Partendo dalla definizione di povertà è possibile quantificare i poveri. In Sardegna ci sono 147 mila famiglie povere (2012).
In conclusione la crescita dell’incidenza della povertà relativa nell’Isola si può legare all’incremento della
soglia di povertà definita a livello nazionale, il contemporaneo ridursi del valore del reddito medio regionale
rispetto a quello nazionale e la bassa concentrazione dei redditi e dei consumi.
Povertà e consumi delle famiglie - Rapporto Caritas 2013
1. Povertà, consumi e statistiche*
Non esiste una definizione chiara e univoca del concetto di povertà, ma con questo termine si indica
un’ampia serie di situazioni anche molto diverse tra loro. “Povero è infatti il senza dimora, colui che, privo di
mezzi di sostentamento, si affida alla carità del prossimo per sopravvivere; povero è chi con una pensione
minima non riesce a soddisfare i propri pur limitati bisogni. Povero è anche colui che non riesce ad acquisire
i beni e servizi normalmente disponibili per gli individui appartenenti al suo contesto di riferimento. Povero,
infine, è colui che non riesce a soddisfare specifici bisogni legati, ad esempio, alla condizione di disabilità. In
altre parole, a seconda dei bisogni di volta in volta considerati essenziali, il confine che circoscrive
l’universo dei poveri si sposta, individuando forme di povertà via via meno estreme, ma non meno degne di
attenzione” [Istat].
Partendo dalla definizione di povertà è possibile quantificare i poveri. L’Istat distingue tra povertà
assoluta, legata al livello di vita minimo accettabile, indipendente dalle condizioni di vita prevalenti nel resto
della comunità, e povertà relativa che si basa, invece, sull’assunzione che la condizione di un individuo non
può essere definita se non a partire dall’ambiente nel quale vive, per cui “persone, famiglie, gruppi di
popolazione possono essere considerati poveri quando mancano di risorse per raggiungere quei tipi di
alimentazione, partecipare a quelle attività ed avere quelle condizioni di vita e comodità che sono abituali o
almeno largamente incoraggiati ed approvati nelle società alle quali appartengono”.
Secondo quest’ultima definizione in Sardegna ci sono 147 mila famiglie povere, il 20,7% del totale
delle famiglie residenti nell’Isola (dato al 2012, ultimo disponibile), che si traduce in più di 400 mila sardi
poveri. Questa percentuale, che misura però solo la diffusione del fenomeno ma non dice nulla su “quanto”
siano povere le famiglie, è cresciuta rispetto al passato ed è ormai molto più alta rispetto alla media nazionale
ferma all’12,7%. Nel 2003 (primo anno della serie Istat) infatti la percentuale di famiglie sarde povere era
simile a quella nazionale: rispettivamente 13,3% in Sardegna e 10,8% la media nazionale, oggi c’è invece un
divario evidente: 10 punti percentuali.
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
2003
2004
Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat
Le fonti ufficiali riferiscono però di un miglioramento, nel periodo in esame, della situazione economica
della Sardegna, in alcuni casi anche superiore al resto del Paese. Citiamo come esempio il reddito a
disposizione dei sardi: nel 2003 era di 1.080 euro al mese ed è aumentato del 15% arrivando nel 2011 a
*
A
cura
di
Lucia
Schirru,
Vispo
Srl.
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Indice di povertà regionale (famiglie)
Popolazione che vive in famiglie al di sotto della soglia di povertà (percentuale)
Sardegna Italia Mezzogiorno Nord
2. 1.245 euro al mese, mentre nel resto del Paese si partiva da 1.352 euro e grazie all’incremento dell’11% si è
giunti a 1.498 euro. Quindi, nonostante il cospicuo incremento, non siamo ancora arrivati al livello medio
nazionale.
Anche l’occupazione in regione è aumentata in termini relativi più che nel resto d’Italia. Questo dato
non si riflette però nella capacità di spesa perché i molti cassaintegrati sardi risultano di fatto ancora occupati
ed è quindi plausibile che anche se il numero dei lavoratori, quindi dei percettori di reddito, sia aumentato,
l’importo percepito in media si sia abbondantemente ridotto.
Non c’è stato invece nessun miglioramento nella capacità di spesa dei percettori di reddito da
pensione sardi, considerato che ogni pensionato percepiva (nel 2003) e continua a percepire (nel 2011) il
93% di quanto riceve mediamente un pensionato italiano. Se si considerano i redditi dei contribuenti Irpef
(dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche) si nota, nel periodo 2005-2011, una iniziale riduzione della
distanza tra i redditi degli italiani e quelli dei sardi e poi un nuovo incremento. I redditi medi in regione sono
nel 2011 il 90% di quelli medi nazionali.
20.249
20.979
Reddito medio
22.704 22.771
22.891
23.241
23.482
86,6% 86,5%
17.532
18.155
89,3% 89,4%
20.285 20.355
90,2%
20.638
90,0% 89,9%
20.915
21.107
92,0%
91,0%
90,0%
89,0%
88,0%
87,0%
86,0%
85,0%
24.000
23.000
22.000
21.000
20.000
19.000
18.000
17.000
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Italia Sardegna Percentuale su Italia (asse di destra)
Fonte: Nostre elaborazioni su dati Dipartimento delle Finanze
Questi dati non sono però sufficienti a giustificare l’incremento della povertà che si è avuto solo nell’Isola e
non nel resto dell’Italia considerata nel complesso. La vera risposta si trova analizzando i consumi delle
famiglie, unica variabile che l’Istat utilizza per il “calcolo dei poveri”.
Tra il 2003 e il 2012 la soglia di povertà relativa, che viene definita solo a livello nazionale per la
famiglia “tipo” è aumentata del 13% (da 875 a 991 per due componenti) e sono aumentati anche i consumi
familiari, però solo a livello nazionale (+7,8%) registrando invece nell’Isola un calo del 14% - passando
quindi da 2.189 euro del 2003 a 1.879 nel 2012. I consumi dei sardi si sono contratti in tutte le voci “non
indispensabili”, ma anche, seppure in misura minore nei consumi alimentari. Sono invece aumentate le spese
per l’abitazione, compreso combustibili ed energia. La riduzione di tutte le spese superflue, sintomo di
“sofferenza economica” ha fatto si che la distanza tra la spesa media familiare dei sardi e la soglia di povertà
si sia ridotta a tal punto che molte delle famiglie sarde vi ricadono al di sotto, diventando ufficialmente
famiglie povere.
4. Spesa per consumi delle famiglie (importi medi mensili) e variazione tra il 2003 e il 2012
Gruppo di spesa 2003 2012 Variazione
totale 2188,97 1878,78 -14%
alimentari e bevande 465,27 440,18 -5%
pane e cereali 79,45 79,36 0%
carne 100,64 92,56 -8%
pesce 43,33 43,96 1%
latte, formaggi e uova 57,83 54,5 -6%
oli e grassi 19,46 15,01 -23%
patate, frutta e ortaggi 85,78 80,45 -6%
zucchero, caffè e drogheria 33,89 32,39 -4%
bevande 44,89 41,95 -7%
non alimentari 1723,7 1438,59 -17%
tabacchi 20,25 12,89 -36%
abbigliamento e calzature 166,56 114,38 -31%
abitazione (principale e secondaria) 484,55 594,56 23%
combustibili ed energia 107,35 121,69 13%
mobili, elettrod. e servizi per la casa 172,26 81,49 -53%
sanità 65,92 65,07 -1%
trasporti 330,26 250,54 -24%
comunicazioni 49,3 40,67 -18%
istruzione 29,86 13,61 -54%
tempo libero, cultura e giochi 107,03 51,58 -52%
altri beni e servizi 190,35 92,12 -52%
Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat
Queste evidenze ci portano a pensare che la struttura dei redditi in Sardegna sia fondamentalmente diversa da
quella media italiana, nel senso che il reddito medio è più basso ma soprattutto vi è meno concentrazione del
reddito, vi sono cioè meno persone molto ricche, quelle che alzano la media italiana e rendono mediamente
l’italiano meno povero. Il livello dei consumi medi delle famiglie sarde è di conseguenza costantemente più
basso rispetto alla media nazionale e, come si vede nella figura che segue, la concentrazione1 dei consumi si
è molto ridotta rispetto al 2007. In tale anno infatti la concentrazione dei consumi era maggiore che in Italia e
il livello dell’indice di povertà delle famiglie era più elevato.
In conclusione la crescita dell’incidenza della povertà relativa nell’Isola si può legare all’incremento della
soglia di povertà definita a livello nazionale, il contemporaneo ridursi del valore del reddito medio regionale
rispetto a quello nazionale e la bassa concentrazione dei redditi e dei consumi.
1 L’indice di Gini (o rapporto di concentrazione di Gini) è la misura sintetica della disuguaglianza più popolare tra gli studiosi di economia. Può
variare tra 0 e 1: se il reddito è distribuito in modo perfettamente eguale l’indice assume valore 0 (reddito equidistribuito). se, al contrario, tutto il
reddito è posseduto da una sola famiglia l’indice assume valore 1 (massima concentrazione).
5. 0,324
Indicatori sulla distribuzione dei consumi
Omogeneità nella distribuzione dei consumi - indice di Gini
0,328 0,325
0,350
0,330
0,310
0,290
0,270
Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat
0,321
0,325
0,323
0,327
0,324
0,320
0,331
0,338
0,318
0,313
0,291
0,283 0,288
0,250
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
Italia Nord-ovest Nord-est Centro Sud Sicilia Sardegna