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Navigare tra i numeri alla scoperta di un’Isola
Viaggio virtuale in Sardegna: la popolazione, il territorio, il tessuto produttivo e le
potenzialità di sviluppo.
Siamo poco più di un milione e seicento mila residenti e disponiamo di tanto territorio: con
un’equa distribuzione ognuno di noi avrebbe quasi 15 m2 di superficie, il triplo della media
nazionale. La densità di popolazione non arriva a 68 abitanti per km2 contro i 197 nel resto del
Paese. Anche le abitazioni sono più che adeguate al fabbisogno, considerato che nei 377
Comuni ce ne sono 856 mila, una ogni due persone, 36 ogni km2 di superficie (sono 96 in
media in Italia).
Numero di abitazioni per Comune
Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

I bambini e i ragazzi fino all’età da lavoro (15
anni) sono 200 mila circa, il 12% della
popolazione. Una percentuale più bassa
rispetto al resto del Paese (14%), dovuta alla
ridotta natalità (7,9 ogni 1000 residenti contro
i 9,1 di media nazionale) e alla scarsa presenza
di stranieri (che hanno un tasso di fecondità
più elevato), appena l’1,9% mentre nel resto
d’Italia è del 6,82%. I potenziali lavoratori,
ossia le persone con più di 14 anni ma meno di
65, sono invece in proporzione superiore
nell’Isola che nella media delle regioni italiane,
rispettivamente il 68% in Sardegna e il 65% in
Italia. La percentuale è identica a livello
regionale e nazionale se si considera invece la
popolazione con più di 64 anni. Questi dati
determinano per la Sardegna degli indici di
dipendenza: degli anziani e strutturale, inferiori
a quelli nazionali (30% e 32% anziani e 48% e
53% strutturale) ed è un segno positivo perché
si riduce il “carico potenziale” dei lavoratori nel
sostenere chi invece non è in età da lavoro.
Ma quanti dei possibili lavoratori hanno effettivamente un’occupazione? Perché senza lavoro
non c’è reddito e senza quest’ultimo si riduce il consumo. La risposta è fornita dal tasso di
occupazione (numero occupati in rapporto alla popolazione residente): in Sardegna si attesta
al 51,7%, nel resto del Paese al 56,8%. Nell’Isola ci sono 78 occupati ogni 100 persone non
attive (tra cui studenti, casalinghe, pensionati, portatori di handicap e tutti coloro che non
cercano attivamente un’occupazione), nella penisola sono 87. Se gli occupati devono farsi
carico anche di coloro che il lavoro lo cercano ma non lo trovano allora questo rapporto diventa
ancora più sbilanciato: 69 lavoratori ogni 100 non lavoratori (per qualsiasi motivo) contro i 79
a livello nazionale. Il che significa che, contrariamente a quanto affermano i dati demografici, i
pochi lavoratori sardi (595 mila) devono farsi carico di un peso decisamente più elevato dei
connazionali residenti fuori regione. A questo si aggiunge una distribuzione del lavoro per
settore economico differente dal resto d’Italia e l’unico settore rilevante è quello dei servizi
2
(77,2%), più precario e con una minore produzione di valore aggiunto, quindi di ricchezza per
la regione.
Distribuzione degli occupati per settore (valori percentuali)

Settori

Sardegna

Italia

Agricoltura

5,6

3,7

Industria in senso stretto

9,1

20,1

Costruzioni
Servizi

8,1

7,7

77,2

68,5

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

Parliamo quindi di coloro che il lavoro non ce l’hanno ma lo cercano. L’Istat ne conta 109 mila
e il tasso di disoccupazione (misurato rapportando il numero delle persone che cercano lavoro
sul totale delle forze di lavoro) supera il 15%, quasi 5 punti percentuali in più rispetto alla
media nazionale. Se si considerano solo i giovani (15-24 anni) questo indicatore raggiunge il
47%, 12 punti in più rispetto al solito confronto.
Tasso di disoccupazione totale per regione (valori sopra e sotto la media nazionale)
Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

Per determinare la vera
carenza di posti di lavoro
nell’Isola, ai disoccupati
vanno sommate le forze di
lavoro potenziali, altre 117
mila persone. Ogni 100
forze lavoro ce ne sono
infatti altre 27 che lo sono
solo potenzialmente, perché
non cercano un’occupazione
seguendo
le
direttive
europee,
quindi
non
possono
essere
definite
disoccupate.
Queste statistiche però non
forniscono alcun elemento
per
separare
la
disoccupazione involontaria
da quella volontaria, dovuta
al fatto che qualche lavoro
disponibile
non
è
più
appetibile per i residenti. Bisogna infatti ricordare che anche in Sardegna ci sono dei posti di
lavoro per i quali non ci sono richieste. In taluni casi mancano le competenze per ricoprire certi
ruoli. Una delle cause della disoccupazione è proprio la mancata corrispondenza tra le
opportunità lavorative offerte dal mercato regionale e le competenze e la formazione
professionale possedute da chi cerca un’occupazione. Secondo l’Unioncamere infatti ci sono
varie posizioni lavorative1 che non trovano corrispondenza con l’offerta di lavoro locale e
spesso la motivazione è la mancanza di specializzazione, anche se a volte si tratta di posizioni
professionali poco qualificate che nessuno è più disposto a ricoprire. Spesso però non manca
1
Dall’ultimo rapporto Excelsior, le figure con maggiore difficoltà di reperimento sono: Operatori dell'assistenza sociale
e dei servizi sanitari, Professioni operative dei servizi alle persone e di sicurezza, Operai metalmeccanici ed
elettromeccanici, Commessi e altro personale qualificato nelle attività commerciali.
3
solo la specializzazione, ma anche un titolo di studio adeguato. In Sardegna, infatti, la
dispersione scolastica e il fenomeno sempre più frequente dei Neet (i giovani tra i 15 e i 34
anni che non studiano e non lavorano sono il 30%) sono in percentuale maggiore rispetto alla
media delle regioni italiane. Nel 2012 il 25% dei giovani sardi di età compresa tra 18 e 24 anni
ha abbandonato gli studi2, in Italia la percentuale si ferma al 17,6%.
Le motivazioni dell’elevato tasso di disoccupazione non sono legate però solo all’offerta di
lavoro, ma anche e soprattutto alla domanda, che dipende dal tessuto produttivo, cioè dalle
esigenze delle imprese operanti nel territorio regionale. Nell’Isola si contano 147 mila imprese
e il tasso di imprenditorialità è in linea con la media nazionale: 89 imprese ogni mille residenti
e 88 nel resto d’Italia. Se si considerano però solo le attività extra agricole l’indice di
imprenditorialità passa a 68 ogni mille abitanti (75 nella media nazionale). Questo mette in
evidenza che il settore agricolo continua ad avere un certo peso sull’economia della regione.
Però bisogna considerare che le imprese agricole sono le meno strutturate e le più piccole e
questi fattori sono indice di poca produttività e basso valore aggiunto prodotto. Conferma
questo dato il fatto che il 23,5% delle imprese (fonte Infocamere) opera nel settore agricolo
mentre la percentuale di occupati arriva solo al 5,6%. Anche se i lavoratori considerati
dall’Istat sono esclusivamente i residenti, non vengono quindi considerati gli stranieri, che in
agricoltura sono impiegati più frequentemente che in altri settori.
Imprese attive per settore economico.
Tasso di crescita del 2012 rispetto al 2011 e incidenza dei settori sul totale
DESCRIZIONE

Imprese
attive

Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di auto
Agricoltura, silvicoltura pesca
Costruzioni
Attività dei servizi alloggio e ristorazione
Attività manifatturiere
Altre attività di servizi
Trasporto e magazzinaggio
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese
Attività professionali, scientifiche e tecniche
Servizi di informazione e comunicazione
Attività immobiliari
Attività finanziarie e assicurative
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento
Sanità e assistenza sociale
Istruzione
Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione acque
Estrazione di minerali da cave e miniere
Imprese non classificate
Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizion.
Totale

Tasso
crescita

incidenza
% settore

40.318
34.482
21.903
11.400
11.106
5.085
4.517
4.226
2.863
2.842
2.179
2.040
1.340
925
651
258
190
139
61
146.525

-1,20
-2,24
-2,17
-1,70
-2,44
-1,43
-3,16
-2,24
-2,66
-1,40
0,08
-0,69
-1,98
-1,43
-1,89
0,31
-2,27
26,28
7,84
0,04

27,52
23,53
14,95
7,78
7,58
3,47
3,08
2,88
1,95
1,94
1,49
1,39
0,91
0,63
0,44
0,18
0,13
0,09
0,04
100,00

Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Infocamere

La struttura produttiva regionale non può più contare sul settore manifatturiero che ha visto
ridurre sensibilmente il proprio contributo negli ultimi 10 anni. Dal censimento del 2001 a

2

Percentuale della popolazione tra i 18 e i 24 anni con al più la licenza media, che non ha concluso (e non frequenta)
un corso di formazione professionale riconosciuto dalla Regione di durata di almeno 2 anni e che non frequenta corsi
scolastici o altre attività formative.
4
quello del 2011 le imprese del settore sono diminuite del 13,2% e l’occupazione ha registrato
una flessione del 18,7%.
Posti letto negli esercizi ricettivi per comune
Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat

Questo
ha
determinato
uno
spostamento dell’asse produttivo
verso il terziario, dando maggior
rilievo al turismo, considerato tra i
settori più importanti dell’Isola,
non tanto per il numero di
imprese o di addetti, quanto
perché è ritenuto il settore
trainante per la ripresa dell’intera
regione. Attualmente è ancora
forte la predilezione per il turismo
balneare e gli esercizi ricettivi si
concentrano sulle coste più che
nelle zone interne, anche se ormai
in quasi tutti i Comuni c’è qualche
esercizio ricettivo (per lo più
B&B).
I turisti che scelgono come meta
di vacanza la Sardegna sono in
maggioranza italiani, anche se
negli ultimi anni, a seguito della
crisi
stanno
aumentando
gli
stranieri mentre gli italiani sono in
calo. Le presenze turistiche sono
però ancora concentrate nei mesi estivi, proprio a causa della specializzazione per il turismo
balneare, ma recenti politiche regionali mirano ad incentivare l’allungamento della stagione
turistica puntando sulle forme di turismo attivo che si adattano a quasi tutti i mesi dell’anno
grazie alle condizioni climatiche favorevoli.
A complicare ulteriormente la situazione c’è una cronica difficoltà ad avere credito per proporre
nuove iniziative imprenditoriali o far crescere quelle esistenti. Richiedere dei finanziamenti è
infatti più oneroso in Sardegna rispetto alla media nazionale, viceversa è più elevato il rischio
di insolvenza: il tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa è pari al 3,3% nell’Isola
contro un 2,3% come media nazionale.
E non sono certo d’aiuto le Pubbliche Amministrazioni che hanno un peso rilevante nel sistema
produttivo regionale. Sono infatti 542, 59 in meno rispetto al 2001, eppure gli addetti sono
aumentati di due mila unità circa, il 4,1% in termini percentuali, mentre nel resto del Paese
sono diminuiti dell'11,5%.
Completano il quadro del sistema produttivo le Istituzioni non profit che sono 9.616 (quasi
mille e cinquecento in più in 10 anni, +18% in termini percentuali) e danno lavoro a 17 mila
addetti, 8 mila lavoratori esterni e più di 140 mila volontari. I settori di attività nei quali
operano queste istituzioni sono (ordinate per numero di addetti): sanità e assistenza sociale
(59%), istruzione (24%), altre attività dei servizi (11%) e attività artistiche, sportive e di
intrattenimento. Se si considerano invece i volontari le percentuali cambiano anche se i settori
coinvolti sono gli stessi. La prevalenza in questo caso è delle attività artistiche, sportive e di
5
intrattenimento (45%), seguite dalle altre attività dei servizi (32%) e da sanità e assistenza
sociale (21%).
Tutte le attività indicate, siano esse imprese, pubblica amministrazione o istituzioni non profit
hanno realizzato nel 2012 un prodotto interno lordo di 32 miliardi di euro, che ripartito tra tutti
i residenti corrisponde a 19.344 euro (valore pro-capite), un importo esiguo considerato che
vale appena il 75% di quanto si produce mediamente in Italia, per di più è in calo rispetto al
2011 (quando ammontava a 20.080 euro pro-capite, il 77% della media italiana), indicando
che la crisi in Sardegna ha avuto ripercussioni più forti che nel resto del Paese.
Il sistema economico e produttivo sin qui descritto, la mancanza di lavoro, la precarietà per chi
invece ne ha uno, come pure l’elevato tasso di irregolarità (22,2% le unità di lavoro irregolari
sul totale delle unità di lavoro, contro un 12,2% di media nazionale) e il peso rilevante della
Pubblica Amministrazione che non sempre agevola lo sviluppo economico, spiegano le ridotte
capacità di spesa delle famiglie residenti nell’Isola e il conseguente livello di povertà.
I consumi mensili rilevati dall’Istat per le famiglie sarde ammontano infatti a 1.879 euro, 540
in meno rispetto al livello medio nazionale.
Anche la ripartizione della
spesa differisce da quella
700
delle altre regioni. Infatti
594
600
nell’Isola
hanno
una
500
469
440
rilevanza
maggiore
le
400
spese alimentari: 23%
351
del totale della spesa
300
250
247
mensile (440 euro) contro
200
122135 115121
116
il 19% del livello italiano
99
92
87
81
100
66
51
41 46
29
(469 euro). Il divario è in
13 19
13
0
parte dovuto al fatto che
questa tipologia di spesa
è l’ultima che può essere
tagliata quando si riduce
il livello dei redditi a
disposizione e incide di
Sardegna
Italia
più su importi di spesa
inferiori. La soglia di povertà, ossia l’importo dei consumi che segna il confine tra l’essere e
non essere poveri, è determinata a livello nazionale (corrisponde ai consumi medi di una
famiglia italiana con due componenti: 991 euro) dove il 12,7% delle famiglie consuma meno
del valore soglia ed è quindi definito povero. In Sardegna le famiglie che non raggiungono
questo livello di spesa sono invece il 20,7%, ricordando che nell’Isola il fenomeno della povertà
è più ampio e rilevante rispetto alla media delle altre regioni italiane.
699

Spesa media in euro per capitolo

Non si può trascurare la relazione esistente tra povertà e criminalità: spesso al crescere
dell’una cresce anche l’altra. Un recente studio proposto dalla Banca d’Italia ha dimostrato per
esempio che, nei primi due anni della crisi (2008-2009), al ridursi delle attività economiche
sono aumentati i furti e le estorsioni. Considerati gli effetti che la crisi ha avuto sulle imprese
locali (sulla loro sopravvivenza) queste affermazioni potrebbero preoccupare e non poco, però
su questo confortano i dati dell’Istat che per il 2011 (ma questo valeva anche prima della crisi
del 2008) rilevano un indice di criminalità diffusa inferiore alla media nazionale (14 furti e
rapine meno gravi ogni mille residenti in Sardegna, contro una media nazionale di 25). Anche
l’indice di microcriminalità (riferito in questo caso solo a Cagliari, in quanto capoluogo di
regione) è ben al di sotto della media nazionale (5,6 delitti legati alla microcriminalità ogni
1000 residenti nell’Isola e 12,2 del livello nazionale). Più preoccupante è invece la situazione
6
riferita ai soli giovani. L’indice di criminalità minorile (misurato rapportando il numero dei
minori denunciati per le varie tipologie di reato sul totale dei denunciati) è pari al 3,9%
nell’Isola ed è leggermente superiore al 3,6% della media nazionale. Significa infatti che c’è
una propensione maggiore nei giovani a commettere dei reati.
Ancora l’Istat, con la rilevazione del 2012, fa sapere che in Sardegna le famiglie si sentono
sicure nei quartieri in cui risiedono. Solo il 14% di esse percepisce un “rischio criminalità” nella
zona in cui vive. Mediamente in Italia questa percentuale arriva al 26%, con punta del 38,7%
in Campania e il valore minimo in Trentino Alto Adige (8,6%).
Insomma, nella pur ridotta sequenza di dati è evidente la motivazione di non effimere
preoccupazioni.

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Istantanea di un'isola

  • 1. Navigare tra i numeri alla scoperta di un’Isola Viaggio virtuale in Sardegna: la popolazione, il territorio, il tessuto produttivo e le potenzialità di sviluppo. Siamo poco più di un milione e seicento mila residenti e disponiamo di tanto territorio: con un’equa distribuzione ognuno di noi avrebbe quasi 15 m2 di superficie, il triplo della media nazionale. La densità di popolazione non arriva a 68 abitanti per km2 contro i 197 nel resto del Paese. Anche le abitazioni sono più che adeguate al fabbisogno, considerato che nei 377 Comuni ce ne sono 856 mila, una ogni due persone, 36 ogni km2 di superficie (sono 96 in media in Italia). Numero di abitazioni per Comune Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat I bambini e i ragazzi fino all’età da lavoro (15 anni) sono 200 mila circa, il 12% della popolazione. Una percentuale più bassa rispetto al resto del Paese (14%), dovuta alla ridotta natalità (7,9 ogni 1000 residenti contro i 9,1 di media nazionale) e alla scarsa presenza di stranieri (che hanno un tasso di fecondità più elevato), appena l’1,9% mentre nel resto d’Italia è del 6,82%. I potenziali lavoratori, ossia le persone con più di 14 anni ma meno di 65, sono invece in proporzione superiore nell’Isola che nella media delle regioni italiane, rispettivamente il 68% in Sardegna e il 65% in Italia. La percentuale è identica a livello regionale e nazionale se si considera invece la popolazione con più di 64 anni. Questi dati determinano per la Sardegna degli indici di dipendenza: degli anziani e strutturale, inferiori a quelli nazionali (30% e 32% anziani e 48% e 53% strutturale) ed è un segno positivo perché si riduce il “carico potenziale” dei lavoratori nel sostenere chi invece non è in età da lavoro. Ma quanti dei possibili lavoratori hanno effettivamente un’occupazione? Perché senza lavoro non c’è reddito e senza quest’ultimo si riduce il consumo. La risposta è fornita dal tasso di occupazione (numero occupati in rapporto alla popolazione residente): in Sardegna si attesta al 51,7%, nel resto del Paese al 56,8%. Nell’Isola ci sono 78 occupati ogni 100 persone non attive (tra cui studenti, casalinghe, pensionati, portatori di handicap e tutti coloro che non cercano attivamente un’occupazione), nella penisola sono 87. Se gli occupati devono farsi carico anche di coloro che il lavoro lo cercano ma non lo trovano allora questo rapporto diventa ancora più sbilanciato: 69 lavoratori ogni 100 non lavoratori (per qualsiasi motivo) contro i 79 a livello nazionale. Il che significa che, contrariamente a quanto affermano i dati demografici, i pochi lavoratori sardi (595 mila) devono farsi carico di un peso decisamente più elevato dei connazionali residenti fuori regione. A questo si aggiunge una distribuzione del lavoro per settore economico differente dal resto d’Italia e l’unico settore rilevante è quello dei servizi
  • 2. 2 (77,2%), più precario e con una minore produzione di valore aggiunto, quindi di ricchezza per la regione. Distribuzione degli occupati per settore (valori percentuali) Settori Sardegna Italia Agricoltura 5,6 3,7 Industria in senso stretto 9,1 20,1 Costruzioni Servizi 8,1 7,7 77,2 68,5 Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat Parliamo quindi di coloro che il lavoro non ce l’hanno ma lo cercano. L’Istat ne conta 109 mila e il tasso di disoccupazione (misurato rapportando il numero delle persone che cercano lavoro sul totale delle forze di lavoro) supera il 15%, quasi 5 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. Se si considerano solo i giovani (15-24 anni) questo indicatore raggiunge il 47%, 12 punti in più rispetto al solito confronto. Tasso di disoccupazione totale per regione (valori sopra e sotto la media nazionale) Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat Per determinare la vera carenza di posti di lavoro nell’Isola, ai disoccupati vanno sommate le forze di lavoro potenziali, altre 117 mila persone. Ogni 100 forze lavoro ce ne sono infatti altre 27 che lo sono solo potenzialmente, perché non cercano un’occupazione seguendo le direttive europee, quindi non possono essere definite disoccupate. Queste statistiche però non forniscono alcun elemento per separare la disoccupazione involontaria da quella volontaria, dovuta al fatto che qualche lavoro disponibile non è più appetibile per i residenti. Bisogna infatti ricordare che anche in Sardegna ci sono dei posti di lavoro per i quali non ci sono richieste. In taluni casi mancano le competenze per ricoprire certi ruoli. Una delle cause della disoccupazione è proprio la mancata corrispondenza tra le opportunità lavorative offerte dal mercato regionale e le competenze e la formazione professionale possedute da chi cerca un’occupazione. Secondo l’Unioncamere infatti ci sono varie posizioni lavorative1 che non trovano corrispondenza con l’offerta di lavoro locale e spesso la motivazione è la mancanza di specializzazione, anche se a volte si tratta di posizioni professionali poco qualificate che nessuno è più disposto a ricoprire. Spesso però non manca 1 Dall’ultimo rapporto Excelsior, le figure con maggiore difficoltà di reperimento sono: Operatori dell'assistenza sociale e dei servizi sanitari, Professioni operative dei servizi alle persone e di sicurezza, Operai metalmeccanici ed elettromeccanici, Commessi e altro personale qualificato nelle attività commerciali.
  • 3. 3 solo la specializzazione, ma anche un titolo di studio adeguato. In Sardegna, infatti, la dispersione scolastica e il fenomeno sempre più frequente dei Neet (i giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano e non lavorano sono il 30%) sono in percentuale maggiore rispetto alla media delle regioni italiane. Nel 2012 il 25% dei giovani sardi di età compresa tra 18 e 24 anni ha abbandonato gli studi2, in Italia la percentuale si ferma al 17,6%. Le motivazioni dell’elevato tasso di disoccupazione non sono legate però solo all’offerta di lavoro, ma anche e soprattutto alla domanda, che dipende dal tessuto produttivo, cioè dalle esigenze delle imprese operanti nel territorio regionale. Nell’Isola si contano 147 mila imprese e il tasso di imprenditorialità è in linea con la media nazionale: 89 imprese ogni mille residenti e 88 nel resto d’Italia. Se si considerano però solo le attività extra agricole l’indice di imprenditorialità passa a 68 ogni mille abitanti (75 nella media nazionale). Questo mette in evidenza che il settore agricolo continua ad avere un certo peso sull’economia della regione. Però bisogna considerare che le imprese agricole sono le meno strutturate e le più piccole e questi fattori sono indice di poca produttività e basso valore aggiunto prodotto. Conferma questo dato il fatto che il 23,5% delle imprese (fonte Infocamere) opera nel settore agricolo mentre la percentuale di occupati arriva solo al 5,6%. Anche se i lavoratori considerati dall’Istat sono esclusivamente i residenti, non vengono quindi considerati gli stranieri, che in agricoltura sono impiegati più frequentemente che in altri settori. Imprese attive per settore economico. Tasso di crescita del 2012 rispetto al 2011 e incidenza dei settori sul totale DESCRIZIONE Imprese attive Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di auto Agricoltura, silvicoltura pesca Costruzioni Attività dei servizi alloggio e ristorazione Attività manifatturiere Altre attività di servizi Trasporto e magazzinaggio Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese Attività professionali, scientifiche e tecniche Servizi di informazione e comunicazione Attività immobiliari Attività finanziarie e assicurative Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento Sanità e assistenza sociale Istruzione Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione acque Estrazione di minerali da cave e miniere Imprese non classificate Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizion. Totale Tasso crescita incidenza % settore 40.318 34.482 21.903 11.400 11.106 5.085 4.517 4.226 2.863 2.842 2.179 2.040 1.340 925 651 258 190 139 61 146.525 -1,20 -2,24 -2,17 -1,70 -2,44 -1,43 -3,16 -2,24 -2,66 -1,40 0,08 -0,69 -1,98 -1,43 -1,89 0,31 -2,27 26,28 7,84 0,04 27,52 23,53 14,95 7,78 7,58 3,47 3,08 2,88 1,95 1,94 1,49 1,39 0,91 0,63 0,44 0,18 0,13 0,09 0,04 100,00 Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Infocamere La struttura produttiva regionale non può più contare sul settore manifatturiero che ha visto ridurre sensibilmente il proprio contributo negli ultimi 10 anni. Dal censimento del 2001 a 2 Percentuale della popolazione tra i 18 e i 24 anni con al più la licenza media, che non ha concluso (e non frequenta) un corso di formazione professionale riconosciuto dalla Regione di durata di almeno 2 anni e che non frequenta corsi scolastici o altre attività formative.
  • 4. 4 quello del 2011 le imprese del settore sono diminuite del 13,2% e l’occupazione ha registrato una flessione del 18,7%. Posti letto negli esercizi ricettivi per comune Fonte: Elaborazione Centro Studi L’Unione Sarda su dati Istat Questo ha determinato uno spostamento dell’asse produttivo verso il terziario, dando maggior rilievo al turismo, considerato tra i settori più importanti dell’Isola, non tanto per il numero di imprese o di addetti, quanto perché è ritenuto il settore trainante per la ripresa dell’intera regione. Attualmente è ancora forte la predilezione per il turismo balneare e gli esercizi ricettivi si concentrano sulle coste più che nelle zone interne, anche se ormai in quasi tutti i Comuni c’è qualche esercizio ricettivo (per lo più B&B). I turisti che scelgono come meta di vacanza la Sardegna sono in maggioranza italiani, anche se negli ultimi anni, a seguito della crisi stanno aumentando gli stranieri mentre gli italiani sono in calo. Le presenze turistiche sono però ancora concentrate nei mesi estivi, proprio a causa della specializzazione per il turismo balneare, ma recenti politiche regionali mirano ad incentivare l’allungamento della stagione turistica puntando sulle forme di turismo attivo che si adattano a quasi tutti i mesi dell’anno grazie alle condizioni climatiche favorevoli. A complicare ulteriormente la situazione c’è una cronica difficoltà ad avere credito per proporre nuove iniziative imprenditoriali o far crescere quelle esistenti. Richiedere dei finanziamenti è infatti più oneroso in Sardegna rispetto alla media nazionale, viceversa è più elevato il rischio di insolvenza: il tasso di decadimento dei finanziamenti per cassa è pari al 3,3% nell’Isola contro un 2,3% come media nazionale. E non sono certo d’aiuto le Pubbliche Amministrazioni che hanno un peso rilevante nel sistema produttivo regionale. Sono infatti 542, 59 in meno rispetto al 2001, eppure gli addetti sono aumentati di due mila unità circa, il 4,1% in termini percentuali, mentre nel resto del Paese sono diminuiti dell'11,5%. Completano il quadro del sistema produttivo le Istituzioni non profit che sono 9.616 (quasi mille e cinquecento in più in 10 anni, +18% in termini percentuali) e danno lavoro a 17 mila addetti, 8 mila lavoratori esterni e più di 140 mila volontari. I settori di attività nei quali operano queste istituzioni sono (ordinate per numero di addetti): sanità e assistenza sociale (59%), istruzione (24%), altre attività dei servizi (11%) e attività artistiche, sportive e di intrattenimento. Se si considerano invece i volontari le percentuali cambiano anche se i settori coinvolti sono gli stessi. La prevalenza in questo caso è delle attività artistiche, sportive e di
  • 5. 5 intrattenimento (45%), seguite dalle altre attività dei servizi (32%) e da sanità e assistenza sociale (21%). Tutte le attività indicate, siano esse imprese, pubblica amministrazione o istituzioni non profit hanno realizzato nel 2012 un prodotto interno lordo di 32 miliardi di euro, che ripartito tra tutti i residenti corrisponde a 19.344 euro (valore pro-capite), un importo esiguo considerato che vale appena il 75% di quanto si produce mediamente in Italia, per di più è in calo rispetto al 2011 (quando ammontava a 20.080 euro pro-capite, il 77% della media italiana), indicando che la crisi in Sardegna ha avuto ripercussioni più forti che nel resto del Paese. Il sistema economico e produttivo sin qui descritto, la mancanza di lavoro, la precarietà per chi invece ne ha uno, come pure l’elevato tasso di irregolarità (22,2% le unità di lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro, contro un 12,2% di media nazionale) e il peso rilevante della Pubblica Amministrazione che non sempre agevola lo sviluppo economico, spiegano le ridotte capacità di spesa delle famiglie residenti nell’Isola e il conseguente livello di povertà. I consumi mensili rilevati dall’Istat per le famiglie sarde ammontano infatti a 1.879 euro, 540 in meno rispetto al livello medio nazionale. Anche la ripartizione della spesa differisce da quella 700 delle altre regioni. Infatti 594 600 nell’Isola hanno una 500 469 440 rilevanza maggiore le 400 spese alimentari: 23% 351 del totale della spesa 300 250 247 mensile (440 euro) contro 200 122135 115121 116 il 19% del livello italiano 99 92 87 81 100 66 51 41 46 29 (469 euro). Il divario è in 13 19 13 0 parte dovuto al fatto che questa tipologia di spesa è l’ultima che può essere tagliata quando si riduce il livello dei redditi a disposizione e incide di Sardegna Italia più su importi di spesa inferiori. La soglia di povertà, ossia l’importo dei consumi che segna il confine tra l’essere e non essere poveri, è determinata a livello nazionale (corrisponde ai consumi medi di una famiglia italiana con due componenti: 991 euro) dove il 12,7% delle famiglie consuma meno del valore soglia ed è quindi definito povero. In Sardegna le famiglie che non raggiungono questo livello di spesa sono invece il 20,7%, ricordando che nell’Isola il fenomeno della povertà è più ampio e rilevante rispetto alla media delle altre regioni italiane. 699 Spesa media in euro per capitolo Non si può trascurare la relazione esistente tra povertà e criminalità: spesso al crescere dell’una cresce anche l’altra. Un recente studio proposto dalla Banca d’Italia ha dimostrato per esempio che, nei primi due anni della crisi (2008-2009), al ridursi delle attività economiche sono aumentati i furti e le estorsioni. Considerati gli effetti che la crisi ha avuto sulle imprese locali (sulla loro sopravvivenza) queste affermazioni potrebbero preoccupare e non poco, però su questo confortano i dati dell’Istat che per il 2011 (ma questo valeva anche prima della crisi del 2008) rilevano un indice di criminalità diffusa inferiore alla media nazionale (14 furti e rapine meno gravi ogni mille residenti in Sardegna, contro una media nazionale di 25). Anche l’indice di microcriminalità (riferito in questo caso solo a Cagliari, in quanto capoluogo di regione) è ben al di sotto della media nazionale (5,6 delitti legati alla microcriminalità ogni 1000 residenti nell’Isola e 12,2 del livello nazionale). Più preoccupante è invece la situazione
  • 6. 6 riferita ai soli giovani. L’indice di criminalità minorile (misurato rapportando il numero dei minori denunciati per le varie tipologie di reato sul totale dei denunciati) è pari al 3,9% nell’Isola ed è leggermente superiore al 3,6% della media nazionale. Significa infatti che c’è una propensione maggiore nei giovani a commettere dei reati. Ancora l’Istat, con la rilevazione del 2012, fa sapere che in Sardegna le famiglie si sentono sicure nei quartieri in cui risiedono. Solo il 14% di esse percepisce un “rischio criminalità” nella zona in cui vive. Mediamente in Italia questa percentuale arriva al 26%, con punta del 38,7% in Campania e il valore minimo in Trentino Alto Adige (8,6%). Insomma, nella pur ridotta sequenza di dati è evidente la motivazione di non effimere preoccupazioni.