20070809 il ruolo del capo intermedio nella realtà complessa
1. Il ruolo del capo intermedio nella realtà complessa
ing. Raffaele Perrotta - www.vertical.it
L’interesse verso la figura ed il ruolo del capo intermedio si è notevolmente rafforzato
rispetto al passato recente a causa dell’emergere di una nuova coscienza del valore del
capitale umano. Il fattore che ha determinato la nuova sensibilità è l’avvento della
“società della conoscenza”, che ha sancito la preminenza della “conoscenza” come
fattore chiave dello sviluppo rispetto al “capitale” ed alle “risorse materiali”. Si è
compreso che il capitale umano, portatore della conoscenza, fornisce all’organizzazione
“la capacità di interpretare sistematicamente e con continuità i segnali più o meno
deboli che provengono dall’interno e dall’esterno dell’organizzazione, di intuire gli
scenari futuri ed adattarsi alle nuove esigenze mediante la formulazione di nuove idee,
prodotti, servizi e strutture organizzative”1. Esso dunque consente di battere la
concorrenza sul tempo, a parità di risorse finanziarie e materiali impegnate, e
determinare il successo economico di lunga durata. In questo scenario, da molti
definito “complesso”, il ruolo dei capi intermedi assume una nuova rilevanza ed un
nuovo senso.
Definizione
Una definizione, più volte ripresa di recente nella stampa specializzata, afferma che
con la dizione di “capo intermedio ci riferiamo indistintamente a quell’ampia galassia
umana che si sviluppa nelle strutture organizzative tra il livello del top management e
quello esecutivo degli impiegati, degli specialisti, dei venditori, dei tecnici di
produzione/operai” 2. La definizione coglie perfettamente il carattere indistinto di
questa figura, spesso detta anche quadro, capo di secondo livello, “middle manager” o
altro, dal punto di vista delle specifiche conoscenze ed abilità tecniche e la riporta
correttamente alle caratteristiche organizzative della posizione. In questo senso però
può essere fuorviante riferirsi alla “galassia umana”, alle persone, che ricoprono questo
ruolo, essendo molto diverso lo studio delle caratteristiche della posizione da quello
delle problematiche delle persone che la ricoprono. Nella nostra analisi, quindi,
trascureremo in prima istanza tali problematiche di natura squisitamente umana per
studiare invece le caratteristiche del ruolo con i metodi del Comportamento
1
R. Perrotta, Risorse umane e complessità, Qualità n° 2/2007
2
da Iacci e Varchetta, Il ritorno dei capi, Guerini e associati, 2005
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2. Organizzativo (Organizational Behavior). Non ci riferiremo, quindi, all’“ampia galassia
umana”, ma all’“ampia galassia di posizioni organizzative”.
L’approccio metodologico del Comportamento Organizzativo
Il Comportamento Organizzativo (Organizational Behavior) è la branca
dell’Organizzazione aziendale, che studia la gestione delle risorse umane e cerca di
capire e modellare i molteplici fattori che entrano in gioco quando le persone
interagiscono nelle organizzazioni. È una scienza multidisciplinare che si avvale dei
contributi e dei metodi dell’ingegneria gestionale, dell’economia, della sociologia, della
scienza politica, dell’antropologia e della psicologia, con particolare riferimento alla
psicologia del lavoro, detta anche psicologia industriale e dell’organizzazione.
L’approccio metodologico tipico di questa scienza è basata sullo studio delle 3 P:
Posizione, Prestazione e Potenziale.
Per posizione organizzativa si intende qualsiasi ruolo, caratterizzato da un certo
insieme di competenze ed obiettivi, che debba essere svolto per realizzare le strategie
generali dell’organizzazione in base ad un piano di ripartizione delle responsabilità e
delle attività, generalmente descritto sotto forma di grafo in un organigramma. Ogni
posizione è indicata come una casella (o nodo) dell’organigramma. L’analisi della
posizione viene svolta indipendentemente dal soggetto che la ricopre in quanto
risponde a criteri puramente organizzativi, funzionali agli obiettivi da perseguire.
I concetti di prestazione e potenziale si applicano invece ai soggetti che ricoprono le
posizioni. Si dirà che la prestazione di un soggetto sarà stata di successo se al termine
del periodo di valutazione avrà raggiunto o superato gli obiettivi ed avrà manifestato
livelli di esperienza nelle competenze adeguati o superiori a quelli richiesti dalla
posizione. Analogamente si dirà che un soggetto ha il potenziale adeguato a ricoprire
un ruolo diverso da quello attuale, con un’ottica rivolta al futuro, se il livello di
esperienza maturato nelle sue competenze sarà adeguato o superiore a quello richiesto
dalla nuova posizione.
In generale l’analisi della posizione precede la selezione delle risorse umane che le
andranno a ricoprire, ma a volte si può procedere anche a ritroso, soprattutto quando
si abbia a che fare con risorse ad “alto potenziale”. Non è raro, allora, che si arrivi a
“inventare” nuove posizioni, ritagliate appositamente sui grandi talenti e studiate per
sfruttare appieno le loro competenze. In ogni caso i grandi talenti consentono una
grande flessibilità nella pianificazione strategica offrendo scarsi limiti alla definizione
delle posizioni organizzative.
La posizione di capo intermedio nella realtà complessa
Tra i vari fattori che più hanno inciso sul cambiamento della posizione di capo
intermedio il più importante è stato l’apertura del sistema azienda, determinata dalla
necessità di adattare continuamente l’organizzazione alle spinte evolutive del contesto
esterno a causa delle forti perturbazioni dovute alla comparsa improvvisa di nuovi
prodotti, servizi, tecnologie e concorrenti. La teoria che descrive meglio il
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3. comportamento di questi sistemi ampiamente squilibrati è la teoria della complessità3.
“Da questo punto di vista, la struttura organizzativa viene concepita come un “sistema
complesso adattativo”, cioè come un insieme di parti che interagiscono tra loro e con
l’ambiente esterno in modo da adattarsi continuamente a situazioni diverse o nuove e
continuare a funzionare correttamente ed a conseguire il proprio scopo. Le parti
dell’insieme sono le singole persone che operano nella struttura, mentre le interazioni
sono le relazioni di lavoro che si intrattengono tra capi e subordinati, tra colleghi
oppure con clienti, fornitori e utenti attraverso contatti personali o istituzionali. In
questa concezione le relazioni non sono solo i rapporti umani che si instaurano tra le
persone che vengono a contatto per lavoro, ma sono le azioni che le parti del sistema si
scambiano per operare e le retroazioni (feedback) mediante cui la valutazione del
risultato di un’azione corregge l’intensità o la modalità con cui l’azione viene eseguita.
Il buon funzionamento dell’organizzazione e la sua capacità di adattamento
all’ambiente esterno è dunque strettamente collegato al buon funzionamento delle
relazioni di lavoro”4. Le competenze relazionali e cognitive assumono quindi un ruolo
determinante, mentre quelle realizzative perdono in parte il loro peso a fronte sia della
progressiva sostituzione della forza lavoro con la tecnologia e l’informatica che della
maggiore capacità tecnica dei collaboratori, dotati in genere di una formazione più
approfondita e aggiornata che in passato.
Le competenze
Sul piano cognitivo il capo intermedio deve allora essere dotato di creatività e capacità
di risoluzione dei problemi, generando nuove chiavi interpretative per individuare il
maggior numero di opportunità e di soluzioni per il miglioramento delle prestazioni ed
il raggiungimento degli obiettivi.
Inoltre deve avere la capacità di sviluppare costantemente la propria professionalità e
quella dei propri collaboratori, anche grazie ad una continua diffusione e
valorizzazione di informazioni, conoscenze, buone prassi e innovazioni, a vantaggio
della propria area e di tutta l’organizzazione, fino a vere e proprie attività di
“coaching”, di allenamento dei collaboratori a superare le sfide del lavoro.
Sul piano relazionale invece la sua funzione principale sarà di interagire con i propri
collaboratori e la dirigenza dando e ricevendo “feedback” e chiudendo quindi il
circuito delle reti comunicative formali ed informali tra i vari componenti
dell’organizzazione. Da questo punto di vista dovrà avere la capacità di comunicare,
coinvolgere e convincere motivando gli altri in modo da ottenere sostegno e
collaborazione. Dovrà quindi ascoltare e farsi capire; costruire relazioni empatiche con
i propri interlocutori; confrontarsi e stimolare la discussione, soprattutto per dirimere
eventuali situazioni conflittuali o negoziali.
3
Progetto "CREATE - Creative Processes for Enterprise Innovation" - http://www.diegm.uniud.it/create/
4
R. Perrotta, Risorse umane e complessità, Qualità n° 2/2007
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4. Il capo intermedio dovrà inoltre avere un notevole orientamento alla qualità e
possedere un atteggiamento di disponibilità, apertura e cortesia che presuppone la
capacità di immedesimarsi negli altri. Ciò richiede di abbandonare una concezione
individualista del lavoro, in cui ciascuno è chiuso a svolgere le proprie mansioni e a
misurarsi solo con se stesso, per approdare ad un'ottica di servizio in cui la bontà
dell'operato si misura con la soddisfazione del cliente (sia interno che esterno).
Infine il capo intermedio dovrà essere flessibile e avere la capacità di comprendere e
adattare il proprio approccio per assecondare l’evoluzione della propria organizzazione
o del proprio ruolo. Questo implica necessariamente un atteggiamento di disponibilità
al cambiamento, contraddistinta dall'ascolto dell'altro, dalla comprensione delle
diverse esigenze degli interlocutori e dall'apertura e disponibilità a modificare le
proprie opinioni senza pregiudizi.
Sul piano realizzativo prevalgono competenze quali l’iniziativa, la capacità di delega e la
tensione al risultato piuttosto che le conoscenze e le abilità puramente tecniche.
L’iniziativa è la capacità di agire concretamente ed in modo ordinato per superare i
problemi o rispondere a situazioni critiche che ostacolano il raggiungimento degli
obiettivi. Si intende, dunque, non solo la capacità di reagire in modo efficace alle
emergenze, ma anche la capacità di agire in modo proattivo, in anticipo rispetto alla
manifestazione dei problemi. La capacità di delega è invece la capacità di dare
autonomia ai propri collaboratori secondo le loro competenze; comporta i vantaggi di
dedicare la propria attenzione solo alle decisioni più rilevanti, di reagire agli stimoli
dell’ambiente esterno in modo più tempestivo, considerando in modo opportuno gli
aspetti operativi delle decisioni, e di motivare il personale. La tensione al risultato è
invece la capacità di orientare con tenacia e sistematicità il proprio impegno al
raggiungimento degli obiettivi mediante continui adattamenti tattici, ottimizzazione di
risorse e risultati con azioni comunque aderenti al quadro procedurale di riferimento.
Le responsabilità
Le competenze che abbiamo delineato per il capo intermedio sono i fattori che,
assieme agli obiettivi misurabili, caratteristici del suo centro di costo o di ricavo,
consentono ai dirigenti si valutarne le prestazioni. A sua volta egli ha la responsabilità
di valutare i suoi collaboratori sulla base delle competenze e degli obiettivi loro
assegnati. A questo scopo il suo ruolo nel processo di valutazione è determinante e
degno di essere sempre più valorizzato.
Nella fase di impostazione del programma di valutazione delle prestazioni egli ha la
responsabilità di partecipare alla mappatura delle competenze dei suoi collaboratori,
assieme alla dirigenza ed ai migliori specialisti, che conoscono le varie professionalità.
Nella fase iniziale di ogni periodo, invece, ha la responsabilità di partecipare alla
definizione del budget, essendo il più qualificato a garantire che gli obiettivi
individuali siano specifici e realistici, direttamente correlati al particolare lavoro di
ognuno. Quindi spetta a lui concordare gli obiettivi personali con i suoi collaboratori,
perseguendo in questa fase anche lo scopo fondamentale di condividere e comunicare
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5. le strategie ed i valori generali dell’organizzazione. Successivamente, egli ha la
responsabilità di rilevare i fatti principali (positivi e negativi) che concorrono a valutare
il loro comportamento e dare un “feedback” tempestivo per consentirgli di conseguire
i propri obiettivi in tempo utile. Infine è responsabile della valutazione finale, basata
sui fatti rilevati, alla quale potranno essere correlati sia eventuali premi o incentivi, che
azioni formative o sviluppi di carriera.
Il dramma dell’inadeguatezza delle competenze e degli obiettivi
Ogni volta che in sede di valutazione delle prestazioni si rilevino dei “gap”, degli
scostamenti tra le competenze e gli obiettivi del soggetto e quelli della posizione
nascono le problematiche tipiche dello sviluppo delle risorse umane.
Nell’ipotesi che il sistema di gestione sia impostato correttamente, si può affermare in
generale che, nel caso di “gap” negativi, il primo provvedimento da adottare è di
pianificare interventi formativi che permettano al soggetto di compensare le carenze
nelle conoscenze o nelle competenze e migliorare le proprie prestazioni.
Questo provvedimento è utile anche quando la valutazione sia fatta sul potenziale in
previsione di nuove posizioni: è normale integrare le competenze dei nuovi candidati
attraverso corsi di formazione finalizzati a questo scopo.
Nel caso di “gap” positivi, invece, sarà possibile gratificare il soggetto per le sue
prestazioni di successo e prospettargli eventuali nuove posizioni di maggiore
responsabilità.
Purtroppo però il sistema può presentare diverse criticità che possono comportare
anche conseguenze drammatiche. È chiaro infatti che una analisi scorretta della
posizione del capo, che richieda competenze inutili o assegni obiettivi irrealistici,
contradditori, irraggiungibili, determini a priori l’impossibilità di ottenere prestazioni
di successo. Questa situazione può addirittura presupporre che non ci sia una chiara
definizione della visione e della missione strategica e che non esista un insieme di
valori condiviso tra i vari livelli dell’organizzazione. È probabile allora che
l’inadeguatezza e l’indeterminatezza della politica dell’alta direzione si rifletta in senso
negativo anche sui capi intermedi, che si troveranno a vivere in una situazione
“feudale” di conflittualità permanente con la dirigenza, i colleghi, i collaboratori.
Un’altra fonte di inefficacia ed insoddisfazione è legata al mancato riconoscimento del
“potere” del capo, cioè dell’“acquisizione e controllo dei mezzi necessari5” ad esercitare
le sue competenze. È ormai opinione largamente condivisa che il successo nel ruolo
non sia legato solo alle qualità intrinseche del soggetto, ma dipenda anche dal contesto
in cui il soggetto opera ed in particolare dai mezzi e dall’autorità che l’organizzazione
gli mette a disposizione per svolgere il proprio compito in modo efficace. Non bisogna
sottovalutare inoltre la difficoltà con cui il capo intermedio ha a che fare nei confronti
dei collaboratori, che spesso adottano meccanismi di difesa che ostacolano
5
Un linguaggio comune per le competenze, documento AgenQuadri CGIL – AIDP – APQ CISL – CIQ UIL -
Federmanagement
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6. l’interazione oppure sfruttano relazioni personali extra-lavorative o situazioni di
competizione tra direzioni, reparti o colleghi per giustificare eventuali loro
manchevolezze o per ottenere favori nella valutazione delle prestazioni. In queste
situazioni è fondamentale la coerenza e l’equità con cui i “leader” dell’organizzazione
contrastano questi comportamenti e riconducono i collaboratori a focalizzarsi solo sui
valori e gli obiettivi rilevanti con l’ausilio del sistema di valutazione delle prestazioni e
del potenziale.
Il dramma di molti capi intermedi di età avanzata è scoppiato invece quando la
globalizzazione ha cominciato a manifestare i suoi effetti. Spesso il modello delle
competenze richieste dalla posizione è cambiato drasticamente ed improvvisamente a
causa di riorganizzazioni o ristrutturazioni profonde. Molte vecchie competenze, in cui
il capo aveva maturato una lunga ed approfondita esperienza, sono diventate
assolutamente irrilevanti, mentre hanno acquistato importanza nuove competenze
quasi impossibili da sviluppare ex novo in tempi brevi attraverso semplici interventi
formativi. Il “gap” è diventato incolmabile e l’unico provvedimento, che le
organizzazioni spesso hanno adottato cinicamente, è stato di accantonare o rimuovere
il soggetto dalla posizione, eliminarla o ricoprirla con altri soggetti più adeguati. Sono
nate allora problematiche di natura umana, sociale e politica che hanno segnato e
segnano profondamente le relazioni tra le generazioni e le parti sociali in modo
drammatico.
Conclusione
Il ruolo del capo intermedio torna dunque ad essere determinante in tutte le
organizzazioni che operino in contesti complessi, fortemente evolutivi. In queste
organizzazioni non sussistono in genere i presupposti per adottare strutture snelle o
procedure normate in modo rigido, ma occorre favorire da un lato la reattività e
l’adattamento tattico alle diverse situazioni emergenti e dall’altro la comunicazione
continua e pervasiva della visione e della missione per assicurare il perseguimento degli
obiettivi strategici a tutti i livelli dell’organizzazione.
Occorre evitare però che si manifestino i casi critici prima esaminati. In queste
situazioni infatti non solo diventa estremamente sgradevole e demotivante operare per
i capi intermedi, ma tutta l’organizzazione viene aggredita da un cancro che la rende
sempre più incoerente e sconnessa, incapace di adattarsi all’ambiente esterno ed
evolvere positivamente nel lungo periodo.
6/6