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Come ha reagito la creatività a questo anno di limitazioni e
paure? Quali opportunità professionali aprirà in futuro? Ne
discutono nelle prossime pagine studiosi, critici, esperti di moda.
Dicono: nonostante le avversità, la fantasia è sempre più libera.
The Creativity
Issue
ACCANTO.
Autoscatto di
Freja Beha
Erichsen. Styling
Tom Guinness.
Maglione di lana
mohair, maglia
di viscosa, gonna
di gabardine
re-nylon e
slingbacks in
nylon gabardine.
Tutto Prada.
Hair Ward @ The
Wall Group.
Make-up Fulvia
Farolfi @ Bryan
Bantry Agency.
Come ha reagito la creatività a questo anno di limitazioni e
paure? Quali opportunità professionali aprirà in futuro? Ne
Erichsen. Styling
Tom Guinness.
Maglione di lana
di viscosa, gonna
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La Scintilla
di Michele Neri
Accendere l’immaginazione, in tempi di pandemia,
non è banale. Eppure Daniel Goleman, che da
un quarto di secolo studia l’intelligenza emotiva,
è sicuro: l’isolamento forzato potrà darci qualche
regalo inatteso.
SOPRA, DA
SINISTRA.
“20.03.2020
Costumes n°03
Emoji’s”,
dalla serie “55
costumes” che
Hubert Crabieres
ha creato durante
il lockdown
in Francia.
Anche l’opera
della taiwanese
Zhong Lin,
tratta da“Project
365”, esplora il
rapporto tra arte
e solitudine.
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A giorni dovrebbero cominciare le riprese di Killers of the Flowers
Moon, il nuovo film di Martin Scorsese. Il primo ciak era previ-
sto un anno fa ma, come ha ammesso il regista in un’intervista
a Empire, non riusciva più a trovare la «scintilla»: la pandemia
aveva «interrotto il suo processo creativo». In un insolito dialogo
via Zoom, il batterista dei Metallica Lars Ulrich e il critico cine-
matografico del New York Times A.O. Scott hanno concordato che
l’inventiva è quella frenesia che prende vita quando un gruppo di
persone sono faccia a faccia. È «avvicinarsi alla gente».
Con l’isolamento forzato, il Covid-19 ha spento o
confuso il baricentro creativo e non è stato soltanto per
la sosta di musei, teatri e altre forme di consumo cul-
turale. Una trasformazione radicale ha colpito scuo-
la e lavoro. Un’indagine della società di consulenze
Leesman condotta su 145 mila impiegati ha rilevato
che, per un terzo, il lavoro da casa rendeva impossibile
la minima attività creativa. Le intuizioni devono ora
farsi strada in un ambiente che è diventato un “Vuca
World”, termine degli anni 80 tornato in auge per de-
finire l’impatto dello stress sul comportamento umano
(l’acronimo consiste di quattro termini anglosassoni
familiari in questo 2021: volatilità, incertezza, com-
plessità e ambiguità).
Come si possono rivedere singolarmente approc-
ci e strategie e ritrovare la propria scintilla? Un’idea
ce l’ha uno dei più popolari psicologi americani, il
settantacinquenne Daniel Goleman che, al funziona-
mento della mente e ai meccanismi della creatività, ha
dedicato una decina di saggi a partire dal best seller
Intelligenza emotiva, tradotto in quaranta lingue. Go-
leman dirige il Consortium for Research on Emotional
Intelligence in Organizations alla Rutgers University,
New Jersey.
Che effetto produce l’isolamento sull’inventiva?
Come ho scritto nel saggio Lo spirito creativo, la crea-
tività ha bisogno di tre stadi. Nel primo, esploro, cerco
informazioni su ciò che m’interessa, educo l’imma-
ginazione; ascolto l’altro, chi sa di più. Il secondo è
il tempo lento dell’incubazione, in cui lascio cuoce-
re le informazioni più disparate nel cervello. Quasi
tutto qui avviene a livello inconscio, inconsapevole,
perché le idee hanno bisogno di ricombinarsi secondo
strutture imprevedibili. La creatività è quella cosa che
succede quando elementi mai avvicinati tra loro sono
messi insieme. E questa seconda parte entra in gioco
se la prima è ferma: quando una è on, l’altra dev’esse-
re off. Il terzo stadio, quello dell’illuminazione, della
risposta, è soltanto la traduzione in azione, in qualcosa
di visibile, di un’intuizione precedente. Allora l’iso-
lamento protratto, se ha reso complicati il primo e il
terzo passaggio, inibendo ricerca e performance, ha
permesso di cucinare a lungo idee e creatività dentro
di noi. Il Covid-19 potrà darci qualche regalo inatteso.
La creatività è un modo per sconfiggere la paura?
Indirettamente sì. Se provi angoscia per l’esterno, su-
bentra la parte primitiva del cervello che blocca il re-
sto perché si possa reagire, così che la situazione non
precipiti. Se riesci a disporti in modo creativo, e ci
dedichi energia, vai più in alto della paura, raggiungi
qualcosa di più importante. Creare offre un senso di
scopo, mostrando ciò su cui puoi intervenire e nascon-
dendo ciò su cui non hai potere. È un modo per non
sentirsi impotenti.
Nei venticinque anni dalla pubblicazione di Intelli-
genza emotiva, il più grande cambiamento nel rap-
porto con la creatività è il ruolo della tecnologia.
È preoccupato delle conseguenze sulla libertà di
pensiero?
Non lo sono. Creatività e intelligenza emotiva sono
al riparo dalla macchina. Anzi, la prima e la terza
fase del processo creativo, la ricerca d’informazioni
e la promozione e diffusione, possono avvantaggiarsi
dell’efficienza tecnologica. E la seconda fase, in cui
lasci che sia la mente a compiere tragitti sconosciuti,
resta invece indipendente dagli influssi artificiali.
Non teme che le onnipresenti funzioni di calcolo pos-
sano tradire il pensiero emotivo?
Resto ottimista. Le macchine possono copiare la no-
stra razionalità, ma noi sentiamo. Quando siamo crea-
tivi, che si sia padri, lavoratori, artisti, usiamo (segue)
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Che relazione c’è tra creatività e
intuito?
Pensare creativamente significa sa-
per osservare la società di oggi con
un occhio al tempo che verrà. Questa
abilità è frutto dell’intuito.
Si può coltivare il talento e, soprat-
tutto, insegnare?
Me lo chiedo di continuo! Coco
Chanel, Dior, Guccio Gucci e le Fen-
di non hanno mai studiato moda. Si
possono imparare le tecniche, la sto-
ria dell’arte, ma il talento è un dono.
Si può sviluppare, non insegnare.
Come si circonda di creatività nel-
la sua vita privata?
Colleziono arte contemporanea: arti-
ste donne. Collezionare con un focus
permette di andare in profondità. E
riscoprire artiste dimenticate del XX
secolo così come seguire quelle in
vita, è un immenso piacere!
SOPRA.
Un ritratto di
Floriane de Saint
Pierre (foto Osma
Harvilahti),
che nel 1990 ha
fondato l’agenzia
di headhunter
Floriane de Saint
Pierre et Associés.
Collezionista
di arte
contemporanea
al femminile,
de Saint Pierre è
membro fondatore
del Palais de
Tokyo Art Club
Entreprises, e fa
parte del Groupe
d’Acquisition de
la Photographie
del Centre
Pompidou
di Parigi.
le emozioni; e l’intelligenza artifi-
ciale, che può tradurre in algoritmi i
processi razionali, con le emozioni
non ci riesce: non sono esprimibili
in linea retta.
Dopo anni di prevalenza dell’ir-
razionale nel pensiero comune,
basti ricordare la fortuna di
teorie del complotto e fake news,
scienza e razionalità sono ora
invocate da più parti. Lei è d’ac-
cordo?
Non è soltanto la razionalità a dover
fare il grande ritorno. È un uso so-
fisticato dell’informazione a essere
necessario. Le opinioni anti-scien-
tifiche possiedono grande carica
emotiva e si diffondono più in fret-
ta. I consumatori di informazioni,
cioè tutti, dovrebbero approfondire
lo studio delle proprie emozioni e
tornare così alle notizie basate sulla
conoscenza, ben più nutrienti.
Quando è più creativo?
Durante la meditazione mattutina.
Non dovrebbe essere un momen-
to in cui si evita di pensare?
L’importante è, appena hai un’idea,
scriverla e non seguirla più fino alla
fine.
Una ricerca di Justin M. Berg
dell’Università di Stanford pub-
blicata nella Harvard Business
Review sostiene che diamo troppa
importanza alla prima idea e do-
vremmo insistere, perché quella
vincente è l’ultima. Concorda?
No. Nei processi creativi l’intuizio-
ne migliore è la prima. Soltanto se
sei alla ricerca di un risultato razio-
nale allora è meglio insistere.
Quando Marco Bizzarri pensò di
affidare ad Alessandro Michele le
redini creative di Gucci, la volle a
Roma per avere il suo parere. E chi,
se non lei, avrebbe potuto immagina-
re che un texano da 10 anni al fianco
di Thom Browne, Daniel Roseberry,
sarebbe stato il candidato ideale per
il ruolo di direttore artistico della
maison Schiaparelli? Floriane de
Saint Pierre è un punto fermo nel
fashion business: a capo della più
importante agenzia internazionale di
“cacciatori di teste” – che ha fondato
ventiseienne nel 1990 –, è a lei che le
case di moda si rivolgono per trovare
i talenti e sviluppare il proprio poten-
ziale creativo. Ma per de Saint Pierre
non è solo questione di reclutamen-
to, piuttosto un processo “olistico”.
Per cominciare, come definisce la
creatività?
È l’abilità di generare idee che vada-
no oltre le strade battute, e che abbia-
no un senso – cioè siano rivolte a un
obiettivo. Significa che queste idee
devono essere adatte a un progetto,
o a una strategia, o sono inutili. Ogni
business si costruisce su idee creative
che producono significato.
Cos’hanno in comune le persone
creative?
Sanno essere specchio della società,
esprimerne le istanze. Marine Serre e
Alessandro Michele con Gucci han-
no raggiunto la notorietà all’istante
– sebbene con un’estetica differen-
te – perché entrambi interpretano
lo Zeitgeist. La stessa cosa vale per
i marchi. Quali sono più influenti?
Quelli con un certo rilievo per il tem-
po presente, perché comprendono
come le persone vivono e offrono
loro delle soluzioni.
Ci spiega in due battute la diffe-
renza tra “creative” e “design le-
ader”, categorie che lei individuò
anni fa?
Il migliore esempio è quello di Steve
Jobs e Jony Ive di Apple, rispettiva-
mente la leadership creativa e quella
di design. La prima è l’idea olistica
che cambia le carte in tavola, è utile
e quindi ha un’influenza. La seconda
materializza l’idea in un prodotto o
servizio.
Ma Le Idee Non
Contano
Se non vengono messe al servizio di un progetto
e producono significato, avverte Floriane de Saint Pierre,
la più ascoltata headhunter del fashion business: «Bisogna
comprendere come vivono le persone e offrire soluzioni».
di Marta Galli