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Dogane.Export
La rivista pratica trimestrale per responsabili e addetti degli Uffici import/export
N. 1 - Gennaio 2016
A.E.O. - Operatore Economico
autorizzato: vantaggi, criticità e
prospettive della certificazione di
affidabilità doganale
In sintesi, le principali notizie
utili per gli operatori
import/export
Nuovo modello di
dichiarazione di intento per
esportatori abituali
TTIP : Quali nuove opportunità
negli USA per le aziende italiane?
Origine preferenziale e
responsabilità
dell’esportatore
Perfezionamento passivo o
esportazione definitiva?
La Corte di Giustizia ed il
diritto alla detrazione IVA
Accertamento doganale:
prevenire e gestire le
contestazioni in dogana
ADR: tutti gli obblighi sono
del trasportatore?
Come proteggere la proprietà
intellettuale in Dogana
POSTEITALIANESPA-SPED.INA.P.-D.L.353/2003-(CONV.INL.27/02/2004N.46)-ART.1COMMA1-NE/PD
2
INDICECOVER STORY
A.E.O. - Operatore Economico autorizzato: vantaggi, criticità e prospet-
tive della certificazione di affidabilità doganale
Di Massimiliano Mercurio
NOTIZIE IN BREVE
In sintesi, le principali notizie utili per gli operatori
import/export
A cura di Hermes s.n.c.
ISTRUZIONI OPERATIVE, PRASSI E NORMATIVA
Nuovo modello di dichiarazione di intento per esportatori abituali
Di Massimiliano Mercurio
Origine preferenziale e responsabilità dell’esportatore
Di Massimiliano Mercurio
Perfezionamento passivo o esportazione definitiva?
Di Massimiliano Mercurio
La Corte di Giustizia ed il diritto alla detrazione
Di Massimiliano Mercurio
Accertamento doganale: prevenire e gestire le contestazioni in dogana
Di Massimiliano Mercurio
ADR: tutti gli obblighi sono del trasportatore?
Di Tommaso Castellan, Carla Repice e Federico Vota
BEST PRACTICE
Come proteggere la proprietà intellettuale in dogana
Di Giovanni Casucci
FOCUS PAESE
The Transatlantic Trade and Investment Partnership: quali nuove oppor-
tunità negli USA per le aziende italiane?
Di Claudio Tanca
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- Normativa di riferimento
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3| gennaio 2016
Periodico trimestrale in abbonamento annuale
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valendosi della facoltà di cui all’art. 16 della legge 7
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IVA assolta dall’editore a norma dell’art. 74/DPR 633 del
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Condizione e Modalità di Abbonamento alla rivista
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disdetta.
Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o
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questa rivista è permessa previa specifica autorizza-
zione della Direzione.
EDITORIALE
Questa rivista nasce con l’intento
di fornire un supporto concreto
ai responsabili degli uffici im-
port/export, focalizzandosi sulla
materia doganale e sugli ambiti
ad essa connessi: fiscalità, con-
trattualistica, logistica e traspor-
ti, etc. Abbiamo scelto di dare
alla rivista un taglio pratico, con
istruzioni operative di immediata utilità e soluzioni
alle principali problematiche che incontra chi opera
frequentemente con le dogane; per questo abbiamo
coinvolto come Direttore Responsabile della rivista
e curatore della maggior parte degli articoli il dott.
Massimiliano Mercurio, doganalista con grande
esperienza “sul campo” e una profonda conoscenza
delle reali esigenze di chi opera con l’estero.
Accanto a lui, una squadra di esperti che di volta in
volta verranno coinvolti per trattare temi specifici o
“focus paese” sui principali mercati di interesse per
le aziende italiane.
Dal prossimo numero, inoltre, sarà aggiunta la ru-
brica “L’esperto risponde” nella quale i lettori trove-
ranno risposta alle domande che vorranno inoltrare
ai nostri esperti.
Per gli abbonati alla versione Premium Plus, sono
disponibili on line, oltre alla rivista in formato elet-
tronico, altri contenuti aggiuntivi (modulistica, nor-
mativa, focus Emirati Arabi Uniti, etc.).
L’invito che vi vogliamo rivolgere è di aiutarci a ren-
dere sempre più interattiva questa rivista, invian-
doci commenti e suggerimenti sui temi da trattare,
all’indirizzo redazione@doganeexport.it, per consen-
tirci di migliorare ad ogni numero e rendere questo
“strumento” il più possibile rispondente alle vostre
esigenze.
Pietro Butturini
Direttore Editoriale
4 gennaio 2016 |
Premessa e quadro normativo
L’11 settembre 2001 costituisce una data spar-
tiacque della storia recente. Prescindendo in
questa sede da qualunque valutazione storica,
politica o sociologica dei tragici eventi di quel
giorno, ci limitiamo a evidenziare che, in segui-
to a quegli atti che furono percepiti dagli Stati
Uniti d’America come una vera e propria dichia-
razione di guerra, cambiò anche il loro modo di
approcciarsi agli scambi internazionali di merci
con gli altri Paesi, stringendo le maglie della
macchina dei controlli non solo per le persone
ma anche per i mezzi di trasporto e per le merci
in entrata sul proprio territorio.
In brevissimo tempo fu elaborato un program-
ma di selezione per le imprese statunitensi
che potessero essere considerate affidabili, al
fine di non intralciare inutilmente gli scambi
commerciali e al contempo garantire più alti
livelli di Sicurezza Nazionale. Il programma, de-
nominato “C-TPAT – Custom-Trade Partnership
against Terrorism”, è gestito dalla US Customs
and Border Protection, una delle Agenzie del
Dipartimento della Sicurezza Interna degli Sta-
ti Uniti d’America (in inglese United States De-
partment of Homeland Security).
Invero, già nel 1999 la “Convenzione riveduta di
Kyoto” sulla semplificazione e armonizzazione
dei regimi doganali aveva visto oltre cinquanta
Paesi sottoscrivere un accordo per riavvicina-
re e raccordare procedure e tecniche doganali,
al fine di adottare criteri che facilitassero gli
scambi garantendo al contempo la sicurezza.
Tale accordo prevede la possibilità che le do-
gane concedano a particolari soggetti che ga-
A.E.O. OPERATORE ECONOMICO
AUTORIZZATO: VANTAGGI, CRITICITÀ E
PROSPETTIVE DELLA CERTIFICAZIONE DI
AFFIDABILITÀ DOGANALE
Massimiliano Mercurio
Titolare di Hermes s.n.c., doganalista e consulente per gli scambi
con l’estero, svolge anche attività di docenza per Forum Acade-
my, CEI Piemonte, Camere di Commercio e altri enti formativi.
Direttore della rivista Dogane.Export.
5| gennaio 2016
rantiscano “un adeguato sistema di scritture e
un soddisfacente sistema di gestione commer-
ciale” un rapido rilascio delle merci e semplifi-
cazioni quali un numero ridotto di dati per le
dichiarazioni, lo sdoganamento presso la sede
dell’impresa, dichiarazioni periodiche e cumu-
lative per più operazioni in un dato periodo e
altre agevolazioni contabili e amministrative.
Questa partnership tra autorità doganale e
impresa nel 2000 prese forma nello StairSec –
Stairway Security Program adottato dalla Do-
gana del Regno di Svezia, progetto pilota di ge-
stione degli aspetti legati alla sicurezza della
catena logistica. Con esso l’autorità doganale
svedese, che affermava “We want the Swedish
business community to consider us the most
efficient Customs administration in Europe”
(vogliamo che la comunità imprenditoriale
Svedese ci consideri la più efficiente Ammini-
strazione doganale in Europa, Ndr), razionaliz-
zava procedure e gestione dei rischi connessi
agli scambi internazionali, rappresentati da
traffici illegali di stupefacenti, armi e tecno-
logie di distruzione di massa, atti terroristici,
emergenze sanitarie, danni erariali, investendo
sulla selezione di operatori seri, bene organiz-
zati, rispettosi delle norme e trasparenti con
l’Amministrazione. A questi l’autorità doganale
avrebbe potuto assicurare la maggiore spedi-
tezza possibile degli scambi e delle procedure
grazie ad un reciproco rapporto collaborativo
e fiduciario, tale da consentire alla Dogana di
concentrarsi su altre criticità e all’impresa di
ottimizzare aspetti della propria attività con-
seguendo al contempo una riduzione di alcuni
centri di costo.
L’OMD, Organizzazione Mondiale delle Doga-
ne, nel 2005 ha lanciato il SAFE Framework of
Standards to Secure and Facilitate Global Tra-
de (SAFE Framework), il cui cosiddetto Secon-
do Pilastro è dedicato a imprese e Authorized
Economic Operator. L’Organizzazione, che a
giugno 2015 contava 180 membri nel mondo,
con questo programma ha impegnato tutte le
amministrazioni doganali dei Paesi aderenti a
instaurare programmi di compliance doganale,
rilasciando già nel 2007 all’interno del program-
ma dettagliate disposizioni sulle condizioni ed
i requisiti per il rilascio dello status di A.E.O.
Authorized Economic Operator ed i rapporti
dei soggetti certificati con l’Autorità dogana-
le, contenute oggi nell’Annex IV della versione
2015 del programma.
Con l’intento di aumentare la sicurezza dei
traffici e contrastare le minacce del terrorismo
internazionale, l’Unione Europea ha adottato
una serie di misure contenute nei c.d. “emen-
damenti sicurezza” al Codice Doganale Comu-
nitario con Reg. (CE) n. 648/2005 del 13 aprile
2005 e relativo Regolamento di esecuzione n.
1875 del 2006, in seguito trasfuse nel Reg. (CE)
n. 450/2008, noto come “Codice Doganale Mo-
dernizzato”, che dal 2013 è stato sostituito dal
“Codice Doganale dell’Unione” [Reg. (UE) n.
952/2013 del 9 ottobre 2013].
In quest’ultimo il tema della sicurezza è po-
sto in evidenza sin dai considerando e poi nei
primi articoli del testo. All’art. 3 in particolare
sono enunciati gli aspetti attinenti alla sicu-
rezza dell’intera catena logistica ed i relativi
obiettivi che le autorità doganali debbono per-
seguire con le opportune misure; l’art. 5 p.to
7 definisce il “rischio” attraverso i concetti di
probabilità ed impatto che ritroveremo più
avanti in questa trattazione. La Sezione 4 è
dedicata all’Operatore Economico Autorizzato,
essendo nel frattempo intervenuto, rispetto
al Reg. (CE) n. 450/2008 abrogato dall’art. 286
del Codice Doganale dell’Unione, il documen-
to TAXUD/2006/1450 del 29 giugno 2007 della
Commissione (che riprendeva le linee guida
dell’OMD del giugno 2006 contenenti precise ed
uniformi indicazioni ai governi dei Paesi ade-
renti sulla figura dell’A.E.O.) e le modifiche for-
mali al Codice del 1992 intervenute con il Reg.
(CE) n. 648/2005 e quelle alle DAC-Disposizioni
di Applicazione del Codice (Reg. (CEE) n. 2454/93
adottate a norma del Reg. (CE) n. 1875/2006):
fin qui, le doverose fonti normative. Scendiamo
nel dettaglio.
COVER STORY
6 gennaio 2016 |
Requisiti e procedura per l’otteni-
mento della certificazione
Con effetto dal 1° gennaio 2008 vigono nell’U-
nione disposizioni che consentono a qualun-
que soggetto della catena logistica internazio-
nale che svolga attività soggette alla disciplina
doganale di vedersi riconosciuta la qualifica di
A.E.O., a prescindere dalla figura che in questa
tale soggetto assuma, sia dunque produttore,
commerciante, vettore, operatore logistico,
rappresentante doganale, depositario, espor-
tatore e/o importatore, e a prescindere dalla
“dimensione” aziendale dello stesso. I requisiti
previsti per la concessione dello status di A.E.O.
di cui all’art. 39 del Codice dell’Unione sono,
infatti, tarati anche tenendo conto di queste
variabili preliminari.
Tali requisiti sono in linea generale:
a) assenza di violazioni gravi o ripetute del-
la normativa doganale e fiscale, compresa
l’assenza di trascorsi di reati gravi in rela-
zione all’attività economica del richieden-
te;
b) dimostrazione, da parte del richiedente,
di un alto livello di controllo sulle sue ope-
razioni e sul flusso di merci, mediante un
sistema di gestione delle scritture com-
merciali e, se del caso, di quelle relative ai
trasporti, che consenta adeguati controlli
doganali;
c) solvibilità finanziaria, che si considera com-
provata se il richiedente si trova in una si-
tuazione finanziaria sana, che gli consente
di adempiere ai propri impegni, tenendo in
debita considerazione le caratteristiche del
tipo di attività commerciale interessata;
d) il rispetto di standard pratici di competen-
za o qualifiche professionali direttamente
connesse con l’attività svolta con riguardo
ai soggetti che intendano ottenere sempli-
ficazioni doganali;
e) l’esistenza di adeguati standard di scurez-
za, che si considerano rispettati se il richie-
dente dimostra di disporre di misure ido-
nee a garantire la sicurezza della catena
internazionale di approvvigionamento an-
che per quanto riguarda l’integrità fisica e
i controlli degli accessi, i processi logistici
e le manipolazioni di specifici tipi di merci,
il personale e l’individuazione dei partner
commerciali con riferimento ai soggetti
che intendano ottenere semplificazioni at-
tinenti alla sicurezza.
Esistono dunque due figure di A.E.O., A.E.O.-C
(ove C sta per custom) per i soggetti che aspi-
rino a semplificazioni doganali, e A.E.O.-S (ove
S sta per security) per quelle in tema di sicu-
rezza, che potendosi cumulare tra loro in una
terza figura consentono l’ottenimento dello
status A.E.O.-F (full) che prevede entrambe le
tipologie di agevolazioni.
Coloro che aspirino a vedersi certificata dalla
dogana la propria compliance devono presen-
tare apposita domanda all’Ufficio delle Doga-
ne in cui ha sede la propria attività principale
connessa e soggetta alla disciplina doganale,
dunque non necessariamente, ad esempio, il
luogo ove il soggetto ha la sede legale. La do-
manda, redatta su apposito formulario e corre-
data da una serie di documenti, attiva la proce-
dura amministrativa di pre-audit, a cui l’Ufficio
dà corso attraverso una serie di incontri presso
la sede del richiedente che con questi vengono
concordati. Durante le visite i funzionari del-
la dogana procedono alla verifica dei requisiti
così come sopra definiti, avendo riguardo alla
specificità di ciascun soggetto, della tipolo-
gia della sua attività e della figura che questo
svolge nell’ambito della supply chain. Questi
accertamenti, vale la pena ricordarlo, non
hanno natura di verifica ispettiva. La dogana
al contrario procede al riscontro del grado di af-
fidabilità del richiedente valutandone l’attivi-
tà in tema di rischi potenziali ed effettivi, loro
eventuale impatto e contromisure che sono
previste per contrastare e gestire le criticità.
Esemplificando, il soggetto deve dimostrare
di:
•	 avere adeguata e comprovata osservanza
degli obblighi di natura doganale, ovvia-
mente;
•	 operare con un sufficiente grado di organiz-
zazione, possibilmente attraverso l’adozio-
ne di specifiche procedure scritte, monito-
rate ed aggiornate periodicamente;
•	 gestire le proprie attività in modo da con-
sentire all’autorità doganale controlli rapi-
di ed efficaci;
•	 avere un sistema contabile che correli ed
agevoli tali controlli;
•	 essere di comprovata solvibilità finanziaria;
•	 gestire adeguatamente gli aspetti connessi
alla sicurezza, intesa nel modo più ampio
della doppia accezione in lingua inglese,
safety & security.
Lo strumento operativo di approccio alla verifi-
ca autonoma della sussistenza di questi requi-
siti che il richiedente può utilizzare è il “Que-
7| gennaio 2016
stionario di autovalutazione”, una check-list
ove evidenziare fino a che punto la propria at-
tività incontra le attese dell’Ufficio che dovrà
asseverarne il livello di affidabilità.
Al termine dell’attività di pre-audit, se l’esito è
positivo l’Ufficio trasmette i risultati alla Dire-
zione nazionale che provvede al rilascio della
certificazione, che non ha un periodo di validi-
tà o un termine di scadenza, ma è soggetta a
periodici post-audit che l’Ufficio pone in essere
per la verifica della permanenza dei requisiti
riscontrati in sede di rilascio ed eventualmente
del loro miglioramento, con possibilità di incre-
mentare l’entità dei benefici per l’A.E.O.
I vantaggi della certificazione
Venendo ai vantaggi connessi allo status, que-
sti si sostanziano in:
•	 riduzione dei controlli fisici e documentali
connessi alle operazioni doganali;
•	 una sorta di “corsia preferenziale” per il
trattamento delle spedizioni se queste ven-
gono selezionate per verifiche dal Circuito
Doganale di Controllo, il sistema di gestio-
ne informatizzato delle operazioni doganali
attraverso, si noti il caso, l’analisi dei rischi
connessi alle stesse: l’A.E.O. ha titolo per
veder sottoposta a controllo la propria ope-
razione prima di ogni altro operatore non
certificato;
•	 possibilità che i controlli, se la dogana for-
nisce il proprio assenso, avvengano in un
luogo diverso da quello in cui essi vengono
disposti, consentendo all’A.E.O. di vederli
svolti in tempi minori e/o a costi inferiori;
•	 accesso più rapido alle altre semplifica-
zioni, agevolazioni o autorizzazioni in am-
bito doganale: poiché lo status A.E.O. è la
certificazione apicale in ambito doganale,
ricomprende il possesso di tutti i requisi-
ti delle altre (con riguardo in tale contesto
alle tipologie C ed F, non essendo previsto
per il tipo S il soddisfacimento degli aspetti
doganali);
•	 numero di dati ridotto per le “dichiarazio-
ni sommarie” che vanno presentate prima
dell’arrivo o dell’uscita delle merci dal terri-
torio comunitario per consentire la preven-
tiva analisi dei rischi;
•	 notifica preventiva degli eventuali controlli
disposti sulle merci notificati in arrivo o in
uscita.
Agli aspetti più strettamente operativi e pratici
che possono godere dei vantaggi della certifi-
cazione, si aggiungono alcuni vantaggi indi-
retti, non meno degni di nota.
Al fine di dimostrare il proprio grado di affida-
bilità, il richiedente ha la possibilità di imple-
mentare al meglio le proprie procedure e le
proprie attività. Ottimizzando i processi interni
l’operatore economico migliora la propria vi-
sibilità nella catena di approvvigionamento e
ragionevolmente raggiunge obiettivi più ampi
e più rapidamente dei propri concorrenti meno
organizzati.
Altre ripercussioni positive possono essere: il
miglioramento della sicurezza sul luogo delle
attività; l’incremento dell’utilizzo e degli inve-
stimenti in tecnologia; una formazione e un
aggiornamento periodico e continuo del perso-
nale con conseguente aumento delle compe-
tenze e delle risorse; migliore comunicazione e
maggiore fluidità delle informazioni all’interno
dei diversi enti aziendali; una più ampia visibi-
lità e riconoscibilità come “partner affidabile e
sicuro” della catena di approvvigionamento in-
ternazionale, amplificata dai mutui riconosci-
menti delle certificazioni doganali tra i diversi
Paesi.
A quanto sopra va aggiunta la possibilità di
un rapporto più diretto e una migliore rela-
zione con le dogane, attraverso la figura del
client coordinator che costituisce il punto di
riferimento per gli A.E.O. residenti nel territo-
rio di competenza dell’Ufficio: un funzionario,
normalmente il responsabile del team di audit,
che fa da interfaccia per qualunque questione
l’A.E.O. necessiti sottoporre alla dogana.
Anche altre autorità pubbliche possono ricono-
“Esistono due figure di A.E.O.,
A.E.O.-C (ove C sta per
custom) per i soggetti che
aspirino a semplificazioni
doganali, e A.E.O.-S (ove S sta per
security) per quelle in tema di
sicurezza, che potendosi
cumulare tra loro in una terza
figura consentono
l’ottenimento dello status
A.E.O.-F (full) che prevede
entrambe le tipologie di
agevolazioni”
8 gennaio 2016 |
scere la valenza dello status di AEO.
È il caso ad esempio dell’accordo tra l’Agenzia
delle Dogane e l’ENAC-Ente Nazionale per l’A-
viazione Civile, relativo allo scambio di dati che
consente di allineare il programma A.E.O. con
quelli di Agente Regolamentato (RA) e Mitten-
te Conosciuto (KC), razionalizzando le attività
di verifica ed evitando la duplicazione dei con-
trolli per i soggetti certificati.
Sono altresì stati già attivati alcuni mutui ri-
conoscimenti dei rispettivi programmi di cer-
tificazione doganale tra l’Unione Europea e il
Giappone, gli Stati Uniti d’America e la Cina, li-
mitatamente ai soggetti titolari AEO-S e AEO-F.
Sono in corso di attuazione quelli con altri Pa-
esi. Attualmente la certificazione è rilasciata
con 2 soli livelli di affidabilità: A (affidabile) e
AA (altamente affidabile).
La connessa riduzione dei controlli fisici e do-
cumentali va rispettivamente dal 10 al 50% e
dal 50 al 90%.
È utile precisare che i benefici connessi alla
certificazione A.E.O. riguardano esclusiva-
mente il titolare dello status, inteso come
singolo operatore economico, e non si esten-
dono in alcun modo ad altri soggetti a lui in
qualche modo legati. Per chiarire, società ap-
partenenti al medesimo gruppo non godranno
delle agevolazioni concesse ad una di esse che
fosse titolare A.E.O., né i clienti o i fornitori di
un soggetto A.E.O. beneficeranno delle facilita-
zioni a lui riservate.
La ratio di ciò è che si aspira all’incremento
dell’affidabilità di ogni singolo anello della
catena di approvvigionamento: lungo di essa
i soggetti non certificati rappresenteranno gli
anelli deboli, dove i flussi rallenteranno gene-
rando presumibilmente costi addizionali con-
nessi ai maggiori potenziali rischi di cui l’auto-
rità doganale deve tenere conto.
A distanza di ormai quasi otto anni l’esisten-
za della certificazione è abbastanza nota agli
operatori economici, seppure con gradi diversi
di approfondimento. I numeri dei soggetti che
l’hanno ottenuta resta ancora molto ridotto in
realtà. In tutta l’Unione sono meno di 14000
i soggetti certificati, in Italia meno di 1000, a
fronte dei quasi 800 in Polonia, dei poco meno
di 1300 della Francia, degli oltre 1400 olandesi
e degli oltre 5600 presenti in Germania (dati a
fine ottobre 2015). Se immaginiamo il numero
delle imprese che in ognuno di questi Paesi ef-
fettua scambi con l’estero o attività comunque
disciplinate dalla normativa doganale, coloro
che hanno richiesto ed ottenuto lo status di
A.E.O. costituiscono una vera e propria élite.
Le ragioni di questo esiguo numero di certifi-
cazioni rapportato alla generalità degli attori
della catena di approvvigionamento interna-
zionale sono diverse.
9| gennaio 2016
Certamente si tratta di una possibilità a dispo-
sizione delle imprese relativamente recente,
e quindi implicitamente non compiutamente
nota all’intera platea degli operatori economi-
ci.
Per quanti ne conoscono l’esistenza, la relativa
procedura amministrativa necessaria al rilascio
dello status può apparire ostica, o come molto
onerosa in termini di investimenti in infrastrut-
ture necessari, o più semplicemente priva di un
reale conveniente rapporto costi/benefici.
Asserire che i vantaggi siano parimenti eviden-
ti, eclatanti e dirimenti per qualunque sogget-
to che ottenesse la certificazione sarebbe una
generalizzazione del tutto inappropriata. Ciò
non di meno, i riscontri ottenuti dalle aziende e
verificati dall’Ufficio anche in sede di post-au-
dit , con particolare riferimento ai titolari A.E.O.
che hanno usufruito delle ulteriori agevolazio-
ni connesse ed implicitamente soddisfatte.
Si aggiunga che, sempre in misura maggiore,
provengono sollecitazioni per l’ottenimento
della certificazione da parte dei propri partner
internazionali, i quali beneficerebbero del fat-
to di intrattenere rapporti commerciali con un
soggetto degno della fiducia dell’amministra-
Documenti disponibili per gli abbonati Premium Plus
•	 Reg. CE 648/2005
•	 Reg. CE 450/2008 (Nuovo Codice Doganale)
•	 Reg. CE 2454/1993
•	 Reg. CE 1875/2006
•	 TAXUD/2006/1450
•	 TAXUD/B2/047/2011 –Rev. 5
•	 Questionario di Autovalutazione A.E.O.
•	 Note esplicative questionario di Autovalutazione A.E.O.
zione doganale.
La globalizzazione non è ormai più una novi-
tà. Le imprese, anche loro malgrado, si trovano
sempre più massicciamente a dover affronta-
re i nuovi scenari degli scambi internazionali.
L’informatizzazione e l’utilizzo del web sono re-
altà fattuali ed operative che hanno permeato
non solo l’attività delle imprese, ma anche le
modalità con cui le pubbliche autorità provve-
dono ai propri compiti istituzionali, ivi compre-
so il presidio doganale attraverso una moderna
e razionale “analisi dei rischi” che, un passo
dopo l’altro, ha consentito l’instaurazione di
procedure di pre-clearing o l’attivazione, allo
stato sperimentale, dei cosiddetti fast-corridor
ferroviari e stradali per l’alleggerimento dei
porti nei tempi più rapidi possibili.
Anche grazie alle sollecitazioni e indicazioni
decise in ambito internazionale cui si faceva
riferimento più sopra, sono stati messi a dispo-
sizione dei soggetti economici strumenti con-
cepiti ed implementati da un lato per garantire
la sicurezza dei flussi, e dall’altro per esplicita-
mente evitare di penalizzare l’attività di chi è
degno di fiducia.
La certificazione A.E.O. rappresenta oggi il via-
tico per la razionalizzazione dei processi e de-
gli aspetti doganali connessi all’attività d’im-
presa, garantendo l’uso ottimale delle risorse
interne, l’eliminazione o quanto meno la dra-
stica riduzione dei costi connessi ai controlli
cui potrebbero soggiacere le merci, ma anche e
soprattutto la conoscenza delle possibili criti-
cità e l’adozione delle relative azioni correttive
volte ad evitare incidenti di natura fiscale, am-
ministrativa, commerciale, logistica e gestio-
nale in generale.
“Ottimizzando i processi interni
l’operatore economico migliora
la propria visibilità nella catena
di approvvigionamento e
ragionevolmente raggiunge
obiettivi più ampi e più
rapidamente dei propri
concorrenti meno organizzati”
10 gennaio 2016 |
Accordo di libero scambio
UE-Canada
Nell’ottobre del 2014, dopo quattro anni di trat-
tative, l’Unione Europea ed il Canada hanno
raggiunto un’intesa di principio su un accordo
di libero scambio denominato Comprehensive
Economic Trade Agreement – CETA.
“L’UE è il secondo partner commerciale del Ca-
nada dopo gli USA. Nel 2013 l’UE ha esportato
verso il Canada merci per 31,6 miliardi di EUR
e ha assorbito merci canadesi per un valore di
27,3 miliardi di EUR. Sempre nello stesso anno
il Canada si è classificato al 12° posto tra i par-
tner commerciali internazionali dell’Unione. Gli
scambi di servizi tra l’UE e il Canada hanno re-
gistrato una lieve flessione nel 2013 rispetto al
2012. Nel 2013 le esportazioni di servizi dall’UE
verso il Canada hanno raggiunto quota 16,3 mi-
liardi di EUR, mentre le importazioni nell’Unio-
ne di servizi provenienti dal Canada sono state
valutate a 9,9 miliardi di EUR.” (fonte: www.eu-
roparl.europa.eur).
Come per gli altri accordi che, negli anni, l’U-
nione ha sottoscritto con altri Paesi, l’obiet-
tivo è quello di abbattere la maggior parte
delle barriere tariffarie oggi in essere. All’en-
trata in vigore dell’Accordo verranno annulla-
ti il 98% dei dazi attualmente applicati per le
merci non-agricole, mentre per queste ultime
si arriverà al 94% di prodotti “duty free”. L’ac-
cordo di massima sottoscritto prevede 7 princi-
pali punti: beni non agricoli, beni agricoli, ser-
vizi ed investimenti, appalti pubblici, proprietà
intellettuale, risoluzione delle controversie e
sviluppo sostenibile.
Ferma restando una generale maggiore compe-
titività che l’Accordo dovrebbe comportare per
le imprese europee e canadesi, i dettagli sui
termini dello stesso sono ancora troppo vaghi
per quantificare con una certa precisione la po-
tenzialità che esso dovrebbe liberare.
Come spesso accade, una parte dei soggetti
economici trarrà ragionevolmente ottimi van-
taggi dall’abbattimento delle barriere tariffa-
IN SINTESI, LE PRINCIPALI
NOTIZIE UTILI PER GLI OPERATORI
IMPORT/EXPORT
a cura di Hermes s.n.c.
11| gennaio 2016
rie. Per le imprese che esportano, l’eliminazione
dei dazi comporterà una maggiore appetibilità
per i prodotti agroalimentari in generale e per
pesce e frutti di mare in particolare, oltre al
libero accesso per la silvicoltura e prodotti di
legno, nichel, acciaio, rame e zinco. Anche il
mercato dei servizi potrà vedersi aperta la stra-
da a maggiore competitività e a migliori servizi
professionali. D’altro canto, i soggetti che ad
oggi beneficiano di una sorta di protezionismo
implicito all’applicazione dei dazi si vedranno
posti in competizione con prodotti che saranno
importabili ad un costo più basso, tra questi
formaggi, vini e veicoli a motore, che sono tra i
principali beni d’esportazione dall’Italia al Ca-
nada.

Iran e sanzioni
Lo scorso 24 luglio a Vienna è stato siglato,
tra il gruppo dei Paesi cosiddetti 5+1 (USA, Re-
gno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina) e
l’Iran, il Joint Comprehensive Plan of Action
(Piano d’azione congiunto globale – “JCPOA”).
Tale accordo comprende un testo principale e
cinque allegati tecnici (questi ultimi sul nucle-
are, le sanzioni, la cooperazione energetica sul
nucleare civile, una commissione congiunta e
l’implementazione). Nel dettaglio, l’allegato
V sull’implementazione del JCPOA delinea un
percorso a tappe, con modalità e tempi neces-
sari per la completa attuazione, prevedendo al
contempo la progressiva revoca delle vigenti
misure restrittive nei confronti dell’Iran, tan-
to da parte dell’ONU che dell’Unione Europea
e degli USA.
Con particolare riferimento a detto allegato V,
la roadmap prevede le seguenti 5 tappe.
1. FINALISATION DAY (14 luglio 2015)
Data prevista per l’approvazione del JCPOA da
parte dei Paesi 5+1 e Iran, avvio delle pratiche
per l’endorsement del JCPOA da parte del Con-
siglio di Sicurezza ONU e per la definizione dei
dettagli delle misure di controllo sulle attività
nucleari tra l’Agenzia internazionale dell’ener-
gia atomica (AIEA) e il governo iraniano.
Il 14 luglio 2015 la UE ha prorogato di ulteriori
6 mesi le misure del Piano d’azione congiunto
del 24 novembre 2013, che sarebbero scadute
lo scorso luglio 2015, fino al 14 gennaio 2016.
L’attuazione del Piano d’azione congiunto ha
comportato, a far tempo dal 21 gennaio 2014, la
sospensione delle restrizioni riguardanti il di-
vieto di prestare servizi di assicurazione, riassi-
curazione e trasporto petrolifero, quelle riguar-
danti l’importazione, l’acquisto ed il trasporto
di prodotti petrolchimici iraniani e la presta-
zione dei relativi servizi connessi, oltre a quelli
concernenti il commercio di oro e preziosi.
2. ADOPTION DAY (18 ottobre 2015)
Data di entrata in vigore del JCPOA e defini-
zione degli adempimenti necessari alla sua at-
tuazione, cui sono collegate le seguenti azioni:
l’Iran notifica all’AIEA che applicherà tempora-
neamente il Protocollo aggiuntivo al Trattato
di non proliferazione (c.d. regime potenziato
delle ispezioni) a partire dall’Implementation
day; l’Unione Europea adotta un regolamento
per la revoca di alcune restrizioni con efficacia
sempre a partire dall’Implementation day; gli
USA si impegnano ad eliminare altre restrizioni
minori a partire dalla stessa data.
3. IMPLEMENTATION DAY (verosimilmente:
prima metà del 2016)
Simultaneamente: l’AEIA verifica il rispetto de-
gli impegni iraniani, l’UE e gli USA abrogano al-
cune sanzioni previste all’Allegato II del JCPOA
e l’ONU revoca tutte le vigenti risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza.
4. TRANSITION DAY (8 anni dopo l’Adoption
day)
Eliminazione da parte dell’UE e degli USA delle
rimanenti sanzioni e ratifica da parte dell’Iran
di un Protocollo aggiuntivo al Trattato di non
proliferazione nucleare.
5. TERMINATION DAY (10 anni dopo l’ Adop-
tion day)
Termine del JCPOA e abrogazione del Reg. (UE)
NOTIZIE
IN BREVE
12 gennaio 2016 |
n. 267/2012.
L’UE e le restrizioni alla Russia
Il 22 giugno 2015, formalizzando una decisione
già presa a livello di rappresentanti permanen-
ti, il Consiglio dell’Unione Europea ha proro-
gato di ulteriori sei mesi le misure restrittive
adottate nei confronti della Russia a seguito
della crisi ucraina con Reg. (UE) n. 833/2014 e
sue successive modifiche ed integrazioni inter-
venute con i Reg. (UE) n. 960/2014 e Reg. (UE) n.
1290/2014.
Dette misure riguardano principalmente:
•	 le restrizioni sulle esportazioni di beni e
tecnologie duali che, si rammenta, ineri-
scono prodotti che potrebbero essere de-
stinati, in tutto o in parte, ad un uso non
civile ma militare o comunque destinati ad
un utilizzatore militare della Federazione
russa;
•	 il divieto di esportare ed importare mate-
riale d’armamento e tecnologie correlate;
•	 l’obbligo di autorizzazione preventiva per la
vendita, la fornitura, il trasferimento e l’e-
sportazione di taluni prodotti e tecnologia
del settore petrolifero in Russia;
•	 le limitazioni all’accesso al mercato pri-
mario e secondario dei capitali dell’Unione
per i primi cinque enti finanziari russi, di
proprietà statale, e per le loro filiali con-
trollate a maggioranza stabilite al di fuori
dell’UE, nonché per le tre maggiori società
del comparto energetico e le tre operanti
nel settore della difesa.
Il Consiglio già dallo scorso mese di marzo
aveva deciso di legare l’ammorbidimento o la
riduzione delle misure alla completa attuazio-
ne da parte russa degli accordi di Minsk, volti
alla cessazione delle azioni militari in Ucraina
orientale.
Tuttavia recentemente i rappresentanti del G7
si sono comunque riservati di inasprire ed au-
mentare le sanzioni a carico della Russia, in
ragione del persistere delle sue azioni desta-
bilizzanti nell’area. A ciò si aggiunga la recen-
te ulteriore delicatissima crisi susseguente
all’abbattimento, da parte delle forze di difesa
turche, di un aereo da caccia russo impegnato
sul teatro di guerra siriano, che non fa certo
ben sperare per il distendersi dei rapporti.
Le misure restrittive europee resteranno
dunque in vigore almeno fino al 31 gennaio
2016.
In risposta a quella che è stata considerata
una illegale annessione della Crimea e di Se-
bastopoli da parte della Federazione Russa, la
UE ha prorogato in data 19 giugno 2015 fino al
23 giugno 2016 l’efficacia delle sanzioni e del-
le misure restrittive nei confronti della Russia
adottate con Reg. (UE) n. 692/2014. Tra gli altri,
esse prevedono il divieto agli investimenti in
Crimea o a Sebastopoli e alle esportazioni di
taluni beni e tecnologie ivi diretti o destinate
ad imprese di quell’area operanti nel settore
dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’e-
nergia, riguardanti la prospezione, l’esplorazio-
ne e la produzione nel settore oil & gas.
Il nuovo ravvedimento operoso
limitato per i tributi doganali
La scorsa Legge di stabilità 2015 ha rinnova-
to in modo rilevante la disciplina del ravvedi-
mento operoso, introducendo più ampi termini
tanto per le modalità che per l’applicazione di
questo istituto.
Una consistente riduzione delle sanzioni è sta-
ta prevista per gli omessi versamenti, anche
oltre il previgente termine di un anno dalla
regolarizzazione, con un aumento progressi-
vo dell’onerosità delle stesse in ragione della
tempestività del versamento tardivo. Si è an-
che prevista la riduzione a 1/5 del minimo della
sanzione nei casi in cui il pagamento avvenga
dopo la constatazione della violazione con pro-
cesso verbale e pure per quegli errori e/o omis-
sioni che abbiano inciso sulla determinazione
del tributo.
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 13 del D.Lgs.
472/1997 (“Disposizioni generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di
norme tributarie”) riscritto in occasione del-
la succitata Legge di stabilità espressamente
prevede che “le disposizioni di cui al comma
1, lettere b-bis) e b-ter), si applicano ai tributi
amministrati dall’Agenzia delle entrate”. Ne
deriva che l’ambito oggettivo di applicazione
della disposizione risulta espressamente cir-
coscritto ai tributi di competenza dell’Agenzia
delle Entrate, e quindi non anche quello con-
cernente i diritti doganali.
Non così chiara è apparsa la possibilità di po-
ter beneficiare, per i diritti amministrati dalla
13| gennaio 2016
dogana, della regolarizzazione anche dopo la
redazione di processo verbale di constatazione
delle violazioni o omissioni, di cui al comma
1-ter. La nota dell’Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli n. 89853/RU del 18/08/2015, a tale
riguardo precisa che pur essendo prevista una
deroga alla generale preclusione di poter adire
al ravvedimento operoso anche nei casi in cui
la violazione sia già stata constatata e siano
iniziati accessi e verifiche o altri accertamenti
di cui l’autore della violazione sia formalmente
a conoscenza, salva la notifica formale di un
atto di liquidazione o accertamento o il rice-
vimento di comunicazione di irregolarità, essa
va intesa come limitata espressamente ai tri-
buti su cui ha competenza l’Agenzia delle En-
trate. Quanto disposto al comma 1-ter riguardo
all’applicazione di tutte le disposizioni dell’art.
13 del D.Lgs. 472/1997 induce a ritenere che an-
che quanto previsto alla lettera b-quater del
comma 1 debba intendersi riferita esclusiva-
mente ai tributi dell’Agenzia delle Entrate. Così
è stato infatti confermato anche in occasione
di incontro periodico con l’Avvocatura Generale
dello Stato.
A diverse conclusioni si deve invece giungere
con riguardo al contenuto della nuova lettera
a-bis) del comma 1 dell’art. 13, il quale ammet-
te la possibilità che la sanzione si riduca “ad
un nono del minimo se la regolarizzazione de-
gli errori e delle omissioni, anche se incidenti
sulla determinazione o sul pagamento del tri-
buto, avviene entro il novantesimo giorno suc-
cessivo al termine per la presentazione della
dichiarazione, ovvero, quando non è prevista
dichiarazione periodica, entro novanta giorni
dall’omissione o dall’errore”. Secondo la nota
delle dogane n. 89853/RU/2015 non si vedono
motivi per i quali questa possibilità non pos-
sa vedersi riconosciuta anche per i tributi do-
ganali, trattandosi di un principio generale di
graduazione delle sanzioni amministrative che
unitamente a proporzionalità ed effettività è
costantemente affermato anche dalla Corte di
Giustizia UE, oltre ad essere fissato all’art. 42
del Reg. (UE) n. 952/2013 che ha istituito il nuo-
vo Codice doganale dell’Unione.
La medesima nota dell’Agenzia delle Dogane
e dei Monopoli, anche su questo punto con il
conforto del parere dell’Avvocatura Generale,
ribadisce all’ultimo paragrafo che comunque
continua a trovare applicazione l’istituto do-
ganale della revisione dell’accertamento su
istanza di parte che dà diritto alla non appli-
cazione di sanzioni alle medesime condizioni
sopra indicate (constatazione della violazione
non ancora avvenuta e accessi, ispezioni, veri-
fiche o altre attività amministrative di accerta-
mento non già poste in essere).
14 gennaio 2016 |
Nel nostro meraviglioso Paese accade, di tanto
in tanto, che anche il legislatore dia prova di
quella fantasia ed inventiva che, nel mondo, ci
ha sempre contraddistinto.
Così, contrariamente a quanto avviene da parte
di altre Amministrazioni, ottenere un rimborso
per un credito IVA. può comportare tempi deci-
samente molto lunghi. Per ovviare parzialmen-
te a tale problema, vige da noi un meccanismo
che consente a determinati soggetti di poter
parzialmente recuperare tale credito, evitando
l’apposita istanza di rimborso o compensa-
zione.
Questa possibilità è prevista per i contribuenti
che nell’anno solare precedente, o nei 12 mesi
precedenti, abbiano registrato esportazioni,
cessioni intracomunitarie e altre operazioni
assimilate per un ammontare superiore al 10%
del proprio volume di affari. Questa possibilità
vige anche per i soggetti passivi non residenti
che abbiano nominato in Italia un rappresen-
tante fiscale o che si siano identificati diret-
tamente (risoluzioni 21 giugno 1999, n. 120/E e
4 agosto 2011, n. 80/E). Per contro non posso-
no avvalersi di questo sistema i soggetti che
abbiano iniziato l’attività da meno di un anno
e coloro che non possono esercitare il diritto
alla detrazione (e.g.: produttori agricoli in re-
gime speciale di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72;
contribuenti minimi). Il “volume di affari IVA”
consta dell’ammontare delle operazioni impo-
nibili, non imponibili, esenti (al netto di beni
ammortizzabili materiali e di beni immateriali:
diritti per brevetti industriali, di utilizzazione
di opere dell’ingegno, di concessioni, licenze,
marchi di fabbrica) registrate o nell’anno so-
lare precedente, in tal caso tale ammontare è
definito “plafond fisso”, o nei 12 mesi prece-
denti, definendosi in tal caso l’ammontare to-
tale “plafond mobile”. Ciò che va considerato
per la qualifica di esportatore abituale è invece
il volume d’affari IVA “rettificato”, corrispon-
dente al volume d’affari IVA a cui vanno detrat-
te le cessioni di beni in transito, le cessioni di
beni immagazzinati in luoghi sotto vigilanza
doganale (depositi doganali) e le operazioni
extraterritoriali di cui all’art. 21, co. 6-bis, lett.
a) e b) del DPR 633/72. Dal 1° gennaio 2013 l’ob-
bligo di emissione della fattura per operazioni
extraterritoriali è stato esteso alle cessioni di
NUOVO MODELLO DI
DICHIARAZIONE DI
INTENTO PER ESPORTATORI
ABITUALI
di Massimiliano Mercurio
15| gennaio 2016
beni e prestazioni di servizi (diverse da quelle
di tipo finanziario, bancario, creditizio e assicu-
rativo di cui all’art. 10 del DPR 633/72) rese nei
confronti di altro soggetto passivo residente
nella UE, quali le cessioni di beni di cui all’art.
7-bis e le prestazioni di servizio non soggette
ad IVA di cui all’art.7 da 7-ter a 7-quinquies, e a
quelle rese nei confronti di soggetti non resi-
denti nella UE.
La verifica della sussistenza dei requisiti per
la qualifica di esportatore abituale deve essere
riferita alle operazioni “registrate”: rientrano
Esportazioni dirette art.8, c. 1, lett. a) DPR 633/72 art. 8, c. 1, lett. a) DPR 633/72
Esportazioni dirette triangolari 633/772 art. 8, c. 1, lett. a) DPR 633/72
Esportazioni indirette (uscita a cura del cessionario non residente
entro 90 dalla consegna) 633/72
art. 8, c. 1, lett. b) DPR 633/72
Cessioni verso San Marino e Città del Vaticano art. 71, c. 1, DPR 633/72
Cessioni di beni destinati ad essere impiegati nel mare territoriale
a piattaforme di perforazione e sfruttamento
art. 8, c. 5, DPR 633/72
Operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione “effettuate
nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa” 633/72
art. 8-bis, c. 1, DPR 633/72
Servizi internazionali art. 9, c. 1, DPR 633/72
Cessioni e prestazioni nei confronti di consolati, ambasciate, basi
NATO, ONU, comandi militari ecc.
art. 72 DPR 633/72
Cessioni intracomunitarie art. 41 DL 331/93
Cessioni intracomunitarie triangolari art. 41 DL 331/93
Cessioni intracomunitarie interne triangolari art. 58 c. 1 DL 331/93
Cessioni intra-UE di beni prelevati da deposito IVA con trasporto e
spedizione in altro Paese UE 331/93
art. 58-bis, c. 4 lett. f DL 331/93
Margini positivi delle esportazioni non imponibili di beni usati (c.d.
regime del margine)
art. 37, c. 1 DL 41/95
ISTRUZIONI OPERATIVE,
PRASSI E NORMATIVA
Tabella 1
pertanto nel calcolo le fatture emesse antici-
patamente alla consegna della merce e quelle
per il pagamento di acconti, ma non le fatture
differite.
riferita alle operazioni “registrate”: rientrano
pertanto nel calcolo le fatture emesse antici-
patamente alla consegna della merce e quelle
per il pagamento di acconti, ma non le fatture
differite.
Riepilogando, le operazioni che concorrono alla
formazione del plafond sono quelle riportate
nella tabella 1.
Al contrario, NON concorrono alla costituzione
del plafond le operazioni riportate nella Tabella
2.
16 gennaio 2016 |
Cessioni di beni e prestazioni di servizi ad esportatori abituali art. 8, c. 1 lett. c) DPR 633/72
Cessioni a viaggiatori extracomunitari art. 38-quater, c. 1 DPR 633/72
Cessioni di beni in transito doganale o depositati in luoghi soggetti
a vigilanza doganale
art. 7-bis DPR 633/72
Cessioni di beni destinati a un deposito IVA art. 50-bis, c. 4, lett. c)-d) DL
331/93
Cessioni di beni all’interno di un deposito IVA e relative prestazioni
di servizio
art. 50-bis, c. 4, lett. e)-h) DL
331/93
Trasferimenti di beni da un deposito IVA ad un altro art. 50-bis, c. 4, lett. i DL 331/93
Cessione di beni e prestazioni accessorie per finalità umanitarie art. 14 c. 4 L. 49/87, DM 379/88
La quota parte dei corrispettivi corrispondente al prezzo di acquisto
nelle operazioni effettuate col regime di margine
art. 37, c. 1 DL 41/95
Prestazioni di servizio rese fuori dall’UE da agenzie di viaggio e
turismo (regime speciale del DM 340/99)
art. 74-ter DPR 633/72
Tutte le cessioni e prestazioni di servizi extraterritoriali che dal 1o
gennaio 2013 concorrono al volume d’affari IVA
artt. da 7-bis a 7-quinquies ai sensi
dell’art. 21 c. 6-bis DPR 633/72
Esportazioni gratuite di beni oggetto dell’attività di impresa art. 8, c. 1 lett. a) DPR 633/72
Esportazioni gratuite di campioni di modico valore, appositamente
contrassegnati e non destinati alla vendita oggetto dell’attività di
impresa
art. 2, c. 3 lett. d) DPR 633/72
Esportazioni gratuite di beni non oggetto della attività di impresa
se di valore non superiore a 50 euro
art. 2, c. 2 DPR 633/72
Esportazioni gratuite di beni estranei all’attività di impresa di
costo unitario inferiore a 50 euro per i quali sia stata operata in
acquisto o importazione la detrazione dell’imposta
art. 2, c. 2 DPR 633/72
Come si diceva più sopra, l’esportatore ha fa-
coltà di scegliere tra due sistemi di calcolo del
plafond a sua disposizione. Questi differiscono
a seconda del periodo di riferimento preso in
esame, che per il c.d. “plafond fisso” (detto an-
che “plafond annuale”) riguarda le operazioni
registrate nell’anno solare precedente, mentre
per il c.d “plafond mobile” (detto anche “pla-
fond mensile”) riguarda le operazioni registra-
te nei 12 mesi precedenti. Questo secondo si-
stema risulta più complesso, in quanto occorre
verificare in ciascun mese sia la sussistenza
dello status di esportatore abituale, sia il re-
lativo plafond disponibile. Si rivela dunque di
maggiore utilità per quei soggetti che preve-
dano una crescita delle operazioni interessate,
e per coloro che abbiano iniziato l’attività da
almeno 12 mesi e che possono quindi utilizzare
il plafond già dal 13° mese, senza dover atten-
dere la chiusura dell’anno solare.
La scelta della tipologia di plafond viene ma-
nifestata dal contribuente a posteriori in occa-
sione del deposito della dichiarazione annuale
IVA dell’anno di riferimento al quadro VC.
È possibile passare da un tipo di plafond all’al-
tro, ma evidentemente una volta scelto uno dei
due va mantenuto fino al 1° gennaio dell’anno
Tabella 2
17| gennaio 2016
Documenti disponibili per gli abbonati Premium Plus
•	 Risoluzione del Ministero delle Finanze del 21 giugno 1999, n. 120/E
•	 Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 4 agosto 2011, n. 80/E
•	 D.P.R. 633/1972
•	 D.P.R. 322/1988
•	 Nota l’Agenzia delle Dogane del 20 maggio 2015
•	 Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 13 aprile 2015, n. 38
successivo, non essendo possibile cambiare ti-
pologia in corso d’anno.
Per disciplina generale, le variazioni dell’impo-
nibile che incidano in aumento sul fatturato
dell’operatore economico, che lo obbligano
quindi all’emissione di una fattura integrativa,
vanno computate con riguardo all’operazione
principale se la relativa fattura integrativa
è emessa nel corso dell’anno o entro quello
successivo. Sempre per disciplina generale,
le note di credito che riducano imponibile e
relativa imposta afferente sono facoltative,
ma vanno sempre a ridurre il plafond disponi-
bile. Pertanto se emesse nello stesso anno o
nell’anno successivo riducono il plafond dispo-
nibile dell’anno o dell’anno precedente, ma se
emesse in anni ancora successivi, diminuendo
il plafond dell’anno in cui è stata effettuata
l’operazione principale potrebbero causare il
c.d. “splafonamento”, cioè un utilizzo del pla-
fond senza capienza che porterebbe ad irrego-
larità e sanzioni.
Il contribuente esportatore abituale può quindi
utilizzare il plafond per acquistare o importare
senza addebito dell’imposta beni e servizi di
qualunque natura, inerenti l’attività di impre-
sa, con eccezione di fabbricati, aree edificabili
e in generale di beni e servizi con IVA indetrai-
bile. La limitazione prevista inizialmente dalla
norma che consentiva l’acquisto con utilizzo
del plafond esclusivamente di beni che sareb-
bero stati esportati tal quali o che sarebbero
entrati nel ciclo produttivo dell’impresa per
essere poi esportati sotto forma di altri beni è
stata superata.
Il momento di utilizzo del plafond è quello in
cui si considera effettuata l’operazione di ac-
quisto o importazione, non quello in cui si re-
gistra la fattura o la bolletta doganale.
Dall’11 febbraio 2015 vigono nuove modalità per
ciò che riguarda la consegna o l’invio al ceden-
te o prestatore della dichiarazione di intento,
cioè il documento con il quale l’esportatore
abituale acclara alla controparte la propria
volontà di avvalersi dell’utilizzo del plafond a
propria disposizione. Oggi le dichiarazioni van-
no trasmesse all’Agenzia delle Entrate esclu-
sivamente per via telematica, direttamente o
avvalendosi di soggetti abilitati a Entratel o Fi-
sconline, o per il tramite di soggetti incaricati
(art. 3 c. 2-bis e 3 DPR 322/98). Successivamen-
te all’invio telematico l’esportatore abituale
dovrà consegnare copia della dichiarazione di
intento e relativa ricevuta di trasmissione al
proprio fornitore, al quale compete l’onere di
effettuare la verifica che il documento risulti
a sistema attraverso la funzione “verifica rice-
vuta dichiarazioni di intento” o accedendo alla
sezione “comunicazioni” del cassetto fiscale.
Con la nota del 20/05/2015 l’Agenzia delle Do-
gane ha per parte sua dato il via libera alle
semplificazioni contenute nella risoluzione
38/E del 13/04/2015 con la quale l’Agenzia del-
le Entrate ha equiparato la procedura per le
dichiarazioni di intento prevista per le opera-
zioni interne con quella delle importazioni. Dal
25/05/2015 gli esportatori abituali che effettu-
ino operazioni di importazione possono utiliz-
zare un’unica dichiarazione di intento anche
per più dichiarazioni doganali, evitando anche
il deposito all’Ufficio delle Dogane della copia
della dichiarazione di intento e della relativa
ricevuta di presentazione. Ulteriori modifiche
al modello di dichiarazione di intento atten-
gono al campo 1 nel quale va indicato l’am-
montare “presunto” (e non più “effettivo”)
dell’imponibile dell’operazione doganale di
importazione (rendendo preferibile una stima
per eccesso piuttosto che per difetto) e l’indi-
cazione degli importi al centesimo di euro e
non più all’unità di euro.
18 gennaio 2016 |
Dal punto di vista doganale il concetto di ori-
gine assume due significati, a seconda che
si parli dell’origine tout court e ci si riferisca
all’origine comune, commerciale, non preferen-
ziale dei beni, oppure che si tratti di origine
preferenziale della merce.
Posto che la provenienza di un prodotto non
indica necessariamente anche l’origine dello
stesso, rimanendo questo un concetto geogra-
fico legato al luogo fisico in cui il prodotto me-
desimo è ottenuto, e posto altresì che tale con-
cetto di origine non attiene anche, come pure
in passato è parsa l’interpretazione di alcune
corti, al nome o al marchio più o meno noto, re-
gistrato o meno, del soggetto che direttamen-
te o attraverso terzi assume la veste giuridica
di “produttore”, occorre distinguere tra origine
non preferenziale ed origine preferenziale del-
le merci.
L’origine non preferenziale costituisce un dato
fondamentale delle dichiarazioni doganali. Agli
articoli 23 e seguenti del Codice doganale co-
munitario- CDC (Reg. (CEE) n. 2913/92) [oggi ne-
gli articoli 59 e seguenti del Codice doganale
dell’Unione, Reg. (UE) n. 952/2013] e agli articoli
35 e seguenti oltre che agli Allegato 9, 10 e 11
delle DAC-Disposizioni di Applicazione del Co-
dice (Reg. (CEE) n. 2454/93) viene disciplinato il
concetto di “origine non preferenziale” del-
le merci, intendendosi dunque il Paese ove il
bene risulti interamente ottenuto o nel quale
abbia subito la c.d. “ultima trasformazione so-
stanziale”.
L’“origine preferenziale” al contrario trova la
sua base giuridica agli articoli 27 e seguenti del
Codice del ’92 e oggi all’art.64 del Codice dell’U-
nione e agli articoli 66 e seguenti delle DAC.
L’applicazione di dettaglio è poi contenuta nei
regolamenti che, negli anni, hanno disciplinato
il “Sistema delle Preferenze Generalizzate” at-
tuato dall’Unione Europea in favore dei Paesi
meno sviluppati, oltre che negli Accordi sotto-
scritti con Paesi o gruppi di Paesi per il recipro-
co trattamento agevolato.
ORIGINE
PREFERENZIALE E
RESPONSABILITÀ
DELL’ESPORTATORE
di Massimiliano Mercurio
19| gennaio 2016
Scopo precipuo dell’origine preferenziale è
quello di consentire l’abbattimento dei dazi
all’importazione per quei prodotti che risultino
avere le caratteristiche richieste dalle rispetti-
ve regole.
Come peraltro avviene anche nella determina-
zione dell’origine non preferenziale, il punto di
partenza del ragionamento per determinare se
un prodotto possa dirsi “di origine preferenzia-
le” è la classificazione doganale delle merci.
Non si considerano mai idonee a conferire l’o-
rigine (non preferenziale né tanto meno prefe-
renziale) quelle operazioni che si definiscono
“lavorazioni minime”, contenute all’art. 38
delle DAC:
“a) le manipolazioni destinate ad assicurare la
conservazione dei prodotti tal quali durante
il trasporto e il magazzinaggio (ventilazione,
spanditura, essiccazione, rimozione di parti
avariate e operazioni affini);
b) le semplici operazioni di spolveratura, vaglia-
tura, cernita, classificazione, assortimento
(ivi compresa la composizione di serie di
prodotti), lavatura, riduzione in pezzi;
c) i) i cambiamenti d’imballaggio; le divisioni e
riunioni di partite;
ii) la semplice insaccatura, nonché il sem-
plice collocamento in astucci, scatole o su
tavolette, ecc., e ogni altra semplice opera-
zione di condizionamento;
d) l’apposizione sui prodotti e sul loro imbal-
laggio di marchi, etichette o altri segni di-
stintivi di condizionamento;
e) la semplice riunione di parti di prodotti per
costituire un prodotto completo;
f) il cumulo di due o più operazioni indicate
alle lettere da a) ad e).”
Per i prodotti interamente ottenuti, quelli
cioè che non hanno subito ulteriori lavorazioni
ma sono commercializzati così come coltivati,
allevati, cacciati, estratti dal sottosuolo o dai
fondali delle acque territoriali, o nelle stesse
acque pescati, elencati all’art. 23 del CDC, la
determinazione dell’origine è immediata.
Se invece un prodotto è ottenuto a seguito di
lavorazioni effettuate in due o più Paesi, o
utilizzando materie prime, componenti, se-
mi-lavorati non tutti originari del Paese in cui
avviene la lavorazione, si pone il problema di
determinare quale di queste operazioni di tra-
sformazione conferisca l’origine alle merci ot-
tenute e se gli input utilizzati rilevino e quanto
in questa determinazione.
Il concetto di “ultima lavorazione o trasfor-
mazione sostanziale” dell’art. 24 del CDC non
è sempre di facile definizione. Uno degli indi-
catori che spesso consente di affermare che il
prodotto sia originario di un determinato Pae-
se è il c.d. “salto di codice”, in cui per “codi-
ce” si intende riferirsi alla voce doganale del
prodotto ottenuto, ovvero le prime 4 cifre della
classificazione doganale delle merci. Così, se
un certo bene è ottenuto utilizzando materie
prime, componenti, semi-lavorati che abbiano
una classificazione doganale diversa rispetto
ad esso, può ragionevolmente dirsi che tale
bene è originario del Paese in cui è in tal modo
ottenuto: utilizzando qualcosa si ottiene un
bene che è qualcos’altro, quindi originario. In
altri casi, pur in assenza di un “salto di codi-
ce” a livello di voce doganale, la lavorazione o
trasformazione effettuata può comunque risul-
tare idonea a conferire l’origine del prodotto
ottenuto, avendo apportato un valore aggiunto
tale da poter far considerare il prodotto origi-
nario. In altri casi ancora l’origine di un prodot-
to è data dalla combinazione delle due ipotesi
di cui sopra, per cui in parte vi è un cambio di
voce doganale e in parte un certo apporto di
valore aggiunto.
Con riguardo all’origine non preferenziale, le
regole di origine sono contenute come detto
negli articoli da 23 in poi del Codice e negli ar-
ticoli da 60 in poi delle DAC oltre agli Allegati
9, 10 e 11 del medesimo Reg. (CEE) n. 2454/93.
L’Allegato 9 contiene le note introduttive per la
lettura e corretta comprensione dei due allega-
ti successivi. L’Allegato 10 riguarda la Sezione
XI della Tariffa Doganale Integrata della Comu-
nità (TARIC), quindi alle sole materie tessili ed
ai manufatti di queste. L’Allegato 11 contiene
le lavorazioni atte a conferire l’origine ad altri
prodotti industriali non compresi nella Sezione
XI, quindi diversi dalle materie e dai manufatti
tessili, ma consta di meno di una quarantina di
ISTRUZIONI OPERATIVE,
PRASSI E NORMATIVA
20 gennaio 2016 |
voci e sottovoci doganali: è evidente che nella
totalità delle classificazioni doganali possibi-
li per le merci si tratta di un numero davvero
esiguo di prodotti. Per tutti gli altri beni non
ricompresi in questi due Allegati, che vale
la pena ricordare costituiscono l’unico testo
normativo in tema di regole tecniche di origi-
ne non preferenziale delle merci, l’origine va
determinata caso per caso, avendo riguardo,
come recita l’art. 24 del Codice, alla lavorazio-
ne o trasformazione con cui sono ottenuti, alla
necessaria giustificazione economica di que-
ste operazioni, al fatto che siano effettuate da
un soggetto professionale ed al fatto che ciò
che si è ottenuto con esse sia un “prodotto
nuovo o abbia rappresentato una fase impor-
tante del processo di fabbricazione”.
Un ausilio al ragionamento logico concettua-
le necessario alla determinazione dell’origine
non preferenziale di un prodotto è rappresen-
tato dalle list rules, le “regole di lista” fis-
sate in seno al Comitato per l’origine della
WTO-World Trade Organization che costitui-
scono la posizione UE a riguardo in seno all’Or-
ganizzazione Mondiale del Commercio.
L’origine non preferenziale attiene al “Pae-
se” in cui un bene è ottenuto. Ancorché am-
messa anche dalle Camere di Commercio, com-
petenti per il rilascio dei Certificati di Origine
delle merci, l’origine “CE” o “UE” o comunque
comunitaria dei prodotti non è del tutto cor-
retta, stante il fatto che, ad oggi, possiamo
definire l’Unione Europea come un mercato
comune, come una zona di libero scambio pri-
va di barriere doganali, come una associazione
economica e commerciale, dotata sì di organi
legislativi ed esecutivi e di apparati giuridici,
normalmente prerogative di uno Stato sovra-
no, ma comunque non è possibile definirla
come un “Paese federale”.
Infatti, l’indicazione “origine CE/UE” non è am-
messa in molti Paesi terzi, se non accompa-
gnata dalla precisazione di quale, dei 28 Paesi
membri, sia quello in cui i prodotti sono otte-
nuti.
L’origine preferenziale, per ciò che qui rileva, si
applica oggi in modo unilaterale a quei Paesi
a cui l’Unione Europea riserva un trattamento
favorevole in ragione del grado di arretratez-
za economica degli stessi. La versione attuale
del Sistema delle Preferenze Generalizzate è
in vigore dal 1° gennaio 2014 e la relativa di-
sciplina è contenuta nel Reg. (UE) n. 978/2012
così come modificato dal Reg. (UE) n. 1421/2013.
Con questi ultimi regolamenti i Paesi benefi-
ciari del Sistema sono scesi da 176 a 89. Anche
il documento attestante l’origine preferenziale
nell’ambito dell’SPG (certificato di origine Mo-
dello A – Form A) non dovrebbe essere più uti-
lizzato dal 2017.
L’altro ambito di applicazione dell’origine pre-
ferenziale riguarda gli Accordi sottoscritti dalla
Comunità Europea prima e dall’Unione Europea
poi con altri Paesi. Con questi il trattamento è
reciproco, contrariamente al Sistema delle Pre-
ferenze Generalizzate. Pertanto si applica sia ai
beni importati nell’UE da questi Paesi terzi che
per quelli di origine comunitaria ivi destinati.
Le regole di riferimento sono contenute in Al-
legati agli Accordi che disciplinano quali siano
le lavorazioni e trasformazioni necessarie affin-
ché un bene possa dirsi di origine preferenzia-
le. In questo senso ciò che qui rileva dal punto
di vista degli operatori economici comunitari
che esportino in Paesi terzi è che il concetto
di origine preferenziale, pur con definizioni più
“strette” rispetto all’origine comune riguardo
alle necessarie lavorazioni o alle soglie minime
di valore aggiunto, si estende a tutti i Paesi
membri dell’Unione. Il bene si dirà “di origine
preferenziale comunitaria”, in quanto la Parte
contraente degli accordi è appunto l’Unione
e non i singoli Membri. Parimenti, nell’analisi
per determinare se un prodotto – che non sia
un prodotto interamente ottenuto, che ne go-
drebbe di per sé - abbia o meno origine pre-
ferenziale, occorre tenere in considerazione
non materie prime, componenti e semilavorati
”semplicemente” di origine (comune, commer-
ciale, non preferenziale) della UE in generale e
di uno dei 28 Paesi membri in particolare, ma la
valutazione dovrà discriminare tra quelli di ori-
gine preferenziale comunitaria e quelli che tale
origine preferenziale non hanno. Lavorazioni e
trasformazioni richieste e/o soglie massime in
termini di valore poste dalle regole contenu-
te negli Accordi riguardano, in tale contesto,
le materie prime, i componenti o semilavorati
non di origine preferenziale comunitaria, di
fatto escludendo anche quelli che possano dir-
si soltanto di origine comune comunitaria. Per
chiarire quest’ultimo concetto, si pensi ad un
bene, non interamente ottenuto, di origine ita-
liana perché ottenuto in Italia con componenti
italiani. Questo bene sarà di origine comune
italiana indipendentemente dal fatto che ven-
ga venduto in Italia, nella Ue o esportato in un
Paese terzo. Lo stesso bene potrà dirsi anche
di origine preferenziale comunitaria se e solo
se gli stessi componenti, a loro volta, posso-
21| gennaio 2016
no dirsi di origine preferenziale comunitaria in
base alle regole per essi previste nell’Accordo
in cui quel bene dovesse essere esportato, e
non componenti semplicemente di origine co-
mune/non preferenziale italiana.
Il beneficio dell’abbattimento daziario per l’im-
portatore residente in uno dei Paesi contraenti
di un Accordo di libero scambio come quelli
in discorso, che evidentemente si sostanzia
anche nel vantaggio implicito per l’esportato-
re comunitario dall’altro lato che, a parità di
altre condizioni, sarà preferito ai concorrenti
che non possano proporre beni destinatari del
medesimo trattamento, è accordato dalle au-
torità doganali dietro attestazione dell’origine
preferenziale dei prodotti in sede di importa-
zione. Questa attestazione di origine preferen-
ziale, di regola di competenza della Dogana di
esportazione con la vidimazione dei “Certifica-
ti di circolazione delle merci” EUR.1 o EUR-MED
oppure, per i soggetti autorizzati, rilasciata
dagli stessi direttamente sulle proprie fatture
commerciali export, è sempre responsabilità
dell’esportatore, sia esso anche il produttore
delle merci o meno. In altri termini, il soggetto
tenuto a dichiarare alla dogana di esportazio-
ne l’origine preferenziale delle merci al fine di
vedersi rilasciare il documento che dovrà scor-
tarle alla dogana di destinazione consenten-
do al cliente importatore di vedersi applicato
un dazio ridotto o azzerato, o che autonoma-
mente attesti in qualità di “esportatore auto-
rizzato” l’origine preferenziale sulle fatture di
esportazione che a destino otterranno lo stes-
so trattamento di favore, è chi esporta i beni,
a prescindere che ne sia anche il produttore o
un successivo rivenditore. Nel primo caso, co-
noscendo le modalità di ottenimento dei beni
che esporta, potrà consapevolmente attestar-
ne, e dimostrarne all’occorrenza, l’eventuale
origine preferenziale. Se al contrario l’esporta-
tore non coincide con il produttore, per otte-
nere il certificato di circolazione che attesti (o
dichiarare in fattura) l’origine preferenziale dei
beni dovrà disporre della “dichiarazione del
fornitore”, redatta come da Allegati I o II del
Reg. (CE) n. 1207/2001 come modificati dal Reg.
(CE) n. 1617/2006, sia nuovamente questo suo
fornitore il produttore dei beni o meno, per il
quale vale il medesimo ragionamento che farà
risalire la filiera della responsabilità fino al pro-
duttore effettivo. La dogana può richiedere la
documentazione giustificativa sia all’atto della
dichiarazione doganale di esportazione, sia a
posteriori, d’ufficio o interessata da richiesta
di cooperazione amministrativa dalla omolo-
ga autorità nel Paese di importazione per la
conferma della dichiarazione di origine prefe-
renziale. Le prove documentali giustificative
della dichiarazione di origine preferenziale per
espressa disposizione normativa vanno mante-
nute agli atti a disposizione delle autorità per
almeno tre anni dalla dichiarazione export.
Se fosse accertata la falsità della dichiarazio-
ne di origine (a tale riguardo, sia essa l’origi-
ne non preferenziale dichiarata alla Camera
di Commercio per l’ottenimento del Certifica-
to di Origine delle merci, come pure l’origine
preferenziale dichiarata alla dogana per l’ot-
tenimento del Certificato di Circolazione EUR.1
o EUR-MED) l’esportatore potrà vedersi conte-
stata la fattispecie generale di “falso ideolo-
gico del privato in atto pubblico” di cui all’art.
483 c.p., che prevede la reclusione fino a 2 anni.
La disciplina sanzionatoria della falsa o fallace
indicazione di origine italiana è poi contenuta
all’art. 517 c.p. e all’art. 4 comma 49 e 49-bis
della legge n. 350 del 2003.
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•	 Reg. CEE 2913/92
•	 Reg. UE 952/2013
•	 Reg. CEE 2454/93
•	 Reg. UE 978/2012
•	 Reg. UE 1421/2013
•	 Reg. CE 1207/2001
•	 Reg. (CE) 1617/2006
22 gennaio 2016 |
La cessione di beni all’esportazione, discipli-
nata all’art. 8 del DPR n. 633/72, rappresenta
certamente la principale operazione che com-
porta la movimentazione fisica delle merci
da un operatore comunitario ad un soggetto
residente in un Paese terzo. I beni d’altronde
possono essere spediti anche per altre ragio-
ni diverse dalla vendita. È il caso, ad esempio,
dell’invio di prodotti per partecipare a fiere o
esposizioni, dell’inoltro di apparecchiature ed
attrezzature per l’effettuazione di interventi
tecnici, dell’invio di campioni commerciali per
la loro valutazione da parte di possibili clienti,
delle spedizioni di merci che dovranno subire
una lavorazione e poi rientrare. Dal punto di vi-
sta doganale queste operazioni vanno distinte
in base al fatto che i beni, esaurito il motivo
per cui sono stati spediti, saranno reimportati
tal quali o, al contrario, rientreranno sotto for-
ma di “prodotti compensatori”, come si defini-
scono beni ottenuti a seguito di una qualche
lavorazione o trasformazione effettuata al di
fuori dell’Unione Europea attraverso l’utilizzo
di beni temporaneamente esportati. Per questa
seconda ipotesi la disciplina di riferimento per
il c.d. “traffico di perfezionamento passivo”
è contenuta negli articoli 145 e seguenti del
CDC - Codice Doganale Comunitario [Reg. (CEE)
n. 2913/1992] e all’art. 258 del nuovo Codice Do-
ganale dell’Unione [Reg. (UE) n. 952/2013], oltre
che nelle DAC – Disposizioni di Applicazione del
Codice [Reg. (CEE) n. 2454/1993] agli articoli 585
e seguenti.
Per i beni spediti temporaneamente ma che
non dovranno essere sottoposti a lavorazioni o
trasformazioni, la procedura doganale di espor-
tazione temporanea comporta la richiesta di
apposita autorizzazione alla dogana territo-
rialmente competente ove ha sede l’esporta-
tore. Al fine di riscontrare che i beni all’atto
del rientro sono i medesimi usciti, occorre indi-
care quali siano i c.d. “mezzi di identificazio-
ne” previsti (numeri di serie, etichette, sigilli,
schede tecniche, fotografie, ecc.). All’arrivo nel
PERFEZIONAMENTO
PASSIVO O ESPORTAZIONE
DEFINITIVA?
di Massimiliano Mercurio
23| gennaio 2016
Paese di importazione, onde evitare l’applica-
zione dei diritti doganali previsti per le merci
che si introducono provvisoriamente (non de-
stinati dunque al consumo in tale Paese), oc-
correrà richiedere l’autorizzazione a quella che
le norme comunitarie definiscono “ammissione
temporanea”. Di regola l’autorità doganale che
deve autorizzare questo momentaneo ingres-
so nel proprio territorio richiede la prestazione
di una garanzia a copertura dei diritti che si
pagherebbero se i beni fossero importati defi-
nitivamente (attraverso deposito della somma
in denaro o, più frequentemente, attraverso la
presentazione di idonea copertura fideiusso-
ria), garanzia che verrà svincolata all’atto della
riesportazione dei beni.
Per ovviare a questa procedura, che comporta
come descritto la richiesta di autorizzazioni sia
in partenza che in arrivo, oltre alla prestazione
della garanzia, è possibile usufruire del mec-
canismo previsto dalla Convenzione ATA (in
cui l’acronimo bilingue francese-inglese “Ad-
mission Temporaire – Temporary Admission”
significa appunto “Ammissione Temporanea”)
sottoscritta a Bruxelles il 6 dicembre 1961 e ra-
tificata dall’Italia con DPR n. 2070 del 18 mar-
zo 1963. Successivamente è stata firmata il
26 giugno del 1990 la Convenzione di Istanbul
sull’ammissione temporanea di merci, ratifica-
ta dall’Italia con DPR n.479 del 26 ottobre 1995.
Questa convenzione, elaborata con l’intento di
raggruppare tutte le convenzioni in materia di
ammissione temporanea di merci, ha ripreso
nell’Allegato A la normativa del carnet ATA e
del CDP (Carnet de Passage en Douane per gli
automezzi) con relativi modelli e documenti in
uso. La Convenzione di Istanbul non si sostitu-
isce alle singole convenzioni, almeno fino alla
sua ratifica da parte di tutti i Paesi aderenti
alle stesse.
L’intento di queste convenzioni è proprio quello
di semplificare e facilitare la movimentazione
internazionale di merci, riducendo al minimo le
formalità doganali e semplificando le procedu-
re che ciascun Paese impone per le operazioni
di esportazione, transito ed importazione, ga-
rantendo al contempo allo Stato di importazio-
ne l’eventuale riscossione dei diritti in caso di
mancata riesportazione.
I beni che possono utilizzare le previste agevo-
lazioni sono:
1) merci destinate a essere presentate od
utilizzate in occasione di una esposizione,
fiera, congresso o manifestazione simila-
re:
ISTRUZIONI OPERATIVE,
PRASSI E NORMATIVA
24 gennaio 2016 |
a) le merci destinate ad essere esposte o
a formare oggetto di una dimostrazione
nel corso di una manifestazione o altro
evento, compresi macchine, animali, im-
barcazioni e materiale vario destinati
alle competizioni sportive; cavalli, con i
relativi oggetti di selleria, per partecipa-
re a gare o concorsi ippici; armi e muni-
zioni a seguito di sportivi partecipanti a
gare di tiro a volo o di tiro a segno;
b) le merci destinate ad essere utilizzate
in occasione di una manifestazione per
esigenze di presentazione di prodotti im-
portanti, quali:
•	le merci necessarie per la dimostra-
zione di macchine o apparecchi espo-
sti;
•	il materiale di costruzione o di deco-
razione, compreso l’equipaggiamento
elettrico, per i padiglioni provvisori di
una persona fisica o giuridica stabili-
ta al di fuori della Comunità;
•	il materiale pubblicitario, di dimostra-
zione e di equipaggiamento destinato
ad essere utilizzato per la pubblicità
delle merci importate ed esposte,
quali le registrazioni sonore, le pel-
licole cinematografiche o comunque
altro supporto atto alla riproduzione
di prodotti audiovisivi, le diapositive
nonché l’apparecchiatura necessaria
per la loro utilizzazione;
c) il materiale destinato ad essere utilizza-
to in occasione di riunioni, conferenze
e congressi internazionali, comprese le
apparecchiature per l’interpretazione, gli
apparecchi di registrazione del suono e i
prodotti audiovisivi a carattere educati-
vo, scientifico o culturale;
d) gli animali vivi destinati ad essere
esposti, sottoposti a trattamenti veteri-
nari o utilizzati per la riproduzione, am-
maestrati o a partecipare a manifesta-
zioni;
2) materiali professionali, e cioè:
a) materiale necessario ai rappresentati
della stampa, della radiodiffusione o del-
la televisione che si recano in un Paese
per la realizzazione di reportages, o di
registrazioni o di emissioni nel quadro di
programmi determinati;
b) materiale necessario a persone o ditte
che si recano in un Paese per la realiz-
zazione di uno o più film cinematografici
determinati;
c) materiale necessario all’esercizio del me-
stiere o della professione di una persona
che si reca in un Paese per compiervi un
lavoro determinato, con esclusione, però,
del materiale destinato ad essere utiliz-
zato:
•	nei trasporti all’interno del Paese
d’importazione;
•	per la fabbricazione industriale;
•	per il confezionamento di merci;
•	per lo sfruttamento di risorse natura-
li, la costruzione, riparazione o manu-
tenzione di immobili, l’esecuzione di
lavori di terrazzamento o similari, a
meno che, in questi casi, non si tratti
di utensili a mano;
a) materiale pedagogico;
b) materiale scientifico;
c) campioni rappresentativi di una deter-
minata categoria di merci, ad esclusio-
ne degli articoli identici, e destinati ad
essere presentati o ad essere oggetto di
dimostrazione, per suscitare ordinazioni
di merci analoghe;
d) film cinematografici, impressionati o
sviluppati, positivi, destinati ad essere
visionati prima della loro utilizzazione
commerciale;
e) cavalli per ippoturismo montati da tu-
risti.
Precisando che l’utilizzo del carnet ATA è ov-
viamente possibile solo in quei Paesi che ne
hanno ratificato la Convenzione, si aggiunge
che non è consentito utilizzarlo per la tempo-
ranea esportazione di alcune tipologie di beni,
quali materiale di consumo, depliants, prodotti
deperibili, gadgets e merci destinate ad ope-
razioni di trasformazione o riparazione. Inoltre,
non tutte le tipologie sopra descritte sono am-
messe in tutti i Paesi aderenti, dato che alcuni
ne hanno autorizzato l’impiego per esempio
per manifestazioni e fiere ma non per materiali
professionali o campioni commerciali come nel
caso degli Emirati Arabi Uniti.
La richiesta di rilascio del carnet ATA, cioè il
supporto cartaceo utilizzato nel meccanismo
previsto dalla Convenzione, va presentata alla
“ L’intento di queste convenzioni
è proprio quello di semplificare
e facilitare la movimentazione
internazionale di merci”
25| gennaio 2016
Camera di Commercio territorialmente compe-
tente per la sede dell’esportatore. Andrà “alli-
brato” presso un Ufficio doganale comunitario
e presentato all’Ufficio di uscita. All’arrivo nel
Paese di destinazione sarà nuovamente regi-
strato dalla Dogana di ingresso, consentendo
all’operatore di utilizzare i beni per l’operazio-
ne temporanea. Con la riesportazione dei beni
dal Paese terzo e la reimportazione nell’Unione
(che deve avvenire al massimo entro 12 mesi
dalla data di rilascio del carnet) l’operazione
temporanea si conclude definitivamente.
I beni che devono essere spediti per essere
sottoposti ad una qualche lavorazione o tra-
sformazione e che, successivamente a queste,
rientreranno nel territorio doganale comunita-
rio, non potendo beneficiare del meccanismo
del carnet ATA dovranno essere assoggettate
alla normale procedura prevista dalle norme
doganali. Essa si sostanza nella richiesta di
autorizzazione alla temporanea esportazione
in regime di “TPA - Traffico di Perfezionamento
Passivo” alla dogana. La domanda, redatta su
apposito formulario comunitario di cui all’Alle-
gato 67 delle DAC, deve contenere anche la c.d.
“giustificazione economica” per cui si richie-
de l’autorizzazione, intendendosi con questa
la motivazione in base alla quale si intende far
effettuare delle lavorazioni al di fuori dell’U-
nione. A questo riguardo l’esame dell’autorità
doganale che dovrà autorizzare il TPA accerterà
che il ricorso al perfezionamento in un Paese
terzo non arrecherà “grave pregiudizio agli in-
teressi dei trasformatori comunitari” e che “il
perfezionamento nella Comunità sia economi-
camente impossibile oppure non realizzabile
per motivi tecnici o a causa di obblighi contrat-
tuali” [art. 502 p.to 4 Reg. (CEE) n. 2454/93].
Scopo precipuo del ricorso al traffico di per-
fezionamento passivo è evitare che all’atto
della reimportazione beni in precedenza de-
finitivamente esportati che dovessero rien-
trare sotto forma di prodotti compensatori
(in qualche modo inglobati quindi in altri pro-
dotti di cui costituiscono componenti, materie
prime o semilavorati) siano assoggettati ai
diritti di importazione, con particolare riguar-
do al dazio afferente così come previsto dalla
Tariffa doganale. Con l’esportazione definitiva
i beni perdono la qualifica giuridica di “merce
comunitaria”, ma giova precisare che nel mo-
“ La richiesta di rilascio del
carnet ATA va presentata alla
Camera di Commercio
territorialmente competente
per la sede dell’esportatore”
26 gennaio 2016 |
“ L’esportazione temporanea,
qualunque sia la ragione per
la quale i beni vengono spediti
all’estero, è sempre e solo una
facoltà dell’operatore
economico, mai un obbligo”
mento in cui dovessero rientrare a seguito di
una qualche lavorazione o trasformazione, la
corretta determinazione del valore in dogana
dei prodotti compensatori non potrà prescin-
dere dalla valorizzazione anche di quanto a
suo tempo spedito e trasformato nel Paese
terzo, con conseguente applicazione dei diritti
di confine sia sul valore delle operazioni svolte
dal prestatore extracomunitario e su eventua-
li altri beni utilizzati, che sul valore dei beni
esportati in via definitiva dal committente co-
munitario. Un esempio aiuterà a chiarire que-
sto concetto.
ESEMPIO
Si ipotizzi che, per motivi che consentano il
soddisfacimento delle “condizioni economi-
che” sopra richiamate, un operatore comuni-
tario invii con esportazione definitiva un certo
quantitativo di tessuti ad un partner situato al
di fuori dell’Unione che li trasformerà in capi
di abbigliamento, addebitando al committente
solo la relativa prestazione di servizio di con-
fezionamento. In base alle norme sul “valore
in dogana” dei prodotti importati, l’imponibi-
le su cui verrà accertato, liquidato e riscosso
il dazio previsto dalla TARIC per quei capi di
abbigliamento non sarà semplicemente dato
dal corrispettivo esposto per la prestazione di
confezionamento, ma a questo dovrà sommarsi
il valore dei tessuti a suo tempo dichiarati per
l’esportazione definitiva. In regime di Traffico
di Perfezionamento Passivo al contrario il mec-
canismo di calcolo porterà a dover versare in
dogana il dazio afferente a questa tipologia di
prodotti solo sulla quota parte di valore rap-
presentato dalla prestazione di servizio, e non
anche sul valore dei beni esportati per essere
trasformati, con evidente vantaggio economico
per l’operatore comunitario.
Non sempre il ricorso al TPA si traduce in un
risparmio di costi. La valutazione dell’opportu-
nità di usufruire di tale “regime doganale eco-
27| gennaio 2016
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•	 D.P.R. 633/1972
•	 Reg. CEE 2913/1992
•	 Reg. UE 952/2013
•	 Reg. CEE 2454/1993
•	 L. 479/1975
nomico”, come definito dalle norme doganali,
deve tenere in conto sia il risparmio sul dazio
in reimportazione che altre componenti di co-
sto connesse all’utilizzo di questa procedura.
Più chiaramente, la gestione documentale ed
amministrativa ed i relativi costi a cui l’impre-
sa deve andare incontro per usufruire del re-
gime di cui trattasi (si pensi a puro titolo di
esempio alla redazione, sottoscrizione ed inol-
tro alla dogana dell’istanza di autorizzazione,
per la quale il professionista che rappresenta
l’impresa ragionevolmente esporrà degli ono-
rari) dovranno essere adeguatamente compen-
sati dal risparmio sul dazio dovuto in reimpor-
tazione. Nel caso in cui i prodotti compensatori
scontassero nella UE un dazio pari a zero, e ciò
sia perché tale è l’aliquota standard prevista in
Tariffa, sia per una riduzione accordata in ra-
gione dell’eventuale origine preferenziale che i
beni dovessero acquisire grazie alle operazioni
di trasformazione effettuate nel Paese terzo,
l’effettivo vantaggio economico risulterebbe
vanificato. In tale contesto vale la pena ricor-
dare che l’esportazione temporanea, qualun-
que sia la ragione per la quale i beni vengono
spediti all’estero, è sempre e solo una facoltà
dell’operatore economico, mai un obbligo. La
regola generale è l’esportazione definitiva, es-
sendo quella temporanea ammessa al ricorrere
di determinate condizioni. Tanto per sfatare la
convinzione di alcune imprese (e della dogana
italiana di molto tempo fa …) che in assenza di
una vera e propria vendita di beni non sia pos-
sibile dichiarare i beni per il regime di espor-
tazione definitiva, posto che non esiste alcuna
correlazione – dal punto di vista della tecnica
doganale – tra l’eventuale passaggio di pro-
prietà delle merci e il tipo di esportazione, de-
finitiva o temporanea, che l’operatore dovesse
decidere di attuare. Laddove questi verificasse
più conveniente spedire con esportazione defi-
nitiva potrà presentare alla dogana semplice-
mente una lista valorizzata, o una fattura pro-
forma, o qualunque altro documento idoneo
alla corretta compilazione della dichiarazione
doganale, senza che questo costituisca implici-
ta asserzione della vendita dei beni e dato che
non esiste alcuna norma contabile che leghi
necessariamente una bolletta doganale export
(e, sia detto per inciso, neppure import) ad una
fattura di vendita (o di acquisto per una bolla
import).
Come ben rappresentato, seppure con l’ironia
del caso, in una celebre pellicola uscita nel-
le sale cinematografiche a ridosso del Natale
del 1984, “Non ci resta che piangere”, di e con
Roberto Benigni e Massimo Troisi, nella scena
diventata un cult “Chi siete? Cosa fate? Cosa
portate? Un fiorino!”, il presupposto della di-
chiarazione doganale è l’attraversamento del-
la frontiera, non necessariamente il rapporto
commerciale sottostante …
Si ritiene pertanto opportuna una puntuale
ed approfondita analisi dell’operazione che si
vorrebbe attuare, discriminando l’utilizzo degli
strumenti giuridici ed operativi più consoni ed
economicamente vantaggiosi.
28 gennaio 2016 |
In materia di IVA è stata emanata la Direttiva
2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006
relativa al sistema comune d’imposta sul valo-
re aggiunto.
Come noto, l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA)
è un’imposta generale sui consumi, applicabile
alle attività commerciali che prevedano cessio-
ni di beni e prestazioni di servizi. Il sistema co-
mune dell’IVA di cui alla direttiva citata riguar-
da dunque beni e servizi che siano acquistati
e venduti per essere destinati al consumo nel
territorio comunitario. L’imposta si calcola in
funzione del maggiore valore aggiunto in ogni
fase della filiera, dalla produzione fino al con-
sumatore finale ed è su quest’ultimo che deve
gravare. La riscossione avviene in modo frazio-
nato, attraverso un sistema di pagamenti par-
ziali (rispetto al totale finale che graverà su chi
consuma il bene o gode del servizio) tale per
cui il soggetto imponibile (le imprese identifi-
cate ai fini IVA) possono portare in detrazione
l’imposta versata ai propri fornitori dal totale
di quanto da essi addebitato ai propri clienti. In
questo modo, a prescindere dal numero di pas-
saggi prima di arrivare al consumatore finale,
l’IVA rimane neutra per l’impresa, rimanendo
in definitiva a carico di chi consuma il bene o
fruisce del servizio sotto forma di percentuale
applicata al prezzo finale, dato dalla somma
degli incrementi di valore risultanti da ognuna
delle diverse fasi di produzione e commercia-
lizzazione. I soggetti passivi versano dunque al
fisco nazionale l’IVA relativa alle proprie ces-
sioni di beni o prestazioni di servizi da questi
addebitate ai clienti, dopo aver detratto l’IVA
corrisposta ai propri fornitori.
Fin qui appare tutto molto semplice e lineare:
se tale è il vostro pensiero è probabile che non
vi occupiate di diritto, più precisamente di di-
ritto tributario, ed ancora più nel dettaglio di
norme in tema d’IVA. Soprassedendo sull’affer-
LA CORTE DI
GIUSTIZIA UE E IL DIRITTO ALLA
DETRAZIONE IVA: I DIVERSI
ORIENTAMENTI DELLA
GIURISPRUDENZA NAZIONALE E
COMUNITARIA
di Massimiliano Mercurio
29| gennaio 2016
mazione che una volta chi scrive ebbe ad ascol-
tare, “La disciplina IVA o la si ama o la si odia,
io l’amo” (de gustibus...), l’estrema eterogenei-
tà delle operazioni commerciali che è possibile
porre in essere comporta, inevitabilmente, una
altrettanto imponente giurisprudenza sulle
possibili diverse interpretazioni. Nonostante il
poderoso (taluno direbbe bizantino) apparato
normativo cui siamo avvezzi nel nostro Paese,
che potrebbe dare l’idea di voler tutto norma-
re e tutto prevedere, le casistiche contemplate
dalle norme in campo IVA, come in qualunque
altra branca del diritto, possono e debbono ne-
cessariamente disciplinare fattispecie genera-
li. Inoltre, negli anni sono intervenute modifi-
che importanti (si pensi al riordino in tema di
prestazioni di servizi del 2010), dettate in molti
casi anche da direttive comunitarie sulla ma-
teria.
Pur essendo di competenza istituzionale dell’A-
genzia delle Entrate, l’IVA è dovuta anche “sul-
le importazioni da chiunque effettuate” (art. 1
DPR 633/72): in questo ambito è pertanto accer-
tata, liquidata e riscossa in dogana. L’operato-
re economico provvede attraverso la dichiara-
zione import a versare il dazio afferente ai beni
importati, immettendoli in “libera pratica” o
“libera circolazione”. Di solito contestualmente
gli stessi beni assolvono anche la fiscalità in-
terna, IVA in primis ma anche eventuali impo-
ste di consumo, accise ed altre se previste. Con
questo passaggio la merce si dice “immessa
in consumo” e rientra nella piena disponibilità
dell’importatore.
Al fine di sanare una discrasia tra il trattamen-
to riservato ai beni di provenienza terza, che
possono fruire dell’introduzione in deposito
doganale per sospendere il pagamento dei di-
ritti di importazione, e quindi anche dell’IVA, e
quelli comunitari che di questo beneficio non
potevano godere, il D.L. 30 agosto 1993, n. 331
recante «Armonizzazione delle disposizioni in
materia di imposte sugli oli minerali, sull’al-
cole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi la-
vorati e in materia di IVA con quelle recate
da direttive CEE e modificazioni conseguenti
a detta armonizzazione, nonché ... (omissis)
» (GURI n. 203, del 30 agosto 1993), convertito
nella Legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha introdot-
to l’articolo 50 bis, che al IV comma punto b)
prevede che siano effettuate senza pagamento
dell’imposta “le operazioni di immissione in
libera pratica di beni non comunitari desti-
nati ad essere introdotti in un deposito IVA”,
oltre che “le prestazioni di servizi, comprese
le operazioni di perfezionamento e le mani-
polazioni usuali, relative a beni custoditi in
un deposito IVA, anche se materialmente
eseguite non nel deposito stesso ma nei lo-
cali limitrofi sempreché, in tal caso, le sud-
dette operazioni siano di durata non supe-
riore a sessanta giorni” [punto h)]. In estrema
sintesi, l’introduzione di beni immessi in libera
pratica nel deposito IVA consente di non as-
solvere l’imposta in dogana come avviene per
l’immissione in libera pratica con contestuale
immissione in consumo. L’imposta sarà assol-
ta attraverso il meccanismo del c.d. “reverse
ISTRUZIONI OPERATIVE,
PRASSI E NORMATIVA
30 gennaio 2016 |
charge” di cui all’art. 17 terzo comma del DPR
633/72 solo al momento dell’estrazione dei beni
dal deposito. È evidente che, da un punto di vi-
sta finanziario, il meccanismo consente anche
di evitare il materiale esborso dell’IVA come al
contrario avviene all’atto dell’importazione/im-
missione in consumo in dogana.
Negli anni l’istituto del deposito IVA è stato og-
getto di interventi interpretativi, resi necessari
anche dal contenzioso che, nel frattempo, era
sorto su talune operazioni poste in essere da
operatori che, a parere dell’autorità doganali,
ne avevano fatto indebito ed arbitrario utilizzo.
Alcuni aspetti degni di nota nella corretta ge-
stione del regime del deposito IVA:
•	 il legislatore non ha previsto nessun tem-
po minimo di sosta delle merci all’inter-
no dei depositi, come confermato anche
dall’Agenzia delle Entrate (nota 30 agosto
2006, n. 2006/127886) e dall’Agenzia delle
Dogane (nota 24 luglio 2006, n. 4402; nota
16 settembre 2004, n. 2004/29908);
•	 non è previsto da alcuna normativa che le
merci debbano essere scaricate dai mezzi
di trasporto, (nota 2162/V/SD del 2 agosto
1999, citata dalla circolare 28 aprile 2006, n.
16/D, Agenzia delle Dogane);
•	 il deposito IVA è un deposito fisico, se
pure siano sufficienti ma necessari i rela-
tivi servizi di stoccaggio e custodia, risul-
tanti da regolari registrazioni contabili e
commerciali, tali da giustificare economi-
camente e giuridicamente il contratto di
deposito, deposito che se inesistente o le-
gato a un contratto simulato non potrebbe
godere delle agevolazioni di cui all’art. 50
bis: è dunque specificamente vietato il de-
posito virtuale (nota 28 dicembre 2006, n.
7521 Agenzia delle Dogane);
•	 le prestazioni di servizi di cui alla lettera
h) quarto comma dell’art. 50 bis, relative a
beni consegnati al depositario, costituisco-
no ad ogni effetto introduzione nel deposi-
to IVA, anche se svolte nei locali limitrofi
(art. 16 comma 5 bis Legge 27 gennaio 2009,
n. 2).
Nonostante i chiarimenti intervenuti, il con-
tenzioso tributario è stato risolto in alcuni casi
ritenendo l’imposta assolta attraverso la dop-
pia registrazione dell’autofattura emessa ai
sensi dell’art. 17 comma 3 del DPR 633/72 sia
sul registro delle fatture emesse che su quello
degli acquisti, e in ragione del generale divie-
to di doppia imposizione affermando preclusa
la possibilità di recupero dell’imposta (Comm.
trib. prov. Torino, sez. XVIII, 18 settembre 2006,
n. 61; Comm. trib. prov. Torino, sez. XX, 16 luglio
2008, n. 74); in altri casi, giustificandola con
la mancata introduzione dei beni in deposito
IVA da parte dell’operatore, la dogana che ha
proceduto a recuperare l’imposta ha agito se-
condo i giudici illegittimamente, posto che l’in-
troduzione nei luoghi adiacenti allo spazio fisi-
co del magazzino e non al suo interno non ha
arrecato alcun danno all’erario (Comm. trib. La
Spezia, 25 maggio 2009, n. 120; Comm. trib. prov.
Torino, sez., 9 ottobre 2009, n. 102), e quanto alla
pretesa della dogana di dover riscuotere l’IVA
comunque già assolta in reverse charge poiché
trattavasi di imposta che avrebbe dovuto es-
sere versata all’atto dell’importazione – quindi
di propria competenza e non dell’Agenzia delle
Entrate - questa è stata respinta poiché ben si
può ritenere che la stessa imposta sia stata
legittimamente assolta per l’Ufficio competen-
te per l’IVA nazionale (Comm. trib. prov. Napoli,
30 giugno 2009, n. 394), ed una interpretazione
che invece ritenesse legittima tale richiesta di
versamento comporterebbe de facto una inam-
missibile duplicazione dell’imposta (Comm.
trib. prov. Milano, sez. VII, 22 dicembre 2008, n.
307/08, che ha richiamato la “giurisprudenza
costante della Corte di Giustizia – ex multis
sent. 19.9.2000 n. C454/98 e 27.9.2007 n. C409/04
– e per l’indifferenza dell’Ufficio che ha rice-
vuto il versamento, della Corte di Cassazione,
sent. n. 12333/2001 e sent. n. 19194/2006”, oltre
a Comm. trib. prov. Torino, sez., 9 ottobre 2009,
n. 102).
Al contrario la Cassazione ha ritenuto in altri
casi legittima la competenza dell’Agenzia del-
le Dogane (Cass. civ. 19 maggio 2010, n. 12262),
riconoscendo esplicitamente l’esistenza di
un’imposta interna ed una all’importazione:
“Nella specie, riguardando la contestazione
l’omesso pagamento di IVA all’importazione, e
non l’IVA interna (pacificamente corrisposta),
la competenza degli Uffici doganali non può
essere posta in discussione.” Sulla stessa lun-
“ L’introduzione di beni immessi
in libera pratica nel deposito IVA
consente di non assolvere
l’imposta in dogana come
avviene per l’immissione in
libera pratica con contestuale
immissione in consumo”
31| gennaio 2016
ghezza d’onda anche altre pronunce (e.g. Cass.
civ. 19 maggio 2010, n. 12581), che hanno pari-
menti negato l’esistenza di una doppia imposi-
zione, “non potendo l’avvenuto assolvimento,
mediante auto fatturazione, dell’IVA interna,
compensare il mancato pagamento dell’IVA
all’importazione”.
Come sopra esposto, frequentemente la diatri-
ba verte sulla natura stessa del tributo, ovvero
se nelle diverse operazioni economiche e nei
relative rapporti con l’Erario ciò che differisce
sia semplicemente una diversa modalità di
assolvimento o se, al contrario, si tratti di im-
poste differenti che in comune hanno solo il
nome. In altre parole, laddove la dogana avesse
ritenuto non corretto il meccanismo di assolvi-
mento dell’imposta attraverso reverse charge,
ed avesse preteso il pagamento dell’IVA – oltre
a sanzioni ed interessi –, bene avrebbe fatto in
ragione di una differenza sostanziale tra “IVA
interna” e “IVA all’importazione”.
Invero la Corte di giustizia europea ha affer-
mato in diverse occasioni che l’IVA è un unico
tributo, a nulla rilevando, sotto questo aspetto,
le modalità ed il momento della relativa liqui-
dazione e riscossione, anche con riferimento
alle eventuali sanzioni (Corte di giustizia CE, 5
maggio 1982, “Gaston Schul”, causa 15/81, Corte
di giustizia CE, 25 febbraio 1988, “Rainer Drexl”,
causa 299/86). Così pure si è espressa anche la
stessa Cassazione che ha affermato che l’IVA
all’importazione “costituisce un tributo inter-
no che, secondo i principi del Trattato CE, è
dovuto allo Stato al momento dell’ingresso
delle merci” (Cass., Sez. III pen., 4 maggio 2010,
n. 16860).
Un altro aspetto della questione che ha gene-
rato vertenze tra gli operatori e l’autorità do-
ganale è la detraibilità dell’imposta in caso
di inosservanza degli obblighi contabili e di
dichiarazione.
Per principio generale i Paesi membri, al fine
di assicurare il corretto adempimento degli
obblighi tributari che garantiscano la puntua-
le riscossione dell’IVA e consentano di evitare
frodi, ben possono prevedere meccanismi san-
zionatori. Ma tali meccanismi che a titolo di
ammenda precludessero la detraibilità dell’im-
posta andrebbero oltre quanto necessario al
raggiungimento di tali obiettivi, e certamente
verrebbero meno anche ad un criterio di propor-
zionalità previsto per l’irrogazione di sanzioni.
Su queste stesse posizioni si è espressa la Cor-
te di giustizia europea anche più recentemente
(causa C- 272/13 del 17 luglio 2014), affermando
che “nei limiti in cui [...] non sussiste né eva-
sione né tentativo di evasione, la parte della
sanzione consistente nel richiedere un nuovo
32 gennaio 2016 |
pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale
secondo pagamento conferisca un diritto a
detrazione, non può considerarsi conforme al
principio di neutralità dell’IVA”. In ossequio ai
principi espressi dalla Corte, l’Agenzia delle Do-
gane e dei Monopoli ha chiarito, con la circolare
n. 16/D del 20 ottobre 2014, le conseguenze ap-
plicative sia sul contenzioso in essere che sull’
attività procedimentale futura. La citata circo-
lare afferma che, a seguito della riformulazio-
ne dell’art. 60 comma 7 del DPR 633/72 avvenuto
ad opera dell’art. 93 del D.L. 1/2012, il principio
di neutralità dell’imposta è fatto salvo anche
nel caso in cui la maggiore IVA fosse liquidata
in sede di revisione dell’accertamento doga-
nale. Tale convincimento della dogana derive-
rebbe anche da quanto affermato dall’Agenzia
delle Entrate che con la circolare n. 35/E/2013,
ovvero che il termine per esercitare la detra-
zione decorre dal pagamento della maggiore
imposta accertata dall’autorità doganale in
capo all’importatore; posto che nelle importa-
zioni non vige il meccanismo di rivalsa come
per gli altri acquisti ma l’imposta è versata da
questi direttamente all’Erario, il relativo diritto
alla detrazione va esercitato al più tardi con la
dichiarazione relativa al secondo anno succes-
sivo a quello in cui è avvenuto il regolamento.
Questo ragionamento collide con cospicua giu-
risprudenza della Corte di giustizia europea (si
vedano cause riunite C-439-04 e C-440-04 del 6
luglio 2006 e cause riunite C-354-03, C-355-03
e C-484-03 del 12 gennaio 2006), la quale ha a
più riprese affermato come sia “irrilevante, ai
fini del diritto del soggetto passivo di dedurre
l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA dovuta
sulle operazioni di vendita precedenti o suc-
cessive riguardanti i beni interessati sia stata
versata o meno all’erario”.
“ Restano notevoli dubbi sia sul
fatto che la detrazione
della maggiore imposta che
fosse liquidata dalla dogana in
sede di revisione
dell’accertamento possa essere
subordinata al suo versamento,
sia sulla legittimità che la
medesima detrazione sia
ulteriormente condizionata al
pagamento della sanzione”
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Workshop Gen-USA at Host tradeshow, Milano 26 ottobre 2015; by Mauro BandelliWorkshop Gen-USA at Host tradeshow, Milano 26 ottobre 2015; by Mauro Bandelli
Workshop Gen-USA at Host tradeshow, Milano 26 ottobre 2015; by Mauro Bandelli
 

Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP): impatto sullo sviluppo internazionale della aziende Europee

  • 1. Dogane.Export La rivista pratica trimestrale per responsabili e addetti degli Uffici import/export N. 1 - Gennaio 2016 A.E.O. - Operatore Economico autorizzato: vantaggi, criticità e prospettive della certificazione di affidabilità doganale In sintesi, le principali notizie utili per gli operatori import/export Nuovo modello di dichiarazione di intento per esportatori abituali TTIP : Quali nuove opportunità negli USA per le aziende italiane? Origine preferenziale e responsabilità dell’esportatore Perfezionamento passivo o esportazione definitiva? La Corte di Giustizia ed il diritto alla detrazione IVA Accertamento doganale: prevenire e gestire le contestazioni in dogana ADR: tutti gli obblighi sono del trasportatore? Come proteggere la proprietà intellettuale in Dogana POSTEITALIANESPA-SPED.INA.P.-D.L.353/2003-(CONV.INL.27/02/2004N.46)-ART.1COMMA1-NE/PD
  • 2. 2 INDICECOVER STORY A.E.O. - Operatore Economico autorizzato: vantaggi, criticità e prospet- tive della certificazione di affidabilità doganale Di Massimiliano Mercurio NOTIZIE IN BREVE In sintesi, le principali notizie utili per gli operatori import/export A cura di Hermes s.n.c. ISTRUZIONI OPERATIVE, PRASSI E NORMATIVA Nuovo modello di dichiarazione di intento per esportatori abituali Di Massimiliano Mercurio Origine preferenziale e responsabilità dell’esportatore Di Massimiliano Mercurio Perfezionamento passivo o esportazione definitiva? Di Massimiliano Mercurio La Corte di Giustizia ed il diritto alla detrazione Di Massimiliano Mercurio Accertamento doganale: prevenire e gestire le contestazioni in dogana Di Massimiliano Mercurio ADR: tutti gli obblighi sono del trasportatore? Di Tommaso Castellan, Carla Repice e Federico Vota BEST PRACTICE Come proteggere la proprietà intellettuale in dogana Di Giovanni Casucci FOCUS PAESE The Transatlantic Trade and Investment Partnership: quali nuove oppor- tunità negli USA per le aziende italiane? Di Claudio Tanca 4 10 14 18 22 28 34 38 44 48 DOCUMENTI ONLINE PER ABBONATI PREMIUM PLUS - Normativa di riferimento - Modulistica
  • 3. 3| gennaio 2016 Periodico trimestrale in abbonamento annuale Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Con. In L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1 – Tariffa R.O.C. Po- ste Italiane SpA Pubblicazione registrata nell’elenco pubblico de- gli operatori di Comunicazione con nr. ROC 17760 del 13/01/2009 – Testata registrata al ROC il 05/11/2015 av- valendosi della facoltà di cui all’art. 16 della legge 7 marzo 2001, n. 62 IVA assolta dall’editore a norma dell’art. 74/DPR 633 del 26/10/72 Numero chiuso in redazione il 10/12/2015, Verona Direttore responsabile: Massimiliano Mercurio Direttore editoriale e vice direttore responsabile: Pietro Butturini Proprietario ed Editore: Forum Media Edizioni srl Direzione e Redazione: Forum Media Edizioni srl, Via Pietro Cossali 17b, 37136, Verona Tel 045.810.1518 Fax 045.813.0371 Email redazione@doganeexport.it Pubblicità: pubblicita@doganeexport.it Stampa: Tecnopak sas, Via Rezzonico 17/1, 35011, Cam- podarsego, Padova Condizione e Modalità di Abbonamento alla rivista Dirigere l’azienda: Il prezzo dell’abbonamento è di € 179,00 (IVA e spedi- zione inclusi) per la versione stampata e di € 269,00 (IVA e spedizione inclusi) per la versione Premium Plus. Dalla data di attivazione dell’abbonamento decorre il diritto di ricevere n. 4 numeri nell’arco di 12 mesi, emessi con periodicità trimestrale. Il prezzo di una copia arretrata è di € 45,00 (IVA e spe- dizione inclusi). I numeri arretrati sono disponibili su richiesta, fino ad esaurimento scorte. Al termine dei 12 mesi l’abbonamento si intende ta- citamente rinnovato per un anno salvo invio di rego- lare disdetta scritta da Notificarsi all’Editore almeno 30 giorni prima della scadenza. I fascicoli respinti non tornano all’Editore, pertanto non possono costituire disdetta. Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale degli articoli e delle illustrazioni pubblicate in questa rivista è permessa previa specifica autorizza- zione della Direzione. EDITORIALE Questa rivista nasce con l’intento di fornire un supporto concreto ai responsabili degli uffici im- port/export, focalizzandosi sulla materia doganale e sugli ambiti ad essa connessi: fiscalità, con- trattualistica, logistica e traspor- ti, etc. Abbiamo scelto di dare alla rivista un taglio pratico, con istruzioni operative di immediata utilità e soluzioni alle principali problematiche che incontra chi opera frequentemente con le dogane; per questo abbiamo coinvolto come Direttore Responsabile della rivista e curatore della maggior parte degli articoli il dott. Massimiliano Mercurio, doganalista con grande esperienza “sul campo” e una profonda conoscenza delle reali esigenze di chi opera con l’estero. Accanto a lui, una squadra di esperti che di volta in volta verranno coinvolti per trattare temi specifici o “focus paese” sui principali mercati di interesse per le aziende italiane. Dal prossimo numero, inoltre, sarà aggiunta la ru- brica “L’esperto risponde” nella quale i lettori trove- ranno risposta alle domande che vorranno inoltrare ai nostri esperti. Per gli abbonati alla versione Premium Plus, sono disponibili on line, oltre alla rivista in formato elet- tronico, altri contenuti aggiuntivi (modulistica, nor- mativa, focus Emirati Arabi Uniti, etc.). L’invito che vi vogliamo rivolgere è di aiutarci a ren- dere sempre più interattiva questa rivista, invian- doci commenti e suggerimenti sui temi da trattare, all’indirizzo redazione@doganeexport.it, per consen- tirci di migliorare ad ogni numero e rendere questo “strumento” il più possibile rispondente alle vostre esigenze. Pietro Butturini Direttore Editoriale
  • 4. 4 gennaio 2016 | Premessa e quadro normativo L’11 settembre 2001 costituisce una data spar- tiacque della storia recente. Prescindendo in questa sede da qualunque valutazione storica, politica o sociologica dei tragici eventi di quel giorno, ci limitiamo a evidenziare che, in segui- to a quegli atti che furono percepiti dagli Stati Uniti d’America come una vera e propria dichia- razione di guerra, cambiò anche il loro modo di approcciarsi agli scambi internazionali di merci con gli altri Paesi, stringendo le maglie della macchina dei controlli non solo per le persone ma anche per i mezzi di trasporto e per le merci in entrata sul proprio territorio. In brevissimo tempo fu elaborato un program- ma di selezione per le imprese statunitensi che potessero essere considerate affidabili, al fine di non intralciare inutilmente gli scambi commerciali e al contempo garantire più alti livelli di Sicurezza Nazionale. Il programma, de- nominato “C-TPAT – Custom-Trade Partnership against Terrorism”, è gestito dalla US Customs and Border Protection, una delle Agenzie del Dipartimento della Sicurezza Interna degli Sta- ti Uniti d’America (in inglese United States De- partment of Homeland Security). Invero, già nel 1999 la “Convenzione riveduta di Kyoto” sulla semplificazione e armonizzazione dei regimi doganali aveva visto oltre cinquanta Paesi sottoscrivere un accordo per riavvicina- re e raccordare procedure e tecniche doganali, al fine di adottare criteri che facilitassero gli scambi garantendo al contempo la sicurezza. Tale accordo prevede la possibilità che le do- gane concedano a particolari soggetti che ga- A.E.O. OPERATORE ECONOMICO AUTORIZZATO: VANTAGGI, CRITICITÀ E PROSPETTIVE DELLA CERTIFICAZIONE DI AFFIDABILITÀ DOGANALE Massimiliano Mercurio Titolare di Hermes s.n.c., doganalista e consulente per gli scambi con l’estero, svolge anche attività di docenza per Forum Acade- my, CEI Piemonte, Camere di Commercio e altri enti formativi. Direttore della rivista Dogane.Export.
  • 5. 5| gennaio 2016 rantiscano “un adeguato sistema di scritture e un soddisfacente sistema di gestione commer- ciale” un rapido rilascio delle merci e semplifi- cazioni quali un numero ridotto di dati per le dichiarazioni, lo sdoganamento presso la sede dell’impresa, dichiarazioni periodiche e cumu- lative per più operazioni in un dato periodo e altre agevolazioni contabili e amministrative. Questa partnership tra autorità doganale e impresa nel 2000 prese forma nello StairSec – Stairway Security Program adottato dalla Do- gana del Regno di Svezia, progetto pilota di ge- stione degli aspetti legati alla sicurezza della catena logistica. Con esso l’autorità doganale svedese, che affermava “We want the Swedish business community to consider us the most efficient Customs administration in Europe” (vogliamo che la comunità imprenditoriale Svedese ci consideri la più efficiente Ammini- strazione doganale in Europa, Ndr), razionaliz- zava procedure e gestione dei rischi connessi agli scambi internazionali, rappresentati da traffici illegali di stupefacenti, armi e tecno- logie di distruzione di massa, atti terroristici, emergenze sanitarie, danni erariali, investendo sulla selezione di operatori seri, bene organiz- zati, rispettosi delle norme e trasparenti con l’Amministrazione. A questi l’autorità doganale avrebbe potuto assicurare la maggiore spedi- tezza possibile degli scambi e delle procedure grazie ad un reciproco rapporto collaborativo e fiduciario, tale da consentire alla Dogana di concentrarsi su altre criticità e all’impresa di ottimizzare aspetti della propria attività con- seguendo al contempo una riduzione di alcuni centri di costo. L’OMD, Organizzazione Mondiale delle Doga- ne, nel 2005 ha lanciato il SAFE Framework of Standards to Secure and Facilitate Global Tra- de (SAFE Framework), il cui cosiddetto Secon- do Pilastro è dedicato a imprese e Authorized Economic Operator. L’Organizzazione, che a giugno 2015 contava 180 membri nel mondo, con questo programma ha impegnato tutte le amministrazioni doganali dei Paesi aderenti a instaurare programmi di compliance doganale, rilasciando già nel 2007 all’interno del program- ma dettagliate disposizioni sulle condizioni ed i requisiti per il rilascio dello status di A.E.O. Authorized Economic Operator ed i rapporti dei soggetti certificati con l’Autorità dogana- le, contenute oggi nell’Annex IV della versione 2015 del programma. Con l’intento di aumentare la sicurezza dei traffici e contrastare le minacce del terrorismo internazionale, l’Unione Europea ha adottato una serie di misure contenute nei c.d. “emen- damenti sicurezza” al Codice Doganale Comu- nitario con Reg. (CE) n. 648/2005 del 13 aprile 2005 e relativo Regolamento di esecuzione n. 1875 del 2006, in seguito trasfuse nel Reg. (CE) n. 450/2008, noto come “Codice Doganale Mo- dernizzato”, che dal 2013 è stato sostituito dal “Codice Doganale dell’Unione” [Reg. (UE) n. 952/2013 del 9 ottobre 2013]. In quest’ultimo il tema della sicurezza è po- sto in evidenza sin dai considerando e poi nei primi articoli del testo. All’art. 3 in particolare sono enunciati gli aspetti attinenti alla sicu- rezza dell’intera catena logistica ed i relativi obiettivi che le autorità doganali debbono per- seguire con le opportune misure; l’art. 5 p.to 7 definisce il “rischio” attraverso i concetti di probabilità ed impatto che ritroveremo più avanti in questa trattazione. La Sezione 4 è dedicata all’Operatore Economico Autorizzato, essendo nel frattempo intervenuto, rispetto al Reg. (CE) n. 450/2008 abrogato dall’art. 286 del Codice Doganale dell’Unione, il documen- to TAXUD/2006/1450 del 29 giugno 2007 della Commissione (che riprendeva le linee guida dell’OMD del giugno 2006 contenenti precise ed uniformi indicazioni ai governi dei Paesi ade- renti sulla figura dell’A.E.O.) e le modifiche for- mali al Codice del 1992 intervenute con il Reg. (CE) n. 648/2005 e quelle alle DAC-Disposizioni di Applicazione del Codice (Reg. (CEE) n. 2454/93 adottate a norma del Reg. (CE) n. 1875/2006): fin qui, le doverose fonti normative. Scendiamo nel dettaglio. COVER STORY
  • 6. 6 gennaio 2016 | Requisiti e procedura per l’otteni- mento della certificazione Con effetto dal 1° gennaio 2008 vigono nell’U- nione disposizioni che consentono a qualun- que soggetto della catena logistica internazio- nale che svolga attività soggette alla disciplina doganale di vedersi riconosciuta la qualifica di A.E.O., a prescindere dalla figura che in questa tale soggetto assuma, sia dunque produttore, commerciante, vettore, operatore logistico, rappresentante doganale, depositario, espor- tatore e/o importatore, e a prescindere dalla “dimensione” aziendale dello stesso. I requisiti previsti per la concessione dello status di A.E.O. di cui all’art. 39 del Codice dell’Unione sono, infatti, tarati anche tenendo conto di queste variabili preliminari. Tali requisiti sono in linea generale: a) assenza di violazioni gravi o ripetute del- la normativa doganale e fiscale, compresa l’assenza di trascorsi di reati gravi in rela- zione all’attività economica del richieden- te; b) dimostrazione, da parte del richiedente, di un alto livello di controllo sulle sue ope- razioni e sul flusso di merci, mediante un sistema di gestione delle scritture com- merciali e, se del caso, di quelle relative ai trasporti, che consenta adeguati controlli doganali; c) solvibilità finanziaria, che si considera com- provata se il richiedente si trova in una si- tuazione finanziaria sana, che gli consente di adempiere ai propri impegni, tenendo in debita considerazione le caratteristiche del tipo di attività commerciale interessata; d) il rispetto di standard pratici di competen- za o qualifiche professionali direttamente connesse con l’attività svolta con riguardo ai soggetti che intendano ottenere sempli- ficazioni doganali; e) l’esistenza di adeguati standard di scurez- za, che si considerano rispettati se il richie- dente dimostra di disporre di misure ido- nee a garantire la sicurezza della catena internazionale di approvvigionamento an- che per quanto riguarda l’integrità fisica e i controlli degli accessi, i processi logistici e le manipolazioni di specifici tipi di merci, il personale e l’individuazione dei partner commerciali con riferimento ai soggetti che intendano ottenere semplificazioni at- tinenti alla sicurezza. Esistono dunque due figure di A.E.O., A.E.O.-C (ove C sta per custom) per i soggetti che aspi- rino a semplificazioni doganali, e A.E.O.-S (ove S sta per security) per quelle in tema di sicu- rezza, che potendosi cumulare tra loro in una terza figura consentono l’ottenimento dello status A.E.O.-F (full) che prevede entrambe le tipologie di agevolazioni. Coloro che aspirino a vedersi certificata dalla dogana la propria compliance devono presen- tare apposita domanda all’Ufficio delle Doga- ne in cui ha sede la propria attività principale connessa e soggetta alla disciplina doganale, dunque non necessariamente, ad esempio, il luogo ove il soggetto ha la sede legale. La do- manda, redatta su apposito formulario e corre- data da una serie di documenti, attiva la proce- dura amministrativa di pre-audit, a cui l’Ufficio dà corso attraverso una serie di incontri presso la sede del richiedente che con questi vengono concordati. Durante le visite i funzionari del- la dogana procedono alla verifica dei requisiti così come sopra definiti, avendo riguardo alla specificità di ciascun soggetto, della tipolo- gia della sua attività e della figura che questo svolge nell’ambito della supply chain. Questi accertamenti, vale la pena ricordarlo, non hanno natura di verifica ispettiva. La dogana al contrario procede al riscontro del grado di af- fidabilità del richiedente valutandone l’attivi- tà in tema di rischi potenziali ed effettivi, loro eventuale impatto e contromisure che sono previste per contrastare e gestire le criticità. Esemplificando, il soggetto deve dimostrare di: • avere adeguata e comprovata osservanza degli obblighi di natura doganale, ovvia- mente; • operare con un sufficiente grado di organiz- zazione, possibilmente attraverso l’adozio- ne di specifiche procedure scritte, monito- rate ed aggiornate periodicamente; • gestire le proprie attività in modo da con- sentire all’autorità doganale controlli rapi- di ed efficaci; • avere un sistema contabile che correli ed agevoli tali controlli; • essere di comprovata solvibilità finanziaria; • gestire adeguatamente gli aspetti connessi alla sicurezza, intesa nel modo più ampio della doppia accezione in lingua inglese, safety & security. Lo strumento operativo di approccio alla verifi- ca autonoma della sussistenza di questi requi- siti che il richiedente può utilizzare è il “Que-
  • 7. 7| gennaio 2016 stionario di autovalutazione”, una check-list ove evidenziare fino a che punto la propria at- tività incontra le attese dell’Ufficio che dovrà asseverarne il livello di affidabilità. Al termine dell’attività di pre-audit, se l’esito è positivo l’Ufficio trasmette i risultati alla Dire- zione nazionale che provvede al rilascio della certificazione, che non ha un periodo di validi- tà o un termine di scadenza, ma è soggetta a periodici post-audit che l’Ufficio pone in essere per la verifica della permanenza dei requisiti riscontrati in sede di rilascio ed eventualmente del loro miglioramento, con possibilità di incre- mentare l’entità dei benefici per l’A.E.O. I vantaggi della certificazione Venendo ai vantaggi connessi allo status, que- sti si sostanziano in: • riduzione dei controlli fisici e documentali connessi alle operazioni doganali; • una sorta di “corsia preferenziale” per il trattamento delle spedizioni se queste ven- gono selezionate per verifiche dal Circuito Doganale di Controllo, il sistema di gestio- ne informatizzato delle operazioni doganali attraverso, si noti il caso, l’analisi dei rischi connessi alle stesse: l’A.E.O. ha titolo per veder sottoposta a controllo la propria ope- razione prima di ogni altro operatore non certificato; • possibilità che i controlli, se la dogana for- nisce il proprio assenso, avvengano in un luogo diverso da quello in cui essi vengono disposti, consentendo all’A.E.O. di vederli svolti in tempi minori e/o a costi inferiori; • accesso più rapido alle altre semplifica- zioni, agevolazioni o autorizzazioni in am- bito doganale: poiché lo status A.E.O. è la certificazione apicale in ambito doganale, ricomprende il possesso di tutti i requisi- ti delle altre (con riguardo in tale contesto alle tipologie C ed F, non essendo previsto per il tipo S il soddisfacimento degli aspetti doganali); • numero di dati ridotto per le “dichiarazio- ni sommarie” che vanno presentate prima dell’arrivo o dell’uscita delle merci dal terri- torio comunitario per consentire la preven- tiva analisi dei rischi; • notifica preventiva degli eventuali controlli disposti sulle merci notificati in arrivo o in uscita. Agli aspetti più strettamente operativi e pratici che possono godere dei vantaggi della certifi- cazione, si aggiungono alcuni vantaggi indi- retti, non meno degni di nota. Al fine di dimostrare il proprio grado di affida- bilità, il richiedente ha la possibilità di imple- mentare al meglio le proprie procedure e le proprie attività. Ottimizzando i processi interni l’operatore economico migliora la propria vi- sibilità nella catena di approvvigionamento e ragionevolmente raggiunge obiettivi più ampi e più rapidamente dei propri concorrenti meno organizzati. Altre ripercussioni positive possono essere: il miglioramento della sicurezza sul luogo delle attività; l’incremento dell’utilizzo e degli inve- stimenti in tecnologia; una formazione e un aggiornamento periodico e continuo del perso- nale con conseguente aumento delle compe- tenze e delle risorse; migliore comunicazione e maggiore fluidità delle informazioni all’interno dei diversi enti aziendali; una più ampia visibi- lità e riconoscibilità come “partner affidabile e sicuro” della catena di approvvigionamento in- ternazionale, amplificata dai mutui riconosci- menti delle certificazioni doganali tra i diversi Paesi. A quanto sopra va aggiunta la possibilità di un rapporto più diretto e una migliore rela- zione con le dogane, attraverso la figura del client coordinator che costituisce il punto di riferimento per gli A.E.O. residenti nel territo- rio di competenza dell’Ufficio: un funzionario, normalmente il responsabile del team di audit, che fa da interfaccia per qualunque questione l’A.E.O. necessiti sottoporre alla dogana. Anche altre autorità pubbliche possono ricono- “Esistono due figure di A.E.O., A.E.O.-C (ove C sta per custom) per i soggetti che aspirino a semplificazioni doganali, e A.E.O.-S (ove S sta per security) per quelle in tema di sicurezza, che potendosi cumulare tra loro in una terza figura consentono l’ottenimento dello status A.E.O.-F (full) che prevede entrambe le tipologie di agevolazioni”
  • 8. 8 gennaio 2016 | scere la valenza dello status di AEO. È il caso ad esempio dell’accordo tra l’Agenzia delle Dogane e l’ENAC-Ente Nazionale per l’A- viazione Civile, relativo allo scambio di dati che consente di allineare il programma A.E.O. con quelli di Agente Regolamentato (RA) e Mitten- te Conosciuto (KC), razionalizzando le attività di verifica ed evitando la duplicazione dei con- trolli per i soggetti certificati. Sono altresì stati già attivati alcuni mutui ri- conoscimenti dei rispettivi programmi di cer- tificazione doganale tra l’Unione Europea e il Giappone, gli Stati Uniti d’America e la Cina, li- mitatamente ai soggetti titolari AEO-S e AEO-F. Sono in corso di attuazione quelli con altri Pa- esi. Attualmente la certificazione è rilasciata con 2 soli livelli di affidabilità: A (affidabile) e AA (altamente affidabile). La connessa riduzione dei controlli fisici e do- cumentali va rispettivamente dal 10 al 50% e dal 50 al 90%. È utile precisare che i benefici connessi alla certificazione A.E.O. riguardano esclusiva- mente il titolare dello status, inteso come singolo operatore economico, e non si esten- dono in alcun modo ad altri soggetti a lui in qualche modo legati. Per chiarire, società ap- partenenti al medesimo gruppo non godranno delle agevolazioni concesse ad una di esse che fosse titolare A.E.O., né i clienti o i fornitori di un soggetto A.E.O. beneficeranno delle facilita- zioni a lui riservate. La ratio di ciò è che si aspira all’incremento dell’affidabilità di ogni singolo anello della catena di approvvigionamento: lungo di essa i soggetti non certificati rappresenteranno gli anelli deboli, dove i flussi rallenteranno gene- rando presumibilmente costi addizionali con- nessi ai maggiori potenziali rischi di cui l’auto- rità doganale deve tenere conto. A distanza di ormai quasi otto anni l’esisten- za della certificazione è abbastanza nota agli operatori economici, seppure con gradi diversi di approfondimento. I numeri dei soggetti che l’hanno ottenuta resta ancora molto ridotto in realtà. In tutta l’Unione sono meno di 14000 i soggetti certificati, in Italia meno di 1000, a fronte dei quasi 800 in Polonia, dei poco meno di 1300 della Francia, degli oltre 1400 olandesi e degli oltre 5600 presenti in Germania (dati a fine ottobre 2015). Se immaginiamo il numero delle imprese che in ognuno di questi Paesi ef- fettua scambi con l’estero o attività comunque disciplinate dalla normativa doganale, coloro che hanno richiesto ed ottenuto lo status di A.E.O. costituiscono una vera e propria élite. Le ragioni di questo esiguo numero di certifi- cazioni rapportato alla generalità degli attori della catena di approvvigionamento interna- zionale sono diverse.
  • 9. 9| gennaio 2016 Certamente si tratta di una possibilità a dispo- sizione delle imprese relativamente recente, e quindi implicitamente non compiutamente nota all’intera platea degli operatori economi- ci. Per quanti ne conoscono l’esistenza, la relativa procedura amministrativa necessaria al rilascio dello status può apparire ostica, o come molto onerosa in termini di investimenti in infrastrut- ture necessari, o più semplicemente priva di un reale conveniente rapporto costi/benefici. Asserire che i vantaggi siano parimenti eviden- ti, eclatanti e dirimenti per qualunque sogget- to che ottenesse la certificazione sarebbe una generalizzazione del tutto inappropriata. Ciò non di meno, i riscontri ottenuti dalle aziende e verificati dall’Ufficio anche in sede di post-au- dit , con particolare riferimento ai titolari A.E.O. che hanno usufruito delle ulteriori agevolazio- ni connesse ed implicitamente soddisfatte. Si aggiunga che, sempre in misura maggiore, provengono sollecitazioni per l’ottenimento della certificazione da parte dei propri partner internazionali, i quali beneficerebbero del fat- to di intrattenere rapporti commerciali con un soggetto degno della fiducia dell’amministra- Documenti disponibili per gli abbonati Premium Plus • Reg. CE 648/2005 • Reg. CE 450/2008 (Nuovo Codice Doganale) • Reg. CE 2454/1993 • Reg. CE 1875/2006 • TAXUD/2006/1450 • TAXUD/B2/047/2011 –Rev. 5 • Questionario di Autovalutazione A.E.O. • Note esplicative questionario di Autovalutazione A.E.O. zione doganale. La globalizzazione non è ormai più una novi- tà. Le imprese, anche loro malgrado, si trovano sempre più massicciamente a dover affronta- re i nuovi scenari degli scambi internazionali. L’informatizzazione e l’utilizzo del web sono re- altà fattuali ed operative che hanno permeato non solo l’attività delle imprese, ma anche le modalità con cui le pubbliche autorità provve- dono ai propri compiti istituzionali, ivi compre- so il presidio doganale attraverso una moderna e razionale “analisi dei rischi” che, un passo dopo l’altro, ha consentito l’instaurazione di procedure di pre-clearing o l’attivazione, allo stato sperimentale, dei cosiddetti fast-corridor ferroviari e stradali per l’alleggerimento dei porti nei tempi più rapidi possibili. Anche grazie alle sollecitazioni e indicazioni decise in ambito internazionale cui si faceva riferimento più sopra, sono stati messi a dispo- sizione dei soggetti economici strumenti con- cepiti ed implementati da un lato per garantire la sicurezza dei flussi, e dall’altro per esplicita- mente evitare di penalizzare l’attività di chi è degno di fiducia. La certificazione A.E.O. rappresenta oggi il via- tico per la razionalizzazione dei processi e de- gli aspetti doganali connessi all’attività d’im- presa, garantendo l’uso ottimale delle risorse interne, l’eliminazione o quanto meno la dra- stica riduzione dei costi connessi ai controlli cui potrebbero soggiacere le merci, ma anche e soprattutto la conoscenza delle possibili criti- cità e l’adozione delle relative azioni correttive volte ad evitare incidenti di natura fiscale, am- ministrativa, commerciale, logistica e gestio- nale in generale. “Ottimizzando i processi interni l’operatore economico migliora la propria visibilità nella catena di approvvigionamento e ragionevolmente raggiunge obiettivi più ampi e più rapidamente dei propri concorrenti meno organizzati”
  • 10. 10 gennaio 2016 | Accordo di libero scambio UE-Canada Nell’ottobre del 2014, dopo quattro anni di trat- tative, l’Unione Europea ed il Canada hanno raggiunto un’intesa di principio su un accordo di libero scambio denominato Comprehensive Economic Trade Agreement – CETA. “L’UE è il secondo partner commerciale del Ca- nada dopo gli USA. Nel 2013 l’UE ha esportato verso il Canada merci per 31,6 miliardi di EUR e ha assorbito merci canadesi per un valore di 27,3 miliardi di EUR. Sempre nello stesso anno il Canada si è classificato al 12° posto tra i par- tner commerciali internazionali dell’Unione. Gli scambi di servizi tra l’UE e il Canada hanno re- gistrato una lieve flessione nel 2013 rispetto al 2012. Nel 2013 le esportazioni di servizi dall’UE verso il Canada hanno raggiunto quota 16,3 mi- liardi di EUR, mentre le importazioni nell’Unio- ne di servizi provenienti dal Canada sono state valutate a 9,9 miliardi di EUR.” (fonte: www.eu- roparl.europa.eur). Come per gli altri accordi che, negli anni, l’U- nione ha sottoscritto con altri Paesi, l’obiet- tivo è quello di abbattere la maggior parte delle barriere tariffarie oggi in essere. All’en- trata in vigore dell’Accordo verranno annulla- ti il 98% dei dazi attualmente applicati per le merci non-agricole, mentre per queste ultime si arriverà al 94% di prodotti “duty free”. L’ac- cordo di massima sottoscritto prevede 7 princi- pali punti: beni non agricoli, beni agricoli, ser- vizi ed investimenti, appalti pubblici, proprietà intellettuale, risoluzione delle controversie e sviluppo sostenibile. Ferma restando una generale maggiore compe- titività che l’Accordo dovrebbe comportare per le imprese europee e canadesi, i dettagli sui termini dello stesso sono ancora troppo vaghi per quantificare con una certa precisione la po- tenzialità che esso dovrebbe liberare. Come spesso accade, una parte dei soggetti economici trarrà ragionevolmente ottimi van- taggi dall’abbattimento delle barriere tariffa- IN SINTESI, LE PRINCIPALI NOTIZIE UTILI PER GLI OPERATORI IMPORT/EXPORT a cura di Hermes s.n.c.
  • 11. 11| gennaio 2016 rie. Per le imprese che esportano, l’eliminazione dei dazi comporterà una maggiore appetibilità per i prodotti agroalimentari in generale e per pesce e frutti di mare in particolare, oltre al libero accesso per la silvicoltura e prodotti di legno, nichel, acciaio, rame e zinco. Anche il mercato dei servizi potrà vedersi aperta la stra- da a maggiore competitività e a migliori servizi professionali. D’altro canto, i soggetti che ad oggi beneficiano di una sorta di protezionismo implicito all’applicazione dei dazi si vedranno posti in competizione con prodotti che saranno importabili ad un costo più basso, tra questi formaggi, vini e veicoli a motore, che sono tra i principali beni d’esportazione dall’Italia al Ca- nada.  Iran e sanzioni Lo scorso 24 luglio a Vienna è stato siglato, tra il gruppo dei Paesi cosiddetti 5+1 (USA, Re- gno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina) e l’Iran, il Joint Comprehensive Plan of Action (Piano d’azione congiunto globale – “JCPOA”). Tale accordo comprende un testo principale e cinque allegati tecnici (questi ultimi sul nucle- are, le sanzioni, la cooperazione energetica sul nucleare civile, una commissione congiunta e l’implementazione). Nel dettaglio, l’allegato V sull’implementazione del JCPOA delinea un percorso a tappe, con modalità e tempi neces- sari per la completa attuazione, prevedendo al contempo la progressiva revoca delle vigenti misure restrittive nei confronti dell’Iran, tan- to da parte dell’ONU che dell’Unione Europea e degli USA. Con particolare riferimento a detto allegato V, la roadmap prevede le seguenti 5 tappe. 1. FINALISATION DAY (14 luglio 2015) Data prevista per l’approvazione del JCPOA da parte dei Paesi 5+1 e Iran, avvio delle pratiche per l’endorsement del JCPOA da parte del Con- siglio di Sicurezza ONU e per la definizione dei dettagli delle misure di controllo sulle attività nucleari tra l’Agenzia internazionale dell’ener- gia atomica (AIEA) e il governo iraniano. Il 14 luglio 2015 la UE ha prorogato di ulteriori 6 mesi le misure del Piano d’azione congiunto del 24 novembre 2013, che sarebbero scadute lo scorso luglio 2015, fino al 14 gennaio 2016. L’attuazione del Piano d’azione congiunto ha comportato, a far tempo dal 21 gennaio 2014, la sospensione delle restrizioni riguardanti il di- vieto di prestare servizi di assicurazione, riassi- curazione e trasporto petrolifero, quelle riguar- danti l’importazione, l’acquisto ed il trasporto di prodotti petrolchimici iraniani e la presta- zione dei relativi servizi connessi, oltre a quelli concernenti il commercio di oro e preziosi. 2. ADOPTION DAY (18 ottobre 2015) Data di entrata in vigore del JCPOA e defini- zione degli adempimenti necessari alla sua at- tuazione, cui sono collegate le seguenti azioni: l’Iran notifica all’AIEA che applicherà tempora- neamente il Protocollo aggiuntivo al Trattato di non proliferazione (c.d. regime potenziato delle ispezioni) a partire dall’Implementation day; l’Unione Europea adotta un regolamento per la revoca di alcune restrizioni con efficacia sempre a partire dall’Implementation day; gli USA si impegnano ad eliminare altre restrizioni minori a partire dalla stessa data. 3. IMPLEMENTATION DAY (verosimilmente: prima metà del 2016) Simultaneamente: l’AEIA verifica il rispetto de- gli impegni iraniani, l’UE e gli USA abrogano al- cune sanzioni previste all’Allegato II del JCPOA e l’ONU revoca tutte le vigenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. 4. TRANSITION DAY (8 anni dopo l’Adoption day) Eliminazione da parte dell’UE e degli USA delle rimanenti sanzioni e ratifica da parte dell’Iran di un Protocollo aggiuntivo al Trattato di non proliferazione nucleare. 5. TERMINATION DAY (10 anni dopo l’ Adop- tion day) Termine del JCPOA e abrogazione del Reg. (UE) NOTIZIE IN BREVE
  • 12. 12 gennaio 2016 | n. 267/2012. L’UE e le restrizioni alla Russia Il 22 giugno 2015, formalizzando una decisione già presa a livello di rappresentanti permanen- ti, il Consiglio dell’Unione Europea ha proro- gato di ulteriori sei mesi le misure restrittive adottate nei confronti della Russia a seguito della crisi ucraina con Reg. (UE) n. 833/2014 e sue successive modifiche ed integrazioni inter- venute con i Reg. (UE) n. 960/2014 e Reg. (UE) n. 1290/2014. Dette misure riguardano principalmente: • le restrizioni sulle esportazioni di beni e tecnologie duali che, si rammenta, ineri- scono prodotti che potrebbero essere de- stinati, in tutto o in parte, ad un uso non civile ma militare o comunque destinati ad un utilizzatore militare della Federazione russa; • il divieto di esportare ed importare mate- riale d’armamento e tecnologie correlate; • l’obbligo di autorizzazione preventiva per la vendita, la fornitura, il trasferimento e l’e- sportazione di taluni prodotti e tecnologia del settore petrolifero in Russia; • le limitazioni all’accesso al mercato pri- mario e secondario dei capitali dell’Unione per i primi cinque enti finanziari russi, di proprietà statale, e per le loro filiali con- trollate a maggioranza stabilite al di fuori dell’UE, nonché per le tre maggiori società del comparto energetico e le tre operanti nel settore della difesa. Il Consiglio già dallo scorso mese di marzo aveva deciso di legare l’ammorbidimento o la riduzione delle misure alla completa attuazio- ne da parte russa degli accordi di Minsk, volti alla cessazione delle azioni militari in Ucraina orientale. Tuttavia recentemente i rappresentanti del G7 si sono comunque riservati di inasprire ed au- mentare le sanzioni a carico della Russia, in ragione del persistere delle sue azioni desta- bilizzanti nell’area. A ciò si aggiunga la recen- te ulteriore delicatissima crisi susseguente all’abbattimento, da parte delle forze di difesa turche, di un aereo da caccia russo impegnato sul teatro di guerra siriano, che non fa certo ben sperare per il distendersi dei rapporti. Le misure restrittive europee resteranno dunque in vigore almeno fino al 31 gennaio 2016. In risposta a quella che è stata considerata una illegale annessione della Crimea e di Se- bastopoli da parte della Federazione Russa, la UE ha prorogato in data 19 giugno 2015 fino al 23 giugno 2016 l’efficacia delle sanzioni e del- le misure restrittive nei confronti della Russia adottate con Reg. (UE) n. 692/2014. Tra gli altri, esse prevedono il divieto agli investimenti in Crimea o a Sebastopoli e alle esportazioni di taluni beni e tecnologie ivi diretti o destinate ad imprese di quell’area operanti nel settore dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’e- nergia, riguardanti la prospezione, l’esplorazio- ne e la produzione nel settore oil & gas. Il nuovo ravvedimento operoso limitato per i tributi doganali La scorsa Legge di stabilità 2015 ha rinnova- to in modo rilevante la disciplina del ravvedi- mento operoso, introducendo più ampi termini tanto per le modalità che per l’applicazione di questo istituto. Una consistente riduzione delle sanzioni è sta- ta prevista per gli omessi versamenti, anche oltre il previgente termine di un anno dalla regolarizzazione, con un aumento progressi- vo dell’onerosità delle stesse in ragione della tempestività del versamento tardivo. Si è an- che prevista la riduzione a 1/5 del minimo della sanzione nei casi in cui il pagamento avvenga dopo la constatazione della violazione con pro- cesso verbale e pure per quegli errori e/o omis- sioni che abbiano inciso sulla determinazione del tributo. Il nuovo comma 1-bis dell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997 (“Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie”) riscritto in occasione del- la succitata Legge di stabilità espressamente prevede che “le disposizioni di cui al comma 1, lettere b-bis) e b-ter), si applicano ai tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate”. Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione risulta espressamente cir- coscritto ai tributi di competenza dell’Agenzia delle Entrate, e quindi non anche quello con- cernente i diritti doganali. Non così chiara è apparsa la possibilità di po- ter beneficiare, per i diritti amministrati dalla
  • 13. 13| gennaio 2016 dogana, della regolarizzazione anche dopo la redazione di processo verbale di constatazione delle violazioni o omissioni, di cui al comma 1-ter. La nota dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli n. 89853/RU del 18/08/2015, a tale riguardo precisa che pur essendo prevista una deroga alla generale preclusione di poter adire al ravvedimento operoso anche nei casi in cui la violazione sia già stata constatata e siano iniziati accessi e verifiche o altri accertamenti di cui l’autore della violazione sia formalmente a conoscenza, salva la notifica formale di un atto di liquidazione o accertamento o il rice- vimento di comunicazione di irregolarità, essa va intesa come limitata espressamente ai tri- buti su cui ha competenza l’Agenzia delle En- trate. Quanto disposto al comma 1-ter riguardo all’applicazione di tutte le disposizioni dell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997 induce a ritenere che an- che quanto previsto alla lettera b-quater del comma 1 debba intendersi riferita esclusiva- mente ai tributi dell’Agenzia delle Entrate. Così è stato infatti confermato anche in occasione di incontro periodico con l’Avvocatura Generale dello Stato. A diverse conclusioni si deve invece giungere con riguardo al contenuto della nuova lettera a-bis) del comma 1 dell’art. 13, il quale ammet- te la possibilità che la sanzione si riduca “ad un nono del minimo se la regolarizzazione de- gli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tri- buto, avviene entro il novantesimo giorno suc- cessivo al termine per la presentazione della dichiarazione, ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall’omissione o dall’errore”. Secondo la nota delle dogane n. 89853/RU/2015 non si vedono motivi per i quali questa possibilità non pos- sa vedersi riconosciuta anche per i tributi do- ganali, trattandosi di un principio generale di graduazione delle sanzioni amministrative che unitamente a proporzionalità ed effettività è costantemente affermato anche dalla Corte di Giustizia UE, oltre ad essere fissato all’art. 42 del Reg. (UE) n. 952/2013 che ha istituito il nuo- vo Codice doganale dell’Unione. La medesima nota dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, anche su questo punto con il conforto del parere dell’Avvocatura Generale, ribadisce all’ultimo paragrafo che comunque continua a trovare applicazione l’istituto do- ganale della revisione dell’accertamento su istanza di parte che dà diritto alla non appli- cazione di sanzioni alle medesime condizioni sopra indicate (constatazione della violazione non ancora avvenuta e accessi, ispezioni, veri- fiche o altre attività amministrative di accerta- mento non già poste in essere).
  • 14. 14 gennaio 2016 | Nel nostro meraviglioso Paese accade, di tanto in tanto, che anche il legislatore dia prova di quella fantasia ed inventiva che, nel mondo, ci ha sempre contraddistinto. Così, contrariamente a quanto avviene da parte di altre Amministrazioni, ottenere un rimborso per un credito IVA. può comportare tempi deci- samente molto lunghi. Per ovviare parzialmen- te a tale problema, vige da noi un meccanismo che consente a determinati soggetti di poter parzialmente recuperare tale credito, evitando l’apposita istanza di rimborso o compensa- zione. Questa possibilità è prevista per i contribuenti che nell’anno solare precedente, o nei 12 mesi precedenti, abbiano registrato esportazioni, cessioni intracomunitarie e altre operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del proprio volume di affari. Questa possibilità vige anche per i soggetti passivi non residenti che abbiano nominato in Italia un rappresen- tante fiscale o che si siano identificati diret- tamente (risoluzioni 21 giugno 1999, n. 120/E e 4 agosto 2011, n. 80/E). Per contro non posso- no avvalersi di questo sistema i soggetti che abbiano iniziato l’attività da meno di un anno e coloro che non possono esercitare il diritto alla detrazione (e.g.: produttori agricoli in re- gime speciale di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72; contribuenti minimi). Il “volume di affari IVA” consta dell’ammontare delle operazioni impo- nibili, non imponibili, esenti (al netto di beni ammortizzabili materiali e di beni immateriali: diritti per brevetti industriali, di utilizzazione di opere dell’ingegno, di concessioni, licenze, marchi di fabbrica) registrate o nell’anno so- lare precedente, in tal caso tale ammontare è definito “plafond fisso”, o nei 12 mesi prece- denti, definendosi in tal caso l’ammontare to- tale “plafond mobile”. Ciò che va considerato per la qualifica di esportatore abituale è invece il volume d’affari IVA “rettificato”, corrispon- dente al volume d’affari IVA a cui vanno detrat- te le cessioni di beni in transito, le cessioni di beni immagazzinati in luoghi sotto vigilanza doganale (depositi doganali) e le operazioni extraterritoriali di cui all’art. 21, co. 6-bis, lett. a) e b) del DPR 633/72. Dal 1° gennaio 2013 l’ob- bligo di emissione della fattura per operazioni extraterritoriali è stato esteso alle cessioni di NUOVO MODELLO DI DICHIARAZIONE DI INTENTO PER ESPORTATORI ABITUALI di Massimiliano Mercurio
  • 15. 15| gennaio 2016 beni e prestazioni di servizi (diverse da quelle di tipo finanziario, bancario, creditizio e assicu- rativo di cui all’art. 10 del DPR 633/72) rese nei confronti di altro soggetto passivo residente nella UE, quali le cessioni di beni di cui all’art. 7-bis e le prestazioni di servizio non soggette ad IVA di cui all’art.7 da 7-ter a 7-quinquies, e a quelle rese nei confronti di soggetti non resi- denti nella UE. La verifica della sussistenza dei requisiti per la qualifica di esportatore abituale deve essere riferita alle operazioni “registrate”: rientrano Esportazioni dirette art.8, c. 1, lett. a) DPR 633/72 art. 8, c. 1, lett. a) DPR 633/72 Esportazioni dirette triangolari 633/772 art. 8, c. 1, lett. a) DPR 633/72 Esportazioni indirette (uscita a cura del cessionario non residente entro 90 dalla consegna) 633/72 art. 8, c. 1, lett. b) DPR 633/72 Cessioni verso San Marino e Città del Vaticano art. 71, c. 1, DPR 633/72 Cessioni di beni destinati ad essere impiegati nel mare territoriale a piattaforme di perforazione e sfruttamento art. 8, c. 5, DPR 633/72 Operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione “effettuate nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa” 633/72 art. 8-bis, c. 1, DPR 633/72 Servizi internazionali art. 9, c. 1, DPR 633/72 Cessioni e prestazioni nei confronti di consolati, ambasciate, basi NATO, ONU, comandi militari ecc. art. 72 DPR 633/72 Cessioni intracomunitarie art. 41 DL 331/93 Cessioni intracomunitarie triangolari art. 41 DL 331/93 Cessioni intracomunitarie interne triangolari art. 58 c. 1 DL 331/93 Cessioni intra-UE di beni prelevati da deposito IVA con trasporto e spedizione in altro Paese UE 331/93 art. 58-bis, c. 4 lett. f DL 331/93 Margini positivi delle esportazioni non imponibili di beni usati (c.d. regime del margine) art. 37, c. 1 DL 41/95 ISTRUZIONI OPERATIVE, PRASSI E NORMATIVA Tabella 1 pertanto nel calcolo le fatture emesse antici- patamente alla consegna della merce e quelle per il pagamento di acconti, ma non le fatture differite. riferita alle operazioni “registrate”: rientrano pertanto nel calcolo le fatture emesse antici- patamente alla consegna della merce e quelle per il pagamento di acconti, ma non le fatture differite. Riepilogando, le operazioni che concorrono alla formazione del plafond sono quelle riportate nella tabella 1. Al contrario, NON concorrono alla costituzione del plafond le operazioni riportate nella Tabella 2.
  • 16. 16 gennaio 2016 | Cessioni di beni e prestazioni di servizi ad esportatori abituali art. 8, c. 1 lett. c) DPR 633/72 Cessioni a viaggiatori extracomunitari art. 38-quater, c. 1 DPR 633/72 Cessioni di beni in transito doganale o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale art. 7-bis DPR 633/72 Cessioni di beni destinati a un deposito IVA art. 50-bis, c. 4, lett. c)-d) DL 331/93 Cessioni di beni all’interno di un deposito IVA e relative prestazioni di servizio art. 50-bis, c. 4, lett. e)-h) DL 331/93 Trasferimenti di beni da un deposito IVA ad un altro art. 50-bis, c. 4, lett. i DL 331/93 Cessione di beni e prestazioni accessorie per finalità umanitarie art. 14 c. 4 L. 49/87, DM 379/88 La quota parte dei corrispettivi corrispondente al prezzo di acquisto nelle operazioni effettuate col regime di margine art. 37, c. 1 DL 41/95 Prestazioni di servizio rese fuori dall’UE da agenzie di viaggio e turismo (regime speciale del DM 340/99) art. 74-ter DPR 633/72 Tutte le cessioni e prestazioni di servizi extraterritoriali che dal 1o gennaio 2013 concorrono al volume d’affari IVA artt. da 7-bis a 7-quinquies ai sensi dell’art. 21 c. 6-bis DPR 633/72 Esportazioni gratuite di beni oggetto dell’attività di impresa art. 8, c. 1 lett. a) DPR 633/72 Esportazioni gratuite di campioni di modico valore, appositamente contrassegnati e non destinati alla vendita oggetto dell’attività di impresa art. 2, c. 3 lett. d) DPR 633/72 Esportazioni gratuite di beni non oggetto della attività di impresa se di valore non superiore a 50 euro art. 2, c. 2 DPR 633/72 Esportazioni gratuite di beni estranei all’attività di impresa di costo unitario inferiore a 50 euro per i quali sia stata operata in acquisto o importazione la detrazione dell’imposta art. 2, c. 2 DPR 633/72 Come si diceva più sopra, l’esportatore ha fa- coltà di scegliere tra due sistemi di calcolo del plafond a sua disposizione. Questi differiscono a seconda del periodo di riferimento preso in esame, che per il c.d. “plafond fisso” (detto an- che “plafond annuale”) riguarda le operazioni registrate nell’anno solare precedente, mentre per il c.d “plafond mobile” (detto anche “pla- fond mensile”) riguarda le operazioni registra- te nei 12 mesi precedenti. Questo secondo si- stema risulta più complesso, in quanto occorre verificare in ciascun mese sia la sussistenza dello status di esportatore abituale, sia il re- lativo plafond disponibile. Si rivela dunque di maggiore utilità per quei soggetti che preve- dano una crescita delle operazioni interessate, e per coloro che abbiano iniziato l’attività da almeno 12 mesi e che possono quindi utilizzare il plafond già dal 13° mese, senza dover atten- dere la chiusura dell’anno solare. La scelta della tipologia di plafond viene ma- nifestata dal contribuente a posteriori in occa- sione del deposito della dichiarazione annuale IVA dell’anno di riferimento al quadro VC. È possibile passare da un tipo di plafond all’al- tro, ma evidentemente una volta scelto uno dei due va mantenuto fino al 1° gennaio dell’anno Tabella 2
  • 17. 17| gennaio 2016 Documenti disponibili per gli abbonati Premium Plus • Risoluzione del Ministero delle Finanze del 21 giugno 1999, n. 120/E • Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 4 agosto 2011, n. 80/E • D.P.R. 633/1972 • D.P.R. 322/1988 • Nota l’Agenzia delle Dogane del 20 maggio 2015 • Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 13 aprile 2015, n. 38 successivo, non essendo possibile cambiare ti- pologia in corso d’anno. Per disciplina generale, le variazioni dell’impo- nibile che incidano in aumento sul fatturato dell’operatore economico, che lo obbligano quindi all’emissione di una fattura integrativa, vanno computate con riguardo all’operazione principale se la relativa fattura integrativa è emessa nel corso dell’anno o entro quello successivo. Sempre per disciplina generale, le note di credito che riducano imponibile e relativa imposta afferente sono facoltative, ma vanno sempre a ridurre il plafond disponi- bile. Pertanto se emesse nello stesso anno o nell’anno successivo riducono il plafond dispo- nibile dell’anno o dell’anno precedente, ma se emesse in anni ancora successivi, diminuendo il plafond dell’anno in cui è stata effettuata l’operazione principale potrebbero causare il c.d. “splafonamento”, cioè un utilizzo del pla- fond senza capienza che porterebbe ad irrego- larità e sanzioni. Il contribuente esportatore abituale può quindi utilizzare il plafond per acquistare o importare senza addebito dell’imposta beni e servizi di qualunque natura, inerenti l’attività di impre- sa, con eccezione di fabbricati, aree edificabili e in generale di beni e servizi con IVA indetrai- bile. La limitazione prevista inizialmente dalla norma che consentiva l’acquisto con utilizzo del plafond esclusivamente di beni che sareb- bero stati esportati tal quali o che sarebbero entrati nel ciclo produttivo dell’impresa per essere poi esportati sotto forma di altri beni è stata superata. Il momento di utilizzo del plafond è quello in cui si considera effettuata l’operazione di ac- quisto o importazione, non quello in cui si re- gistra la fattura o la bolletta doganale. Dall’11 febbraio 2015 vigono nuove modalità per ciò che riguarda la consegna o l’invio al ceden- te o prestatore della dichiarazione di intento, cioè il documento con il quale l’esportatore abituale acclara alla controparte la propria volontà di avvalersi dell’utilizzo del plafond a propria disposizione. Oggi le dichiarazioni van- no trasmesse all’Agenzia delle Entrate esclu- sivamente per via telematica, direttamente o avvalendosi di soggetti abilitati a Entratel o Fi- sconline, o per il tramite di soggetti incaricati (art. 3 c. 2-bis e 3 DPR 322/98). Successivamen- te all’invio telematico l’esportatore abituale dovrà consegnare copia della dichiarazione di intento e relativa ricevuta di trasmissione al proprio fornitore, al quale compete l’onere di effettuare la verifica che il documento risulti a sistema attraverso la funzione “verifica rice- vuta dichiarazioni di intento” o accedendo alla sezione “comunicazioni” del cassetto fiscale. Con la nota del 20/05/2015 l’Agenzia delle Do- gane ha per parte sua dato il via libera alle semplificazioni contenute nella risoluzione 38/E del 13/04/2015 con la quale l’Agenzia del- le Entrate ha equiparato la procedura per le dichiarazioni di intento prevista per le opera- zioni interne con quella delle importazioni. Dal 25/05/2015 gli esportatori abituali che effettu- ino operazioni di importazione possono utiliz- zare un’unica dichiarazione di intento anche per più dichiarazioni doganali, evitando anche il deposito all’Ufficio delle Dogane della copia della dichiarazione di intento e della relativa ricevuta di presentazione. Ulteriori modifiche al modello di dichiarazione di intento atten- gono al campo 1 nel quale va indicato l’am- montare “presunto” (e non più “effettivo”) dell’imponibile dell’operazione doganale di importazione (rendendo preferibile una stima per eccesso piuttosto che per difetto) e l’indi- cazione degli importi al centesimo di euro e non più all’unità di euro.
  • 18. 18 gennaio 2016 | Dal punto di vista doganale il concetto di ori- gine assume due significati, a seconda che si parli dell’origine tout court e ci si riferisca all’origine comune, commerciale, non preferen- ziale dei beni, oppure che si tratti di origine preferenziale della merce. Posto che la provenienza di un prodotto non indica necessariamente anche l’origine dello stesso, rimanendo questo un concetto geogra- fico legato al luogo fisico in cui il prodotto me- desimo è ottenuto, e posto altresì che tale con- cetto di origine non attiene anche, come pure in passato è parsa l’interpretazione di alcune corti, al nome o al marchio più o meno noto, re- gistrato o meno, del soggetto che direttamen- te o attraverso terzi assume la veste giuridica di “produttore”, occorre distinguere tra origine non preferenziale ed origine preferenziale del- le merci. L’origine non preferenziale costituisce un dato fondamentale delle dichiarazioni doganali. Agli articoli 23 e seguenti del Codice doganale co- munitario- CDC (Reg. (CEE) n. 2913/92) [oggi ne- gli articoli 59 e seguenti del Codice doganale dell’Unione, Reg. (UE) n. 952/2013] e agli articoli 35 e seguenti oltre che agli Allegato 9, 10 e 11 delle DAC-Disposizioni di Applicazione del Co- dice (Reg. (CEE) n. 2454/93) viene disciplinato il concetto di “origine non preferenziale” del- le merci, intendendosi dunque il Paese ove il bene risulti interamente ottenuto o nel quale abbia subito la c.d. “ultima trasformazione so- stanziale”. L’“origine preferenziale” al contrario trova la sua base giuridica agli articoli 27 e seguenti del Codice del ’92 e oggi all’art.64 del Codice dell’U- nione e agli articoli 66 e seguenti delle DAC. L’applicazione di dettaglio è poi contenuta nei regolamenti che, negli anni, hanno disciplinato il “Sistema delle Preferenze Generalizzate” at- tuato dall’Unione Europea in favore dei Paesi meno sviluppati, oltre che negli Accordi sotto- scritti con Paesi o gruppi di Paesi per il recipro- co trattamento agevolato. ORIGINE PREFERENZIALE E RESPONSABILITÀ DELL’ESPORTATORE di Massimiliano Mercurio
  • 19. 19| gennaio 2016 Scopo precipuo dell’origine preferenziale è quello di consentire l’abbattimento dei dazi all’importazione per quei prodotti che risultino avere le caratteristiche richieste dalle rispetti- ve regole. Come peraltro avviene anche nella determina- zione dell’origine non preferenziale, il punto di partenza del ragionamento per determinare se un prodotto possa dirsi “di origine preferenzia- le” è la classificazione doganale delle merci. Non si considerano mai idonee a conferire l’o- rigine (non preferenziale né tanto meno prefe- renziale) quelle operazioni che si definiscono “lavorazioni minime”, contenute all’art. 38 delle DAC: “a) le manipolazioni destinate ad assicurare la conservazione dei prodotti tal quali durante il trasporto e il magazzinaggio (ventilazione, spanditura, essiccazione, rimozione di parti avariate e operazioni affini); b) le semplici operazioni di spolveratura, vaglia- tura, cernita, classificazione, assortimento (ivi compresa la composizione di serie di prodotti), lavatura, riduzione in pezzi; c) i) i cambiamenti d’imballaggio; le divisioni e riunioni di partite; ii) la semplice insaccatura, nonché il sem- plice collocamento in astucci, scatole o su tavolette, ecc., e ogni altra semplice opera- zione di condizionamento; d) l’apposizione sui prodotti e sul loro imbal- laggio di marchi, etichette o altri segni di- stintivi di condizionamento; e) la semplice riunione di parti di prodotti per costituire un prodotto completo; f) il cumulo di due o più operazioni indicate alle lettere da a) ad e).” Per i prodotti interamente ottenuti, quelli cioè che non hanno subito ulteriori lavorazioni ma sono commercializzati così come coltivati, allevati, cacciati, estratti dal sottosuolo o dai fondali delle acque territoriali, o nelle stesse acque pescati, elencati all’art. 23 del CDC, la determinazione dell’origine è immediata. Se invece un prodotto è ottenuto a seguito di lavorazioni effettuate in due o più Paesi, o utilizzando materie prime, componenti, se- mi-lavorati non tutti originari del Paese in cui avviene la lavorazione, si pone il problema di determinare quale di queste operazioni di tra- sformazione conferisca l’origine alle merci ot- tenute e se gli input utilizzati rilevino e quanto in questa determinazione. Il concetto di “ultima lavorazione o trasfor- mazione sostanziale” dell’art. 24 del CDC non è sempre di facile definizione. Uno degli indi- catori che spesso consente di affermare che il prodotto sia originario di un determinato Pae- se è il c.d. “salto di codice”, in cui per “codi- ce” si intende riferirsi alla voce doganale del prodotto ottenuto, ovvero le prime 4 cifre della classificazione doganale delle merci. Così, se un certo bene è ottenuto utilizzando materie prime, componenti, semi-lavorati che abbiano una classificazione doganale diversa rispetto ad esso, può ragionevolmente dirsi che tale bene è originario del Paese in cui è in tal modo ottenuto: utilizzando qualcosa si ottiene un bene che è qualcos’altro, quindi originario. In altri casi, pur in assenza di un “salto di codi- ce” a livello di voce doganale, la lavorazione o trasformazione effettuata può comunque risul- tare idonea a conferire l’origine del prodotto ottenuto, avendo apportato un valore aggiunto tale da poter far considerare il prodotto origi- nario. In altri casi ancora l’origine di un prodot- to è data dalla combinazione delle due ipotesi di cui sopra, per cui in parte vi è un cambio di voce doganale e in parte un certo apporto di valore aggiunto. Con riguardo all’origine non preferenziale, le regole di origine sono contenute come detto negli articoli da 23 in poi del Codice e negli ar- ticoli da 60 in poi delle DAC oltre agli Allegati 9, 10 e 11 del medesimo Reg. (CEE) n. 2454/93. L’Allegato 9 contiene le note introduttive per la lettura e corretta comprensione dei due allega- ti successivi. L’Allegato 10 riguarda la Sezione XI della Tariffa Doganale Integrata della Comu- nità (TARIC), quindi alle sole materie tessili ed ai manufatti di queste. L’Allegato 11 contiene le lavorazioni atte a conferire l’origine ad altri prodotti industriali non compresi nella Sezione XI, quindi diversi dalle materie e dai manufatti tessili, ma consta di meno di una quarantina di ISTRUZIONI OPERATIVE, PRASSI E NORMATIVA
  • 20. 20 gennaio 2016 | voci e sottovoci doganali: è evidente che nella totalità delle classificazioni doganali possibi- li per le merci si tratta di un numero davvero esiguo di prodotti. Per tutti gli altri beni non ricompresi in questi due Allegati, che vale la pena ricordare costituiscono l’unico testo normativo in tema di regole tecniche di origi- ne non preferenziale delle merci, l’origine va determinata caso per caso, avendo riguardo, come recita l’art. 24 del Codice, alla lavorazio- ne o trasformazione con cui sono ottenuti, alla necessaria giustificazione economica di que- ste operazioni, al fatto che siano effettuate da un soggetto professionale ed al fatto che ciò che si è ottenuto con esse sia un “prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase impor- tante del processo di fabbricazione”. Un ausilio al ragionamento logico concettua- le necessario alla determinazione dell’origine non preferenziale di un prodotto è rappresen- tato dalle list rules, le “regole di lista” fis- sate in seno al Comitato per l’origine della WTO-World Trade Organization che costitui- scono la posizione UE a riguardo in seno all’Or- ganizzazione Mondiale del Commercio. L’origine non preferenziale attiene al “Pae- se” in cui un bene è ottenuto. Ancorché am- messa anche dalle Camere di Commercio, com- petenti per il rilascio dei Certificati di Origine delle merci, l’origine “CE” o “UE” o comunque comunitaria dei prodotti non è del tutto cor- retta, stante il fatto che, ad oggi, possiamo definire l’Unione Europea come un mercato comune, come una zona di libero scambio pri- va di barriere doganali, come una associazione economica e commerciale, dotata sì di organi legislativi ed esecutivi e di apparati giuridici, normalmente prerogative di uno Stato sovra- no, ma comunque non è possibile definirla come un “Paese federale”. Infatti, l’indicazione “origine CE/UE” non è am- messa in molti Paesi terzi, se non accompa- gnata dalla precisazione di quale, dei 28 Paesi membri, sia quello in cui i prodotti sono otte- nuti. L’origine preferenziale, per ciò che qui rileva, si applica oggi in modo unilaterale a quei Paesi a cui l’Unione Europea riserva un trattamento favorevole in ragione del grado di arretratez- za economica degli stessi. La versione attuale del Sistema delle Preferenze Generalizzate è in vigore dal 1° gennaio 2014 e la relativa di- sciplina è contenuta nel Reg. (UE) n. 978/2012 così come modificato dal Reg. (UE) n. 1421/2013. Con questi ultimi regolamenti i Paesi benefi- ciari del Sistema sono scesi da 176 a 89. Anche il documento attestante l’origine preferenziale nell’ambito dell’SPG (certificato di origine Mo- dello A – Form A) non dovrebbe essere più uti- lizzato dal 2017. L’altro ambito di applicazione dell’origine pre- ferenziale riguarda gli Accordi sottoscritti dalla Comunità Europea prima e dall’Unione Europea poi con altri Paesi. Con questi il trattamento è reciproco, contrariamente al Sistema delle Pre- ferenze Generalizzate. Pertanto si applica sia ai beni importati nell’UE da questi Paesi terzi che per quelli di origine comunitaria ivi destinati. Le regole di riferimento sono contenute in Al- legati agli Accordi che disciplinano quali siano le lavorazioni e trasformazioni necessarie affin- ché un bene possa dirsi di origine preferenzia- le. In questo senso ciò che qui rileva dal punto di vista degli operatori economici comunitari che esportino in Paesi terzi è che il concetto di origine preferenziale, pur con definizioni più “strette” rispetto all’origine comune riguardo alle necessarie lavorazioni o alle soglie minime di valore aggiunto, si estende a tutti i Paesi membri dell’Unione. Il bene si dirà “di origine preferenziale comunitaria”, in quanto la Parte contraente degli accordi è appunto l’Unione e non i singoli Membri. Parimenti, nell’analisi per determinare se un prodotto – che non sia un prodotto interamente ottenuto, che ne go- drebbe di per sé - abbia o meno origine pre- ferenziale, occorre tenere in considerazione non materie prime, componenti e semilavorati ”semplicemente” di origine (comune, commer- ciale, non preferenziale) della UE in generale e di uno dei 28 Paesi membri in particolare, ma la valutazione dovrà discriminare tra quelli di ori- gine preferenziale comunitaria e quelli che tale origine preferenziale non hanno. Lavorazioni e trasformazioni richieste e/o soglie massime in termini di valore poste dalle regole contenu- te negli Accordi riguardano, in tale contesto, le materie prime, i componenti o semilavorati non di origine preferenziale comunitaria, di fatto escludendo anche quelli che possano dir- si soltanto di origine comune comunitaria. Per chiarire quest’ultimo concetto, si pensi ad un bene, non interamente ottenuto, di origine ita- liana perché ottenuto in Italia con componenti italiani. Questo bene sarà di origine comune italiana indipendentemente dal fatto che ven- ga venduto in Italia, nella Ue o esportato in un Paese terzo. Lo stesso bene potrà dirsi anche di origine preferenziale comunitaria se e solo se gli stessi componenti, a loro volta, posso-
  • 21. 21| gennaio 2016 no dirsi di origine preferenziale comunitaria in base alle regole per essi previste nell’Accordo in cui quel bene dovesse essere esportato, e non componenti semplicemente di origine co- mune/non preferenziale italiana. Il beneficio dell’abbattimento daziario per l’im- portatore residente in uno dei Paesi contraenti di un Accordo di libero scambio come quelli in discorso, che evidentemente si sostanzia anche nel vantaggio implicito per l’esportato- re comunitario dall’altro lato che, a parità di altre condizioni, sarà preferito ai concorrenti che non possano proporre beni destinatari del medesimo trattamento, è accordato dalle au- torità doganali dietro attestazione dell’origine preferenziale dei prodotti in sede di importa- zione. Questa attestazione di origine preferen- ziale, di regola di competenza della Dogana di esportazione con la vidimazione dei “Certifica- ti di circolazione delle merci” EUR.1 o EUR-MED oppure, per i soggetti autorizzati, rilasciata dagli stessi direttamente sulle proprie fatture commerciali export, è sempre responsabilità dell’esportatore, sia esso anche il produttore delle merci o meno. In altri termini, il soggetto tenuto a dichiarare alla dogana di esportazio- ne l’origine preferenziale delle merci al fine di vedersi rilasciare il documento che dovrà scor- tarle alla dogana di destinazione consenten- do al cliente importatore di vedersi applicato un dazio ridotto o azzerato, o che autonoma- mente attesti in qualità di “esportatore auto- rizzato” l’origine preferenziale sulle fatture di esportazione che a destino otterranno lo stes- so trattamento di favore, è chi esporta i beni, a prescindere che ne sia anche il produttore o un successivo rivenditore. Nel primo caso, co- noscendo le modalità di ottenimento dei beni che esporta, potrà consapevolmente attestar- ne, e dimostrarne all’occorrenza, l’eventuale origine preferenziale. Se al contrario l’esporta- tore non coincide con il produttore, per otte- nere il certificato di circolazione che attesti (o dichiarare in fattura) l’origine preferenziale dei beni dovrà disporre della “dichiarazione del fornitore”, redatta come da Allegati I o II del Reg. (CE) n. 1207/2001 come modificati dal Reg. (CE) n. 1617/2006, sia nuovamente questo suo fornitore il produttore dei beni o meno, per il quale vale il medesimo ragionamento che farà risalire la filiera della responsabilità fino al pro- duttore effettivo. La dogana può richiedere la documentazione giustificativa sia all’atto della dichiarazione doganale di esportazione, sia a posteriori, d’ufficio o interessata da richiesta di cooperazione amministrativa dalla omolo- ga autorità nel Paese di importazione per la conferma della dichiarazione di origine prefe- renziale. Le prove documentali giustificative della dichiarazione di origine preferenziale per espressa disposizione normativa vanno mante- nute agli atti a disposizione delle autorità per almeno tre anni dalla dichiarazione export. Se fosse accertata la falsità della dichiarazio- ne di origine (a tale riguardo, sia essa l’origi- ne non preferenziale dichiarata alla Camera di Commercio per l’ottenimento del Certifica- to di Origine delle merci, come pure l’origine preferenziale dichiarata alla dogana per l’ot- tenimento del Certificato di Circolazione EUR.1 o EUR-MED) l’esportatore potrà vedersi conte- stata la fattispecie generale di “falso ideolo- gico del privato in atto pubblico” di cui all’art. 483 c.p., che prevede la reclusione fino a 2 anni. La disciplina sanzionatoria della falsa o fallace indicazione di origine italiana è poi contenuta all’art. 517 c.p. e all’art. 4 comma 49 e 49-bis della legge n. 350 del 2003. Documenti disponibili per gli abbonati Premium Plus • Reg. CEE 2913/92 • Reg. UE 952/2013 • Reg. CEE 2454/93 • Reg. UE 978/2012 • Reg. UE 1421/2013 • Reg. CE 1207/2001 • Reg. (CE) 1617/2006
  • 22. 22 gennaio 2016 | La cessione di beni all’esportazione, discipli- nata all’art. 8 del DPR n. 633/72, rappresenta certamente la principale operazione che com- porta la movimentazione fisica delle merci da un operatore comunitario ad un soggetto residente in un Paese terzo. I beni d’altronde possono essere spediti anche per altre ragio- ni diverse dalla vendita. È il caso, ad esempio, dell’invio di prodotti per partecipare a fiere o esposizioni, dell’inoltro di apparecchiature ed attrezzature per l’effettuazione di interventi tecnici, dell’invio di campioni commerciali per la loro valutazione da parte di possibili clienti, delle spedizioni di merci che dovranno subire una lavorazione e poi rientrare. Dal punto di vi- sta doganale queste operazioni vanno distinte in base al fatto che i beni, esaurito il motivo per cui sono stati spediti, saranno reimportati tal quali o, al contrario, rientreranno sotto for- ma di “prodotti compensatori”, come si defini- scono beni ottenuti a seguito di una qualche lavorazione o trasformazione effettuata al di fuori dell’Unione Europea attraverso l’utilizzo di beni temporaneamente esportati. Per questa seconda ipotesi la disciplina di riferimento per il c.d. “traffico di perfezionamento passivo” è contenuta negli articoli 145 e seguenti del CDC - Codice Doganale Comunitario [Reg. (CEE) n. 2913/1992] e all’art. 258 del nuovo Codice Do- ganale dell’Unione [Reg. (UE) n. 952/2013], oltre che nelle DAC – Disposizioni di Applicazione del Codice [Reg. (CEE) n. 2454/1993] agli articoli 585 e seguenti. Per i beni spediti temporaneamente ma che non dovranno essere sottoposti a lavorazioni o trasformazioni, la procedura doganale di espor- tazione temporanea comporta la richiesta di apposita autorizzazione alla dogana territo- rialmente competente ove ha sede l’esporta- tore. Al fine di riscontrare che i beni all’atto del rientro sono i medesimi usciti, occorre indi- care quali siano i c.d. “mezzi di identificazio- ne” previsti (numeri di serie, etichette, sigilli, schede tecniche, fotografie, ecc.). All’arrivo nel PERFEZIONAMENTO PASSIVO O ESPORTAZIONE DEFINITIVA? di Massimiliano Mercurio
  • 23. 23| gennaio 2016 Paese di importazione, onde evitare l’applica- zione dei diritti doganali previsti per le merci che si introducono provvisoriamente (non de- stinati dunque al consumo in tale Paese), oc- correrà richiedere l’autorizzazione a quella che le norme comunitarie definiscono “ammissione temporanea”. Di regola l’autorità doganale che deve autorizzare questo momentaneo ingres- so nel proprio territorio richiede la prestazione di una garanzia a copertura dei diritti che si pagherebbero se i beni fossero importati defi- nitivamente (attraverso deposito della somma in denaro o, più frequentemente, attraverso la presentazione di idonea copertura fideiusso- ria), garanzia che verrà svincolata all’atto della riesportazione dei beni. Per ovviare a questa procedura, che comporta come descritto la richiesta di autorizzazioni sia in partenza che in arrivo, oltre alla prestazione della garanzia, è possibile usufruire del mec- canismo previsto dalla Convenzione ATA (in cui l’acronimo bilingue francese-inglese “Ad- mission Temporaire – Temporary Admission” significa appunto “Ammissione Temporanea”) sottoscritta a Bruxelles il 6 dicembre 1961 e ra- tificata dall’Italia con DPR n. 2070 del 18 mar- zo 1963. Successivamente è stata firmata il 26 giugno del 1990 la Convenzione di Istanbul sull’ammissione temporanea di merci, ratifica- ta dall’Italia con DPR n.479 del 26 ottobre 1995. Questa convenzione, elaborata con l’intento di raggruppare tutte le convenzioni in materia di ammissione temporanea di merci, ha ripreso nell’Allegato A la normativa del carnet ATA e del CDP (Carnet de Passage en Douane per gli automezzi) con relativi modelli e documenti in uso. La Convenzione di Istanbul non si sostitu- isce alle singole convenzioni, almeno fino alla sua ratifica da parte di tutti i Paesi aderenti alle stesse. L’intento di queste convenzioni è proprio quello di semplificare e facilitare la movimentazione internazionale di merci, riducendo al minimo le formalità doganali e semplificando le procedu- re che ciascun Paese impone per le operazioni di esportazione, transito ed importazione, ga- rantendo al contempo allo Stato di importazio- ne l’eventuale riscossione dei diritti in caso di mancata riesportazione. I beni che possono utilizzare le previste agevo- lazioni sono: 1) merci destinate a essere presentate od utilizzate in occasione di una esposizione, fiera, congresso o manifestazione simila- re: ISTRUZIONI OPERATIVE, PRASSI E NORMATIVA
  • 24. 24 gennaio 2016 | a) le merci destinate ad essere esposte o a formare oggetto di una dimostrazione nel corso di una manifestazione o altro evento, compresi macchine, animali, im- barcazioni e materiale vario destinati alle competizioni sportive; cavalli, con i relativi oggetti di selleria, per partecipa- re a gare o concorsi ippici; armi e muni- zioni a seguito di sportivi partecipanti a gare di tiro a volo o di tiro a segno; b) le merci destinate ad essere utilizzate in occasione di una manifestazione per esigenze di presentazione di prodotti im- portanti, quali: • le merci necessarie per la dimostra- zione di macchine o apparecchi espo- sti; • il materiale di costruzione o di deco- razione, compreso l’equipaggiamento elettrico, per i padiglioni provvisori di una persona fisica o giuridica stabili- ta al di fuori della Comunità; • il materiale pubblicitario, di dimostra- zione e di equipaggiamento destinato ad essere utilizzato per la pubblicità delle merci importate ed esposte, quali le registrazioni sonore, le pel- licole cinematografiche o comunque altro supporto atto alla riproduzione di prodotti audiovisivi, le diapositive nonché l’apparecchiatura necessaria per la loro utilizzazione; c) il materiale destinato ad essere utilizza- to in occasione di riunioni, conferenze e congressi internazionali, comprese le apparecchiature per l’interpretazione, gli apparecchi di registrazione del suono e i prodotti audiovisivi a carattere educati- vo, scientifico o culturale; d) gli animali vivi destinati ad essere esposti, sottoposti a trattamenti veteri- nari o utilizzati per la riproduzione, am- maestrati o a partecipare a manifesta- zioni; 2) materiali professionali, e cioè: a) materiale necessario ai rappresentati della stampa, della radiodiffusione o del- la televisione che si recano in un Paese per la realizzazione di reportages, o di registrazioni o di emissioni nel quadro di programmi determinati; b) materiale necessario a persone o ditte che si recano in un Paese per la realiz- zazione di uno o più film cinematografici determinati; c) materiale necessario all’esercizio del me- stiere o della professione di una persona che si reca in un Paese per compiervi un lavoro determinato, con esclusione, però, del materiale destinato ad essere utiliz- zato: • nei trasporti all’interno del Paese d’importazione; • per la fabbricazione industriale; • per il confezionamento di merci; • per lo sfruttamento di risorse natura- li, la costruzione, riparazione o manu- tenzione di immobili, l’esecuzione di lavori di terrazzamento o similari, a meno che, in questi casi, non si tratti di utensili a mano; a) materiale pedagogico; b) materiale scientifico; c) campioni rappresentativi di una deter- minata categoria di merci, ad esclusio- ne degli articoli identici, e destinati ad essere presentati o ad essere oggetto di dimostrazione, per suscitare ordinazioni di merci analoghe; d) film cinematografici, impressionati o sviluppati, positivi, destinati ad essere visionati prima della loro utilizzazione commerciale; e) cavalli per ippoturismo montati da tu- risti. Precisando che l’utilizzo del carnet ATA è ov- viamente possibile solo in quei Paesi che ne hanno ratificato la Convenzione, si aggiunge che non è consentito utilizzarlo per la tempo- ranea esportazione di alcune tipologie di beni, quali materiale di consumo, depliants, prodotti deperibili, gadgets e merci destinate ad ope- razioni di trasformazione o riparazione. Inoltre, non tutte le tipologie sopra descritte sono am- messe in tutti i Paesi aderenti, dato che alcuni ne hanno autorizzato l’impiego per esempio per manifestazioni e fiere ma non per materiali professionali o campioni commerciali come nel caso degli Emirati Arabi Uniti. La richiesta di rilascio del carnet ATA, cioè il supporto cartaceo utilizzato nel meccanismo previsto dalla Convenzione, va presentata alla “ L’intento di queste convenzioni è proprio quello di semplificare e facilitare la movimentazione internazionale di merci”
  • 25. 25| gennaio 2016 Camera di Commercio territorialmente compe- tente per la sede dell’esportatore. Andrà “alli- brato” presso un Ufficio doganale comunitario e presentato all’Ufficio di uscita. All’arrivo nel Paese di destinazione sarà nuovamente regi- strato dalla Dogana di ingresso, consentendo all’operatore di utilizzare i beni per l’operazio- ne temporanea. Con la riesportazione dei beni dal Paese terzo e la reimportazione nell’Unione (che deve avvenire al massimo entro 12 mesi dalla data di rilascio del carnet) l’operazione temporanea si conclude definitivamente. I beni che devono essere spediti per essere sottoposti ad una qualche lavorazione o tra- sformazione e che, successivamente a queste, rientreranno nel territorio doganale comunita- rio, non potendo beneficiare del meccanismo del carnet ATA dovranno essere assoggettate alla normale procedura prevista dalle norme doganali. Essa si sostanza nella richiesta di autorizzazione alla temporanea esportazione in regime di “TPA - Traffico di Perfezionamento Passivo” alla dogana. La domanda, redatta su apposito formulario comunitario di cui all’Alle- gato 67 delle DAC, deve contenere anche la c.d. “giustificazione economica” per cui si richie- de l’autorizzazione, intendendosi con questa la motivazione in base alla quale si intende far effettuare delle lavorazioni al di fuori dell’U- nione. A questo riguardo l’esame dell’autorità doganale che dovrà autorizzare il TPA accerterà che il ricorso al perfezionamento in un Paese terzo non arrecherà “grave pregiudizio agli in- teressi dei trasformatori comunitari” e che “il perfezionamento nella Comunità sia economi- camente impossibile oppure non realizzabile per motivi tecnici o a causa di obblighi contrat- tuali” [art. 502 p.to 4 Reg. (CEE) n. 2454/93]. Scopo precipuo del ricorso al traffico di per- fezionamento passivo è evitare che all’atto della reimportazione beni in precedenza de- finitivamente esportati che dovessero rien- trare sotto forma di prodotti compensatori (in qualche modo inglobati quindi in altri pro- dotti di cui costituiscono componenti, materie prime o semilavorati) siano assoggettati ai diritti di importazione, con particolare riguar- do al dazio afferente così come previsto dalla Tariffa doganale. Con l’esportazione definitiva i beni perdono la qualifica giuridica di “merce comunitaria”, ma giova precisare che nel mo- “ La richiesta di rilascio del carnet ATA va presentata alla Camera di Commercio territorialmente competente per la sede dell’esportatore”
  • 26. 26 gennaio 2016 | “ L’esportazione temporanea, qualunque sia la ragione per la quale i beni vengono spediti all’estero, è sempre e solo una facoltà dell’operatore economico, mai un obbligo” mento in cui dovessero rientrare a seguito di una qualche lavorazione o trasformazione, la corretta determinazione del valore in dogana dei prodotti compensatori non potrà prescin- dere dalla valorizzazione anche di quanto a suo tempo spedito e trasformato nel Paese terzo, con conseguente applicazione dei diritti di confine sia sul valore delle operazioni svolte dal prestatore extracomunitario e su eventua- li altri beni utilizzati, che sul valore dei beni esportati in via definitiva dal committente co- munitario. Un esempio aiuterà a chiarire que- sto concetto. ESEMPIO Si ipotizzi che, per motivi che consentano il soddisfacimento delle “condizioni economi- che” sopra richiamate, un operatore comuni- tario invii con esportazione definitiva un certo quantitativo di tessuti ad un partner situato al di fuori dell’Unione che li trasformerà in capi di abbigliamento, addebitando al committente solo la relativa prestazione di servizio di con- fezionamento. In base alle norme sul “valore in dogana” dei prodotti importati, l’imponibi- le su cui verrà accertato, liquidato e riscosso il dazio previsto dalla TARIC per quei capi di abbigliamento non sarà semplicemente dato dal corrispettivo esposto per la prestazione di confezionamento, ma a questo dovrà sommarsi il valore dei tessuti a suo tempo dichiarati per l’esportazione definitiva. In regime di Traffico di Perfezionamento Passivo al contrario il mec- canismo di calcolo porterà a dover versare in dogana il dazio afferente a questa tipologia di prodotti solo sulla quota parte di valore rap- presentato dalla prestazione di servizio, e non anche sul valore dei beni esportati per essere trasformati, con evidente vantaggio economico per l’operatore comunitario. Non sempre il ricorso al TPA si traduce in un risparmio di costi. La valutazione dell’opportu- nità di usufruire di tale “regime doganale eco-
  • 27. 27| gennaio 2016 Documenti disponibili per gli abbonati Premium Plus • D.P.R. 633/1972 • Reg. CEE 2913/1992 • Reg. UE 952/2013 • Reg. CEE 2454/1993 • L. 479/1975 nomico”, come definito dalle norme doganali, deve tenere in conto sia il risparmio sul dazio in reimportazione che altre componenti di co- sto connesse all’utilizzo di questa procedura. Più chiaramente, la gestione documentale ed amministrativa ed i relativi costi a cui l’impre- sa deve andare incontro per usufruire del re- gime di cui trattasi (si pensi a puro titolo di esempio alla redazione, sottoscrizione ed inol- tro alla dogana dell’istanza di autorizzazione, per la quale il professionista che rappresenta l’impresa ragionevolmente esporrà degli ono- rari) dovranno essere adeguatamente compen- sati dal risparmio sul dazio dovuto in reimpor- tazione. Nel caso in cui i prodotti compensatori scontassero nella UE un dazio pari a zero, e ciò sia perché tale è l’aliquota standard prevista in Tariffa, sia per una riduzione accordata in ra- gione dell’eventuale origine preferenziale che i beni dovessero acquisire grazie alle operazioni di trasformazione effettuate nel Paese terzo, l’effettivo vantaggio economico risulterebbe vanificato. In tale contesto vale la pena ricor- dare che l’esportazione temporanea, qualun- que sia la ragione per la quale i beni vengono spediti all’estero, è sempre e solo una facoltà dell’operatore economico, mai un obbligo. La regola generale è l’esportazione definitiva, es- sendo quella temporanea ammessa al ricorrere di determinate condizioni. Tanto per sfatare la convinzione di alcune imprese (e della dogana italiana di molto tempo fa …) che in assenza di una vera e propria vendita di beni non sia pos- sibile dichiarare i beni per il regime di espor- tazione definitiva, posto che non esiste alcuna correlazione – dal punto di vista della tecnica doganale – tra l’eventuale passaggio di pro- prietà delle merci e il tipo di esportazione, de- finitiva o temporanea, che l’operatore dovesse decidere di attuare. Laddove questi verificasse più conveniente spedire con esportazione defi- nitiva potrà presentare alla dogana semplice- mente una lista valorizzata, o una fattura pro- forma, o qualunque altro documento idoneo alla corretta compilazione della dichiarazione doganale, senza che questo costituisca implici- ta asserzione della vendita dei beni e dato che non esiste alcuna norma contabile che leghi necessariamente una bolletta doganale export (e, sia detto per inciso, neppure import) ad una fattura di vendita (o di acquisto per una bolla import). Come ben rappresentato, seppure con l’ironia del caso, in una celebre pellicola uscita nel- le sale cinematografiche a ridosso del Natale del 1984, “Non ci resta che piangere”, di e con Roberto Benigni e Massimo Troisi, nella scena diventata un cult “Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Un fiorino!”, il presupposto della di- chiarazione doganale è l’attraversamento del- la frontiera, non necessariamente il rapporto commerciale sottostante … Si ritiene pertanto opportuna una puntuale ed approfondita analisi dell’operazione che si vorrebbe attuare, discriminando l’utilizzo degli strumenti giuridici ed operativi più consoni ed economicamente vantaggiosi.
  • 28. 28 gennaio 2016 | In materia di IVA è stata emanata la Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valo- re aggiunto. Come noto, l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) è un’imposta generale sui consumi, applicabile alle attività commerciali che prevedano cessio- ni di beni e prestazioni di servizi. Il sistema co- mune dell’IVA di cui alla direttiva citata riguar- da dunque beni e servizi che siano acquistati e venduti per essere destinati al consumo nel territorio comunitario. L’imposta si calcola in funzione del maggiore valore aggiunto in ogni fase della filiera, dalla produzione fino al con- sumatore finale ed è su quest’ultimo che deve gravare. La riscossione avviene in modo frazio- nato, attraverso un sistema di pagamenti par- ziali (rispetto al totale finale che graverà su chi consuma il bene o gode del servizio) tale per cui il soggetto imponibile (le imprese identifi- cate ai fini IVA) possono portare in detrazione l’imposta versata ai propri fornitori dal totale di quanto da essi addebitato ai propri clienti. In questo modo, a prescindere dal numero di pas- saggi prima di arrivare al consumatore finale, l’IVA rimane neutra per l’impresa, rimanendo in definitiva a carico di chi consuma il bene o fruisce del servizio sotto forma di percentuale applicata al prezzo finale, dato dalla somma degli incrementi di valore risultanti da ognuna delle diverse fasi di produzione e commercia- lizzazione. I soggetti passivi versano dunque al fisco nazionale l’IVA relativa alle proprie ces- sioni di beni o prestazioni di servizi da questi addebitate ai clienti, dopo aver detratto l’IVA corrisposta ai propri fornitori. Fin qui appare tutto molto semplice e lineare: se tale è il vostro pensiero è probabile che non vi occupiate di diritto, più precisamente di di- ritto tributario, ed ancora più nel dettaglio di norme in tema d’IVA. Soprassedendo sull’affer- LA CORTE DI GIUSTIZIA UE E IL DIRITTO ALLA DETRAZIONE IVA: I DIVERSI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA NAZIONALE E COMUNITARIA di Massimiliano Mercurio
  • 29. 29| gennaio 2016 mazione che una volta chi scrive ebbe ad ascol- tare, “La disciplina IVA o la si ama o la si odia, io l’amo” (de gustibus...), l’estrema eterogenei- tà delle operazioni commerciali che è possibile porre in essere comporta, inevitabilmente, una altrettanto imponente giurisprudenza sulle possibili diverse interpretazioni. Nonostante il poderoso (taluno direbbe bizantino) apparato normativo cui siamo avvezzi nel nostro Paese, che potrebbe dare l’idea di voler tutto norma- re e tutto prevedere, le casistiche contemplate dalle norme in campo IVA, come in qualunque altra branca del diritto, possono e debbono ne- cessariamente disciplinare fattispecie genera- li. Inoltre, negli anni sono intervenute modifi- che importanti (si pensi al riordino in tema di prestazioni di servizi del 2010), dettate in molti casi anche da direttive comunitarie sulla ma- teria. Pur essendo di competenza istituzionale dell’A- genzia delle Entrate, l’IVA è dovuta anche “sul- le importazioni da chiunque effettuate” (art. 1 DPR 633/72): in questo ambito è pertanto accer- tata, liquidata e riscossa in dogana. L’operato- re economico provvede attraverso la dichiara- zione import a versare il dazio afferente ai beni importati, immettendoli in “libera pratica” o “libera circolazione”. Di solito contestualmente gli stessi beni assolvono anche la fiscalità in- terna, IVA in primis ma anche eventuali impo- ste di consumo, accise ed altre se previste. Con questo passaggio la merce si dice “immessa in consumo” e rientra nella piena disponibilità dell’importatore. Al fine di sanare una discrasia tra il trattamen- to riservato ai beni di provenienza terza, che possono fruire dell’introduzione in deposito doganale per sospendere il pagamento dei di- ritti di importazione, e quindi anche dell’IVA, e quelli comunitari che di questo beneficio non potevano godere, il D.L. 30 agosto 1993, n. 331 recante «Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’al- cole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi la- vorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché ... (omissis) » (GURI n. 203, del 30 agosto 1993), convertito nella Legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha introdot- to l’articolo 50 bis, che al IV comma punto b) prevede che siano effettuate senza pagamento dell’imposta “le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari desti- nati ad essere introdotti in un deposito IVA”, oltre che “le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le mani- polazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei lo- cali limitrofi sempreché, in tal caso, le sud- dette operazioni siano di durata non supe- riore a sessanta giorni” [punto h)]. In estrema sintesi, l’introduzione di beni immessi in libera pratica nel deposito IVA consente di non as- solvere l’imposta in dogana come avviene per l’immissione in libera pratica con contestuale immissione in consumo. L’imposta sarà assol- ta attraverso il meccanismo del c.d. “reverse ISTRUZIONI OPERATIVE, PRASSI E NORMATIVA
  • 30. 30 gennaio 2016 | charge” di cui all’art. 17 terzo comma del DPR 633/72 solo al momento dell’estrazione dei beni dal deposito. È evidente che, da un punto di vi- sta finanziario, il meccanismo consente anche di evitare il materiale esborso dell’IVA come al contrario avviene all’atto dell’importazione/im- missione in consumo in dogana. Negli anni l’istituto del deposito IVA è stato og- getto di interventi interpretativi, resi necessari anche dal contenzioso che, nel frattempo, era sorto su talune operazioni poste in essere da operatori che, a parere dell’autorità doganali, ne avevano fatto indebito ed arbitrario utilizzo. Alcuni aspetti degni di nota nella corretta ge- stione del regime del deposito IVA: • il legislatore non ha previsto nessun tem- po minimo di sosta delle merci all’inter- no dei depositi, come confermato anche dall’Agenzia delle Entrate (nota 30 agosto 2006, n. 2006/127886) e dall’Agenzia delle Dogane (nota 24 luglio 2006, n. 4402; nota 16 settembre 2004, n. 2004/29908); • non è previsto da alcuna normativa che le merci debbano essere scaricate dai mezzi di trasporto, (nota 2162/V/SD del 2 agosto 1999, citata dalla circolare 28 aprile 2006, n. 16/D, Agenzia delle Dogane); • il deposito IVA è un deposito fisico, se pure siano sufficienti ma necessari i rela- tivi servizi di stoccaggio e custodia, risul- tanti da regolari registrazioni contabili e commerciali, tali da giustificare economi- camente e giuridicamente il contratto di deposito, deposito che se inesistente o le- gato a un contratto simulato non potrebbe godere delle agevolazioni di cui all’art. 50 bis: è dunque specificamente vietato il de- posito virtuale (nota 28 dicembre 2006, n. 7521 Agenzia delle Dogane); • le prestazioni di servizi di cui alla lettera h) quarto comma dell’art. 50 bis, relative a beni consegnati al depositario, costituisco- no ad ogni effetto introduzione nel deposi- to IVA, anche se svolte nei locali limitrofi (art. 16 comma 5 bis Legge 27 gennaio 2009, n. 2). Nonostante i chiarimenti intervenuti, il con- tenzioso tributario è stato risolto in alcuni casi ritenendo l’imposta assolta attraverso la dop- pia registrazione dell’autofattura emessa ai sensi dell’art. 17 comma 3 del DPR 633/72 sia sul registro delle fatture emesse che su quello degli acquisti, e in ragione del generale divie- to di doppia imposizione affermando preclusa la possibilità di recupero dell’imposta (Comm. trib. prov. Torino, sez. XVIII, 18 settembre 2006, n. 61; Comm. trib. prov. Torino, sez. XX, 16 luglio 2008, n. 74); in altri casi, giustificandola con la mancata introduzione dei beni in deposito IVA da parte dell’operatore, la dogana che ha proceduto a recuperare l’imposta ha agito se- condo i giudici illegittimamente, posto che l’in- troduzione nei luoghi adiacenti allo spazio fisi- co del magazzino e non al suo interno non ha arrecato alcun danno all’erario (Comm. trib. La Spezia, 25 maggio 2009, n. 120; Comm. trib. prov. Torino, sez., 9 ottobre 2009, n. 102), e quanto alla pretesa della dogana di dover riscuotere l’IVA comunque già assolta in reverse charge poiché trattavasi di imposta che avrebbe dovuto es- sere versata all’atto dell’importazione – quindi di propria competenza e non dell’Agenzia delle Entrate - questa è stata respinta poiché ben si può ritenere che la stessa imposta sia stata legittimamente assolta per l’Ufficio competen- te per l’IVA nazionale (Comm. trib. prov. Napoli, 30 giugno 2009, n. 394), ed una interpretazione che invece ritenesse legittima tale richiesta di versamento comporterebbe de facto una inam- missibile duplicazione dell’imposta (Comm. trib. prov. Milano, sez. VII, 22 dicembre 2008, n. 307/08, che ha richiamato la “giurisprudenza costante della Corte di Giustizia – ex multis sent. 19.9.2000 n. C454/98 e 27.9.2007 n. C409/04 – e per l’indifferenza dell’Ufficio che ha rice- vuto il versamento, della Corte di Cassazione, sent. n. 12333/2001 e sent. n. 19194/2006”, oltre a Comm. trib. prov. Torino, sez., 9 ottobre 2009, n. 102). Al contrario la Cassazione ha ritenuto in altri casi legittima la competenza dell’Agenzia del- le Dogane (Cass. civ. 19 maggio 2010, n. 12262), riconoscendo esplicitamente l’esistenza di un’imposta interna ed una all’importazione: “Nella specie, riguardando la contestazione l’omesso pagamento di IVA all’importazione, e non l’IVA interna (pacificamente corrisposta), la competenza degli Uffici doganali non può essere posta in discussione.” Sulla stessa lun- “ L’introduzione di beni immessi in libera pratica nel deposito IVA consente di non assolvere l’imposta in dogana come avviene per l’immissione in libera pratica con contestuale immissione in consumo”
  • 31. 31| gennaio 2016 ghezza d’onda anche altre pronunce (e.g. Cass. civ. 19 maggio 2010, n. 12581), che hanno pari- menti negato l’esistenza di una doppia imposi- zione, “non potendo l’avvenuto assolvimento, mediante auto fatturazione, dell’IVA interna, compensare il mancato pagamento dell’IVA all’importazione”. Come sopra esposto, frequentemente la diatri- ba verte sulla natura stessa del tributo, ovvero se nelle diverse operazioni economiche e nei relative rapporti con l’Erario ciò che differisce sia semplicemente una diversa modalità di assolvimento o se, al contrario, si tratti di im- poste differenti che in comune hanno solo il nome. In altre parole, laddove la dogana avesse ritenuto non corretto il meccanismo di assolvi- mento dell’imposta attraverso reverse charge, ed avesse preteso il pagamento dell’IVA – oltre a sanzioni ed interessi –, bene avrebbe fatto in ragione di una differenza sostanziale tra “IVA interna” e “IVA all’importazione”. Invero la Corte di giustizia europea ha affer- mato in diverse occasioni che l’IVA è un unico tributo, a nulla rilevando, sotto questo aspetto, le modalità ed il momento della relativa liqui- dazione e riscossione, anche con riferimento alle eventuali sanzioni (Corte di giustizia CE, 5 maggio 1982, “Gaston Schul”, causa 15/81, Corte di giustizia CE, 25 febbraio 1988, “Rainer Drexl”, causa 299/86). Così pure si è espressa anche la stessa Cassazione che ha affermato che l’IVA all’importazione “costituisce un tributo inter- no che, secondo i principi del Trattato CE, è dovuto allo Stato al momento dell’ingresso delle merci” (Cass., Sez. III pen., 4 maggio 2010, n. 16860). Un altro aspetto della questione che ha gene- rato vertenze tra gli operatori e l’autorità do- ganale è la detraibilità dell’imposta in caso di inosservanza degli obblighi contabili e di dichiarazione. Per principio generale i Paesi membri, al fine di assicurare il corretto adempimento degli obblighi tributari che garantiscano la puntua- le riscossione dell’IVA e consentano di evitare frodi, ben possono prevedere meccanismi san- zionatori. Ma tali meccanismi che a titolo di ammenda precludessero la detraibilità dell’im- posta andrebbero oltre quanto necessario al raggiungimento di tali obiettivi, e certamente verrebbero meno anche ad un criterio di propor- zionalità previsto per l’irrogazione di sanzioni. Su queste stesse posizioni si è espressa la Cor- te di giustizia europea anche più recentemente (causa C- 272/13 del 17 luglio 2014), affermando che “nei limiti in cui [...] non sussiste né eva- sione né tentativo di evasione, la parte della sanzione consistente nel richiedere un nuovo
  • 32. 32 gennaio 2016 | pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto a detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’IVA”. In ossequio ai principi espressi dalla Corte, l’Agenzia delle Do- gane e dei Monopoli ha chiarito, con la circolare n. 16/D del 20 ottobre 2014, le conseguenze ap- plicative sia sul contenzioso in essere che sull’ attività procedimentale futura. La citata circo- lare afferma che, a seguito della riformulazio- ne dell’art. 60 comma 7 del DPR 633/72 avvenuto ad opera dell’art. 93 del D.L. 1/2012, il principio di neutralità dell’imposta è fatto salvo anche nel caso in cui la maggiore IVA fosse liquidata in sede di revisione dell’accertamento doga- nale. Tale convincimento della dogana derive- rebbe anche da quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate che con la circolare n. 35/E/2013, ovvero che il termine per esercitare la detra- zione decorre dal pagamento della maggiore imposta accertata dall’autorità doganale in capo all’importatore; posto che nelle importa- zioni non vige il meccanismo di rivalsa come per gli altri acquisti ma l’imposta è versata da questi direttamente all’Erario, il relativo diritto alla detrazione va esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno succes- sivo a quello in cui è avvenuto il regolamento. Questo ragionamento collide con cospicua giu- risprudenza della Corte di giustizia europea (si vedano cause riunite C-439-04 e C-440-04 del 6 luglio 2006 e cause riunite C-354-03, C-355-03 e C-484-03 del 12 gennaio 2006), la quale ha a più riprese affermato come sia “irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o suc- cessive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’erario”. “ Restano notevoli dubbi sia sul fatto che la detrazione della maggiore imposta che fosse liquidata dalla dogana in sede di revisione dell’accertamento possa essere subordinata al suo versamento, sia sulla legittimità che la medesima detrazione sia ulteriormente condizionata al pagamento della sanzione”