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La certificazione di genere per le imprese:
uno strumento per il benessere lavorativo
Barbara Poggio
Università di Trento
A fronte dei rilevanti cambiamenti organizzativi che hanno caratterizzato il mercato del lavoro negli ultimi
anni, ha assunto crescente rilevanza il tema del benessere lavorativo e organizzativo. Con questa
espressione si fa riferimento alla qualità della relazione tra i soggetti e i contesti di lavoro, che include una
pluralità di dimensioni, tra cui quella fisica, psicologica e sociale dell’esperienza lavorativa. All’interno della
riflessione sul benessere nei contesti di lavoro assumono inoltre nuova luce e particolare rilevanza le
questioni della conciliazione tra vita personale e vita lavorativa e delle diversità e delle differenze di genere,
per le loro imprescindibili relazioni con la quotidianità dell’esperienza di lavoro degli individui.
Il persistere di situazioni di asimmetria tra donne e uomini all’interno delle organizzazioni oggi rappresenta
un problema non solo in termini di equità, ma anche di costi economici ed organizzativi. Diviene pertanto
cruciale per le aziende la capacità di gestire, promuovere e sviluppare interventi in grado di riconoscere e
valorizzare le differenze di genere, anche in una prospettiva di maggiore efficienza e competitività (Poggio,
Murgia, De Bon 2010). In tal senso appare sempre più importante far comprendere alle aziende come una
gestione che considera e valorizza le differenze di genere si traduca anche in vantaggio economico e
competitivo.
È inoltre importante sviluppare azioni che siano in grado di incidere sul piano culturale, ovvero su pratiche e
dimensioni simboliche che sono trasversali a diversi ambiti della nostra vita sociale, anche a partire dalla
consapevolezza che l’attivazione di un cambiamento in uno di essi possa poi ripercuotersi anche sugli altri,
sia a livello pubblico che privato. Gli effetti connessi all’adozione di pratiche organizzative attente alla
dimensione di genere all’interno di un sistema di qualità aziendale possono in tal senso essere descritti con
la metafora del sasso nello stagno: nel momento in cui stimoliamo una sensibilità di genere all’interno della
cultura aziendale, andiamo a modificare non solo le procedure di una organizzazione, ma anche i pensieri e
i comportamenti delle persone, che poi tenderanno a trasferire questa attenzione anche fuori dall’azienda,
nella vita di relazione di ogni giorno.
Nel corso degli ultimi anni sono state avviate diverse iniziative per cercare di superare le asimmetrie di
genere esistenti nei contesti lavorativi e per superare la logica di assegnazione di ruoli e incarichi basati sul
genere e non sul merito. Una di queste riguarda la Certificazione dei Sistemi di Gestione in ottica di Genere:
partendo dai Sistemi di Gestione e quindi dall’analisi dei processi aziendali, si supporta il Management a
rileggere la propria azienda con attenzione al rispetto delle pari opportunità e al superamento degli
stereotipi di genere.
In questo contributo si cercherà in primo luogo di argomentare perché è importante che le aziende siano in
grado di adottare una prospettiva di genere nella gestione del personale e si cercherà di mostrare come i
processi di certificazione possano rappresentare degli strumenti utili in tale ottica. Verranno quindi prese in
considerazione alcune esperienze realizzate in Italia e in Europa per promuovere cambiamenti nel modo in
cui un’azienda gestisce il lavoro al proprio interno ispirandosi al principio di equality (Progetto VISION) e
attuando politiche di gestione del personale orientate alla famiglia (Family Audit). Tali iniziative traducono
operativamente la strategia di Gender Mainstreaming – da cui discende, in via di principio, la stessa
certificazione di genere – così come i processi di Gender Budgeting e Gender Auditing cui sarà dedicato uno
specifico approfondimento. Di particolare interesse, nell’ambito di questo contributo, è infine il
Riconoscimento N.Or.Ma.Le quale “procedura” specificamente volta alla gestione integrata della maternità
e della paternità in azienda. Tale certificazione può essere intesa come “tassello” del più ampio concetto di
certificazione di genere.
1. Strategie ed esperienze di gestione del personale in un’ottica di genere
Alla luce della letteratura sino ad oggi sviluppata sul tema della conciliazione famiglia-lavoro, possiamo
affermare che il nucleo centrale per la sopravvivenza e la competitività delle imprese è l’ottimizzazione
nella gestione delle risorse umane (Bortolucci, Satta 2004). É infatti ormai assodato che se la competitività
di un’azienda passa attraverso l’acquisizione e la fidelizzazione della propria clientela, è impossibile
ottenerla senza collaboratori competenti, intraprendenti, motivati. Eppure, nonostante si tratti di una
consapevolezza diffusa, le imprese investono ancora molto poco sulla crescita e sviluppo del personale e
ancor meno nel farlo in una prospettiva di genere. Un collaboratore o una collaboratrice competente, leale,
responsabile, non si costruisce in pochi anni e si può perdere in pochi minuti. Diventa quindi necessario
sviluppare quello che Levering (1988) definisce un “buon ambiente di lavoro”, attento ai diversi bisogni e
motivazioni degli individui, donne e uomini. Scrive Levering “oggi le donne sono una parte qualificata del
mondo del lavoro, sono fortemente motivate a entrare e rimanervi anche dopo la nascita dei figli e sempre
più orientate a un lavoro che dia soddisfazione e permetta uno sviluppo di carriera e autosufficienza
economica. Nello stesso tempo le stesse donne sono chiamate a ricoprire una molteplicità di ruoli: madre,
moglie, fino al ruolo di assistenza a parenti e genitori anziani, a volte non autosufficienti e presenti in casa”.
Siamo dunque in una società in cui le attribuzioni dei ruoli e dei compiti sono ancora fortemente connotate
in base al genere e le politiche aziendali possono contribuire a consolidare tali differenze oppure a limitarle
e contrastarle, mentre difficilmente appaiono neutre.
Esistono diversi motivi per cui un’impresa dovrebbe occuparsi di questioni di genere.
Il principale è senza dubbio legato all’equità, che è un valore fondativo delle società contemporanee
(almeno sul piano dei principi!). La riduzione delle disuguaglianze fra lavoratrici e lavoratori comporta la
riduzione delle disuguaglianze tra donne e uomini. Dato che, come ricordato da Levering, donne e uomini
giocano ancora ruoli diversi nell’economia e nella società, ogni strumento di gestione aziendale (o, a livello
macro, ogni provvedimento di politica economica) può avere effetti diversi su di loro, aggravando le
disparità esistenti o pregiudicando la possibilità di ridurle.
Una seconda ragione è l’efficienza, ovvero il fatto che la mancata attuazione di iniziative aziendali attente
alla gestione della diversità e alla dimensione di genere in particolare, può in realtà rappresentare uno
spreco e un costo per l’azienda, mentre invece l’adozione di strategie gender sensitive può apportare
notevoli vantaggi, tra cui in particolare:
- una maggiore capacità dell’azienda di riconoscere mercati potenziali e di attrarre una base più ampia di
clienti;
- una migliore capacità di capire i clienti e quindi di fornire un servizio su misura;
- una più elevata qualità dei prodotti e servizi
- una maggiore facilità di attrarre e trattenere nuovi talenti, in quanto la presenza di donne negli alti
livelli costituisce un modello di ruolo cui le giovani donne capaci possono far riferimento, e quindi
possibilità di scegliere in un pool di aspiranti più ampio.
Una terza motivazione è legata all’esigenza di trasparenza ovvero la possibilità per donne e uomini di
essere consapevoli delle scelte effettuate dai loro datori di lavoro, soprattutto quelle in materia di gestione
del personale, e dei risultati che tali decisioni producono.
La possibilità di tradurre operativamente tali logiche d’azione necessita quindi di percorsi entro i quali le
aziende possano misurare concretamente la rispondenza dell’organizzazione aziendale alle specifiche
esigenze di lavoratrici e lavoratori e, così facendo, possano diventare portatrici di una pratica gestionale
coerente con la cultura di parità, di valorizzazione delle differenze e di valori d’impresa che si riflettono
anche in termini di competitività. La certificazione di genere può essere inscritta in un tale percorso di
approccio alle tematiche relative al Gender Mainstreaming e in un procedimento valutativo delle
organizzazioni rispetto ad elementi caratterizzanti l’orientamento alle pari opportunità e la conoscenza di
base della regolamentazione vigente in materia.
2. Cos’è la certificazione di genere
La certificazione di genere è un processo mirato a verificare la qualità del management rispetto alle risorse
umane e l’organizzazione del lavoro, perché là dove c’è discriminazione non c’è qualità sia in termini di
valorizzazione delle risorse, sia in termini di qualità del servizio, del prodotto e della vita/lavoro di donne e
uomini.
Essa è dunque prima di tutto uno strumento gestionale, basato sull’auto-valutazione da parte delle aziende
per verificare il livello di consapevolezza e di pratiche per quanto riguarda la valorizzazione in ottica di
genere delle risorse umane presenti in azienda.
Attraverso la certificazione di genere è possibile verificare quanto e come l’azienda ha preso atto dei
cambiamenti intercorsi nella forza lavoro in questi ultimi decenni, non solo in termini numerici – aumentata
presenza delle donne – ma soprattutto in termini qualitativi, in relazione alle implicazioni che tale presenza
ha relativamente alle diversità di esperienze, condizioni, punti di vista, priorità e bisogni.
La certificazione di genere si concentra sulle dimensioni gender sensitive della gestione delle risorse umane
e dei modelli di organizzazione del lavoro, dedicando specifica attenzione ai bisogni e alla valorizzazione
delle donne e degli uomini che lavorano in azienda.
Consiste di fatto in un sistema di verifiche (basate su una serie di domande e relativa valutazione delle
risposte) organizzato secondo metodologie diverse: possono essere inserite all’interno delle Procedure dei
Sistemi Qualità formali (come le ISO 9001:2000) o all’interno dei flussi di processo aziendali; o costituire un
sistema autonomo con l’ottica del benessere organizzativo.
Il principale obiettivo della certificazione di genere è quello di portare alla superficie un’ampia serie di
problemi fino ad ora sottovalutati e spesso non conosciuti, che fanno riferimento a fattori concreti come
l’efficienza dell’organizzazione del lavoro e a fattori immateriali come la motivazione, la partecipazione, il
coinvolgimento.
In generale le principali fasi operative per il conseguimento di una certificazione di genere nelle aziende (o
in enti pubblici) sono:
1. emissione e pubblicizzazione del bando di partecipazione;
2. autocandidatura dell’impresa;
3. accumulazione delle informazioni richieste (audit informativo);
4. analisi delle informazioni da parte di un Comitato di Valutazione e sintesi degli esiti;
5. rilascio dell’attestazione della certificazione di genere (e iscrizione a un eventuale Albo);
6. monitoraggio e verifica periodici;
7. report restitutivo alle imprese;
8. feedback delle imprese relativamente alla procedura (utilità, suggerimenti, soddisfazione).
Nel caso di esito negativo si prevede solitamente un feedback informativo e di consulenza all’impresa,
riservato e nella tutela della privacy, orientato al miglioramento del clima aziendale nella direzione della
cultura di genere. In questo caso nessuna informazione sarà fornita esternamente in merito alla
partecipazione.
In generale la logica di una certificazione di genere non è valutativa, ma consulenziale, promozionale e di
sostegno alla cultura di genere.
In questo modo non solo si consente alle aziende di raggiungere una reale qualità sostanziale – favorendo
un contesto in cui donne e uomini possano condurre una buona qualità di lavoro e vita personale,
presupposti indispensabili alla creatività e alla innovazione - ma anche di individuare specifiche aree di
sviluppo e miglioramento nella gestione delle Risorse Umane, ad esempio in termini di gestione integrata
della maternità, come nel caso del Riconoscimento N.or.Ma.le. che rappresenta, analogamente al Gender
Budgeting e al Gender Auditing, un’innovativa applicazione del principio di Gender Mainstreaming.
3. Gender Budgeting e Gender Auditing
Il Gender Budgeting e il Gender Auditing sono due processi sviluppati all’interno della strategia di Gender
Mainstreaming, per perseguire quegli obiettivi di equità, efficienza e trasparenza di cui si è parlato prima,
sia all’interno delle pubbliche amministrazioni che nelle aziende private.
Il Gender Mainstreaming (GM) è una strategia che assume l’ottica di genere prima che le decisioni siano
prese, in modo tale che sia possibile considerare e valutare gli impatti su uomini e donne così da poter
prendere decisioni mirate ai diversi bisogni, condizioni e motivazioni e mettere in atto azioni che
raggiungono gli obiettivi individuali. É una strategia che fa riferimento alla qualità, spostando il focus dalla
situazione delle donne alla qualità della vita lavorativa e personale di uomini e donne; tiene conto della
diversità delle persone e costituisce uno dei fattori della “gestione della differenza”. Due delle
concretizzazioni più interessanti del GM sono – come accennato – il Gender Budgeting e il Gender Auditing.
Con il Gender Budget si vuole sottolineare l’impegno ad affrontare la programmazione degli obiettivi
perseguibili, delle risorse assegnate e delle modalità attuative – secondo i principi sopra menzionati di
equità, efficienza-efficacia, e trasparenza – conformemente ai risultati ottenibili distintamente attribuiti,
nell’ottica di genere, agli attori sociali coinvolti.
Con il Gender Audit si intende portare avanti un processo di valutazione a consuntivo in termini di efficacia,
ovvero di rapporto tra obiettivi assegnati e risultati raggiunti, attraverso l’impiego delle risorse secondo la
distinzione di genere, con verifica dei criteri utilizzati in termini di efficienza, di equità e di trasparenza.
L’applicazione del principio di genere nella gestione aziendale rappresenta un fenomeno relativamente
recente che – al di là di alcune applicazioni, perlopiù nell’ambito di enti locali territoriali – risulta tutt’ora
lontano dall’affermazione di consolidati modelli di analisi e di rendicontazione. L’attivazione di pratiche di
certificazione di genere dovrebbe consentire all’azienda di tracciare le principali politiche aziendali per
permettere l’effettiva applicazione del principio di Gender Mainstreaming ovviando ai così detti “costi di
non parità” (Zanutto 2008).
I costi di non parità possono essere generati da:
- la non considerazione dei bisogni, condizioni e motivazioni delle donne, legati in particolare al
persistere di asimmetriche responsabilità di cura all’interno delle famiglie;
- la mancata valorizzazione di stili di relazione, comunicazione, leadership, gestione dei conflitti
considerati non conformi al modello maschile;
- il mancato sostegno allo sviluppo professionale e di carriera della componente femminile;
- la mancata frequenza alle attività di formazione da parte delle donne, perché realizzate con tempi e
modi difficili soprattutto per chi ha carichi di cura;
- la mancanza di piani aziendali per la conciliazione che consentano di armonizzare il lavoro con gli
impegni familiari.
Per quanto riguarda le esperienze di Gender Budgeting e Gender Auditing – in applicazione del principio di
Gender Mainstreaming – molte esperienze nazionali e internazionali sono state già documentate in
letteratura (ad esempio: Bettio, Rosselli, Vingelli 2003; Sharp 2003), ma si tratta perlopiù di iniziative nel
contesto pubblico.
Di seguito invece saranno prese in considerazione due esperienze nazionali di attivazione di percorsi di
sostegno alle aziende per la promozione di una cultura di eguaglianza - come nel caso del progetto VISION -
e di gestione del personale orientata alla famiglia, come nel caso dell’Audit Famiglia e Lavoro.
3.1 Il genere nella certificazione di qualità
Il progetto “VISION: il genere nella certificazione di qualità” (durata: 2007-2009)1
è nato per colmare la
lacuna prospettica delle norme ISO 9000:2000 dal punto di vista del genere, fornendo strumenti e metodi
ai:
- responsabili delle risorse umane, per acquisire nuova consapevolezza e strumenti di gestione in una
prospettiva di genere, o, dove non presenti, al titolare aziendale che si occupa di questo aspetto;
- certificatori del sistema di qualità ISO, perché inseriscano come elementi di valutazione anche le
politiche che l’azienda mette in atto per il superamento delle discriminazioni interne tra uomini e
donne;
- in generale, a tutte le parti interessate in un processo aziendale (imprese, associazioni datori di
Lavoro, Enti di formazione, Parti Sociali, consulenti …).
L’obiettivo ultimo del progetto era la creazione di una cultura aziendale in cui l’equality fosse considerata
come un fattore di qualità integrato e imprescindibile per la gestione delle organizzazioni.
Il progetto è stato articolato in sei fasi, ciascuna definita da specifici obiettivi, azioni e prodotti di fase.
L’innovatività del progetto è legata principalmente a:
- l’assunto di partenza: non si può parlare di Qualità/Sistemi Qualità/QualitàTotale quando
all’interno delle aziende permane un così alto livello di discriminazione di genere, sia verticale che
orizzontale;
- l’ambito di analisi: la lettura/commento delle norme ISO secondo un’ottica di genere crea uno
stretto legame – un’integrazione – tra due ambiti che hanno sempre svolto percorsi paralleli, non
comunicanti (Pari Opportunità e Sistemi formali Qualità);
- la metodologia assunta per la creazione dei moduli formativi: le Pari Opportunità entrano
all’interno delle procedure del sistema qualità e quindi all’interno del sistema di organizzazione e
gestione aziendale, secondo metodi e strumenti propri del Gender Mainstreaming.
Per quanto riguarda i moduli formativi, essi erano integrati sia in un corso di formazione per permettere ai
Responsabili HR di introdurre la prospettiva di genere nelle organizzazioni, sia in un corso di formazione per
1
Progetto Multilaterale di Trasferimento dell'Innovazione, Programma settoriale Leonardo da Vinci Programma
comunitario Life Long Learning, promosso da Progetto Donna, con la partecipazione di 10 partner di 5 paesi europei:
Italia, Austria, Spagna, Portogallo, Bulgaria.
i certificatori dei sistemi di qualità per la certificazione di genere nei processi operativi e cultura
organizzativa.
Il progetto VISION, al suo termine, ha evidenziato i vantaggi connessi all’attivazione di un sistema di
gestione dei processi in ottica di genere. Tale sistema:
- garantisce il rispetto della normativa di riferimento sulle pari opportunità, in particolare: rispetto
della Legge 125/1991, della Direttiva Europea e relativa applicazione italiana: D.Lgs. 196/2007 sulle
pari opportunità tra uomini e donne delle Pubbliche Amministrazioni; prevenzione del rischio da
stress da lavoro correlato art. 28 del D.Lgs. 81/2008;
- migliora gli aspetti di gestione interna, attraverso: miglioramento del clima; miglioramento della
qualità di vita-lavoro di donne e uomini; miglioramento della partecipazione, motivazione,
impegno; ottimizzazione dello sviluppo delle risorse umane compresi i gruppi che sono sotto
valorizzati; soddisfazione dei diversi bisogni delle donne-uomini; riduzione dell’assenteismo e turn
over; valorizzazione delle differenze di genere come valore aggiunto;
- migliora l’immagine esterna anche attraverso: maggiore attrattività come posto di lavoro, in
quanto considerata equa in termini di pari opportunità; miglior qualità del prodotto e servizio.
Accanto al progetto VISION, vogliamo di seguito presentare sinteticamente un altro strumento di analisi
organizzativa applicato anche in ambito privato ed in grado di consentire il monitoraggio delle modalità con
cui un’organizzazione attua politiche di gestione del personale orientate alla famiglia. Si tratta dell’Audit
Famiglia e Lavoro, variamente denominato nei diversi paesi in cui è divenuto strumento di certificazione.
3.2 L’Audit per la conciliazione tra vita lavorativa e famigliare
L’ “Audit Beruf & Familie®” nasce in Germania nel 1995, su incarico della Fondazione di pubblica utilità
Hertie di Francoforte e sull’esempio del Family Friendly Index americano. In previsione di estendere ed
applicare lo strumento dell’Audit negli altri paesi europei, la Fondazione Hertie elabora nel 2001 lo
strumento dell’European Work & Family Audit®, il primo standard applicabile dalle organizzazioni europee
di ogni tipo e dimensione per certificare la propria effettiva e consapevole politica di conciliazione tra
famiglia e lavoro; si basa sui principi e sull’approccio tracciato dal processo di Audit Beruf&Familie® e
prescrive i requisiti minimi per la sua efficace e corretta realizzazione. A partire dal 1998 questo processo di
certificazione viene adottato come strumento d’implementazione delle politiche familiari dal Ministero del
Welfare austriaco. Dal 2004 viene introdotto in via sperimentale anche in Alto Adige con un progetto
transnazionale finanziato dalla Commissione europea (Studio Associato Equalitas 2007). Dal 2007 anche la
provincia di Trento attiva un processo di certificazione sul modello mutuato dalla Germania, che viene poi
rivisto negli anni successivi e sostituito dallo standard Family Audit, nel 2011, che dallo stesso anno diventa
anche oggetto di una sperimentazione a livello nazionale, promossa dalla Presidenza del Consiglio.
Il Family Audit si configura come uno strumento manageriale volto a promuove un cambiamento culturale
e organizzativo all’interno delle organizzazioni, e consente alle stesse di adottare delle politiche di gestione
del personale orientate al benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Grazie ad un’indagine
ampia all’interno dell’organizzazione, si individuano obiettivi e iniziative che consentono di migliorare le
esigenze di conciliazione tra famiglia e lavoro dei dipendenti. La partecipazione dei collaboratori
dell’organizzazione diventa un valore fondamentale al momento di stabilire i bisogni in materia di
conciliazione e di proporre soluzioni ad essi. Lo strumento Family Audit può essere usato da qualsiasi
organizzazione, di qualsiasi natura giuridica, dimensione e prodotto o servizio fornito. L’organizzazione che
utilizza il Family Audit innesca un ciclo virtuoso di miglioramento continuo, introducendo al proprio interno
soluzioni organizzative innovative e competitive relativamente alla flessibilità del lavoro e alla cultura della
conciliazione. Si realizza attraverso un processo di valutazione sistematica e standardizzata che permette
alla fine di ottenere una certificazione. L’Audit quindi è un processo di miglioramento continuo condotto
secondo una logica win-win, che ha come presupposto l’individuazione di obiettivi precisi ed identificabili.
L’organizzazione che decide volontariamente di utilizzare l’Audit viene aiutata – da consulenti/auditori
accreditati – ad individuare le iniziative ed i provvedimenti orientati alla famiglia, attuati o potenzialmente
attuabili e a definire gli ambiti di miglioramento in alcune aree (ad esempio: orario di lavoro, processi di
lavoro, luogo di lavoro, politica d’informazione e comunicazione, competenza dirigenziale, sviluppo del
personale, componenti della retribuzione e fringe-benefit, servizi per la famiglia). I consulenti/auditori
operano a stretto contatto con un gruppo di lavoro interno appositamente creato e rappresentativo di
tutto il personale ovvero delle diverse esigenze organizzative. Il processo – e la documentazione prodotta –
viene esaminata al termine da un valutatore accreditato che ha il compito di stabilire se l’organizzazione ha
attuato il processo di Audit secondo le disposizioni delle Linee Guida definite dall’Ente certificatore (nel
caso del Family Audit è la stessa Provincia autonoma di Trento).
Le fasi del processo fino alla certificazione finale sono due:
I. Analisi ed individuazione delle misure (durata 6 mesi)
II. Implementazione delle misure individuate (fase attuativa) (durata 3 anni)
Nel dettaglio, il processo si articola come descritto in Figura 1.
Figura 1 - Il processo dell’Audit: diagramma di flusso
Fonte: http://www.familyaudit.org/
In generale, le diverse esperienze di Audit per la conciliazione famiglia/lavoro in organizzazione, hanno
mostrato – sia a livello nazionale che a livello europeo – che si tratta di uno strumento in grado di
consentire la creazione di valore economico per le organizzazioni stesse, rafforzandone l’immagine,
l’identità aziendale e di aumentare i livelli di produttività e la soddisfazione dei dipendenti.
La conciliazione quindi rappresenta non solo una questione etica, riconducibile alla responsabilità sociale
dell’impresa, ma anche un obiettivo di business aziendale e d’interesse pubblico. Le risorse umane sono un
elemento sempre più strategico per il successo delle organizzazioni, ma il potenziale conflitto tra vita
professionale e vita privata è una minaccia alla salute ed al benessere delle persone e allo sviluppo stesso
dell’organizzazione. L’organizzazione, attraverso il Family Audit, può produrre un’ampia gamma di risultati
positivi:
- consente di diminuire lo stress psico-fisico dei propri dipendenti;
- permette di ottenere effetti positivi sul clima organizzativo, sulla motivazione e sulla soddisfazione
dei dipendenti;
- aumenta l’attrattività dell’organizzazione nel mercato del lavoro;
- aumenta la qualità delle prestazioni da parte dei dipendenti e quindi la produttività, con la
riduzione del tasso di assenteismo e del tasso di turn-over;
- migliora le performance finanziarie e il valore generato a favore degli azionisti;
- fidelizza i dipendenti, preserva il know-how aziendale ed aumenta la capacità di attrarre talenti;
- riduce la disparità tra uomini e donne e tra persone che hanno diversi carichi familiari.
Un’attenzione ancor più mirata verso le organizzazioni impegnate (o che intendono impegnarsi) nel
miglioramento della policy aziendale e dei processi organizzativi legati specificamente alla maternità
caratterizza il Riconoscimento N.Or.Ma.Le.
4. La gestione della maternità in azienda: il Riconoscimento N.Or.Ma.Le.
Le iniziative precedentemente descritte si caratterizzano per un’attenzione articolata alle questioni delle
differenze di genere e della conciliazione tra vita lavorativa e familiare, tuttavia è possibile anche pensare a
strumenti più focalizzati su singole problematiche, che potrebbero essere adottati in sinergia con i processi
di certificazione più complessi. É il caso del processo di certificazione N.Or.Ma.Le, che si concentra in modo
specifico sul tema della maternità, che rappresenta senza dubbio un fattore critico rispetto alle differenze
di genere nei contesti lavorativi. La maternità viene ancora spesso vista come il fattore che più limita
l’accesso, la permanenza e la carriera delle donne nel mondo del lavoro: in realtà il problema è piuttosto la
cultura organizzativa costruita sull’idea di maternità come situazione svantaggiosa per le dinamiche
produttive a rappresentare il vero ostacolo (Cuomo, Mapelli 2009). In tal senso appare importante innovare
i modelli organizzativi e le politiche di gestione e sviluppo delle risorse umane in grado di allontanare lo
spettro della maternità come costo organizzativo sia di garantire una conciliazione tra sfera pubblica e sfera
privata, tra lavoro e famiglia (Cozza, Gennai 2009). Il processo di certificazione che sottende il
Riconoscimento N.Or.Ma.Le si colloca in questa prospettiva, cercando di favorire l’innovazione
organizzativa attraverso un cambiamento, esteso necessariamente sul lungo periodo, e tale da permettere
agli effetti degli investimenti aziendali in materia di Welfare aziendale e Gestione delle risorse umane di
manifestarsi e protrarsi negli anni.
Il Riconoscimento N.Or.Ma.Le consiste in una dichiarazione rilasciata dall’ente promotore (in questo caso
l’Associazione Mobildonne) alle organizzazioni impegnate nel miglioramento della policy aziendale e dei
processi organizzativi legati alla gestione della maternità.
Il rilascio del Riconoscimento N.Or.Ma.Le è subordinato alla verifica dell’impianto/miglioramento di
processi organizzativi orientati ad una gestione razionale e integrata della maternità. Tale verifica può
avvenire “ex post” per organizzazioni che si candidano avendo già lavorato in tale direzione, oppure può
essere preceduta da un accompagnamento personalizzato all’azienda, finalizzato a facilitare l’avvio dei
processi organizzativi interni e la loro progressiva messa a sistema.
Al termine della verifica viene consegnato all’azienda un report da sottoscrivere per accettazione. In caso di
“non conformità” rispetto ai requisiti identificati dallo standard N.Or.Ma.Le viene chiesto all’organizzazione
di definire un Piano di lavoro che integri quanto necessario e che l’azienda stessa si impegna a realizzare
entro un termine stabilito. A ciò segue il rilascio del Riconoscimento.
Il Riconoscimento non ha scadenza in quanto attesta un orientamento dimostrato dall’azienda al momento
della valutazione, né prevede attività di sorveglianza periodica.
I requisiti che identificano lo standard N.Or.Ma.Le fanno riferimento ad alcuni item quali:
1. la maturità aziendale in tema di work-life balance e, in particolare, sulla gestione della maternità;
2. la policy aziendale di gestione integrata della maternità;
3. la gestione della maternità come investimento aziendale;
4. il piano di lavoro.
Ciascun item oggetto di valutazione poggia sull’utilizzo di determinati strumenti che a loro volta
testimoniano – se in uso – l’impegno e l’orientamento aziendali alla gestione integrata della maternità.
In particolare:
1. Maturità aziendale in tema di work-life balance e, in particolare, sulla gestione della maternità
Il primo elemento da valutare è rappresentato dallo “stato dell’arte” rispetto alla capacità dell’azienda di
rileggere il proprio contesto in funzione del tema oggetto di verifica, base per calibrare le successive
proposte di lavoro. Gli strumenti grazie ai quali “misurare” l’orientamento aziendale sono:
1.1 Data base analisi di contesto
Schema di prima raccolta dati sul contesto e la popolazione aziendale, funzionale a disporre di una
prima fotografia della realtà organizzativa di riferimento.
1.2 Linea del tempo (work-life-balance history)
Raccolta e descrizione di tutti i progetti e/o iniziative realizzati negli anni dall’azienda in tema di
work-life balance.
1.3 Autodiagnosi sistema di valutazione delle prestazioni
Breve questionario a risposte aperte relativo allo stato dell’arte del sistema di valutazione delle
prestazioni in uso (se esistente) e adozione di indicazioni metodologiche finalizzate ad evitare
qualsiasi impatto discriminatorio rispetto alle lavoratrici in gravidanza/maternità.
2. Policy aziendale di gestione integrata della maternità
Il secondo item da valutare è l’adozione da parte dell’organizzazione di una policy specificamente dedicata
alla gestione della maternità, attraverso l’adozione di:
2.1 Piano di congedo
Strumento di accompagnamento del percorso individuale pre-durante-post congedo. Può essere
utilizzato sia nella versione “cartacea”, sia informatica.
2.2 Vademecum aziendale maternità/paternità
Strumento di comunicazione rivolto a tutto il personale. Riporta in sintesi il messaggio dell’azienda
sul senso della nuova policy adottata, ne introduce la procedura e fornisce una prima panoramica
di informazioni utili sulla normativa vigente e i contratti aziendali.
2.3 Iniziative di comunicazione interna
Organizzazione di almeno una iniziativa rivolta al personale interno per dare piena visibilità e
accessibilità alle misure adottate.
3. Gestione della maternità come investimento aziendale
Essenziale per “dare consistenza” all’investimento compiuto dall’organizzazione è l’impostazione di un
sistema di monitoraggio di costi e benefici prodotti dal processo avviato e dall’approccio metodologico
utilizzato. Per farlo è possibile avvalersi di un apposito strumento:
3.1 Maternity accounting
Strumento di rilevazione dei costi e benefici derivanti dalla presenza di una maternità in azienda,
finalizzato al monitoraggio di costi e benefici derivanti dall’adozione di policy di gestione integrata
della maternità.
4. Piano di lavoro
Sulla base dei precedenti item l’azienda è chiamata a redigere un piano di lavoro che espliciti gli obiettivi di
miglioramento che intende perseguire per (almeno) i tre anni successivi.
Il processo delineato prelude al rilascio del Riconoscimento N.Or.Ma.Le, che può essere richiesto da
organizzazioni pubbliche e private, senza vincoli circa la rispettiva natura giuridica. Il Riconoscimento, una
volta acquisito, può essere utilizzato per uso interno e di comunicazione, non ha valenza di certificazione ed
esclude qualsiasi garanzia circa la regolare e completa osservanza agli obblighi di legge in tema di gestione
della maternità. Le organizzazioni che ottengono il Riconoscimento N.Or.Ma.Le verranno inserite in un
apposito elenco aggiornato periodicamente e pubblicato sul sito dell’ente promotore.
Conclusioni
La certificazione di genere nelle aziende segna un’importante acquisizione nel combattere la
discriminazione nel mondo del lavoro e assume la direzione indicata da tempo dalla Commissione Europea
per accelerare il processo verso l’uguaglianza di genere e rafforzare le politiche di Pari Opportunità in tutti i
paesi dell’U.E. Si tratta di stabilire una certificazione-simbolo per rendere riconoscibili le realtà lavorative di
aziende pubbliche e private attente alla non discriminazione fra donne e uomini. É un processo di
rendicontazione per rilevare, in modo processualmente definito e riproducibile, la cultura di genere
espressa a livello imprenditoriale in un dato territorio e in una determinata comunità di riferimento.
Attraverso i processi di certificazione di genere le organizzazioni possono dimostrare il proprio impegno per
il rispetto delle Pari Opportunità attraverso strumenti trasparenti e modelli dinamici che tendono al
miglioramento costante e continuo dei comportamenti. Tali modelli – come nel caso del Riconoscimento
N.Or.Ma.Le – sono basati sull’approccio progressivo che consente la costruzione nel tempo e il
consolidamento del rapporto con gli stakeholders, migliorando la partecipazione, la fiducia e il
mantenimento di buone relazioni.
Per rendere più efficaci tali strumenti appare importante evitare che si limitino ad essere semplici
strumenti di promozione dell’immagine e che invece si traducano in effettivi stimolatori di cambiamento
organizzativo e di innovazione. Questo obiettivo può essere favorito anche dall’individuazione, a livello
territoriale, di incentivi anche economici per riconoscere lo sforzo organizzativo portato avanti dalle
aziende che aderiscono a tali standard: è il caso ad esempio della Provincia Autonoma di Trento che
prevede sia un contributo finanziario pubblico alle aziende che aderiscono alla certificazione Family Audit,
sia – aspetto ancora più interessante – una valorizzazione della certificazione all’interno degli appalti
pubblici.
Questo a partire dalla consapevolezza che il processo di empowerment di genere promosso dalla
certificazione di genere all’interno di singole aziende tende a tradursi in empowerment ambientale (inteso
come sistema di risorse e possibilità disponibili/consentite dall’ambiente che si promuove, si costituisce e si
mantiene nella sinergia fra area territoriale di riferimento e imprese coinvolte) e può
sviluppare/trasformare le sue potenzialità e risorse in capacità, percependo i vincoli posti dal contesto
territoriale come opportunità in grado di veicolare istanze di cambiamento, a partire dalla comprensione
del funzionamento delle strutture dei processi decisionali. Si evidenzia, così, la capacità del territorio di
costruire e distinguere le possibili strategie di cambiamento, migliorando la realtà in ottica di genere e
dimostrando che l’empowerment degli individui, delle organizzazioni e della comunità sono reciprocamente
interdipendenti e sono tanto causa quanto conseguenza l’uno dell’altro.
La promozione della certificazione di genere si colloca in tal senso in una più generale prospettiva di
connessione tra il benessere individuale di donne e uomini e il più ampio ambiente sociale, economico e
politico, partendo dal presupposto che le persone hanno bisogno di opportunità per divenire attive nel
prendere decisioni per migliorare la propria vita.
Riferimenti bibliografici
Bettio F., Rosselli A., Vingelli G. (2003) Gender Auditing dei bilanci pubblici, Quaderni della Fondazione
A.J.Zaninoni, Bergamo
Bortolucci, R.; Satta M.M. (2004) Le pari opportunità e la responsabilità sociale delle imprese. Una proposta
di linee guida, Università di Genova, Ufficio Consigliere di Parità
Cozza, M., Gennai, F. (2009) Il genere nelle organizzazioni, Carocci, Roma.
Cuomo, S., Mapelli, A. (2009) Maternità quanto ci costi? Un’analisi estensiva del costo della gestione della
maternità nelle imprese italiane, Guerini e Associati, Milano.
Himmelweit, S. (2002) “Making Visible the hidden economy: the case for gender-impact analysis of
economic policy”, Feminist Economics, 8 (1) : 49-70
Levering, Robert (1988) A Great Place To Work: What Makes Some Employers So Good (And Most So Bad),
Avon books, New York (trad. it. Un gran bel posto in cui lavorare, Sperling & Kupfer, Milano, 2002)
Poggio, B., Murgia, A., De Bon M. (2010) Interventi organizzativi e politiche di genere, Carocci, Roma.
Sharp, R. (2003) Budgeting for equity. Gender budget initiatives within a framework of performance
oriented budgeting, United Nations Development Fund for Women (UNIFEM)
Studio Associato Equalitas (2007) L’Audit Famiglia & Lavoro: una conciliazione possibile, Franco Angeli,
Milano.
Zanutto, A. (2008) “I costi di non parità”, I quaderni gelso, 15, Università degli Studi di Trento, Dipartimento
di Sociologia e Ricerca Sociale.
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"Certificazione di genere" - Prof.ssa Barbara Poggio - Università degli studi di Trento -

  • 1. La certificazione di genere per le imprese: uno strumento per il benessere lavorativo Barbara Poggio Università di Trento
  • 2. A fronte dei rilevanti cambiamenti organizzativi che hanno caratterizzato il mercato del lavoro negli ultimi anni, ha assunto crescente rilevanza il tema del benessere lavorativo e organizzativo. Con questa espressione si fa riferimento alla qualità della relazione tra i soggetti e i contesti di lavoro, che include una pluralità di dimensioni, tra cui quella fisica, psicologica e sociale dell’esperienza lavorativa. All’interno della riflessione sul benessere nei contesti di lavoro assumono inoltre nuova luce e particolare rilevanza le questioni della conciliazione tra vita personale e vita lavorativa e delle diversità e delle differenze di genere, per le loro imprescindibili relazioni con la quotidianità dell’esperienza di lavoro degli individui. Il persistere di situazioni di asimmetria tra donne e uomini all’interno delle organizzazioni oggi rappresenta un problema non solo in termini di equità, ma anche di costi economici ed organizzativi. Diviene pertanto cruciale per le aziende la capacità di gestire, promuovere e sviluppare interventi in grado di riconoscere e valorizzare le differenze di genere, anche in una prospettiva di maggiore efficienza e competitività (Poggio, Murgia, De Bon 2010). In tal senso appare sempre più importante far comprendere alle aziende come una gestione che considera e valorizza le differenze di genere si traduca anche in vantaggio economico e competitivo. È inoltre importante sviluppare azioni che siano in grado di incidere sul piano culturale, ovvero su pratiche e dimensioni simboliche che sono trasversali a diversi ambiti della nostra vita sociale, anche a partire dalla consapevolezza che l’attivazione di un cambiamento in uno di essi possa poi ripercuotersi anche sugli altri, sia a livello pubblico che privato. Gli effetti connessi all’adozione di pratiche organizzative attente alla dimensione di genere all’interno di un sistema di qualità aziendale possono in tal senso essere descritti con la metafora del sasso nello stagno: nel momento in cui stimoliamo una sensibilità di genere all’interno della cultura aziendale, andiamo a modificare non solo le procedure di una organizzazione, ma anche i pensieri e i comportamenti delle persone, che poi tenderanno a trasferire questa attenzione anche fuori dall’azienda, nella vita di relazione di ogni giorno. Nel corso degli ultimi anni sono state avviate diverse iniziative per cercare di superare le asimmetrie di genere esistenti nei contesti lavorativi e per superare la logica di assegnazione di ruoli e incarichi basati sul genere e non sul merito. Una di queste riguarda la Certificazione dei Sistemi di Gestione in ottica di Genere: partendo dai Sistemi di Gestione e quindi dall’analisi dei processi aziendali, si supporta il Management a rileggere la propria azienda con attenzione al rispetto delle pari opportunità e al superamento degli stereotipi di genere.
  • 3. In questo contributo si cercherà in primo luogo di argomentare perché è importante che le aziende siano in grado di adottare una prospettiva di genere nella gestione del personale e si cercherà di mostrare come i processi di certificazione possano rappresentare degli strumenti utili in tale ottica. Verranno quindi prese in considerazione alcune esperienze realizzate in Italia e in Europa per promuovere cambiamenti nel modo in cui un’azienda gestisce il lavoro al proprio interno ispirandosi al principio di equality (Progetto VISION) e attuando politiche di gestione del personale orientate alla famiglia (Family Audit). Tali iniziative traducono operativamente la strategia di Gender Mainstreaming – da cui discende, in via di principio, la stessa certificazione di genere – così come i processi di Gender Budgeting e Gender Auditing cui sarà dedicato uno specifico approfondimento. Di particolare interesse, nell’ambito di questo contributo, è infine il Riconoscimento N.Or.Ma.Le quale “procedura” specificamente volta alla gestione integrata della maternità e della paternità in azienda. Tale certificazione può essere intesa come “tassello” del più ampio concetto di certificazione di genere. 1. Strategie ed esperienze di gestione del personale in un’ottica di genere Alla luce della letteratura sino ad oggi sviluppata sul tema della conciliazione famiglia-lavoro, possiamo affermare che il nucleo centrale per la sopravvivenza e la competitività delle imprese è l’ottimizzazione nella gestione delle risorse umane (Bortolucci, Satta 2004). É infatti ormai assodato che se la competitività di un’azienda passa attraverso l’acquisizione e la fidelizzazione della propria clientela, è impossibile ottenerla senza collaboratori competenti, intraprendenti, motivati. Eppure, nonostante si tratti di una consapevolezza diffusa, le imprese investono ancora molto poco sulla crescita e sviluppo del personale e ancor meno nel farlo in una prospettiva di genere. Un collaboratore o una collaboratrice competente, leale, responsabile, non si costruisce in pochi anni e si può perdere in pochi minuti. Diventa quindi necessario sviluppare quello che Levering (1988) definisce un “buon ambiente di lavoro”, attento ai diversi bisogni e motivazioni degli individui, donne e uomini. Scrive Levering “oggi le donne sono una parte qualificata del mondo del lavoro, sono fortemente motivate a entrare e rimanervi anche dopo la nascita dei figli e sempre più orientate a un lavoro che dia soddisfazione e permetta uno sviluppo di carriera e autosufficienza economica. Nello stesso tempo le stesse donne sono chiamate a ricoprire una molteplicità di ruoli: madre, moglie, fino al ruolo di assistenza a parenti e genitori anziani, a volte non autosufficienti e presenti in casa”. Siamo dunque in una società in cui le attribuzioni dei ruoli e dei compiti sono ancora fortemente connotate in base al genere e le politiche aziendali possono contribuire a consolidare tali differenze oppure a limitarle e contrastarle, mentre difficilmente appaiono neutre. Esistono diversi motivi per cui un’impresa dovrebbe occuparsi di questioni di genere.
  • 4. Il principale è senza dubbio legato all’equità, che è un valore fondativo delle società contemporanee (almeno sul piano dei principi!). La riduzione delle disuguaglianze fra lavoratrici e lavoratori comporta la riduzione delle disuguaglianze tra donne e uomini. Dato che, come ricordato da Levering, donne e uomini giocano ancora ruoli diversi nell’economia e nella società, ogni strumento di gestione aziendale (o, a livello macro, ogni provvedimento di politica economica) può avere effetti diversi su di loro, aggravando le disparità esistenti o pregiudicando la possibilità di ridurle. Una seconda ragione è l’efficienza, ovvero il fatto che la mancata attuazione di iniziative aziendali attente alla gestione della diversità e alla dimensione di genere in particolare, può in realtà rappresentare uno spreco e un costo per l’azienda, mentre invece l’adozione di strategie gender sensitive può apportare notevoli vantaggi, tra cui in particolare: - una maggiore capacità dell’azienda di riconoscere mercati potenziali e di attrarre una base più ampia di clienti; - una migliore capacità di capire i clienti e quindi di fornire un servizio su misura; - una più elevata qualità dei prodotti e servizi - una maggiore facilità di attrarre e trattenere nuovi talenti, in quanto la presenza di donne negli alti livelli costituisce un modello di ruolo cui le giovani donne capaci possono far riferimento, e quindi possibilità di scegliere in un pool di aspiranti più ampio. Una terza motivazione è legata all’esigenza di trasparenza ovvero la possibilità per donne e uomini di essere consapevoli delle scelte effettuate dai loro datori di lavoro, soprattutto quelle in materia di gestione del personale, e dei risultati che tali decisioni producono. La possibilità di tradurre operativamente tali logiche d’azione necessita quindi di percorsi entro i quali le aziende possano misurare concretamente la rispondenza dell’organizzazione aziendale alle specifiche esigenze di lavoratrici e lavoratori e, così facendo, possano diventare portatrici di una pratica gestionale coerente con la cultura di parità, di valorizzazione delle differenze e di valori d’impresa che si riflettono anche in termini di competitività. La certificazione di genere può essere inscritta in un tale percorso di approccio alle tematiche relative al Gender Mainstreaming e in un procedimento valutativo delle organizzazioni rispetto ad elementi caratterizzanti l’orientamento alle pari opportunità e la conoscenza di base della regolamentazione vigente in materia.
  • 5. 2. Cos’è la certificazione di genere La certificazione di genere è un processo mirato a verificare la qualità del management rispetto alle risorse umane e l’organizzazione del lavoro, perché là dove c’è discriminazione non c’è qualità sia in termini di valorizzazione delle risorse, sia in termini di qualità del servizio, del prodotto e della vita/lavoro di donne e uomini. Essa è dunque prima di tutto uno strumento gestionale, basato sull’auto-valutazione da parte delle aziende per verificare il livello di consapevolezza e di pratiche per quanto riguarda la valorizzazione in ottica di genere delle risorse umane presenti in azienda. Attraverso la certificazione di genere è possibile verificare quanto e come l’azienda ha preso atto dei cambiamenti intercorsi nella forza lavoro in questi ultimi decenni, non solo in termini numerici – aumentata presenza delle donne – ma soprattutto in termini qualitativi, in relazione alle implicazioni che tale presenza ha relativamente alle diversità di esperienze, condizioni, punti di vista, priorità e bisogni. La certificazione di genere si concentra sulle dimensioni gender sensitive della gestione delle risorse umane e dei modelli di organizzazione del lavoro, dedicando specifica attenzione ai bisogni e alla valorizzazione delle donne e degli uomini che lavorano in azienda. Consiste di fatto in un sistema di verifiche (basate su una serie di domande e relativa valutazione delle risposte) organizzato secondo metodologie diverse: possono essere inserite all’interno delle Procedure dei Sistemi Qualità formali (come le ISO 9001:2000) o all’interno dei flussi di processo aziendali; o costituire un sistema autonomo con l’ottica del benessere organizzativo. Il principale obiettivo della certificazione di genere è quello di portare alla superficie un’ampia serie di problemi fino ad ora sottovalutati e spesso non conosciuti, che fanno riferimento a fattori concreti come l’efficienza dell’organizzazione del lavoro e a fattori immateriali come la motivazione, la partecipazione, il coinvolgimento. In generale le principali fasi operative per il conseguimento di una certificazione di genere nelle aziende (o in enti pubblici) sono: 1. emissione e pubblicizzazione del bando di partecipazione; 2. autocandidatura dell’impresa; 3. accumulazione delle informazioni richieste (audit informativo); 4. analisi delle informazioni da parte di un Comitato di Valutazione e sintesi degli esiti;
  • 6. 5. rilascio dell’attestazione della certificazione di genere (e iscrizione a un eventuale Albo); 6. monitoraggio e verifica periodici; 7. report restitutivo alle imprese; 8. feedback delle imprese relativamente alla procedura (utilità, suggerimenti, soddisfazione). Nel caso di esito negativo si prevede solitamente un feedback informativo e di consulenza all’impresa, riservato e nella tutela della privacy, orientato al miglioramento del clima aziendale nella direzione della cultura di genere. In questo caso nessuna informazione sarà fornita esternamente in merito alla partecipazione. In generale la logica di una certificazione di genere non è valutativa, ma consulenziale, promozionale e di sostegno alla cultura di genere. In questo modo non solo si consente alle aziende di raggiungere una reale qualità sostanziale – favorendo un contesto in cui donne e uomini possano condurre una buona qualità di lavoro e vita personale, presupposti indispensabili alla creatività e alla innovazione - ma anche di individuare specifiche aree di sviluppo e miglioramento nella gestione delle Risorse Umane, ad esempio in termini di gestione integrata della maternità, come nel caso del Riconoscimento N.or.Ma.le. che rappresenta, analogamente al Gender Budgeting e al Gender Auditing, un’innovativa applicazione del principio di Gender Mainstreaming. 3. Gender Budgeting e Gender Auditing Il Gender Budgeting e il Gender Auditing sono due processi sviluppati all’interno della strategia di Gender Mainstreaming, per perseguire quegli obiettivi di equità, efficienza e trasparenza di cui si è parlato prima, sia all’interno delle pubbliche amministrazioni che nelle aziende private. Il Gender Mainstreaming (GM) è una strategia che assume l’ottica di genere prima che le decisioni siano prese, in modo tale che sia possibile considerare e valutare gli impatti su uomini e donne così da poter prendere decisioni mirate ai diversi bisogni, condizioni e motivazioni e mettere in atto azioni che raggiungono gli obiettivi individuali. É una strategia che fa riferimento alla qualità, spostando il focus dalla situazione delle donne alla qualità della vita lavorativa e personale di uomini e donne; tiene conto della diversità delle persone e costituisce uno dei fattori della “gestione della differenza”. Due delle concretizzazioni più interessanti del GM sono – come accennato – il Gender Budgeting e il Gender Auditing. Con il Gender Budget si vuole sottolineare l’impegno ad affrontare la programmazione degli obiettivi perseguibili, delle risorse assegnate e delle modalità attuative – secondo i principi sopra menzionati di
  • 7. equità, efficienza-efficacia, e trasparenza – conformemente ai risultati ottenibili distintamente attribuiti, nell’ottica di genere, agli attori sociali coinvolti. Con il Gender Audit si intende portare avanti un processo di valutazione a consuntivo in termini di efficacia, ovvero di rapporto tra obiettivi assegnati e risultati raggiunti, attraverso l’impiego delle risorse secondo la distinzione di genere, con verifica dei criteri utilizzati in termini di efficienza, di equità e di trasparenza. L’applicazione del principio di genere nella gestione aziendale rappresenta un fenomeno relativamente recente che – al di là di alcune applicazioni, perlopiù nell’ambito di enti locali territoriali – risulta tutt’ora lontano dall’affermazione di consolidati modelli di analisi e di rendicontazione. L’attivazione di pratiche di certificazione di genere dovrebbe consentire all’azienda di tracciare le principali politiche aziendali per permettere l’effettiva applicazione del principio di Gender Mainstreaming ovviando ai così detti “costi di non parità” (Zanutto 2008). I costi di non parità possono essere generati da: - la non considerazione dei bisogni, condizioni e motivazioni delle donne, legati in particolare al persistere di asimmetriche responsabilità di cura all’interno delle famiglie; - la mancata valorizzazione di stili di relazione, comunicazione, leadership, gestione dei conflitti considerati non conformi al modello maschile; - il mancato sostegno allo sviluppo professionale e di carriera della componente femminile; - la mancata frequenza alle attività di formazione da parte delle donne, perché realizzate con tempi e modi difficili soprattutto per chi ha carichi di cura; - la mancanza di piani aziendali per la conciliazione che consentano di armonizzare il lavoro con gli impegni familiari. Per quanto riguarda le esperienze di Gender Budgeting e Gender Auditing – in applicazione del principio di Gender Mainstreaming – molte esperienze nazionali e internazionali sono state già documentate in letteratura (ad esempio: Bettio, Rosselli, Vingelli 2003; Sharp 2003), ma si tratta perlopiù di iniziative nel contesto pubblico. Di seguito invece saranno prese in considerazione due esperienze nazionali di attivazione di percorsi di sostegno alle aziende per la promozione di una cultura di eguaglianza - come nel caso del progetto VISION - e di gestione del personale orientata alla famiglia, come nel caso dell’Audit Famiglia e Lavoro.
  • 8. 3.1 Il genere nella certificazione di qualità Il progetto “VISION: il genere nella certificazione di qualità” (durata: 2007-2009)1 è nato per colmare la lacuna prospettica delle norme ISO 9000:2000 dal punto di vista del genere, fornendo strumenti e metodi ai: - responsabili delle risorse umane, per acquisire nuova consapevolezza e strumenti di gestione in una prospettiva di genere, o, dove non presenti, al titolare aziendale che si occupa di questo aspetto; - certificatori del sistema di qualità ISO, perché inseriscano come elementi di valutazione anche le politiche che l’azienda mette in atto per il superamento delle discriminazioni interne tra uomini e donne; - in generale, a tutte le parti interessate in un processo aziendale (imprese, associazioni datori di Lavoro, Enti di formazione, Parti Sociali, consulenti …). L’obiettivo ultimo del progetto era la creazione di una cultura aziendale in cui l’equality fosse considerata come un fattore di qualità integrato e imprescindibile per la gestione delle organizzazioni. Il progetto è stato articolato in sei fasi, ciascuna definita da specifici obiettivi, azioni e prodotti di fase. L’innovatività del progetto è legata principalmente a: - l’assunto di partenza: non si può parlare di Qualità/Sistemi Qualità/QualitàTotale quando all’interno delle aziende permane un così alto livello di discriminazione di genere, sia verticale che orizzontale; - l’ambito di analisi: la lettura/commento delle norme ISO secondo un’ottica di genere crea uno stretto legame – un’integrazione – tra due ambiti che hanno sempre svolto percorsi paralleli, non comunicanti (Pari Opportunità e Sistemi formali Qualità); - la metodologia assunta per la creazione dei moduli formativi: le Pari Opportunità entrano all’interno delle procedure del sistema qualità e quindi all’interno del sistema di organizzazione e gestione aziendale, secondo metodi e strumenti propri del Gender Mainstreaming. Per quanto riguarda i moduli formativi, essi erano integrati sia in un corso di formazione per permettere ai Responsabili HR di introdurre la prospettiva di genere nelle organizzazioni, sia in un corso di formazione per 1 Progetto Multilaterale di Trasferimento dell'Innovazione, Programma settoriale Leonardo da Vinci Programma comunitario Life Long Learning, promosso da Progetto Donna, con la partecipazione di 10 partner di 5 paesi europei: Italia, Austria, Spagna, Portogallo, Bulgaria.
  • 9. i certificatori dei sistemi di qualità per la certificazione di genere nei processi operativi e cultura organizzativa. Il progetto VISION, al suo termine, ha evidenziato i vantaggi connessi all’attivazione di un sistema di gestione dei processi in ottica di genere. Tale sistema: - garantisce il rispetto della normativa di riferimento sulle pari opportunità, in particolare: rispetto della Legge 125/1991, della Direttiva Europea e relativa applicazione italiana: D.Lgs. 196/2007 sulle pari opportunità tra uomini e donne delle Pubbliche Amministrazioni; prevenzione del rischio da stress da lavoro correlato art. 28 del D.Lgs. 81/2008; - migliora gli aspetti di gestione interna, attraverso: miglioramento del clima; miglioramento della qualità di vita-lavoro di donne e uomini; miglioramento della partecipazione, motivazione, impegno; ottimizzazione dello sviluppo delle risorse umane compresi i gruppi che sono sotto valorizzati; soddisfazione dei diversi bisogni delle donne-uomini; riduzione dell’assenteismo e turn over; valorizzazione delle differenze di genere come valore aggiunto; - migliora l’immagine esterna anche attraverso: maggiore attrattività come posto di lavoro, in quanto considerata equa in termini di pari opportunità; miglior qualità del prodotto e servizio. Accanto al progetto VISION, vogliamo di seguito presentare sinteticamente un altro strumento di analisi organizzativa applicato anche in ambito privato ed in grado di consentire il monitoraggio delle modalità con cui un’organizzazione attua politiche di gestione del personale orientate alla famiglia. Si tratta dell’Audit Famiglia e Lavoro, variamente denominato nei diversi paesi in cui è divenuto strumento di certificazione. 3.2 L’Audit per la conciliazione tra vita lavorativa e famigliare L’ “Audit Beruf & Familie®” nasce in Germania nel 1995, su incarico della Fondazione di pubblica utilità Hertie di Francoforte e sull’esempio del Family Friendly Index americano. In previsione di estendere ed applicare lo strumento dell’Audit negli altri paesi europei, la Fondazione Hertie elabora nel 2001 lo strumento dell’European Work & Family Audit®, il primo standard applicabile dalle organizzazioni europee di ogni tipo e dimensione per certificare la propria effettiva e consapevole politica di conciliazione tra famiglia e lavoro; si basa sui principi e sull’approccio tracciato dal processo di Audit Beruf&Familie® e prescrive i requisiti minimi per la sua efficace e corretta realizzazione. A partire dal 1998 questo processo di certificazione viene adottato come strumento d’implementazione delle politiche familiari dal Ministero del Welfare austriaco. Dal 2004 viene introdotto in via sperimentale anche in Alto Adige con un progetto
  • 10. transnazionale finanziato dalla Commissione europea (Studio Associato Equalitas 2007). Dal 2007 anche la provincia di Trento attiva un processo di certificazione sul modello mutuato dalla Germania, che viene poi rivisto negli anni successivi e sostituito dallo standard Family Audit, nel 2011, che dallo stesso anno diventa anche oggetto di una sperimentazione a livello nazionale, promossa dalla Presidenza del Consiglio. Il Family Audit si configura come uno strumento manageriale volto a promuove un cambiamento culturale e organizzativo all’interno delle organizzazioni, e consente alle stesse di adottare delle politiche di gestione del personale orientate al benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Grazie ad un’indagine ampia all’interno dell’organizzazione, si individuano obiettivi e iniziative che consentono di migliorare le esigenze di conciliazione tra famiglia e lavoro dei dipendenti. La partecipazione dei collaboratori dell’organizzazione diventa un valore fondamentale al momento di stabilire i bisogni in materia di conciliazione e di proporre soluzioni ad essi. Lo strumento Family Audit può essere usato da qualsiasi organizzazione, di qualsiasi natura giuridica, dimensione e prodotto o servizio fornito. L’organizzazione che utilizza il Family Audit innesca un ciclo virtuoso di miglioramento continuo, introducendo al proprio interno soluzioni organizzative innovative e competitive relativamente alla flessibilità del lavoro e alla cultura della conciliazione. Si realizza attraverso un processo di valutazione sistematica e standardizzata che permette alla fine di ottenere una certificazione. L’Audit quindi è un processo di miglioramento continuo condotto secondo una logica win-win, che ha come presupposto l’individuazione di obiettivi precisi ed identificabili. L’organizzazione che decide volontariamente di utilizzare l’Audit viene aiutata – da consulenti/auditori accreditati – ad individuare le iniziative ed i provvedimenti orientati alla famiglia, attuati o potenzialmente attuabili e a definire gli ambiti di miglioramento in alcune aree (ad esempio: orario di lavoro, processi di lavoro, luogo di lavoro, politica d’informazione e comunicazione, competenza dirigenziale, sviluppo del personale, componenti della retribuzione e fringe-benefit, servizi per la famiglia). I consulenti/auditori operano a stretto contatto con un gruppo di lavoro interno appositamente creato e rappresentativo di tutto il personale ovvero delle diverse esigenze organizzative. Il processo – e la documentazione prodotta – viene esaminata al termine da un valutatore accreditato che ha il compito di stabilire se l’organizzazione ha attuato il processo di Audit secondo le disposizioni delle Linee Guida definite dall’Ente certificatore (nel caso del Family Audit è la stessa Provincia autonoma di Trento). Le fasi del processo fino alla certificazione finale sono due: I. Analisi ed individuazione delle misure (durata 6 mesi) II. Implementazione delle misure individuate (fase attuativa) (durata 3 anni) Nel dettaglio, il processo si articola come descritto in Figura 1.
  • 11. Figura 1 - Il processo dell’Audit: diagramma di flusso Fonte: http://www.familyaudit.org/
  • 12. In generale, le diverse esperienze di Audit per la conciliazione famiglia/lavoro in organizzazione, hanno mostrato – sia a livello nazionale che a livello europeo – che si tratta di uno strumento in grado di consentire la creazione di valore economico per le organizzazioni stesse, rafforzandone l’immagine, l’identità aziendale e di aumentare i livelli di produttività e la soddisfazione dei dipendenti. La conciliazione quindi rappresenta non solo una questione etica, riconducibile alla responsabilità sociale dell’impresa, ma anche un obiettivo di business aziendale e d’interesse pubblico. Le risorse umane sono un elemento sempre più strategico per il successo delle organizzazioni, ma il potenziale conflitto tra vita professionale e vita privata è una minaccia alla salute ed al benessere delle persone e allo sviluppo stesso dell’organizzazione. L’organizzazione, attraverso il Family Audit, può produrre un’ampia gamma di risultati positivi: - consente di diminuire lo stress psico-fisico dei propri dipendenti; - permette di ottenere effetti positivi sul clima organizzativo, sulla motivazione e sulla soddisfazione dei dipendenti; - aumenta l’attrattività dell’organizzazione nel mercato del lavoro; - aumenta la qualità delle prestazioni da parte dei dipendenti e quindi la produttività, con la riduzione del tasso di assenteismo e del tasso di turn-over; - migliora le performance finanziarie e il valore generato a favore degli azionisti; - fidelizza i dipendenti, preserva il know-how aziendale ed aumenta la capacità di attrarre talenti; - riduce la disparità tra uomini e donne e tra persone che hanno diversi carichi familiari. Un’attenzione ancor più mirata verso le organizzazioni impegnate (o che intendono impegnarsi) nel miglioramento della policy aziendale e dei processi organizzativi legati specificamente alla maternità caratterizza il Riconoscimento N.Or.Ma.Le. 4. La gestione della maternità in azienda: il Riconoscimento N.Or.Ma.Le. Le iniziative precedentemente descritte si caratterizzano per un’attenzione articolata alle questioni delle differenze di genere e della conciliazione tra vita lavorativa e familiare, tuttavia è possibile anche pensare a strumenti più focalizzati su singole problematiche, che potrebbero essere adottati in sinergia con i processi di certificazione più complessi. É il caso del processo di certificazione N.Or.Ma.Le, che si concentra in modo specifico sul tema della maternità, che rappresenta senza dubbio un fattore critico rispetto alle differenze di genere nei contesti lavorativi. La maternità viene ancora spesso vista come il fattore che più limita
  • 13. l’accesso, la permanenza e la carriera delle donne nel mondo del lavoro: in realtà il problema è piuttosto la cultura organizzativa costruita sull’idea di maternità come situazione svantaggiosa per le dinamiche produttive a rappresentare il vero ostacolo (Cuomo, Mapelli 2009). In tal senso appare importante innovare i modelli organizzativi e le politiche di gestione e sviluppo delle risorse umane in grado di allontanare lo spettro della maternità come costo organizzativo sia di garantire una conciliazione tra sfera pubblica e sfera privata, tra lavoro e famiglia (Cozza, Gennai 2009). Il processo di certificazione che sottende il Riconoscimento N.Or.Ma.Le si colloca in questa prospettiva, cercando di favorire l’innovazione organizzativa attraverso un cambiamento, esteso necessariamente sul lungo periodo, e tale da permettere agli effetti degli investimenti aziendali in materia di Welfare aziendale e Gestione delle risorse umane di manifestarsi e protrarsi negli anni. Il Riconoscimento N.Or.Ma.Le consiste in una dichiarazione rilasciata dall’ente promotore (in questo caso l’Associazione Mobildonne) alle organizzazioni impegnate nel miglioramento della policy aziendale e dei processi organizzativi legati alla gestione della maternità. Il rilascio del Riconoscimento N.Or.Ma.Le è subordinato alla verifica dell’impianto/miglioramento di processi organizzativi orientati ad una gestione razionale e integrata della maternità. Tale verifica può avvenire “ex post” per organizzazioni che si candidano avendo già lavorato in tale direzione, oppure può essere preceduta da un accompagnamento personalizzato all’azienda, finalizzato a facilitare l’avvio dei processi organizzativi interni e la loro progressiva messa a sistema. Al termine della verifica viene consegnato all’azienda un report da sottoscrivere per accettazione. In caso di “non conformità” rispetto ai requisiti identificati dallo standard N.Or.Ma.Le viene chiesto all’organizzazione di definire un Piano di lavoro che integri quanto necessario e che l’azienda stessa si impegna a realizzare entro un termine stabilito. A ciò segue il rilascio del Riconoscimento. Il Riconoscimento non ha scadenza in quanto attesta un orientamento dimostrato dall’azienda al momento della valutazione, né prevede attività di sorveglianza periodica. I requisiti che identificano lo standard N.Or.Ma.Le fanno riferimento ad alcuni item quali: 1. la maturità aziendale in tema di work-life balance e, in particolare, sulla gestione della maternità; 2. la policy aziendale di gestione integrata della maternità; 3. la gestione della maternità come investimento aziendale; 4. il piano di lavoro. Ciascun item oggetto di valutazione poggia sull’utilizzo di determinati strumenti che a loro volta testimoniano – se in uso – l’impegno e l’orientamento aziendali alla gestione integrata della maternità.
  • 14. In particolare: 1. Maturità aziendale in tema di work-life balance e, in particolare, sulla gestione della maternità Il primo elemento da valutare è rappresentato dallo “stato dell’arte” rispetto alla capacità dell’azienda di rileggere il proprio contesto in funzione del tema oggetto di verifica, base per calibrare le successive proposte di lavoro. Gli strumenti grazie ai quali “misurare” l’orientamento aziendale sono: 1.1 Data base analisi di contesto Schema di prima raccolta dati sul contesto e la popolazione aziendale, funzionale a disporre di una prima fotografia della realtà organizzativa di riferimento. 1.2 Linea del tempo (work-life-balance history) Raccolta e descrizione di tutti i progetti e/o iniziative realizzati negli anni dall’azienda in tema di work-life balance. 1.3 Autodiagnosi sistema di valutazione delle prestazioni Breve questionario a risposte aperte relativo allo stato dell’arte del sistema di valutazione delle prestazioni in uso (se esistente) e adozione di indicazioni metodologiche finalizzate ad evitare qualsiasi impatto discriminatorio rispetto alle lavoratrici in gravidanza/maternità. 2. Policy aziendale di gestione integrata della maternità Il secondo item da valutare è l’adozione da parte dell’organizzazione di una policy specificamente dedicata alla gestione della maternità, attraverso l’adozione di: 2.1 Piano di congedo Strumento di accompagnamento del percorso individuale pre-durante-post congedo. Può essere utilizzato sia nella versione “cartacea”, sia informatica. 2.2 Vademecum aziendale maternità/paternità Strumento di comunicazione rivolto a tutto il personale. Riporta in sintesi il messaggio dell’azienda sul senso della nuova policy adottata, ne introduce la procedura e fornisce una prima panoramica di informazioni utili sulla normativa vigente e i contratti aziendali. 2.3 Iniziative di comunicazione interna Organizzazione di almeno una iniziativa rivolta al personale interno per dare piena visibilità e accessibilità alle misure adottate. 3. Gestione della maternità come investimento aziendale
  • 15. Essenziale per “dare consistenza” all’investimento compiuto dall’organizzazione è l’impostazione di un sistema di monitoraggio di costi e benefici prodotti dal processo avviato e dall’approccio metodologico utilizzato. Per farlo è possibile avvalersi di un apposito strumento: 3.1 Maternity accounting Strumento di rilevazione dei costi e benefici derivanti dalla presenza di una maternità in azienda, finalizzato al monitoraggio di costi e benefici derivanti dall’adozione di policy di gestione integrata della maternità. 4. Piano di lavoro Sulla base dei precedenti item l’azienda è chiamata a redigere un piano di lavoro che espliciti gli obiettivi di miglioramento che intende perseguire per (almeno) i tre anni successivi. Il processo delineato prelude al rilascio del Riconoscimento N.Or.Ma.Le, che può essere richiesto da organizzazioni pubbliche e private, senza vincoli circa la rispettiva natura giuridica. Il Riconoscimento, una volta acquisito, può essere utilizzato per uso interno e di comunicazione, non ha valenza di certificazione ed esclude qualsiasi garanzia circa la regolare e completa osservanza agli obblighi di legge in tema di gestione della maternità. Le organizzazioni che ottengono il Riconoscimento N.Or.Ma.Le verranno inserite in un apposito elenco aggiornato periodicamente e pubblicato sul sito dell’ente promotore. Conclusioni La certificazione di genere nelle aziende segna un’importante acquisizione nel combattere la discriminazione nel mondo del lavoro e assume la direzione indicata da tempo dalla Commissione Europea per accelerare il processo verso l’uguaglianza di genere e rafforzare le politiche di Pari Opportunità in tutti i paesi dell’U.E. Si tratta di stabilire una certificazione-simbolo per rendere riconoscibili le realtà lavorative di aziende pubbliche e private attente alla non discriminazione fra donne e uomini. É un processo di rendicontazione per rilevare, in modo processualmente definito e riproducibile, la cultura di genere espressa a livello imprenditoriale in un dato territorio e in una determinata comunità di riferimento.
  • 16. Attraverso i processi di certificazione di genere le organizzazioni possono dimostrare il proprio impegno per il rispetto delle Pari Opportunità attraverso strumenti trasparenti e modelli dinamici che tendono al miglioramento costante e continuo dei comportamenti. Tali modelli – come nel caso del Riconoscimento N.Or.Ma.Le – sono basati sull’approccio progressivo che consente la costruzione nel tempo e il consolidamento del rapporto con gli stakeholders, migliorando la partecipazione, la fiducia e il mantenimento di buone relazioni. Per rendere più efficaci tali strumenti appare importante evitare che si limitino ad essere semplici strumenti di promozione dell’immagine e che invece si traducano in effettivi stimolatori di cambiamento organizzativo e di innovazione. Questo obiettivo può essere favorito anche dall’individuazione, a livello territoriale, di incentivi anche economici per riconoscere lo sforzo organizzativo portato avanti dalle aziende che aderiscono a tali standard: è il caso ad esempio della Provincia Autonoma di Trento che prevede sia un contributo finanziario pubblico alle aziende che aderiscono alla certificazione Family Audit, sia – aspetto ancora più interessante – una valorizzazione della certificazione all’interno degli appalti pubblici. Questo a partire dalla consapevolezza che il processo di empowerment di genere promosso dalla certificazione di genere all’interno di singole aziende tende a tradursi in empowerment ambientale (inteso come sistema di risorse e possibilità disponibili/consentite dall’ambiente che si promuove, si costituisce e si mantiene nella sinergia fra area territoriale di riferimento e imprese coinvolte) e può sviluppare/trasformare le sue potenzialità e risorse in capacità, percependo i vincoli posti dal contesto territoriale come opportunità in grado di veicolare istanze di cambiamento, a partire dalla comprensione del funzionamento delle strutture dei processi decisionali. Si evidenzia, così, la capacità del territorio di costruire e distinguere le possibili strategie di cambiamento, migliorando la realtà in ottica di genere e dimostrando che l’empowerment degli individui, delle organizzazioni e della comunità sono reciprocamente interdipendenti e sono tanto causa quanto conseguenza l’uno dell’altro. La promozione della certificazione di genere si colloca in tal senso in una più generale prospettiva di connessione tra il benessere individuale di donne e uomini e il più ampio ambiente sociale, economico e politico, partendo dal presupposto che le persone hanno bisogno di opportunità per divenire attive nel prendere decisioni per migliorare la propria vita.
  • 17. Riferimenti bibliografici Bettio F., Rosselli A., Vingelli G. (2003) Gender Auditing dei bilanci pubblici, Quaderni della Fondazione A.J.Zaninoni, Bergamo Bortolucci, R.; Satta M.M. (2004) Le pari opportunità e la responsabilità sociale delle imprese. Una proposta di linee guida, Università di Genova, Ufficio Consigliere di Parità Cozza, M., Gennai, F. (2009) Il genere nelle organizzazioni, Carocci, Roma. Cuomo, S., Mapelli, A. (2009) Maternità quanto ci costi? Un’analisi estensiva del costo della gestione della maternità nelle imprese italiane, Guerini e Associati, Milano. Himmelweit, S. (2002) “Making Visible the hidden economy: the case for gender-impact analysis of economic policy”, Feminist Economics, 8 (1) : 49-70 Levering, Robert (1988) A Great Place To Work: What Makes Some Employers So Good (And Most So Bad), Avon books, New York (trad. it. Un gran bel posto in cui lavorare, Sperling & Kupfer, Milano, 2002) Poggio, B., Murgia, A., De Bon M. (2010) Interventi organizzativi e politiche di genere, Carocci, Roma. Sharp, R. (2003) Budgeting for equity. Gender budget initiatives within a framework of performance oriented budgeting, United Nations Development Fund for Women (UNIFEM) Studio Associato Equalitas (2007) L’Audit Famiglia & Lavoro: una conciliazione possibile, Franco Angeli, Milano. Zanutto, A. (2008) “I costi di non parità”, I quaderni gelso, 15, Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale.