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Gianrico Carofiglio
La misura del tempo
Einaudi
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© 2019 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
www.einaudi.it
isbn 978-88-06-21814-0
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La misura del tempo
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1.
– Che abbiamo oggi, Pasquale? – chiesi entrando in
studio e pensando, nello stesso momento e per l’ennesima
volta, che si trattava di un rituale di cui ero stanco.
– Vediamo… la Colella dovrebbe venire finalmente a
pagare. Poi c’è il consulente tecnico del processo Moretti,
la questione della lottizzazione; passa a prendersi le car-
te, ma dice che vuole parlare con lei cinque minuti. E alle
sette una cliente nuova.
– Chi è?
Pasquale sfogliò, con il consueto lieve sussiego, il bloc-
notes a spirale che porta sempre con sé. Ognuno di noi
ha qualcosa che lo identifica e in cui, se ne è consapevole,
si identifica. Per Pasquale è il bloc-notes. Li compra lui,
senza metterli sulle spese di cancelleria dello studio, e li
prende sempre uguali, di un tipo fuori moda che si trova
solo in una vecchia cartoleria, polverosa e un po’ commo-
vente, del quartiere Libertà. Hanno la copertina nera ru-
vida e il taglio lievemente colorato di rosso, come quelli
che usava mio nonno.
– Si chiama Delle Foglie. Ha telefonato ieri pomeriggio,
ha chiesto un appuntamento il prima possibile. Ha detto
che è una cosa grave, che riguarda suo figlio.
– Delle Foglie e poi?
– In che senso, avvocato?
– Ha lasciato solo il cognome?
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gianrico carofiglio
4
– Solo il cognome, sí.
Per alcuni mesi, cosí tanti anni prima che preferivo non
contarli, avevo conosciuto una ragazza che si chiamava
Delle Foglie. Era stato in un’epoca lontana nel tempo e
lontanissima nella memoria. Un periodo cui non avevo piú
pensato dopo che era trascorso e si era dissolto. Mentre
Pasquale parlava mi tornarono in mente ricordi indistinti
e irreali, quasi riguardassero qualcun altro; eventi che mi
sembrava di conoscere perché qualcuno me li aveva rac-
contati, non perché mi fossero davvero accaduti.
– Arriva alle diciannove. Se però ha altri impegni, –
aggiunse Pasquale, forse notando qualcosa di strano nella
mia espressione, – posso richiamarla.
– No, no. Alle diciannove va benissimo.
Pasquale tornò alla sua postazione in anticamera. Io
pensai per qualche minuto a questa nuova cliente e decisi
che non era la Delle Foglie di allora. Non c’era motivo che
fosse lei, mi dissi in modo non particolarmente razionale,
e archiviai la questione.
A quel punto avrei dovuto dedicarmi allo studio dei fa-
scicoli per le udienze del giorno successivo. Non ne avevo
nessuna voglia e non era una novità. Da qualche anno mi
aveva preso la nausea per le carte processuali e la sindro-
me si aggravava, lenta ma inesorabile.
Qualcuno ha scritto che bisognerebbe essere capaci di
morire giovani. Non nel senso di morire davvero. Nel senso
di smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di avere
esaurito la voglia di farlo, o le forze; o quando ti accorgi
di avere raggiunto i confini del tuo talento, se ne possiedi
uno. Tutto ciò che viene dopo quel confine è ripetizione.
Uno dovrebbe essere capace di morire giovane per rimane-
re vivo, ma non accade quasi mai. Piú volte avevo pensa-
to che grazie a quanto avevo guadagnato con la professio-
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la misura del tempo	 5
ne, e che avevo speso solo in minima parte, avrei potuto
smettere, cedere lo studio e dedicarmi ad altro. Viaggiare,
studiare, leggere. Magari provare a scrivere. Qualunque
cosa pur di sfuggire alla presa di quel tempo che scorreva
sempre uguale. Pressoché immobile nel suo reiterarsi quo-
tidiano eppure velocissimo a dissiparsi.
Il tempo accelera con l’età, si dice.
Quel pensiero non era nuovo e quel giorno mi rimbal-
zava spiacevolmente nella testa.
La mattina avevo incontrato in corte d’appello un col-
lega, quasi un amico. Enrico Garibaldi, avvocato civilista,
«non parente del generale», diceva lui da ragazzo al mo-
mento di presentarsi.
Un tipo simpatico, con cui si poteva fare qualche buona
risata. Un’ottima persona e anche un bravo professionista.
A volte era capitato di frequentarsi.
– Tutto bene, Enrico? – gli avevo chiesto sorridendo,
stringendogli la mano. Non era una vera domanda. Una
cosa che si dice cosí: tutto bene? Sí tutto bene e tu? Tut-
to bene, dobbiamo vederci, certo dobbiamo vederci una
sera di queste, ciao, ciao a presto.
– Non troppo, veramente, – aveva risposto lui. E dopo
una breve pausa, ma prima che potessi chiedere qualcosa o
anche solo prepararmi (viso, tono di voce, tutto il necessa-
rio) aveva continuato: – Due giorni fa è morta mia madre.
Mi mancò l’aria per un istante, come per un pugno alla
bocca dello stomaco.
– Oddio, scusami Enrico, non sapevo. Mi dispiace tan-
to, scusami…
– Non ti preoccupare, Guido. Mica lo sapevi, appunto.
E poi, mi vergogno, ma è stata una liberazione. Un anno
di malattia ci aveva tolto tutta la dignità. Non solo a lei,
poveretta. A noi, anche.
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gianrico carofiglio
6
Fece una pausa. Gli occhi diventarono lucidi. Io rima-
si zitto, essenzialmente perché non sapevo che dire. Lui
esitò, poi decise che aveva bisogno di parlare. Forse stava
aspettando di incontrarmi – non proprio me, aspettava di
incontrare qualcuno ed ero capitato io – per liberarsi al-
meno un poco.
– Sai, ti accorgi che perdi la dignità nell’insofferenza,
nei gesti di stizza, nei rimproveri che rivolgi a una per-
sona umiliata dalla vecchiaia e dalla malattia. Una perso-
na che non comprende perché i suoi figli la trattino con
asprezza –. Non riuscí a continuare. – Oh, cazzo, – ag-
giunse solo, con la voce che gli si incrinava. Poi gli tre-
marono le labbra e si mise a piangere. Vinsi l’impulso a
guardarmi attorno per controllare se qualcuno ci stava
osservando e si chiedeva cosa stesse succedendo. Il mio
vecchio problema con il giudizio degli altri.
– Ti va di andare a prendere un caffè?
Mi fissò stupito. Poi tirò su col naso e annuí con un lam-
po di gratitudine negli occhi. Cosí uscimmo dal tribunale
e mentre passeggiavamo lui cominciò a raccontare.
– Sai qual è stata la cosa peggiore, Guido? Che prima
di morire per dieci giorni non ha dormito. Cioè quando
ha capito che stava per morire. Ottantotto anni, eppure,
come tutti, aveva l’angoscia della morte. Me lo ha spiega-
to la psicologa che ci ha aiutato, me e mio fratello. Aveva
paura di prendere sonno e di non svegliarsi piú. Per questo
non si addormentava. È una cosa di cui non mi capacito,
che mi sgomenta. Una volta arrivati a quell’età bisogne-
rebbe essere rassegnati, ho sempre pensato.
– Forse non ci si rassegna mai…
– No, non ci si rassegna mai.
– C’è una frase di Marcello Mastroianni… la disse
in un’intervista quando era già anziano. Era cosí, piú
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la misura del tempo	 7
o meno: «Mi piace cenare con gli amici. Allora, perché
devo morire?»
Enrico sorrise, annuí come per condividere. Era una fra-
se amara, in apparenza. Però magari lo fece sentire meno
solo con la sua tristezza.
Ci sedemmo a un caffè vicino al tribunale. Un posto
piuttosto brutto che, proprio per quel motivo, garantiva
quasi sempre un tavolino libero e tranquillo.
– Hai mai fatto caso, Guido, a come la vita sembri ac-
celerare con l’età?
– Ci faccio caso quasi tutti i giorni.
– Mamma, prima che la sua situazione si aggravasse, lo
diceva spesso. Ho i pensieri di una ragazza e il corpo di
una vecchia. Perché?
Ricordai i miei genitori. Erano andati via ancora gio-
vani, sulla soglia dei sessanta, a pochi mesi l’uno dall’al-
tra. Quasi come Filemone e Bauci, un mito che mia madre
amava. Non avevo fatto in tempo a parlare davvero con
loro. Sapevo pochissimo su mio padre e su mia madre. Per
esempio non avevo mai saputo se prima di incontrarsi e fi-
danzarsi e sposarsi avessero avuto qualcun altro. Un amo-
re disperato finito tragicamente; o tanti piccoli fidanza-
menti; o chissà che cosa. Da piccolo per me era del tutto
inimmaginabile che mio padre potesse aver toccato una
donna diversa da mia madre; piú che inimmaginabile che
mia madre avesse toccato un uomo diverso da mio padre.
Su certi temi erano entrambi molto impacciati. Quando
avevo otto anni e nessuna idea sulle questioni del sesso e
della riproduzione, mio padre mi fece un discorso. Era ca-
pitato che chiedessi qualcosa a proposito delle uova. Perché
in alcuni casi fossero uova appunto, che noi mangiavamo
– e a me piacevano molto – e in altri invece custodissero
i pulcini che a un certo punto venivano fuori, come si po-
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teva ben vedere nei sussidiari, nei fumetti e nei cartoni
animati. Mio padre mi spiegò che la presenza del pulci-
no dipendeva dal fatto che la gallina fosse andata o no a
farsi una passeggiata con il gallo. «Se la gallina va a fare
la passeggiata col gallo, – disse, – nascono i pulcini. Al-
trimenti le uova si possono mangiare».
La spiegazione determinò molti piú problemi di quan-
ti ne avesse risolti. Mentre mio padre tornava a dedicarsi
alle sue cose, considerando evidentemente adempiuto il
suo compito educativo, io mi ponevo – e avrei continua-
to a pormi per anni – domande tormentose. Quando, con
precisione, compariva il pulcino all’interno dell’uovo? Esi-
steva un itinerario specifico perché la passeggiata produ-
cesse questo strabiliante effetto? Cosa accadeva se gallo
e gallina erano rinchiusi in un pollaio e non ammessi alle
passeggiate?
Col tempo cominciai ad avere idee meno confuse su cer-
te faccende, e a volte pensai di chiedere a mio padre cosa
lo avesse indotto a raccontarmi una storia tanto surreale.
Non lo feci.
Mi capita di elaborare l’inventario di quello che mi han-
no lasciato i miei genitori. Perlopiú sono cose buone, se
non decisive. Per esempio una nozione, deliberatamente
semplice, dell’onestà: un concetto su cui non dovevano
esserci sottili distinzioni. Poi il rispetto per gli altri. Poi
l’amore per le idee.
Altre cose che mi hanno trasmesso sono piú ambi-
gue. Possono essere buone o meno buone a seconda di
come si inseriscono nella struttura di una personalità.
Fra queste la convinzione, radicale come un postulato
etico, che bisogna sempre sbrigarsela da soli. Credo che
il precetto venisse da lontano; da un’antica, quasi ance-
strale, paura dei debiti.
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la misura del tempo	 9
Ci ho riflettuto molti anni dopo, esaminando la mia
grande difficoltà ad accettare aiuto.
Sapersela sbrigare da soli è bene. Credere di doverse-
la sbrigare sempre da soli, senza mai chiedere aiuto, è una
debolezza travestita da forza. Se non sai chiedere aiuto,
di regola non sai nemmeno cosa fare quando ti viene of-
ferto spontaneamente, quando sarebbe morale accettarlo
(e immorale rifiutarlo).
– Pochi mesi prima di morire, era ancora lucida, mam-
ma ha detto una cosa che mi ha lasciato sbigottito, – pro-
seguí Enrico.
– Hai voglia di dirmela?
– Sí. Ha detto che le era difficile immaginare il mon-
do senza di lei. Quando sei giovane e pensi a un mondo
e a un tempo in cui tu non esistevi, la cosa non ti turba.
Perché la storia sembra dotata di una direzione implicita
che porta fatalmente al momento in cui sei tu a irrompe-
re sulla scena. Il mondo senza di noi prima di noi è una
lunga fase preparatoria. Il mondo senza di noi dopo di noi
invece è semplicemente il mondo senza di noi. Finché ap-
pare lontano riusciamo a placare l’angoscia dell’idea. Ma
io so che fra qualche settimana, al massimo qualche me-
se, non ci sarò piú e il mondo continuerà a esistere, senza
nemmeno una increspatura. Senza nemmeno un sussulto.
Voi piangerete, ma poi dovrete occuparvi delle questioni
pratiche e smetterete di piangere. E comunque sarete sol-
levati che questa sofferenza non ci sia piú. Potrete disto-
gliere lo sguardo e occuparvi di vivere. Come è giusto. E
tutto sarà finito.
Feci un respiro profondo e lasciai andare l’aria.
– Come si chiamava la mamma?
– Agnese. Ha insegnato per quarantadue anni italia-
no e latino. I suoi studenti la amavano. Ancora adesso
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ne incontro che si ricordano di lei e dicono che se hanno
imparato ad amare i libri e la lettura e tante altre cose è
stato per lei.
Rimanemmo in quel bar ancora per un po’. Quando uscim-
mo non aveva piú gli occhi arrossati per il pianto.
In qualche modo riuscii a studiare le udienze e a sbri-
gare le altre incombenze del pomeriggio.
Alle diciannove in punto sentii in lontananza il cam-
panello – la mia stanza è all’estremità opposta dello stu-
dio – e mezzo minuto dopo Pasquale si affacciò, chiese se
poteva fare accomodare la signora Delle Foglie, io dissi
di sí, lui aprí del tutto la porta e fece entrare una donna.
Era alta, piuttosto magra, capelli corti grigi, e indossava
una giacca di pelle un po’ larga, un po’ sformata.
Venne verso la scrivania, io mi alzai, lei lesse lo stupo-
re nel mio sguardo.
– Ciao Guido. Non mi riconosci? Sono Lorenza.
Era Lorenza.
Cioè lei. Se l’avessi incrociata per strada non l’avrei ri-
conosciuta.
Era lí davanti a me, a quel punto sapevo benissimo chi
fosse, ma ugualmente non ne avevo la piú pallida idea. Una
sensazione mai sperimentata con tanta intensità; nemme-
no quando mi era successo di incontrare vecchi compagni
di scuola persi di vista da decenni e trasformati in signori
grassi e calvi.
Siccome non sapevo chi fosse, nemmeno sapevo come
salutarla. Mi ero alzato e feci il giro della scrivania. Anche
lei non sapeva come comportarsi e cosí ci abbracciammo
goffamente, avvertendo entrambi la poca spontaneità, la
forzatura del gesto. Sentii odore di sigaretta appena fuma-
ta e, piú denso e spiacevole, odore di molte altre sigarette
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fumate una dopo l’altra, che avevano impregnato gli abiti
e i capelli, tinto di nicotina le mani e le unghie.
La invitai a sedersi e mi sedetti anch’io.
– Sei uguale, Guido. Mi fa quasi impressione guardarti.
A parte qualche capello grigio sei uguale.
Sorrisi imbarazzato. Stavo cercando la maniera di ricam-
biare il complimento, ma non la trovai. Pensai che l’avrei
offesa dicendo una bugia troppo grossa, del tipo: anche tu
non sei cambiata, o cose del genere.
Quando ci eravamo conosciuti lei aveva quasi trent’an-
ni e io quasi venticinque. Dunque ora ne aveva cinquan-
tasette, ne dimostrava di piú ed era nel mio studio per
parlarmi di una questione seria e urgente che riguarda-
va suo figlio.
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2.
– Prima di arrivare qui ho fatto il conto: sono venti-
sette anni.
– Eh sí, – risposi quasi contemporaneamente, complimen-
tandomi con me stesso per lo sforzo di originalità.
– Spesso ho avuto la tentazione di passare a salutarti, a
fare due chiacchiere. Soprattutto quando leggevo di te sui
giornali, per qualche processo. Ti ho anche intravisto per
strada, ma non ho trovato il coraggio di chiamarti e fermarti.
Non mi ero mai accorto di averla incrociata. L’ultima
volta che l’avevo vista era stato nel settembre 1987, poi
era scomparsa dal mio orizzonte. Non l’avevo piú incon-
trata e non ne avevo piú saputo nulla.
Avevo pensato – finché mi era capitato di pensarci – che
fosse andata via da Bari, come del resto ripeteva di voler
fare. Con un lieve senso di vertigine mi resi conto che non
avevo mai parlato a nessuno di lei, di quei mesi in cui le
nostre vite si erano toccate. Forse per questo il mio ricor-
do era sfumato fino a diventare impalpabile. Col tempo un
ricordo non raccontato diventa sempre meno vero. Per poi
confondersi con materiali ancora piú impalpabili della no-
stra mente: sogni, fantasticherie, leggende private.
Non dissi nulla di tutto questo.
– Di… di che ti occupi?
– Insegno, faccio anche altro, ma essenzialmente inse-
gno a scuola.
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la misura del tempo	 13
– Anche allora facevi un sacco di cose…
– Beh, non il genere di cose di allora… ma insomma, non
importa, non sono venuta per parlare di me –. La voce si
indurí, come per proteggere una zona vulnerabile.
Mi strinsi nelle spalle, accennai un sorriso, la guardai
con espressione interrogativa. Lei contrasse i muscoli del-
le mascelle.
– Sono qui da te per una ragione professionale. Nel sen-
so della tua professione, ovvio.
– Cosa è successo?
Indugiò, la sua mano andò a una tasca della giacca in un
gesto automatico, come a cercare il pacchetto delle sigarette.
– Non so come cominciare.
– Andare da un avvocato penalista è quasi sempre un’e-
sperienza non piacevole. È improbabile che ci si senta a
proprio agio, ma non abbiamo nessuna fretta. Pasquale, il
mio collaboratore, mi ha anticipato che c’entra tuo figlio.
– Mio figlio, sí.
– Quanti anni ha?
– Iacopo ha venticinque anni appena compiuti. È abba-
stanza grande per avere già avuto problemi piuttosto se-
ri, con la giustizia e non solo –. Prima di continuare pre-
se fiato e si schiarí la gola: – Ora è in carcere. Da piú di
due anni. Con una condanna in primo grado per omicidio.
Mi spiegò cosa era successo, e nel suo racconto non
c’era nulla di buono.
Iacopo era sempre stato un ragazzo problematico. Forse
perché non aveva mai avuto davvero un padre, ma chi può
dirlo? Non spiegò questa frase e io non feci domande, solo
un rapido calcolo mentale: non poteva essere figlio mio.
In ogni caso, continuò Lorenza, sin dai tempi del liceo
non aveva mai smesso di ficcarsi nei guai. Piccole storie
di droga, risse, furti nei supermercati, due bocciature, un
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14
pestaggio al nuovo fidanzato della ragazza che lo aveva
lasciato. In un modo o nell’altro lei era riuscita a farlo di-
plomare; si era anche iscritto all’università – Giurispru-
denza, tanto per essere originale – ma non aveva dato esa-
mi. Invece era rimasto coinvolto in una rapina per cui lo
avevano arrestato. Era ancora formalmente incensurato
e aveva potuto patteggiare con la sospensione della pena.
La vicenda non gli era servita di lezione; Lorenza era si-
cura che spacciasse nelle discoteche e per molto tempo si
era chiesta come tirarlo fuori da certi giri.
Tutto questo era la premessa. Prima di passare alla
ragione per cui adesso lei era seduta davanti a me, nel
mio studio.
Meno di tre anni prima Iacopo era stato arrestato con
l’accusa di avere assassinato un tizio, con ogni probabilità
suo fornitore abituale di sostanze stupefacenti.
C’era stato il processo e, nel maggio dell’anno prece-
dente, i giudici della corte di assise lo avevano condanna-
to a ventiquattro anni di carcere piú accessori. Questo il
succo della vicenda, in sintesi estrema.
– Prima di entrare nei dettagli, – intervenni, – devo far-
ti una domanda. Se Iacopo è già stato processato, significa
che aveva un legale. Noi abbiamo degli obblighi deonto-
logici rispetto ai colleghi…
– È morto –. Mi parve di cogliere una nota di impazien-
za nella voce. – È morto qualche settimana fa. Dunque
non credo ci siano problemi deontologici.
– Chi era?
Era – era stato – Michele Costamagna, un ottimo pro-
fessionista, fino a quando la malattia non gli aveva divo-
rato il cervello. Oltre a essere competente, era sempre
stato capace, almeno nella sua epoca d’oro, di muovere le
leve giuste ogni volta che era possibile. Negli ultimi an-
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ni, anche prima della malattia, aveva perso parte del suo
appeal perché molti dei suoi amici – giudici, pubblici mi-
nisteri, alti ufficiali, alti funzionari – avevano cominciato
ad andare in pensione e quelli nuovi, i giudici soprattut-
to, erano meno malleabili e frequentavano meno i circoli
della città. Ma negli anni in cui io ero un giovane avvoca-
to, Costamagna era uno di quelli da cui dovevi andare, se
la questione era particolarmente seria. Nella maggioranza
dei casi lui ci metteva una pezza. Non avevo mai saputo
di cose chiaramente illecite, ma insomma, Costamagna era
come Mr Wolf di Pulp Fiction: risolveva i problemi. E per
questo si era sempre fatto pagare molto bene. Oltre i limiti
dell’avidità, secondo qualcuno.
Un paio di anni prima si era ammalato, e la decaden-
za, iniziata da un po’, era diventata rapida e sempre piú
evidente.
Perdeva il filo durante le arringhe; si confondeva nei
controinterrogatori e in generale durante le istruttorie di-
battimentali; capitava che dimenticasse il nome del suo
cliente o quello del giudice. Nelle ultime settimane non era
piú nemmeno riuscito ad andare in tribunale. Era morto
poco dopo le feste di Natale, e adesso eravamo all’inizio
di febbraio.
Insomma si poteva ipotizzare che, almeno nell’ultimo
anno, i clienti di Costamagna non avessero ricevuto – per
usare un eufemismo – un’assistenza adeguata. Certo c’era
l’apparato dello studio, i praticanti, la figlia, ma un pro-
cesso in corte d’assise per omicidio era appannaggio esclu-
sivo del vecchio.
Quindi, se Iacopo era stato assistito in corte d’assise
dall’avvocato Costamagna – dall’ombra di quello che era
stato l’avvocato Costamagna, nel bene e nel male – di si-
curo non aveva avuto la migliore difesa possibile.
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gianrico carofiglio
16
Era facile da immaginare e fu in sostanza quello che
mi raccontò Lorenza. Erano andati da Costamagna per
via della sua antica reputazione e su consiglio di un pa-
rente. Lui si era fatto pagare un sacco di soldi, ma la di-
fesa era stata fiacca, se non proprio inesistente, sia nella
fase delle indagini preliminari, sia nel dibattimento. Do-
po la condanna aveva assicurato che in secondo grado le
cose sarebbero andate in modo diverso. Come sempre,
aveva aggiunto con un bagliore della vecchia arroganza.
E aveva chiesto un ulteriore anticipo. Costamagna – o
piú probabilmente qualcuno dei collaboratori di studio –
aveva scritto un atto di appello di poche pagine. Loren-
za non era un’addetta ai lavori, ma quell’impugnazione
le era sembrata davvero debole.
– Poi le sue condizioni si sono aggravate. Un paio di
appuntamenti sono saltati, l’hanno ricoverato ed è morto.
– L’udienza del processo di appello è stata già fissata?
– La prima è fra due settimane.
– Cosa? – Mi resi conto di un picco nel mio tono di voce
che non ero riuscito a moderare. – Due settimane?
– Sí. Nei giorni scorsi sono stata allo studio di Costa-
magna. Ho parlato con uno dei suoi collaboratori, uno che
mi è parso un idiota. Mi ha chiesto un nuovo anticipo. Gli
ho detto che avevo già pagato un sacco di soldi e lui mi
ha risposto che quelli erano per il primo grado di giudizio
e per la stesura dell’atto di impugnazione. Adesso c’era
da preparare il processo di secondo grado, valutare nuove
prove ed eventuali richieste, e ha usato delle espressioni
tecniche che non saprei ripeterti, che non ho capito e che
sembravano buttate lí apposta per non farmi capire niente.
– Usa, in effetti.
– Ho perso la calma, gli ho detto che dopo quello che
avevo pagato allo studio, in buona parte in nero, fra l’al-
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la misura del tempo	 17
tro, non poteva dirmi che non bastava ancora, e in una
fase cosí delicata, quando stava per cominciare il proces-
so di appello.
– Ti ricordi chi era?
Disse un nome. Uno per cui la definizione di idiota
era inutilmente benevola. Non gli avrei affidato la par-
te dell’avvocato nemmeno in una recita scolastica. Evi-
tai di condividere questo mio giudizio; annuii e le chiesi
di continuare.
– Mi ha detto che comunque, se non eravamo soddisfatti
delle prestazioni garantite dallo studio Costamagna, pote-
vamo rivolgerci altrove. Allora ho proprio alzato la voce,
gli ho urlato di tutto. Lui è diventato rosso, ha risposto
che su quelle basi era meglio interrompere il nostro rap-
porto professionale e mi ha invitato ad andarmene. Nei
giorni successivi mi sono domandata se non fosse stata una
fesseria reagire in quel modo. Non sapevo cosa fare e non
sapevo dove andare. Cosí ho pensato a te.
Nella mia mente si insinuò un pensiero spiacevole. Non
era venuta da me perché pensava fossi un bravo avvoca-
to. Era venuta da me perché non sapeva dove sbattere la
testa, era senza un soldo ed evidentemente immaginava,
considerati i nostri remoti trascorsi, che avrei lavorato a
credito o, meglio ancora, gratis. Mi innervosii e decisi di
mettere subito in chiaro la questione: questa faccenda
di fare l’avvocato per beneficenza era già capitata trop-
pe volte.
Cara signora (scuserà il tono formale, che potrà sem-
brarle strano visto che siamo stati senza vestiti nelle stesse
lenzuola, ma data la situazione preferisco un certo grado
di formalità), volentieri accetterò l’incarico di esaminare
il fascicolo relativo alla vicenda processuale di suo figlio.
La prego però di portarsi preliminarmente in segreteria
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gianrico carofiglio
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e di versare la somma di acconto che le indicheranno i
miei collaboratori. La circostanza che molti, molti an-
ni fa siamo stati… intimi per qualche mese, è purtroppo
irrilevante, trattandosi di lavoro. Lavoro impegnativo,
aggiungo: un processo già parecchio compromesso e non
relativo a vicende insignificanti. Insomma, un incarico
che, qualora dovessi accettarlo, mi costerebbe un sacco
di tempo e di fatica.
Mentre facevo queste rapide e sgradevoli considerazioni
nella mia testa, pensai che non avevamo parlato neanche
un secondo del merito del processo. Di cosa era concreta-
mente accusato il ragazzo, se fosse innocente o colpevole.
Cosí lasciai perdere l’anticipo – e la mia dignità e la
mia autostima offese – e le chiesi di riassumermi i fatti
del processo. Insomma, qual era con precisione l’accusa?
E soprattutto: quali erano le prove che avevano portato
alla condanna?
Lei mi raccontò. E ciò che ascoltai non mi piacque af-
fatto. Per quanto si capiva dal suo resoconto, piuttosto ac-
curato, anche se proveniente da una non addetta ai lavori,
il figlio era messo male. Gli elementi a carico del ragazzo
erano indiziari ma – come si dice nel nostro gergo tecni-
co – gravi, precisi e concordanti.
– Guido, sono venuta da te perché non sapevo a chi ri-
volgermi. Andare da Costamagna è stato un errore, adesso
l’ho capito. Ma tutti mi dicevano che era bravo e anche
ben ammanicato. Tu di sicuro sai come ci si sente quando
di colpo ci si trova coinvolti in una cosa simile. È come sco-
prire all’improvviso di avere una malattia grave. Ti pren-
de il panico, cerchi aiuto, chiedi in giro quale può essere
la scelta migliore e…
– Certo, non è facile rimanere lucidi. E in ogni caso Co-
stamagna è stato un buon avvocato. Forse anche un ottimo
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avvocato. Purtroppo nell’ultimo periodo la malattia aveva
compromesso le sue capacità. Quello che intendo, – conti-
nuai, – è che non devi biasimarti per esserti rivolta a lui.
Semplicemente le cose sono precipitate.
Lei annuí, come per ringraziarmi di averle tolto un peso:
la sensazione di avere fatto la scelta sbagliata e di essere
in qualche modo corresponsabile della piega che avevano
preso gli eventi. Poi riprese.
– Voglio chiarire che non mi aspetto che tu lavori gra-
tis. Solo che adesso non ho soldi. Per scrivere l’appello
Costamagna ha prosciugato i miei risparmi, ho anche fat-
to dei debiti. Sono una precaria della scuola, e mi arra-
batto pure con altri lavori, ma non è facile. Però ti pro-
metto che pagherò quello che devo, mi basta avere un
po’ di respiro.
Bizzarro come funziona la nostra mente. Mi ero infa-
stidito all’idea che fosse venuta da me per una questione
di denaro che non aveva. E adesso che lo aveva detto in
modo esplicito, il fastidio era scomparso. Estratta dal-
la penombra dell’ego suscettibile la questione diventa-
va una cosa normale e priva di qualsiasi caratteristica
offensiva.
Cosí, in perfetta contraddizione con quello che ave-
vo pensato poco prima, feci un gesto con la mano come
a sgombrare lo spazio fra di noi.
– Non preoccuparti dei soldi. Ne parleremo dopo.
Adesso ci sono un paio di cose che dobbiamo chiarire:
una urgente e importante; l’altra molto importante an-
che se meno urgente. Quella urgente riguarda la prima
udienza del processo di appello. Ti ricordi la data esatta?
Mancavano sedici giorni all’udienza. Il termine di leg-
ge per la presentazione di motivi aggiunti all’appello e
per formulare richieste di rinnovazione dell’istruttoria
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dibattimentale (cioè l’acquisizione di nuove prove non
acquisite in primo grado) è di quindici giorni: non c’era
il tempo per preparare nulla. Fra l’altro, non esisteva an-
cora una nomina formale, che avrebbe dovuto fare diret-
tamente l’interessato alla matricola del carcere. Dunque
non ci restava che chiedere una remissione in termini.
Significa che, a certe condizioni, si può chiedere al giu-
dice di non far valere un termine scaduto e di assegnar-
ne uno nuovo. Però è necessario dimostrare che è stato
impossibile osservare quello stabilito in precedenza per
caso fortuito o forza maggiore. In pratica dovevamo so-
stenere che la morte dell’avvocato Costamagna era il ca-
so fortuito o la forza maggiore da cui far discendere l’i-
stanza. Una cosa non scontata. Comunque: un inizio in
salita. Ero proprio nel mezzo di simili ragionamenti e lei
riprese a parlare.
– Guido, Iacopo è innocente. Ne ha combinate tante,
è un ragazzo difficile, forse anche per colpa mia, ma non
ha commesso quell’omicidio.
Dicono tutti cosí, i genitori o gli amici o i fidanzati e
le fidanzate. Il mio bambino, il mio collega, il mio amore
non può aver commesso un’azione del genere. Fidatevi,
io lo conosco bene. Se ci attenessimo alle convinzioni dei
congiunti, il reato di omicidio (e molti altri, per la verità)
scomparirebbe dalle statistiche.
Annuii, senza commentare. Commentare è sconsiglia-
bile su certi argomenti appunto con gli amici, i fidanza-
ti e le mamme degli imputati. Lei dovette leggermi nel
pensiero.
– Non lo dico perché sono la mamma. Lo dico perché
quando è stato commesso l’omicidio Iacopo era con me,
a casa. Leggerai le carte: quello che ho detto nella mia
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testimonianza è la verità, anche se i giudici non mi han-
no creduto.
Ecco, questa era un po’ diversa dalla solita convinzio-
ne del tipo «mio figlio è un bravo ragazzo, non sarebbe
capace di fare male a una mosca». Restava da capire se
fosse la verità.
Parecchi di coloro che vengono indagati per un omi-
cidio sono colpevoli; molti di quelli che vengono rinvia-
ti a giudizio per omicidio sono colpevoli; moltissimi – la
stragrande maggioranza – di quelli che vengono condan-
nati per omicidio in primo grado sono colpevoli. Questo
non vuol dire che non ci siano degli innocenti indagati,
processati e anche condannati. Ma vi assicuro che sono
pochi, davvero pochi, indipendentemente dal fatto che
in numerosi casi vengano assolti. Vengono assolti per di-
fetti delle indagini, per vizi di procedura, anche per la
bravura dell’avvocato. Solo nella minoranza dei casi per-
ché sono innocenti.
Insomma, se il figlio di Lorenza era stato condannato in
primo grado per un omicidio, probabilmente era colpevole.
Non erano riflessioni da condividere con la madre
dell’imputato.
– Va bene, – dissi. – Avrò bisogno delle copie degli at-
ti al piú presto, meglio già domani. E tuo figlio dovrà no-
minarmi, revocando ogni mandato precedente. Prima di
fare qualsiasi cosa dovrò chiamare lo studio Costamagna e
comunicare loro che sono stato incaricato di questa difesa.
– Perché?
– È un’usanza professionale. Cosí facciamo finta di ri-
spettarci a vicenda. Poi andrò subito a trovare il presidente
della corte di assise d’appello per parlargli della necessità
di richiesta di remissione nei termini. Non è una situazio-
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ne facile, è giusto che tu lo sappia: se la corte si forma-
lizza avremo un problema molto grosso. C’è qualcosa che
vuoi chiedermi?
– Grazie, – disse soltanto.
Mi strinsi nelle spalle.
– Allora direi che per ora è tutto.
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3.
La mattina dopo andai in udienza con la mia collega,
Consuelo Favia. È nata in Perú ed è stata adottata da
un mio amico e collega civilista quando aveva quattro
anni. È visibilmente andina nei tratti – olivastra, occhi
scuri mobilissimi, guance paffute e zigomi alti – incon-
fondibilmente barese per tutto il resto, inclusi l’accento,
tipico del centro città, e la capacità di parlare un dialetto
impeccabile quando è necessario. È venuta a lavorare con
me che era una ragazza e aveva appena superato gli esami
per la professione. Adesso è l’avvocato anziano dello stu-
dio. Ogni volta che ci faccio caso – per me è sempre stata
una ragazzina – provo un disagio che devo scacciare per
evitare altri pensieri a cascata.
Camminando verso il tribunale le raccontai dell’incon-
tro con Lorenza. Omisi il dettaglio della nostra conoscen-
za pregressa, non so bene per quale motivo.
– Che impressione ti ha fatto?
– Lei o la storia?
– Tutte e due.
Non risposi subito. In realtà non sapevo bene che im-
pressione mi avessero fatto, lei e quello che mi aveva detto.
Di solito in questi casi – e in questo piú che in altri – ho
due sensazioni confliggenti. Una deriva dalla mia natura-
le, ingenua tendenza a credere alla gente. Il motivo per
cui da ragazzino era cosí facile darmela a bere. L’altra, la
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diffidenza, è un fatto intellettuale, deriva dalla conoscen-
za di come vanno di solito le cose.
– Non lo so, – risposi infine. – Dice che quando è sta-
to commesso l’omicidio il ragazzo era con lei, a casa. Se
è vero…
– Ovviamente ha deposto e ovviamente i giudici non
le hanno creduto.
– Sí. Bisognerà esaminare tutto con calma. Quando ar-
rivano le carte faccio fare le copie della sentenza in modo
che la leggiate subito anche tu, Tancredi e Annapaola. Poi
proviamo a fare il punto.
– Dovrai andare a parlare con il presidente Marinelli
per il rinvio, altrimenti c’è poco da fare il punto.
Ci separammo all’ingresso del tribunale. Io andai a far-
mi un paio di entusiasmanti processi per bancarotta frau-
dolenta e lei a costituirsi parte civile in un processo contro
uno stalker. Consuelo è un avvocato penalista, ma ha l’ani-
ma di un pubblico ministero. Difendere gli imputati della
cui innocenza non è convinta le costa un sacco di fatica.
Cosí ci dividiamo i compiti in modo piuttosto naturale:
io prendo quasi tutte le difese degli imputati, lei prende
quasi tutte le difese delle vittime, in particolare di reati
come violenza sessuale, stalking e maltrattamenti. Nessun
imputato e nessun avvocato di questi processi è mai con-
tento di averla sul banco della parte civile.
Rientrai in studio nel primo pomeriggio e sulla scrivania
trovai già la copia integrale del fascicolo del figlio di Lo-
renza. Iacopo Cardace, si chiamava il ragazzo. Il cognome
non mi diceva niente, quindi, probabilmente, il padre non
era qualcuno che avessi conosciuto quando ci frequenta-
vamo – frequentavamo?, che espressione mediocre, pen-
sai – con la madre.
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la misura del tempo	 25
C’era anche una busta con un biglietto scritto a penna.
Questo è il fascicolo. Oggi sono andata a colloquio con
Iacopo e gli ho detto di nominarti e di revocare tutte le no-
mine precedenti. Dal carcere dovrebbe arrivarti al piú presto
la comunicazione.
Grazie.
L.
La grafia era appuntita, elegante, un po’ difficile da
decifrare.
Uscii a mangiare qualcosa nel negozio biologico con cu-
cina vicino allo studio. Resistetti all’impulso di prendere
anche un bicchiere di vino. Feci una breve incursione al-
la Feltrinelli, anch’essa poco lontana. Vagabondai fra gli
scaffali, una forma di ansiolitico per me, salutai qualche
frequentatore abituale della libreria nel primo pomeriggio,
comprai gli aforismi e frammenti di Kafka dopo averne letto
qualcuno. Il numero 38 cosí recitava: «Un tale si meravi-
gliava della facilità con cui percorreva la via dell’eternità.
Di fatto la stava percorrendo in discesa».
Rientrai in studio ed elaborai un piano d’azione. So-
no molto bravo a elaborare piani per guadagnare tempo
e ritardare il momento in cui devo mettermi davvero al
lavoro.
Avrei sbrigato le seccature pomeridiane – perlopiú
appuntamenti, perché era venerdí e il giorno dopo non
c’erano udienze – quindi avrei telefonato allo studio Co-
stamagna e li avrei informati delle novità. Ero certo che
non si sarebbero strappati i capelli: processo non buo-
no; cliente non in grado di pagare ulteriori esosi antici-
pi, peraltro ampiamente ingiustificati ora che il vecchio
non c’era piú.
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Dopo mi sarei portato il fascicolo a casa e avrei studiato
un po’ il processo. Annapaola era andata a Londra con due
sue amiche. Sarebbe tornata il lunedí successivo. Non ave-
vo voglia di chiamare altre persone per uscire e non avevo
voglia di uscire da solo. Era la sera ideale per cominciare
a capire in cosa mi stavo infilando.
Quando chiamai lo studio Costamagna chiesi della fi-
glia, l’erede. Assomigliava al padre solo nell’aspetto, e
questo non era un complimento; era sempre stato un uo-
mo piuttosto grasso.
La informai del fatto che il loro cliente Cardace quella
mattina doveva avermi nominato, anche se la comunica-
zione dal carcere non era ancora arrivata.
– Spero che con i pagamenti sia tutto a posto, – dissi,
piú che altro per vedere come reagiva.
– Non me ne sono occupata io. Erano papà e Pinelli, –
quello che Lorenza aveva correttamente definito un idio-
ta, – ma conosco la pratica.
Pratica. Un uomo che stava in carcere da parecchio tem-
po e che con ogni probabilità ci sarebbe rimasto per molto
tempo ancora. Pratica. Il lessico rivela molto delle perso-
ne, pensai. Poi pensai che, forse, le mie erano riflessioni
banali. Capita spesso, non riesco a trattenermi. Mariella
Costamagna continuò a parlare.
– Credo che ci sia ancora qualche sospeso, ma non
preoccuparti. Considerate le circostanze non ci forma-
lizzeremo.
Dovetti trattenere due o tre battute salaci. Se Loren-
za mi aveva detto la verità sulle parcelle – e in proposito
non avevo troppi dubbi, conoscendo Costamagna – ipo-
tizzare la presenza di sospesi era una bugia e, prima an-
cora, una discreta volgarità. Piú o meno come l’uso del
termine pratica.
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la misura del tempo	 27
– Comunque non ti invidio, – aggiunse lei. – È un pro-
cesso chiuso, diceva papà. Il tizio è colpevole, non c’è mol-
to da fare. Al massimo provare a limitare i danni. Forse,
se confessa, riesci a ottenere un po’ di sconto.
Chiudemmo la telefonata e la sensazione molesta di quel-
le ultime parole mi rimase addosso per tutto il pomeriggio,
come un sottofondo spiacevole. E mi prese una specie di
urgenza di leggere il fascicolo e di rendermi conto di co-
me stavano le cose.
Feci fare a Pasquale tre copie della sentenza. Una per
Consuelo, una per Annapaola, una per Tancredi.
Annapaola è un’investigatrice privata – certo che in-
vestigatrice suona tanto male – che prima faceva la gior-
nalista di cronaca nera e giudiziaria, e prima ancora va-
rie altre cose non tutte chiarissime. Lei è quella che ha
smentito la mia consolidata sfiducia verso la sua categoria.
Finché non ho incaricato lei di una indagine difensiva e
non ho visto i risultati, ero convinto che gli investigato-
ri privati servissero essenzialmente a tre cose: trovare le
prove delle infedeltà coniugali, nelle loro varie e spesso
fantasiose forme (in questo sono quasi tutti bravi); met-
tere nei guai l’avvocato, facendolo finire sotto processo
per concorso in favoreggiamento; guadagnare cospicue
somme senza produrre alcun risultato diverso da verbo-
se e inutili relazioni.
Annapaola si occupa anche di indagini sulle infedeltà
coniugali, deve pur campare, ma se le tocca indagare su
questioni piú serie – a volte molto serie – è capace di fare
le scoperte piú inattese, di far parlare i personaggi piú im-
probabili. Che stia lavorando per l’imputato o, cosa che
preferisce come Consuelo, per la vittima.
Incidentalmente sarebbe anche la mia fidanzata. Piú
o meno. Sulla definizione il dibattito è aperto. Qualche
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mese prima di questa storia capitò di parlarne, una sera a
casa mia, dopo cena.
– Ma tu lo dici agli altri che io sono la tua fidanzata,
Guerrieri?
– Mi era parso che me lo avessi proibito. Quindi: no.
– Ah, giusto. Hai ragione. Bravo. Mi piaci obbedien-
te –. Fece una pausa e continuò: – Però un po’ mi secca.
– Cosa?
– Pensavo che se mi avessi risposto di sí mi sarei infa-
stidita. Adesso che mi rispondi di no mi infastidisco di
piú. Sono coerente?
– Sei la signora della coerenza. È per questo che sei
la mia fidanzata, ma anche la mia non-fidanzata. Scott
Fitzgerald diceva che la capacità di pensare contempora-
neamente due cose contraddittorie è il principale indizio
di intelligenza.
– Ti ho mai detto che le tue citazioni sono un po’ fa-
stidiose?
– Mi sembra di sí.
– Comunque tornando alla faccenda della fidanzata.
Vorrei che lo dicessi e non lo dicessi. Mica è tanto com-
plicato. Sei un avvocato, è il tuo mestiere dire una cosa e
il suo contrario. Trova il modo.
– Questa conversazione mi ricorda la storiella della
mamma yiddish che regala al figlio due cravatte per il suo
compleanno.
– So che non riuscirò a impedirti di raccontarla.
– Infatti. Dunque c’è questa mamma yiddish che regala
al figlio due cravatte. Il giorno dopo il ragazzo ne indossa
una e va a farle visita. Lei lo guarda sconsolata: «Ecco, lo
sapevo, l’altra non ti piace».
– Temevo di peggio, – commentò, e dopo qualche se-
condo, come se d’un tratto avesse avuto un’idea brillante,
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aggiunse: – Certo, se non sono la tua fidanzata, diventa
piú interessante. Sai cosa penso? Potremmo dedicarci a
del torbido sesso clandestino.
– Potremmo, – ammisi.
Carmelo Tancredi era stato un poliziotto. Diciamo pure
il piú bravo sbirro che abbia mai conosciuto, eccetto, for-
se, un vecchio maresciallo dei carabinieri torinese. Aveva
lavorato per oltre trent’anni alla squadra mobile ed era
andato in pensione con il grado di sostituto commissario
e una laurea appena presa in Psicologia.
Poi però ha pensato che non era stanco di lavorare (e
in particolare di quel lavoro: parlare con la gente, far par-
lare la gente, scoprire cosa è successo, come è successo e
chi è stato) e non aveva voglia di andare a pescare ogni
giorno sul suo gommone, che pure ama neanche fosse un
cucciolo di labrador. Pescare un paio di volte al mese è
bellissimo, pescare un paio di volte alla settimana comin-
cia ad assomigliare a un incubo, mi ha detto una volta.
Cosí quando Annapaola, dopo una sera a cena noi tre,
gli ha proposto di associarsi a lei per mettere su una vera
agenzia investigativa, lui ha impiegato cinque minuti ad
accettare. Da allora lavorano insieme; spesso per il mio
studio, a volte per altri. A parte tutto, credo si diverta-
no parecchio.
Arrivai a casa incurvato dallo zaino carico dei due fal-
doni che mi aveva lasciato Lorenza. Sentenza, atti di in-
dagine, verbali dibattimentali.
– Ciao Sacco, – dissi rivolgendomi al sacco da pugilato
appeso con una catena a una trave, nel mezzo del soggior-
no. Lui fece un cenno impercettibile di saluto. È un tipo
taciturno e poco incline a muoversi, se non è proprio ne-
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cessario. Il che naturalmente accade quando ci dedichiamo
insieme alla boxe. Riceve i pugni con molta disinvoltura.
Mai un gesto di reazione. Lui le prende e io le do, ma alla
fine è sempre lui a vincere. Nella qual cosa dovrebbe na-
scondersi una metafora, presumo. Un giorno o l’altro ne
scoprirò il significato.
Siamo amici, Mr Sacco e io. Non è espansivo, questo è
certo, ma è altrettanto certo che nasconde sentimenti deli-
cati dietro la maschera di cuoio della sua impassibilità.
C’è stato un momento difficile fra noi, il giorno del mio
cinquantesimo compleanno. I ragazzi (includo fra i ragazzi
il settantenne Pasquale) mi avevano regalato un sacco nuo-
vo, bellissimo, lucido, di quelli che si vedono nelle riprese
patinate in cui fingono di allenarsi i campioni del mondo
stile Floyd Mayweather jr. Per inciso: grandissimo pugile,
ma troppo fighetto di lusso per i miei gusti.
L’idea era che sostituissi finalmente quel vecchio og-
getto che aveva preso troppi pugni ed era pieno di crepe
e di rattoppi fatti con il nastro da imballaggio. Diciamo
pure indecoroso.
Dopo il festeggiamento organizzato a sorpresa da An-
napaola (io ero incline a pensare che non ci fosse nulla da
festeggiare, ma mi rendo conto che si tratta di una posi-
zione un po’ ovvia) eravamo rimasti soli, lui e io. Anzi no.
Appoggiato a un muro, tranquillo, sicuro di sé, quasi bef-
fardo, c’era anche l’altro.
Mi sedetti sul divano, proprio di fronte a Mr Sacco.
Una delle crepe sulla sua superficie, risultato delle mi-
gliaia di pugni incassati con cortesia, gli conferiva un’e-
spressione molto malinconica. Come quella di un cane
che sta per essere abbandonato sul ciglio di una strada
da un padrone superficiale. Cioè, meglio: da un gran-
dissimo stronzo.
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– Sei triste, amico? – avevo chiesto imbarazzato. Lui,
dignitosamente, non aveva risposto nulla, consapevole che
la vita delle cose, al pari di quella delle persone, ha un’in-
fanzia, un’età adulta e un epilogo.
Come un cretino, mi commossi. Cosa ci facevo con quel
bellissimo sacco nuovo, di cuoio marrone lucido, con le
scritte dorate? Che ne sapevo se era in grado di ascolta-
re – dunque parlare – come Mr Sacco? Passai una decina
di minuti di rilevanza psichiatrica seduto sul divano, in
equilibrio precario fra due linee di pensiero alquanto in-
compatibili.
La prima diceva: va bene giocare, va bene baloccarti
con l’idea di parlare con questo vecchio oggetto inanima-
to, ma ogni vezzo deve avere un limite. Le cose sono cose,
possiamo proiettare su di loro i nostri bisogni e le nostre
fantasie, e fino a un certo punto va bene. Scambiarle per
esseri viventi è però demenziale, segno di immaturità, piú
o meno come credere nella lettura dei fondi di caffè. Non
fare il bambino, appendi questo nuovo bellissimo sacco in
pelle e sbarazzati di quell’altro. Portalo in strada, mettilo
in un cassonetto e finiscila qui.
La seconda diceva: sei quel genere di persona? Non te
ne importa niente di tutte le sere che avete passato insie-
me, di tutte le confidenze che gli hai fatto, di quanto ti
ha ascoltato e dei consigli che ti ha dato?
Non posso assicurare che le parole fossero esattamente
queste, ma giuro che questo era il tono del dialogo interio-
re (a dire il vero non sono nemmeno sicuro che fosse solo
interiore e che, accalorandomi, non mi fossi messo addi-
rittura a parlare ad alta voce).
Durò una mezz’ora.
Poi decisi. Il nuovo sacco sarebbe andato in studio,
nella sala riunioni. Del tutto inutile, ma era cosí bello ed
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elegante – arreda, avrebbe detto un venditore di gabinet-
ti – che poteva tranquillamente stare in uno studio come
un pezzo di design. I miei collaboratori non si sarebbero
offesi pensando che non avessi apprezzato il loro regalo e
io non avrei commesso un gesto tanto orribile come tra-
dire un vecchio amico.
Presi del nastro da imballaggio, lo passai su Sacco nei pun-
ti in cui le crepe erano piú evidenti e gli diedi un pugnetto,
cosí, di cordialità. Anche perché senza guanti, amico o non
amico, fa male. Lui mi guardò con gratitudine, e la crisi finí.
Va bene, ho divagato.
Dunque: avevo uno zaino pieno di verbali e un pro-
gramma preciso.
Prima di tutto feci qualche ripresa e quattro chiacchie-
re con Mr Sacco.
Dopo i pugni, piegamenti sulle braccia e trazioni alla
sbarra. La sbarra era una novità. Mesi prima, sul per-
corso ginnico della pineta San Francesco, avevo fatto
una scommessa con Annapaola a chi si tirava su piú vol-
te. Avevo perso quattordici a undici. Ora, undici non
sarebbe nemmeno male per un signore sopra i cinquan-
ta, il problema è che scattano dei meccanismi tanto ir-
razionali quanto difficili da controllare quando la com-
petizione per la performance fisica è con una ragazza.
Anche se lei è piú giovane di oltre dieci anni, è un’ex
atleta semiprofessionista e ha i bicipiti di un buon peso
medio. Insomma, per farla breve, mi ero fatto installare
nell’ingresso una sbarra da un fabbro alquanto stupito
e mi allenavo segretamente, un giorno sí, un giorno no,
per riscattare l’umiliazione prima o poi.
Terminato l’allenamento feci una veloce doccia e, se-
condo il programma che avevo elaborato, mi preparai gli
spaghetti all’assassina.
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la misura del tempo	 33
Trattasi di tipica ricetta barese dalla ingannevole faci-
lità di esecuzione.
Ho le prescrizioni di una signora di Bari vecchia scrit-
te a penna su un quaderno e le seguii, come al solito, ri-
gorosamente.
In un tegame capiente versare qualche cucchiaio d’olio
e unire aglio e peperoncino a pezzettini. Quando l’aglio
è dorato unire passata di pomodoro, pomodorini lavati e
tagliati a metà, un pizzico di sale. Far cuocere per dieci
minuti a fuoco basso mentre si fa bollire l’acqua salata.
Cuocere gli spaghetti nell’acqua solo per tre minuti, sco-
larli e aggiungerli al sugo, non prima di aver tolto l’aglio.
Terminare la cottura degli spaghetti nel sugo sino a quan-
do lo avranno assorbito. Alzare la fiamma e fare asciugare
bene per ottenere spaghetti abbrustoliti e croccanti.
È un piatto che, per ragioni non chiare, mi mette al-
legria. Forse, come diceva qualcuno, mi ricorda qualcosa
che non ricordo.
In ogni caso, aprii una bottiglia di Cacc’e Mmitte di
Lucera, regalo di un cliente soddisfatto (a volte capita) e
mangiai e bevvi, appunto di buon umore.
Poi rigovernai, mi versai un altro calice di vino, rim-
piansi per la milionesima volta di avere smesso di fumare
e mi sedetti al tavolo, davanti al fascicolo.
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4.
La sentenza era di qualità media. Scritta nel solito ger-
go degli atti giudiziari, un po’ prolissa, ma completa e, a
prima vista, tecnicamente corretta.
Cominciava con la ricostruzione dell’indagine.
Il giorno del fatto l’imputato e la vittima si erano sen-
titi al telefono per due volte. Le conversazioni erano sta-
te entrambe intercettate e registrate perché il telefono
della vittima – Gaglione Cosimo, detto Mino – era sotto
controllo nell’ambito di un’indagine della squadra mobi-
le, sezione narcotici. Dalle telefonate, piuttosto brevi, si
desumeva, secondo l’accusa e i giudici, l’esistenza di un
motivo di contrasto, non meglio specificato, fra i due.
Nel corso della seconda l’imputato diceva con molta chia-
rezza che della questione bisognava discutere di persona.
Il tono di questa frase era aggressivo e lasciava desumere
un forte stato di irritazione del Cardace e l’intenzione di
chiedere conto al suo interlocutore di quello che doveva
sembrargli uno sgarbo o una scorrettezza.
Nel pomeriggio il Cardace veniva visto da una testimo-
ne nei paraggi della casa del Gaglione, poco prima della
commissione dell’omicidio.
Alle ore 19.47 il Gaglione chiamava dal proprio cellu-
lare (quello intercettato dalla narcotici) il 118 chiedendo
urgente soccorso. Parlando in modo affannoso diceva di
essere in casa, che qualcuno gli aveva sparato, che stava
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la misura del tempo	 35
perdendo molto sangue. Qualche minuto dopo, quasi con-
temporaneamente, giungevano presso la sua abitazione
un’ambulanza del 118 e due vetture della squadra mobi-
le. I poliziotti, infatti, intercettando l’utenza telefonica,
avevano sentito in diretta la richiesta di soccorso.
Giunti sul posto, gli uni e gli altri non avevano potuto
che constatare la morte del Gaglione. Come poco dopo
avrebbero accertato la polizia scientifica e il medico lega-
le, gli avevano sparato tre colpi di revolver calibro 38 (non
erano stati trovati bossoli sulla scena del crimine): uno lo
aveva colpito di striscio a un fianco e altri due alla gamba
destra recidendo l’arteria femorale e producendo la mor-
te per dissanguamento. Nel corso della perquisizione era
stato trovato un consistente quantitativo di pasticche di
Mdma (ecstasy). Il personale della squadra mobile si era
messo alla ricerca del Cardace. Lo avevano rintracciato
circa un paio d’ore dopo, davanti a un bar in compagnia
di amici. Aveva addosso dodici pasticche di ecstasy dello
stesso tipo di quelle recuperate nell’abitazione di Gaglione.
Cardace era stato arrestato per il possesso della sostan-
za stupefacente e in questura era stato sottoposto al test
per la ricerca dei residui dello sparo.
Nel giro di qualche giorno i tecnici del laboratorio cen-
trale di polizia scientifica avevano comunicato l’esito dei
loro accertamenti: il giubbotto indossato quella sera da
Cardace era inquinato da particelle di piombo, bario e an-
timonio derivanti dall’esplosione di colpi d’arma da fuoco.
Era stata dunque richiesta ed emessa un’ordinanza di cu-
stodia cautelare per i reati di omicidio volontario e porto
d’armi abusivo.
Dopo la premessa storica sullo svolgimento delle inda-
gini preliminari, il giudice estensore della sentenza si de-
dicava a una lunga e piuttosto pedante ricapitolazione dei
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criteri fissati dalla giurisprudenza per la valutazione delle
prove indiziarie. Al termine di questo excursus, alquanto
superfluo, la motivazione passava all’esame analitico delle
singole fonti di prova.
In primo luogo occorre leggere e interpretare le trascrizioni del-
le due telefonate intercorse fra l’imputato e la vittima nel giorno
stesso dell’omicidio. Occorre al proposito precisare che era l’uten-
za della vittima Gaglione Cosimo a essere sotto controllo da circa
due settimane. Il provvedimento autorizzativo dell’intercettazio-
ne si inseriva nel quadro di una vasta indagine relativa a traffico
di sostanze stupefacenti di tipo sintetico (ecstasy e metamfetami-
ne). Già nei giorni precedenti vi erano state telefonate fra l’uten-
za del Gaglione e quella dell’imputato. Dalle suddette telefonate
emergevano elementi di sospetto in ordine al coinvolgimento del
Cardace nel traffico illecito.
Il giorno 13 ottobre 2011 alle ore 15.26 vi è una prima telefo-
nata in entrata dall’utenza del Cardace. Il contenuto della breve
conversazione è criptico, ma il tono è evidentemente alterato. Il
Cardace sembra molto contrariato per eventi accaduti il giorno pri-
ma, eventi la cui natura non viene chiarita. La conversazione si in-
terrompe bruscamente perché il Gaglione riceve un’altra chiamata
su altra utenza (si sente lo squillo del telefono nella registrazione
e di tale evento si dà conto anche nella trascrizione). Il Gaglione
chiude la comunicazione dicendo che si farà risentire lui.
La seconda chiamata è alle ore 16.18, ancora una volta dall’u-
tenza del Cardace, il quale per prima cosa si lamenta molto anima-
tamente per non essere stato richiamato. La risposta del Gaglione
è molto netta e aggressiva («faccio i cazzi miei, se voglio chiamare
chiamo, se non voglio non chiamo e tu non devi rompermi il caz-
zo» – traduzione dalla forma dialettale). Il Cardace alza la voce e
replica al suo interlocutore che non deve permettersi di trattarlo
cosí, che altrimenti gli «apre la testa» e che a trovare un altro (con
ogni probabilità: un altro fornitore di sostanze stupefacenti) non ci
mette niente. Gaglione a questo punto si preoccupa che il contenu-
to della conversazione possa avere valenza incriminante nell’ipotesi
di una eventuale intercettazione. Dice dunque al suo interlocuto-
re quanto segue: «Se vuoi parlare io sto a casa, lascia il telefono».
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la misura del tempo	 37
Il Cardace cosí interrompe la conversazione, con tono di ira
controllata a stento: «Mo’ vengo».
Dalle due conversazioni telefoniche suddette emerge una situa-
zione di grave conflitto personale fra due soggetti dediti ad affari
illeciti comuni. In particolare emerge una rivendicazione del Car-
dace nei confronti del Gaglione. Il modo in cui la seconda telefo-
nata si interrompe non fa affatto presagire un rasserenamento della
situazione e la lapidaria conclusione – Mo’ vengo – del Cardace
rimanda piuttosto a una prosecuzione della lite senza la mediazio-
ne del mezzo telefonico.
Il secondo elemento consiste nella deposizione della teste Sas-
sanelli Antonia, banconista in un bar nelle immediate vicinanze
dell’abitazione della vittima. Essa (come numerose altre potenziali
persone informate) veniva sentita dalla polizia nell’immediatezza
del fatto. Le veniva mostrato un album fotografico appositamente
preparato, nel quale era inclusa la fotografia del Cardace. La don-
na dichiarava di conoscerlo per averlo visto in diverse occasioni
nel bar, spesso in compagnia del Gaglione, a lei ben noto perché
abitante nelle vicinanze e frequentatore abituale del bar. Dopo
una prima fase di (quasi fisiologica) reticenza dinanzi alla polizia
giudiziaria, la Sassanelli dichiarava di avere visto il Cardace quel
pomeriggio nel bar insieme ad altra persona che lei non aveva mai
visto in precedenza. Non era in grado di indicare l’orario preciso
ma chiariva comunque che era accaduto non molto tempo prima
dell’arrivo della polizia e di «tutto quel casino», secondo la testua-
le espressione della teste. Tali dichiarazioni venivano reiterate nel
corso della deposizione dibattimentale.
La teste è attendibile e le sue iniziali reticenze rafforzano la sua
credibilità piuttosto che attenuarla. Essa conosceva già da tempo
(anche se solo di vista) il Cardace, e ha fornito un riferimento tem-
porale sufficientemente preciso per individuare l’ora in cui vide l’im-
putato al bar quel pomeriggio.
È dunque possibile fissare la presenza del Cardace – in compa-
gnia di altro soggetto che non è stato possibile identificare – nelle
immediate vicinanze dell’abitazione della vittima poco prima dell’o-
micidio. All’uopo occorre precisare che l’abitazione del Gaglione
dista ben tre chilometri dall’abitazione del Cardace. Si può esclu-
dere in termini di ragionevole certezza che il Cardace sia uscito
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di casa e abbia percorso piú di tre chilometri semplicemente per
andare a prendere il caffè in un bar di periferia.
La sentenza passava poi a esaminare i risultati dell’in-
dagine di polizia scientifica.
L’accertamento tecnico, i cui esiti venivano forniti dai laborato-
ri centrali della polizia scientifica in tempi rapidissimi, consentiva
di accertare che sulle fibre di un giubbotto del Cardace erano pre-
senti particelle di piombo, bario e antimonio. Tali particelle non
esistono in natura e derivano esclusivamente dal fenomeno della
combustione delle armi da fuoco. È dunque possibile affermare
che il Cardace abbia fatto uso di armi da fuoco o almeno sia sta-
to molto vicino a un’arma da fuoco che sparava. Il dato, di per sé
assai significativo, acquista una forza decisiva se letto nel quadro
complessivo e totalizzante dell’impianto indiziario.
La difesa ha tentato di neutralizzare tale fondamentale elemen-
to indiziario.
Negli interrogatori di garanzia, durante la fase delle indagi-
ni preliminari, l’imputato si è sempre avvalso della facoltà di non
rispondere. A dibattimento il Cardace ha inteso rendere sponta-
nee dichiarazioni, essenzialmente per tentare di spiegare in chia-
ve alternativa all’accusa gli esiti dell’indagine tecnica. L’imputato
ha dunque riferito che qualche giorno prima, indossando lo stesso
giubbotto di cui sopra, era andato a esercitarsi al tiro a segno con un
amico in una cava della provincia. Ha precisato di non volere indi-
care le generalità del suddetto amico per non esporlo a conseguen-
ze penali: egli era infatti il detentore abusivo dell’arma utilizzata
in quell’occasione. Ha concluso negando di essere il responsabile
dell’omicidio e suggerendo che l’inquinamento del suo giubbot-
to, accertato dai tecnici della polizia di Stato, fosse da ricollegarsi
all’uso di un’arma da fuoco nei giorni immediatamente precedenti.
Inutile dire che una prospettazione cosí vaga, priva di ogni ri-
scontro, resa dall’imputato nel corso di dichiarazioni spontanee
(sottraendosi dunque al vaglio dell’esame dibattimentale) è del
tutto inidonea a configurare una fattispecie di dubbio ragionevole.
A questo punto la sentenza si soffermava sull’unica pro-
va a discarico proposta dalla difesa, cioè la testimonianza
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la misura del tempo	 39
della madre dell’imputato, alla quale i giudici non aveva-
no creduto.
Lorenza aveva dichiarato che dalle 19.30 alle 20.30 (l’o-
micidio del Gaglione era stato commesso poco prima del-
le 19.47, ora della telefonata al 118) Iacopo era a casa con
lei. Il pubblico ministero l’aveva messa in difficoltà con un
controesame piuttosto aggressivo, l’aveva indotta a con-
traddirsi e infine aveva tirato fuori un precedente per fa-
voreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale che l’ave-
va messa definitivamente in cattiva luce davanti ai giudici.
In breve: nella motivazione la corte indicava la teste come
inattendibile «in primo luogo perché madre dell’imputato
e portatrice di un interesse alla sua assoluzione e in secon-
do luogo perché gravata da precedenti specifici per reati
contro l’amministrazione della giustizia».
Cominciavano a bruciarmi gli occhi e mi dissi che forse
era ora di andare a dormire. Anche perché quella prima
lettura mi aveva guastato il buon umore della cena e non
volevo che la situazione peggiorasse. Sembrava che la Co-
stamagna avesse ragione e non so dire se mi infastidisse
di piú questa constatazione – cioè proprio che lei avesse
ragione, indipendentemente dal merito – o la situazione
assai precaria della difesa che avevo appena assunto.
Certo il lavoro era all’inizio, anzi prima dell’inizio; certo
bisognava leggere anche i verbali; certo bisognava verifi-
care le eventuali carenze dell’indagine e i vizi di procedu-
ra, se ce n’erano. Ma per il momento avevo davanti una
normale sentenza in cui si motivava in modo adeguato
una condanna che pareva del tutto fondata.
Fu questo, piú o meno, che mi dissi parlando ad alta
voce; parlare da solo ad alta voce è una mia vecchia abitu-
dine che tende a peggiorare con l’età.
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40
Dissi a Mr Sacco che me ne andavo a dormire e che se la
mattina dopo fosse stato ancora da quelle parti ci saremmo
visti. Lui mi guardò come si guarda chi ha fatto una battuta
che non fa ridere. Recuperai il cellulare che avevo lasciato
nella borsa e mi accorsi che c’era qualche messaggio. Un
paio erano di colleghi seccatori cui avrei risposto il lunedí
successivo, forse. Un terzo era l’invito di un cineforum.
Il quarto era di Annapaola. Diceva: «Ciao Guerrieri,
qui tutto obiettivamente noioso, ma non diciamolo alle
ragazze. Comunque questa faccenda che parto felice e li-
bera e dopo un giorno mi manchi sta diventando seccan-
te. Ti diverti senza di me? Hai rimorchiato una di quelle
avvocatesse dementi che fanno le idiote ogni volta che le
incontri in tribunale?»
Il messaggio era di oltre un’ora prima. Quando mi fui
tolto quella specie di sorriso ebete che mi era salito alle
labbra, risposi. Con due messaggi.
Il primo era cosí: «Ciao piccola, scusa il ritardo nella
risposta ma ho in corso una festa con ballerine cubane.
Dobbiamo risentirci con piú calma».
Il secondo, subito dopo, cosí: «Mi manchi anche tu.
Puoi tornare presto, per piacere?»
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5.
Aprii gli occhi sei ore precise dopo aver spento la luce.
Mi alzai subito, feci un rapido passaggio sotto la doccia,
preparai il mio solito caffè americano, mangiai qualche bi-
scotto di pasta frolla del panificio sotto casa, per mettere
a tacere la mia coscienza salutista (un po’ fragile, a dire
il vero) mi dissi che avrei bevuto una spremuta piú tardi
nella mattinata e tornai al tavolo e al fascicolo. Nello spe-
cifico al verbale della deposizione di Lorenza.
Scorsi rapidamente i preliminari e passai alla parte so-
stanziale.
avvocato costamagna  Signora Delle Foglie, ricorda il gior-
no in cui arrivò la polizia a casa? Il giorno in cui poi lei venne a
sapere che era stato commesso un omicidio e che suo figlio era so-
spettato per questo fatto?
testimone  Sí, certo.
avvocato costamagna  Suo figlio Iacopo vive con lei?
testimone  Sí, insomma fino a quel giorno, quando lo han-
no arrestato.
avvocato costamagna  Certo. Ricorda cosa aveva fatto quel
pomeriggio?
testimone  Avevo lavorato…
avvocato costamagna  Può dirci che lavoro fa?
testimone  Piú d’uno, in effetti. Sono insegnante precaria,
faccio supplenze, anche lunghe, anche annuali. Poi però faccio al-
tro per arrotondare: do lezioni private e qualche volta faccio com-
pagnia a delle signore anziane.
avvocato costamagna  Come una badante?
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testimone  Non esattamente. Non faccio, come dire, assisten-
za materiale. Faccio loro compagnia quando sono sole. Si tratta
di persone anziane ma del tutto autosufficienti. A volte leggo per
loro, parliamo…
avvocato costamagna  Quel pomeriggio cosa aveva fatto?
testimone  Appunto ero andata da una di queste signore.
avvocato costamagna  Bene. Ricorda a che ora era rientra-
ta a casa?
testimone  Non posso dire l’orario preciso ma il turno da
quella signora era dalle quindici alle diciannove; da casa sua a casa
mia ci sono piú o meno venti minuti a piedi e dunque grosso mo-
do direi che sono rientrata attorno alle 19.15.
avvocato costamagna  Suo figlio Iacopo era in casa?
testimone  No, ma arrivò poco dopo di me.
avvocato costamagna  Può dirci quanto tempo dopo?
testimone  Dieci minuti, forse poco piú.
avvocato costamagna  Dunque è corretto dire che alle 19.47
suo figlio…
pubblico ministero  Opposizione presidente, il difensore sta
traendo delle conclusioni, cose che con ogni evidenza non può fa-
re in questa sede.
presidente  Avvocato, si limiti alle domande. Trarrà le even-
tuali conseguenze delle risposte in sede di discussione del processo.
avvocato costamagna  Scusi presidente, ma non può impe-
dirmi… io ho bisogno…
presidente  Avvocato, per piacere non discuta le mie decisio-
ni. Se ha altre domande le faccia. Quella cui si è opposto il pubbli-
co ministero non è ammessa.
avvocato costamagna  Allora lei è rientrata alle 19.15, suo
figlio dieci minuti dopo. Dopo essere rientrato è uscito di nuovo?
testimone Sí.
avvocato costamagna  Quanto tempo dopo?
testimone  Non saprei dire con precisione. Non subito.
Un’ora dopo, anche qualcosa in piú.
avvocato costamagna  È sicura?
testimone Certo.
avvocato costamagna  Grazie, non ho altre domande.
presidente  Il pubblico ministero intende procedere al con-
troesame?
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la misura del tempo	 43
pubblico ministero  Sí presidente, grazie. Buongiorno, signo-
ra, come sa io sono il pubblico ministero e le farò alcune domande
per chiarire meglio quello che ci ha già detto. Va bene?
testimone  Va bene.
pubblico ministero  Lei ci ha detto che suo figlio è arrivato
a casa… a che ora ha detto?
testimone  Attorno alle 19.30 o poco prima.
pubblico ministero  Ed è uscito di nuovo?
testimone  Un’ora dopo, all’incirca.
pubblico ministero  Poi a casa è arrivata la polizia?
testimone Sí.
pubblico ministero  A che ora è arrivata la polizia?
testimone  Non saprei dirlo con precisione.
pubblico ministero  Era già andata a letto?
testimone  No, stavo vedendo la televisione. Erano forse
le 23, forse un po’ prima. Insomma, mio figlio era già uscito da
parecchio.
pubblico ministero  Si stupirebbe se le dicessi che la polizia
è arrivata a casa sua verso le 21.30?
testimone  Come le ho detto non ricordo con precisione l’ora-
rio dell’arrivo a casa degli agenti.
pubblico ministero  Ma a quanto pare ricorda benissimo
l’orario di rientro di suo figlio…
testimone  Ma quello è perché…
pubblico ministero  Scusi, non mi interrompa, non ho ancora
fatto la mia domanda. Dunque se ho capito bene lei lavorava co-
me insegnante precaria ma aveva anche altre attività. È corretto?
testimone  Sí, è corretto.
pubblico ministero Tuttora?
testimone Scusi?
pubblico ministero  Le ho chiesto se ancora adesso lei faccia
diversi lavori, fra cui questa assistenza, diciamo questa compagnia
a persone anziane.
testimone Sí.
pubblico ministero  E in particolare lavora ancora presso la
signora da cui era stata quel pomeriggio?
testimone Sí.
pubblico ministero  Quanti anni ha la signora? Qual è il
suo nome?
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testimone  Adesso, ottantasette. Si chiama Rosa Bonomo.
pubblico ministero  Fa lo stesso turno di allora?
testimone  Ci vado sempre nel pomeriggio.
pubblico ministero  Sí, ma fa proprio lo stesso turno di allora?
testimone  No, non proprio. Diciamo che ora l’orario è piú
flessibile, dipende dalle esigenze.
pubblico ministero  È un cambiamento recente?
testimone No.
pubblico ministero  Da quanto tempo è cambiato il suo ora-
rio con questa signora?
testimone  Vuole la data precisa?
pubblico ministero  Non deve indispettirsi, signora. Voglio che
riferisca quello che ricorda. Se non ricorda, è sufficiente che lo dica.
testimone  Mi scusi. Non saprei con precisione. Piú di un
anno, comunque.
pubblico ministero  Per quale motivo siete passati da un ora-
rio fisso a un orario flessibile?
testimone  La signora è anziana, ma del tutto autosufficiente.
I figli, però, per sentirsi piú sicuri hanno trovato un’assistenza sta-
bile, una signora moldava. Lei però – la signora moldava intendo –
ha anche un altro lavoro e insomma, quando non c’è lei, o non ci
sono i figli che fanno a turno per tenere compagnia alla mamma,
ci vado io. Comunque quasi tutti i giorni.
pubblico ministero  Lei conosce questa signora moldava?
testimone  La incontro quando arrivo o quando vado via.
pubblico ministero  Quando vi siete conosciute?
testimone  Quando lei ha cominciato a lavorare dalla signo-
ra Bonomo.
pubblico ministero  Cioè esattamente?
testimone  Esattamente non…
pubblico ministero  Le faccio una domanda diversa, allora.
Quando sono accaduti i fatti per cui stiamo celebrando questo pro-
cesso lei conosceva già questa signora moldava?
testimone …
pubblico ministero  Presidente, possiamo dare atto che la
teste esita a rispondere?
presidente  Diamo atto perché consti. Signora, vuole rispon-
dere? Quando sono accaduti i fatti lei conosceva già questa signo-
ra moldava?
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la misura del tempo	 45
testimone  Forse… non so, forse sí… non sono sicura.
pubblico ministero  Possiamo accertarlo facilmente, ma vor-
rei che fosse lei a dircelo.
testimone  Forse la conoscevo già.
pubblico ministero  Significa che aveva già preso servizio
presso la signora da cui anche lei lavora? O vi siete conosciute pri-
ma che questa signora moldava cominciasse a lavorare…
testimone  No, no…
pubblico ministero  No, cosa?
testimone  Non l’ho conosciuta prima…
pubblico ministero  Quindi l’ha conosciuta quando ha pre-
so servizio?
testimone  Immagino di sí…
pubblico ministero  Immagina?
testimone  Aveva già preso servizio, adesso mi ricordo.
pubblico ministero  Dunque lei aveva già cominciato a fare
l’orario flessibile di cui ci ha detto?
testimone  No, sicuramente avevo il turno dalle 15.00 alle 19.00.
pubblico ministero  Ma lei ci ha detto che quando è arrivata
la signora moldava ha cominciato a fare un orario flessibile.
testimone  Sono stata imprecisa…
pubblico ministero  A che ora rientrò a casa quel pomerig-
gio/sera?
testimone  Attorno alle 19.15, l’ho già detto.
pubblico ministero  Come fa a essere cosí precisa sull’orario?
Lei ci ha detto che poteva affermare con sicurezza di essere usci-
ta da casa dell’anziana da cui lavora alle ore 19.00 essenzialmente
perché quello era l’orario che faceva quando ancora non era arri-
vata la signora moldava…
testimone  Ho capito, ha ragione, sono stata imprecisa, mi
sono confusa. Voglio dire che per un certo periodo, anche dopo
l’arrivo della signora moldava ho continuato a fare quell’orario
preciso. Solo qualche tempo dopo la situazione si è modificata
nel senso che ho detto, dopo un periodo di prova, credo. Mi sono
confusa su quel punto, ma sono certa di essere arrivata a casa non
oltre le 19.20 e che mio figlio è arrivato poco dopo.
pubblico ministero  Il che, guarda caso, le consentirebbe di
dare un alibi a suo figlio. Non le sembra strano che su tutti gli altri
orari lei dica di non poter essere precisa e invece…
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avvocato costamagna  Opposizione presidente, il pubblico
ministero discute con la teste, la vessa e cerca anche di chiederle
un parere, il che è evidentemente inammissibile.
presidente  Lasciamo perdere le vessazioni, avvocato. Mi sem-
bra una parola grossa. Ciò detto: pubblico ministero, la teste ha
risposto. Tutte le valutazioni – quello che ci sembra e quello che
non ci sembra – potremo farle al momento opportuno. Cioè in se-
de di discussione del processo. Se ha altre domande proceda pure.
pubblico ministero  Va bene, presidente. Signora, ho ancora
poche domande. Lei ha precedenti penali?
testimone No.
pubblico ministero  Non ha mai subito un processo?
testimone No.
pubblico ministero  Si stupirebbe se le dicessi che ho qui una
sentenza che la riguarda, relativa a una imputazione di resistenza
a pubblico ufficiale e favoreggiamento?
testimone  Non ho mai avuto condanne, non so di cosa stia
parlando.
pubblico ministero  In realtà io le avevo chiesto se avesse mai
subito processi. Questa in effetti è una sentenza di non doversi
procedere per intervenuta amnistia. Posso avvicinarmi, presiden-
te? Vorrei mostrare alla teste il documento.
avvocato costamagna  Presidente, io protesto per questo
modo di procedere del pubblico ministero. Non sappiamo di che
documento si tratti, non è stato prodotto in fase di richieste pro-
batorie e viene tirato fuori a sorpresa in spregio a tutte le regole
della discovery e del corretto contraddittorio fra le parti. Mi op-
pongo vigorosamente.
presidente  Pubblico ministero, prima di esibire il documento
alla teste, lo metta a disposizione della difesa. Avvocato Costama-
gna, ha bisogno di un termine per esaminare l’atto?
avvocato costamagna  Presidente, premesso che confermo
la mia opposizione a ogni produzione documentale intempestiva,
le chiedo solo qualche minuto, il tempo di capire di cosa si tratta
e se sia anche solo astrattamente pertinente all’oggetto di questo
giudizio, cosa di cui dubito.
Si dà atto che alle ore 10.25 l’udienza viene sospesa e la testi-
mone viene accompagnata dall’ufficiale giudiziario nella saletta
testi. Alle ore 10.40 l’udienza viene ripresa.
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presidente  Allora possiamo riprendere. Ci sono osservazio-
ni della difesa?
avvocato costamagna  Si tratta di un documento del tutto
privo di pertinenza all’oggetto del processo. Una sentenza di non
doversi procedere per intervenuta amnistia, per presunti fatti di
quasi trent’anni fa. Mi oppongo alla richiesta di produzione e a
qualsiasi uso processuale e reitero la mia protesta per questo modo
di procedere, con atti tirati fuori a sorpresa quando c’è una precisa
fase processuale in cui tali acquisizioni si richiedono.
pubblico ministero  Presidente, temo che questa reazione
vibrata della difesa dipenda da un equivoco. Non ho chiesto di
produrre questa sentenza; naturalmente mi riservo di farlo ove
dovesse sorgerne la necessità. Volevo solo mostrarla alla teste in
aiuto alla sua memoria. Infatti ha appena negato di essere mai
stata sottoposta a processo, mentre questa sentenza dimostra il
contrario.
presidente  Mostri la sentenza alla teste, pubblico ministero.
Si dà atto che il pubblico ministero esibisce il documento al-
la teste.
pubblico ministero  Allora, signora, ricorda di essere stata
sottoposta a processo per favoreggiamento e resistenza a pubbli-
co ufficiale?
testimone  Non ho avuto nessun processo.
pubblico ministero  Qui c’è scritto che si sarebbe opposta a
dei sottufficiali della guardia di finanza per impedire loro di ar-
restare uno spacciatore; c’è scritto che non ci sono elementi per
il proscioglimento nel merito e che siccome era intervenuta l’am-
nistia – l’ultima amnistia, presidente, quella del 1990 – il reato,
anzi i reati sono da dichiarare estinti. Non ricorda di essere sta-
ta coinvolta in una vicenda del genere? Non è mai stata accom-
pagnata in caserma della Finanza in relazione all’arresto di uno
spacciatore suo amico?
testimone  Tantissimi anni fa ci fu un episodio… chiaramen-
te un equivoco. Non era uno spacciatore, era un ragazzo che aveva
qualche pezzetto di hashish e i poliziotti…
pubblico ministero  Quindi adesso comincia a ricordare. Per
la precisione erano finanzieri.
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testimone  Va bene, nemmeno mi ricordo cosa fossero. I fi-
nanzieri o quello che erano non avevano detto di essere tali, non
si erano identificati…
pubblico ministero  Fu accompagnata in caserma e denuncia-
ta per favoreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale?
testimone  Andammo in una caserma, fecero qualche verbale,
non ho idea cosa ci fosse, nel senso che non ricordo, parliamo di oltre
venticinque anni fa. Poi non ne ho mai piú saputo nulla. Non sapevo
nemmeno dell’esistenza di questa sentenza che mi ha fatto vedere.
pubblico ministero  Prima che questa sentenza fosse pro-
nunciata lei è stata informata. Avrebbe potuto rinunciare all’am-
nistia, chiedendo il processo e il proscioglimento nel merito. Per-
ché non lo ha fatto?
testimone  Non ho idea di cosa stia parlando.
pubblico ministero  Temo che questo sia un problema suo.
Comunque grazie, io non ho altre domande. Metto il documento
a disposizione della corte.
presidente  La corte ne dispone l’acquisizione. La difesa vuo-
le procedere al riesame della teste?
avvocato costamagna  No grazie, presidente. Ci riserviamo
di esaminare ulteriormente il documento e di valutare se richiedere
ulteriori mezzi di prova sul punto.
Il pubblico ministero Cotturri era stato bravo, anche
se Costamagna non aveva tutti i torti quando si era op-
posto all’esibizione di quella sentenza. Secondo il codice
l’acquisizione dei documenti va richiesta nella fase intro-
duttiva del processo. Si tratta di una regola non tassativa,
interpretata con una certa elasticità, ma che mira a evita-
re la presentazione di prove cosiddette a sorpresa. Mira
a tutelare la lealtà del contraddittorio, a evitare che una
parte o l’altra si trovino a dover fronteggiare prove inat-
tese per le quali non si sono potute preparare.
Il pubblico ministero aveva superato il problema in mo-
do corretto: aveva chiesto a Lorenza se in passato fosse
stata sottoposta a procedimenti penali, e solo dopo aver
ricevuto risposta negativa aveva tirato fuori quel vecchio
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processo conclusosi con l’applicazione dell’amnistia. La
sentenza, dunque, non serviva direttamente a provare
qualcosa, ma solo indirettamente, una volta acquisita una
certa dichiarazione, a far dubitare dell’attendibilità della
teste. Come di fatto era accaduto.
Sfogliai le carte alla ricerca della copia di quella sentenza,
anche se sapevo già che non ci avrei trovato troppe indi-
cazioni. Una sentenza che applica una causa di estinzione
del reato, come l’amnistia, si limita a dire che non ci sono
elementi per il proscioglimento nel merito e che dunque il
reato va dichiarato estinto. Per amnistia, per prescrizione,
per ritiro della querela, per morte del reo.
L’unica cosa interessante, a parte le formule rituali, era il
capo di accusa. Lorenza era stata imputata «per il reato di
cui agli articoli 81, 337 e 378 del codice penale perché vio-
lando con la stessa condotta piú disposizioni di legge si op-
poneva al brigadiere Gattuso e al finanziere scelto Scarano
che stavano procedendo all’arresto di Damiani Nicola per il
reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacen-
ti tipo hashish, cosí aiutando il suddetto Damiani a eludere
o comunque a sottrarsi alle investigazioni. Fatto commesso
in Torre Canne, Fasano, il 5 luglio 1987».
Pensai che la Lorenza che avevo conosciuto tanti anni
prima – ora il ricordo cominciava a riemergere – in realtà
era davvero il tipo da opporsi a dei finanzieri per aiutare un
amico a «eludere o comunque a sottrarsi alle investigazioni».
Sembrava, allora, non avere paura di niente, e detestava
le forze di polizia per un radicato presupposto ideologico.
Poi feci caso alla data sotto il capo di imputazione.
5 luglio 1987.
Cioè quando ancora ci frequentavamo. Ci eravamo co-
nosciuti nella primavera di quello stesso anno.
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Lorenza
Ricordo con chiarezza solo l’inizio e la fine.
Il resto, nella mia memoria, è disarticolato e scomposto
come in un quadro di Braque. Non so quali episodi siano
accaduti prima e quali dopo. Non con precisione, almeno.
L’inizio è quando conobbi Lorenza, una sera di marzo
del 1987.
Mi ero laureato l’anno prima e facevo pratica in uno
studio legale. Diventare avvocato non era il mio sogno,
ma va detto che su cosa fosse il mio sogno non avevo mai
avuto le idee chiare. Insomma, facevo pratica nell’attesa
di chiarirmele, le idee. Prima o poi.
Ci trovavamo nel bel mezzo degli anni Ottanta. Il de-
grado morale di quel periodo è rappresentato con efficacia
quasi metaforica dalle spalline imbottite. Quando indossa-
vamo giacche o cappotti sembravamo tutti dei manichini,
maschi e femmine. Basta guardare le foto.
Era l’epoca in cui cominciava a mutare in maniera ir-
reversibile il paesaggio sonoro della nostra vita. Un’epoca
ancora piena di rumori e suoni che oggi non esistono piú.
Per esempio il rumore del gettone o della moneta inseri-
ti nel telefono pubblico; e il rumore, simile, eppure molto
diverso, dello scatto quando un gettone o un valore equi-
valente in lire veniva consumato.
Il ruotare del selettore a disco nei telefoni di casa, stra-
ni oggetti grigi, panciuti, rassicuranti. I diversi suoni della
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macchina da scrivere. Quello dei tasti – ritmico o tituban-
te a seconda della bravura del dattilografo – che era pro-
dotto anche, e soprattutto, dalle testine con le lettere che
battevano sul foglio. Quello del rullo, fatto ruotare con le
manopole nere e zigrinate. Quello della levetta per anda-
re a capo. Quello del fermafogli che colpiva la carta come
per infliggerle una ferita e ridurla all’impotenza.
Il tac del registratore, quando lo facevi partire o lo fer-
mavi; il rumore carico di urgenza, leggermente vertigino-
so, del nastro che si riavvolgeva.
Il picchiettare quasi frenetico della calcolatrice che
stampava il risultato delle operazioni su un rotolo di carta.
Era un mondo analogico fatto ancora (ancora per po-
chissimo, ma noi non lo sapevamo) di rotelle, ingranaggi
e pulsanti.
Io avevo rotto da poco, in maniera non troppo amiche-
vole, con la mia fidanzata Rossana. Eravamo stati insieme,
tra alti e bassi, per buona parte dell’università. Al momento
dell’addio mi disse una serie di cose su di me. Per quanto
rammento, nessuna piacevole: avevo la tendenza a raziona-
lizzare tutto per paura dell’intimità; sfruttavo l’ironia per
sottrarmi alla responsabilità dei sentimenti; non ero capace
di vero impegno e, a dispetto delle apparenze, ero uno che
conduceva un’esistenza passiva. Roba del genere.
Quel pomeriggio di marzo del 1987, libero da un paio
di settimane, me ne andavo con passo rilassato verso lo
studio. In via Sparano incontrai un tizio di nome Saverio
detto Verio (e, sí, l’ideatore del vezzeggiativo non si era
sforzato troppo) che in passato avevo frequentato saltua-
riamente. Era di un anno piú grande di me, studiava Me-
dicina, abitava a Poggiofranco, era gay (non erano tantis-
simi, allora, a dichiararlo in scioltezza), aveva una certa
tendenza a parlare troppo ed era stato un giovanissimo
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campione di equitazione, sport che aveva abbandonato
per ragioni non note.
Ci abbracciammo e lui mi diede due bei baci sulle guan-
ce, di quelli con lo schiocco.
– Guido Guerrieri, che piacere vederti, è un sacco di
tempo. Dove te ne vai di bello?
– Al lavoro, – risposi con una sfumatura del tipo: se
non dovessi guadagnarmi da vivere saprei io come occu-
pare i pomeriggi.
– Lavoro, – ripeté lui. La parola doveva fare un certo
effetto. – Stai diventando avvocato, vero?
– Non so, ci provo, ma non sono sicuro che sia adatto
a me. E tu? Quanto ti manca per la laurea?
– Un anno, piú o meno. Poi non so. Forse mi piacereb-
be andare all’estero a specializzarmi.
– Bello, – dissi, tanto per dire qualcosa.
– Stai sempre con quella ragazza bionda? Com’è che
si chiama?
– Rossana. No, non piú.
– Ah, mi spiace. Aveva degli occhi blu, quasi violetti,
proprio speciali. Alla Liz Taylor.
L’argomento mi metteva a disagio. Cosí pronunciai una
sequela di frasi sulle storie che a un certo punto finiscono,
che è la vita e altre banalità che per fortuna non ricordo.
– Che fai stasera? – mi chiese allora lui.
– Non ho programmi, – risposi con una certa cautela.
– Perché non vieni a una festa? È a casa di un mio ami-
co, ci sarà un sacco di gente. Magari incontri qualcuno,
visto che ora sei un uomo libero.
Il mio primo pensiero fu che non avevo particolare vo-
glia di andare a una festa gay, ma in realtà lui non aveva
parlato di una festa gay, voleva solo essere gentile. Mi ver-
gognai della mia retrograda diffidenza e mi dissi che era
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una buona idea cominciare a vedere gente nuova. Insom-
ma, al termine di quei pochissimi secondi di riflessione
risposi che grazie, accettavo volentieri. Fantastico, disse.
Sarebbe venuto a prendermi a casa verso le nove e mezza.
Mi chiese di ricordargli il mio indirizzo – che per quanto
mi constava non aveva mai conosciuto – e ci salutammo.
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6.
Il martedí – dopo un mio rapido viaggio a Roma per di-
scutere un processo in cassazione – ci vedemmo in studio
con Consuelo, Annapaola e Tancredi. Tutti e tre avevano
letto la sentenza e tutti e tre, fu chiaro dopo pochi minu-
ti, erano convinti che il figlio di Lorenza fosse colpevole.
Il problema piú grave era che anch’io tendevo a pensare
la stessa cosa.
– Il ragazzo è un balordo, – disse Tancredi quando gli
chiesi la sua opinione.
– Perché?
– Hai visto il certificato penale?
– Sí, ha una messa alla prova da minorenne, per rapina.
Andata a buon fine, reato estinto.
– Se ne erano occupati i miei colleghi… i miei ex col-
leghi della mobile. Sono passato da loro e mi hanno dato
in via amichevole copia del verbale di arresto e delle di-
chiarazioni della vittima, una signora che aveva fatto un
prelievo alla Posta.
– E dunque? Cosa ne viene fuori?
– E dunque, appunto, ne viene fuori che il tuo nuovo
cliente è un balordo. O almeno lo era da minorenne. Con
un altro che non è stato preso, e del quale lui non ha fat-
to il nome, cosa che lascia capire come fosse un bel delin-
quente formato già prima dei diciott’anni, erano presu-
mibilmente all’interno dell’ufficio postale per osservare
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chi faceva operazioni in contanti o ritirava la pensione.
Hanno visto questa signora che aveva prelevato una som-
ma consistente, l’hanno seguita fino a casa, sono entrati
nell’androne e le hanno puntato un coltello alla gola. Il
punto che in particolare li qualifica come due stronzi è
quello che le hanno detto.
– Cioè?
– «Tieni gli occhi bassi, troia, e non ci guardare in fac-
cia. Se ci guardi in faccia sei morta». Qualcosa del genere.
– Carini. Quanto le hanno tolto?
– Ottocento euro.
– E poi che è successo?
– Sono stati sfortunati. O almeno: è stato sfortunato
lui, perché l’altro è riuscito a scappare. Passavano in mo-
to lí davanti due ragazzi dell’antirapina, che hanno sentito
delle urla, hanno visto due che correvano e li hanno inse-
guiti. Uno lo hanno preso, ed era proprio il nostro cliente.
Anzi il tuo cliente.
– I soldi?
– Li aveva lui, cosí sono stati restituiti alla donna. Il
giovanotto è stato messo alla prova, si è comportato bene,
o ha simulato bene, e alla fine il reato è stato dichiarato
estinto. Però la rapina è brutta e le modalità suggeriscono
che lo avessero già fatto prima.
Presi un lungo respiro. Mi domandai se fosse stata una
buona idea accettare quell’incarico.
– Va bene, non lasciamoci condizionare –. Non avevo
nemmeno finito la frase, che già mi pareva falsa come una
sterlina di ottone.
La situazione non migliorò con l’intervento di Annapaola.
– Anch’io ho letto la sentenza. Stanotte. Molto sempli-
cemente: per me il ragazzo è colpevole. L’indagine è pulita
e la motivazione tiene.
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Mi voltai verso Consuelo, ma non era certo da lei che
potevo attendermi aiuto.
– Sono d’accordo. Anche per me è colpevole. Un brut-
to omicidio e non capisco perché hai assunto questa dife-
sa. Ecco, l’ho detto.
Avvertii la scarica di irritazione che mi percorre ogni
volta che discuto con Consuelo di questi argomenti e devo
confrontarmi con il suo massimalismo accusatorio. Fosse
per lei dovremmo occuparci solo di difese di parti civili o
di imputati inequivocabilmente innocenti. Non c’è dubbio
che avrebbe dovuto fare il pubblico ministero o il giudice
invece dell’avvocato penalista.
Attesi qualche secondo per non rispondere sull’onda
dell’irritazione, partire in totale svantaggio e dunque per-
dere nella discussione che stava per cominciare.
– Lo so anch’io che probabilmente è colpevole. O me-
glio: sembra anche a me che sia colpevole, – precisai.
– Allora perché hai accettato la difesa? – ripeté Con-
suelo. – Ne abbiamo parlato tante volte. Non siamo uno
studio che fa criminalità organizzata.
– Prima di tutto qui la criminalità organizzata non c’en-
tra niente. Nel peggiore dei casi, ove Cardace fosse dav-
vero colpevole, ci troveremmo di fronte a un regolamento
di conti fra piccoli spacciatori. E comunque ho una noti-
zia per te: se dovessimo guadagnarci da vivere accettando
solo le difese degli innocenti certificati, ci converrebbe
piuttosto andare a lavorare nei campi.
– Lavorare nei campi non è male, – replicò Annapaola,
con il suo tipico tono di quando non capisci se sta parlan-
do sul serio o ti sta prendendo in giro.
– Avete letto anche i verbali dibattimentali? – Sape-
vo che non era possibile, visto che non glieli avevo fatti
fotocopiare. La mia domanda serviva a guadagnare un
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po’ di respiro nella polemica in corso. Risposero di no,
ovviamente.
– Io li ho letti. La difesa è stata quasi inesistente.
– L’avvocato non era Costamagna? – chiese Annapao-
la. Il sottinteso era: Costamagna era bravo.
– Era già malato, e qualche settimana fa è morto. Nell’ul-
timo periodo non era piú lo stesso. Può darsi che fosse so-
lo sfinito, ma non è il punto fondamentale. Il punto fon-
damentale è che, in sostanza, Cardace non è stato difeso.
In pratica nessuna prova della difesa, a parte la testimo-
nianza della madre; e nessun controesame. Colpevole o
non colpevole, il ragazzo ha diritto a una difesa dignitosa.
Nessuno disse nulla. Adesso sembravano meno sicuri.
– Bisognerebbe chiedere la rinnovazione dell’istruttoria,
se trovassimo qualcosa. Solo che i termini sono scaduti,
l’udienza è fra dieci giorni, – disse Consuelo con un tono
piú conciliante di prima.
Come capitava quasi sempre, dopo una prima fase po-
lemica, cominciava a ragionare da avvocato e non da in-
quisitore.
– Dovremo chiedere dei termini a difesa. Domani vado
dal presidente Marinelli per anticiparglielo.
– Sempre che non si mettano a fare i fiscali, – conti-
nuò lei.
– Gli dirò con chiarezza qual è il problema, ammesso che
non lo conosca già lui. Credo che con Costamagna fossero
amici, o comunque si conoscessero bene. Immagino che
sappia com’era la situazione dell’ultimo periodo.
– Il ragazzo non lo hai ancora incontrato, vero? – do-
mandò Annapaola.
– Ci vado oggi per una prima chiacchierata. Vediamo
che tipo è.
– Cosa vuoi che facciamo? – chiese Tancredi.
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– Innanzitutto mi leggerei con attenzione le intercet-
tazioni per inquadrare il contesto e capire se quelle due
conversazioni fra Cardace e Gaglione poco prima dell’o-
micidio sono davvero cosí inequivoche. Poi credo che do-
vremmo porci il problema dello stub. È assodato che gli
abbiano trovato residui di sparo sul giubbotto, ma nelle
dichiarazioni spontanee il ragazzo ha detto di avere spa-
rato giorni prima indossando lo stesso giubbotto, e che
questo spiegherebbe la cosa. Bisogna stabilire se è una ri-
sposta che ha un senso…
– Teoricamente sí, – rispose Tancredi. – I residui dello
sparo possono rimanere su un tessuto anche per qualche
giorno. Ciò premesso, la storia che ha raccontato non si
può sentire. I giudici hanno fatto bene a non darle pe-
so. Sarebbe interessante sapere qualcosa di piú su que-
sta fantomatica seduta di tiro a segno. Se c’è qualcosa
di vero, o se è stata solo una trovata dell’avvocato per
seminare dubbi.
– Ne parlerò con il ragazzo. In tutti i casi procederei a
un sopralluogo dalle parti di casa della vittima, giusto per
farci un’idea. E ripeto, studiamo le conversazioni intercet-
tate. Se abbiamo qualche perplessità sul modo in cui sono
state trascritte, procuriamoci le registrazioni. Tra l’altro
sono state acquisite ex articolo 270 da un altro procedi-
mento, quello che pendeva per droga a carico del Gaglio-
ne, e dobbiamo valutare se può essere utile richiedere an-
che quelle non acquisite.
– I provvedimenti di autorizzazione? Non ci sono pro-
blemi di motivazione o altro? – intervenne Consuelo.
– Non sono impeccabili, ma francamente non vedo
gli estremi per una questione di inutilizzabilità. Comun-
que guardali anche tu e magari ne riparliamo. A parte le
richieste di rinnovazione, cerchiamo di capire se ci so-
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no da preparare motivi aggiunti, anche se a prima vista
non mi sembra: l’appello è sintetico, però contiene quel-
lo che serve.
Tancredi si spostò sulla sedia.
– Io credo che andrò a parlare con qualcun altro dei miei
ex colleghi della mobile, per capire se esistevano ipotesi al-
ternative che non hanno sviluppato. Mi faccio raccontare
meglio chi era il morto, come sono arrivati a lui per inter-
cettarlo, quali erano i suoi giri, se c’erano persone che non
gli volevano bene. E poi vediamo cosa sanno di Cardace,
oltre a quello che c’è scritto nelle carte.
– Dalle parti della casa di Gaglione ci vado io, e passo
al bar dove è stato visto. Nella sentenza non ci sono rife-
rimenti all’acquisizione di registrazioni video. Risulta da
altri atti? – chiese Annapaola.
– Non mi pare, e a dire il vero non ci avevo nemmeno
pensato.
– Allora quando sono lí cerco le eventuali videocamere.
In realtà dopo due anni le registrazioni non ci sono piú. Ma
proprio per questo uno potrebbe dire: perché non le avete
acquisite? Per suggerire una carenza nell’indagine.
– Sempre che sia andata cosí, – disse Tancredi, in un
riflesso condizionato di difesa dei suoi ex colleghi. – Può
essere che le abbiano prese, le abbiano visionate e non ci
abbiano trovato nulla di importante. Nel frattempo sono
emersi gli elementi rilevanti su Cardace, cosí hanno la-
sciato perdere e non hanno nemmeno menzionato la cosa
negli atti.
– Controlliamo. Se le telecamere ci sono, e le registra-
zioni non sono state acquisite, potrebbe valere la pena di
tirare fuori l’argomento.
Mi guardai attorno. Nessuno aggiunse altro e chiudem-
mo la riunione.
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Ancora una volta non dissi che conoscevo la madre
dell’imputato. Che l’avevo conosciuta (o avevo creduto
di conoscerla) molti, molti anni prima.
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  • 1. Einaudi. Stile Libero Big INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 1 08/10/19 11:09
  • 2. Dello stesso autore nel catalogo Einaudi Cocaina (con M. Carlotto e G. De Cataldo) Una mutevole verità La regola dell’equilibrio Passeggeri notturni L’estate fredda Le tre del mattino La versione di Fenoglio INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 2 08/10/19 11:09
  • 3. Gianrico Carofiglio La misura del tempo Einaudi INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 3 08/10/19 11:09
  • 4. © 2019 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it isbn 978-88-06-21814-0 INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 4 08/10/19 11:09
  • 5. La misura del tempo INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 1 08/10/19 11:09
  • 7. 1. – Che abbiamo oggi, Pasquale? – chiesi entrando in studio e pensando, nello stesso momento e per l’ennesima volta, che si trattava di un rituale di cui ero stanco. – Vediamo… la Colella dovrebbe venire finalmente a pagare. Poi c’è il consulente tecnico del processo Moretti, la questione della lottizzazione; passa a prendersi le car- te, ma dice che vuole parlare con lei cinque minuti. E alle sette una cliente nuova. – Chi è? Pasquale sfogliò, con il consueto lieve sussiego, il bloc- notes a spirale che porta sempre con sé. Ognuno di noi ha qualcosa che lo identifica e in cui, se ne è consapevole, si identifica. Per Pasquale è il bloc-notes. Li compra lui, senza metterli sulle spese di cancelleria dello studio, e li prende sempre uguali, di un tipo fuori moda che si trova solo in una vecchia cartoleria, polverosa e un po’ commo- vente, del quartiere Libertà. Hanno la copertina nera ru- vida e il taglio lievemente colorato di rosso, come quelli che usava mio nonno. – Si chiama Delle Foglie. Ha telefonato ieri pomeriggio, ha chiesto un appuntamento il prima possibile. Ha detto che è una cosa grave, che riguarda suo figlio. – Delle Foglie e poi? – In che senso, avvocato? – Ha lasciato solo il cognome? INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 3 08/10/19 11:09
  • 8. gianrico carofiglio 4 – Solo il cognome, sí. Per alcuni mesi, cosí tanti anni prima che preferivo non contarli, avevo conosciuto una ragazza che si chiamava Delle Foglie. Era stato in un’epoca lontana nel tempo e lontanissima nella memoria. Un periodo cui non avevo piú pensato dopo che era trascorso e si era dissolto. Mentre Pasquale parlava mi tornarono in mente ricordi indistinti e irreali, quasi riguardassero qualcun altro; eventi che mi sembrava di conoscere perché qualcuno me li aveva rac- contati, non perché mi fossero davvero accaduti. – Arriva alle diciannove. Se però ha altri impegni, – aggiunse Pasquale, forse notando qualcosa di strano nella mia espressione, – posso richiamarla. – No, no. Alle diciannove va benissimo. Pasquale tornò alla sua postazione in anticamera. Io pensai per qualche minuto a questa nuova cliente e decisi che non era la Delle Foglie di allora. Non c’era motivo che fosse lei, mi dissi in modo non particolarmente razionale, e archiviai la questione. A quel punto avrei dovuto dedicarmi allo studio dei fa- scicoli per le udienze del giorno successivo. Non ne avevo nessuna voglia e non era una novità. Da qualche anno mi aveva preso la nausea per le carte processuali e la sindro- me si aggravava, lenta ma inesorabile. Qualcuno ha scritto che bisognerebbe essere capaci di morire giovani. Non nel senso di morire davvero. Nel senso di smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di avere esaurito la voglia di farlo, o le forze; o quando ti accorgi di avere raggiunto i confini del tuo talento, se ne possiedi uno. Tutto ciò che viene dopo quel confine è ripetizione. Uno dovrebbe essere capace di morire giovane per rimane- re vivo, ma non accade quasi mai. Piú volte avevo pensa- to che grazie a quanto avevo guadagnato con la professio- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 4 08/10/19 11:09
  • 9. la misura del tempo 5 ne, e che avevo speso solo in minima parte, avrei potuto smettere, cedere lo studio e dedicarmi ad altro. Viaggiare, studiare, leggere. Magari provare a scrivere. Qualunque cosa pur di sfuggire alla presa di quel tempo che scorreva sempre uguale. Pressoché immobile nel suo reiterarsi quo- tidiano eppure velocissimo a dissiparsi. Il tempo accelera con l’età, si dice. Quel pensiero non era nuovo e quel giorno mi rimbal- zava spiacevolmente nella testa. La mattina avevo incontrato in corte d’appello un col- lega, quasi un amico. Enrico Garibaldi, avvocato civilista, «non parente del generale», diceva lui da ragazzo al mo- mento di presentarsi. Un tipo simpatico, con cui si poteva fare qualche buona risata. Un’ottima persona e anche un bravo professionista. A volte era capitato di frequentarsi. – Tutto bene, Enrico? – gli avevo chiesto sorridendo, stringendogli la mano. Non era una vera domanda. Una cosa che si dice cosí: tutto bene? Sí tutto bene e tu? Tut- to bene, dobbiamo vederci, certo dobbiamo vederci una sera di queste, ciao, ciao a presto. – Non troppo, veramente, – aveva risposto lui. E dopo una breve pausa, ma prima che potessi chiedere qualcosa o anche solo prepararmi (viso, tono di voce, tutto il necessa- rio) aveva continuato: – Due giorni fa è morta mia madre. Mi mancò l’aria per un istante, come per un pugno alla bocca dello stomaco. – Oddio, scusami Enrico, non sapevo. Mi dispiace tan- to, scusami… – Non ti preoccupare, Guido. Mica lo sapevi, appunto. E poi, mi vergogno, ma è stata una liberazione. Un anno di malattia ci aveva tolto tutta la dignità. Non solo a lei, poveretta. A noi, anche. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 5 08/10/19 11:09
  • 10. gianrico carofiglio 6 Fece una pausa. Gli occhi diventarono lucidi. Io rima- si zitto, essenzialmente perché non sapevo che dire. Lui esitò, poi decise che aveva bisogno di parlare. Forse stava aspettando di incontrarmi – non proprio me, aspettava di incontrare qualcuno ed ero capitato io – per liberarsi al- meno un poco. – Sai, ti accorgi che perdi la dignità nell’insofferenza, nei gesti di stizza, nei rimproveri che rivolgi a una per- sona umiliata dalla vecchiaia e dalla malattia. Una perso- na che non comprende perché i suoi figli la trattino con asprezza –. Non riuscí a continuare. – Oh, cazzo, – ag- giunse solo, con la voce che gli si incrinava. Poi gli tre- marono le labbra e si mise a piangere. Vinsi l’impulso a guardarmi attorno per controllare se qualcuno ci stava osservando e si chiedeva cosa stesse succedendo. Il mio vecchio problema con il giudizio degli altri. – Ti va di andare a prendere un caffè? Mi fissò stupito. Poi tirò su col naso e annuí con un lam- po di gratitudine negli occhi. Cosí uscimmo dal tribunale e mentre passeggiavamo lui cominciò a raccontare. – Sai qual è stata la cosa peggiore, Guido? Che prima di morire per dieci giorni non ha dormito. Cioè quando ha capito che stava per morire. Ottantotto anni, eppure, come tutti, aveva l’angoscia della morte. Me lo ha spiega- to la psicologa che ci ha aiutato, me e mio fratello. Aveva paura di prendere sonno e di non svegliarsi piú. Per questo non si addormentava. È una cosa di cui non mi capacito, che mi sgomenta. Una volta arrivati a quell’età bisogne- rebbe essere rassegnati, ho sempre pensato. – Forse non ci si rassegna mai… – No, non ci si rassegna mai. – C’è una frase di Marcello Mastroianni… la disse in un’intervista quando era già anziano. Era cosí, piú INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 6 08/10/19 11:09
  • 11. la misura del tempo 7 o meno: «Mi piace cenare con gli amici. Allora, perché devo morire?» Enrico sorrise, annuí come per condividere. Era una fra- se amara, in apparenza. Però magari lo fece sentire meno solo con la sua tristezza. Ci sedemmo a un caffè vicino al tribunale. Un posto piuttosto brutto che, proprio per quel motivo, garantiva quasi sempre un tavolino libero e tranquillo. – Hai mai fatto caso, Guido, a come la vita sembri ac- celerare con l’età? – Ci faccio caso quasi tutti i giorni. – Mamma, prima che la sua situazione si aggravasse, lo diceva spesso. Ho i pensieri di una ragazza e il corpo di una vecchia. Perché? Ricordai i miei genitori. Erano andati via ancora gio- vani, sulla soglia dei sessanta, a pochi mesi l’uno dall’al- tra. Quasi come Filemone e Bauci, un mito che mia madre amava. Non avevo fatto in tempo a parlare davvero con loro. Sapevo pochissimo su mio padre e su mia madre. Per esempio non avevo mai saputo se prima di incontrarsi e fi- danzarsi e sposarsi avessero avuto qualcun altro. Un amo- re disperato finito tragicamente; o tanti piccoli fidanza- menti; o chissà che cosa. Da piccolo per me era del tutto inimmaginabile che mio padre potesse aver toccato una donna diversa da mia madre; piú che inimmaginabile che mia madre avesse toccato un uomo diverso da mio padre. Su certi temi erano entrambi molto impacciati. Quando avevo otto anni e nessuna idea sulle questioni del sesso e della riproduzione, mio padre mi fece un discorso. Era ca- pitato che chiedessi qualcosa a proposito delle uova. Perché in alcuni casi fossero uova appunto, che noi mangiavamo – e a me piacevano molto – e in altri invece custodissero i pulcini che a un certo punto venivano fuori, come si po- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 7 08/10/19 11:09
  • 12. gianrico carofiglio 8 teva ben vedere nei sussidiari, nei fumetti e nei cartoni animati. Mio padre mi spiegò che la presenza del pulci- no dipendeva dal fatto che la gallina fosse andata o no a farsi una passeggiata con il gallo. «Se la gallina va a fare la passeggiata col gallo, – disse, – nascono i pulcini. Al- trimenti le uova si possono mangiare». La spiegazione determinò molti piú problemi di quan- ti ne avesse risolti. Mentre mio padre tornava a dedicarsi alle sue cose, considerando evidentemente adempiuto il suo compito educativo, io mi ponevo – e avrei continua- to a pormi per anni – domande tormentose. Quando, con precisione, compariva il pulcino all’interno dell’uovo? Esi- steva un itinerario specifico perché la passeggiata produ- cesse questo strabiliante effetto? Cosa accadeva se gallo e gallina erano rinchiusi in un pollaio e non ammessi alle passeggiate? Col tempo cominciai ad avere idee meno confuse su cer- te faccende, e a volte pensai di chiedere a mio padre cosa lo avesse indotto a raccontarmi una storia tanto surreale. Non lo feci. Mi capita di elaborare l’inventario di quello che mi han- no lasciato i miei genitori. Perlopiú sono cose buone, se non decisive. Per esempio una nozione, deliberatamente semplice, dell’onestà: un concetto su cui non dovevano esserci sottili distinzioni. Poi il rispetto per gli altri. Poi l’amore per le idee. Altre cose che mi hanno trasmesso sono piú ambi- gue. Possono essere buone o meno buone a seconda di come si inseriscono nella struttura di una personalità. Fra queste la convinzione, radicale come un postulato etico, che bisogna sempre sbrigarsela da soli. Credo che il precetto venisse da lontano; da un’antica, quasi ance- strale, paura dei debiti. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 8 08/10/19 11:09
  • 13. la misura del tempo 9 Ci ho riflettuto molti anni dopo, esaminando la mia grande difficoltà ad accettare aiuto. Sapersela sbrigare da soli è bene. Credere di doverse- la sbrigare sempre da soli, senza mai chiedere aiuto, è una debolezza travestita da forza. Se non sai chiedere aiuto, di regola non sai nemmeno cosa fare quando ti viene of- ferto spontaneamente, quando sarebbe morale accettarlo (e immorale rifiutarlo). – Pochi mesi prima di morire, era ancora lucida, mam- ma ha detto una cosa che mi ha lasciato sbigottito, – pro- seguí Enrico. – Hai voglia di dirmela? – Sí. Ha detto che le era difficile immaginare il mon- do senza di lei. Quando sei giovane e pensi a un mondo e a un tempo in cui tu non esistevi, la cosa non ti turba. Perché la storia sembra dotata di una direzione implicita che porta fatalmente al momento in cui sei tu a irrompe- re sulla scena. Il mondo senza di noi prima di noi è una lunga fase preparatoria. Il mondo senza di noi dopo di noi invece è semplicemente il mondo senza di noi. Finché ap- pare lontano riusciamo a placare l’angoscia dell’idea. Ma io so che fra qualche settimana, al massimo qualche me- se, non ci sarò piú e il mondo continuerà a esistere, senza nemmeno una increspatura. Senza nemmeno un sussulto. Voi piangerete, ma poi dovrete occuparvi delle questioni pratiche e smetterete di piangere. E comunque sarete sol- levati che questa sofferenza non ci sia piú. Potrete disto- gliere lo sguardo e occuparvi di vivere. Come è giusto. E tutto sarà finito. Feci un respiro profondo e lasciai andare l’aria. – Come si chiamava la mamma? – Agnese. Ha insegnato per quarantadue anni italia- no e latino. I suoi studenti la amavano. Ancora adesso INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 9 08/10/19 11:09
  • 14. gianrico carofiglio 10 ne incontro che si ricordano di lei e dicono che se hanno imparato ad amare i libri e la lettura e tante altre cose è stato per lei. Rimanemmo in quel bar ancora per un po’. Quando uscim- mo non aveva piú gli occhi arrossati per il pianto. In qualche modo riuscii a studiare le udienze e a sbri- gare le altre incombenze del pomeriggio. Alle diciannove in punto sentii in lontananza il cam- panello – la mia stanza è all’estremità opposta dello stu- dio – e mezzo minuto dopo Pasquale si affacciò, chiese se poteva fare accomodare la signora Delle Foglie, io dissi di sí, lui aprí del tutto la porta e fece entrare una donna. Era alta, piuttosto magra, capelli corti grigi, e indossava una giacca di pelle un po’ larga, un po’ sformata. Venne verso la scrivania, io mi alzai, lei lesse lo stupo- re nel mio sguardo. – Ciao Guido. Non mi riconosci? Sono Lorenza. Era Lorenza. Cioè lei. Se l’avessi incrociata per strada non l’avrei ri- conosciuta. Era lí davanti a me, a quel punto sapevo benissimo chi fosse, ma ugualmente non ne avevo la piú pallida idea. Una sensazione mai sperimentata con tanta intensità; nemme- no quando mi era successo di incontrare vecchi compagni di scuola persi di vista da decenni e trasformati in signori grassi e calvi. Siccome non sapevo chi fosse, nemmeno sapevo come salutarla. Mi ero alzato e feci il giro della scrivania. Anche lei non sapeva come comportarsi e cosí ci abbracciammo goffamente, avvertendo entrambi la poca spontaneità, la forzatura del gesto. Sentii odore di sigaretta appena fuma- ta e, piú denso e spiacevole, odore di molte altre sigarette INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 10 08/10/19 11:09
  • 15. la misura del tempo 11 fumate una dopo l’altra, che avevano impregnato gli abiti e i capelli, tinto di nicotina le mani e le unghie. La invitai a sedersi e mi sedetti anch’io. – Sei uguale, Guido. Mi fa quasi impressione guardarti. A parte qualche capello grigio sei uguale. Sorrisi imbarazzato. Stavo cercando la maniera di ricam- biare il complimento, ma non la trovai. Pensai che l’avrei offesa dicendo una bugia troppo grossa, del tipo: anche tu non sei cambiata, o cose del genere. Quando ci eravamo conosciuti lei aveva quasi trent’an- ni e io quasi venticinque. Dunque ora ne aveva cinquan- tasette, ne dimostrava di piú ed era nel mio studio per parlarmi di una questione seria e urgente che riguarda- va suo figlio. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 11 08/10/19 11:09
  • 16. 2. – Prima di arrivare qui ho fatto il conto: sono venti- sette anni. – Eh sí, – risposi quasi contemporaneamente, complimen- tandomi con me stesso per lo sforzo di originalità. – Spesso ho avuto la tentazione di passare a salutarti, a fare due chiacchiere. Soprattutto quando leggevo di te sui giornali, per qualche processo. Ti ho anche intravisto per strada, ma non ho trovato il coraggio di chiamarti e fermarti. Non mi ero mai accorto di averla incrociata. L’ultima volta che l’avevo vista era stato nel settembre 1987, poi era scomparsa dal mio orizzonte. Non l’avevo piú incon- trata e non ne avevo piú saputo nulla. Avevo pensato – finché mi era capitato di pensarci – che fosse andata via da Bari, come del resto ripeteva di voler fare. Con un lieve senso di vertigine mi resi conto che non avevo mai parlato a nessuno di lei, di quei mesi in cui le nostre vite si erano toccate. Forse per questo il mio ricor- do era sfumato fino a diventare impalpabile. Col tempo un ricordo non raccontato diventa sempre meno vero. Per poi confondersi con materiali ancora piú impalpabili della no- stra mente: sogni, fantasticherie, leggende private. Non dissi nulla di tutto questo. – Di… di che ti occupi? – Insegno, faccio anche altro, ma essenzialmente inse- gno a scuola. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 12 08/10/19 11:09
  • 17. la misura del tempo 13 – Anche allora facevi un sacco di cose… – Beh, non il genere di cose di allora… ma insomma, non importa, non sono venuta per parlare di me –. La voce si indurí, come per proteggere una zona vulnerabile. Mi strinsi nelle spalle, accennai un sorriso, la guardai con espressione interrogativa. Lei contrasse i muscoli del- le mascelle. – Sono qui da te per una ragione professionale. Nel sen- so della tua professione, ovvio. – Cosa è successo? Indugiò, la sua mano andò a una tasca della giacca in un gesto automatico, come a cercare il pacchetto delle sigarette. – Non so come cominciare. – Andare da un avvocato penalista è quasi sempre un’e- sperienza non piacevole. È improbabile che ci si senta a proprio agio, ma non abbiamo nessuna fretta. Pasquale, il mio collaboratore, mi ha anticipato che c’entra tuo figlio. – Mio figlio, sí. – Quanti anni ha? – Iacopo ha venticinque anni appena compiuti. È abba- stanza grande per avere già avuto problemi piuttosto se- ri, con la giustizia e non solo –. Prima di continuare pre- se fiato e si schiarí la gola: – Ora è in carcere. Da piú di due anni. Con una condanna in primo grado per omicidio. Mi spiegò cosa era successo, e nel suo racconto non c’era nulla di buono. Iacopo era sempre stato un ragazzo problematico. Forse perché non aveva mai avuto davvero un padre, ma chi può dirlo? Non spiegò questa frase e io non feci domande, solo un rapido calcolo mentale: non poteva essere figlio mio. In ogni caso, continuò Lorenza, sin dai tempi del liceo non aveva mai smesso di ficcarsi nei guai. Piccole storie di droga, risse, furti nei supermercati, due bocciature, un INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 13 08/10/19 11:09
  • 18. gianrico carofiglio 14 pestaggio al nuovo fidanzato della ragazza che lo aveva lasciato. In un modo o nell’altro lei era riuscita a farlo di- plomare; si era anche iscritto all’università – Giurispru- denza, tanto per essere originale – ma non aveva dato esa- mi. Invece era rimasto coinvolto in una rapina per cui lo avevano arrestato. Era ancora formalmente incensurato e aveva potuto patteggiare con la sospensione della pena. La vicenda non gli era servita di lezione; Lorenza era si- cura che spacciasse nelle discoteche e per molto tempo si era chiesta come tirarlo fuori da certi giri. Tutto questo era la premessa. Prima di passare alla ragione per cui adesso lei era seduta davanti a me, nel mio studio. Meno di tre anni prima Iacopo era stato arrestato con l’accusa di avere assassinato un tizio, con ogni probabilità suo fornitore abituale di sostanze stupefacenti. C’era stato il processo e, nel maggio dell’anno prece- dente, i giudici della corte di assise lo avevano condanna- to a ventiquattro anni di carcere piú accessori. Questo il succo della vicenda, in sintesi estrema. – Prima di entrare nei dettagli, – intervenni, – devo far- ti una domanda. Se Iacopo è già stato processato, significa che aveva un legale. Noi abbiamo degli obblighi deonto- logici rispetto ai colleghi… – È morto –. Mi parve di cogliere una nota di impazien- za nella voce. – È morto qualche settimana fa. Dunque non credo ci siano problemi deontologici. – Chi era? Era – era stato – Michele Costamagna, un ottimo pro- fessionista, fino a quando la malattia non gli aveva divo- rato il cervello. Oltre a essere competente, era sempre stato capace, almeno nella sua epoca d’oro, di muovere le leve giuste ogni volta che era possibile. Negli ultimi an- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 14 08/10/19 11:09
  • 19. la misura del tempo 15 ni, anche prima della malattia, aveva perso parte del suo appeal perché molti dei suoi amici – giudici, pubblici mi- nisteri, alti ufficiali, alti funzionari – avevano cominciato ad andare in pensione e quelli nuovi, i giudici soprattut- to, erano meno malleabili e frequentavano meno i circoli della città. Ma negli anni in cui io ero un giovane avvoca- to, Costamagna era uno di quelli da cui dovevi andare, se la questione era particolarmente seria. Nella maggioranza dei casi lui ci metteva una pezza. Non avevo mai saputo di cose chiaramente illecite, ma insomma, Costamagna era come Mr Wolf di Pulp Fiction: risolveva i problemi. E per questo si era sempre fatto pagare molto bene. Oltre i limiti dell’avidità, secondo qualcuno. Un paio di anni prima si era ammalato, e la decaden- za, iniziata da un po’, era diventata rapida e sempre piú evidente. Perdeva il filo durante le arringhe; si confondeva nei controinterrogatori e in generale durante le istruttorie di- battimentali; capitava che dimenticasse il nome del suo cliente o quello del giudice. Nelle ultime settimane non era piú nemmeno riuscito ad andare in tribunale. Era morto poco dopo le feste di Natale, e adesso eravamo all’inizio di febbraio. Insomma si poteva ipotizzare che, almeno nell’ultimo anno, i clienti di Costamagna non avessero ricevuto – per usare un eufemismo – un’assistenza adeguata. Certo c’era l’apparato dello studio, i praticanti, la figlia, ma un pro- cesso in corte d’assise per omicidio era appannaggio esclu- sivo del vecchio. Quindi, se Iacopo era stato assistito in corte d’assise dall’avvocato Costamagna – dall’ombra di quello che era stato l’avvocato Costamagna, nel bene e nel male – di si- curo non aveva avuto la migliore difesa possibile. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 15 08/10/19 11:09
  • 20. gianrico carofiglio 16 Era facile da immaginare e fu in sostanza quello che mi raccontò Lorenza. Erano andati da Costamagna per via della sua antica reputazione e su consiglio di un pa- rente. Lui si era fatto pagare un sacco di soldi, ma la di- fesa era stata fiacca, se non proprio inesistente, sia nella fase delle indagini preliminari, sia nel dibattimento. Do- po la condanna aveva assicurato che in secondo grado le cose sarebbero andate in modo diverso. Come sempre, aveva aggiunto con un bagliore della vecchia arroganza. E aveva chiesto un ulteriore anticipo. Costamagna – o piú probabilmente qualcuno dei collaboratori di studio – aveva scritto un atto di appello di poche pagine. Loren- za non era un’addetta ai lavori, ma quell’impugnazione le era sembrata davvero debole. – Poi le sue condizioni si sono aggravate. Un paio di appuntamenti sono saltati, l’hanno ricoverato ed è morto. – L’udienza del processo di appello è stata già fissata? – La prima è fra due settimane. – Cosa? – Mi resi conto di un picco nel mio tono di voce che non ero riuscito a moderare. – Due settimane? – Sí. Nei giorni scorsi sono stata allo studio di Costa- magna. Ho parlato con uno dei suoi collaboratori, uno che mi è parso un idiota. Mi ha chiesto un nuovo anticipo. Gli ho detto che avevo già pagato un sacco di soldi e lui mi ha risposto che quelli erano per il primo grado di giudizio e per la stesura dell’atto di impugnazione. Adesso c’era da preparare il processo di secondo grado, valutare nuove prove ed eventuali richieste, e ha usato delle espressioni tecniche che non saprei ripeterti, che non ho capito e che sembravano buttate lí apposta per non farmi capire niente. – Usa, in effetti. – Ho perso la calma, gli ho detto che dopo quello che avevo pagato allo studio, in buona parte in nero, fra l’al- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 16 08/10/19 11:09
  • 21. la misura del tempo 17 tro, non poteva dirmi che non bastava ancora, e in una fase cosí delicata, quando stava per cominciare il proces- so di appello. – Ti ricordi chi era? Disse un nome. Uno per cui la definizione di idiota era inutilmente benevola. Non gli avrei affidato la par- te dell’avvocato nemmeno in una recita scolastica. Evi- tai di condividere questo mio giudizio; annuii e le chiesi di continuare. – Mi ha detto che comunque, se non eravamo soddisfatti delle prestazioni garantite dallo studio Costamagna, pote- vamo rivolgerci altrove. Allora ho proprio alzato la voce, gli ho urlato di tutto. Lui è diventato rosso, ha risposto che su quelle basi era meglio interrompere il nostro rap- porto professionale e mi ha invitato ad andarmene. Nei giorni successivi mi sono domandata se non fosse stata una fesseria reagire in quel modo. Non sapevo cosa fare e non sapevo dove andare. Cosí ho pensato a te. Nella mia mente si insinuò un pensiero spiacevole. Non era venuta da me perché pensava fossi un bravo avvoca- to. Era venuta da me perché non sapeva dove sbattere la testa, era senza un soldo ed evidentemente immaginava, considerati i nostri remoti trascorsi, che avrei lavorato a credito o, meglio ancora, gratis. Mi innervosii e decisi di mettere subito in chiaro la questione: questa faccenda di fare l’avvocato per beneficenza era già capitata trop- pe volte. Cara signora (scuserà il tono formale, che potrà sem- brarle strano visto che siamo stati senza vestiti nelle stesse lenzuola, ma data la situazione preferisco un certo grado di formalità), volentieri accetterò l’incarico di esaminare il fascicolo relativo alla vicenda processuale di suo figlio. La prego però di portarsi preliminarmente in segreteria INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 17 08/10/19 11:09
  • 22. gianrico carofiglio 18 e di versare la somma di acconto che le indicheranno i miei collaboratori. La circostanza che molti, molti an- ni fa siamo stati… intimi per qualche mese, è purtroppo irrilevante, trattandosi di lavoro. Lavoro impegnativo, aggiungo: un processo già parecchio compromesso e non relativo a vicende insignificanti. Insomma, un incarico che, qualora dovessi accettarlo, mi costerebbe un sacco di tempo e di fatica. Mentre facevo queste rapide e sgradevoli considerazioni nella mia testa, pensai che non avevamo parlato neanche un secondo del merito del processo. Di cosa era concreta- mente accusato il ragazzo, se fosse innocente o colpevole. Cosí lasciai perdere l’anticipo – e la mia dignità e la mia autostima offese – e le chiesi di riassumermi i fatti del processo. Insomma, qual era con precisione l’accusa? E soprattutto: quali erano le prove che avevano portato alla condanna? Lei mi raccontò. E ciò che ascoltai non mi piacque af- fatto. Per quanto si capiva dal suo resoconto, piuttosto ac- curato, anche se proveniente da una non addetta ai lavori, il figlio era messo male. Gli elementi a carico del ragazzo erano indiziari ma – come si dice nel nostro gergo tecni- co – gravi, precisi e concordanti. – Guido, sono venuta da te perché non sapevo a chi ri- volgermi. Andare da Costamagna è stato un errore, adesso l’ho capito. Ma tutti mi dicevano che era bravo e anche ben ammanicato. Tu di sicuro sai come ci si sente quando di colpo ci si trova coinvolti in una cosa simile. È come sco- prire all’improvviso di avere una malattia grave. Ti pren- de il panico, cerchi aiuto, chiedi in giro quale può essere la scelta migliore e… – Certo, non è facile rimanere lucidi. E in ogni caso Co- stamagna è stato un buon avvocato. Forse anche un ottimo INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 18 08/10/19 11:09
  • 23. la misura del tempo 19 avvocato. Purtroppo nell’ultimo periodo la malattia aveva compromesso le sue capacità. Quello che intendo, – conti- nuai, – è che non devi biasimarti per esserti rivolta a lui. Semplicemente le cose sono precipitate. Lei annuí, come per ringraziarmi di averle tolto un peso: la sensazione di avere fatto la scelta sbagliata e di essere in qualche modo corresponsabile della piega che avevano preso gli eventi. Poi riprese. – Voglio chiarire che non mi aspetto che tu lavori gra- tis. Solo che adesso non ho soldi. Per scrivere l’appello Costamagna ha prosciugato i miei risparmi, ho anche fat- to dei debiti. Sono una precaria della scuola, e mi arra- batto pure con altri lavori, ma non è facile. Però ti pro- metto che pagherò quello che devo, mi basta avere un po’ di respiro. Bizzarro come funziona la nostra mente. Mi ero infa- stidito all’idea che fosse venuta da me per una questione di denaro che non aveva. E adesso che lo aveva detto in modo esplicito, il fastidio era scomparso. Estratta dal- la penombra dell’ego suscettibile la questione diventa- va una cosa normale e priva di qualsiasi caratteristica offensiva. Cosí, in perfetta contraddizione con quello che ave- vo pensato poco prima, feci un gesto con la mano come a sgombrare lo spazio fra di noi. – Non preoccuparti dei soldi. Ne parleremo dopo. Adesso ci sono un paio di cose che dobbiamo chiarire: una urgente e importante; l’altra molto importante an- che se meno urgente. Quella urgente riguarda la prima udienza del processo di appello. Ti ricordi la data esatta? Mancavano sedici giorni all’udienza. Il termine di leg- ge per la presentazione di motivi aggiunti all’appello e per formulare richieste di rinnovazione dell’istruttoria INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 19 08/10/19 11:09
  • 24. gianrico carofiglio 20 dibattimentale (cioè l’acquisizione di nuove prove non acquisite in primo grado) è di quindici giorni: non c’era il tempo per preparare nulla. Fra l’altro, non esisteva an- cora una nomina formale, che avrebbe dovuto fare diret- tamente l’interessato alla matricola del carcere. Dunque non ci restava che chiedere una remissione in termini. Significa che, a certe condizioni, si può chiedere al giu- dice di non far valere un termine scaduto e di assegnar- ne uno nuovo. Però è necessario dimostrare che è stato impossibile osservare quello stabilito in precedenza per caso fortuito o forza maggiore. In pratica dovevamo so- stenere che la morte dell’avvocato Costamagna era il ca- so fortuito o la forza maggiore da cui far discendere l’i- stanza. Una cosa non scontata. Comunque: un inizio in salita. Ero proprio nel mezzo di simili ragionamenti e lei riprese a parlare. – Guido, Iacopo è innocente. Ne ha combinate tante, è un ragazzo difficile, forse anche per colpa mia, ma non ha commesso quell’omicidio. Dicono tutti cosí, i genitori o gli amici o i fidanzati e le fidanzate. Il mio bambino, il mio collega, il mio amore non può aver commesso un’azione del genere. Fidatevi, io lo conosco bene. Se ci attenessimo alle convinzioni dei congiunti, il reato di omicidio (e molti altri, per la verità) scomparirebbe dalle statistiche. Annuii, senza commentare. Commentare è sconsiglia- bile su certi argomenti appunto con gli amici, i fidanza- ti e le mamme degli imputati. Lei dovette leggermi nel pensiero. – Non lo dico perché sono la mamma. Lo dico perché quando è stato commesso l’omicidio Iacopo era con me, a casa. Leggerai le carte: quello che ho detto nella mia INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 20 08/10/19 11:09
  • 25. la misura del tempo 21 testimonianza è la verità, anche se i giudici non mi han- no creduto. Ecco, questa era un po’ diversa dalla solita convinzio- ne del tipo «mio figlio è un bravo ragazzo, non sarebbe capace di fare male a una mosca». Restava da capire se fosse la verità. Parecchi di coloro che vengono indagati per un omi- cidio sono colpevoli; molti di quelli che vengono rinvia- ti a giudizio per omicidio sono colpevoli; moltissimi – la stragrande maggioranza – di quelli che vengono condan- nati per omicidio in primo grado sono colpevoli. Questo non vuol dire che non ci siano degli innocenti indagati, processati e anche condannati. Ma vi assicuro che sono pochi, davvero pochi, indipendentemente dal fatto che in numerosi casi vengano assolti. Vengono assolti per di- fetti delle indagini, per vizi di procedura, anche per la bravura dell’avvocato. Solo nella minoranza dei casi per- ché sono innocenti. Insomma, se il figlio di Lorenza era stato condannato in primo grado per un omicidio, probabilmente era colpevole. Non erano riflessioni da condividere con la madre dell’imputato. – Va bene, – dissi. – Avrò bisogno delle copie degli at- ti al piú presto, meglio già domani. E tuo figlio dovrà no- minarmi, revocando ogni mandato precedente. Prima di fare qualsiasi cosa dovrò chiamare lo studio Costamagna e comunicare loro che sono stato incaricato di questa difesa. – Perché? – È un’usanza professionale. Cosí facciamo finta di ri- spettarci a vicenda. Poi andrò subito a trovare il presidente della corte di assise d’appello per parlargli della necessità di richiesta di remissione nei termini. Non è una situazio- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 21 08/10/19 11:09
  • 26. gianrico carofiglio 22 ne facile, è giusto che tu lo sappia: se la corte si forma- lizza avremo un problema molto grosso. C’è qualcosa che vuoi chiedermi? – Grazie, – disse soltanto. Mi strinsi nelle spalle. – Allora direi che per ora è tutto. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 22 08/10/19 11:09
  • 27. 3. La mattina dopo andai in udienza con la mia collega, Consuelo Favia. È nata in Perú ed è stata adottata da un mio amico e collega civilista quando aveva quattro anni. È visibilmente andina nei tratti – olivastra, occhi scuri mobilissimi, guance paffute e zigomi alti – incon- fondibilmente barese per tutto il resto, inclusi l’accento, tipico del centro città, e la capacità di parlare un dialetto impeccabile quando è necessario. È venuta a lavorare con me che era una ragazza e aveva appena superato gli esami per la professione. Adesso è l’avvocato anziano dello stu- dio. Ogni volta che ci faccio caso – per me è sempre stata una ragazzina – provo un disagio che devo scacciare per evitare altri pensieri a cascata. Camminando verso il tribunale le raccontai dell’incon- tro con Lorenza. Omisi il dettaglio della nostra conoscen- za pregressa, non so bene per quale motivo. – Che impressione ti ha fatto? – Lei o la storia? – Tutte e due. Non risposi subito. In realtà non sapevo bene che im- pressione mi avessero fatto, lei e quello che mi aveva detto. Di solito in questi casi – e in questo piú che in altri – ho due sensazioni confliggenti. Una deriva dalla mia natura- le, ingenua tendenza a credere alla gente. Il motivo per cui da ragazzino era cosí facile darmela a bere. L’altra, la INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 23 08/10/19 11:09
  • 28. gianrico carofiglio 24 diffidenza, è un fatto intellettuale, deriva dalla conoscen- za di come vanno di solito le cose. – Non lo so, – risposi infine. – Dice che quando è sta- to commesso l’omicidio il ragazzo era con lei, a casa. Se è vero… – Ovviamente ha deposto e ovviamente i giudici non le hanno creduto. – Sí. Bisognerà esaminare tutto con calma. Quando ar- rivano le carte faccio fare le copie della sentenza in modo che la leggiate subito anche tu, Tancredi e Annapaola. Poi proviamo a fare il punto. – Dovrai andare a parlare con il presidente Marinelli per il rinvio, altrimenti c’è poco da fare il punto. Ci separammo all’ingresso del tribunale. Io andai a far- mi un paio di entusiasmanti processi per bancarotta frau- dolenta e lei a costituirsi parte civile in un processo contro uno stalker. Consuelo è un avvocato penalista, ma ha l’ani- ma di un pubblico ministero. Difendere gli imputati della cui innocenza non è convinta le costa un sacco di fatica. Cosí ci dividiamo i compiti in modo piuttosto naturale: io prendo quasi tutte le difese degli imputati, lei prende quasi tutte le difese delle vittime, in particolare di reati come violenza sessuale, stalking e maltrattamenti. Nessun imputato e nessun avvocato di questi processi è mai con- tento di averla sul banco della parte civile. Rientrai in studio nel primo pomeriggio e sulla scrivania trovai già la copia integrale del fascicolo del figlio di Lo- renza. Iacopo Cardace, si chiamava il ragazzo. Il cognome non mi diceva niente, quindi, probabilmente, il padre non era qualcuno che avessi conosciuto quando ci frequenta- vamo – frequentavamo?, che espressione mediocre, pen- sai – con la madre. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 24 08/10/19 11:09
  • 29. la misura del tempo 25 C’era anche una busta con un biglietto scritto a penna. Questo è il fascicolo. Oggi sono andata a colloquio con Iacopo e gli ho detto di nominarti e di revocare tutte le no- mine precedenti. Dal carcere dovrebbe arrivarti al piú presto la comunicazione. Grazie. L. La grafia era appuntita, elegante, un po’ difficile da decifrare. Uscii a mangiare qualcosa nel negozio biologico con cu- cina vicino allo studio. Resistetti all’impulso di prendere anche un bicchiere di vino. Feci una breve incursione al- la Feltrinelli, anch’essa poco lontana. Vagabondai fra gli scaffali, una forma di ansiolitico per me, salutai qualche frequentatore abituale della libreria nel primo pomeriggio, comprai gli aforismi e frammenti di Kafka dopo averne letto qualcuno. Il numero 38 cosí recitava: «Un tale si meravi- gliava della facilità con cui percorreva la via dell’eternità. Di fatto la stava percorrendo in discesa». Rientrai in studio ed elaborai un piano d’azione. So- no molto bravo a elaborare piani per guadagnare tempo e ritardare il momento in cui devo mettermi davvero al lavoro. Avrei sbrigato le seccature pomeridiane – perlopiú appuntamenti, perché era venerdí e il giorno dopo non c’erano udienze – quindi avrei telefonato allo studio Co- stamagna e li avrei informati delle novità. Ero certo che non si sarebbero strappati i capelli: processo non buo- no; cliente non in grado di pagare ulteriori esosi antici- pi, peraltro ampiamente ingiustificati ora che il vecchio non c’era piú. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 25 08/10/19 11:09
  • 30. gianrico carofiglio 26 Dopo mi sarei portato il fascicolo a casa e avrei studiato un po’ il processo. Annapaola era andata a Londra con due sue amiche. Sarebbe tornata il lunedí successivo. Non ave- vo voglia di chiamare altre persone per uscire e non avevo voglia di uscire da solo. Era la sera ideale per cominciare a capire in cosa mi stavo infilando. Quando chiamai lo studio Costamagna chiesi della fi- glia, l’erede. Assomigliava al padre solo nell’aspetto, e questo non era un complimento; era sempre stato un uo- mo piuttosto grasso. La informai del fatto che il loro cliente Cardace quella mattina doveva avermi nominato, anche se la comunica- zione dal carcere non era ancora arrivata. – Spero che con i pagamenti sia tutto a posto, – dissi, piú che altro per vedere come reagiva. – Non me ne sono occupata io. Erano papà e Pinelli, – quello che Lorenza aveva correttamente definito un idio- ta, – ma conosco la pratica. Pratica. Un uomo che stava in carcere da parecchio tem- po e che con ogni probabilità ci sarebbe rimasto per molto tempo ancora. Pratica. Il lessico rivela molto delle perso- ne, pensai. Poi pensai che, forse, le mie erano riflessioni banali. Capita spesso, non riesco a trattenermi. Mariella Costamagna continuò a parlare. – Credo che ci sia ancora qualche sospeso, ma non preoccuparti. Considerate le circostanze non ci forma- lizzeremo. Dovetti trattenere due o tre battute salaci. Se Loren- za mi aveva detto la verità sulle parcelle – e in proposito non avevo troppi dubbi, conoscendo Costamagna – ipo- tizzare la presenza di sospesi era una bugia e, prima an- cora, una discreta volgarità. Piú o meno come l’uso del termine pratica. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 26 08/10/19 11:09
  • 31. la misura del tempo 27 – Comunque non ti invidio, – aggiunse lei. – È un pro- cesso chiuso, diceva papà. Il tizio è colpevole, non c’è mol- to da fare. Al massimo provare a limitare i danni. Forse, se confessa, riesci a ottenere un po’ di sconto. Chiudemmo la telefonata e la sensazione molesta di quel- le ultime parole mi rimase addosso per tutto il pomeriggio, come un sottofondo spiacevole. E mi prese una specie di urgenza di leggere il fascicolo e di rendermi conto di co- me stavano le cose. Feci fare a Pasquale tre copie della sentenza. Una per Consuelo, una per Annapaola, una per Tancredi. Annapaola è un’investigatrice privata – certo che in- vestigatrice suona tanto male – che prima faceva la gior- nalista di cronaca nera e giudiziaria, e prima ancora va- rie altre cose non tutte chiarissime. Lei è quella che ha smentito la mia consolidata sfiducia verso la sua categoria. Finché non ho incaricato lei di una indagine difensiva e non ho visto i risultati, ero convinto che gli investigato- ri privati servissero essenzialmente a tre cose: trovare le prove delle infedeltà coniugali, nelle loro varie e spesso fantasiose forme (in questo sono quasi tutti bravi); met- tere nei guai l’avvocato, facendolo finire sotto processo per concorso in favoreggiamento; guadagnare cospicue somme senza produrre alcun risultato diverso da verbo- se e inutili relazioni. Annapaola si occupa anche di indagini sulle infedeltà coniugali, deve pur campare, ma se le tocca indagare su questioni piú serie – a volte molto serie – è capace di fare le scoperte piú inattese, di far parlare i personaggi piú im- probabili. Che stia lavorando per l’imputato o, cosa che preferisce come Consuelo, per la vittima. Incidentalmente sarebbe anche la mia fidanzata. Piú o meno. Sulla definizione il dibattito è aperto. Qualche INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 27 08/10/19 11:09
  • 32. gianrico carofiglio 28 mese prima di questa storia capitò di parlarne, una sera a casa mia, dopo cena. – Ma tu lo dici agli altri che io sono la tua fidanzata, Guerrieri? – Mi era parso che me lo avessi proibito. Quindi: no. – Ah, giusto. Hai ragione. Bravo. Mi piaci obbedien- te –. Fece una pausa e continuò: – Però un po’ mi secca. – Cosa? – Pensavo che se mi avessi risposto di sí mi sarei infa- stidita. Adesso che mi rispondi di no mi infastidisco di piú. Sono coerente? – Sei la signora della coerenza. È per questo che sei la mia fidanzata, ma anche la mia non-fidanzata. Scott Fitzgerald diceva che la capacità di pensare contempora- neamente due cose contraddittorie è il principale indizio di intelligenza. – Ti ho mai detto che le tue citazioni sono un po’ fa- stidiose? – Mi sembra di sí. – Comunque tornando alla faccenda della fidanzata. Vorrei che lo dicessi e non lo dicessi. Mica è tanto com- plicato. Sei un avvocato, è il tuo mestiere dire una cosa e il suo contrario. Trova il modo. – Questa conversazione mi ricorda la storiella della mamma yiddish che regala al figlio due cravatte per il suo compleanno. – So che non riuscirò a impedirti di raccontarla. – Infatti. Dunque c’è questa mamma yiddish che regala al figlio due cravatte. Il giorno dopo il ragazzo ne indossa una e va a farle visita. Lei lo guarda sconsolata: «Ecco, lo sapevo, l’altra non ti piace». – Temevo di peggio, – commentò, e dopo qualche se- condo, come se d’un tratto avesse avuto un’idea brillante, INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 28 08/10/19 11:09
  • 33. la misura del tempo 29 aggiunse: – Certo, se non sono la tua fidanzata, diventa piú interessante. Sai cosa penso? Potremmo dedicarci a del torbido sesso clandestino. – Potremmo, – ammisi. Carmelo Tancredi era stato un poliziotto. Diciamo pure il piú bravo sbirro che abbia mai conosciuto, eccetto, for- se, un vecchio maresciallo dei carabinieri torinese. Aveva lavorato per oltre trent’anni alla squadra mobile ed era andato in pensione con il grado di sostituto commissario e una laurea appena presa in Psicologia. Poi però ha pensato che non era stanco di lavorare (e in particolare di quel lavoro: parlare con la gente, far par- lare la gente, scoprire cosa è successo, come è successo e chi è stato) e non aveva voglia di andare a pescare ogni giorno sul suo gommone, che pure ama neanche fosse un cucciolo di labrador. Pescare un paio di volte al mese è bellissimo, pescare un paio di volte alla settimana comin- cia ad assomigliare a un incubo, mi ha detto una volta. Cosí quando Annapaola, dopo una sera a cena noi tre, gli ha proposto di associarsi a lei per mettere su una vera agenzia investigativa, lui ha impiegato cinque minuti ad accettare. Da allora lavorano insieme; spesso per il mio studio, a volte per altri. A parte tutto, credo si diverta- no parecchio. Arrivai a casa incurvato dallo zaino carico dei due fal- doni che mi aveva lasciato Lorenza. Sentenza, atti di in- dagine, verbali dibattimentali. – Ciao Sacco, – dissi rivolgendomi al sacco da pugilato appeso con una catena a una trave, nel mezzo del soggior- no. Lui fece un cenno impercettibile di saluto. È un tipo taciturno e poco incline a muoversi, se non è proprio ne- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 29 08/10/19 11:09
  • 34. gianrico carofiglio 30 cessario. Il che naturalmente accade quando ci dedichiamo insieme alla boxe. Riceve i pugni con molta disinvoltura. Mai un gesto di reazione. Lui le prende e io le do, ma alla fine è sempre lui a vincere. Nella qual cosa dovrebbe na- scondersi una metafora, presumo. Un giorno o l’altro ne scoprirò il significato. Siamo amici, Mr Sacco e io. Non è espansivo, questo è certo, ma è altrettanto certo che nasconde sentimenti deli- cati dietro la maschera di cuoio della sua impassibilità. C’è stato un momento difficile fra noi, il giorno del mio cinquantesimo compleanno. I ragazzi (includo fra i ragazzi il settantenne Pasquale) mi avevano regalato un sacco nuo- vo, bellissimo, lucido, di quelli che si vedono nelle riprese patinate in cui fingono di allenarsi i campioni del mondo stile Floyd Mayweather jr. Per inciso: grandissimo pugile, ma troppo fighetto di lusso per i miei gusti. L’idea era che sostituissi finalmente quel vecchio og- getto che aveva preso troppi pugni ed era pieno di crepe e di rattoppi fatti con il nastro da imballaggio. Diciamo pure indecoroso. Dopo il festeggiamento organizzato a sorpresa da An- napaola (io ero incline a pensare che non ci fosse nulla da festeggiare, ma mi rendo conto che si tratta di una posi- zione un po’ ovvia) eravamo rimasti soli, lui e io. Anzi no. Appoggiato a un muro, tranquillo, sicuro di sé, quasi bef- fardo, c’era anche l’altro. Mi sedetti sul divano, proprio di fronte a Mr Sacco. Una delle crepe sulla sua superficie, risultato delle mi- gliaia di pugni incassati con cortesia, gli conferiva un’e- spressione molto malinconica. Come quella di un cane che sta per essere abbandonato sul ciglio di una strada da un padrone superficiale. Cioè, meglio: da un gran- dissimo stronzo. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 30 08/10/19 11:09
  • 35. la misura del tempo 31 – Sei triste, amico? – avevo chiesto imbarazzato. Lui, dignitosamente, non aveva risposto nulla, consapevole che la vita delle cose, al pari di quella delle persone, ha un’in- fanzia, un’età adulta e un epilogo. Come un cretino, mi commossi. Cosa ci facevo con quel bellissimo sacco nuovo, di cuoio marrone lucido, con le scritte dorate? Che ne sapevo se era in grado di ascolta- re – dunque parlare – come Mr Sacco? Passai una decina di minuti di rilevanza psichiatrica seduto sul divano, in equilibrio precario fra due linee di pensiero alquanto in- compatibili. La prima diceva: va bene giocare, va bene baloccarti con l’idea di parlare con questo vecchio oggetto inanima- to, ma ogni vezzo deve avere un limite. Le cose sono cose, possiamo proiettare su di loro i nostri bisogni e le nostre fantasie, e fino a un certo punto va bene. Scambiarle per esseri viventi è però demenziale, segno di immaturità, piú o meno come credere nella lettura dei fondi di caffè. Non fare il bambino, appendi questo nuovo bellissimo sacco in pelle e sbarazzati di quell’altro. Portalo in strada, mettilo in un cassonetto e finiscila qui. La seconda diceva: sei quel genere di persona? Non te ne importa niente di tutte le sere che avete passato insie- me, di tutte le confidenze che gli hai fatto, di quanto ti ha ascoltato e dei consigli che ti ha dato? Non posso assicurare che le parole fossero esattamente queste, ma giuro che questo era il tono del dialogo interio- re (a dire il vero non sono nemmeno sicuro che fosse solo interiore e che, accalorandomi, non mi fossi messo addi- rittura a parlare ad alta voce). Durò una mezz’ora. Poi decisi. Il nuovo sacco sarebbe andato in studio, nella sala riunioni. Del tutto inutile, ma era cosí bello ed INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 31 08/10/19 11:09
  • 36. gianrico carofiglio 32 elegante – arreda, avrebbe detto un venditore di gabinet- ti – che poteva tranquillamente stare in uno studio come un pezzo di design. I miei collaboratori non si sarebbero offesi pensando che non avessi apprezzato il loro regalo e io non avrei commesso un gesto tanto orribile come tra- dire un vecchio amico. Presi del nastro da imballaggio, lo passai su Sacco nei pun- ti in cui le crepe erano piú evidenti e gli diedi un pugnetto, cosí, di cordialità. Anche perché senza guanti, amico o non amico, fa male. Lui mi guardò con gratitudine, e la crisi finí. Va bene, ho divagato. Dunque: avevo uno zaino pieno di verbali e un pro- gramma preciso. Prima di tutto feci qualche ripresa e quattro chiacchie- re con Mr Sacco. Dopo i pugni, piegamenti sulle braccia e trazioni alla sbarra. La sbarra era una novità. Mesi prima, sul per- corso ginnico della pineta San Francesco, avevo fatto una scommessa con Annapaola a chi si tirava su piú vol- te. Avevo perso quattordici a undici. Ora, undici non sarebbe nemmeno male per un signore sopra i cinquan- ta, il problema è che scattano dei meccanismi tanto ir- razionali quanto difficili da controllare quando la com- petizione per la performance fisica è con una ragazza. Anche se lei è piú giovane di oltre dieci anni, è un’ex atleta semiprofessionista e ha i bicipiti di un buon peso medio. Insomma, per farla breve, mi ero fatto installare nell’ingresso una sbarra da un fabbro alquanto stupito e mi allenavo segretamente, un giorno sí, un giorno no, per riscattare l’umiliazione prima o poi. Terminato l’allenamento feci una veloce doccia e, se- condo il programma che avevo elaborato, mi preparai gli spaghetti all’assassina. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 32 08/10/19 11:09
  • 37. la misura del tempo 33 Trattasi di tipica ricetta barese dalla ingannevole faci- lità di esecuzione. Ho le prescrizioni di una signora di Bari vecchia scrit- te a penna su un quaderno e le seguii, come al solito, ri- gorosamente. In un tegame capiente versare qualche cucchiaio d’olio e unire aglio e peperoncino a pezzettini. Quando l’aglio è dorato unire passata di pomodoro, pomodorini lavati e tagliati a metà, un pizzico di sale. Far cuocere per dieci minuti a fuoco basso mentre si fa bollire l’acqua salata. Cuocere gli spaghetti nell’acqua solo per tre minuti, sco- larli e aggiungerli al sugo, non prima di aver tolto l’aglio. Terminare la cottura degli spaghetti nel sugo sino a quan- do lo avranno assorbito. Alzare la fiamma e fare asciugare bene per ottenere spaghetti abbrustoliti e croccanti. È un piatto che, per ragioni non chiare, mi mette al- legria. Forse, come diceva qualcuno, mi ricorda qualcosa che non ricordo. In ogni caso, aprii una bottiglia di Cacc’e Mmitte di Lucera, regalo di un cliente soddisfatto (a volte capita) e mangiai e bevvi, appunto di buon umore. Poi rigovernai, mi versai un altro calice di vino, rim- piansi per la milionesima volta di avere smesso di fumare e mi sedetti al tavolo, davanti al fascicolo. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 33 08/10/19 11:09
  • 38. 4. La sentenza era di qualità media. Scritta nel solito ger- go degli atti giudiziari, un po’ prolissa, ma completa e, a prima vista, tecnicamente corretta. Cominciava con la ricostruzione dell’indagine. Il giorno del fatto l’imputato e la vittima si erano sen- titi al telefono per due volte. Le conversazioni erano sta- te entrambe intercettate e registrate perché il telefono della vittima – Gaglione Cosimo, detto Mino – era sotto controllo nell’ambito di un’indagine della squadra mobi- le, sezione narcotici. Dalle telefonate, piuttosto brevi, si desumeva, secondo l’accusa e i giudici, l’esistenza di un motivo di contrasto, non meglio specificato, fra i due. Nel corso della seconda l’imputato diceva con molta chia- rezza che della questione bisognava discutere di persona. Il tono di questa frase era aggressivo e lasciava desumere un forte stato di irritazione del Cardace e l’intenzione di chiedere conto al suo interlocutore di quello che doveva sembrargli uno sgarbo o una scorrettezza. Nel pomeriggio il Cardace veniva visto da una testimo- ne nei paraggi della casa del Gaglione, poco prima della commissione dell’omicidio. Alle ore 19.47 il Gaglione chiamava dal proprio cellu- lare (quello intercettato dalla narcotici) il 118 chiedendo urgente soccorso. Parlando in modo affannoso diceva di essere in casa, che qualcuno gli aveva sparato, che stava INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 34 08/10/19 11:09
  • 39. la misura del tempo 35 perdendo molto sangue. Qualche minuto dopo, quasi con- temporaneamente, giungevano presso la sua abitazione un’ambulanza del 118 e due vetture della squadra mobi- le. I poliziotti, infatti, intercettando l’utenza telefonica, avevano sentito in diretta la richiesta di soccorso. Giunti sul posto, gli uni e gli altri non avevano potuto che constatare la morte del Gaglione. Come poco dopo avrebbero accertato la polizia scientifica e il medico lega- le, gli avevano sparato tre colpi di revolver calibro 38 (non erano stati trovati bossoli sulla scena del crimine): uno lo aveva colpito di striscio a un fianco e altri due alla gamba destra recidendo l’arteria femorale e producendo la mor- te per dissanguamento. Nel corso della perquisizione era stato trovato un consistente quantitativo di pasticche di Mdma (ecstasy). Il personale della squadra mobile si era messo alla ricerca del Cardace. Lo avevano rintracciato circa un paio d’ore dopo, davanti a un bar in compagnia di amici. Aveva addosso dodici pasticche di ecstasy dello stesso tipo di quelle recuperate nell’abitazione di Gaglione. Cardace era stato arrestato per il possesso della sostan- za stupefacente e in questura era stato sottoposto al test per la ricerca dei residui dello sparo. Nel giro di qualche giorno i tecnici del laboratorio cen- trale di polizia scientifica avevano comunicato l’esito dei loro accertamenti: il giubbotto indossato quella sera da Cardace era inquinato da particelle di piombo, bario e an- timonio derivanti dall’esplosione di colpi d’arma da fuoco. Era stata dunque richiesta ed emessa un’ordinanza di cu- stodia cautelare per i reati di omicidio volontario e porto d’armi abusivo. Dopo la premessa storica sullo svolgimento delle inda- gini preliminari, il giudice estensore della sentenza si de- dicava a una lunga e piuttosto pedante ricapitolazione dei INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 35 08/10/19 11:09
  • 40. gianrico carofiglio 36 criteri fissati dalla giurisprudenza per la valutazione delle prove indiziarie. Al termine di questo excursus, alquanto superfluo, la motivazione passava all’esame analitico delle singole fonti di prova. In primo luogo occorre leggere e interpretare le trascrizioni del- le due telefonate intercorse fra l’imputato e la vittima nel giorno stesso dell’omicidio. Occorre al proposito precisare che era l’uten- za della vittima Gaglione Cosimo a essere sotto controllo da circa due settimane. Il provvedimento autorizzativo dell’intercettazio- ne si inseriva nel quadro di una vasta indagine relativa a traffico di sostanze stupefacenti di tipo sintetico (ecstasy e metamfetami- ne). Già nei giorni precedenti vi erano state telefonate fra l’uten- za del Gaglione e quella dell’imputato. Dalle suddette telefonate emergevano elementi di sospetto in ordine al coinvolgimento del Cardace nel traffico illecito. Il giorno 13 ottobre 2011 alle ore 15.26 vi è una prima telefo- nata in entrata dall’utenza del Cardace. Il contenuto della breve conversazione è criptico, ma il tono è evidentemente alterato. Il Cardace sembra molto contrariato per eventi accaduti il giorno pri- ma, eventi la cui natura non viene chiarita. La conversazione si in- terrompe bruscamente perché il Gaglione riceve un’altra chiamata su altra utenza (si sente lo squillo del telefono nella registrazione e di tale evento si dà conto anche nella trascrizione). Il Gaglione chiude la comunicazione dicendo che si farà risentire lui. La seconda chiamata è alle ore 16.18, ancora una volta dall’u- tenza del Cardace, il quale per prima cosa si lamenta molto anima- tamente per non essere stato richiamato. La risposta del Gaglione è molto netta e aggressiva («faccio i cazzi miei, se voglio chiamare chiamo, se non voglio non chiamo e tu non devi rompermi il caz- zo» – traduzione dalla forma dialettale). Il Cardace alza la voce e replica al suo interlocutore che non deve permettersi di trattarlo cosí, che altrimenti gli «apre la testa» e che a trovare un altro (con ogni probabilità: un altro fornitore di sostanze stupefacenti) non ci mette niente. Gaglione a questo punto si preoccupa che il contenu- to della conversazione possa avere valenza incriminante nell’ipotesi di una eventuale intercettazione. Dice dunque al suo interlocuto- re quanto segue: «Se vuoi parlare io sto a casa, lascia il telefono». INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 36 08/10/19 11:09
  • 41. la misura del tempo 37 Il Cardace cosí interrompe la conversazione, con tono di ira controllata a stento: «Mo’ vengo». Dalle due conversazioni telefoniche suddette emerge una situa- zione di grave conflitto personale fra due soggetti dediti ad affari illeciti comuni. In particolare emerge una rivendicazione del Car- dace nei confronti del Gaglione. Il modo in cui la seconda telefo- nata si interrompe non fa affatto presagire un rasserenamento della situazione e la lapidaria conclusione – Mo’ vengo – del Cardace rimanda piuttosto a una prosecuzione della lite senza la mediazio- ne del mezzo telefonico. Il secondo elemento consiste nella deposizione della teste Sas- sanelli Antonia, banconista in un bar nelle immediate vicinanze dell’abitazione della vittima. Essa (come numerose altre potenziali persone informate) veniva sentita dalla polizia nell’immediatezza del fatto. Le veniva mostrato un album fotografico appositamente preparato, nel quale era inclusa la fotografia del Cardace. La don- na dichiarava di conoscerlo per averlo visto in diverse occasioni nel bar, spesso in compagnia del Gaglione, a lei ben noto perché abitante nelle vicinanze e frequentatore abituale del bar. Dopo una prima fase di (quasi fisiologica) reticenza dinanzi alla polizia giudiziaria, la Sassanelli dichiarava di avere visto il Cardace quel pomeriggio nel bar insieme ad altra persona che lei non aveva mai visto in precedenza. Non era in grado di indicare l’orario preciso ma chiariva comunque che era accaduto non molto tempo prima dell’arrivo della polizia e di «tutto quel casino», secondo la testua- le espressione della teste. Tali dichiarazioni venivano reiterate nel corso della deposizione dibattimentale. La teste è attendibile e le sue iniziali reticenze rafforzano la sua credibilità piuttosto che attenuarla. Essa conosceva già da tempo (anche se solo di vista) il Cardace, e ha fornito un riferimento tem- porale sufficientemente preciso per individuare l’ora in cui vide l’im- putato al bar quel pomeriggio. È dunque possibile fissare la presenza del Cardace – in compa- gnia di altro soggetto che non è stato possibile identificare – nelle immediate vicinanze dell’abitazione della vittima poco prima dell’o- micidio. All’uopo occorre precisare che l’abitazione del Gaglione dista ben tre chilometri dall’abitazione del Cardace. Si può esclu- dere in termini di ragionevole certezza che il Cardace sia uscito INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 37 08/10/19 11:09
  • 42. gianrico carofiglio 38 di casa e abbia percorso piú di tre chilometri semplicemente per andare a prendere il caffè in un bar di periferia. La sentenza passava poi a esaminare i risultati dell’in- dagine di polizia scientifica. L’accertamento tecnico, i cui esiti venivano forniti dai laborato- ri centrali della polizia scientifica in tempi rapidissimi, consentiva di accertare che sulle fibre di un giubbotto del Cardace erano pre- senti particelle di piombo, bario e antimonio. Tali particelle non esistono in natura e derivano esclusivamente dal fenomeno della combustione delle armi da fuoco. È dunque possibile affermare che il Cardace abbia fatto uso di armi da fuoco o almeno sia sta- to molto vicino a un’arma da fuoco che sparava. Il dato, di per sé assai significativo, acquista una forza decisiva se letto nel quadro complessivo e totalizzante dell’impianto indiziario. La difesa ha tentato di neutralizzare tale fondamentale elemen- to indiziario. Negli interrogatori di garanzia, durante la fase delle indagi- ni preliminari, l’imputato si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. A dibattimento il Cardace ha inteso rendere sponta- nee dichiarazioni, essenzialmente per tentare di spiegare in chia- ve alternativa all’accusa gli esiti dell’indagine tecnica. L’imputato ha dunque riferito che qualche giorno prima, indossando lo stesso giubbotto di cui sopra, era andato a esercitarsi al tiro a segno con un amico in una cava della provincia. Ha precisato di non volere indi- care le generalità del suddetto amico per non esporlo a conseguen- ze penali: egli era infatti il detentore abusivo dell’arma utilizzata in quell’occasione. Ha concluso negando di essere il responsabile dell’omicidio e suggerendo che l’inquinamento del suo giubbot- to, accertato dai tecnici della polizia di Stato, fosse da ricollegarsi all’uso di un’arma da fuoco nei giorni immediatamente precedenti. Inutile dire che una prospettazione cosí vaga, priva di ogni ri- scontro, resa dall’imputato nel corso di dichiarazioni spontanee (sottraendosi dunque al vaglio dell’esame dibattimentale) è del tutto inidonea a configurare una fattispecie di dubbio ragionevole. A questo punto la sentenza si soffermava sull’unica pro- va a discarico proposta dalla difesa, cioè la testimonianza INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 38 08/10/19 11:09
  • 43. la misura del tempo 39 della madre dell’imputato, alla quale i giudici non aveva- no creduto. Lorenza aveva dichiarato che dalle 19.30 alle 20.30 (l’o- micidio del Gaglione era stato commesso poco prima del- le 19.47, ora della telefonata al 118) Iacopo era a casa con lei. Il pubblico ministero l’aveva messa in difficoltà con un controesame piuttosto aggressivo, l’aveva indotta a con- traddirsi e infine aveva tirato fuori un precedente per fa- voreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale che l’ave- va messa definitivamente in cattiva luce davanti ai giudici. In breve: nella motivazione la corte indicava la teste come inattendibile «in primo luogo perché madre dell’imputato e portatrice di un interesse alla sua assoluzione e in secon- do luogo perché gravata da precedenti specifici per reati contro l’amministrazione della giustizia». Cominciavano a bruciarmi gli occhi e mi dissi che forse era ora di andare a dormire. Anche perché quella prima lettura mi aveva guastato il buon umore della cena e non volevo che la situazione peggiorasse. Sembrava che la Co- stamagna avesse ragione e non so dire se mi infastidisse di piú questa constatazione – cioè proprio che lei avesse ragione, indipendentemente dal merito – o la situazione assai precaria della difesa che avevo appena assunto. Certo il lavoro era all’inizio, anzi prima dell’inizio; certo bisognava leggere anche i verbali; certo bisognava verifi- care le eventuali carenze dell’indagine e i vizi di procedu- ra, se ce n’erano. Ma per il momento avevo davanti una normale sentenza in cui si motivava in modo adeguato una condanna che pareva del tutto fondata. Fu questo, piú o meno, che mi dissi parlando ad alta voce; parlare da solo ad alta voce è una mia vecchia abitu- dine che tende a peggiorare con l’età. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 39 08/10/19 11:09
  • 44. gianrico carofiglio 40 Dissi a Mr Sacco che me ne andavo a dormire e che se la mattina dopo fosse stato ancora da quelle parti ci saremmo visti. Lui mi guardò come si guarda chi ha fatto una battuta che non fa ridere. Recuperai il cellulare che avevo lasciato nella borsa e mi accorsi che c’era qualche messaggio. Un paio erano di colleghi seccatori cui avrei risposto il lunedí successivo, forse. Un terzo era l’invito di un cineforum. Il quarto era di Annapaola. Diceva: «Ciao Guerrieri, qui tutto obiettivamente noioso, ma non diciamolo alle ragazze. Comunque questa faccenda che parto felice e li- bera e dopo un giorno mi manchi sta diventando seccan- te. Ti diverti senza di me? Hai rimorchiato una di quelle avvocatesse dementi che fanno le idiote ogni volta che le incontri in tribunale?» Il messaggio era di oltre un’ora prima. Quando mi fui tolto quella specie di sorriso ebete che mi era salito alle labbra, risposi. Con due messaggi. Il primo era cosí: «Ciao piccola, scusa il ritardo nella risposta ma ho in corso una festa con ballerine cubane. Dobbiamo risentirci con piú calma». Il secondo, subito dopo, cosí: «Mi manchi anche tu. Puoi tornare presto, per piacere?» INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 40 08/10/19 11:09
  • 45. 5. Aprii gli occhi sei ore precise dopo aver spento la luce. Mi alzai subito, feci un rapido passaggio sotto la doccia, preparai il mio solito caffè americano, mangiai qualche bi- scotto di pasta frolla del panificio sotto casa, per mettere a tacere la mia coscienza salutista (un po’ fragile, a dire il vero) mi dissi che avrei bevuto una spremuta piú tardi nella mattinata e tornai al tavolo e al fascicolo. Nello spe- cifico al verbale della deposizione di Lorenza. Scorsi rapidamente i preliminari e passai alla parte so- stanziale. avvocato costamagna  Signora Delle Foglie, ricorda il gior- no in cui arrivò la polizia a casa? Il giorno in cui poi lei venne a sapere che era stato commesso un omicidio e che suo figlio era so- spettato per questo fatto? testimone  Sí, certo. avvocato costamagna  Suo figlio Iacopo vive con lei? testimone  Sí, insomma fino a quel giorno, quando lo han- no arrestato. avvocato costamagna  Certo. Ricorda cosa aveva fatto quel pomeriggio? testimone  Avevo lavorato… avvocato costamagna  Può dirci che lavoro fa? testimone  Piú d’uno, in effetti. Sono insegnante precaria, faccio supplenze, anche lunghe, anche annuali. Poi però faccio al- tro per arrotondare: do lezioni private e qualche volta faccio com- pagnia a delle signore anziane. avvocato costamagna  Come una badante? INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 41 08/10/19 11:09
  • 46. gianrico carofiglio 42 testimone  Non esattamente. Non faccio, come dire, assisten- za materiale. Faccio loro compagnia quando sono sole. Si tratta di persone anziane ma del tutto autosufficienti. A volte leggo per loro, parliamo… avvocato costamagna  Quel pomeriggio cosa aveva fatto? testimone  Appunto ero andata da una di queste signore. avvocato costamagna  Bene. Ricorda a che ora era rientra- ta a casa? testimone  Non posso dire l’orario preciso ma il turno da quella signora era dalle quindici alle diciannove; da casa sua a casa mia ci sono piú o meno venti minuti a piedi e dunque grosso mo- do direi che sono rientrata attorno alle 19.15. avvocato costamagna  Suo figlio Iacopo era in casa? testimone  No, ma arrivò poco dopo di me. avvocato costamagna  Può dirci quanto tempo dopo? testimone  Dieci minuti, forse poco piú. avvocato costamagna  Dunque è corretto dire che alle 19.47 suo figlio… pubblico ministero  Opposizione presidente, il difensore sta traendo delle conclusioni, cose che con ogni evidenza non può fa- re in questa sede. presidente  Avvocato, si limiti alle domande. Trarrà le even- tuali conseguenze delle risposte in sede di discussione del processo. avvocato costamagna  Scusi presidente, ma non può impe- dirmi… io ho bisogno… presidente  Avvocato, per piacere non discuta le mie decisio- ni. Se ha altre domande le faccia. Quella cui si è opposto il pubbli- co ministero non è ammessa. avvocato costamagna  Allora lei è rientrata alle 19.15, suo figlio dieci minuti dopo. Dopo essere rientrato è uscito di nuovo? testimone Sí. avvocato costamagna  Quanto tempo dopo? testimone  Non saprei dire con precisione. Non subito. Un’ora dopo, anche qualcosa in piú. avvocato costamagna  È sicura? testimone Certo. avvocato costamagna  Grazie, non ho altre domande. presidente  Il pubblico ministero intende procedere al con- troesame? INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 42 08/10/19 11:09
  • 47. la misura del tempo 43 pubblico ministero  Sí presidente, grazie. Buongiorno, signo- ra, come sa io sono il pubblico ministero e le farò alcune domande per chiarire meglio quello che ci ha già detto. Va bene? testimone  Va bene. pubblico ministero  Lei ci ha detto che suo figlio è arrivato a casa… a che ora ha detto? testimone  Attorno alle 19.30 o poco prima. pubblico ministero  Ed è uscito di nuovo? testimone  Un’ora dopo, all’incirca. pubblico ministero  Poi a casa è arrivata la polizia? testimone Sí. pubblico ministero  A che ora è arrivata la polizia? testimone  Non saprei dirlo con precisione. pubblico ministero  Era già andata a letto? testimone  No, stavo vedendo la televisione. Erano forse le 23, forse un po’ prima. Insomma, mio figlio era già uscito da parecchio. pubblico ministero  Si stupirebbe se le dicessi che la polizia è arrivata a casa sua verso le 21.30? testimone  Come le ho detto non ricordo con precisione l’ora- rio dell’arrivo a casa degli agenti. pubblico ministero  Ma a quanto pare ricorda benissimo l’orario di rientro di suo figlio… testimone  Ma quello è perché… pubblico ministero  Scusi, non mi interrompa, non ho ancora fatto la mia domanda. Dunque se ho capito bene lei lavorava co- me insegnante precaria ma aveva anche altre attività. È corretto? testimone  Sí, è corretto. pubblico ministero Tuttora? testimone Scusi? pubblico ministero  Le ho chiesto se ancora adesso lei faccia diversi lavori, fra cui questa assistenza, diciamo questa compagnia a persone anziane. testimone Sí. pubblico ministero  E in particolare lavora ancora presso la signora da cui era stata quel pomeriggio? testimone Sí. pubblico ministero  Quanti anni ha la signora? Qual è il suo nome? INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 43 08/10/19 11:09
  • 48. gianrico carofiglio 44 testimone  Adesso, ottantasette. Si chiama Rosa Bonomo. pubblico ministero  Fa lo stesso turno di allora? testimone  Ci vado sempre nel pomeriggio. pubblico ministero  Sí, ma fa proprio lo stesso turno di allora? testimone  No, non proprio. Diciamo che ora l’orario è piú flessibile, dipende dalle esigenze. pubblico ministero  È un cambiamento recente? testimone No. pubblico ministero  Da quanto tempo è cambiato il suo ora- rio con questa signora? testimone  Vuole la data precisa? pubblico ministero  Non deve indispettirsi, signora. Voglio che riferisca quello che ricorda. Se non ricorda, è sufficiente che lo dica. testimone  Mi scusi. Non saprei con precisione. Piú di un anno, comunque. pubblico ministero  Per quale motivo siete passati da un ora- rio fisso a un orario flessibile? testimone  La signora è anziana, ma del tutto autosufficiente. I figli, però, per sentirsi piú sicuri hanno trovato un’assistenza sta- bile, una signora moldava. Lei però – la signora moldava intendo – ha anche un altro lavoro e insomma, quando non c’è lei, o non ci sono i figli che fanno a turno per tenere compagnia alla mamma, ci vado io. Comunque quasi tutti i giorni. pubblico ministero  Lei conosce questa signora moldava? testimone  La incontro quando arrivo o quando vado via. pubblico ministero  Quando vi siete conosciute? testimone  Quando lei ha cominciato a lavorare dalla signo- ra Bonomo. pubblico ministero  Cioè esattamente? testimone  Esattamente non… pubblico ministero  Le faccio una domanda diversa, allora. Quando sono accaduti i fatti per cui stiamo celebrando questo pro- cesso lei conosceva già questa signora moldava? testimone … pubblico ministero  Presidente, possiamo dare atto che la teste esita a rispondere? presidente  Diamo atto perché consti. Signora, vuole rispon- dere? Quando sono accaduti i fatti lei conosceva già questa signo- ra moldava? INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 44 08/10/19 11:09
  • 49. la misura del tempo 45 testimone  Forse… non so, forse sí… non sono sicura. pubblico ministero  Possiamo accertarlo facilmente, ma vor- rei che fosse lei a dircelo. testimone  Forse la conoscevo già. pubblico ministero  Significa che aveva già preso servizio presso la signora da cui anche lei lavora? O vi siete conosciute pri- ma che questa signora moldava cominciasse a lavorare… testimone  No, no… pubblico ministero  No, cosa? testimone  Non l’ho conosciuta prima… pubblico ministero  Quindi l’ha conosciuta quando ha pre- so servizio? testimone  Immagino di sí… pubblico ministero  Immagina? testimone  Aveva già preso servizio, adesso mi ricordo. pubblico ministero  Dunque lei aveva già cominciato a fare l’orario flessibile di cui ci ha detto? testimone  No, sicuramente avevo il turno dalle 15.00 alle 19.00. pubblico ministero  Ma lei ci ha detto che quando è arrivata la signora moldava ha cominciato a fare un orario flessibile. testimone  Sono stata imprecisa… pubblico ministero  A che ora rientrò a casa quel pomerig- gio/sera? testimone  Attorno alle 19.15, l’ho già detto. pubblico ministero  Come fa a essere cosí precisa sull’orario? Lei ci ha detto che poteva affermare con sicurezza di essere usci- ta da casa dell’anziana da cui lavora alle ore 19.00 essenzialmente perché quello era l’orario che faceva quando ancora non era arri- vata la signora moldava… testimone  Ho capito, ha ragione, sono stata imprecisa, mi sono confusa. Voglio dire che per un certo periodo, anche dopo l’arrivo della signora moldava ho continuato a fare quell’orario preciso. Solo qualche tempo dopo la situazione si è modificata nel senso che ho detto, dopo un periodo di prova, credo. Mi sono confusa su quel punto, ma sono certa di essere arrivata a casa non oltre le 19.20 e che mio figlio è arrivato poco dopo. pubblico ministero  Il che, guarda caso, le consentirebbe di dare un alibi a suo figlio. Non le sembra strano che su tutti gli altri orari lei dica di non poter essere precisa e invece… INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 45 08/10/19 11:09
  • 50. gianrico carofiglio 46 avvocato costamagna  Opposizione presidente, il pubblico ministero discute con la teste, la vessa e cerca anche di chiederle un parere, il che è evidentemente inammissibile. presidente  Lasciamo perdere le vessazioni, avvocato. Mi sem- bra una parola grossa. Ciò detto: pubblico ministero, la teste ha risposto. Tutte le valutazioni – quello che ci sembra e quello che non ci sembra – potremo farle al momento opportuno. Cioè in se- de di discussione del processo. Se ha altre domande proceda pure. pubblico ministero  Va bene, presidente. Signora, ho ancora poche domande. Lei ha precedenti penali? testimone No. pubblico ministero  Non ha mai subito un processo? testimone No. pubblico ministero  Si stupirebbe se le dicessi che ho qui una sentenza che la riguarda, relativa a una imputazione di resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento? testimone  Non ho mai avuto condanne, non so di cosa stia parlando. pubblico ministero  In realtà io le avevo chiesto se avesse mai subito processi. Questa in effetti è una sentenza di non doversi procedere per intervenuta amnistia. Posso avvicinarmi, presiden- te? Vorrei mostrare alla teste il documento. avvocato costamagna  Presidente, io protesto per questo modo di procedere del pubblico ministero. Non sappiamo di che documento si tratti, non è stato prodotto in fase di richieste pro- batorie e viene tirato fuori a sorpresa in spregio a tutte le regole della discovery e del corretto contraddittorio fra le parti. Mi op- pongo vigorosamente. presidente  Pubblico ministero, prima di esibire il documento alla teste, lo metta a disposizione della difesa. Avvocato Costama- gna, ha bisogno di un termine per esaminare l’atto? avvocato costamagna  Presidente, premesso che confermo la mia opposizione a ogni produzione documentale intempestiva, le chiedo solo qualche minuto, il tempo di capire di cosa si tratta e se sia anche solo astrattamente pertinente all’oggetto di questo giudizio, cosa di cui dubito. Si dà atto che alle ore 10.25 l’udienza viene sospesa e la testi- mone viene accompagnata dall’ufficiale giudiziario nella saletta testi. Alle ore 10.40 l’udienza viene ripresa. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 46 08/10/19 11:09
  • 51. la misura del tempo 47 presidente  Allora possiamo riprendere. Ci sono osservazio- ni della difesa? avvocato costamagna  Si tratta di un documento del tutto privo di pertinenza all’oggetto del processo. Una sentenza di non doversi procedere per intervenuta amnistia, per presunti fatti di quasi trent’anni fa. Mi oppongo alla richiesta di produzione e a qualsiasi uso processuale e reitero la mia protesta per questo modo di procedere, con atti tirati fuori a sorpresa quando c’è una precisa fase processuale in cui tali acquisizioni si richiedono. pubblico ministero  Presidente, temo che questa reazione vibrata della difesa dipenda da un equivoco. Non ho chiesto di produrre questa sentenza; naturalmente mi riservo di farlo ove dovesse sorgerne la necessità. Volevo solo mostrarla alla teste in aiuto alla sua memoria. Infatti ha appena negato di essere mai stata sottoposta a processo, mentre questa sentenza dimostra il contrario. presidente  Mostri la sentenza alla teste, pubblico ministero. Si dà atto che il pubblico ministero esibisce il documento al- la teste. pubblico ministero  Allora, signora, ricorda di essere stata sottoposta a processo per favoreggiamento e resistenza a pubbli- co ufficiale? testimone  Non ho avuto nessun processo. pubblico ministero  Qui c’è scritto che si sarebbe opposta a dei sottufficiali della guardia di finanza per impedire loro di ar- restare uno spacciatore; c’è scritto che non ci sono elementi per il proscioglimento nel merito e che siccome era intervenuta l’am- nistia – l’ultima amnistia, presidente, quella del 1990 – il reato, anzi i reati sono da dichiarare estinti. Non ricorda di essere sta- ta coinvolta in una vicenda del genere? Non è mai stata accom- pagnata in caserma della Finanza in relazione all’arresto di uno spacciatore suo amico? testimone  Tantissimi anni fa ci fu un episodio… chiaramen- te un equivoco. Non era uno spacciatore, era un ragazzo che aveva qualche pezzetto di hashish e i poliziotti… pubblico ministero  Quindi adesso comincia a ricordare. Per la precisione erano finanzieri. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 47 08/10/19 11:09
  • 52. gianrico carofiglio 48 testimone  Va bene, nemmeno mi ricordo cosa fossero. I fi- nanzieri o quello che erano non avevano detto di essere tali, non si erano identificati… pubblico ministero  Fu accompagnata in caserma e denuncia- ta per favoreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale? testimone  Andammo in una caserma, fecero qualche verbale, non ho idea cosa ci fosse, nel senso che non ricordo, parliamo di oltre venticinque anni fa. Poi non ne ho mai piú saputo nulla. Non sapevo nemmeno dell’esistenza di questa sentenza che mi ha fatto vedere. pubblico ministero  Prima che questa sentenza fosse pro- nunciata lei è stata informata. Avrebbe potuto rinunciare all’am- nistia, chiedendo il processo e il proscioglimento nel merito. Per- ché non lo ha fatto? testimone  Non ho idea di cosa stia parlando. pubblico ministero  Temo che questo sia un problema suo. Comunque grazie, io non ho altre domande. Metto il documento a disposizione della corte. presidente  La corte ne dispone l’acquisizione. La difesa vuo- le procedere al riesame della teste? avvocato costamagna  No grazie, presidente. Ci riserviamo di esaminare ulteriormente il documento e di valutare se richiedere ulteriori mezzi di prova sul punto. Il pubblico ministero Cotturri era stato bravo, anche se Costamagna non aveva tutti i torti quando si era op- posto all’esibizione di quella sentenza. Secondo il codice l’acquisizione dei documenti va richiesta nella fase intro- duttiva del processo. Si tratta di una regola non tassativa, interpretata con una certa elasticità, ma che mira a evita- re la presentazione di prove cosiddette a sorpresa. Mira a tutelare la lealtà del contraddittorio, a evitare che una parte o l’altra si trovino a dover fronteggiare prove inat- tese per le quali non si sono potute preparare. Il pubblico ministero aveva superato il problema in mo- do corretto: aveva chiesto a Lorenza se in passato fosse stata sottoposta a procedimenti penali, e solo dopo aver ricevuto risposta negativa aveva tirato fuori quel vecchio INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 48 08/10/19 11:09
  • 53. la misura del tempo 49 processo conclusosi con l’applicazione dell’amnistia. La sentenza, dunque, non serviva direttamente a provare qualcosa, ma solo indirettamente, una volta acquisita una certa dichiarazione, a far dubitare dell’attendibilità della teste. Come di fatto era accaduto. Sfogliai le carte alla ricerca della copia di quella sentenza, anche se sapevo già che non ci avrei trovato troppe indi- cazioni. Una sentenza che applica una causa di estinzione del reato, come l’amnistia, si limita a dire che non ci sono elementi per il proscioglimento nel merito e che dunque il reato va dichiarato estinto. Per amnistia, per prescrizione, per ritiro della querela, per morte del reo. L’unica cosa interessante, a parte le formule rituali, era il capo di accusa. Lorenza era stata imputata «per il reato di cui agli articoli 81, 337 e 378 del codice penale perché vio- lando con la stessa condotta piú disposizioni di legge si op- poneva al brigadiere Gattuso e al finanziere scelto Scarano che stavano procedendo all’arresto di Damiani Nicola per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacen- ti tipo hashish, cosí aiutando il suddetto Damiani a eludere o comunque a sottrarsi alle investigazioni. Fatto commesso in Torre Canne, Fasano, il 5 luglio 1987». Pensai che la Lorenza che avevo conosciuto tanti anni prima – ora il ricordo cominciava a riemergere – in realtà era davvero il tipo da opporsi a dei finanzieri per aiutare un amico a «eludere o comunque a sottrarsi alle investigazioni». Sembrava, allora, non avere paura di niente, e detestava le forze di polizia per un radicato presupposto ideologico. Poi feci caso alla data sotto il capo di imputazione. 5 luglio 1987. Cioè quando ancora ci frequentavamo. Ci eravamo co- nosciuti nella primavera di quello stesso anno. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 49 08/10/19 11:09
  • 54. Lorenza Ricordo con chiarezza solo l’inizio e la fine. Il resto, nella mia memoria, è disarticolato e scomposto come in un quadro di Braque. Non so quali episodi siano accaduti prima e quali dopo. Non con precisione, almeno. L’inizio è quando conobbi Lorenza, una sera di marzo del 1987. Mi ero laureato l’anno prima e facevo pratica in uno studio legale. Diventare avvocato non era il mio sogno, ma va detto che su cosa fosse il mio sogno non avevo mai avuto le idee chiare. Insomma, facevo pratica nell’attesa di chiarirmele, le idee. Prima o poi. Ci trovavamo nel bel mezzo degli anni Ottanta. Il de- grado morale di quel periodo è rappresentato con efficacia quasi metaforica dalle spalline imbottite. Quando indossa- vamo giacche o cappotti sembravamo tutti dei manichini, maschi e femmine. Basta guardare le foto. Era l’epoca in cui cominciava a mutare in maniera ir- reversibile il paesaggio sonoro della nostra vita. Un’epoca ancora piena di rumori e suoni che oggi non esistono piú. Per esempio il rumore del gettone o della moneta inseri- ti nel telefono pubblico; e il rumore, simile, eppure molto diverso, dello scatto quando un gettone o un valore equi- valente in lire veniva consumato. Il ruotare del selettore a disco nei telefoni di casa, stra- ni oggetti grigi, panciuti, rassicuranti. I diversi suoni della INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 50 08/10/19 11:09
  • 55. la misura del tempo 51 macchina da scrivere. Quello dei tasti – ritmico o tituban- te a seconda della bravura del dattilografo – che era pro- dotto anche, e soprattutto, dalle testine con le lettere che battevano sul foglio. Quello del rullo, fatto ruotare con le manopole nere e zigrinate. Quello della levetta per anda- re a capo. Quello del fermafogli che colpiva la carta come per infliggerle una ferita e ridurla all’impotenza. Il tac del registratore, quando lo facevi partire o lo fer- mavi; il rumore carico di urgenza, leggermente vertigino- so, del nastro che si riavvolgeva. Il picchiettare quasi frenetico della calcolatrice che stampava il risultato delle operazioni su un rotolo di carta. Era un mondo analogico fatto ancora (ancora per po- chissimo, ma noi non lo sapevamo) di rotelle, ingranaggi e pulsanti. Io avevo rotto da poco, in maniera non troppo amiche- vole, con la mia fidanzata Rossana. Eravamo stati insieme, tra alti e bassi, per buona parte dell’università. Al momento dell’addio mi disse una serie di cose su di me. Per quanto rammento, nessuna piacevole: avevo la tendenza a raziona- lizzare tutto per paura dell’intimità; sfruttavo l’ironia per sottrarmi alla responsabilità dei sentimenti; non ero capace di vero impegno e, a dispetto delle apparenze, ero uno che conduceva un’esistenza passiva. Roba del genere. Quel pomeriggio di marzo del 1987, libero da un paio di settimane, me ne andavo con passo rilassato verso lo studio. In via Sparano incontrai un tizio di nome Saverio detto Verio (e, sí, l’ideatore del vezzeggiativo non si era sforzato troppo) che in passato avevo frequentato saltua- riamente. Era di un anno piú grande di me, studiava Me- dicina, abitava a Poggiofranco, era gay (non erano tantis- simi, allora, a dichiararlo in scioltezza), aveva una certa tendenza a parlare troppo ed era stato un giovanissimo INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 51 08/10/19 11:09
  • 56. gianrico carofiglio 52 campione di equitazione, sport che aveva abbandonato per ragioni non note. Ci abbracciammo e lui mi diede due bei baci sulle guan- ce, di quelli con lo schiocco. – Guido Guerrieri, che piacere vederti, è un sacco di tempo. Dove te ne vai di bello? – Al lavoro, – risposi con una sfumatura del tipo: se non dovessi guadagnarmi da vivere saprei io come occu- pare i pomeriggi. – Lavoro, – ripeté lui. La parola doveva fare un certo effetto. – Stai diventando avvocato, vero? – Non so, ci provo, ma non sono sicuro che sia adatto a me. E tu? Quanto ti manca per la laurea? – Un anno, piú o meno. Poi non so. Forse mi piacereb- be andare all’estero a specializzarmi. – Bello, – dissi, tanto per dire qualcosa. – Stai sempre con quella ragazza bionda? Com’è che si chiama? – Rossana. No, non piú. – Ah, mi spiace. Aveva degli occhi blu, quasi violetti, proprio speciali. Alla Liz Taylor. L’argomento mi metteva a disagio. Cosí pronunciai una sequela di frasi sulle storie che a un certo punto finiscono, che è la vita e altre banalità che per fortuna non ricordo. – Che fai stasera? – mi chiese allora lui. – Non ho programmi, – risposi con una certa cautela. – Perché non vieni a una festa? È a casa di un mio ami- co, ci sarà un sacco di gente. Magari incontri qualcuno, visto che ora sei un uomo libero. Il mio primo pensiero fu che non avevo particolare vo- glia di andare a una festa gay, ma in realtà lui non aveva parlato di una festa gay, voleva solo essere gentile. Mi ver- gognai della mia retrograda diffidenza e mi dissi che era INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 52 08/10/19 11:09
  • 57. la misura del tempo 53 una buona idea cominciare a vedere gente nuova. Insom- ma, al termine di quei pochissimi secondi di riflessione risposi che grazie, accettavo volentieri. Fantastico, disse. Sarebbe venuto a prendermi a casa verso le nove e mezza. Mi chiese di ricordargli il mio indirizzo – che per quanto mi constava non aveva mai conosciuto – e ci salutammo. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 53 08/10/19 11:09
  • 58. 6. Il martedí – dopo un mio rapido viaggio a Roma per di- scutere un processo in cassazione – ci vedemmo in studio con Consuelo, Annapaola e Tancredi. Tutti e tre avevano letto la sentenza e tutti e tre, fu chiaro dopo pochi minu- ti, erano convinti che il figlio di Lorenza fosse colpevole. Il problema piú grave era che anch’io tendevo a pensare la stessa cosa. – Il ragazzo è un balordo, – disse Tancredi quando gli chiesi la sua opinione. – Perché? – Hai visto il certificato penale? – Sí, ha una messa alla prova da minorenne, per rapina. Andata a buon fine, reato estinto. – Se ne erano occupati i miei colleghi… i miei ex col- leghi della mobile. Sono passato da loro e mi hanno dato in via amichevole copia del verbale di arresto e delle di- chiarazioni della vittima, una signora che aveva fatto un prelievo alla Posta. – E dunque? Cosa ne viene fuori? – E dunque, appunto, ne viene fuori che il tuo nuovo cliente è un balordo. O almeno lo era da minorenne. Con un altro che non è stato preso, e del quale lui non ha fat- to il nome, cosa che lascia capire come fosse un bel delin- quente formato già prima dei diciott’anni, erano presu- mibilmente all’interno dell’ufficio postale per osservare INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 54 08/10/19 11:09
  • 59. la misura del tempo 55 chi faceva operazioni in contanti o ritirava la pensione. Hanno visto questa signora che aveva prelevato una som- ma consistente, l’hanno seguita fino a casa, sono entrati nell’androne e le hanno puntato un coltello alla gola. Il punto che in particolare li qualifica come due stronzi è quello che le hanno detto. – Cioè? – «Tieni gli occhi bassi, troia, e non ci guardare in fac- cia. Se ci guardi in faccia sei morta». Qualcosa del genere. – Carini. Quanto le hanno tolto? – Ottocento euro. – E poi che è successo? – Sono stati sfortunati. O almeno: è stato sfortunato lui, perché l’altro è riuscito a scappare. Passavano in mo- to lí davanti due ragazzi dell’antirapina, che hanno sentito delle urla, hanno visto due che correvano e li hanno inse- guiti. Uno lo hanno preso, ed era proprio il nostro cliente. Anzi il tuo cliente. – I soldi? – Li aveva lui, cosí sono stati restituiti alla donna. Il giovanotto è stato messo alla prova, si è comportato bene, o ha simulato bene, e alla fine il reato è stato dichiarato estinto. Però la rapina è brutta e le modalità suggeriscono che lo avessero già fatto prima. Presi un lungo respiro. Mi domandai se fosse stata una buona idea accettare quell’incarico. – Va bene, non lasciamoci condizionare –. Non avevo nemmeno finito la frase, che già mi pareva falsa come una sterlina di ottone. La situazione non migliorò con l’intervento di Annapaola. – Anch’io ho letto la sentenza. Stanotte. Molto sempli- cemente: per me il ragazzo è colpevole. L’indagine è pulita e la motivazione tiene. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 55 08/10/19 11:09
  • 60. gianrico carofiglio 56 Mi voltai verso Consuelo, ma non era certo da lei che potevo attendermi aiuto. – Sono d’accordo. Anche per me è colpevole. Un brut- to omicidio e non capisco perché hai assunto questa dife- sa. Ecco, l’ho detto. Avvertii la scarica di irritazione che mi percorre ogni volta che discuto con Consuelo di questi argomenti e devo confrontarmi con il suo massimalismo accusatorio. Fosse per lei dovremmo occuparci solo di difese di parti civili o di imputati inequivocabilmente innocenti. Non c’è dubbio che avrebbe dovuto fare il pubblico ministero o il giudice invece dell’avvocato penalista. Attesi qualche secondo per non rispondere sull’onda dell’irritazione, partire in totale svantaggio e dunque per- dere nella discussione che stava per cominciare. – Lo so anch’io che probabilmente è colpevole. O me- glio: sembra anche a me che sia colpevole, – precisai. – Allora perché hai accettato la difesa? – ripeté Con- suelo. – Ne abbiamo parlato tante volte. Non siamo uno studio che fa criminalità organizzata. – Prima di tutto qui la criminalità organizzata non c’en- tra niente. Nel peggiore dei casi, ove Cardace fosse dav- vero colpevole, ci troveremmo di fronte a un regolamento di conti fra piccoli spacciatori. E comunque ho una noti- zia per te: se dovessimo guadagnarci da vivere accettando solo le difese degli innocenti certificati, ci converrebbe piuttosto andare a lavorare nei campi. – Lavorare nei campi non è male, – replicò Annapaola, con il suo tipico tono di quando non capisci se sta parlan- do sul serio o ti sta prendendo in giro. – Avete letto anche i verbali dibattimentali? – Sape- vo che non era possibile, visto che non glieli avevo fatti fotocopiare. La mia domanda serviva a guadagnare un INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 56 08/10/19 11:09
  • 61. la misura del tempo 57 po’ di respiro nella polemica in corso. Risposero di no, ovviamente. – Io li ho letti. La difesa è stata quasi inesistente. – L’avvocato non era Costamagna? – chiese Annapao- la. Il sottinteso era: Costamagna era bravo. – Era già malato, e qualche settimana fa è morto. Nell’ul- timo periodo non era piú lo stesso. Può darsi che fosse so- lo sfinito, ma non è il punto fondamentale. Il punto fon- damentale è che, in sostanza, Cardace non è stato difeso. In pratica nessuna prova della difesa, a parte la testimo- nianza della madre; e nessun controesame. Colpevole o non colpevole, il ragazzo ha diritto a una difesa dignitosa. Nessuno disse nulla. Adesso sembravano meno sicuri. – Bisognerebbe chiedere la rinnovazione dell’istruttoria, se trovassimo qualcosa. Solo che i termini sono scaduti, l’udienza è fra dieci giorni, – disse Consuelo con un tono piú conciliante di prima. Come capitava quasi sempre, dopo una prima fase po- lemica, cominciava a ragionare da avvocato e non da in- quisitore. – Dovremo chiedere dei termini a difesa. Domani vado dal presidente Marinelli per anticiparglielo. – Sempre che non si mettano a fare i fiscali, – conti- nuò lei. – Gli dirò con chiarezza qual è il problema, ammesso che non lo conosca già lui. Credo che con Costamagna fossero amici, o comunque si conoscessero bene. Immagino che sappia com’era la situazione dell’ultimo periodo. – Il ragazzo non lo hai ancora incontrato, vero? – do- mandò Annapaola. – Ci vado oggi per una prima chiacchierata. Vediamo che tipo è. – Cosa vuoi che facciamo? – chiese Tancredi. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 57 08/10/19 11:09
  • 62. gianrico carofiglio 58 – Innanzitutto mi leggerei con attenzione le intercet- tazioni per inquadrare il contesto e capire se quelle due conversazioni fra Cardace e Gaglione poco prima dell’o- micidio sono davvero cosí inequivoche. Poi credo che do- vremmo porci il problema dello stub. È assodato che gli abbiano trovato residui di sparo sul giubbotto, ma nelle dichiarazioni spontanee il ragazzo ha detto di avere spa- rato giorni prima indossando lo stesso giubbotto, e che questo spiegherebbe la cosa. Bisogna stabilire se è una ri- sposta che ha un senso… – Teoricamente sí, – rispose Tancredi. – I residui dello sparo possono rimanere su un tessuto anche per qualche giorno. Ciò premesso, la storia che ha raccontato non si può sentire. I giudici hanno fatto bene a non darle pe- so. Sarebbe interessante sapere qualcosa di piú su que- sta fantomatica seduta di tiro a segno. Se c’è qualcosa di vero, o se è stata solo una trovata dell’avvocato per seminare dubbi. – Ne parlerò con il ragazzo. In tutti i casi procederei a un sopralluogo dalle parti di casa della vittima, giusto per farci un’idea. E ripeto, studiamo le conversazioni intercet- tate. Se abbiamo qualche perplessità sul modo in cui sono state trascritte, procuriamoci le registrazioni. Tra l’altro sono state acquisite ex articolo 270 da un altro procedi- mento, quello che pendeva per droga a carico del Gaglio- ne, e dobbiamo valutare se può essere utile richiedere an- che quelle non acquisite. – I provvedimenti di autorizzazione? Non ci sono pro- blemi di motivazione o altro? – intervenne Consuelo. – Non sono impeccabili, ma francamente non vedo gli estremi per una questione di inutilizzabilità. Comun- que guardali anche tu e magari ne riparliamo. A parte le richieste di rinnovazione, cerchiamo di capire se ci so- INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 58 08/10/19 11:09
  • 63. la misura del tempo 59 no da preparare motivi aggiunti, anche se a prima vista non mi sembra: l’appello è sintetico, però contiene quel- lo che serve. Tancredi si spostò sulla sedia. – Io credo che andrò a parlare con qualcun altro dei miei ex colleghi della mobile, per capire se esistevano ipotesi al- ternative che non hanno sviluppato. Mi faccio raccontare meglio chi era il morto, come sono arrivati a lui per inter- cettarlo, quali erano i suoi giri, se c’erano persone che non gli volevano bene. E poi vediamo cosa sanno di Cardace, oltre a quello che c’è scritto nelle carte. – Dalle parti della casa di Gaglione ci vado io, e passo al bar dove è stato visto. Nella sentenza non ci sono rife- rimenti all’acquisizione di registrazioni video. Risulta da altri atti? – chiese Annapaola. – Non mi pare, e a dire il vero non ci avevo nemmeno pensato. – Allora quando sono lí cerco le eventuali videocamere. In realtà dopo due anni le registrazioni non ci sono piú. Ma proprio per questo uno potrebbe dire: perché non le avete acquisite? Per suggerire una carenza nell’indagine. – Sempre che sia andata cosí, – disse Tancredi, in un riflesso condizionato di difesa dei suoi ex colleghi. – Può essere che le abbiano prese, le abbiano visionate e non ci abbiano trovato nulla di importante. Nel frattempo sono emersi gli elementi rilevanti su Cardace, cosí hanno la- sciato perdere e non hanno nemmeno menzionato la cosa negli atti. – Controlliamo. Se le telecamere ci sono, e le registra- zioni non sono state acquisite, potrebbe valere la pena di tirare fuori l’argomento. Mi guardai attorno. Nessuno aggiunse altro e chiudem- mo la riunione. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 59 08/10/19 11:09
  • 64. gianrico carofiglio 60 Ancora una volta non dissi che conoscevo la madre dell’imputato. Che l’avevo conosciuta (o avevo creduto di conoscerla) molti, molti anni prima. INT_carofiglio_la_misura_del_tempo.indd 60 08/10/19 11:09