati perché presenta la promessa che laddove i mercati falliscono – ad esempio nella fornitura di beni pubblici locali e in vari tipi di assicurazione – possono intervenire a risolvere il problema il vicinato, le associazioni di genitori e insegnanti, le bocciofile, insomma qualsiasi cosa che non sia il governo». 22
  • 23. contabilità di mercato. Fattori quali la fiducia, il senso civico, il know how accumulato, la creatività, il livello di formazione, ma anche la dotazione infrastrutturale, il capitale umano, le tradizioni culturali, l’organizzazione familiare, i patrimoni valoriali sono tutti fattori che possono concorrere a valorizzare un’area economica e a farle raggiungere determinati risultati. Una prospettiva eccessivamente miope che valuti la situazione solo seguendo le valutazioni quantitative messe a disposizione dal sistema dei prezzi finisce come abbiamo visto, con l’impoverire questo capitale sociale provocando dei costi complessivi anche di ordine direttamente economico. Da un certo punto di vista, è possibile dire che la maggior parte delle forme di capitale sociale è accumulata attraverso attività di partecipazione sociale ed interpersonale, che comportano la rinuncia allo sfruttamento di possibilità di guadagno opportunistiche. La stessa attività di partecipazione sociale genera allo stesso tempo accumulazione di capitale sociale e consumo di beni relazionali. È una caratteristica tipica delle forme non materiali di capitale, che consumo ed investimento non siano obbligatoriamente antitetici. Abbiamo argomentato che nelle società a capitalismo maturo, i beni relazionali giocano un ruolo cruciale per la determinazione del benessere individuale e collettivo. Fattore chiave per la produzione di beni relazionali è il livello di partecipazione sociale, il quale genera effetti esterni positivi tanto immediati quanto cumulativi, in quanto è fra le maggiori determinanti del capitale sociale. Il capitale sociale è un fattore importante sia per la crescita di lungo periodo, sia per la proficuità del tempo speso in attività relazionali. Come abbiamo visto precedentemente, nelle società a capitalismo maturo si ha una pressione per la riduzione della partecipazione sociale, e dunque, del capitale sociale. Ciò può comportare effetti esterni negativi immediati e pregiudicare la crescita di lungo periodo. 23
  • 24. 3. Sistemi di scambio non monetari, economie senza denaro “Devo riconoscere che tra l’economia e l’etica non traccio alcuna frontiera precisa, se ancora ne faccio distinzione. Il regime economico che va contro il progresso morale di un individuo o di una nazione non può essere che immorale e, di conseguenza peccaminoso. Così come ogni sistema economico che permette di gettarsi su di un altro paese per farne la propria preda. Lo scopo da raggiungere è di promuovere la felicità dell’uomo, facendolo arrivare a una completa maturità mentale e morale (impiego qui l’aggettivo “morale” come sinonimo di spirituale). Per pervenire a questo fine, ci deve essere decentralizzazione. Perché la centralizzazione è un sistema incompatibile con una struttura sociale non violenta.” M. K. Gandhi Ci occuperemo ora di quelli che generalmente vengono chiamati sistemi di scambio non monetari; essi cercano di rispondere ad alcune delle problematiche evidenziate finora. Vedremo che oltre ad avere in comune una forte percezione della necessità di relazione, e la ricerca di beni e servizi altrimenti non ottenibili, attraverso famiglia, Stato e mercato, hanno forme organizzative e finalità simili. I sistemi di scambio non monetari hanno sempre infatti un territorio o una comunità di riferimento non troppo grande. Gli scambi avvengono all’interno di un gruppo spontaneo, di un’associazione, del vicinato, del territorio, della municipalità, attraverso rapporti di reciprocità, e il triplice obbligo di donare ricevere e ricambiare. I partecipanti possono offrire o chiedere servizi e beni di ogni tipo, in cambio di un accredito o di un addebito in un proprio conto corrente a partita doppia; la transazione avviene attraverso l’informativa, il mezzo con cui si dichiara l’avvenuto trasferimento, e/o monete complementari, un’unità di scambio valida solo all’interno del sistema, che si affianca alla valuta ufficiale, e che in alcuni casi le è rapportata. Palmese e Sereni definiscono i sistemi di scambio non monetari come un «meccanismo auto organizzato attraverso il quale qualsiasi aderente può ottenere beni e/o servizi che può autoprodurre, nel senso più esteso che questo termine può avere». In base a tali principi chi offre qualcosa, prima o poi ne riceverà un equivalente dal sistema, di volta in volta rappresentato da uno dei suoi membri. Perciò chi riceve ciò di cui aveva necessità, successivamente, è chiamato a restituire ad un terzo estraneo allo scambio originario, creando un circolo di reciprocità indiretta, o se si preferisce, un sistema di indebitamento multilaterale. Per facilitare gli scambi, vengono stilati a scadenze regolari liste e bollettini dei beni e servizi domandati ed offerti, in modo da far conoscere anche il saldo dei crediti e debiti di ognuno. Come accennato precedentemente, i vari sistemi, per regolare tali scambi, hanno una propria moneta complementare più o meno rapportata alla moneta ufficiale, oppure usano come unità di conto il tempo. La specificità dell’unità di misura delle transazioni, sta nel suo carattere socializzante e solidaristico assente nel denaro, ed il procedere 24
  • 25. attraverso continui e reciproci indebitamenti, presuppone e coadiuva, la crescita della fiducia reciproca tra non affini. Ciò in cui differiscono i vari sistemi, è sul come stabilire un “giusto rapporto di scambio”, ma anche sulle finalità principali: si va dalla ricerca di occupazione, alla sconfitta della povertà, la ricerca di rapporti di buon vicinato, i servizi alla persona, la lotta contro il neoliberismo, il contrasto all’inflazione, l’integrazione sociale, lo scambio di conoscenza, e molti altri. Le economie senza denaro non cercano e non vogliono sostituirsi al mercato, né attraverso una sua soppressione, né attraverso il rinchiudersi in gruppi chiusi, isolati, settari, e autoreferenziali. Vogliono soltanto affiancarsi, compenetrarsi, arricchirsi a vicenda con le istituzioni statali e di mercato, per rispondere a necessità di credito, di beni, servizi, socialità, saperi, autostima. I sistemi di reciprocità indiretta ricercano il bem-vivir, educano alla cittadinanza attiva e responsabile, all’interesse per la propria comunità di appartenenza, professano un ritorno del denaro al servizio dell’uomo e non più un uomo al servizio del denaro. Riplasmano il significato di consumo, di scambio, danno valore all’economia domestica, informale e di autoproduzione, danno una nuova dimensione al problema della sicurezza. Procederemo adesso con l’analisi più approfondita di alcuni dei sistemi che hanno avuto maggior successo e che hanno caratteristiche particolari rispetto agli altri. Per motivi di spazio non potremo dilungarci troppo nella loro analisi, e dovremo saltare a piè pari la descrizione di numerosissimi sistemi, in particolare di quelli presenti massicciamente e con caratteristiche simili nel Sud del mondo10 . Fra questi le esperienze di maggior successo sono il Système d’Echanges Communitaires Senegalese, l’Interser Venezuelano, Red Global del Trueque Argentino. Quest’ultimo in particolare ha svolto una funzione veramente importante durante le crisi economiche e finanziarie di questo paese negli anni ‘90, coinvolgendo molte decine di migliaia di persone, associazioni, aziende e municipalità. 3.1 Local Excange Trading Sistem Dalle idee e vari progetti di David Weston, studioso di economia e sociologia, nasce una delle prime esperienze organiche di sistemi di scambio non monetari: i Local Excange Trading Sistem, organizzazioni diffuse soprattutto nel mondo anglosassone, che oggi sono circa 400 e coinvolgono oltre 40.000 persone. Diffuse dagli U.S.A. alla Nuova Zelanda, sono nate una ventina di anni fa in nel Regno Unito, e sono state lo spunto dal quale hanno preso forma molti dei sistemi di reciprocità indiretta. Il principio secondo il quale funzionano è semplice: si apre un conto per ogni aderente al sistema; oggetto degli scambi sono beni, servizi, e saperi. Tramite un supporto informatico si 10 Fra di essi citiamo: Time dollar, Green dollar, Toronto dollar, Rete di Economia Locale, Tianguis Tlaloc, Yogyakarta System, Rumihuaico, Toctiuco, Thay Gerh, Flash Cash, Ndajem-Wecco, Salta Creditos. 25
  • 26. contabilizzano tutti gli scambi del sistema in prestazioni orarie oppure tramite una moneta locale complementare a quella di corso legale. All’avvio ognuno ha un saldo nullo sul proprio conto. Ogni membro comunica cosa offre e cosa intende ricevere, dopodiché queste informazioni vengono inserite in apposite liste. La contabilizzazione avviene attraverso l’emissione di assegni; l’unità di misura è una moneta interna chiamata con un nome di fantasia, oppure, è il tempo. L’unità locale è frequentemente allineata alla sterlina e ciò permette di avere trasferimenti anche fra LETS diversi. Beni e servizi sono valutati in base al tempo di produzione (un’ora di baby sitter equivale ad un’ora di consulenza dal commercialista) o al valore d’uso. Consenso e fiducia sono indispensabili sia per le transazioni che per la sopravvivenza del gruppo, infatti non c’è un controllo interno, ed ognuno è responsabile di quello che fa. In alcuni casi esiste solo un disincentivo al potenziale sfruttamento del sistema chiamato limite di fiducia al saldo negativo che limita le possibilità di richiedere beni e servizi fintantoché lo squilibrio fra debiti e crediti è troppo elevato. Gli obiettivi dei LETS sono soprattutto economici e solidaristici, e cercano di andare incontro alle esigenze di chi ne ha più bisogno, come anziani, disoccupati, migranti, lottando l’esclusione economica e sociale. In tal senso va ricordata l’esperienza della Beckford Community LETS, che ha costituito un gruppo LETS fra gli utenti del centro di salute mentale dell’ospedale locale. In seguito ai notevoli miglioramenti delle persone in cura, è iniziato un progetto di collaborazione da parte delle istituzioni per la creazione di altri gruppi LETS a scopi sanitari. 3.2 Système d’Echange Local I SEL sono sistemi di scambio non monetario presenti nel mondo francofono, e derivano dalle esperienze dei LETS inglesi. Il primo SEL è nato nel 1994 nell’Ariège, in Francia, cercando di ricreare solidarietà attraverso unità locali che permettessero alle persone della stessa provincia di incontrarsi, di donare, ricevere e ricambiare. I SEL mettono in gioco una forma di scambio simile al dono, con caratteristiche amicali più pronunciate rispetto ai LETS. Il modello francofono si colloca tra dono e merce, e si contabilizzano i valori d’uso, ma esso è pensato soprattutto per essere un sistema di educazione alla solidarietà tra amici. Il sistema anglosassone e francofono, dunque sono simili per il fatto che spingono persone non affini ad incontrarsi, il primo con lo scopo prevalente di valorizzare l’economia locale e rispondere a necessità soprattutto in ambito economico, il secondo con lo scopo prevalente dell’educazione e della convivialità attraverso il triplice obbligo di donare ricevere e ricambiare. Con l’entrata nella comunità si acquisiscono una serie di diritti e doveri per i quali ognuno diventa responsabile per sé e per gli altri. Di qui l’importanza dell’onestà e della fiducia. Ogni membro detiene un conto corrente nel quale alla sua apertura, viene accreditata una somma nella moneta locale, in modo tale che l’associato possa già acquistare un prodotto o sollecitare un servizio senza disporre 26
  • 27. del denaro necessario. Questa forma di credito è senza interessi, e obbliga moralmente l’utente a rimborsare il proprio debito, non necessariamente alla persona con la quale ci si è indebitati, ma mettendo a disposizione di tutti le proprie capacità. 3.3 Banca Del Tempo Le Banche del Tempo possono essere considerate una rete di solidarietà fondata sullo scambio alla pari di prestazioni e servizi capaci di soddisfare bisogni legati alla vita quotidiana. Diffuse in Italia, Spagna e Svizzera, sono un modo per potenziare la rete di reciproco aiuto tipica dei rapporti di buon vicinato. La prima Banca del tempo nasce nel 1995 da un gruppo di donne del Comune di Santarcangelo di Romagna (RN), e oggi in Italia sono più di 36. Le esperienze italiane si sono sviluppate in maniera autonoma, rispetto a quelle dei LETS, dei SEL o di altri sistemi. Aderendo si possono ottenere servizi, beni, e saperi che permettono di soddisfare piccole necessità quotidiane e al contempo permettono di potenziare le reti di relazioni. Le Banche del tempo si basano sulla reciprocità: si dà per ricevere, si chiede tempo per restituirlo; ogni trasferimento accende debiti e crediti di tempo nei confronti di tutti gli altri, ed il proprio conto corrente deve sempre tendere ad avere un saldo pari a zero. Il tempo è l’unità di misura: il valore del servizio è determinato dal tempo impiegato nella sua prestazione. Tutte le attività sono valutate in tempo e non circola denaro se non quello per la copertura delle spese vive. I soggetti più propensi all’adesione sono organizzazioni sindacali o di volontariato, anziani, e donne, quei soggetti che hanno un’abbondanza relativa di tempo libero, per questo permettono l’uso sociale del territorio, contribuendo a ridefinire il termini del problema sicurezza. Le Banche del tempo hanno avuto un buon successo, al punto che sono nati numerosi incentivi e facilitazioni da parte dei Comuni per il loro sviluppo e patrocinio; nell’ 8 marzo 2000 sono state regolate con la legge n° 53, art. 27. 3.4 Robust Complementary Community Currency System Il ROCS è un sistema sviluppatosi nel Regno Unito che combina molte delle caratteristiche di molti sistemi di scambio non monetari. L’unità di conto è l’ora che viene rapportata alla valuta nazionale in modo da facilitare le operazioni. I partecipanti possono negoziare fra di loro ad ogni scambio il rapporto in tempo per i servizi che stanno svolgendo in base all’impegno che richiedono. È progettato per resistere a pressioni esterne come eventuali crisi della propria valuta nazionale, e cerca di combattere queste pressioni e le eventuali diseconomie interne, attraverso la contrattazione collettiva all’interno del gruppo, della quantità di moneta locale da immettere in circolazione. Sostanzialmente i componenti dell’organizzazioni decidono insieme attraverso discussioni e scambi di opinioni, le operazioni che di solito compiono le Banche centrali attraverso leggi economiche e convenienze 27
  • 28. politiche. Un compito certamente non facile viene dunque imputato alla collettività e alla contrattazione. Ciò implica l’incremento del sentire comune e della necessità di confronto fra i membri. Il politico ed il sociale si impadroniscono dell’economico. 3.5 Sistema di Reciprocità Indiretta Questo sistema nasce a Martano, in provincia di Lecce nel 1997. L’intenzione era quella di creare le condizioni per far sbocciare dei «gruppi di adesione nell’immaginario tipico dell’amicizia», base necessaria per la costruzione di una rileanza11 nel rispetto delle diversità. Lo SRI inizialmente aveva un funzionamento molto simile a quello di un LETS o di un SEL, ma successivamente si sono avuti notevoli cambiamenti. Il valore del trasferimento da registrare in contabilità esprime un valore di riconoscenza, che è la somma di due valori di base; uno soggettivo, ed un altro oggettivo. L’unità che misura la parte oggettiva è il tempo, inteso come tempo necessario per effettuare il trasferimento, ed è misurato in ore-di-vita, e sue frazioni. L’unità che misura la parte soggettiva è una moneta complementare chiamata Misthòs che si riferisce al valore emozionale del trasferimento, il valore di riconoscenza, cioè il «grado di libertà del gesto di donazione così come compreso dal ricevente». Il Misthòs è anche l’unità di conto dello SRI, un’ora corrisponde a dieci Misthòs. I trasferimenti fra gli aderenti hanno lo statuto di dono, quindi se uno di essi decide di abbandonare lo SRI senza azzerare il suo conto, tutti gli altri assorbono il suo saldo, positivo o negativo che sia, tramite un conto di passaggio. Per dirimere eventuali controversie è prevista la figura di un mediatore. 3.6 Réseaux d’ Échange Réciproque des Savoirs Le Reti di Scambio Reciproco dei Saperi nascono dall’intuizione di Claire Hebert Suffrin, maestra con il pallino della valorizzazione dei talenti degli allievi appartenenti ai ceti più bassi, cronicamente affetti da disistima. L’esperienza è diffusa in Francia, Svizzera, Belgio, Spagna e Olanda. Le RERS di basano su quattro postulati. 1- ognuno conosce qualcosa; 2- ognuno può imparare a trasmettere le proprie conoscenze; 3- trasmettere il proprio sapere valorizza; 4- trasmettere il proprio sapere permette di riscoprire in sé la capacità di imparare. La trasmissione dei saperi avviene sulla base della reciprocità aperta: ogni offerta presuppone una domanda e ogni domanda è accompagnata da un’offerta. Si trasmettono solo saperi, è esclusa qualsiasi transazione in denaro. I RERS operano in diversi ambiti, quali l’accoglienza di nuovi abitanti, la formazione, l’inserimento di categorie a rischio come donne sole, sfrattati, disoccupati, la riuscita scolastica, il riconoscimento delle differenze, e 11 Con questo termine si intende «una rottura dell’isolamento; ricerca di legami funzionali, sostituto dei legami primari; comunione umana». 28
  • 29. occupandosi di persone disabili e con difficoltà di vario genere. Non esiste alcuna moneta interna, esiste solo la reciprocità, ovvero l’impegno a trasmettere e ricevere formazione con altri aderenti al gruppo. Ai RERS è stato riconosciuto un ruolo solidale, e per questo godono ed hanno goduto di finanziamenti pubblici. 3.7 Sistema Wir Il circolo economico Wir, organizzato sotto la forma di cooperativa, è stato fondato negli anni trenta in Svizzera, durante la grande depressione, per cercare di rimediare alla insufficiente disponibilità di denaro e all’alterazione della circolazione monetaria dovuta alla tesaurizzazione. La complementarità del Wir poggia sul criterio del mezzo di pagamento libero da interessi, e nell’applicazione di tasse sul denaro inattivo. I suoi fondatori si ispirarono alla teoria economica del demourrage sviluppata dall’economista Silvio Gesell. Egli sosteneva che la moneta è un bene pubblico e che per fruirne si dovrebbe pagare una piccola tassa. In altre parole, essa dovrebbe avere un tasso di degradazione, come effettivamente hanno tutti gli altri beni, cioè un interesse negativo, comparabile alla degradazione media delle merci. Ciò determinerebbe una attività economica molto più veloce, e le persone userebbero la moneta solo come mezzo di scambio non come riserva di valore12 . Si pensò di superare la crisi creando un sistema di scambio ad anello (Wirtschaftring), dove gli aderenti versavano contanti su di un conto e, dopo essere stati accreditati di un bonus del 5%, potevano fare acquisti con i Wir. Soprattutto il credito in Wir senza interessi aumentò il potere d’acquisto extra e stimolò la circolazione di beni. L’organizzazione Wir crebbe in maniera impressionante, e tutt’oggi gode di ottima salute. Cessata l’emergenza, l’organismo Wir ha rapidamente abbandonato gli obiettivi di riforma monetaria, e continua a funzionare come una banca di credito cooperativo. Il suo sistema di compensazione continua a funzionare quale traffico di pagamento senza contanti tra i clienti, ma ha assunto prevalentemente la dimensione di marketing, anche se è rimasto inalterato il principio originario dell’auto-aiuto. La maggioranza dei membri oggi usa i Wir e il franco svizzero in parallelo, tramite un allineamento diretto (1 Wir = 1 franco svizzero). Questa relazione permette spesso di poter aumentare il fatturato in franchi svizzeri aumentando il fatturato in Wir. 3.8 Tauschring I Tauschring sono sistemi di scambio non monetario diffusi nell’Europa centrale, in cui è molto forte la componente solidaristica. Il primo Tauschring è stato creato nel 1992 i suoi promotori si sono ispirati ad un sistema cooperativo del sud della Germania. Si tratta di un sistema di pensioni 12 Gesell S., The natural economic order, Berlino, 1929. Il testo è praticamente introvabile, comunque scaricabile all’indirizzo http://www.utopie.it/economie_senza_denaro/gesell.htm. 29
  • 30. alternative dove alcune associazioni propongono l’organizzazione dei servizi per le persone anziane, in questo modo è possibile accumulare punti che potranno anche essere trasferiti ad altri. A livello teorico sono attraversati da due correnti. Una è quella più propriamente economica, che si basa sulle teorie di Gesell, l’altra ha una connotazione più sociale ed è diretta alla ricerca di legami sociali. In Germani ci sono circa 220 Tauschring. Il più grande è a Monaco e conta più di 1.300 membri. I trasferimenti hanno come unità di misura il tempo; un’ora di prestazione corrisponde a venti Kreuz, la moneta locale. I Taususchring si stanno aprendo sempre più ad imprese, municipalità, organizzazioni non-profit, e anche se per le imprese è difficile rapportarsi con il tempo piuttosto che con il denaro, è capitato che molte nuove imprese con carenza di liquidità, sono potute entrare nel mercato, grazie all’appartenenza al Tauschring, che praticamente ha fornito prestiti contabilizzati in tempo e Kreuz, piuttosto che in valuta a corso legale. I Tauschring non puntano a sostituire i servizi sociali, ma cercano di aumentare la loro dimensione umana, conviviale e partecipativa. Non esiste un coordinamento gerarchico, il tutto è affidato alla responsabilità e all’impegno di ogni partecipante incentivando la creazione di fiducia. 3.9 Ithaca Hours Le Ithaca hours sono nate nel 1991 a Ithaca, New York. Queste banconote complementari sono applicate in almeno 39 comunità locali negli U.S.A., e permettono di pagare beni e servizi nel raggio di 50 miglia intorno a Ithaca. Una Ithaca hour in termini di potere d’acquisto vale dieci dollari e i commercianti possono accettare questa moneta nella misura in cui a loro volta riescono a coprire le loro spese in hours per pagare i fornitori locali. Secondo Lietar13 il sistema ha emesso l’equivalente di oltre 630.000 dollari e la moneta è passata di mano a oltre 1.300 persone. Le Ithaca hours rimangono nella regione per pagare il lavoro locale, rafforzare gli scambi comunitari ed espandere un commercio maggiormente attento all’ecologia e alla giustizia sociale della comunità. Le banconote sono accettate da idraulici, falegnami, elettricisti, bambinaie, infermieri, meccanici, ecc. La cooperativa di credito le accetta per le ipoteche e per gli interessi sui prestiti. La gente paga l’affitto con le hours e molti ristoranti e cinema di New York le accettano. 3.10 Hureai Kippu Nel 1993 il ministro della giustizia giapponese Hotta lasciò il proprio incarico e fondò l’Istituto per il welfare umano, un’organizzazione non-profit che con l’aiuto dello Stato istituì una nuova moneta: l’Hureai kippu. La nuova moneta è stata introdotta fondamentalmente per affrontare il problema dell’invecchiamento della popolazione, che necessita assistenza quotidiana. Il sistema praticamente 13 Lietar B., The future of money: a new way to wealth, works and a wiser world, Random Century, Londra, 2000 30
  • 31. consiste nell’affittare qualcuno perché svolga alcune attività. Per esempio un anziano che ha bisogno di assistenza a domicilio affitta qualcuno che gli faccia la spesa, gli prepari da mangiare, gli faccia il bagno, ecc. l’unità di conto è l’ora di servizio: una persona che presta questo servizio riceve un credito di Hureai kippu, che può mettere in un conto di risparmio di tempo sanitario, da cui può attingere quando riterrà di averne bisogno, per esempio in caso di malattia, o per quando sarà in pensione. Queste ore di assistenza sanitaria vanno ad integrare il normale programma di assistenza sanitaria, finanziato in yen. È possibile anche cedere a terzi i propri crediti sanitari, e ciò avviene soprattutto fra genitori e figli, e fra congiunti lontani. 3.11 Hero Dollars Gli Hero dollars sono stati ideati dall’imprenditore di Minneapolis Joel Hodroff nel 1997. Tutto è cominciato con una semplice carta di credito la Community hero card che ha creato un circuito che assicura particolari vantaggi agli aderenti. Parte delle spese effettuate con esso vengono indirizzate verso gli esercizi commerciali e le aziende che partecipano al progetto aumentando i profitti, il numero dei clienti, e l’immagine. Un’altra parte della spesa effettuata con essa viene donata ad organizzazioni non-profit che vedono aumentare i volontari e le donazioni. Se il possessore della carta è un volontario presso un’organizzazione non-profit che fa parte del sistema, può decidere se devolvere un’ulteriore parte ad una delle organizzazioni partecipanti o rimpinguare il proprio conto in Hero dollars che potrà poi spendere negli esercizi o aziende partecipanti. Nel sistema ci sono due tipi di monete in circolazione: i dollari tradizionali e i Community service dollars, la parità è fissata uno a uno. Un’ora di servizi presso una delle organizzazioni partecipanti al progetto vale 10 Hero dollars. Il circuito è a due livelli integrati fa loro: un livello business, di solito rivolto al profitto, ed un secondo livello comunitario a rete, dove eventuali utili rappresentano una ricchezza sociale. Il processo di creazione degli Hero dollars inizia a livello di business ma ad emetterli sono le organizzazioni non- profit. Questo sistema sta avendo un forte sostegno dalla comunità d’affari, dai sindacati, e dalla cittadinanza in generale. Si stima che entro la fine dell’anno le Community hero card siano oltre le 40.000. 3.12 EcoAspromonte Gli Ecoaspromonte sono banconote che a partire dal gennaio 2004 sono state stampata dalla Zecca dello stato per conto dell’Ente parco del Parco nazionale dell’Aspromonte. Sono diffusi nei numerosi comuni che si trovano sia al suo interno, che nei pressi dei confini. Le banconote hanno una scadenza di un anno in modo da scoraggiare la loro accumulazione. Gli Ecoaspromonte hanno un valore estetico 31
  • 32. che gli permettono di essere visti dai turisti come gadget, inoltre, con questa banconota, vengono incentivati acquisti di beni e servizi del turismo responsabile ed ecocompatibile, dei prodotti tipici del parco nazionale, del risparmio energetico e dell’energia rinnovabile. Con questa esperienza si tende a rafforzare, in positivo, l’identità locale e quella del Parco. L’Ecoaspromonte punta ad assumere, nel medio-lungo periodo, una funzione sociale per rivitalizzare l’economia locale, rafforzare le attività ecocompatibili, in una zona da sempre marginale, marginalizzata, e nelle mani della criminalità organizzata. Conclusioni Inizialmente abbiamo evidenziato alcuni fenomeni che usualmente vengono classificati come esternalità del processo produttivo. Ci siamo posti il problema di vedere se essi avessero delle cause o delle concause nella natura stessa della scienza economica. Abbiamo dunque cercato di inserire una nuova dimensione, quella relazionale, all’interno della teoria economica, e abbiamo introdotto concetti quali: beni relazionali, individualità relazionale, valore di legame, reciprocità, dono, fiducia, capitale sociale, privato sociale. Quello che poi abbiamo fatto è stato analizzare alcune realtà, per vedere se effettivamente, le categorie analitiche introdotte avessero un significato concreto e visibile. Abbiamo visto che queste realtà sono molto diverse le une dalle altre, ma che hanno in comune un certo nucleo di elementi. In primo luogo mettono in risalto la relazione, la convivialità, l’incontro, principalmente tra persone non affini. Stabiliscono la creazione dell’alleanza tra di esse, attraverso la realizzazione di una rete costituita da indebitamenti reciproci. Essa si forma sugli obblighi di donare, ricevere e restituire, che stimolano l’aumento della fiducia reciproca. Questa fiducia è elemento costitutivo del capitale sociale, che come abbiamo visto è necessario per garantire il benessere e la crescita economica di lungo periodo. Tutto questo avviene per mezzo del denaro, inteso come mezzo di scambio e unità di conto, ma non come riserva di valore; in questo modo si privilegia il valore d’uso, disincentivando un consumo fine a se stesso, e la tesaurizzazione. Inserendo queste caratteristiche del denaro all’interno di un contesto di relazione, si dà importanza al valore di legame dello scambio, cioè alla sua capacità di incentivare e consolidare il legame sociale. La rete di reciprocità indiretta crea una piccola comunità costituita di solito da 100 persone circa, che ha una base territoriale, e allo stesso tempo è inserita all’interno di una comunità nazionale o transnazionale più grande. Il radicamento territoriale permette il consolidarsi del comune sentire, della cittadinanza attiva, dello spirito di buon vicinato, e ciò tende a ridefinire anche il problema della sicurezza. Il legame a livello nazionale o transnazionale con altre comunità affini, scongiura il rischio di autoreferenzialità, la chiusura settaria, il ritorno alla premodernità, e sottolinea l’attuale fase di 32
  • 33. cosmopolitizzazione radicata14 della società, in risposta alla crisi dello Stato. La rete, come possiamo vedere, ha quindi una facoltà di annodare i diversi discorsi portati avanti dalle istanze personali, economiche e politiche, e dal punto di vista teorico rende necessario un confronto ed un arricchimento fra tutte le scienze sociali. La rete di privato sociale è il nuovo soggetto del Politico, che si affianca, senza volersi sostituire, alla famiglia, allo Stato, al mercato, e si inserisce all’interno del processo di trasformazione del welfare. A volte vengono indirizzate alcune critiche ai sistemi di reciprocità indiretta ed alle monete complementari. In particolare si dice che essi riducono l’efficienza economica, sono incapaci di incentivare gli investimenti, sono una fonte di inflazione, incoraggiano l’evasione fiscale, e che le valute complementari possono essere contraffatte. Innanzi tutto va ricordato che i sistemi di scambio non monetari sono sistemi complementari, che gli aderenti non vivono esclusivamente di esse, ma utilizzano le unità complementari all’interno del sistema, e la valuta nazionale al di fuori della comunità. Anche i produttori non sono isolati dal mercato, anzi partecipano alla competizione. Questi sistemi spesso stimolano iniziative economiche che altrimenti non avrebbero trovato spazio in altri contesti, e capita spesso che dopo un primo periodo di rodaggio all’interno del sistema si possa passare al mercato. Riguardo all’aumento dell’inflazione nazionale, le economie senza denaro si sono mostrate ininfluenti, anche perché le unità di scambio sono principalmente utilizzate per operazioni che non avrebbero avuto luogo senza la valuta locale. Il problema dell’inflazione ha altre motivazioni. Anzi, la possibilità di avere unità di conto alternative alla moneta nazionale si è mostrata un utile paracadute nelle situazioni di iperinflazione che si sono avute ad esempio nella repubblica di Weimar o in molti casi nei paesi del Sud del mondo, uno fra tutti nel caso Argentino. Indagini empiriche dimostrano inoltre come gli scambi non monetari non sottraggano entrate fiscali allo Stato15 , anche per la loro natura esterna al sistema formale, ed in ogni caso, le legislazioni dei vari paesi si stanno adeguando a riguardo. La falsificazione delle valute non appare oggi un problema rilevante grazie ad accorgimenti tecnici quali numerazione dei biglietti, carta speciale, bollo, e altri, e all’utilizzo prevalente del computer che sostituisce la carta moneta complementare. Quello che sorprende di più forse, è che i sistemi di scambio non monetari non solo non ostacolano, ma contribuiscono, alla performance economica di famiglie ed imprese. L’importanza che pongono nella relazione infatti, si inserisce appieno nell’attuale fase di ampliamento del terziario, in particolare nell’ambito dei servizi alla persona (cura del corpo, sanità, istruzione, assistenza a disabili, anziani, bambini…), che necessitano un’interazione diretta fra utente e operatore, e anche nell’industria manifatturiera hanno peso sempre maggiore le pubbliche relazioni, il marketing ed il 14 Con questo termine si intende una duplice tendenza sia al cosmopolitismo, alla transnazionalizzazione del comune sentire delle società, che alla territorializzazione, l’identificarsi in un radicamento territoriale e locale. Ciò oltrepassa l’identificazione intermedia, o un sentir comune intermedio, nei confronti dello Stato. 15 G.Myrdan, The relationship between social security and money, in Moral Economics n. 4, 1999 33