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Accordo Italia – Principato di Monaco
La nuova Voluntary è in partenza e l’Agenzia delle Entrate pensa bene di ricordarlo a una platea di
possibili interessati. Diamo qui uno sguardo all’accordo siglato con uno di quei Paesi da cui,
statisticamente, è maggiormente probabile il verificarsi di richieste di rimpatrio dei capitali: il
Principato di Monaco.
Sarà che la Voluntary 2.0 è ai blocchi di partenza, ma si incomincia a parlare sempre più
frequentemente delle regole previste dagli accordi sottoscritti tra l’Italia e quei Paesi in genere
scelti quali mete per custodire capitali occultati al Fisco. Uno di questi Stati è sicuramente (quanto
meno per le persone fisiche) il Principato di Monaco, il quale ha firmato con l’Italia una
convenzione davvero anomala, costituita da un accordo (ben lungi dall’essere in linea con l’OECD
Model Tax Convention), e da un separato protocollo che fa riferimento all’accordo principale,
tramite cui l’Amministrazione Finanziaria italiana, intende perseguire un obiettivo oltremodo
chiaro: incamerare soldi con la Voluntary.
Considerato che la sottoscrizione risale all’inizio del 2015, e che (nonostante gli effetti delle
Convenzioni di regola vengano retrodati di un triennio) l’entrata in vigore dell’accordo in
questione decorra dallo stesso anno 2015 in cui – manco a dirlo – era stata varata la prima
Voluntary nazionale, è assai facile comprendere le ragioni e i reali interessi che hanno portato alla
stipula di tale trattato prima che il Principato entrasse a far parte dei Paesi virtuosi, con l’adozione
del Common Reporting Standard di matrice OCSE. Detti interessi e ragioni stanno certo alla base
degli articoli apparsi in questi giorni nella rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, che
pubblicizzano nuovamente tale accordo come se fosse stato firmato “ieri”, e non quasi due anni
fa. Inevitabile, dunque, pensare che l’odierno varo della Voluntary 2.0 non costituisca una pura
coincidenza ma sia strettamente collegato a ciò.
Andiamo a conoscere meglio le clausole del trattato qui in esame.
Innanzitutto, gli articoli che compongono l’accordo non sono 31 (come quelli del Modello
Convenzionale OCSE), ma solo 14. Tra questi, uno dei più importanti è senza dubbio l’art. 5 che
riguarda lo scambio di informazioni… su richiesta.
L’autorità competente della Parte interpellata provvede a fornire su richiesta le informazioni.
Se specificamente richiesto dall’autorità competente della Parte richiedente, l’autorità competente
della Parte interpellata fornisce le informazioni nella misura consentita dal proprio diritto interno.
L’autorità competente della Parte richiedente fornisce le seguenti informazioni all’autorità
competente della Parte interpellata, quando effettua una richiesta di informazioni ai sensi
dell’Accordo, per dimostrare che le informazioni sono verosimilmente rilevanti per la richiesta:
(a) l’identità della persona sottoposta a verifica o indagine;
(b) una dichiarazione relativa alle informazioni richieste che indichi la natura e la forma in cui la
Parte richiedente desidera ricevere le informazioni dalla Parte interpellata;
(c) la finalità fiscale per la quale si richiedono le informazioni;
(d) il periodo per cui si richiedono le informazioni;
(e) le ragioni per cui si ritiene che le informazioni richieste siano detenute nella Parte interpellata o
siano in possesso o sotto il controllo di una persona nella giurisdizione della Parte interpellata;
(f) se conosciuti, il nome e l’indirizzo delle persone che si ritiene siano in possesso delle informazioni
richieste;
(g) una dichiarazione attestante che la richiesta è conforme alla legislazione e alle prassi
amministrative della Parte richiedente, che – qualora le informazioni richieste fossero presenti
nella giurisdizione della Parte richiedente – l’autorità competente di quest’ultima potrebbe
ottenere dette informazioni ai sensi della propria legislazione o nel corso della propria normale
prassi amministrativa, e che la richiesta è conforme al presente Accordo;
(h) una dichiarazione attestante che la Parte richiedente ha esaurito tutti i mezzi a disposizione nel
proprio territorio per ottenere le informazioni, a eccezione di quelli che comporterebbero eccessive
difficoltà.
Qualora l’autorità competente della Parte interpellata non sia stata in grado di ottenere e fornire
le informazioni entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta, compreso il caso in cui incontri
ostacoli nel fornire le informazioni o si rifiuti di fornirle, deve immediatamente informare la Parte
richiedente, spiegando le ragioni della propria impossibilità, la natura degli ostacoli o le ragioni del
proprio rifiuto.
Leggendo tali previsioni risulta a tutti evidente che lo scambio di informazioni sulla base
dell’accordo in questione risulterebbe, de facto, inapplicabile nella pratica, o comunque privo di
qualsivoglia concreta efficacia.
Completamente inutile appare anche il successivo art. 6 – Verifiche fiscali all’estero, che
francamente non si comprende quando mai potrebbe essere attuato:
Una Parte richiedente può consentire che rappresentanti dell’autorità competente dell’altra Parte
Contraente entrino nel territorio della prima Parte per interrogare persone ed esaminare
documenti, previo consenso scritto delle persone interessate.
Ebbene, quale contribuente si arrischierebbe mai a dare il consenso, indipendentemente dal fatto
che l’indagine di base riguardi altri soggetti?
L’accordo, inoltre, si affretta a precisare che:
L’autorità competente della Parte interpellata può rifiutare di prestare assistenza se la richiesta
non è conforme al presente Accordo.
Le disposizioni del presente Accordo non impongono a una Parte Contraente l’obbligo di fornire
informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un
processo commerciale.
Le disposizioni del presente Accordo non impongono a una Parte Contraente l’obbligo di ottenere o
fornire informazioni che potrebbero rivelare comunicazioni riservate tra un cliente e un procuratore
legale, un avvocato o altro rappresentante legale riconosciuto qualora tali comunicazioni siano:
- fornite al fine di chiedere o fornire consulenza legale o
- fornite per essere utilizzate in procedimenti giudiziari esistenti o previsti.
La Parte interpellata può rifiutare una richiesta di informazioni se la divulgazione delle informazioni
è contraria all’ordine pubblico.
La Parte interpellata può rifiutare una richiesta di informazioni se le informazioni sono richieste
dalla Parte richiedente per l’amministrazione o l’applicazione di una disposizione della legislazione
tributaria della Parte richiedente, o di qualunque obbligo a essa relativo, che comporti una
discriminazione ai danni di un nazionale della Parte interpellata rispetto a un nazionale della Parte
richiedente nelle stesse circostanze.
L’art. 11 dell’accordo è, poi, dedicato a disciplinare le procedure amichevoli. La previsione è quella
che viene tipicamente inserita allorché si abbia interesse a sottoscrivere un trattato con Paesi
“black list”. Il governo ci ha abituato a queste previsioni assolutamente prive di efficacia, già in
un’altra convenzione (inutile per l’Italia, ma molto conveniente per la Santa Sede), appena
sottoscritta con lo Stato del Vaticano; che potremmo definire come paradiso fiscale per
antonomasia. La norma è esattamente la stessa, riproposta col copia e incolla:
Qualora sorgano difficoltà o dubbi tra le Parti Contraenti circa l’applicazione o l’interpretazione
dell’Accordo, le autorità competenti faranno del loro meglio per risolvere la questione di comune
accordo.
Perché mai l’OCSE, da anni, si affanna a studiare dettagliatamente le MAP, quando sarebbe
sufficiente scrivere “le autorità faranno del loro meglio”, come l’Italia ha inserito nelle sue
convenzioni con Monaco e con il Vaticano?
Altra previsione davvero inusuale – come già detto – quella dell’art. 13 – Entrata in vigore:
Alla data dell’entrata in vigore il presente Accordo avrà effetto per tutte le richieste concernenti
atti, fatti, eventi e circostanze relativi al periodo che inizia dalla data della firma.
Per usare un detto popolare: si chiude la stalla dopo che i buoi (perlomeno quelli più attenti) se la
sono già filata.
Sottolineiamo, infine, quest’ultima disposizione, la quale d’altronde non fa altro che puntualizzare
un principio già estrapolabile in altre precedenti clausole:
Il presente Accordo opera sulla base della legislazione interna di ciascuna Parte e in conformità
degli obblighi di diritto internazionale applicabili e, per quanto riguarda l’Italia, in conformità degli
obblighi derivanti dalla sua appartenenza all’Unione Europea.
Anche in questo caso (come già avvenuto pure nella citata convenzione con il Vaticano), viene
ribadita la volontà negoziale di inserire un’eccezione con l’unico scopo di invertire la gerarchia
delle fonti, stabilendo, eccettuati i vincoli di carattere comunitario (sui quali, evidentemente, il
governo italiano non avrebbe alcuna potestà), la prevalenza delle leggi nazionali su quelle
convenzionali.
Fin qui, il testo dell’accordo. Ma, come già anticipato, l’ambasciatore italiano a Monaco ha firmato
un protocollo d’intesa aggiuntivo, composto di due interessanti articoli, che, nelle intenzioni del
governo, dovrebbe contribuire a mettere fieno in cascina, per il tramite della Voluntary.
Monaco consente le richieste di gruppo relative ai conti detenuti da un titolare di conto residente in
Italia presso intermediari finanziari di Monaco per il periodo intercorrente tra la data della firma
dell’Accordo e la data di attuazione di un accordo sullo scambio automatico di informazioni basa-
to sul modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard) dell’OCSE tra Monaco e
Italia. Fino a quando non saranno attuate in Monaco le procedure di adeguata verifica (due
diligence) previste dal modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard), le
procedure di adeguata verifica (due diligence) utilizzate per identificare titolari di conto residenti in
Italia ai fini delle richieste di gruppo si basano sulla legislazione antiriciclaggio di Monaco e su ogni
altra rilevante disposizione di Monaco in vigore alla data in cui è effettuata l’adeguata verifica (due
diligence).
Le richieste di gruppo si applicano ai titolari di conto residenti in Italia, per i seguenti casi:
Conti chiusi
I “conti chiusi” sono conti detenuti da titolari di conto residenti in Italia e chiusi tra la data della
firma dell’Accordo e la data di attuazione di un accordo sullo scambio automatico di informazioni
basato sul modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard) dell’OCSE tra Monaco
e Italia, indipendentemente da quando sono stati aperti tali conti. Ciò include i conti chiusi laddove
le attività sono trasferite presso qualsiasi altra istituzione finanziaria e/o sono oggetto di prelievi in
contanti.
Un conto chiuso non rientra nel campo di applicazione delle richieste di gruppo, se si verifica una
delle seguenti condizioni:
i. il titolare di conto residente in Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista dalla
Voluntary all’intermediario finanziario di Monaco;
ii. le attività sono state trasferite presso intermediari finanziari situati in Italia o in altro
Paese che attua con l’Italia il Common Reporting Standard dell’OCSE.
Conti sostanzialmente svuotati
I “conti sostanzialmente svuotati” sono conti detenuti presso intermediari finanziari di Monaco da
titolari di conto residenti in Italia che soddisfano tutti i seguenti requisiti:
a) sono mantenuti alla data della firma dell’Accordo;
b) sono ancora in essere alla data di scadenza del programma italiano di collaborazione
volontaria;
c) presentano un saldo di conto superiore a 15.000 euro alla fine del mese che precede la data
della firma dell’Accordo;
d) presentano, alla fine del mese della data di scadenza del programma italiano di
collaborazione volontaria o, se successivo, al 31 dicembre 2015, un saldo di conto
sostanzialmente inferiore al saldo di conto indicato alla lettera c).
Con “sostanzialmente inferiore” si intende minore del 50%.
Un conto sostanzialmente svuotato non rientra nel campo di applicazione delle richieste di
gruppo, se si verifica anche una soltanto tra le due seguenti condizioni:
i. il titolare di conto residente in Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista dalla
Voluntary all’intermediario finanziario di Monaco;
ii. le attività sono state trasferite presso intermediari finanziari situati in Italia o in altro
Paese che attua con l’Italia il Common Reporting Standard dell’OCSE.
Conti inattivi
I “conti inattivi” sono tutti gli altri conti che non sono stati chiusi o sostanzialmente svuotati,
detenuti da un titolare di conto residente in Italia alla data della firma dell’Accordo e mantenuti
alla data dell’attuazione di un accordo sullo scambio automatico di informazioni basato sul
modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard) dell’OCSE tra Monaco e Italia.
Un conto inattivo non rientra nel campo di applicazione delle richieste di gruppo, se:
i. il titolare di conto residente in Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista dalla
Voluntary all’intermediario finanziario di Monaco;
oppure
ii. il titolare di conto residente in Italia ha fornito una risposta positiva, entro la data di
scadenza della Voluntary, alla richiesta dell’intermediario finanziario di Monaco circa la
regolarità delle attività depositate rispetto alla legislazione italiana.
In conclusione, possiamo dire che l’Italia e il Principato di Monaco si sono reciprocamente fatti un
favore:
- da un lato, Monaco ha ottenuto un trattato contro le doppie imposizioni con un Paese
come l’Italia (dove è assicurato un regime fiscale al di sopra di ogni sospetto), così
acquisendo “punti” e “referenze” da far valere ufficialmente in sede OCSE; seppure, in
realtà, trattasi di un accordo che, di fatto, è del tutto inefficace e assolutamente non in
linea col Modello Convenzionale raccomandato;
- dall’altro, attraverso l’escamotage del separato protocollo allegato all’accordo, l’Italia ha
buone chances di far saltar fuori i residenti nazionali, correntisti monegaschi, forzandoli
alla Voluntary, nel caso in cui non fossero riusciti a “ripulire” i propri depositi prima della
firma del trattato.
Ora, appare evidente a tutti che, se le intenzioni fossero state “genuine” e meritevoli, sarebbe
stato sufficiente utilizzare il Modello Convenzionale OCSE, attivare lo scambio di informazioni
automatico e spontaneo, e stabilire l’usuale triennio di retrodatazione per l’entrata in vigore del
trattato.
Per contro, è altrettanto palese che, senza il protocollo aggiunto, la Voluntary, per quanto
concerne gli Italiani con conti bancari a Monaco, sarebbe stata un grossolano flop. Viceversa, i dati
2015 sono stati incoraggianti e lasciano presagire un nuovo discreto fiume di denaro pronto a
scorrere all’interno dei sempre depauperati forzieri statali, non appena si alzerà la diga sulla
Voluntary 2016.
Ergo, via a tutto volume con sirene e fanfare per pubblicizzare la sottoscrizione dell’accordo
“nuovo di zecca” tra l’Italia e il Principato di Monaco: non si sa mai qualcuno ancora non ne fosse
bene al corrente…

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Accordo italia monaco

  • 1. Accordo Italia – Principato di Monaco La nuova Voluntary è in partenza e l’Agenzia delle Entrate pensa bene di ricordarlo a una platea di possibili interessati. Diamo qui uno sguardo all’accordo siglato con uno di quei Paesi da cui, statisticamente, è maggiormente probabile il verificarsi di richieste di rimpatrio dei capitali: il Principato di Monaco. Sarà che la Voluntary 2.0 è ai blocchi di partenza, ma si incomincia a parlare sempre più frequentemente delle regole previste dagli accordi sottoscritti tra l’Italia e quei Paesi in genere scelti quali mete per custodire capitali occultati al Fisco. Uno di questi Stati è sicuramente (quanto meno per le persone fisiche) il Principato di Monaco, il quale ha firmato con l’Italia una convenzione davvero anomala, costituita da un accordo (ben lungi dall’essere in linea con l’OECD Model Tax Convention), e da un separato protocollo che fa riferimento all’accordo principale, tramite cui l’Amministrazione Finanziaria italiana, intende perseguire un obiettivo oltremodo chiaro: incamerare soldi con la Voluntary. Considerato che la sottoscrizione risale all’inizio del 2015, e che (nonostante gli effetti delle Convenzioni di regola vengano retrodati di un triennio) l’entrata in vigore dell’accordo in questione decorra dallo stesso anno 2015 in cui – manco a dirlo – era stata varata la prima Voluntary nazionale, è assai facile comprendere le ragioni e i reali interessi che hanno portato alla stipula di tale trattato prima che il Principato entrasse a far parte dei Paesi virtuosi, con l’adozione del Common Reporting Standard di matrice OCSE. Detti interessi e ragioni stanno certo alla base degli articoli apparsi in questi giorni nella rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, che pubblicizzano nuovamente tale accordo come se fosse stato firmato “ieri”, e non quasi due anni fa. Inevitabile, dunque, pensare che l’odierno varo della Voluntary 2.0 non costituisca una pura coincidenza ma sia strettamente collegato a ciò. Andiamo a conoscere meglio le clausole del trattato qui in esame. Innanzitutto, gli articoli che compongono l’accordo non sono 31 (come quelli del Modello Convenzionale OCSE), ma solo 14. Tra questi, uno dei più importanti è senza dubbio l’art. 5 che riguarda lo scambio di informazioni… su richiesta. L’autorità competente della Parte interpellata provvede a fornire su richiesta le informazioni. Se specificamente richiesto dall’autorità competente della Parte richiedente, l’autorità competente della Parte interpellata fornisce le informazioni nella misura consentita dal proprio diritto interno. L’autorità competente della Parte richiedente fornisce le seguenti informazioni all’autorità competente della Parte interpellata, quando effettua una richiesta di informazioni ai sensi dell’Accordo, per dimostrare che le informazioni sono verosimilmente rilevanti per la richiesta: (a) l’identità della persona sottoposta a verifica o indagine; (b) una dichiarazione relativa alle informazioni richieste che indichi la natura e la forma in cui la Parte richiedente desidera ricevere le informazioni dalla Parte interpellata;
  • 2. (c) la finalità fiscale per la quale si richiedono le informazioni; (d) il periodo per cui si richiedono le informazioni; (e) le ragioni per cui si ritiene che le informazioni richieste siano detenute nella Parte interpellata o siano in possesso o sotto il controllo di una persona nella giurisdizione della Parte interpellata; (f) se conosciuti, il nome e l’indirizzo delle persone che si ritiene siano in possesso delle informazioni richieste; (g) una dichiarazione attestante che la richiesta è conforme alla legislazione e alle prassi amministrative della Parte richiedente, che – qualora le informazioni richieste fossero presenti nella giurisdizione della Parte richiedente – l’autorità competente di quest’ultima potrebbe ottenere dette informazioni ai sensi della propria legislazione o nel corso della propria normale prassi amministrativa, e che la richiesta è conforme al presente Accordo; (h) una dichiarazione attestante che la Parte richiedente ha esaurito tutti i mezzi a disposizione nel proprio territorio per ottenere le informazioni, a eccezione di quelli che comporterebbero eccessive difficoltà. Qualora l’autorità competente della Parte interpellata non sia stata in grado di ottenere e fornire le informazioni entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta, compreso il caso in cui incontri ostacoli nel fornire le informazioni o si rifiuti di fornirle, deve immediatamente informare la Parte richiedente, spiegando le ragioni della propria impossibilità, la natura degli ostacoli o le ragioni del proprio rifiuto. Leggendo tali previsioni risulta a tutti evidente che lo scambio di informazioni sulla base dell’accordo in questione risulterebbe, de facto, inapplicabile nella pratica, o comunque privo di qualsivoglia concreta efficacia. Completamente inutile appare anche il successivo art. 6 – Verifiche fiscali all’estero, che francamente non si comprende quando mai potrebbe essere attuato: Una Parte richiedente può consentire che rappresentanti dell’autorità competente dell’altra Parte Contraente entrino nel territorio della prima Parte per interrogare persone ed esaminare documenti, previo consenso scritto delle persone interessate. Ebbene, quale contribuente si arrischierebbe mai a dare il consenso, indipendentemente dal fatto che l’indagine di base riguardi altri soggetti? L’accordo, inoltre, si affretta a precisare che: L’autorità competente della Parte interpellata può rifiutare di prestare assistenza se la richiesta non è conforme al presente Accordo.
  • 3. Le disposizioni del presente Accordo non impongono a una Parte Contraente l’obbligo di fornire informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale. Le disposizioni del presente Accordo non impongono a una Parte Contraente l’obbligo di ottenere o fornire informazioni che potrebbero rivelare comunicazioni riservate tra un cliente e un procuratore legale, un avvocato o altro rappresentante legale riconosciuto qualora tali comunicazioni siano: - fornite al fine di chiedere o fornire consulenza legale o - fornite per essere utilizzate in procedimenti giudiziari esistenti o previsti. La Parte interpellata può rifiutare una richiesta di informazioni se la divulgazione delle informazioni è contraria all’ordine pubblico. La Parte interpellata può rifiutare una richiesta di informazioni se le informazioni sono richieste dalla Parte richiedente per l’amministrazione o l’applicazione di una disposizione della legislazione tributaria della Parte richiedente, o di qualunque obbligo a essa relativo, che comporti una discriminazione ai danni di un nazionale della Parte interpellata rispetto a un nazionale della Parte richiedente nelle stesse circostanze. L’art. 11 dell’accordo è, poi, dedicato a disciplinare le procedure amichevoli. La previsione è quella che viene tipicamente inserita allorché si abbia interesse a sottoscrivere un trattato con Paesi “black list”. Il governo ci ha abituato a queste previsioni assolutamente prive di efficacia, già in un’altra convenzione (inutile per l’Italia, ma molto conveniente per la Santa Sede), appena sottoscritta con lo Stato del Vaticano; che potremmo definire come paradiso fiscale per antonomasia. La norma è esattamente la stessa, riproposta col copia e incolla: Qualora sorgano difficoltà o dubbi tra le Parti Contraenti circa l’applicazione o l’interpretazione dell’Accordo, le autorità competenti faranno del loro meglio per risolvere la questione di comune accordo. Perché mai l’OCSE, da anni, si affanna a studiare dettagliatamente le MAP, quando sarebbe sufficiente scrivere “le autorità faranno del loro meglio”, come l’Italia ha inserito nelle sue convenzioni con Monaco e con il Vaticano? Altra previsione davvero inusuale – come già detto – quella dell’art. 13 – Entrata in vigore: Alla data dell’entrata in vigore il presente Accordo avrà effetto per tutte le richieste concernenti atti, fatti, eventi e circostanze relativi al periodo che inizia dalla data della firma. Per usare un detto popolare: si chiude la stalla dopo che i buoi (perlomeno quelli più attenti) se la sono già filata. Sottolineiamo, infine, quest’ultima disposizione, la quale d’altronde non fa altro che puntualizzare un principio già estrapolabile in altre precedenti clausole:
  • 4. Il presente Accordo opera sulla base della legislazione interna di ciascuna Parte e in conformità degli obblighi di diritto internazionale applicabili e, per quanto riguarda l’Italia, in conformità degli obblighi derivanti dalla sua appartenenza all’Unione Europea. Anche in questo caso (come già avvenuto pure nella citata convenzione con il Vaticano), viene ribadita la volontà negoziale di inserire un’eccezione con l’unico scopo di invertire la gerarchia delle fonti, stabilendo, eccettuati i vincoli di carattere comunitario (sui quali, evidentemente, il governo italiano non avrebbe alcuna potestà), la prevalenza delle leggi nazionali su quelle convenzionali. Fin qui, il testo dell’accordo. Ma, come già anticipato, l’ambasciatore italiano a Monaco ha firmato un protocollo d’intesa aggiuntivo, composto di due interessanti articoli, che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe contribuire a mettere fieno in cascina, per il tramite della Voluntary. Monaco consente le richieste di gruppo relative ai conti detenuti da un titolare di conto residente in Italia presso intermediari finanziari di Monaco per il periodo intercorrente tra la data della firma dell’Accordo e la data di attuazione di un accordo sullo scambio automatico di informazioni basa- to sul modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard) dell’OCSE tra Monaco e Italia. Fino a quando non saranno attuate in Monaco le procedure di adeguata verifica (due diligence) previste dal modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard), le procedure di adeguata verifica (due diligence) utilizzate per identificare titolari di conto residenti in Italia ai fini delle richieste di gruppo si basano sulla legislazione antiriciclaggio di Monaco e su ogni altra rilevante disposizione di Monaco in vigore alla data in cui è effettuata l’adeguata verifica (due diligence). Le richieste di gruppo si applicano ai titolari di conto residenti in Italia, per i seguenti casi: Conti chiusi I “conti chiusi” sono conti detenuti da titolari di conto residenti in Italia e chiusi tra la data della firma dell’Accordo e la data di attuazione di un accordo sullo scambio automatico di informazioni basato sul modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard) dell’OCSE tra Monaco e Italia, indipendentemente da quando sono stati aperti tali conti. Ciò include i conti chiusi laddove le attività sono trasferite presso qualsiasi altra istituzione finanziaria e/o sono oggetto di prelievi in contanti. Un conto chiuso non rientra nel campo di applicazione delle richieste di gruppo, se si verifica una delle seguenti condizioni: i. il titolare di conto residente in Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista dalla Voluntary all’intermediario finanziario di Monaco; ii. le attività sono state trasferite presso intermediari finanziari situati in Italia o in altro Paese che attua con l’Italia il Common Reporting Standard dell’OCSE. Conti sostanzialmente svuotati
  • 5. I “conti sostanzialmente svuotati” sono conti detenuti presso intermediari finanziari di Monaco da titolari di conto residenti in Italia che soddisfano tutti i seguenti requisiti: a) sono mantenuti alla data della firma dell’Accordo; b) sono ancora in essere alla data di scadenza del programma italiano di collaborazione volontaria; c) presentano un saldo di conto superiore a 15.000 euro alla fine del mese che precede la data della firma dell’Accordo; d) presentano, alla fine del mese della data di scadenza del programma italiano di collaborazione volontaria o, se successivo, al 31 dicembre 2015, un saldo di conto sostanzialmente inferiore al saldo di conto indicato alla lettera c). Con “sostanzialmente inferiore” si intende minore del 50%. Un conto sostanzialmente svuotato non rientra nel campo di applicazione delle richieste di gruppo, se si verifica anche una soltanto tra le due seguenti condizioni: i. il titolare di conto residente in Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista dalla Voluntary all’intermediario finanziario di Monaco; ii. le attività sono state trasferite presso intermediari finanziari situati in Italia o in altro Paese che attua con l’Italia il Common Reporting Standard dell’OCSE. Conti inattivi I “conti inattivi” sono tutti gli altri conti che non sono stati chiusi o sostanzialmente svuotati, detenuti da un titolare di conto residente in Italia alla data della firma dell’Accordo e mantenuti alla data dell’attuazione di un accordo sullo scambio automatico di informazioni basato sul modello comune di comunicazione (Common Reporting Standard) dell’OCSE tra Monaco e Italia. Un conto inattivo non rientra nel campo di applicazione delle richieste di gruppo, se: i. il titolare di conto residente in Italia ha rilasciato l’autorizzazione prevista dalla Voluntary all’intermediario finanziario di Monaco; oppure ii. il titolare di conto residente in Italia ha fornito una risposta positiva, entro la data di scadenza della Voluntary, alla richiesta dell’intermediario finanziario di Monaco circa la regolarità delle attività depositate rispetto alla legislazione italiana. In conclusione, possiamo dire che l’Italia e il Principato di Monaco si sono reciprocamente fatti un favore: - da un lato, Monaco ha ottenuto un trattato contro le doppie imposizioni con un Paese come l’Italia (dove è assicurato un regime fiscale al di sopra di ogni sospetto), così acquisendo “punti” e “referenze” da far valere ufficialmente in sede OCSE; seppure, in realtà, trattasi di un accordo che, di fatto, è del tutto inefficace e assolutamente non in linea col Modello Convenzionale raccomandato;
  • 6. - dall’altro, attraverso l’escamotage del separato protocollo allegato all’accordo, l’Italia ha buone chances di far saltar fuori i residenti nazionali, correntisti monegaschi, forzandoli alla Voluntary, nel caso in cui non fossero riusciti a “ripulire” i propri depositi prima della firma del trattato. Ora, appare evidente a tutti che, se le intenzioni fossero state “genuine” e meritevoli, sarebbe stato sufficiente utilizzare il Modello Convenzionale OCSE, attivare lo scambio di informazioni automatico e spontaneo, e stabilire l’usuale triennio di retrodatazione per l’entrata in vigore del trattato. Per contro, è altrettanto palese che, senza il protocollo aggiunto, la Voluntary, per quanto concerne gli Italiani con conti bancari a Monaco, sarebbe stata un grossolano flop. Viceversa, i dati 2015 sono stati incoraggianti e lasciano presagire un nuovo discreto fiume di denaro pronto a scorrere all’interno dei sempre depauperati forzieri statali, non appena si alzerà la diga sulla Voluntary 2016. Ergo, via a tutto volume con sirene e fanfare per pubblicizzare la sottoscrizione dell’accordo “nuovo di zecca” tra l’Italia e il Principato di Monaco: non si sa mai qualcuno ancora non ne fosse bene al corrente…