1. News 28/SA/2016
Lunedì, 11 luglio 2016
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.28 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 65 ( 5 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
L’elenco dei lotti respinti alla frontiera comprende i seguenti casi: deossinivalenolo
(DON) (3.138 mg / kg - ppm) nel frumento tenero dagli Stati Uniti notificato dall’Italia;
cattivo stato igienico e assenza di bollatura sanitaria sul tonno sventrato decapitato
raffreddato dallo Sri Lanka notificato dall’Italia;
Allerta notificata dall’Italia per: mercurio nel pesce spada scongelato (Xiphias
gladius ) proveniente dalla Spagna.
Nella lista delle informative notificata dall’Italia troviamo: Listeria monocytogenes in
filetti di salmone affumicato refrigerato norvegese proveniente dalla Lituania; troppo
alto contenuto di solfiti (350 mg/kg - ppm) in code congelate di aragosta cruda
spinosa (Panulirus Argus) proveniente dal Brasile.
Fonte: rasff.eu
Glifosato: in extremis, la Commissione UE prolunga l’autorizzazione per 18 mesi.
Polemica con gli Stati Europei, che non hanno voluto assumersi la responsabilità
della decisione.
Sul filo di lana, la Commissione europea ha rinnovato l’autorizzazione per il glifosato,
l’erbicida più utilizzato nel mondo, la cui precedente autorizzazione scadeva il 30
giugno. Sul glifosato è in corso da oltre un anno una disputa scientifica sul livello di
cancerogenicità tra l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc)
dell’Organizzazione mondiale della sanità e l’Autorità europea per la sicurezza
alimentare (Efsa). La decisione della Commissione Ue è venuta dopo un lungo
braccio di ferro con gli Stati membri, a cui l’esecutivo di Bruxelles rimprovera di non
aver voluto assumersi le proprie responsabilità, scaricando sulla Commissione il
compito di decidere.
La Commissione Ue ha ri-approvato il glifosato per diciotto mesi, sino alla fine del
2. 2017, in attesa di un parere sulla sicurezza da parte dell’Agenzia europea delle
sostanze chimiche (ECHA), anche se i singoli Stati potranno decidere divieti o
restrizioni alla commercializzazione e all’uso dei prodotti che lo contengono.
La decisione della Commissione Ue contiene tre raccomandazioni agli Stati membri:
1) vietare i prodotti a base di glifosato che hanno come coformulante le tallow
amine (ammina di sego). In Francia, il 20 giugno, l’Agenzia nazionale per la sicurezza
sanitaria dell’alimentazione, dell’ambiente e del lavoro (Anses) ha già ritirato
l’autorizzazione per 132 prodotti contenenti questo coformulante;
2) ridurre al minimo l’uso della sostanza nei parchi e giardini pubblici, e nei campi da
gioco;
3) ridurre al minimo l’uso del glifosato prima della raccolta in campo.
Inizialmente, la Commissione Ue aveva proposto una proroga standard di quindici
anni, ma di fronte alla contrarietà di molti paesi si è giunti a un compromesso di 9
anni che però non è passato. Alla fine si è scesi a diciotto mesi, senza però riuscire a
raggiungere la maggioranza qualificata (venti paesi si sono dichiarati a favore,
Francia e Malta hanno votato contro, mentre si sono astenuti Germania, Italia,
Portogallo, Austria, Lussemburgo, Bulgaria e Grecia).
La controversia scientifica è iniziata nel marzo 2015, quando lo Iarc ha classificato
l’erbicida come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, aggiungendo che ci
sono “forti” evidenze che indicano una sua genotossicità, sia per il glifosato puro sia
per le formulazioni con altre sostanze. Pochi mesi dopo, in novembre, l’Efsa ha
espresso una valutazione opposta, affermando che “è improbabile che il glifosato
sia genotossico (cioè che danneggi il DNA) o che rappresenti una minaccia di
cancro per l’uomo”.
Il contrasto tra le due Agenzie ha assunto toni aspri, tanto che, nel marzo di
quest’anno, lo Iarc ha pubblicato un documento con le risposte alle domande più
frequenti sulle motivazioni che hanno portato alla decisione di classificare il glifosato
come “probabilmente cancerogeno”. Il 16 maggio, il Joint Meeting on Pesticides
Residues (JMPR) – un panel di esperti interni all’Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) e alla Fao – ha dichiarato che “è improbabile che l’esposizione al glifosato
tramite la dieta ponga un rischio cancerogeno per l’uomo”. Ora, la Commissione Ue
vuole anche il parere dell’ECHA. (Articolo di Beniamino Bonardi)
Fonte: ilfattoalimentare.it
3. Olio di oliva, arriva il decreto “sanzioni”
Finalmente è realtà -in gazzetta ufficiale n. 139 del 16 giugno 2016 è
stato pubblicato il decreto legislativo 103/2016, in vigore dal 1 luglio 2016,
"disposizioni sanzionatorie per la violazione del Regolamento (UE) n. 29/2012 relativo
alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva e del regolamento (CEE) n.
2568/91 relativo alle caratteristiche degli oli di oliva e degli oli di sansa d'oliva,
nonché ai metodi ad essi attinenti".
Il decreto contiene una serie di misure per meglio tutelare i consumatori e produttori,
con sanzioni specifiche per il fenomeno dell'abuso dell'indicazione dell'origine. Per la
prima volta sarà sanzionabile quindi l'evocazione di un'origine dell'olio diversa da
quella reale (ad esempio tramite bandiere, immagini, simboli).
Per fare il caso italiano (la norma riguarda in astratto l’evocazione di un qualsiasi
Paese), si pensi ad esempio, ad un olio d’oliva E.V. che in etichetta riporta
correttamente la dizione dell’origine "Miscela di oli di oliva originari dell’Unione
europea e non originari dell’Unione", ma che presenta sulla bottiglia o nel
packaging "segni, figure o illustrazioni che possono evocare" un’origine italiana
(tricolore, nomi o aggettivi di italianità, immagini tipiche italiane ecc..).
Ma sono tante le fattispecie sanzionate.Tra cui anche quella relativa alla scorretta
gestione dei registri di tenuta dell'olio, la presenza di imballaggi non conformi alle
gamme unitarie previste dalla normativa (che possono essere di massimo 5 litri per il
consumatore finale), il vendere come olio extravergine olio di qualità inferiore (con
sanzioni da 2.500 a euro 15.000 euro).
Il decreto va letto in sinossi con la circolare applicativa dell'Istituto Centrale per la
Qualità e la Repressione Frodi (ICQRF), che prevede come le sanzioni amministrative
vadano a integrare i reati propriamente detti (clausola cd di salvezza).
Rimane comunque in vigore l'istituto della "diffida", che prevede la sanabilità- entro
20 giorni dalla contestazione delle autorità di controllo- in caso di violazioni sanabili e
che non costituiscano a loro volta un reato.
Fonte: sicurezzaalimentare.it
Olio extravergine: sparisce la scadenza! La nuova bufala dei giornali. In realtà la
nuova norma valorizza il made in Italy e informa il consumatore.
“Olio extravergine sparisce la data di scadenza, così le aziende potranno vendere
4. l’olio vecchio”. È questo il tono degli articoli apparsi su giornali e siti online, per
commentare la norma approvata dal parlamento italiano che modifica gli articoli 1
e 7 della legge “Salva olio” e recepisce la legge europea 2015/16. Come spesso
capita quando si parla di alimenti, le notizie sono imprecise, confuse e destinate a
creare allarmismo. La realtà è leggermente diversa da quella descritta anche da
autorevoli quotidiani.
L’accusa più grave dei media è aver approvato una norma che toglie il limite
massimo dei 18 mesi da riportare in etichetta come termine minimo di
conservazione (TMC) da molti indicata erroneamente come data di scadenza. In
questo modo – scrivono i giornali – le aziende potranno riportare qualsiasi data e
vendere senza problemi olio vecchio delle precedenti annate. «La possibilità –
precisa Alberto Grimelli direttore di Teatronaturale.it – esiste ma è solamente teorica.
Miscelare olio nuovo con quello dell’anno precedente era ed è ed una prassi
normale, che si continuerà a fare soprattutto da parte dei grandi marchi. C’è di più:
fino ad ora il limite dei 18 mesi indicato dalla legge, veniva calcolato a partire dal
momento dell’imbottigliamento e non dalla raccolta delle olive. Già oggi, quindi, è
difficile essere certi di comprare una bottiglia riempita con olio di una sola annata».
Un esempio chiarisce meglio la situazione. Secondo la legge attuale una bottiglia
confezionata nel giugno 2016 con olive raccolte nel mese di ottobre 2015, può
indicare sull’etichetta come termine minimo di conservazione il 30 dicembre 2018,
totalizzando un intervallo di vita complessivo di oltre due anni! Il limite dei 18 mesi
comunque ha poco senso, perché l’olio con il passare dei mesi decade, perdendo
sapore, odore… e nel corso di un controllo il decadimento organolettico potrebbe
causare la declassificazione da extravergine a vergine, con il rischio di una
denuncia per frode in commercio. «Infatti – aggiunge Grimelli – la Commissione
europea sbaglia quando dice che “ritiene indimostrata una correlazione diretta tra
la qualità dell’olio e la durata di conservazione”».
A questo punto la leggenda sbandierata dai giornali sulle aziende che potranno
vendere olio vecchio è uno specchietto per allodole, perché per l’olio extravergine
ottenuto miscelando materia prima italiana, spagnola, greca, tunisina o di altra
provenienza non cambierà praticamente nulla. Più probabilmente alcuni produttori
indicheranno sei mesi per una partita con pochi antiossidanti, ricavata
miscelando lotti dell’annata precedente. Altri invece indicheranno un termine
minimo di conservazione di 18 mesi per un lotto con elevato contenuto di
antiossidanti in grado di conservarsi a lungo (1).
La vera novità della legge ignorata da quasi tutti i media, è la possibilità per il
5. consumatore di comprare olio 100% italiano scegliendo quello “fresco” d’annata. La
norma – che dovrebbe entrare in vigore tra settembre e ottobre 2016 – obbliga i
produttori a indicare sull’etichetta l’anno di raccolta solo quando la bottiglia
contiene olio 100% italiano della stessa annata. Se invece si usa olio 100% italiano
ma proveniente da annate differenti, il produttore non potrà indicare l’anno (2).
«Questo aspetto è molto importante – continua Grimelli – perché leggendo con
attenzione le diciture si potrà scegliere l’olio italiano nuovo e fresco che di solito è
quello migliore. Si tratta di un passo avanti notevole perché i piccoli produttori
possono evidenziare in etichetta l’olio fresco e risultano avvantaggiati. Per i grandi
marchi sarà più difficile fare la stessa cosa, anche se nulla vieta di realizzare linee di
prodotto pregiate”. (Articolo di Roberto La Pira)
(1) La legge europea dà ai produttori la possibilità di fissare il termine minimo di conservazione
valutando le caratteristiche chimico-fisiche, il sistema di conservazione, il tipo di imballaggio, il tipo di
distribuzione, le modalità di conservazione… Sulla base di questi elementi ogni azienda stabilisce un
intervallo di validità (TMC) personalizzato. Per l’olio extravergine c’è chi fissa 6, 12, 14 o 18 mesi in
relazione alle caratteristiche chimico-fisiche, ala quantità di antiossidanti, al colore della bottiglia, al
tipo di distribuzione, all’anno di raccolta… Ci sarà chi indica 6 mesi a un olio delicato e poco stabile e
chi arriva a 18 per un olio extravergine di ottima qualità.
(2) Ecco cosa dice il testo di legge. “Il termine minimo di conservazione, di cui al comma 1, è indicato
da parte del produttore o del confezionatore sotto la propria responsabilità. La relativa dicitura va
preceduta dall’indicazione della campagna di raccolta, qualora il 100 per cento degli oli provenga
da tale raccolta. La previsione dell’indicazione della campagna di raccolta non si applica agli oli di
oliva vergini prodotti ovvero commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea o in
Turchia né ai prodotti fabbricati in uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio
(EFTA), aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE).”
Fonte: ilfattoalimentare.it
Nel 2015 per la prima volta le coltivazioni OGM sono diminuite. Quasi l’85%
concentrato in 4 paesi delle Americhe.
Da quando nel 1996 sono arrivati sul mercato i semi geneticamente modificati, le
coltivazioni Ogm hanno registrato per dodici anni una crescita con incrementi a
doppia cifra. Lo scorso anno il settore del transgenico ha mostrato una flessione e
per la prima volta si è rilevata una diminuzione dell’1% (le superfici agricole sono
scese da 181,5 milioni di ettari a 179,7 milioni). Il dato è stato fornito dal rapporto
6. annuale pubblicato dall’International Service for Acquisition of Agri-biotech
Applications (ISAAA), che sostiene la diffusione delle biotecnologie. Il calo e
attribuito alla riduzione complessiva delle superfici agricole coltivate nel 2015,
associata alla congiuntura di prezzi bassi e alla forte siccità che ha colpito il Sud
Africa.
Andando a vedere nel dettaglio i numeri, si nota che nel 2015 le maggiori riduzioni si
sono registrate negli Stati Uniti (-2,2 milioni di ettari) e in Brasile (-2 milioni) con un calo
del 3% e nell’Unione europea, dove le coltivazioni Ogm sono però poco diffuse, del
18%.
A distanza di vent’anni dall’esordio il 99% delle coltivazioni riguarda sempre le stesse
specie: soia (51%), mais (30%), cotone (13%)e colza (5%). I paesi che coltivano Ogm
sono 28, ma in realtà l’85% del territorio si trova negli Stati Uniti con 70,9 milioni di
ettari, in Brasile con 44,2, in Argentina con 24,5 e in Canada con 11. (Articolo di
Beniamino Bonardi).
Fonte: ilfattoalimentare.it
Pasta a confronto: Altroconsumo valuta 24 prodotti. Micotossine, cottura e gusto
analizzati in dettaglio.
Chi dice pasta dice Italia, quasi in automatico: ma siamo certi di scegliere il
prodotto migliore per gusto e caratteristiche? Altroconsumo ha confrontato alcuni
marchi famosi e altri meno noti oltre a quella con i marchio dalle catene di
supermercati, per capire a chi assegnare il podio. L’analisi ha preso in
considerazione 24 confezioni di pasta secca (penne rigate) provenienti sia dalla
GDO sia dalle catene di discount tutte ottenute con semola di grano duro. I prodotti
sono stati valutati da un laboratorio per quanto attiene le analisi chimiche e
microbiologiche e poi è stata fatta l’analisi sensoriale da uno chef e da un panel di
consumatori.
Il test ha valutato il gusto, la quantità di proteine, la tenuta, la corrispondenza tra
tempo di cottura indicato in etichetta e la presenza di micotossine. Per quanto
riguarda il gusto non ci sono state grosse sorprese: quasi tutti i prodotti hanno
ottenuto delle valutazioni buone o positive. Punteggio basso dei consumatori solo
per la pasta Eurospin e Il gusto del grano Libera Terra. Lo chef ha assegnato solo 3
stelle a Granoro, Libera Terra, Pasta Reggia e Combino di Lidl. La quantità di
proteine che rappresenta un indice di qualità premia Voiello con il 14,3% mentre
7. vede in ultima posizione Giusto Grano (10,5%). La prova in cottura ha messo in luce
una criticità: lo chef ha lasciato cuocere la pasta per il tempo indicato in etichetta e
ha rilevato che De Cecco, Granoro e Pasta Reggia erano ancora un po’ troppo al
dente; mentre le penne Rummo e il Giusto Gusto risultavano scotte.
Le micotossine hanno dato ulteriori spunti di riflessione anche se le due più
pericolose: l’ocratossina A e alcune aflatossine erano assenti in tutti i campioni. Il
deossinivaleonolo (DON) è invece presente in più della metà dei prodotti, anche se
con valori al di sotto dei limiti di legge (750 microgrammi/kg). Il DON è assente nei
marchi: De Cecco, Voiello, Esselunga Bio, Alce Nero, Coop, Combino (Lidl),
Carrefour Bio e Il Gusto del Grano. Conad ne ha in quantità minime, mentre tutte le
altre ne hanno una quantità abbastanza elevata. Le penne Esselunga nella versione
non Bio sfiorano il limite di legge e per questo Altroconsumo ne sconsiglia l’uso per i
bambini fino a 9 anni. Abbiamo chiesto a Esselunga di commentare il risultato senza
molta fortuna. Qui sotto la classifica con i cinque prodotti che hanno meritato il
miglior giudizio nel test.
Fonte: ilfattoalimentare.it
Olio di palma, la lista dei biscotti “senza”. Ecco le 280 segnalazioni dei prodotti che
contengono solo burro, olio di girasole, mais, oliva, ecc.
Continuano ad arrivare in redazione le segnalazioni dei lettori che ci indicano
marchi e nomi di biscotti, merendine e snack salati che non contengono olio di
palma. Abbiamo raccolto tutti questi dati in tre tabelle; in questo articolo si può
consultare quella dei biscotti, che ormai ha superato i 220 prodotti. Si tratta di un
elenco non proprio banale, visto che nei supermercati oltre il 90% dei biscotti e dei
prodotti da forno esposti sugli scaffali contiene questo grasso vegetale di cui gran
parte dei consumatori ne ignora persino l’esistenza.
Per l’elenco delle merendine visualizzare questo articolo: “Olio di palma, la lista delle
merendine “senza”. Le prime 65 segnalazioni dei prodotti che contengono solo
burro, olio di girasole, di oliva, ecc…”
8. Per l’elenco degli snack salati visualizzare questo articolo: “Olio di palma: la lista dei
155 grissini, dei cracker e degli snack che non lo contengono. Segnalateci altri
prodotti!”
Per l’elenco delle creme spalmabili alla nocciola e cacao visualizzare questo
articolo: “Gli italiani amano la Nutella un prodotto con troppo zucchero, poche
nocciole e troppo olio di palma. L’elenco di altre 60 creme preparate solo con
ingredienti di qualità”.
L’ingrediente è ormai onnipresente e ha invaso il ricettario nazionale dei prodotti
alimentari industriali. Il Fatto Alimentare ha dedicato diversi articoli all’argomento
interrogandosi sull’effetto che ha l’impiego generalizzato dell’olio di palma in quasi
tutte le merendine, i biscotti e altri alimenti confezionati (e non solo).
Il paese dell’olio extravergine di oliva e del burro si rivela essere in realtà un grande
utilizzatore di olio di palma impiegato da quasi tutte le aziende del settore a dispetto
di materie grasse di maggior pregio.
Invitiamo i lettori a mandarci nuove segnalazioni di prodotti senza olio di palma, che
utilizzano burro, olio di girasole o di mais per completare la lista e per valorizzare i
marchi che fanno scelte di qualità.
Firma anche tu la petizione: “Stop all’invasione dell’olio di palma” pubblicata su
Change.org. (Estratto dall’articolo di Valeria Nardi)
Fonte: ilfattoalimentare.it
Temperature di trasporto, quanto impiegano batteri della composizione a degradare
le carni?
Efsa ha valutato le due culture batteriche indesiderate ma non patogene più diffuse
(pseudomonas come coltura aerobica e batteri lattici come coltura anaerobica-
per valutare la conservazione sottovuoto-) a diverse temperature rispetto a quelle
previste (+7° C Max come da Reg. 853/2004 della Commissione), comprese tra 1 e
10 °C per manzo e agnello, e 5 e 10°C per maiale.
I batteri indesiderati sono in grado di compromettere aspetti organolettici e visivi
della carne ma senza rischi immediati pe la salute. I risultati hanno mostrato che il
raffreddamento delle carcasse a temperature comprese tra i 4 ed i 10 gradi in
superficie è in grado di produrre gli stessi effetti del raffreddamento a 7°C. Nel
maiale occorre considerare i tempi di raffreddamento, che diventano un aspetto
cruciale. Efsa conclude che le temperature ideali dipendono dal livello di
contaminazione iniziale delle carcasse. Andrà verificato ora come la Commissione
9. europea intenderà eventualmente modificare i requisiti di temperatura previsti dalla
normativa europea in materia (Reg. 853/2004 della Commissione).
In base alla normativa, le carni possono essere trasportate con temperature max
7°C, che diventano 4 °C per pollame, conigli e lepri o ancora, massimo a 2°C per
carni macinate che presentano un maggiore rischio biologico. Il regolamento
853/2004 non prevede però un tempo massimo entro cui il raffreddamento della
carne macellata vada eseguito, con problemi interpretativi. Inoltre in un parere
precedente di Efsa del 2014 non si consideravano batteri indesiderati che sebbene
innocui, possono alterare l’aspetto, l’odore ed il gusto della carne.
Efsa infatti nella sua precedente opinione, valutava la proliferazione batterica
tramite adeguati modelli di crescita, identificando possibili soluzioni flessibili al posto
di un’unica temperatura da rispettare- e così venendo incontro alle esigenze delle
piccole e medie imprese agroalimentari, nonché alla predisposizione di CCP per
autocontrollo/HACCP.
Efsa –considerando meramente il computo dei batteri patogeni- concludeva che
- la carne rossa potesse essere conservata a 2 °C per 14 giorni; (o a 7 °C per 6
giorni come da Reg. 853);
- il manzo sottovuoto a 2°C per 39 giorni; (o a 7°C per 15 giorni, come da Reg.
853);
- il pollo a 2°C per 5 giorni (o 4 °C per 3 giorni, come da Reg. 853).
Con il nuovo parere Efsa chiarisce che
- i batteri indesiderati sebbene non nocivi, crescono più rapidamente di quelli
patogeni.
- Rendendo necessari criteri di tempo /temperatura più stringenti rispetto a
quanto raccomandato due anni fa, o una migliore igiene dell’intero processo per
avere una contaminazione batterica iniziale più bassa.
Ci si attende un’azione della Commissione che aggiorni il reg. 853/2004 di
conseguenza. E’ necessario che gli operatori del settore alimentare siano informati
pienamente che livelli più bassi di contaminazione batterica iniziale (in risposta a
Buone prassi igieniche e produttive in fase di macellazione) consentono una
maggiore flessibilità nella successiva conservazione e trasporto. Questo anche
considerando che il raffreddamento al di sotto dei 10 °C nelle prime 10 ore per i
manzo e agnello non è raccomandato in ragione dell’indurimento della carne e che
una gestione ottimale dell’igiene di processo diventa quindi fondamentale
Fonte: sicurezzaalimentare.it
10. Riproduzione degli animali, nuova normativa in Europa.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Regolamento (UE) 2016/1012 del
Parlamento europeo e del Consiglio, sulle condizioni zootecniche e genealogiche
applicabili alla riproduzione, agli scambi commerciali e all'ingresso nell'Unione di
animali riproduttori di razza pura, di suini ibridi riproduttori e del loro materiale
germinale.
Il regolamento modifica il regolamento (UE) n. 652/2014, le direttive 89/608/CEE e
90/425/CEE del Consiglio.
Il regolamento sulla riproduzione degli animali riconosce che l'allevamento di
animali delle specie bovina, suina, ovina, caprina ed equina occupa un posto
strategico, dal punto di vista economico e sociale, nell'agricoltura, contribuisce alla
sicurezza alimentare dell'Unione, rappresenta una fonte di reddito per la
popolazione agricola. Lo strumento scelto? “Il modo migliore per promuovere la
riproduzione degli animali di tali specie è incoraggiare l'utilizzo di animali riproduttori
di razza pura o suini ibridi riproduttori di riconosciuta qualità genetica elevata”.
Inoltre il regolamento affronta lo snodo per garantire l'applicazione uniforme delle
norme dell'Unione in materia di riproduzione e per evitare ostacoli al commercio
degli animali riproduttori e del loro materiale germinale per effetto di divergenze nel
recepimento delle precedenti direttive a livello nazionale.
Il regolamento affronta e chiarisce le norme zootecniche e genealogiche
applicabili agli scambi commerciali di animali riproduttori e del loro materiale
germinale, nonché al loro ingresso nell'Unione.
Sono inoltre stabilitele norme per il riconoscimento degli enti selezionatori e degli enti
ibridatori e l'approvazione dei loro programmi genetici; i diritti e gli obblighi degli
allevatori, degli enti selezionatori e degli enti ibridatori; le norme relative all'iscrizione
di animali riproduttori in libri genealogici e registri suini ibridi e all'ammissione alla
riproduzione di animali riproduttori e del loro materiale germinale.
Tra le altre cose, sono previste anche norme relative all'esecuzione dei controlli
ufficiali, e in particolare quelle sugli enti selezionatori e sugli enti ibridatori, e le norme
relative allo svolgimento delle altre attività ufficiali. La norma per contro non si
applica alla clonazione, nè agli animali riproduttori destinati a sperimentazioni
tecniche o scientifiche e si applicherà a decorrere dal 1 novembre 2018. L'articolo
65 (Modifiche al regolamento UE n. 652/2014) si applica a decorrere dal 19 luglio
2016. Fonte: sicurezzaalimentare.it