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Lo spazio della pazzia nella
letteratura italiana
Honors Italian Thesis
WASHINGTON UNIVERSITY IN SAINT LOUIS
Sophia Lauriello
Introduzione ...............................................................................................................1
Una donna................................................................................................................16
Enrico IV..................................................................................................................28
Le libere donne di Magliano....................................................................................37
L’altra verità............................................................................................................47
Conclusione............................................................. Error! Bookmark not defined.
Pace era nella cella
e sconfinava di là dalle sbarre di ferro
sovra la notte di gran pioggia e sul mondo,
pace m’avvolse
la cella era simile ad una tomba.
Gelo, sentor di muffa, oscillante ombra.
Silenzio umano immenso, al canto della pioggia.
Ogni prigioniera forse dormiva, e ogni dolore.
Oh notte, oh morte, oh mia libertà!
-Sibilla Aleramo, “Una notte in carcere”
1
Introduzione
Patients are described as psychotic when their mental functioning is sufficiently
impaired to interfere grossly with their capacity to meet ordinary demands of life.
The impairment may result from a distortion in their capacity to recognize reality.
Hallucinations and delusions, for example may distort their perceptions.
Alterations of mood may be so profound that the patient’s capacity to respond
appropriately is grossly impaired. Deficits in perception, language and memory
may be so severe that the patient’s capacity for mental grasp of his situation is
effectively lost.1
American Psychiatric Assoc., 1965
La psicologia insegna che la pazzia e le malattie mentali sono le stesse; la pazzia nella
psicologia è un problema mentale o un problema dei neurotrasmettitori – un individuo ha le
distorsioni nei pensieri o una mancanza della serotonina. La pazzia è un problema medico e
universale, separato dalla cultura – la pazzia negli Stati Uniti è come la pazzia in Italia. La mia
esperienza con la letteratura italiana, comunque, mostra uno schema in cui la pazzia significa più
che una malattia. Ho analizzato la pazzia nei testi italiani e ho trovato che la pazzia è un concetto
culturale distinto dalla malattia mentale; un’idea che mostra i valori della cultura e le strutture
che dominano le vite delle persone in una società, tempo e luogo particolari. In questa tesi, la
definizione della pazzia segue la filosofia pirandelliana che ci permette di considerare la pazzia
come una sfaccettatura del comportamento umano, né buona né cattiva, né normale né anormale,
invece di una questione patologica. La filosofia pirandelliana si basa su una teoria sulla
soggettività radicale della realtà, elaborata negli scritti sia teorici che letterari di Luigi Pirandello.
1
American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders: DSM-
II. (Washington DC: American Psychiatric Association 1965), 23.
2
Impostazione
Luigi Pirandello è uno scrittore siciliano, molto famoso per le sue opere teatrali, oltre che
per libri e saggi più filosofici. Lui nacque in Sicilia nel 1867, in una famiglia coinvolta
fortemente nell’unificazione italiana. Pirandello studiò legge e letteratura all’Università di
Palermo, l’Università di Roma e l’Università di Bonn, in Germania; si stabilì a Roma nel 1894
con la sua nuova sposa Antoinetta Portulano, la figlia di un collega commerciale di suo padre.
Lui insegnava e scriveva i romanzi nel suo tempo libero. Nel 1903 la miniera di zolfo che
apparteneva ai padri di Luigi e Antoinetta crollò e Luigi rimase in bancarotta. Lo stress provocò
un esaurimento nervoso in Antoinetta; lei non si riprese mai e la sua malattia mentale continuò a
peggiorare; la sua pazzia fu parte del fondamento per la filosofia pirandelliana. Antoinetta visse
con Pirandello fino al 1919, e nei sedici anni lui ebbe l’occasione di osservare direttamente il
modo in cui la realtà della moglie non era la stessa realtà che lui percepiva2
. Nel 1921 la sua
opera teatrale Enrico IV fu messa in scena per la prima volta, un’opera che influenzò il critico
Adriano Tilgher a scrivere uno studio che definisce i concetti contrastanti pirandelliani della
Forma e la Vita. Enrico IV, che ispira questa teoria, è anche il più chiaro esempio della
contraddizione tra la Vita, in flusso, e le Forme, le strutture illusorie che noi costruiamo per dare
significato alle nostre vite.
La Forma è la struttura che crediamo sia la realtà, le regole sociali che ci dicono come
comportarci, chi ascoltare, come e in che cosa credere. Tutti i nostri valori sono le Forme che
danno significato alle nostre vite. Invece della variabilità della Vita, che è senza una logica, le
Forme catturano questo flusso e lo trasformano in concetti fissi; la soggettività della realtà è
nascosta nella nostra fede nella struttura delle nostre vite. Le Forme sono calibrate e rigide e
2
Tony Schirato, Geoff Danaher and Jen Webb, Understanding Foucault: A Critical Introduction. (London: SAGE
Publications , 2012), 9.
3
sono responsabili per i ruoli in cui le persone vivono; ci danno uno scopo alla nostra esistenza e
alla nostra identità. Nelle parole di Anthony Caputi, uno studioso di Pirandello:
Forms are what we need to bring clarity and a semblance of stability to the welter of
experience. They are the roles we play and the masks we assume and then put aside;
they are the social games of courtship and marriage and duty that bring meaning to
the enveloping mystery”3
.
Questa citazione parla anche del modo in cui le Forme si mostrano alle altre persone – le
maschere che condividiamo con le altre persone, sia consapevolmente, sia inconsapevolmente.
Per Pirandello, la maschera è una sfaccettatura delle Forme, la nostra creazione di un’identità che
vogliamo vedere come la nostra realtà. L’instabilità di un’identità, e il dubbio nell’idea che noi
siamo le persone che ci pare di essere, sono nascosti sotto queste maschere. Le etichette che ci
diamo – intellettuale, artista, ateo, virtuoso, normale – anche sono aspetti delle Forme, maschere
impostate sia dalla società che da noi stessi.
L’opposto delle Forme è la Vita, la natura soggettiva della realtà che esiste in un flusso
constante. La Vita non solamente cambia perché ogni individuo ha la sua realtà, ma cambia
anche perché ogni esperienza è un momento della vita di un individuo che cambia la realtà di una
persona. Il flusso della vita è come un fiume che non si arresta mai, che trasforma quello che sei
e chi sei in ogni momento. Le Forme sono costruite per controllare questo movimento della Vita.
In una realtà che non è fissa, dove le etichette o le identità che la società ci dà e che ci
diamo noi sono le Forme, la verità di queste etichette/Forme non è una certezza. La pazzia, come
un’etichetta, non è qualcosa di definitivo né una caratteristica, ma un ruolo imposto alle persone
3
Anthony Caputi, Pirandello and the Crisis of Modern Consciousness. (Chicago: University of Illinois Press,
1988), 108.
4
che sono definite diverse dalla cosiddetta norma sociale. Il critico letterario Gian-Paolo Biasin,
riassunse la pazzia agli occhi di Pirandello:
what interests Pirandello is not madness considered as a mental disease and as
such explored and studied, but rather madness as the fascinating, inscrutable,
nocturnal side of man, an element that is potentially present in each of us and
always ready to destroy the constructions on which the idea of human society is
built4
.
Le malattie mentali sono una condizione fisica, un problema della mente e del corpo, una
condizione che non finisce fino alla morte. La pazzia, però, è uno stato dove è possibile lasciare e
ritornare alla sanità mentale come definita dalla società. Il termine pazzia significa “perdita della
ragione, associata per lo più con comportamenti difformi dalla norma”5
. È possibile per i pazzi
riacquistare la loro ragione se loro sottostanno al senno della società, e poi ritornare alla vita
fuori dalla pazzia. Inoltre, Pirandello usa il termine “pazzo” nella sua opera Enrico IV, che è una
parte integrale dell’analisi. I pazzi sono isolati dalla società perché loro abbracciano la natura
fluttuante della Vita, loro dubitano e contestano le Forme; senza la fede nelle strutture create
dalla società, la società si sgretola. Nelle parole di Tilgher, il primo critico a nominare questa
distinzione tra la Forma e la Vita nella filosofia pirandelliana:
In some few [individuals]…thought separates itself from the forms in which the
warm flux has coagulated and sees them for what they really are, that is,
constructions entirely provisional, ephemeral, contingent, fleeting, fragile,
4
Gian-Paolo Biasin, Literary Diseases Theme and Metaphor in the Italian Novel. (Austin: University of Texas
Press, 1975), 112.
5
Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana. Vol. XII. (Torino: Unione Tipografico-Editrice
Torinese, 1984), 886.
5
beneath which the stream of life as it is in itself purls and bellows, beyond all
human illusion and construction.6
La società e le persone hanno paura che la loro comprensione della realtà sia sbagliata; i pazzi
sanno che la realtà è soggettiva ed illusoria. Per conservare la civiltà, la società deve espellere
questi dissenzienti al margine della società, attraverso l’etichetta e il ruolo della pazzia. In questo
spazio e in questo ruolo, la verità del pazzo rigetterà come bugie le Forme della società, e si
nasconderà sotto la maschera della pazzia. Ciò nonostante il ruolo della pazzia permette ai pazzi
l’opportunità di reinventare la proprio identità. Questa definizione della pazzia, come la
maschera delle persone anticonformiste alle Forme, è la definizione che uso per l’analisi dei
promessi testi; Una donna di Sibilla Aleramo, Enrico IV di Luigi Pirandello, Le libere donne di
Magliano di Mario Tobino e L’altra verità di Alda Merini.
Una Donna è il primo romanzo della scrittrice Sibilla Aleramo ed è il più famoso; il libro
è semi-autobiografico, ma Sibilla usa una protagonista anonima per accentuare l’idea che il suo
passato è anche la storia universale di qualsiasi donna. Sibilla inizia a scriverlo nel 1902 e il
romanzo è pubblicato nel 1906; il libro mostra la condizione delle donne alla fine dell’Ottocento
e rispecchia anche le idee sulla pazzia che erano popolari al tempo. Alla fine dell’Ottocento,
quando la protagonista e sua mamma erano classificate come pazze, le malattie mentali e la
pazzia non erano separate, ma la mia analisi mostrerà la differenza tra la malattia mentale che
tocca la madre e la pazzia che tocca la protagonista. Ho scelto Una Donna per due ragioni. La
prima è che Una Donna è il primo testo che ho letto che tratta della pazzia e delle conseguenze
che la pazzia ha nella vita dell’individuo e della comunità. La pazzia per la protagonista non era
una questione di salute mentale, ma un conflitto tra l’individuo e la cultura che cercava di
6
Caputi, Pirandello, 108.
6
dominare la sua vita. Il secondo motivo per cui voglio analizzare quest’opera è il modo in cui
alla protagonista è affibbiata l’etichetta della pazzia e le conseguenze di questa classificazione
imposta. Il libro mostra il modo in cui riprende la sua sanità mentale negli occhi della società e la
sua individualità nei suoi occhi. La follia non è un problema mentale ma una conseguenza del
conflitto culturale, e questa distinzione porta alla questione del ruolo della pazzia nella
letteratura. In questo studio, Una Donna funge da modello ideale per concepire la pazzia nella
letteratura e serve anche come punto di partenza per schematizzare la funzione della pazzia negli
altri testi che saranno affrontati nella tesi.
Enrico IV è un’opera teatrale di Luigi Pirandello che fu scritta nel 1921 e fu presentata al
pubblico nel 1922, e che ispirò il critico Adriano Tighler a teorizzare il dualismo tra la Vita e la
Forma trovato in questo dramma e nelle altre opere pirandelliane. Enrico IV segue Sei
personaggi in cerca d’autore, un’altra opera teatrale che esamina l’idea della contraddizione tra
realtà e arte. Enrico IV esprime l’idea che la pazzia può essere una scelta conscia in modo
concreto e in un contesto metateatrale. La pazzia di Enrico IV è il suo modo di prendere il
controllo del flusso della Vita, e anche se lui vive nelle Forme, ci vive consciamente e in modo
più vicino alla verità.
Le libere donne di Magliano di Mario Tobino, un medico e direttore di un ospedale
psichiatrico, fu pubblicato nel 1963. L’ambientazione del romanzo è in un ospedale psichiatrico
nella campagna della provincia di Lucca, probabilmente negli anni 1952 e 1953, il periodo in cui
Tobino scrisse il romanzo. Le libere donne di Magliano è importante per questo studio perché
offre l’occasione di vedere lo stato della psichiatrica negli anni dopo la guerra e l’inizio dei
modelli di diagnosi e cure più scientifici per le malattie mentali. L’altra ragione per cui è
rilevante per quest’analisi dello spazio della pazzia è perché Tobino affronta la pazzia dal suo
7
punto di vista di medico e psichiatra, cioè come uno dentro e estraneo al luogo allo stesso tempo.
Le libere donne di Magliano mostra il modo in cui anche i medici che lavorano nello spazio della
pazzia sono intrappolati anche loro in questo spazio.
Infine analizzo L’altra verità (1986), un testo autobiografico dalla poetessa Alda Merini.
Alda Merini visse per molti anni, dall’inizio del 1965, in un ospedale psichiatrico a Milano e la
sua esperienza con il severo maltrattamento in questo luogo ispira il suo libro. Lei scrisse il libro
alla sua liberazione dieci anni dopo. L’altra verità scopre la vita di una paziente e i trattamenti
abusivi sofferti comunemente allora dai pazienti chiusi in manicomio. Questo romanzo serve ad
illuminare un caso più contemporaneo e mostra anche il potere attuale dello spazio della pazzia e
modi specifici in cui la società controlla i cosiddetti pazzi.
Per ogni testo la definizione medica della pazzia è differente, perché le scienze e le leggi
cambiano molto nel corso degli ottanta anni da Una donna a L’altra verità. Alla fine
dell’Ottocento, il periodo della protagonista di Una donna, la pazzia non ha una cura; i pazzi
sono isolati fino alla morte. Non c’erano medicina o terapia per una persona incapace di
contribuire alla società. Difatti, prima del 1904 l’Italia non aveva nessuna legge sui manicomi e
la legge del 1904 dura fino alle riforme di Basaglia nel 1978.7
Durante questi anni, i manicomi in
Italia sono luoghi dove il direttore aveva tutto il potere, un potere sia dispotico che arbitrario. In
molti manicomi lo scopo non era la guarigione ma l’isolamento dei pazzi dalla società. Nel 1965,
l’anno in cui Alda Merini viene ricoverata, i manicomi usavano i farmaci e gli elettroshock nel
tentativo di ritornare i pazienti al comportamento normale. I maltrattamenti che tutti i personaggi
affrontano nei vari libri studiati qui, indipendentemente dal periodo storico, mostrano che i
7
Patrizia Guarnieri, «The history of psychiatry in Italy.» History of Psychiatry, (1991), 295.
8
manicomi non funzionarono mai come ospedali, luoghi di cura e compassione, ma fungevano
solo da carceri per isolare i pazzi dalla società.
Questa idea dello spazio per la pazzia deriva dalla teoria esposta da Michel Foucault, un
autore francese che dubitava della funziona dei manicomi nel suo libro Storia della follia nell’età
classica (poiché l’ho letto in inglese, mi riferisco al titolo in inglese, Madness and Civilization).
Foucault analizza il significato soggettivo della pazzia e il modo in cui il significato è formato
dalle forze storiche. In questo libro, fondamentale per analizzare il significato della follia nella
società è il modo in cui la definizione della follia cambia come i valori della società cambiano.
Foucault segue il significato della pazzia dal periodo rinascimentale all’Illuminismo. Nel periodo
rinascimentale la pazzia si vedeva come una malattia contagiosa. Secondo lui, i pazzi
rimpiazzano i lebbrosi, e le case dei lebbrosi diventano il posto per i pazzi. Questi luoghi – dove
l’isolamento e la scomunica del lebbroso sono la sua salvezza8
– furono inizialmente ugali per il
pazzo. I manicomi erano, prima, un posto per salvare i pazzi dalla loro follia. Dal diciassettesimo
secolo, però, i pazzi non sono solo esclusi dalla società, ma sono confinati in manicomi
grandissimi con e come criminali. Questi manicomi non sono spazi della guarigione ma posti
della punizione dove le persone che non si conformano alle regole della società sono confinate.
La pazzia, in questo periodo, non è vista come una malattia ma come un rifiuto di lavorare e
contribuire alla società; nelle parole di Foucault:
Madness was perceived through a condemnation of idleness and in a social
immanence guaranteed by the community of labor. This community acquired an
ethical power of segregation, which permitted it to eject, as into another world, all
8
Michel Foucault, Madness and Civilization: A History of Insanity in the Age of Reason, trans. Richard Howard
(New York: Pantheon Books, 1965), 7.
9
forms of social uselessness. It was in this other world, encircled by the sacred
powers of labor, that madness would assume the status we now attribute to it9
.
Il pericolo della pazzia dei personaggi nella tesi non è la loro malattia mentale, se esiste, ma
l’inabilità o il loro rifiuto di contribuire alla società secondo le regole e i ruoli assegnati dalla
società. Nel Settecento, all’inizio della repressione della pazzia, la follia assume un nuovo
significato, quello di bestialità. La pazzia:
was at a distance, under the eyes of a reason that no longer felt any relation to it
and that would not compromise itself by too close a resemblance. Madness had
become a thing to look at; no longer a monster inside oneself, but an animal with
strange mechanisms, a bestiality from which man had long since been
suppressed10
.
Secondo questa nuova forma della pazzia le persone che sono qualificate come pazze perdono
anche la loro umanità, ed sono classificate come animali, anzi bestie. Quest’idea continua nel
ventesimo secolo, e tocca il trattamento, e il maltrattamento, che i personaggi studiati in questi
testi letterari ricevono. Poi, nel diciottesimo secolo, il sistema del confinamento cambia di
nuovo. La pazzia diventa una malattia per la prima volta, separata della criminalità. I nuovi
sistemi dei manicomi comprendono i ruoli dei guardiani e dei custodi, i quali si dedicano più che
altro alla sorveglianza – “the space reserved by society for insanity would now be haunted by
those who were ‘from the other side’ and who represented both the prestige of the authority that
confines and the rigor of the reason that judges”.11
In questo periodo la pazzia non significa la
malattia mentale ma il potere del confinamento. Le persone non hanno paura della pazzia perché
9
Foucault, Madness and Civilization, 58.
10
Foucault, Madness and Civilization, 70.
11
Foucault, Madness and Civilization, 251.
10
hanno la paura della perdita della ragione ma perché le persone hanno paura della perdita della
libertà nei manicomi. In questi manicomi i curatori significano le guardie e controllori dei pazzi.
Queste definizioni mostrano il modo in cui la pazzia si manifesta nella società in uno spazio
antico sia dentro, sia fuori la società – i nuovi lebbrosi della civiltà confinati nei nuovi lazzaretti.
È importante anche affrontare l’importanza delle donne e la differenza nella loro lotta
dentro questi spazi. Due dei testi non solamente trattano delle donne, ma sono opere
autobiografiche due autrici che avevano vissuto nello spazio della pazzia. Per le donne i ruoli
nella società, soprattutto come madre e moglie, sono molto importanti per capire il modo in cui
le donne sono spinte metaforicamente nello spazio della pazzia. L’incapacità delle donne di
conformarsi a questi ruoli femminili è punita con l’alienazione sociale e la classificazione della
pazzia. Ma la pazzia offre anche una fuga, l’opportunità di auto-reinvenzione attraverso il tempo
e lo spazio particolari della pazzia. Per capire il caso speciale delle donne, sfrutto le convincenti
teorie nel celebre libro Madwoman in the Attic di Sandra Gilbert e Susan Gubar, che fanno
un’analisi delle scrittrici inglesi e americane ottocentesche e il modo in cui queste donne
scrivevano sia della società che della follia.
Madwoman in the Attic (1979) analizza il modo in cui le scrittrici di prosa e di poesia
nell'Ottocento usano la pazzia per ribellarsi contro i tipici ruoli femminili imposti dalle loro
società. Questo studio mette in luce lo schema che appare negli scritti femminili in cui la pazzia è
un modo di fuggire dalle regole della società. La pazzia è una rappresentazione della rabbia che i
personaggi, e le loro autrici, provano per la loro società e le regole che le incarcerano.
Madwoman in the Attic illumina anche i problemi che le scrittrici affrontarono – la pazzia, o la
minaccia della pazzia, perché loro non si conformarono all’idea che la professione di scrittore è
una professione solamente maschile. Una scrittrice dovette scegliere di nascondere il suo lavoro
11
sotto il nome di un uomo, come le sorelle Bronte, o di accettare il suo stato come un’eccezione
alla norma. Le eccezioni sono spesso viste come pericoli alle regole sociali e “women who did
not apologize for their literary efforts were defined as mad and monstrous”.12
Le due scrittrici,
Sibilla Aleramo e Alda Merini, affrontarono proprio quest’idea che una donna che non si
conforma al ruolo domestico è, in qualche modo, mostruosa. Come i personaggi nei libri inglesi
e americani, le protagoniste di Una donna e di L’altra verità trovano che il modo di fuggire da
quest’etichetta è nascondersi nello spazio marginale della pazzia e reinventare la propria identità.
Madwoman in the Attic non è un libro recente, è pubblicato nel 1979, ma è rilevante per la tesi
perché si concentra sugli scritti femminili all’incrocio della soppressione dell’identità a creatività
femminile e la pazzia.
Lo spazio della società e lo spazio della pazzia
Lo schema che ho visto nei testi comprendeva due spazi differenti, che ho chiamato lo
spazio della società e lo spazio della pazzia. Come Ellen Nerenberg, nel suo libro Prison Terms,
ho scelto il termine “spazio” invece di ruolo o etichetta perché il termine spazio significa la storia
e l’impatto della società. Citando Lefebvre, Nerenberg afferma che “‘space is permeated with
social relations; it is not only supported by social relations but it is also producing and produced
by social relations.’”13
Noi viviamo in una realtà sociale; le nostre credenze e percezioni di ciò
che è reale sono create dalle altre persone – sia prima di noi, sia attorno a noi. In questa realtà ciò
che è accettato facilmente, le Forme, sono le regole per vivere. Quelle persone che accettano le
regole sono giudicate normali; quelle persone che non si sottomettono sono considerate
anormali. Per mantenere queste Forme le persone anormali, i ribelli e gli eretici, devono essere
12
Sandra Gilbert and Susan Gubar, The Madwoman in the Attic: the Woman Writer and the Nineteenth-Century
Literary Imagination. (New Haven: Yale University Press, 1979), 63.
13
Ellen V. Nerenburg, Prison Terms: Representing Confinement during and after Italian Facism. (Toronto:
University of Toronto Press, 2001), 6.
12
zittiti ed esclusi, e questa scomunica sociale spinge loro nello spazio della pazzia. Gli
anticonformisti hanno il potere attraverso la loro abilità e i loro desideri di cambiare le strutture
stabilite, attraverso i loro tentativi di vivere il flusso della Vita pirandelliana o con Forme nuove
artisticamente create da loro. La loro presenza dentro una categoria accertata diminuisce la loro
influenza sulle persone normali in modo che il potere sociale può continuare incontrastato.
Lo spazio della società è dove la maggioranza delle persone vive, sostenuta da ciò che
Foucault chiama le istituzioni disciplinari – quelle istituzioni che propagano le regole e le
tradizioni costituite dalla società. Nei termini delle Forme pirandelliane, lo spazio della società è
una struttura fissa costituita come una verità. Lo spazio della società funziona attraverso l’uso del
potere per costringere la maggioranza delle persone ad accettano passivamente le Forme. Il
potere sociale ha un antagonista nei desideri delle persone che non accettano le Forme sociali, gli
individui che vogliano un cambiamento nello status quo. Per isolare e nascondere questo gruppo
la società ha costruito un nuovo spazio a forma dell’antico lazzaretto, un luogo o ospedale per
l’isolamento dei malati incurabili.
Il potere sociale moderno ha fatto pressione ai ribelli ed ha costretto loro a chiudersi in
nuovi lazzaretti e gli ha dato una nuova etichetta, quella del pazzo. Mentre lo spazio della pazzia
funziona fuori dalla società, però, le Forme ci sono lo stesso – la differenza è che le Forme
toccano i pazzi in un modo diverso. Da una parte i pazzi sono più costretti dalle Forme sociali,
avendo perso la loro libertà fisica e i loro ruoli nella società, ma dall’altra loro sono più liberi. In
questo spazio i pazzi sono liberi dalle obbligazioni e dai tempi quotidiani e questa libertà gli
permette di reinventarsi.
13
Le forze
Il processo di entrare nello spazio della pazzia implica tre forze metaforiche che sono
azioni intraprese dalla società per scomunicare le persone anticonformiste e così per conservare
la struttura costituita dalla civiltà. Le tre forze – fisica, sociale e mentale –sono le pressioni
imposte dalla società alle persone definite anormali o anticonformistiche che le costringono a
due scelte: accettare il mondo com’è, o essere costrette nello spazio della pazzia. Queste forze
funzionano in due modi; come forze isolanti che spingono le persone interne allo spazio della
società attraverso l’emarginazione, ma anche come muri che non permettono ai pazzi di lasciare
lo spazio della pazzia.
La forza fisica
La forza fisica è l’aspetto più tangibile, il modo in cui la libertà di lasciare un luogo è
tolta ad una persona. È possibile immaginare questa forza come i luoghi dove i pazzi sono
confinati: i manicomi e le case che separano i pazzi dalla società affinché le persone normali non
siano toccate dalle idee anticonformiste dei pazzi. La forza fisica è la più semplice da vedere ma
la semplicità non diminuisce il potere dell’isolamento fisico; la carcerazione delle persone pazze
gli proibisce di essere con le persone sane. Per i personaggi, la distanza fisica risulta nella perdita
dei ruoli sociali – per esempio Alda Merini, l’autrice di L’altra verità, non può essere una madre
senza le sue figlie che le sono tolte quando entra nel manicomio.
La forza sociale
La forza sociale esiste nell’alienazione sociale, il modo in cui le istituzioni disciplinari
insegnano che un individuo diverso deve isolarsi. La società crea i ruoli rigidi per le persone e
quando le persone non riescono a vivere secondo questi stretti criteri, loro sono ostracizzate. Per
esempio la protagonista di Una donna non si conforma alle regole sociali del suo villaggio e, in
14
ritorsione, gli abitanti emarginano la protagonista. Le istituzioni disciplinari insegnano anche che
i pazzi sono membri di una categoria di valore minore. Come abbiamo visto prima, il modello
del pazzo come animale inizia nel periodo classico, l’Illuminismo, quando “madness borrowed
its face from the mask of the beast. Those chained to the cell walls were no longer men whose
minds had wandered but beasts preyed upon by a natural frenzy”.14
Questa definizione storica
della pazzia è anche inclusa nella forma della pazzia contemporanea; nel manicomio di Le libere
donne di Magliano – a metà del ventesimo secolo – le donne pazze sono trattate come bestie.
L’idea dell’animalità della pazzia è assimilata nelle opinioni generali delle persone pazze. Le
persone sane credono che le persone pazze siano come animali, ma le persone pazze anche
credono di essere inferiori alle persone sane. Chiuse dentro spazi della pazzia, queste persone
hanno da due vie: la prima è di ritornare, se hanno il permesso, in società con lo stigma della
pazzia. L’altra scelta è di creare una società nuova all’interno dello spazio della pazzia. Le
comunità delle pazze appaiono nei due libri analizzati in questo studio, Le libere donne di
Magliano e L’altra verità.
La forza mentale
La forza mentale funziona nei pensieri anticonformisti – uno scisma interiore che crea
una differenza tra il modo in cui un individuo vede se stesso e il modo in cui vede il resto del
mondo. L’individuo anticonformista vede la società come viziata, e i suoi pensieri si concentrano
nei modi in cui la società può cambiare. Questo scisma spinge le persone alla pazzia perché crea
un’irregolarità nel sistema della società e l’irregolarità non ha un posto nella società. Nello
spazio della pazzia, l’individuo ha più libertà di capire e di pensare ai modi in cui la società può
14
Foucault, Madness and Civilization, 72.
15
cambiare. Per esempio, Enrico IV usa la sua scomunica dentro lo spazio della pazzia come il
modo di cambiare il suo mondo.
Reinvenzione
Nello spazio della pazzia, i pazzi hanno un’opportunità che non c’è nella società;
l’opportunità di cambiare il modo in cui loro vedono la loro realtà. La pazzia mostra la verità,
che la società è creata sulle regole e sulle attese arbitrarie e non c’è una verità universale. Invece,
la realtà è il modo in cui ogni individuo vede il mondo – in questa soggettività la pazzia non
esiste e la società è un’illusione. La società funziona quando tutte le persone pensano che la loro
realtà sia la stessa ma la verità è che la società è differente per ogni persona. Come vedremo più
avanti, Enrico IV è il miglior esempio di un individuo che ha usato lo spazio della pazzia per
guardare in faccia la verità ed adesso usa lo spazio della pazzia per costruire un nuovo mondo
senza la società. Comunque, questa conoscenza non libera in modo assoluto i pazzi perché le
Forme della società ci sono già; loro sono già nello spazio della pazzia e le vite di prima sono già
perse. La scelta sola è l’auto-reinvenzione dentro alle Forme sociali o la vita nello spazio della
pazzia e la creazione di nuove Forme all’interno dello spazio della pazzia.
16
Una donna
Una donna è un romanzo semi-autobiografico di Sibilla Aleramo, pubblicato nel 1906. Il
romanzo è diviso in tre parti e segue la protagonista anonima dalla fanciullezza alla maturità. La
prima parte inizia con la sua infanzia e finisce con il suo tentativo di suicidio. La protagonista è
nata a Torino, e passa la prima infanzia a Milano, ma dall’età di dodici anni vive in un villaggio
piccolo sul mare Adriatico, anche questo senza nome.15
Qui lei cresce e, con l’approvazione del
padre, lavora come impiegata regolare nell’ufficio della fabbrica della quale suo padre è
direttore. La protagonista e suo padre sono felici ma il villaggio conservatore disapprova il
padrone della fabbrica e la sua strana figlia. Lei vive con soddisfazione fino all’età di quindici
anni quando – durante lo stesso anno – la mamma, la quale è molto depressa, tenta il suicidio, il
padre è smascherato come adultero e, ancora più devastante, un operaio violenta la protagonista.
Non può parlare a nessuno di questa sua tragedia personale e decide di sposarsi con il suo
violentatore quando lei ha solo sedici anni. Il matrimonio non è felice e la protagonista non va
d’accordo né con sua suocera né con sua cognata, le quali rappresentano le donne ignoranti,
superstiziose, e oppresse del villaggio. La protagonista ha un figlio, ma dopo la nascita di suo
figlio, la protagonista inizia un rapporto extraconiugale attraverso le lettere con un uomo nel
villaggio. Questa “quasi relazione” finisce male perché il comportamento aggressivo di
quest’uomo ricorda alla protagonista il suo violentatore/marito. Le voci della sua tresca
rimangono e il marito abusa fisicamente la protagonista, minacciando la sanità mentale della
giovane donna. Seguendo il modello di sua madre, tenta il suicidio con una dose eccessiva di
laudano.
15
Questo piccolo villaggio è Civitanova, un villaggio nelle Marche.
17
La seconda parte del romanzo inizia con la guarigione della protagonista e segue la sua
comparsa graduale al mondo fuori dal villaggio tramite le sue letture di libri e articoli e i suoi
propri scritti. Grazie ai collegamenti che crescono con gli altri scrittori, la protagonista riesce a
creare un nuovo ruolo per se stessa in una comunità di lettere. Questa comunità di lettere apre
una porta all’opportunità di lavorare e di essere parte di una comunità tangibile a Roma. La
protagonista e la sua famiglia vivono a Roma per un anno, ma poi ritornano al villaggio. La terza
parte del libro inizia con il ritorno al villaggio, quando suo marito prende il posto di direttore dal
padre della protagonista e finisce con la scelta della protagonista di lasciare il villaggio e la sua
vita lì per scegliere un suo ruolo nella società. Questa decisione richiede la rinuncia a suo figlio e
al suo ruolo come madre e moglie, un prezzo non solo alto ma devastante.
Foto 1: Sibilla Aleramo
In Una donna lo spazio della società è rappresentato nelle tradizioni che dominano il
villaggio. Queste tradizioni sono molto vecchie, perché la struttura della società non cambia in
18
questi villaggi piccoli, e mettono in luce la disuguaglianza tra gli uomini – che hanno il potere –
e le donne – che non hanno niente. Il problema è che la protagonista non cresce con queste
regole e non crede nel loro potere. Quando lei si sposa e diventa moglie, scopre che il ruolo della
donna richiede la fede totale in questa struttura. Una persona che devia dalle regole prova
l’isolamento nei tre sensi che ho descritto in precedenza – l’isolamento fisico, l’isolamento
sociale e anche l’isolamento mentale. Quest’alienazione totale porta spesso alla pazzia, lo spazio
costruito anche metaforicamente per le persone differenti e anticonformiste. Per Una donna
l’isolamento è la chiave per capire la pazzia e il processo che spinge le persone allo spazio della
pazzia fuori dallo spazio della società.
L’isolamento fisico è molto simile alla forza fisica che mantiene lo spazio della pazzia; la
differenza è che lo scopo dell’isolamento non è per separare i pazzi dalle persone normali.
Piuttosto, lo scopo di quest’isolamento è di mantenere le usanze della passività delle donne. Per
la protagonista, il matrimonio funziona come una divisione tra un periodo in cui lei non è
soggiogata dall’alienazione fisica e un periodo in cui invece deve vivere sotto le regole
oppressive e misogine che dominano l’Italia rurale.
Nella fanciullezza la protagonista gode di una libertà che non è mai concessa alle altre
ragazze. Il padre le dà l’opportunità di lavorare nella fabbrica, aprendole il villaggio in un senso
fisico. Lei ha il potere di andare in qualsiasi luogo che voglia, ma questa libertà crea alcuni
problemi dopo il suo matrimonio perché quest’abilità di lasciare la casa non c’è per le donne
sposate. Dopo il matrimonio lei è soggiogata dalle regole che disciplinano il comportamento
delle mogli; la sua libertà è finita con la sua fanciullezza. Come moglie, la protagonista è
sequestrata nella sua casa da dove può solo vedere il mondo esterno:
19
Le finestre della saletta da pranzo del nostro appartamento davano su uno
stradone, di là dal quale si stendevano alcuni orti; al fondo si scorgeva un profilo
di colline e una striscia di mare. Le altre stanze guardavano su un giardino piccolo
e deserto, corso da malinconiche spalliere di bosso, e su la linea ferrata.16
Le finestre mostrano il mondo a cui lei aveva l’accesso prima, ma adesso il mondo fuori è
inaccessibile. Questa perdita della libertà non è una cosa rara, poiché il tema delle limitazioni
fisiche c’è spesso negli scritti delle donne. Come alcune scrittrici inglesi e americane – le sorelle
Bronte, la poetessa Emily Dickinson – Sibilla Aleramo era confinata in casa, e il suo romanzo
utilizza “[the] imagery of enclosure [that] reflects the woman writer’s own discomfort, her sense
of powerlessness…it reflects her growing suspicion that what the nineteenth century called
‘woman’s place’ is itself irrational and strange”.17
Sibilla Aleramo è molto critica dei ruoli per le
donne di questa epoca; lei crede che le donne non possano essere felici in una società che le
obbliga al sacrificio della loro identità: “Come moglie, le poche gioie le si erano mutate in
infinite pene: come madre non aveva mai goduto della riconoscenza delle sue creature”.18
La
protagonista non solamente pensa che i ruoli e le regole per la donna nella società siano
irrazionali, ma lei crede anche che le donne si meritino più autonomia e più indipendenza sia
fisica che sociale. Questi pensieri anticonformisti la portano prima all’isolamento sociale, e poi
alla scomunica sociale che finisce con la pazzia.
Mentre l’isolamento fisico non inizia fino al matrimonio, l’alienazione sociale esiste nella
vita della protagonista appena la sua famiglia si trasferisce al villaggio. L’isolamento sociale di
cui fa esperienza prima del matrimonio è il risultato della sua reputazione come eccezione dalle
16
Sibilla Aleramo, Una Donna. (Milano: Universale Economica Feltrinelli, 1950), 33.
17
Gilbert and Gubar, Madwoman in the Attic, 84.
18
Aleramo, Una donna, 41.
20
regole e della sua mentalità incompresa e non tollerata dalle altre persone nel villaggio. Dopo il
matrimonio, l’isolamento sociale si esprime nel ruolo che lei è costretta ad assumere e nei
continui insuccessi derivanti dal vivere ruoli che le tradizioni hanno scelto per lei.
Il villaggio dove la protagonista e la sua famiglia vivono è piccolo e tradizionale e il
padre, uomo dalle idee moderne, va contro molte delle regole. Lui è ateo, è ben istruito, ma è
anche bigotto e molto intollerante delle persone che lui considera inferiori – cioè il resto del
villaggio, compresa la moglie. La sua individualità è tollerata perché lui ha un posto influente
nella società: è il padrone della fabbrica ed un uomo. La stessa idea, invece, non vale per la
protagonista, la quale vuole seguire le orme del padre. La sua istruzione crea un divario tra lei e i
paesani, e la sua scelta di condividere molte delle opinioni del padre crea una situazione in cui la
protagonista vive tra diverse categorie senza un vero posto. Lei non è un uomo ma lavora nella
fabbrica, e non è ancora una donna essendo solo un’adolescente: non ha nessun posto nella
società del villaggio e in questo stato isolato è spinta fuori dallo spazio della società. Ai margini
della società lei riesce a vedere più da vicino la struttura del sistema sociale, e si avvicina di più
allo spazio della pazzia.
Per la protagonista, molti dei problemi nella società del villaggio sono annullati dal
rapporto forte tra lei e il padre. Finché la protagonista abbia il sostegno del padre, lei non ha
bisogno dell’accettazione del villaggio. Questa vicinanza, però, non c’è tra lei e la mamma; una
ragione è l’adesione della protagonista alle opinioni del padre sulla moglie – lui, e in senso lato
la protagonista, non pensa che la moglie sia meritevole del suo tempo perché lei non può capire
le sue idee moderne e razionali. L’altra ragione è che la mamma rappresenta le tradizioni e i ruoli
che dominano le donne nella società rurale, una realtà che la protagonista non capisce; lei inoltre
non è pronta a considerare il suo futuro come moglie perché il ruolo della moglie dominerà la
21
sua vita – dopo il suo matrimonio lei perderebbe la sua indipendenza. La donna individuale che
c’era prima del matrimonio non c’è più nella vita della mamma; lei è solo una moglie e una
madre e questi ruoli richiedono la libertà della madre, e richiederanno la libertà della
protagonista. La maternità è un tipo di schiavitù, “di madre in figlia, da secoli, si tramanda il
servaggio”19
. La protagonista ha paura, inconsciamente, del fatto che quel ruolo assorba tutta
l’identità di una donna, e che un insuccesso nella vita domestica sia punito con l’alienazione
sociale. L’isolamento autoimposto tra la mamma e la figlia non solo danneggia la protagonista, la
quale è impreparata per il suo stesso ruolo come madre e moglie, ma danneggia anche sua madre.
L’insuccesso della madre di avere un rapporto con la figlia si combina con l’isolamento a cui il
padre conduce la famiglia nella società del villaggio spingendola verso lo spazio della pazzia
durante la fanciullezza della protagonista. Il tentativo di suicidio della madre è un modo per una
donna di tentare di fuggire da questo spazio della società, dove lei non ha un posto. La vita non è
possibile nello spazio costretto della società ma lei ha una scelta di fuga o nella morte o nella
pazzia. La madre prima tenta il suicidio, e quando la sua fuga attraverso la morte fallisce, lei
fugge attraverso la pazzia.
Dopo il matrimonio, la libertà sociale della protagonista, il suo stato individuale, non c’è
più e il marito adesso controlla tutta la sua vita. In questa situazione lei ha bisogno di un’amica o
una compagna ma lei non ha nessuno con cui parlare dopo aver lasciato la sua famiglia per
vivere con i suoi suoceri. La sua intolleranza per il villaggio e gli abitanti prima del matrimonio
si risolve nell’alienazione dopo. L’unico rapporto che lei aveva, quello con suo padre, è
anch’esso finito con il matrimonio perché suo padre la abbandona. In questa situazione, in cui la
protagonista non può fare amicizia con altre donne, lei non capisce neanche che le regole della
19
Aleramo, Una donna, 144.
22
società non le permettono di creare rapporti con gli altri uomini. Il suo tentata relazione con un
uomo finisce con la rabbia violenta del marito e le chiacchiere del villaggio; queste due
conseguenze la spingono ancora ai margini della società e più vicino allo spazio della pazzia.
La maternità definisce le donne nella società del villaggio, e sia l’aborto spontaneo, sia i
problemi con l’allattamento convincono la protagonista che non può essere una madre vera.
L’insuccesso della protagonista come madre la spinge al confine tra una vita normale nel
villaggio e una vita anormale e isolata, dove la protagonista non c’è parte della società. Come sua
madre prima di lei, questo fallimento della maternità è percepito come il fallimento della sua
partecipazione alla società. La protagonista deve scegliere fra tre possibilità: vivere come un
fallimento, fuggire nello spazio della pazzia, o morire, uccidendosi. Questo schema ritorna
ripetutamente nella letteratura della pazzia e delle donne20
, l’idea che la libertà dalla struttura
paternalistica può realizzarsi attraverso la follia, che la pazzia offre l’opportunità per
reinvenzione. Difatti, la protagonista realizza il suo potenziale solo dopo il suo ingresso nello
spazio della pazzia.
L’anticonformismo definisce la maggioranza della vita della protagonista, nel senso
fisico nella sua decisione di lavorare nella fabbrica e di vestirsi con abiti da ragazzo, ma anche in
un senso mentale. La sua istruzione, anche se è disequilibrata con le propensioni di suo padre, le
permette di vedere il mondo attraverso concetti astratti, in un modo che è impossibile sia per le
donne, sia per gli uomini vivere nel villaggio, dove l’istruzione finisce formalmente nella prima
gioventù. A differenza delle altre donne, la protagonista prima andava a scuola, poi è stata
istruita da suo padre, il quale tramandava i suoi pensieri e le sue opinioni alla figlia. La
protagonista eredita la visione del mondo del padre, ma lei comprende che la sua conoscenza del
20
Per esempio: Jane Eyre, Wuthering Heights, The Yellow Wallpaper
23
mondo è incompleta; le tradizioni che formano la società sono un mistero per lei e questa
condizione di confusione è uno stato dell’isolamento. Lei ricorda un momento della fanciullezza,
prima di trasferirsi al villaggio, come un momento di “tristezza [per] non saper pregare né
cantare, e più acuto il senso della mia solitudine”.21
Questa solitudine è mascherata dal rapporto
con suo padre, ma dopo il suo matrimonio, la sua inesperienza con le regole che dominano la sua
vita e le vite delle altre persone del luogo rovina la sua fragile felicità.
Dalla sua prospettiva diversa, lei contesta regolarmente la struttura della società, uno
schema che a fine la porta alla scomunica sociale. La protagonista non solo contesta il
comportamento delle donne con la sua breve relazione con un altro uomo, ma contesta l’idea che
il destino delle donne è “amare e sacrificarsi e soccombere”22
, che il ruolo della madre è una
posizione onnicomprensiva. Lei pensa che “la buona madre non deve essere, come la mia, una
semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana”23
,
un’argomentazione contro la struttura storica che è la fondazione della sua società
contemporanea. Ann Caeser, una studiosa del femminismo, trova questa ideologia proto-
femminista negli articoli che Sibilla ha scritto tra 1897 e 1910: Sibilla vede l’oppressione delle
donne e la loro incapacità di essere più che madri come la conseguenza dell’internalizzazione
dell’oppressione dell’autorità paternalistica, un’oppressione che è trasmessa dalla famiglia.24
La
risposta alla sua sfida è la scomunica sociale e in seguito l’etichetta della pazza.
Dopo il suo tentativo di suicidio, la protagonista è tolta dalla vita sociale e messa nello
spazio della pazzia. Per lei, questo spazio della pazzia è l’isolamento totale nei sensi fisici e
21
Aleramo, Una donna, 8.
22
Aleramo, Una donna, 41.
23
Aleramo, Una donna, 85.
24
Ann. Caeser, «Italian Feminism and the Novel: Sibilla Aleramo's A Woman.» Feminist Review.
24
sociali. Il marito non la permette lasciare la casa o parlare a ognuno tranne il dottore, la
protagonista non ha la libertà di essere nella società. Lei è una prigioniera, e la sua etichetta della
pazzia è la sua prigione. La sua pazzia non è mai diagnosticata da un dottore, sebbene qualcuno
potrebbe identificarla con la depressione post-parto. La diagnosi della sua malattia mentale non è
più importante della sua nuova etichetta della pazzia, perché la pazzia porta lo sviluppo interno.
Nello spazio della pazzia la protagonista ha più libertà mentale e questa libertà offre
l’opportunità di auto-reinvenzione.
Le tre forze che la spingono lontano da un ritorno alla società che lei ha lasciato – le forze
fisiche, sociale e mentale – sono simili, se non uguali, alle forze che la isolano prima del tentato
suicidio. Quello che conta maggiormente nel suo periodo trascorso nello spazio della pazzia non
sono le forze che tengono la protagonista all’interno della pazzia, ma il modo in cui la
protagonista usa questa fuga attraverso la follia come un rifugio dove lei cresce come persona.
Paradossalmente, la pazzia le permette a fine di abbandonare almeno in parte i ruoli
convenzionali di donna che la rendevano pazza.
Alle fine dell’Ottocento una “pazza” era tipicamente confinata nel manicomio, come fu il
destino della madre della protagonista, o nella casa, come fu il destino della protagonista.
L’isolamento fisico della protagonista migliora; lei è costretta in casa sotto gli ordini di suo
marito – “non uscivo mai di casa, salvo qualche volta la sera: pochi passi con mio marito lungo
la deserta via ferrata”.25
La protagonista è fortunata che il suo isolamento le permette di restare
nella sua casa con suo figlio; sua mamma aveva perso i suoi figli quando suo padre l’aveva
mandata in manicomio. Ogni volta che esce di casa, però, suo marito l’accompagna; lui è lo
strumento della forza fisica che limita la protagonista; la sua presenza è un ricordo costante delle
25
Aleramo, Una donna, 80.
25
regole che opprimono la protagonista. L’impossibilità di essere sola nel mondo esterno porta la
protagonista a usare il suo tempo in casa per la sua crescita interiore, uno sviluppo che le
permette alla fine la libertà fisica. Nella prigione che è la sua casa, la protagonista espande i suoi
rapporti tramite la lettura di libri e riviste dell’alta cultura, la sua scrittura, e la sua
corrispondenza con intellettuali europei. Le sue lettere rappresentano di fatti una fuga dal
villaggio verso una società diversa che accetta il suo anticonformismo.
Nel senso sociale, la pazzia si appropria dei ruoli dalla protagonista e la riduce al livello
di una bimba. Le faccende domestiche infatti sono svolte da un’altra donna, cosa che permette
alla protagonista di trascorrere tutto il tempo con suo figlio, ma anche con i libri. Le chiacchiere
del villaggio servono a ricordare che la protagonista fallisce nel suo tentativo di svolgere il suo
ruolo; un monito non solo per la protagonista, ma anche per suo marito. Mentre lui tiene la
protagonista chiusa in casa, separata dalle altre persone, lei crea una nuova cerchia sociale con
vari scrittori con cui corrisponde. Questi scrittori non solo sono un collegamento col mondo
esterno alla casa e al villaggio, ma presentano anche una nuova società dove ai pensieri diversi è
permesso fiorire. In questa sottocultura degli intellettuali la protagonista trova il suo posto, un
posto che le offre l’opportunità di lasciare il villaggio per un lavoro a Roma in un giornale
femminista. Inoltre, questa cultura di anticonformisti offre anche l’opportunità di sviluppare i
suoi pensieri sulle donne e sull’emancipazione delle donne, e di scrivere gli articoli in cui può
condividere le sue idee con altre persone. La protagonista entra nello spazio della pazzia come
una madre e una moglie ma lo lascia come scrittrice.
Di tutti i personaggi nei testi che ho letto, la protagonista di Una donna ha i sintomi più
evidenti di una malattia vera; uno psicologo le diagnosticherebbe la depressione, probabilmente
la depressione post-parto. La sua malinconia, la sua apatia, la sua accettazione della sofferenza
26
come il suo destino – tutti questi sintomi portano alla diagnosi di un disturbo umorale. Questo
fatto è importante perché mentre la pazzia è un’idea creata dalla società, le persone che entrano
in questo spazio hanno spesso disturbi psicofisici umorali. La protagonista finisce con l’avere
quest’etichetta perché non può nascondere la sua depressione, ma lei rimane nello spazio della
pazzia anche dopo la sua guarigione perché perde il suo posto nella società del villaggio.
L’anticonformismo spinge la società ad isolarla, l’alienazione la costringe alla depressione e la
depressione la spinge allo spazio della pazzia e al nuovo ruolo in questo spazio. Per la prima
volta, dallo stupro a cui la protagonista era sottoposta a quindici anni dal suo futuro marito, ha
finalmente l’opportunità di essere più di quello che la società vorrebbe che lei fosse. Lei è
fortunata perché nel periodo della pazzia ha ricevuto un libro di sociologia sui problemi in
Europa, compresa l’oppressione delle donne, e questo testo è la sua salvezza. L’atto di scrivere
costituisce lo sfogo per le sue idee contro la società dominante e anche un modo in cui lei matura
a un’individua uguale allo stress di essere un’anticonformista.
Lo spazio della pazzia permette alla protagonista di svilupparsi, ma la sua crescita ha
un prezzo molto caro. È possibile per la protagonista lasciare lo spazio della pazzia ed entrare in
una nuova società dove lei ha l’abilità di esprimere i suoi pensieri anticonformisti, ma non è
possibile per lei avere quest’opportunità senza privarsi del suo ruolo passato. La protagonista
deve scegliere tra essere una donna completa o essere una madre. La terza parte del romanzo si
concentra sulla scelta di lasciare o di rimanere con suo marito; la decisione di lasciare il marito e
di conseguenza suo figlio riflette la crescita che avviene nello spazio della pazzia, ma anche la
paura di ritornare allo spazio e i ruoli della società. Alla fine, la protagonista sceglie la sua
identità e la sua libertà perché lei sa che l’altra decisione finirebbe con la sua morte. La sua scelta
è l’opposto di quella che sua madre ha fatto, una decisione che finisce con il disturbo mentale e
27
una morte lenta in un manicomio. La protagonista sacrifica la sua maternità e suo figlio perché la
maternità esige che lei sacrifichi la sua identità, la sua libertà e la sua vita, e lei non vuole fare
questo sacrificio. La pazzia le insegna che le etichette che la società dà alle persone – sia la
madre, sia la pazza – non sono vere. La verità è che le donne hanno l’abilità di scegliere il loro
destino, e questa verità è la ragione per cui la società ha paura dell’anticonformismo. La società
ha potere solo quando le persone credono nella società e seguono passivamente le sue regole;
appena la protagonista riconosce questa verità, lei è libera.
28
Enrico IV
Enrico IV è un’opera teatrale di Luigi Pirandello che tratta di un uomo considerato pazzo
e del tentativo di curare una malattia mentale che non c’è. Enrico IV, il protagonista pazzo, crede
di essere il Sacro Romano Imperatore della Germania, durante gli anni 1076 – 1077 quando il re
fu scomunicato dal Papa Gregorio VII26
; questa follia è sostenuta dalla sua famiglia che paga per
una villa, gli attori, e i costumi per creare uno spazio fuori dal tempo. L’opera inizia con l’arrivo
di un nuovo attore e l’arrivo del nipote di Enrico. Insieme a suo nipote ci sono un medico;
Donna Matilde, la donna che Enrico amava prima della pazzia; Belcredi, l’amante di Donna
Matilde e il nemico di Enrico; e la figlia di Donna Matilde, Frida. Il dottore è presente perché Di
Nolli, il nipote, vuole che suo zio sia curato; il dottore pensa che lo shock di vedere Frida – che
sembra una giovane Matilde – nello stesso abito che la madre indossava il giorno in cui Enrico
IV perse la sua sanità mentale, curerà la sua pazzia. Ci sono due problemi: il primo è che
Belcredi è, in parte, responsabile per la caduta di 20 anni prima che causò la pazzia durante una
cavalcata storica quando il protagonista indossò la maschera del re in un tentativo di fare una
buona impressione a Donna Matilde. Il secondo, e il più importante, è che Enrico IV non è
veramente pazzo; da più anni lui finge la pazzia perché non vuole ritornare allo spazio della
civiltà. Lui abbraccia la verità dello spazio della pazzia e sceglie di rimanerci. Enrico IV
confessa questa scelta ai suoi consiglieri – gli attori che vivono con lui – ed all’apice dell’azione
lui confessa la sua sanità mentale alle altre persone. Nel momento di questa confessione, Enrico
IV aggredisce Belcredi, dimostrando che la sua sanità mentale non è distinta dalla sua pazzia.
26
I. S Robinso, Henry IV of Germany 1056-1106. (Cambridge: Cambridge University Press, 1999), 161.
29
Foto 2: Marcello Mastroianni come Enrico IV
Non c’è una differenza tra la sanità mentale di Enrico IV e la sua pazzia perché nelle
teorie di Pirandello, il comportamento umano è un continuo. Le categorie di “sanità mentale” e
“pazzia” sono “Forme”, costruite dalla società per capire la nostra realtà. È anche possibile
sostituire i termini di “normale” e “anormale” con sanità mentale e pazzia perché questi termini
descrivono i modi in cui la società definisce il comportamento dagli esseri umani. La sanità
mentale e la normalità sono i termini per il comportamento che la società giudica come giusto.
La pazzia e l’anormalità sono i termini per il comportamento che la società giudica come
sbagliato.
La pazzia di Enrico IV funziona come il modo in cui Enrico IV prende il controllo della
sua vita. La sua maschera della pazzia gli permette di essere l’autore del suo spazio fisico ma
anche della sua realtà. Per Enrico IV lo spazio fisico della sua pazzia è uno spazio della sua
creazione. La villa dove finge di essere un re medievale è totalmente un luogo falso, uno spazio
che rappresenta la falsità della pazzia di Enrico IV. Anche la villa è la manifestazione del suo
isolamento dallo spazio della civiltà e vivere là è il modo che lui sceglie per abbracciare il suo
isolamento.
30
La villa dove Enrico IV vive è trasformata in un castello medievale dalla sorella di Enrico
IV di modo che Enrico IV possa credere di vivere veramente nel castello di Canossa, il luogo
dove il vero Enrico IV chiese perdono a Gregorio VII nel 1077. L’anno dall’ambientazione
dell’opera non è mai indicato da Pirandello ma è probabilmente l’anno in cui l’opera fu scritta, il
1921. I personaggi “moderni” e “normali” nel dramma accennano alle automobili e alle luci
elettriche, ma in questa villa tutta questa tecnologia moderna è nascosta. Invece Enrico vive con
gli attori nei costumi specifici del 1077 di Enrico IV di Germania, con le lampade a olio e i
mobili d’antiquariato. Lo spazio è una contraddizione, con le persone moderne ma gli ornamenti
antichi e questa contraddizione rispecchia la contraddizione tra il protagonista che tutti credono
sia un pazzo Enrico IV e la verità della sua sanità mentale. Enrico IV è pienamente cosciente
della bugia della sua ambientazione ma in questa bugia Enrico IV ha più potere:
Credete che non sappia che, appena volto le spalle con la mia lampa ad olio per andare a
dormire, accendete la luce elettrica per voi – qua e anche là nella sala del trono? – Fingo
di non vederla...27
Dodici anni dopo la sua caduta, Enrico IV all’improvviso si rendeva conto della sua vera
identità, ma la mascherata continua perché in questo spazio lui ha il controllo assoluto; le
persone che vivono con lui sono costrette a seguire le sue regole e partecipare alla sua finzione.
Questa intenzione serve per proteggere il suo isolamento dalla società e i muri della villa sono i
muri fisici che Enrico IV usa per dividere il suo spazio inventato della pazzia dallo spazio della
società. La vita nel castello è uno spettacolo teatrale dentro lo spettacolo teatrale di Enrico IV,
ogni giorno Enrico IV e i suoi consiglieri recitano il periodo storico dalla vita del vero Enrico IV
27
Luigi Pirandello, Enrico IV (Milano: A. Mondadori, 1929), 93.
31
quando lui chiese perdono al Papa. Questa idea della differenza tra la realtà della società e la
realtà del teatro è un soggetto comune nelle opere di Pirandello e parte della sua filosofia. La
realtà della società dipende dei nostri sensi, non è una questione della nostra volontà La realtà del
teatro – la realtà di Enrico IV – è una creazione della Forma perché Enrico IV esercisce la sua
volontà, “voluta non nel senso che sia procacciata con la volontà per un fine estraneo a se stessa;
ma voluta per sé e per sé amata disinteressatamente”.28
La vita di Enrico IV è una nuova Forma
della sua creazione e in questa Forma Enrico IV è libero.
L’isolamento a cui la società costringe i pazzi è, normalmente, un tentativo di smantellare
il potere e l’identità dai malati. Comunque l’isolamento di Enrico IV alle fine dà più potere a lui
perché l’isolamento è una scelta specifica fatta da lui stesso, uno sfruttamento della pazzia e
l’isolamento diventa una protesta sociale.29
Nell’alienazione fisica e sociale, Enrico IV ha
l’opportunità di creare la sua realtà. In questo spazio “fuori del mondo, fuori del tempo, fuori
della vita”30
l’isolamento permette ad Enrico IV di ribellarsi contro le regole e le strutture sociali
da cui fu oppresso nel passato. Prima della sua caduta da cavallo e la conseguente pazzia, Enrico
IV era uno schiavo della società; nella sua pazzia lui è padrone delle sue azioni e del suo
ambiente. Tutti gli aspetti della villa sono controllati dai capricci della sua pazzia; ma poiché
Enrico IV non è veramente pazzo, questo significa che ogni scelta che aumenta il suo isolamento
è una scelta intenzionale. Per Enrico IV la pazzia vera è vivere in una società dove gli altri hanno
tutto il potere sopra di lui. Il costo dello stigma della pazzia non è troppo alto rispetto al
vantaggio di essere il padrone e artista del suo mondo anche se fittizio.
28
Pirandello, Luigi, Saggi, poesie, scritti varii (Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1960)
29
Biasini, Literary Diseases
30
Pirandello, Enrico IV, 86.
32
Nonostante il tentativo di Enrico IV di fuggire la società nel suo spazio fisico la forza
sociale continua ad avere impatti sulla sua vita; la società è rappresenta dai visitatori che arrivano
nel castello con l’intenzione di curare Enrico IV da una pazzia che non esiste. Le maschere sono
un’altra Forma della società, le maschere che i vari personaggi indossano; le maschere esteriori
che mostrano i desideri della società e le maschere interiori che nascondono la verità. Le
maschere sono illusioni, sia illusioni dell’identità, sia illusioni del mondo, che danno un
significato e un ordine alle vite delle persone. La vita senza le maschere è impossibile perché le
maschere sono il modo in cui le persone capiscono la nostra realtà. Neanche Enrico IV può
vivere senza una maschera, ma lui abbraccia la sua maschera della pazzia.
Enrico IV indossa la maschera della pazzia, come il suo ritratto nella sala di trono, tutte le
sue azioni e tutti le sue parole creano l’illusione di qualcosa che non c’è. I ritratti nella sala di
trono “rappresentano un signore e una signora, giovani entrambi, camuffati in costume
carnevalesco, l’uno da ‘Enrico IV’ e l’altra da ‘Marchesa Matilde di Toscana’”.31
Questi ritratti
non mostrano la verità, invece i ritratti del passato mostrano questi due protagonisti in un
momento fisso del passato, e un uomo fisso nel passato è quello che i visitatori si aspettano dai
loro incontri con Enrico IV. Di fatti, la maschera della pazzia è il ruolo che Enrico IV recita per
questi visitatori, una maschera che rappresenta l’ordine sociale convenzionale. Comunque, la
faccia vera di Enrico IV è la faccia di un uomo che non è pazzo nel senso della definizione che lo
spazio della società usa. Invece la faccia vera di Enrico IV è un uomo intelligente che ha capito
che il migliore modo di lottare contro lo spazio della società e di adottare la pazzia come
un’armatura. Enrico IV non solo è il personaggio che indossa una maschera – tutti i personaggi
indossano una o più maschere che nascondono la verità delle loro identità sia dalla società, sia
31
Pirandello, Enrico IV, 6.
33
dai loro stessi. Gli attori usano le maschere del passato allo scopo di aiutare e mantenere
l’illusione di Enrico IV. Donna Matilde indossa la maschera esteriore di una signora dal
medioevo ma anche una maschera interiore di una donna nel fiore della sua vita.
Donne Matilde Spine è sui 45 anni; ancora bella e formosa, per quanto con troppa
evidenza ripari gl’inevitabili guasti dell’età con una violenta ma sapiente
truccatura, che le compone una fiera testa di walkiria. Questa truccatura assume
un rilievo che contrasta e conturba profondamente nella bocca, bellissima e
dolorosa.32
Per Donna Matilde questa visita è un’opportunità a rivivere la sua bella gioventù. Lei
vuole il passato fisso che esiste nella maschera di Enrico IV, un tempo quando lei era un’eroina
tragica che ha il potere sulla sanità di mente degli uomini. La società offre meno opportunità ad
una donna matura; senza il potere della giovinezza, rappresentata dalla sua figlia Frida, Donna
Matilde è una figura sociale debole. Belcredi, il rivale di Enrico IV, indossa la maschera di un
amico, ma la sua maschera interiore è di un’ostilità che dura da, al meno, diciotto anni. Il dottore
indossa la maschera dello scienziato ma è chiaro agli altri che la sua conoscenza medica non ha il
potere di curare Enrico IV, ed è il personaggio più ridicolo di tutti. Per tutti i personaggi, le
maschere nascondono le identità vere e frantumate, ma solo Enrico IV è capace di vedere e
capire la sua verità e questa differenza costringe lui di recitare “per sempre” il ruolo del pazzo.
Il conflitto dell’opera ha origine nell’idea che c’è una cura per la pazzia e che i pazzi
hanno bisogno di e vogliono questa cura affinché ritornino alla società. Se la pazzia rappresenta
un pericolo alla società, una cura significa il ritorno al ordine sociale. Il problema con questa
teoria è che Enrico non ha bisogno di né vuole una cura; lui è contento di vivere nel suo spazio
32
Pirandello, Enrico IV, 20.
34
isolato, fuori dagli obblighi della società. La sua pazzia non è una perdita di ragione – lui è il più
ragionevole di tutti – invece lui usa l’etichetta del pazzo perché nello spazio della pazzia Enrico
IV ha l’opportunità di distruggere la struttura presente della società e ricostruire il mondo
secondo la sua voluta. Il dottore pensa che la cura sia di annullare il desiderio di Enrico IV di
essere un’altra persona; ma il dottore non capisce che l’isolamento di Enrico IV è una scelta che
ha origine prima della sua caduta. Donna Matilde ha veduto questo diciotto anni prima, quando
lei ha riconosciuto che lui “non era come gli altri!”33
. Prima della sua pazzia, Enrico IV vedeva
la verità; l’isolamento inizia prima della pazzia, e adesso, l’etichetta del pazzo è solo il modo in
cui Enrico IV separa se stesso dal mondo in modo assoluto. La cura che il dottore vuole per
Enrico IV obbliga Enrico IV a interagirsi con gli altri esseri umani della società civile ma Enrico
IV non vuole interagirsi con gli altri. La società contro di cui Enrico lotta gli obbligherà a credere
in un’illusione – l’illusione che la ragione e la sanità mentale esistano – quando lui sa che lo stato
della pazzia è più vicino alla verità. Nella pazzia lui ha l’abilità di capire e dire la verità e “una
cura”, un ritorno in società, lo costringerebbero a tacere.
Enrico IV esiste in una categoria unica – quella della persona che capisce la verità della
vita, e che ha il potere sul proprio destino. Enrico IV capisce che il suo comportamento sembra
pazzo ma quest’atto è progettato per separarlo dalle altre persone; la sua insistenza nel fingere di
essere un re tedesco è una maschera che si mette sulla faccia in contrasto agli altri personaggi
che non riconoscono le illusioni in cui vivono ogni giorno delle loro vite. Questa verità che
Enrico riconosce è che la pazzia, come una definizione stabile o universale, non esiste. Nella sua
“pazzia” Enrico IV può vedere e capire che la pazzia è una questione di potere, al contrario di
una questione della sanità mentale. L’abilità di un pazzo di capire questa importante distinzione
33
Pirandello, Enrico IV, 32.
35
ha origine nella posizione di essere separati come un pazzo dalla società civile; i pazzi non sono
parti della società e nello spazio emarginato loro hanno l’abilità di giudicare in un modo che le
persone “sane di mente” non hanno. La pazzia di Enrico IV non è una pazzia che un dottore
diagnostica. La sua pazzia gli permette di riconoscere l’illusione e rifiutare le convenzioni sociali
e il sistema illusorio della ragione, nonostante questa riconoscenza lo isoli. Enrico IV vive una
bugia, perché lui finge di essere pazzo, ma è meglio conoscere la verità che vivere
nell’ignoranza.
La ragione per cui Enrico IV abbraccia la sua pazzia falsa è il potere che la follia gli dà;
libero dal potere della società, Enrico IV ha l’abilità di vivere secondo la sua volontà. Il
momento in cui la pazzia è più vera, è il momento in cui Enrico IV ha più potere. Il potere di
Enrico IV è nella sua abilità di controllare la sua realtà, che include la storia della sua caduta e la
verità del suo stato mentale. Quando tutti i personaggi conoscono la storia – la verità della
caduta, la verità dello stato mentale di Enrico IV – Enrico IV perde il suo potere. La realtà che
Enrico IV ha costruito è a rischio e per proteggere la sua creazione, Enrico IV è spinto all’azione.
Di Nolli, suo nipote, paga per tutta la vita di Enrico IV – per la villa, per gli attori, per i costumi,
- e senza la pazzia tutto questo non ci sarebbe. La sola possibilità per Enrico IV in questo
momento è di dimostrare che la sua pazzia è vera, nonostante sotto la maschera Enrico IV sia
senz’altro il più intelligente e il più sano. L’assalto di Belcredi è l’azione di un uomo sano di
mente e il prezzo di vivere fuori della società.
A differenza dei personaggi nelle altre opere studiate qui, Enrico IV è l’unico
personaggio per cui il costo dell'auto-reinvenzione non è la perdita della sua vita prima della
pazzia ma la perdita dell’opportunità di cambiare la sua scelta. È chiaro al pubblico che Enrico
IV non vuole ritornare in società, una società che non ebbe molta considerazione per lui prima
36
della sua pazzia e non avrà considerazione per Enrico IV se lui ritornerà con lo stigma della
follia. Comunque, prima della fine dell’opera, Enrico IV ha l’abilità di ritornarci e questa
capacità è molto importante perché il potere di Enrico IV sta nel fatto che, a differenza degli altri
pazzi, Enrico IV vive la sua pazzia nel modo più conscio e fa quello che vuole fare. Dopo la fine
dell’opera, dopo il tentato assassinio di Belcredi , Enrico IV è costretto a indossare per sempre la
maschera della sua pazzia fino alla fine dei suoi giorni. L’atto di violenza contro Belcredi è
anche un atto contro la società; la società cerca di rigettare la pazzia di Enrico IV, ma Enrico IV
uccide Belcredi con una spada per convincere gli altri personaggi che, infatti, lui è pazzo. Lui ha
scelto la pazzia, ma in questa scelta lui ha perso la capacità di essere più della maschera che la
società vede.
Enrico IV non solo finisce con la morte della scelta, ma anche con la violenza contra
Belcredi. Non è chiaro se lui morirà, ma quest’ambiguità è meno importante del fatto che una
lotta contro il sistema inevitabile finisce con la violenza. Enrico IV lotta contro la società: sia il
suo ritorno nel mondo civile, sia l’impatto della società nella sua vita. Nel dramma Enrico IV è
un uomo ragionevole, nonostante la sua maschera della pazzia, ma alla fine, quando lui
aggredisce Belcredi, Enrico IV non è un uomo ragionevole ma un pazzo negli occhi della
società. Lui mostra il pericolo e la violenza che la società associa con la pazzia. Il suo atto
violento contro Belcredi è la giustificazione con cui la società chiude i pazzi nello spazio della
pazzia. La società spinge Enrico IV alla violenza e nell’atto della violenza lui perde la differenza
fra l’identità vera e la maschera che indossa.
37
Le libere donne di Magliano
Le libere donne di Magliano ci offre un punto di vista che non appare negli altri testi;
quello del dottore che cura la pazzia. Il libro è pubblicato nel 1953, scritto da Mario Tobino, il
quale si laurea con una specializzazione in psichiatria prima di accettare un posto come medico
in un manicomio rurale, ci mostra le vite delle persone che lavorano e vivono nello spazio della
pazzia senza l’etichetta della pazzia: queste persone sono i custodi, le persone responsabili per la
protezione e l’applicazione delle Forme. Non ci sono eventi straordinari nel libro, il quale parla
delle vite quotidiane delle malate di mente, degli infermieri, delle suore e del medico che vivono,
lavorano e muoiono fra le mura del manicomio. Questo libro ha anche molti personaggi – 1039
pazienti, fra cui ci sono circa duecento infermieri e diciannove suore – che sono visti e giudicati
attraverso gli occhi di un dottore anonimo. Per quest’analisi, mi concentro su due individui e due
gruppi di persone; il dottore, nel suo ruolo di custode, la Lella, la domestica ma anche una
paziente, le donne pazze che vivono come animali, e infine le suore e le infermiere, che
rappresentano le persone che accettano le Forme senza fare resistenza. Questi personaggi
mostrano il modo in cui le Forme della società toccano le vite delle persone, ma anche il
collegamento tra la pazzia e la resistenza al potere sociale.
Il dottore è un personaggio interessante perché il suo lavoro con le pazze e i suoi pensieri
sulla pazzia sono in conflitto. Lui rappresenta il potere delle Forme nel manicomio sia per le
pazienti sia per il personale, ma, come individuo, dubita che la pazzia sia una vera malattia. La
sua esperienza come satellite dello spazio della pazzia – e spesso toccato dalle stesse forze che
hanno un impatto sulle matte – gli insegna che non c’è una vera differenza tra la pazzia e la
sanità.
38
Il ruolo del dottore nel manicomio è quello di custode dell’ospedale; l’uomo responsabile
del rispetto delle Forme. Il custode, nelle teorie di Foucault, è la figura dell’autorità nello spazio
della pazzia:
The space reserved by society for insanity would now be haunted by those who
were ‘from the other side’ and who represented both the prestige of authority that
confines and the rigor of the reason that judges. The keeper intervenes, without
weapons, without instruments of constraint, with observation and language only.34
Il dottore è quest’uomo dall’altro lato – il suo lavoro è di osservare e di giudicare le donne che
vivono nel manicomio. L’ambientazione del libro è un manicomio rurale, nella provincia di
Lucca, dopo la seconda guerra mondiale. La società rurale in questo periodo non è molto
differente dalla società all’inizio del secolo; per gli abitanti della provincia le tradizioni e le
regole sociali sono rigide e interiorizzate come verità assoluta. Molte delle donne pazze sono nel
manicomio perché, in un modo o nell’altro, hanno trasgredito le regole – spesso riguardo le
norme sull’espressione della sessualità – e il trattamento è la scomunica in manicomio. La
differenza tra il dottore e gli infermieri e le suore, i quali anche rappresentano il potere sociale, è
che il dottore dubita della verità della pazzia. Lui vede le pazienti con una pietà che gli infermieri
e le suore non hanno. Una ragione è la differenza nella distanza tra il dottore e le pazienti e il
personale e le pazienti: il dottore è il direttore – non è la persona che ha bisogno di entrare nelle
celle e interagire con le pazze. Un’altra ragione è la differenza nell’istruzione: il dottore è un
nuovo venuto, relativamente, nel manicomio – non è nato nel villaggio ma ci si è trasferito dieci
anni prima – mentre gli infermieri fanno parte di una tradizione: “l’esperienza e la sapienza degli
34
Foucault, Madness and Civilization, 252.
39
infermieri vecchi si trasmette ai giovani”35
. L’istruito medico non ha un posto in questo mondo
tradizionale, dove i modi di guarigione non cambiano. Il manicomio funziona all’interno di un
tempo ciclico, come la cultura agricola che lo circonda; in quest’ambiente naturale, il dottore
vede che la vita e il tempo seguono un ritmo naturale e ciclico. Questa distanza tra il dottore
moderno e il personale tradizionale spinge il dottore a una nuova considerazione della pazzia,
una prospettiva della pazzia come differenza tra seguire le regole naturali e seguire le regole
della società. Le pazze sono anormali agli occhi della società perché loro seguono le regole
naturali invece delle regole della società. Anche il suo rapporto con la Lella, la sua domestica,
mostra al dottore che la pazzia nel manicomio spesso non è una malattia.
Nonostante il dottore sia un uomo sano, le stesse forze che toccano le vite delle sue
pazienti toccano anche lui. La sua vita è limitata in modo simile, se non uguale, a quella delle
pazze. Fisicamente, il dottore è isolato come le sue pazienti; vive all’interno degli stessi muri del
manicomio, e condivide la loro inabilità di andarsene. Il suo posto richiede che il dottore c’è nel
manicomio, richiede che lui vive fuori dai suoi amici e dalla società più moderna. È vero che lui
ha la possibilità di prendersi una vacanza ma deve ritornare al posto che lui chiama “mio
dominatore”.36
In un certo senso lui è tanto prigioniero quanto le pazze, intrappolato nel suo
ruolo di custode; finché le pazze sono tenute nello spazio della pazzia, un custode deve essere
con loro.
Socialmente, il dottore è alienato dalle altre persone, sia le pazze, sia il personale. C’è
una distanza tra lui e le altre persone che gli permette di raccontare le loro storie. Come unico
dottore del manicomio, non ha una controparte, non c’è un amico o un collega con cui parlare al
35
Mario Tobino, Le libere donne di Magliano (Milano: Mondadori, 2001), 26.
36
Tobino Le libere donne, 134.
40
suo stesso livello – lui ha solo le donne pazze e i rustici infermieri. Quest’isolamento sociale
dentro al manicomio rispecchia il suo isolamento all’interno della cultura rurale di Lucca. La sua
istruzione e i due anni da lui trascorsi in Libia durante la guerra separano il dottore dagli altri
personaggi e lo costringono a essere una rarità. Lui non è pazzo, ma soffre dalla stessa
sconnessione di cui soffrono le donne.
Il dottore è il più perplesso sul trattamento delle sue pazienti perché dubita che la pazzia
sia una malattia e crede invece che le pazze seguano regole diverse, più vicine al ritmo naturale.
Cosa significa essere matti? Perché si è matti? Una malattia della quale non si sa
l’origine né il meccanismo, né perché finisce o perché continua. E questa malattia
che non si sa se è una malattia, la nostra superbia ha denominato pazzia.37
Il dottore, e per estensione Tobino, ha pietà per le pazze, perché per lui il loro fallimento nella
società non è solamente colpa loro. Infatti, anche la società è colpevole perché il reato delle
pazze è di trasgredire le regole culturali, ma non le regole di Dio. Questi pensieri eretici del
dottore sull’origine della pazzia non possono essere condivisi con nessuno perché il dottore
rappresenta le istituzioni disciplinari – lui è il custode del manicomio, delle pazze. Le istituzioni
disciplinari sono, nelle teorie di Foucault, “the institutions emerging in nineteenth-century
Europe, such as workhouses, schools and barracks, which took hold of the bodies and minds of
their inhabitants and shaped them according to disciplinary procedures and ‘quiet coercions’”.38
Il manicomio è un’istituzione disciplinare, e le persone dentro anche sono formate dalle altre
istituzioni. A tutti i personaggi, in un modo o nell’altro, erano insegnate sulle procedure
disciplinari. La differenza tra il dottore e le pazze è che le pazze non nascondono la loro inabilità
37
Tobino, Le libere donne, 99.
38
Schirato, Danaher and Webb, Understanding Foucault, pg xix.
41
di conformarsi a queste procedure disciplinari. L’unico posto dove lui può esprimere le sue
opinioni è nel suo diario che il lettore ha il privilegio di leggere.
Foto 3: La Lella con Mario Tobino
Mentre il dottore rappresenta il custode istruito, la Lella rappresenta l’opposto: una donna
rurale che vive con l’etichetta della pazzia, nonostante lavori come domestica per il dottore. La
storia della Lella non viene raccontata fino all’ultimo terzo del libro, ma è importante per capire
come la Lella sia il simbolo delle idee anticonformiste sulla pazzia del dottore. La Lella entra nel
manicomio all’età di vent’anni perché odia sua madre, ma ancora di più perché vive secondo le
regole “naturali”, le regole che non hanno un posto nella società.
Mentre crescevano gli anni a non aver capacità di astrarre, far differenza tra i
sentimenti, essendo nello stato che solo ciò che commuove è verità, continuava a
vivere sulla campagna e tra le bestie e tanto queste che i frutti le sembravano più
veritiere delle persone, bestie e frutti senza peccato, senza l’ombra del diavolo; e,
col progredire dei giorni, senza giudicarlo e mai più essendo capace di indicar con
42
le parole, cominciò a idolatrare l’innocenza, ciò che era genuino, schietto, diretta
legge di Dio.39
La Lella è, come il dottore, una singolarità perché, nonostante la sua pazzia, ha l’abilità di
lavorare. Quest’abilità di lavorare le permette di vivere nello spazio tra la pazzia e la sanità. Il
suo comportamento e il suo ruolo materno nei confronti del dottore cambiano le opinioni del
dottore sulla pazzia non solo di Lella ma anche di tutte le pazienti.
La Lella, nonostante la sua condizione di domestica, vive sotto le stesse forze delle altre
pazienti. Come ogni paziente, la Lella ha perso la sua libertà fisica quando è entrata nel
manicomio – lei non ha la possibilità di andare dove vuole, o di lasciare l’ospedale, e neanche di
dormire dove vuole. Le pazze non hanno il diritto di privacy – la regola del manicomio è che le
pazze devono essere guardate da un custode ogni momento del giorno. Questa perdita è messa
in luce in un episodio verso l’inizio del libro: quando la malinconia dell’altra malata che aiuta il
medico ritorna, lei deve andare dentro il manicomio e così anche la Lella perde la sua libertà.
Per un’infrazione alla tecnica manicomiale era accaduto che queste due ammalate,
la Lella e la signora Alfonsa, non andavano a dormire insieme alle altre malate, in
un reparto, ma riposavano libere, uguali a villeggianti, in una cameretta che c’è
quassù, in cima all’abitazione dei medici; e ora anche la libertà della Lella si è
troncata, non essendo possibile che una malata sola abiti un luogo del tutto non
vigilato.40
Questa vigilanza continua mette in luce il cambiamento che il custode porta allo spazio della
pazzia. Prima del diciannovesimo secolo le pazze non erano sorvegliate; dopo la nascita del
39
Tobino, Le libere donne, 113.
40
Tobino, Le libere donne, 23.
43
ruolo del custode nel manicomio le pazze sono sorvegliate costantemente, e sotto
quest’osservazione non è permessa nessuna libertà fisica. Diversamente dalla protagonista di
Una donna o da Enrico IV che non vivono in manicomi, ma come Alda Merini, la Lella ha perso
la sua privacy.
Socialmente, la Lella è alienata perché la sua pazzia la rende incapace di relazionarsi con
gli esseri umani nello stesso modo in cui si relaziona con gli animali. La Lella capisce gli animali
ma non capisce il modo in cui le persone si comportano perché la Lella e gli animali seguono
regole diverse dalle altre persone. Questo elemento rispecchia la visione che ha il dottore della
pazzia come di un ritorno al “mondo animale e dell’animalità come condizione di purezza e
libertà primigenia”.41
La Lella ha seguito le leggi più naturali, ma questo ritorno a un mondo più
semplice deve essere punito con l’alienazione sociale. Il resto del mondo segue le regole sociali,
e la Lella non ha l’abilità di trovarsi in sintonia con le altre persone sane perché loro seguono una
via diversa.
È importante capire che la Lella non tenta di essere differente, lei non ha lo stesso tipo di
pensieri della protagonista di Una donna o di Alda Merini. La sua pazzia ha le radici nel suo
fallimento di incorporare le istruzioni delle istituzioni disciplinari. Lei è una pazza non perché si
ribella contro la società, ma perché il suo punto di vista è più semplice, più infantile, e questa
perspettiva non ha un posto nella società. La Lella vive nel manicomio perché nella sua vita
fuori, lei “vide qualche cosa…che le ingiuriò la sua religione, l’innocenza del mondo, e tale
spettacolo lacerò quel fragile velo che riusciva a mantenerla tra i normali”.42
La sua innocenza la
41
Marianna Gualazzi, "Follia e animalità ne Le libere donne di Magliano di Mario Tobino." Poetiche (2004), 94.
42
Tobino, Le libere donne, 110.
44
spinge fuori dalla società e dentro lo spazio della pazzia perché questo tipo di comportamento
innocento non c’è nella società.
Mentre la Lella è la matta fuori dall’ordinario nel manicomio, tutte le altre donne non
hanno l’abilità di lavorare e perciò vivono nelle celle del manicomio. Mentre il manicomio ospita
malati di mente di entrambi i sessi, analizzo solo le pazienti femminili, le quali nel manicomio
spesso non hanno una diagnosi medica, nonostante che l’autore stesso sia un medico. Le donne
sono incarcerate perché non riescono a vivere secondo le regole di comportamento tradizionale
per le donne, in particolare il comportamento sessuale. La questione del controllo della sessualità
da parte del potere sociale è, a mio parere, più interessante delle esperienze dei pochi pazienti
maschi. Ci sono due tipi di pazze nel manicomio: le donne semplicemente pazze e quelle
pericolose. Le donne pazze spesso sono mandate in manicomio dalle loro famiglie – i genitori
per le donne zitelle o giovani, o il marito per le donne sposate. Loro si trovano lì perché il loro
comportamento è in qualche modo sbagliato. L’altro tipo di pazze sono pericolose, le donne più
animalesche che non possono stare con le altre pazienti. Queste donne si comportano come
animali, e sono trattate come animali – non hanno abiti né mobili ma vivono e dormono nelle
alghe, totalmente nude. Come bestie nelle tane le malate infreddolite dentro le celle; poiché sono
laceratrici e non finirebbero di stracciare e rompere non è possibile dar loro il letto o un
materasso e neppure un lenzuolo o coperta, e così stanno, ‘all’alga’, quell’erba marina che
ondeggia i baffi presso certe scogliere.43
Non c’è una ragione medica per privare le donne pazze
dei mobili e dei vestiti, ma le donne che vivono nelle alghe sono trattate come loro non vogliano
questi aspetti umani. Questo trattamento bestiale rispecchia il giudizio sociale che le pazze
pericolose ricevono dal resto della società.
43
Tobino, Le libere donne, 8.
45
Come gli altri personaggi, le pazze di Magliano sono isolate fisicamente, in due modi. Il
primo è nella loro localizzazione – Magliano, il villaggio vicino al manicomio, è rurale ed il
manicomio è in luogo particolarmente solitario, isolato “su un colle, un piccolo colle, nella vasta
pianura lucchese”44
. Il secondo modo in cui le donne sono isolate è nella loro incarcerazione
all’interno del manicomio. Loro sono trattate come prigioniere invece di pazienti:
Le celle sono il luogo più doloroso. Piccole stanze dalle pareti nude, con una porta
molto robusta nella quale è infisso un vetro spesso per guardare dentro; nella
parete di fronte la finestra per la luce. Nelle celle di sicurezza, dove si mettono i
malati eccezionalmente pericolosi, la finestra è aperta così in alto che non vi
possono arrivare neppure saltando, e, a ogni buon conto, il davanzale scorre
inclinato, sì che non è possibile alcun appiglio.45
Quest’isolamento non cura la pazzia, ma crea una situazione in cui la pazze, in particolare le
pazze pericolose, sono tratte come se non avessero diritti umani. Alle pazze pericolose mancano
gli abiti e i mobili delle celle per le altre pazze e hanno solo alghe. Queste donne senza abiti, i
quali differenziano una persona da un animale, sono trattate e descritte come bestie. Il
trattamento fisico è lo specchio del giudizio sociale – il modo in cui le istituzioni disciplinari
affermano che le donne pazze appartengono alla stessa categoria degli animali.
In molti dei libri che trattano della pazzia nelle donne ritorna l’idea che queste donne non
scelgono di andare in manicomio, ma ci sono mandate. È possibile che le donne soffrano di una
malattia diagnosticabile, ma la maggioranza delle donne soffre di una malattia generica, una
pazzia non specificata. La verità è che la società fuori dal manicomio non ha un posto per queste
44
Tobino, Le libere donne, 3.
45
Tobino, Le libere donne, 32.
46
donne e usa il manicomio come una scomunica sociale. Con questo rifiuto della società, le donne
all’interno del manicomio formano una nuova comunità in cui hanno l’opportunità di assumere i
ruoli che sono a loro proibiti fuori dalle mura dell’ospedale. La Lella assume il ruolo di una
madre a una matta giovane, e altre donne creano legami di amicizia e di amore. La scomunica
sociale non è la fine per queste donne perché loro creano una nuova comunità nello spazio della
follia.
Le donne sono anticonformiste non perché loro sono intellettuali o perché vogliono
cambiare la struttura della società, ma perché trasgrediscono le regole della sessualità e del
comportamento per le donne nell’Italia nel ventesimo secolo. Diversamente da Sibilla Aleramo,
o di Alda Merini, di cui parlerò più avanti, le pazze di Magliano non sono istruite, ma donne
semplici – e la loro ribellione è diretta soprattutto contro la tradizione. Le donne vivono in una
cultura che richiede sottomissione passiva alle Forme tradizionali, ma queste donne, per vari
motivi, non si sottomettono. La punizione per questa ribellione è l’isolamento nel manicomio
affinché cambino la loro mentalità, ma in questa situazione le donne pazze trovano un tipo di
libertà. “L’alienato nella cella è libero, sbandiera, non tralasciando alcun grano, la sua pazzia, la
cella suo regno dove dichiara sé stesso, che è il compito dalla persona umana”.46
Nello spazio
della pazzia le donne non sono controllate delle stesse regole che controllano le donne fuori il
manicomio. Come la madre della protagonista di Una donna, o le donne nella letteratura
femminile in Madwoman in the Attic, queste donne scelgono non solo una fuga nella pazzia ma
anche di essere parte di una comunità all’interno del manicomio.
Le suore e gli infermieri rappresentano l’opposto delle pazze; loro provengono dalla
stessa cultura, ma queste persone sono normali. Loro sono i prodotti degli istituti disciplinari –
46
Tobino, Le libere donne, 34.
47
loro credono nelle regole e nelle Forme e sottomettono le pazienti a queste regole. Il personale
non è toccato dalle forze fisiche o sociali perché loro, a differenza del dottore, fanno parte dello
spazio della società. La differenza sta nella loro passività: le suore e gli infermieri credono nelle
tradizioni e nelle regole sociali e il loro compito è applicare queste regole allo spazio della
pazzia. La loro fede contrasta con i dubbi del dottore e la ribellione delle pazze.
Per questi personaggi non c’è una scelta di reinvenzione fuori dallo spazio della pazzia
perché loro vivono in un ciclo più antico del significato della pazzia nella metà del ventesimo
secolo. Il custode e il manicomio appaiono solo nell’Illuminismo, ma il ciclo agricolo che
domina la società è più vecchio. Questo ciclo, rappresentato dal tempo e dalla vita del dottore,
non permette alle donne di fuggire dalla pazzia dopo esserci entrate. Comunque il manicomio
offre l’opportunità di avere una vita diversa dalla vita fuori dallo spazio della pazzia. Lo spazio
della pazzia, per queste donne, è un luogo in cui loro fuggono dalle loro vite e uno spazio in cui
ricreano una società nuova, una società basata su Forme differenti, le Forme che le donne pazze
hanno scelto e hanno creato.
Foto 4: Il manicomio di Magliano
48
L’altra verità
L’altra verità è un’opera autobiografica della poetessa Alda Merini che tratta dei suoi
dieci anni in un ospedale psichiatrico, Paolo Pini, a Milano. Il testo inizia con il suo arrivo nel
manicomio nel 1965, quando lei è già una giovane moglie e madre e una poetessa molto
conosciuta. Alda entra il manicomio dopo una lotta con il marito che finisce con una chiamata
alle autorità. Non è chiaro che Alda ha una vera malattia mentale, ma il suo tempo nel
manicomio sforza la sua ragione e la sua fede nella società. In questo spazio della pazzia Alda è
solo una pazza tra le altre. Il libro non è sequenziale, ma rappresenta il senso della confusione
che sia la pazzia sia l’ambiente dell’ospedale creano. Alda descrive molti aspetti diversi che
costituiscono i dieci anni nell’ospedale psichiatrico; lo spazio fisico, gli altri pazienti all’interno,
la terapia, i suoi sintomi, e le sue due gravidanze. Tutti questi elementi sostengono l’idea che il
tempo nel manicomio è tempo perso, precisamente tempo perso allo spazio della pazzia, dove
Alda vive, ama e fa esperienza di numerose perdite. In questo spazio della pazzia le tre forze –
fisica, sociale e mentale – hanno la funzione di spingere le pazze all’interno dello spazio della
pazzia e ne ostacolano l’uscita.
Alda Merini crede che il manicomio, dove lei vive per dieci anni, sia “una terra maledetta
da Dio” e per lei, e molte delle altre donne, il manicomio è veramente un inferno terreno; i sensi
della vista, dell’odore, dell’udito si combinano a creare uno spazio di orrore. Il manicomio
sembra una prigione con un odore terribile, “era saturo di fortissimi odori. Molta gente orinava e
defecava per terra”47
. C’è silenzio di giorno e di notte, si sentono le gride delle folle “come se si
47
Alda Merini, L'altra verità: diario di una diversa (Milano: Rizzoli, 2006), 15.
49
fosse in un connubio di streghe”48
. Questo manicomio non è un luogo di guarigione ma una
prigione per le persone pazze. I pazienti sono trattati come bestie, sono obbligati a usare un
lavello comune dove le infermiere li lavano e tutti indossano un “camicione dell’ospedale di lino
grezzo eguale per tutti, che aveva dei cordonicini ai lati e che lasciava filtrare aria da tutte le
parti”49
. La forza fisica funziona a privare le donne pazze dell'indipendenza, e senza
l'indipendenza le persone non possono avere un’identità al di fuori della loro pazzia.
La forza fisica riduce le persone pazze a uno stato più primitivo dove si perde
l’opportunità di distinguere una persona dall’altra, e l’identità comune, l’unica identità che esiste
nel manicomio, è la pazzia. Alda e le altre donne pazze perdono più della loro etichetta di sanità
di mente quando entrano nel manicomio; perdono l’abilità di scegliere e, ancora più importante,
l’abilità di compiere qualsiasi azione o prendere una decisione da sole. Le regole e la struttura
del manicomio fanno le scelte per Alda e le altre donne come il manicomio di Magliano fa le
scelte per quelle donne. Alda perde la scelta del suo orario – quando mangia, quando dorme,
quando va fuori – tutti gli aspetti della sua vita sono determinati dai medici. Alda non ha voce in
nessuna decisione sul suo trattamento, l’uso dei farmaci e gli elettroshock. Le infermiere trattano
i pazienti come bambini che non possono scegliere i vestiti o lavarsi. Questo trattamento
rispecchia il modo in cui la pazzia era vista – le pazze come animali e i medici come curatori e
badanti. In Civilization and Madness, Foucault mostra che questa prospettiva sulla pazzia e sulle
cure all’inizia nel diciannovesimo secolo. Questa prospettiva non cambia perché “the asylum,
always orientated to anachronistic structures and symbols, would be, par excellence, inadapted
and out of time50
”. Il manicomio del diciannovesimo secolo diventa una Forma della società; il
48
Merini, L’altra verità, 20.
49
Merini, L’altra verità, 37.
50
Foucault, Madness and Civilization, 255.
50
manicomio di Magliano descritto da Tobino funziona come il manicomio di Milano descritto da
Merini. Alla fine, Alda perde l’abilità di visitare le persone che lei vuole vedere – il marito e le
figlie. Lei è separata dal suo passato e costretta a essere con le persone pazze in uno spazio che
anche aumenta la sua pazzia. Quest’abilità di fare una scelta definisce l'indipendenza e senza
l'indipendenza Alda perde la sua identità. Alda non è una poetessa, non è una madre o una
moglie, lei non è una donna in questo spazio fisico – lei è solo una pazza.
Le donne pazze sono tutte uguali – indossano gli stessi camicioni dell’ospedale, si lavano
nello stesso lavello. In questo spazio, dove la pazzia è l’unico aspetto, le donne sono obbligate
ad abbracciare la loro pazzia in modo da creare un’identità. Per loro è meglio essere una donna
schizofrenica o una donna con la depressione che essere totalmente invisibili. Per loro non è
possibile essere nient’altro che una donna pazza e la forza fisica spinge le donne all’interno allo
spazio della pazzia e più lontano dallo spazio della società.
La forza sociale funziona in due modi diversi: il primo serve a rimuovere i ruoli che
l’individuo aveva prima della pazzia; il secondo serve a mettere l’individuo pazzo in una
categoria di valore minore, simile all’animalità delle donne nel manicomio di Magliano. Agli
occhi della società le pazze non sono allo stesso livello delle altre persone, loro sono inferiori –
come bambini o animali. Quest’opinione ha radici nella nascita del manicomio,
nell’osservazione e nel giudizio della pazzia. La pazzia non è l’opposto della ragione, ma
rappresenta “a minority status, an aspect of itself that does not have the right to autonomy, and
can live only grafted onto the world of reason. Madness is childhood” 51
.
51
Foucault, Madness and Civilization, 252.
51
Fuori dal manicomio una donna è definita dal suo ruolo nella società, soprattutta dal suo
ruolo di madre. Questa importanza data alla maternità non è cambiata dall’inizio del ventesimo
secolo quando la protagonista di Una donna anche è definita dalla sua maternità. Appena una
persona è dichiarata pazza, il suo ruolo cambia perché una persona pazza è prima di tutto pazza e
non è possibile fuggire questo nuovo ruolo neanche se lei è curata. Lo stigma del manicomio
esiste anche dopo che una persona ha lasciato questo spazio della pazzia. Quando Alda ha un
periodo di recesso durante la sua terza gravidanza, lei sa che il ritorno della sanità mentale esiste
solo mentre lei occupa il ruolo di madre. Dopo la nascita della figlia, Alda perde la sua fragile
sanità mentale e ritorna al manicomio. Nel manicomio, Alda soffre molto della perdita del suo
ruolo di madre – la distanza dalle sue figlie, la sua inabilità di essere una madre per loro e questo
la spinge a pensare ad una paziente, chiamata La C., come una figlia, una sostituta per le vere
figlie a casa. Per Alda non è possibile ritornare dalle sue figlie perché ha perso la sua occasione
di essere mamma quando lei è entrata nel manicomio per la prima volta – “al momento
dell’internamento, l’ammalato sente sopra di sé il peso della condanna, condanna che non può
non riversare sulla società tutta ed anche sui congiunti”52
.
La seconda funzione dello spazio sociale è di mettere le pazze in una categoria di valore
minore, dove le pazze sono considerate non umane. Qualcuno pensa che le pazze siano come
bambini, non dannosi, ma che non possano controllare le loro azioni, mentre altri pensano che le
pazze siano come bestie, dannosi alla struttura della società. La pazzia è un modo in cui la
società nasconde le persone, in particolare le donne non accettabili per la società. Alda incontra
questi due tipi di persone nel periodo trascorso nel manicomio, sia fuori sia all’interno
dell’ospedale. Un prete che Alda incontra nel giardino del manicomio anche paragona le pazze ai
52
Merini, L’altra verità, 56.
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  • 1. Lo spazio della pazzia nella letteratura italiana Honors Italian Thesis WASHINGTON UNIVERSITY IN SAINT LOUIS Sophia Lauriello
  • 2. Introduzione ...............................................................................................................1 Una donna................................................................................................................16 Enrico IV..................................................................................................................28 Le libere donne di Magliano....................................................................................37 L’altra verità............................................................................................................47 Conclusione............................................................. Error! Bookmark not defined.
  • 3. Pace era nella cella e sconfinava di là dalle sbarre di ferro sovra la notte di gran pioggia e sul mondo, pace m’avvolse la cella era simile ad una tomba. Gelo, sentor di muffa, oscillante ombra. Silenzio umano immenso, al canto della pioggia. Ogni prigioniera forse dormiva, e ogni dolore. Oh notte, oh morte, oh mia libertà! -Sibilla Aleramo, “Una notte in carcere”
  • 4. 1 Introduzione Patients are described as psychotic when their mental functioning is sufficiently impaired to interfere grossly with their capacity to meet ordinary demands of life. The impairment may result from a distortion in their capacity to recognize reality. Hallucinations and delusions, for example may distort their perceptions. Alterations of mood may be so profound that the patient’s capacity to respond appropriately is grossly impaired. Deficits in perception, language and memory may be so severe that the patient’s capacity for mental grasp of his situation is effectively lost.1 American Psychiatric Assoc., 1965 La psicologia insegna che la pazzia e le malattie mentali sono le stesse; la pazzia nella psicologia è un problema mentale o un problema dei neurotrasmettitori – un individuo ha le distorsioni nei pensieri o una mancanza della serotonina. La pazzia è un problema medico e universale, separato dalla cultura – la pazzia negli Stati Uniti è come la pazzia in Italia. La mia esperienza con la letteratura italiana, comunque, mostra uno schema in cui la pazzia significa più che una malattia. Ho analizzato la pazzia nei testi italiani e ho trovato che la pazzia è un concetto culturale distinto dalla malattia mentale; un’idea che mostra i valori della cultura e le strutture che dominano le vite delle persone in una società, tempo e luogo particolari. In questa tesi, la definizione della pazzia segue la filosofia pirandelliana che ci permette di considerare la pazzia come una sfaccettatura del comportamento umano, né buona né cattiva, né normale né anormale, invece di una questione patologica. La filosofia pirandelliana si basa su una teoria sulla soggettività radicale della realtà, elaborata negli scritti sia teorici che letterari di Luigi Pirandello. 1 American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders: DSM- II. (Washington DC: American Psychiatric Association 1965), 23.
  • 5. 2 Impostazione Luigi Pirandello è uno scrittore siciliano, molto famoso per le sue opere teatrali, oltre che per libri e saggi più filosofici. Lui nacque in Sicilia nel 1867, in una famiglia coinvolta fortemente nell’unificazione italiana. Pirandello studiò legge e letteratura all’Università di Palermo, l’Università di Roma e l’Università di Bonn, in Germania; si stabilì a Roma nel 1894 con la sua nuova sposa Antoinetta Portulano, la figlia di un collega commerciale di suo padre. Lui insegnava e scriveva i romanzi nel suo tempo libero. Nel 1903 la miniera di zolfo che apparteneva ai padri di Luigi e Antoinetta crollò e Luigi rimase in bancarotta. Lo stress provocò un esaurimento nervoso in Antoinetta; lei non si riprese mai e la sua malattia mentale continuò a peggiorare; la sua pazzia fu parte del fondamento per la filosofia pirandelliana. Antoinetta visse con Pirandello fino al 1919, e nei sedici anni lui ebbe l’occasione di osservare direttamente il modo in cui la realtà della moglie non era la stessa realtà che lui percepiva2 . Nel 1921 la sua opera teatrale Enrico IV fu messa in scena per la prima volta, un’opera che influenzò il critico Adriano Tilgher a scrivere uno studio che definisce i concetti contrastanti pirandelliani della Forma e la Vita. Enrico IV, che ispira questa teoria, è anche il più chiaro esempio della contraddizione tra la Vita, in flusso, e le Forme, le strutture illusorie che noi costruiamo per dare significato alle nostre vite. La Forma è la struttura che crediamo sia la realtà, le regole sociali che ci dicono come comportarci, chi ascoltare, come e in che cosa credere. Tutti i nostri valori sono le Forme che danno significato alle nostre vite. Invece della variabilità della Vita, che è senza una logica, le Forme catturano questo flusso e lo trasformano in concetti fissi; la soggettività della realtà è nascosta nella nostra fede nella struttura delle nostre vite. Le Forme sono calibrate e rigide e 2 Tony Schirato, Geoff Danaher and Jen Webb, Understanding Foucault: A Critical Introduction. (London: SAGE Publications , 2012), 9.
  • 6. 3 sono responsabili per i ruoli in cui le persone vivono; ci danno uno scopo alla nostra esistenza e alla nostra identità. Nelle parole di Anthony Caputi, uno studioso di Pirandello: Forms are what we need to bring clarity and a semblance of stability to the welter of experience. They are the roles we play and the masks we assume and then put aside; they are the social games of courtship and marriage and duty that bring meaning to the enveloping mystery”3 . Questa citazione parla anche del modo in cui le Forme si mostrano alle altre persone – le maschere che condividiamo con le altre persone, sia consapevolmente, sia inconsapevolmente. Per Pirandello, la maschera è una sfaccettatura delle Forme, la nostra creazione di un’identità che vogliamo vedere come la nostra realtà. L’instabilità di un’identità, e il dubbio nell’idea che noi siamo le persone che ci pare di essere, sono nascosti sotto queste maschere. Le etichette che ci diamo – intellettuale, artista, ateo, virtuoso, normale – anche sono aspetti delle Forme, maschere impostate sia dalla società che da noi stessi. L’opposto delle Forme è la Vita, la natura soggettiva della realtà che esiste in un flusso constante. La Vita non solamente cambia perché ogni individuo ha la sua realtà, ma cambia anche perché ogni esperienza è un momento della vita di un individuo che cambia la realtà di una persona. Il flusso della vita è come un fiume che non si arresta mai, che trasforma quello che sei e chi sei in ogni momento. Le Forme sono costruite per controllare questo movimento della Vita. In una realtà che non è fissa, dove le etichette o le identità che la società ci dà e che ci diamo noi sono le Forme, la verità di queste etichette/Forme non è una certezza. La pazzia, come un’etichetta, non è qualcosa di definitivo né una caratteristica, ma un ruolo imposto alle persone 3 Anthony Caputi, Pirandello and the Crisis of Modern Consciousness. (Chicago: University of Illinois Press, 1988), 108.
  • 7. 4 che sono definite diverse dalla cosiddetta norma sociale. Il critico letterario Gian-Paolo Biasin, riassunse la pazzia agli occhi di Pirandello: what interests Pirandello is not madness considered as a mental disease and as such explored and studied, but rather madness as the fascinating, inscrutable, nocturnal side of man, an element that is potentially present in each of us and always ready to destroy the constructions on which the idea of human society is built4 . Le malattie mentali sono una condizione fisica, un problema della mente e del corpo, una condizione che non finisce fino alla morte. La pazzia, però, è uno stato dove è possibile lasciare e ritornare alla sanità mentale come definita dalla società. Il termine pazzia significa “perdita della ragione, associata per lo più con comportamenti difformi dalla norma”5 . È possibile per i pazzi riacquistare la loro ragione se loro sottostanno al senno della società, e poi ritornare alla vita fuori dalla pazzia. Inoltre, Pirandello usa il termine “pazzo” nella sua opera Enrico IV, che è una parte integrale dell’analisi. I pazzi sono isolati dalla società perché loro abbracciano la natura fluttuante della Vita, loro dubitano e contestano le Forme; senza la fede nelle strutture create dalla società, la società si sgretola. Nelle parole di Tilgher, il primo critico a nominare questa distinzione tra la Forma e la Vita nella filosofia pirandelliana: In some few [individuals]…thought separates itself from the forms in which the warm flux has coagulated and sees them for what they really are, that is, constructions entirely provisional, ephemeral, contingent, fleeting, fragile, 4 Gian-Paolo Biasin, Literary Diseases Theme and Metaphor in the Italian Novel. (Austin: University of Texas Press, 1975), 112. 5 Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana. Vol. XII. (Torino: Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1984), 886.
  • 8. 5 beneath which the stream of life as it is in itself purls and bellows, beyond all human illusion and construction.6 La società e le persone hanno paura che la loro comprensione della realtà sia sbagliata; i pazzi sanno che la realtà è soggettiva ed illusoria. Per conservare la civiltà, la società deve espellere questi dissenzienti al margine della società, attraverso l’etichetta e il ruolo della pazzia. In questo spazio e in questo ruolo, la verità del pazzo rigetterà come bugie le Forme della società, e si nasconderà sotto la maschera della pazzia. Ciò nonostante il ruolo della pazzia permette ai pazzi l’opportunità di reinventare la proprio identità. Questa definizione della pazzia, come la maschera delle persone anticonformiste alle Forme, è la definizione che uso per l’analisi dei promessi testi; Una donna di Sibilla Aleramo, Enrico IV di Luigi Pirandello, Le libere donne di Magliano di Mario Tobino e L’altra verità di Alda Merini. Una Donna è il primo romanzo della scrittrice Sibilla Aleramo ed è il più famoso; il libro è semi-autobiografico, ma Sibilla usa una protagonista anonima per accentuare l’idea che il suo passato è anche la storia universale di qualsiasi donna. Sibilla inizia a scriverlo nel 1902 e il romanzo è pubblicato nel 1906; il libro mostra la condizione delle donne alla fine dell’Ottocento e rispecchia anche le idee sulla pazzia che erano popolari al tempo. Alla fine dell’Ottocento, quando la protagonista e sua mamma erano classificate come pazze, le malattie mentali e la pazzia non erano separate, ma la mia analisi mostrerà la differenza tra la malattia mentale che tocca la madre e la pazzia che tocca la protagonista. Ho scelto Una Donna per due ragioni. La prima è che Una Donna è il primo testo che ho letto che tratta della pazzia e delle conseguenze che la pazzia ha nella vita dell’individuo e della comunità. La pazzia per la protagonista non era una questione di salute mentale, ma un conflitto tra l’individuo e la cultura che cercava di 6 Caputi, Pirandello, 108.
  • 9. 6 dominare la sua vita. Il secondo motivo per cui voglio analizzare quest’opera è il modo in cui alla protagonista è affibbiata l’etichetta della pazzia e le conseguenze di questa classificazione imposta. Il libro mostra il modo in cui riprende la sua sanità mentale negli occhi della società e la sua individualità nei suoi occhi. La follia non è un problema mentale ma una conseguenza del conflitto culturale, e questa distinzione porta alla questione del ruolo della pazzia nella letteratura. In questo studio, Una Donna funge da modello ideale per concepire la pazzia nella letteratura e serve anche come punto di partenza per schematizzare la funzione della pazzia negli altri testi che saranno affrontati nella tesi. Enrico IV è un’opera teatrale di Luigi Pirandello che fu scritta nel 1921 e fu presentata al pubblico nel 1922, e che ispirò il critico Adriano Tighler a teorizzare il dualismo tra la Vita e la Forma trovato in questo dramma e nelle altre opere pirandelliane. Enrico IV segue Sei personaggi in cerca d’autore, un’altra opera teatrale che esamina l’idea della contraddizione tra realtà e arte. Enrico IV esprime l’idea che la pazzia può essere una scelta conscia in modo concreto e in un contesto metateatrale. La pazzia di Enrico IV è il suo modo di prendere il controllo del flusso della Vita, e anche se lui vive nelle Forme, ci vive consciamente e in modo più vicino alla verità. Le libere donne di Magliano di Mario Tobino, un medico e direttore di un ospedale psichiatrico, fu pubblicato nel 1963. L’ambientazione del romanzo è in un ospedale psichiatrico nella campagna della provincia di Lucca, probabilmente negli anni 1952 e 1953, il periodo in cui Tobino scrisse il romanzo. Le libere donne di Magliano è importante per questo studio perché offre l’occasione di vedere lo stato della psichiatrica negli anni dopo la guerra e l’inizio dei modelli di diagnosi e cure più scientifici per le malattie mentali. L’altra ragione per cui è rilevante per quest’analisi dello spazio della pazzia è perché Tobino affronta la pazzia dal suo
  • 10. 7 punto di vista di medico e psichiatra, cioè come uno dentro e estraneo al luogo allo stesso tempo. Le libere donne di Magliano mostra il modo in cui anche i medici che lavorano nello spazio della pazzia sono intrappolati anche loro in questo spazio. Infine analizzo L’altra verità (1986), un testo autobiografico dalla poetessa Alda Merini. Alda Merini visse per molti anni, dall’inizio del 1965, in un ospedale psichiatrico a Milano e la sua esperienza con il severo maltrattamento in questo luogo ispira il suo libro. Lei scrisse il libro alla sua liberazione dieci anni dopo. L’altra verità scopre la vita di una paziente e i trattamenti abusivi sofferti comunemente allora dai pazienti chiusi in manicomio. Questo romanzo serve ad illuminare un caso più contemporaneo e mostra anche il potere attuale dello spazio della pazzia e modi specifici in cui la società controlla i cosiddetti pazzi. Per ogni testo la definizione medica della pazzia è differente, perché le scienze e le leggi cambiano molto nel corso degli ottanta anni da Una donna a L’altra verità. Alla fine dell’Ottocento, il periodo della protagonista di Una donna, la pazzia non ha una cura; i pazzi sono isolati fino alla morte. Non c’erano medicina o terapia per una persona incapace di contribuire alla società. Difatti, prima del 1904 l’Italia non aveva nessuna legge sui manicomi e la legge del 1904 dura fino alle riforme di Basaglia nel 1978.7 Durante questi anni, i manicomi in Italia sono luoghi dove il direttore aveva tutto il potere, un potere sia dispotico che arbitrario. In molti manicomi lo scopo non era la guarigione ma l’isolamento dei pazzi dalla società. Nel 1965, l’anno in cui Alda Merini viene ricoverata, i manicomi usavano i farmaci e gli elettroshock nel tentativo di ritornare i pazienti al comportamento normale. I maltrattamenti che tutti i personaggi affrontano nei vari libri studiati qui, indipendentemente dal periodo storico, mostrano che i 7 Patrizia Guarnieri, «The history of psychiatry in Italy.» History of Psychiatry, (1991), 295.
  • 11. 8 manicomi non funzionarono mai come ospedali, luoghi di cura e compassione, ma fungevano solo da carceri per isolare i pazzi dalla società. Questa idea dello spazio per la pazzia deriva dalla teoria esposta da Michel Foucault, un autore francese che dubitava della funziona dei manicomi nel suo libro Storia della follia nell’età classica (poiché l’ho letto in inglese, mi riferisco al titolo in inglese, Madness and Civilization). Foucault analizza il significato soggettivo della pazzia e il modo in cui il significato è formato dalle forze storiche. In questo libro, fondamentale per analizzare il significato della follia nella società è il modo in cui la definizione della follia cambia come i valori della società cambiano. Foucault segue il significato della pazzia dal periodo rinascimentale all’Illuminismo. Nel periodo rinascimentale la pazzia si vedeva come una malattia contagiosa. Secondo lui, i pazzi rimpiazzano i lebbrosi, e le case dei lebbrosi diventano il posto per i pazzi. Questi luoghi – dove l’isolamento e la scomunica del lebbroso sono la sua salvezza8 – furono inizialmente ugali per il pazzo. I manicomi erano, prima, un posto per salvare i pazzi dalla loro follia. Dal diciassettesimo secolo, però, i pazzi non sono solo esclusi dalla società, ma sono confinati in manicomi grandissimi con e come criminali. Questi manicomi non sono spazi della guarigione ma posti della punizione dove le persone che non si conformano alle regole della società sono confinate. La pazzia, in questo periodo, non è vista come una malattia ma come un rifiuto di lavorare e contribuire alla società; nelle parole di Foucault: Madness was perceived through a condemnation of idleness and in a social immanence guaranteed by the community of labor. This community acquired an ethical power of segregation, which permitted it to eject, as into another world, all 8 Michel Foucault, Madness and Civilization: A History of Insanity in the Age of Reason, trans. Richard Howard (New York: Pantheon Books, 1965), 7.
  • 12. 9 forms of social uselessness. It was in this other world, encircled by the sacred powers of labor, that madness would assume the status we now attribute to it9 . Il pericolo della pazzia dei personaggi nella tesi non è la loro malattia mentale, se esiste, ma l’inabilità o il loro rifiuto di contribuire alla società secondo le regole e i ruoli assegnati dalla società. Nel Settecento, all’inizio della repressione della pazzia, la follia assume un nuovo significato, quello di bestialità. La pazzia: was at a distance, under the eyes of a reason that no longer felt any relation to it and that would not compromise itself by too close a resemblance. Madness had become a thing to look at; no longer a monster inside oneself, but an animal with strange mechanisms, a bestiality from which man had long since been suppressed10 . Secondo questa nuova forma della pazzia le persone che sono qualificate come pazze perdono anche la loro umanità, ed sono classificate come animali, anzi bestie. Quest’idea continua nel ventesimo secolo, e tocca il trattamento, e il maltrattamento, che i personaggi studiati in questi testi letterari ricevono. Poi, nel diciottesimo secolo, il sistema del confinamento cambia di nuovo. La pazzia diventa una malattia per la prima volta, separata della criminalità. I nuovi sistemi dei manicomi comprendono i ruoli dei guardiani e dei custodi, i quali si dedicano più che altro alla sorveglianza – “the space reserved by society for insanity would now be haunted by those who were ‘from the other side’ and who represented both the prestige of the authority that confines and the rigor of the reason that judges”.11 In questo periodo la pazzia non significa la malattia mentale ma il potere del confinamento. Le persone non hanno paura della pazzia perché 9 Foucault, Madness and Civilization, 58. 10 Foucault, Madness and Civilization, 70. 11 Foucault, Madness and Civilization, 251.
  • 13. 10 hanno la paura della perdita della ragione ma perché le persone hanno paura della perdita della libertà nei manicomi. In questi manicomi i curatori significano le guardie e controllori dei pazzi. Queste definizioni mostrano il modo in cui la pazzia si manifesta nella società in uno spazio antico sia dentro, sia fuori la società – i nuovi lebbrosi della civiltà confinati nei nuovi lazzaretti. È importante anche affrontare l’importanza delle donne e la differenza nella loro lotta dentro questi spazi. Due dei testi non solamente trattano delle donne, ma sono opere autobiografiche due autrici che avevano vissuto nello spazio della pazzia. Per le donne i ruoli nella società, soprattutto come madre e moglie, sono molto importanti per capire il modo in cui le donne sono spinte metaforicamente nello spazio della pazzia. L’incapacità delle donne di conformarsi a questi ruoli femminili è punita con l’alienazione sociale e la classificazione della pazzia. Ma la pazzia offre anche una fuga, l’opportunità di auto-reinvenzione attraverso il tempo e lo spazio particolari della pazzia. Per capire il caso speciale delle donne, sfrutto le convincenti teorie nel celebre libro Madwoman in the Attic di Sandra Gilbert e Susan Gubar, che fanno un’analisi delle scrittrici inglesi e americane ottocentesche e il modo in cui queste donne scrivevano sia della società che della follia. Madwoman in the Attic (1979) analizza il modo in cui le scrittrici di prosa e di poesia nell'Ottocento usano la pazzia per ribellarsi contro i tipici ruoli femminili imposti dalle loro società. Questo studio mette in luce lo schema che appare negli scritti femminili in cui la pazzia è un modo di fuggire dalle regole della società. La pazzia è una rappresentazione della rabbia che i personaggi, e le loro autrici, provano per la loro società e le regole che le incarcerano. Madwoman in the Attic illumina anche i problemi che le scrittrici affrontarono – la pazzia, o la minaccia della pazzia, perché loro non si conformarono all’idea che la professione di scrittore è una professione solamente maschile. Una scrittrice dovette scegliere di nascondere il suo lavoro
  • 14. 11 sotto il nome di un uomo, come le sorelle Bronte, o di accettare il suo stato come un’eccezione alla norma. Le eccezioni sono spesso viste come pericoli alle regole sociali e “women who did not apologize for their literary efforts were defined as mad and monstrous”.12 Le due scrittrici, Sibilla Aleramo e Alda Merini, affrontarono proprio quest’idea che una donna che non si conforma al ruolo domestico è, in qualche modo, mostruosa. Come i personaggi nei libri inglesi e americani, le protagoniste di Una donna e di L’altra verità trovano che il modo di fuggire da quest’etichetta è nascondersi nello spazio marginale della pazzia e reinventare la propria identità. Madwoman in the Attic non è un libro recente, è pubblicato nel 1979, ma è rilevante per la tesi perché si concentra sugli scritti femminili all’incrocio della soppressione dell’identità a creatività femminile e la pazzia. Lo spazio della società e lo spazio della pazzia Lo schema che ho visto nei testi comprendeva due spazi differenti, che ho chiamato lo spazio della società e lo spazio della pazzia. Come Ellen Nerenberg, nel suo libro Prison Terms, ho scelto il termine “spazio” invece di ruolo o etichetta perché il termine spazio significa la storia e l’impatto della società. Citando Lefebvre, Nerenberg afferma che “‘space is permeated with social relations; it is not only supported by social relations but it is also producing and produced by social relations.’”13 Noi viviamo in una realtà sociale; le nostre credenze e percezioni di ciò che è reale sono create dalle altre persone – sia prima di noi, sia attorno a noi. In questa realtà ciò che è accettato facilmente, le Forme, sono le regole per vivere. Quelle persone che accettano le regole sono giudicate normali; quelle persone che non si sottomettono sono considerate anormali. Per mantenere queste Forme le persone anormali, i ribelli e gli eretici, devono essere 12 Sandra Gilbert and Susan Gubar, The Madwoman in the Attic: the Woman Writer and the Nineteenth-Century Literary Imagination. (New Haven: Yale University Press, 1979), 63. 13 Ellen V. Nerenburg, Prison Terms: Representing Confinement during and after Italian Facism. (Toronto: University of Toronto Press, 2001), 6.
  • 15. 12 zittiti ed esclusi, e questa scomunica sociale spinge loro nello spazio della pazzia. Gli anticonformisti hanno il potere attraverso la loro abilità e i loro desideri di cambiare le strutture stabilite, attraverso i loro tentativi di vivere il flusso della Vita pirandelliana o con Forme nuove artisticamente create da loro. La loro presenza dentro una categoria accertata diminuisce la loro influenza sulle persone normali in modo che il potere sociale può continuare incontrastato. Lo spazio della società è dove la maggioranza delle persone vive, sostenuta da ciò che Foucault chiama le istituzioni disciplinari – quelle istituzioni che propagano le regole e le tradizioni costituite dalla società. Nei termini delle Forme pirandelliane, lo spazio della società è una struttura fissa costituita come una verità. Lo spazio della società funziona attraverso l’uso del potere per costringere la maggioranza delle persone ad accettano passivamente le Forme. Il potere sociale ha un antagonista nei desideri delle persone che non accettano le Forme sociali, gli individui che vogliano un cambiamento nello status quo. Per isolare e nascondere questo gruppo la società ha costruito un nuovo spazio a forma dell’antico lazzaretto, un luogo o ospedale per l’isolamento dei malati incurabili. Il potere sociale moderno ha fatto pressione ai ribelli ed ha costretto loro a chiudersi in nuovi lazzaretti e gli ha dato una nuova etichetta, quella del pazzo. Mentre lo spazio della pazzia funziona fuori dalla società, però, le Forme ci sono lo stesso – la differenza è che le Forme toccano i pazzi in un modo diverso. Da una parte i pazzi sono più costretti dalle Forme sociali, avendo perso la loro libertà fisica e i loro ruoli nella società, ma dall’altra loro sono più liberi. In questo spazio i pazzi sono liberi dalle obbligazioni e dai tempi quotidiani e questa libertà gli permette di reinventarsi.
  • 16. 13 Le forze Il processo di entrare nello spazio della pazzia implica tre forze metaforiche che sono azioni intraprese dalla società per scomunicare le persone anticonformiste e così per conservare la struttura costituita dalla civiltà. Le tre forze – fisica, sociale e mentale –sono le pressioni imposte dalla società alle persone definite anormali o anticonformistiche che le costringono a due scelte: accettare il mondo com’è, o essere costrette nello spazio della pazzia. Queste forze funzionano in due modi; come forze isolanti che spingono le persone interne allo spazio della società attraverso l’emarginazione, ma anche come muri che non permettono ai pazzi di lasciare lo spazio della pazzia. La forza fisica La forza fisica è l’aspetto più tangibile, il modo in cui la libertà di lasciare un luogo è tolta ad una persona. È possibile immaginare questa forza come i luoghi dove i pazzi sono confinati: i manicomi e le case che separano i pazzi dalla società affinché le persone normali non siano toccate dalle idee anticonformiste dei pazzi. La forza fisica è la più semplice da vedere ma la semplicità non diminuisce il potere dell’isolamento fisico; la carcerazione delle persone pazze gli proibisce di essere con le persone sane. Per i personaggi, la distanza fisica risulta nella perdita dei ruoli sociali – per esempio Alda Merini, l’autrice di L’altra verità, non può essere una madre senza le sue figlie che le sono tolte quando entra nel manicomio. La forza sociale La forza sociale esiste nell’alienazione sociale, il modo in cui le istituzioni disciplinari insegnano che un individuo diverso deve isolarsi. La società crea i ruoli rigidi per le persone e quando le persone non riescono a vivere secondo questi stretti criteri, loro sono ostracizzate. Per esempio la protagonista di Una donna non si conforma alle regole sociali del suo villaggio e, in
  • 17. 14 ritorsione, gli abitanti emarginano la protagonista. Le istituzioni disciplinari insegnano anche che i pazzi sono membri di una categoria di valore minore. Come abbiamo visto prima, il modello del pazzo come animale inizia nel periodo classico, l’Illuminismo, quando “madness borrowed its face from the mask of the beast. Those chained to the cell walls were no longer men whose minds had wandered but beasts preyed upon by a natural frenzy”.14 Questa definizione storica della pazzia è anche inclusa nella forma della pazzia contemporanea; nel manicomio di Le libere donne di Magliano – a metà del ventesimo secolo – le donne pazze sono trattate come bestie. L’idea dell’animalità della pazzia è assimilata nelle opinioni generali delle persone pazze. Le persone sane credono che le persone pazze siano come animali, ma le persone pazze anche credono di essere inferiori alle persone sane. Chiuse dentro spazi della pazzia, queste persone hanno da due vie: la prima è di ritornare, se hanno il permesso, in società con lo stigma della pazzia. L’altra scelta è di creare una società nuova all’interno dello spazio della pazzia. Le comunità delle pazze appaiono nei due libri analizzati in questo studio, Le libere donne di Magliano e L’altra verità. La forza mentale La forza mentale funziona nei pensieri anticonformisti – uno scisma interiore che crea una differenza tra il modo in cui un individuo vede se stesso e il modo in cui vede il resto del mondo. L’individuo anticonformista vede la società come viziata, e i suoi pensieri si concentrano nei modi in cui la società può cambiare. Questo scisma spinge le persone alla pazzia perché crea un’irregolarità nel sistema della società e l’irregolarità non ha un posto nella società. Nello spazio della pazzia, l’individuo ha più libertà di capire e di pensare ai modi in cui la società può 14 Foucault, Madness and Civilization, 72.
  • 18. 15 cambiare. Per esempio, Enrico IV usa la sua scomunica dentro lo spazio della pazzia come il modo di cambiare il suo mondo. Reinvenzione Nello spazio della pazzia, i pazzi hanno un’opportunità che non c’è nella società; l’opportunità di cambiare il modo in cui loro vedono la loro realtà. La pazzia mostra la verità, che la società è creata sulle regole e sulle attese arbitrarie e non c’è una verità universale. Invece, la realtà è il modo in cui ogni individuo vede il mondo – in questa soggettività la pazzia non esiste e la società è un’illusione. La società funziona quando tutte le persone pensano che la loro realtà sia la stessa ma la verità è che la società è differente per ogni persona. Come vedremo più avanti, Enrico IV è il miglior esempio di un individuo che ha usato lo spazio della pazzia per guardare in faccia la verità ed adesso usa lo spazio della pazzia per costruire un nuovo mondo senza la società. Comunque, questa conoscenza non libera in modo assoluto i pazzi perché le Forme della società ci sono già; loro sono già nello spazio della pazzia e le vite di prima sono già perse. La scelta sola è l’auto-reinvenzione dentro alle Forme sociali o la vita nello spazio della pazzia e la creazione di nuove Forme all’interno dello spazio della pazzia.
  • 19. 16 Una donna Una donna è un romanzo semi-autobiografico di Sibilla Aleramo, pubblicato nel 1906. Il romanzo è diviso in tre parti e segue la protagonista anonima dalla fanciullezza alla maturità. La prima parte inizia con la sua infanzia e finisce con il suo tentativo di suicidio. La protagonista è nata a Torino, e passa la prima infanzia a Milano, ma dall’età di dodici anni vive in un villaggio piccolo sul mare Adriatico, anche questo senza nome.15 Qui lei cresce e, con l’approvazione del padre, lavora come impiegata regolare nell’ufficio della fabbrica della quale suo padre è direttore. La protagonista e suo padre sono felici ma il villaggio conservatore disapprova il padrone della fabbrica e la sua strana figlia. Lei vive con soddisfazione fino all’età di quindici anni quando – durante lo stesso anno – la mamma, la quale è molto depressa, tenta il suicidio, il padre è smascherato come adultero e, ancora più devastante, un operaio violenta la protagonista. Non può parlare a nessuno di questa sua tragedia personale e decide di sposarsi con il suo violentatore quando lei ha solo sedici anni. Il matrimonio non è felice e la protagonista non va d’accordo né con sua suocera né con sua cognata, le quali rappresentano le donne ignoranti, superstiziose, e oppresse del villaggio. La protagonista ha un figlio, ma dopo la nascita di suo figlio, la protagonista inizia un rapporto extraconiugale attraverso le lettere con un uomo nel villaggio. Questa “quasi relazione” finisce male perché il comportamento aggressivo di quest’uomo ricorda alla protagonista il suo violentatore/marito. Le voci della sua tresca rimangono e il marito abusa fisicamente la protagonista, minacciando la sanità mentale della giovane donna. Seguendo il modello di sua madre, tenta il suicidio con una dose eccessiva di laudano. 15 Questo piccolo villaggio è Civitanova, un villaggio nelle Marche.
  • 20. 17 La seconda parte del romanzo inizia con la guarigione della protagonista e segue la sua comparsa graduale al mondo fuori dal villaggio tramite le sue letture di libri e articoli e i suoi propri scritti. Grazie ai collegamenti che crescono con gli altri scrittori, la protagonista riesce a creare un nuovo ruolo per se stessa in una comunità di lettere. Questa comunità di lettere apre una porta all’opportunità di lavorare e di essere parte di una comunità tangibile a Roma. La protagonista e la sua famiglia vivono a Roma per un anno, ma poi ritornano al villaggio. La terza parte del libro inizia con il ritorno al villaggio, quando suo marito prende il posto di direttore dal padre della protagonista e finisce con la scelta della protagonista di lasciare il villaggio e la sua vita lì per scegliere un suo ruolo nella società. Questa decisione richiede la rinuncia a suo figlio e al suo ruolo come madre e moglie, un prezzo non solo alto ma devastante. Foto 1: Sibilla Aleramo In Una donna lo spazio della società è rappresentato nelle tradizioni che dominano il villaggio. Queste tradizioni sono molto vecchie, perché la struttura della società non cambia in
  • 21. 18 questi villaggi piccoli, e mettono in luce la disuguaglianza tra gli uomini – che hanno il potere – e le donne – che non hanno niente. Il problema è che la protagonista non cresce con queste regole e non crede nel loro potere. Quando lei si sposa e diventa moglie, scopre che il ruolo della donna richiede la fede totale in questa struttura. Una persona che devia dalle regole prova l’isolamento nei tre sensi che ho descritto in precedenza – l’isolamento fisico, l’isolamento sociale e anche l’isolamento mentale. Quest’alienazione totale porta spesso alla pazzia, lo spazio costruito anche metaforicamente per le persone differenti e anticonformiste. Per Una donna l’isolamento è la chiave per capire la pazzia e il processo che spinge le persone allo spazio della pazzia fuori dallo spazio della società. L’isolamento fisico è molto simile alla forza fisica che mantiene lo spazio della pazzia; la differenza è che lo scopo dell’isolamento non è per separare i pazzi dalle persone normali. Piuttosto, lo scopo di quest’isolamento è di mantenere le usanze della passività delle donne. Per la protagonista, il matrimonio funziona come una divisione tra un periodo in cui lei non è soggiogata dall’alienazione fisica e un periodo in cui invece deve vivere sotto le regole oppressive e misogine che dominano l’Italia rurale. Nella fanciullezza la protagonista gode di una libertà che non è mai concessa alle altre ragazze. Il padre le dà l’opportunità di lavorare nella fabbrica, aprendole il villaggio in un senso fisico. Lei ha il potere di andare in qualsiasi luogo che voglia, ma questa libertà crea alcuni problemi dopo il suo matrimonio perché quest’abilità di lasciare la casa non c’è per le donne sposate. Dopo il matrimonio lei è soggiogata dalle regole che disciplinano il comportamento delle mogli; la sua libertà è finita con la sua fanciullezza. Come moglie, la protagonista è sequestrata nella sua casa da dove può solo vedere il mondo esterno:
  • 22. 19 Le finestre della saletta da pranzo del nostro appartamento davano su uno stradone, di là dal quale si stendevano alcuni orti; al fondo si scorgeva un profilo di colline e una striscia di mare. Le altre stanze guardavano su un giardino piccolo e deserto, corso da malinconiche spalliere di bosso, e su la linea ferrata.16 Le finestre mostrano il mondo a cui lei aveva l’accesso prima, ma adesso il mondo fuori è inaccessibile. Questa perdita della libertà non è una cosa rara, poiché il tema delle limitazioni fisiche c’è spesso negli scritti delle donne. Come alcune scrittrici inglesi e americane – le sorelle Bronte, la poetessa Emily Dickinson – Sibilla Aleramo era confinata in casa, e il suo romanzo utilizza “[the] imagery of enclosure [that] reflects the woman writer’s own discomfort, her sense of powerlessness…it reflects her growing suspicion that what the nineteenth century called ‘woman’s place’ is itself irrational and strange”.17 Sibilla Aleramo è molto critica dei ruoli per le donne di questa epoca; lei crede che le donne non possano essere felici in una società che le obbliga al sacrificio della loro identità: “Come moglie, le poche gioie le si erano mutate in infinite pene: come madre non aveva mai goduto della riconoscenza delle sue creature”.18 La protagonista non solamente pensa che i ruoli e le regole per la donna nella società siano irrazionali, ma lei crede anche che le donne si meritino più autonomia e più indipendenza sia fisica che sociale. Questi pensieri anticonformisti la portano prima all’isolamento sociale, e poi alla scomunica sociale che finisce con la pazzia. Mentre l’isolamento fisico non inizia fino al matrimonio, l’alienazione sociale esiste nella vita della protagonista appena la sua famiglia si trasferisce al villaggio. L’isolamento sociale di cui fa esperienza prima del matrimonio è il risultato della sua reputazione come eccezione dalle 16 Sibilla Aleramo, Una Donna. (Milano: Universale Economica Feltrinelli, 1950), 33. 17 Gilbert and Gubar, Madwoman in the Attic, 84. 18 Aleramo, Una donna, 41.
  • 23. 20 regole e della sua mentalità incompresa e non tollerata dalle altre persone nel villaggio. Dopo il matrimonio, l’isolamento sociale si esprime nel ruolo che lei è costretta ad assumere e nei continui insuccessi derivanti dal vivere ruoli che le tradizioni hanno scelto per lei. Il villaggio dove la protagonista e la sua famiglia vivono è piccolo e tradizionale e il padre, uomo dalle idee moderne, va contro molte delle regole. Lui è ateo, è ben istruito, ma è anche bigotto e molto intollerante delle persone che lui considera inferiori – cioè il resto del villaggio, compresa la moglie. La sua individualità è tollerata perché lui ha un posto influente nella società: è il padrone della fabbrica ed un uomo. La stessa idea, invece, non vale per la protagonista, la quale vuole seguire le orme del padre. La sua istruzione crea un divario tra lei e i paesani, e la sua scelta di condividere molte delle opinioni del padre crea una situazione in cui la protagonista vive tra diverse categorie senza un vero posto. Lei non è un uomo ma lavora nella fabbrica, e non è ancora una donna essendo solo un’adolescente: non ha nessun posto nella società del villaggio e in questo stato isolato è spinta fuori dallo spazio della società. Ai margini della società lei riesce a vedere più da vicino la struttura del sistema sociale, e si avvicina di più allo spazio della pazzia. Per la protagonista, molti dei problemi nella società del villaggio sono annullati dal rapporto forte tra lei e il padre. Finché la protagonista abbia il sostegno del padre, lei non ha bisogno dell’accettazione del villaggio. Questa vicinanza, però, non c’è tra lei e la mamma; una ragione è l’adesione della protagonista alle opinioni del padre sulla moglie – lui, e in senso lato la protagonista, non pensa che la moglie sia meritevole del suo tempo perché lei non può capire le sue idee moderne e razionali. L’altra ragione è che la mamma rappresenta le tradizioni e i ruoli che dominano le donne nella società rurale, una realtà che la protagonista non capisce; lei inoltre non è pronta a considerare il suo futuro come moglie perché il ruolo della moglie dominerà la
  • 24. 21 sua vita – dopo il suo matrimonio lei perderebbe la sua indipendenza. La donna individuale che c’era prima del matrimonio non c’è più nella vita della mamma; lei è solo una moglie e una madre e questi ruoli richiedono la libertà della madre, e richiederanno la libertà della protagonista. La maternità è un tipo di schiavitù, “di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio”19 . La protagonista ha paura, inconsciamente, del fatto che quel ruolo assorba tutta l’identità di una donna, e che un insuccesso nella vita domestica sia punito con l’alienazione sociale. L’isolamento autoimposto tra la mamma e la figlia non solo danneggia la protagonista, la quale è impreparata per il suo stesso ruolo come madre e moglie, ma danneggia anche sua madre. L’insuccesso della madre di avere un rapporto con la figlia si combina con l’isolamento a cui il padre conduce la famiglia nella società del villaggio spingendola verso lo spazio della pazzia durante la fanciullezza della protagonista. Il tentativo di suicidio della madre è un modo per una donna di tentare di fuggire da questo spazio della società, dove lei non ha un posto. La vita non è possibile nello spazio costretto della società ma lei ha una scelta di fuga o nella morte o nella pazzia. La madre prima tenta il suicidio, e quando la sua fuga attraverso la morte fallisce, lei fugge attraverso la pazzia. Dopo il matrimonio, la libertà sociale della protagonista, il suo stato individuale, non c’è più e il marito adesso controlla tutta la sua vita. In questa situazione lei ha bisogno di un’amica o una compagna ma lei non ha nessuno con cui parlare dopo aver lasciato la sua famiglia per vivere con i suoi suoceri. La sua intolleranza per il villaggio e gli abitanti prima del matrimonio si risolve nell’alienazione dopo. L’unico rapporto che lei aveva, quello con suo padre, è anch’esso finito con il matrimonio perché suo padre la abbandona. In questa situazione, in cui la protagonista non può fare amicizia con altre donne, lei non capisce neanche che le regole della 19 Aleramo, Una donna, 144.
  • 25. 22 società non le permettono di creare rapporti con gli altri uomini. Il suo tentata relazione con un uomo finisce con la rabbia violenta del marito e le chiacchiere del villaggio; queste due conseguenze la spingono ancora ai margini della società e più vicino allo spazio della pazzia. La maternità definisce le donne nella società del villaggio, e sia l’aborto spontaneo, sia i problemi con l’allattamento convincono la protagonista che non può essere una madre vera. L’insuccesso della protagonista come madre la spinge al confine tra una vita normale nel villaggio e una vita anormale e isolata, dove la protagonista non c’è parte della società. Come sua madre prima di lei, questo fallimento della maternità è percepito come il fallimento della sua partecipazione alla società. La protagonista deve scegliere fra tre possibilità: vivere come un fallimento, fuggire nello spazio della pazzia, o morire, uccidendosi. Questo schema ritorna ripetutamente nella letteratura della pazzia e delle donne20 , l’idea che la libertà dalla struttura paternalistica può realizzarsi attraverso la follia, che la pazzia offre l’opportunità per reinvenzione. Difatti, la protagonista realizza il suo potenziale solo dopo il suo ingresso nello spazio della pazzia. L’anticonformismo definisce la maggioranza della vita della protagonista, nel senso fisico nella sua decisione di lavorare nella fabbrica e di vestirsi con abiti da ragazzo, ma anche in un senso mentale. La sua istruzione, anche se è disequilibrata con le propensioni di suo padre, le permette di vedere il mondo attraverso concetti astratti, in un modo che è impossibile sia per le donne, sia per gli uomini vivere nel villaggio, dove l’istruzione finisce formalmente nella prima gioventù. A differenza delle altre donne, la protagonista prima andava a scuola, poi è stata istruita da suo padre, il quale tramandava i suoi pensieri e le sue opinioni alla figlia. La protagonista eredita la visione del mondo del padre, ma lei comprende che la sua conoscenza del 20 Per esempio: Jane Eyre, Wuthering Heights, The Yellow Wallpaper
  • 26. 23 mondo è incompleta; le tradizioni che formano la società sono un mistero per lei e questa condizione di confusione è uno stato dell’isolamento. Lei ricorda un momento della fanciullezza, prima di trasferirsi al villaggio, come un momento di “tristezza [per] non saper pregare né cantare, e più acuto il senso della mia solitudine”.21 Questa solitudine è mascherata dal rapporto con suo padre, ma dopo il suo matrimonio, la sua inesperienza con le regole che dominano la sua vita e le vite delle altre persone del luogo rovina la sua fragile felicità. Dalla sua prospettiva diversa, lei contesta regolarmente la struttura della società, uno schema che a fine la porta alla scomunica sociale. La protagonista non solo contesta il comportamento delle donne con la sua breve relazione con un altro uomo, ma contesta l’idea che il destino delle donne è “amare e sacrificarsi e soccombere”22 , che il ruolo della madre è una posizione onnicomprensiva. Lei pensa che “la buona madre non deve essere, come la mia, una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana”23 , un’argomentazione contro la struttura storica che è la fondazione della sua società contemporanea. Ann Caeser, una studiosa del femminismo, trova questa ideologia proto- femminista negli articoli che Sibilla ha scritto tra 1897 e 1910: Sibilla vede l’oppressione delle donne e la loro incapacità di essere più che madri come la conseguenza dell’internalizzazione dell’oppressione dell’autorità paternalistica, un’oppressione che è trasmessa dalla famiglia.24 La risposta alla sua sfida è la scomunica sociale e in seguito l’etichetta della pazza. Dopo il suo tentativo di suicidio, la protagonista è tolta dalla vita sociale e messa nello spazio della pazzia. Per lei, questo spazio della pazzia è l’isolamento totale nei sensi fisici e 21 Aleramo, Una donna, 8. 22 Aleramo, Una donna, 41. 23 Aleramo, Una donna, 85. 24 Ann. Caeser, «Italian Feminism and the Novel: Sibilla Aleramo's A Woman.» Feminist Review.
  • 27. 24 sociali. Il marito non la permette lasciare la casa o parlare a ognuno tranne il dottore, la protagonista non ha la libertà di essere nella società. Lei è una prigioniera, e la sua etichetta della pazzia è la sua prigione. La sua pazzia non è mai diagnosticata da un dottore, sebbene qualcuno potrebbe identificarla con la depressione post-parto. La diagnosi della sua malattia mentale non è più importante della sua nuova etichetta della pazzia, perché la pazzia porta lo sviluppo interno. Nello spazio della pazzia la protagonista ha più libertà mentale e questa libertà offre l’opportunità di auto-reinvenzione. Le tre forze che la spingono lontano da un ritorno alla società che lei ha lasciato – le forze fisiche, sociale e mentale – sono simili, se non uguali, alle forze che la isolano prima del tentato suicidio. Quello che conta maggiormente nel suo periodo trascorso nello spazio della pazzia non sono le forze che tengono la protagonista all’interno della pazzia, ma il modo in cui la protagonista usa questa fuga attraverso la follia come un rifugio dove lei cresce come persona. Paradossalmente, la pazzia le permette a fine di abbandonare almeno in parte i ruoli convenzionali di donna che la rendevano pazza. Alle fine dell’Ottocento una “pazza” era tipicamente confinata nel manicomio, come fu il destino della madre della protagonista, o nella casa, come fu il destino della protagonista. L’isolamento fisico della protagonista migliora; lei è costretta in casa sotto gli ordini di suo marito – “non uscivo mai di casa, salvo qualche volta la sera: pochi passi con mio marito lungo la deserta via ferrata”.25 La protagonista è fortunata che il suo isolamento le permette di restare nella sua casa con suo figlio; sua mamma aveva perso i suoi figli quando suo padre l’aveva mandata in manicomio. Ogni volta che esce di casa, però, suo marito l’accompagna; lui è lo strumento della forza fisica che limita la protagonista; la sua presenza è un ricordo costante delle 25 Aleramo, Una donna, 80.
  • 28. 25 regole che opprimono la protagonista. L’impossibilità di essere sola nel mondo esterno porta la protagonista a usare il suo tempo in casa per la sua crescita interiore, uno sviluppo che le permette alla fine la libertà fisica. Nella prigione che è la sua casa, la protagonista espande i suoi rapporti tramite la lettura di libri e riviste dell’alta cultura, la sua scrittura, e la sua corrispondenza con intellettuali europei. Le sue lettere rappresentano di fatti una fuga dal villaggio verso una società diversa che accetta il suo anticonformismo. Nel senso sociale, la pazzia si appropria dei ruoli dalla protagonista e la riduce al livello di una bimba. Le faccende domestiche infatti sono svolte da un’altra donna, cosa che permette alla protagonista di trascorrere tutto il tempo con suo figlio, ma anche con i libri. Le chiacchiere del villaggio servono a ricordare che la protagonista fallisce nel suo tentativo di svolgere il suo ruolo; un monito non solo per la protagonista, ma anche per suo marito. Mentre lui tiene la protagonista chiusa in casa, separata dalle altre persone, lei crea una nuova cerchia sociale con vari scrittori con cui corrisponde. Questi scrittori non solo sono un collegamento col mondo esterno alla casa e al villaggio, ma presentano anche una nuova società dove ai pensieri diversi è permesso fiorire. In questa sottocultura degli intellettuali la protagonista trova il suo posto, un posto che le offre l’opportunità di lasciare il villaggio per un lavoro a Roma in un giornale femminista. Inoltre, questa cultura di anticonformisti offre anche l’opportunità di sviluppare i suoi pensieri sulle donne e sull’emancipazione delle donne, e di scrivere gli articoli in cui può condividere le sue idee con altre persone. La protagonista entra nello spazio della pazzia come una madre e una moglie ma lo lascia come scrittrice. Di tutti i personaggi nei testi che ho letto, la protagonista di Una donna ha i sintomi più evidenti di una malattia vera; uno psicologo le diagnosticherebbe la depressione, probabilmente la depressione post-parto. La sua malinconia, la sua apatia, la sua accettazione della sofferenza
  • 29. 26 come il suo destino – tutti questi sintomi portano alla diagnosi di un disturbo umorale. Questo fatto è importante perché mentre la pazzia è un’idea creata dalla società, le persone che entrano in questo spazio hanno spesso disturbi psicofisici umorali. La protagonista finisce con l’avere quest’etichetta perché non può nascondere la sua depressione, ma lei rimane nello spazio della pazzia anche dopo la sua guarigione perché perde il suo posto nella società del villaggio. L’anticonformismo spinge la società ad isolarla, l’alienazione la costringe alla depressione e la depressione la spinge allo spazio della pazzia e al nuovo ruolo in questo spazio. Per la prima volta, dallo stupro a cui la protagonista era sottoposta a quindici anni dal suo futuro marito, ha finalmente l’opportunità di essere più di quello che la società vorrebbe che lei fosse. Lei è fortunata perché nel periodo della pazzia ha ricevuto un libro di sociologia sui problemi in Europa, compresa l’oppressione delle donne, e questo testo è la sua salvezza. L’atto di scrivere costituisce lo sfogo per le sue idee contro la società dominante e anche un modo in cui lei matura a un’individua uguale allo stress di essere un’anticonformista. Lo spazio della pazzia permette alla protagonista di svilupparsi, ma la sua crescita ha un prezzo molto caro. È possibile per la protagonista lasciare lo spazio della pazzia ed entrare in una nuova società dove lei ha l’abilità di esprimere i suoi pensieri anticonformisti, ma non è possibile per lei avere quest’opportunità senza privarsi del suo ruolo passato. La protagonista deve scegliere tra essere una donna completa o essere una madre. La terza parte del romanzo si concentra sulla scelta di lasciare o di rimanere con suo marito; la decisione di lasciare il marito e di conseguenza suo figlio riflette la crescita che avviene nello spazio della pazzia, ma anche la paura di ritornare allo spazio e i ruoli della società. Alla fine, la protagonista sceglie la sua identità e la sua libertà perché lei sa che l’altra decisione finirebbe con la sua morte. La sua scelta è l’opposto di quella che sua madre ha fatto, una decisione che finisce con il disturbo mentale e
  • 30. 27 una morte lenta in un manicomio. La protagonista sacrifica la sua maternità e suo figlio perché la maternità esige che lei sacrifichi la sua identità, la sua libertà e la sua vita, e lei non vuole fare questo sacrificio. La pazzia le insegna che le etichette che la società dà alle persone – sia la madre, sia la pazza – non sono vere. La verità è che le donne hanno l’abilità di scegliere il loro destino, e questa verità è la ragione per cui la società ha paura dell’anticonformismo. La società ha potere solo quando le persone credono nella società e seguono passivamente le sue regole; appena la protagonista riconosce questa verità, lei è libera.
  • 31. 28 Enrico IV Enrico IV è un’opera teatrale di Luigi Pirandello che tratta di un uomo considerato pazzo e del tentativo di curare una malattia mentale che non c’è. Enrico IV, il protagonista pazzo, crede di essere il Sacro Romano Imperatore della Germania, durante gli anni 1076 – 1077 quando il re fu scomunicato dal Papa Gregorio VII26 ; questa follia è sostenuta dalla sua famiglia che paga per una villa, gli attori, e i costumi per creare uno spazio fuori dal tempo. L’opera inizia con l’arrivo di un nuovo attore e l’arrivo del nipote di Enrico. Insieme a suo nipote ci sono un medico; Donna Matilde, la donna che Enrico amava prima della pazzia; Belcredi, l’amante di Donna Matilde e il nemico di Enrico; e la figlia di Donna Matilde, Frida. Il dottore è presente perché Di Nolli, il nipote, vuole che suo zio sia curato; il dottore pensa che lo shock di vedere Frida – che sembra una giovane Matilde – nello stesso abito che la madre indossava il giorno in cui Enrico IV perse la sua sanità mentale, curerà la sua pazzia. Ci sono due problemi: il primo è che Belcredi è, in parte, responsabile per la caduta di 20 anni prima che causò la pazzia durante una cavalcata storica quando il protagonista indossò la maschera del re in un tentativo di fare una buona impressione a Donna Matilde. Il secondo, e il più importante, è che Enrico IV non è veramente pazzo; da più anni lui finge la pazzia perché non vuole ritornare allo spazio della civiltà. Lui abbraccia la verità dello spazio della pazzia e sceglie di rimanerci. Enrico IV confessa questa scelta ai suoi consiglieri – gli attori che vivono con lui – ed all’apice dell’azione lui confessa la sua sanità mentale alle altre persone. Nel momento di questa confessione, Enrico IV aggredisce Belcredi, dimostrando che la sua sanità mentale non è distinta dalla sua pazzia. 26 I. S Robinso, Henry IV of Germany 1056-1106. (Cambridge: Cambridge University Press, 1999), 161.
  • 32. 29 Foto 2: Marcello Mastroianni come Enrico IV Non c’è una differenza tra la sanità mentale di Enrico IV e la sua pazzia perché nelle teorie di Pirandello, il comportamento umano è un continuo. Le categorie di “sanità mentale” e “pazzia” sono “Forme”, costruite dalla società per capire la nostra realtà. È anche possibile sostituire i termini di “normale” e “anormale” con sanità mentale e pazzia perché questi termini descrivono i modi in cui la società definisce il comportamento dagli esseri umani. La sanità mentale e la normalità sono i termini per il comportamento che la società giudica come giusto. La pazzia e l’anormalità sono i termini per il comportamento che la società giudica come sbagliato. La pazzia di Enrico IV funziona come il modo in cui Enrico IV prende il controllo della sua vita. La sua maschera della pazzia gli permette di essere l’autore del suo spazio fisico ma anche della sua realtà. Per Enrico IV lo spazio fisico della sua pazzia è uno spazio della sua creazione. La villa dove finge di essere un re medievale è totalmente un luogo falso, uno spazio che rappresenta la falsità della pazzia di Enrico IV. Anche la villa è la manifestazione del suo isolamento dallo spazio della civiltà e vivere là è il modo che lui sceglie per abbracciare il suo isolamento.
  • 33. 30 La villa dove Enrico IV vive è trasformata in un castello medievale dalla sorella di Enrico IV di modo che Enrico IV possa credere di vivere veramente nel castello di Canossa, il luogo dove il vero Enrico IV chiese perdono a Gregorio VII nel 1077. L’anno dall’ambientazione dell’opera non è mai indicato da Pirandello ma è probabilmente l’anno in cui l’opera fu scritta, il 1921. I personaggi “moderni” e “normali” nel dramma accennano alle automobili e alle luci elettriche, ma in questa villa tutta questa tecnologia moderna è nascosta. Invece Enrico vive con gli attori nei costumi specifici del 1077 di Enrico IV di Germania, con le lampade a olio e i mobili d’antiquariato. Lo spazio è una contraddizione, con le persone moderne ma gli ornamenti antichi e questa contraddizione rispecchia la contraddizione tra il protagonista che tutti credono sia un pazzo Enrico IV e la verità della sua sanità mentale. Enrico IV è pienamente cosciente della bugia della sua ambientazione ma in questa bugia Enrico IV ha più potere: Credete che non sappia che, appena volto le spalle con la mia lampa ad olio per andare a dormire, accendete la luce elettrica per voi – qua e anche là nella sala del trono? – Fingo di non vederla...27 Dodici anni dopo la sua caduta, Enrico IV all’improvviso si rendeva conto della sua vera identità, ma la mascherata continua perché in questo spazio lui ha il controllo assoluto; le persone che vivono con lui sono costrette a seguire le sue regole e partecipare alla sua finzione. Questa intenzione serve per proteggere il suo isolamento dalla società e i muri della villa sono i muri fisici che Enrico IV usa per dividere il suo spazio inventato della pazzia dallo spazio della società. La vita nel castello è uno spettacolo teatrale dentro lo spettacolo teatrale di Enrico IV, ogni giorno Enrico IV e i suoi consiglieri recitano il periodo storico dalla vita del vero Enrico IV 27 Luigi Pirandello, Enrico IV (Milano: A. Mondadori, 1929), 93.
  • 34. 31 quando lui chiese perdono al Papa. Questa idea della differenza tra la realtà della società e la realtà del teatro è un soggetto comune nelle opere di Pirandello e parte della sua filosofia. La realtà della società dipende dei nostri sensi, non è una questione della nostra volontà La realtà del teatro – la realtà di Enrico IV – è una creazione della Forma perché Enrico IV esercisce la sua volontà, “voluta non nel senso che sia procacciata con la volontà per un fine estraneo a se stessa; ma voluta per sé e per sé amata disinteressatamente”.28 La vita di Enrico IV è una nuova Forma della sua creazione e in questa Forma Enrico IV è libero. L’isolamento a cui la società costringe i pazzi è, normalmente, un tentativo di smantellare il potere e l’identità dai malati. Comunque l’isolamento di Enrico IV alle fine dà più potere a lui perché l’isolamento è una scelta specifica fatta da lui stesso, uno sfruttamento della pazzia e l’isolamento diventa una protesta sociale.29 Nell’alienazione fisica e sociale, Enrico IV ha l’opportunità di creare la sua realtà. In questo spazio “fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della vita”30 l’isolamento permette ad Enrico IV di ribellarsi contro le regole e le strutture sociali da cui fu oppresso nel passato. Prima della sua caduta da cavallo e la conseguente pazzia, Enrico IV era uno schiavo della società; nella sua pazzia lui è padrone delle sue azioni e del suo ambiente. Tutti gli aspetti della villa sono controllati dai capricci della sua pazzia; ma poiché Enrico IV non è veramente pazzo, questo significa che ogni scelta che aumenta il suo isolamento è una scelta intenzionale. Per Enrico IV la pazzia vera è vivere in una società dove gli altri hanno tutto il potere sopra di lui. Il costo dello stigma della pazzia non è troppo alto rispetto al vantaggio di essere il padrone e artista del suo mondo anche se fittizio. 28 Pirandello, Luigi, Saggi, poesie, scritti varii (Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1960) 29 Biasini, Literary Diseases 30 Pirandello, Enrico IV, 86.
  • 35. 32 Nonostante il tentativo di Enrico IV di fuggire la società nel suo spazio fisico la forza sociale continua ad avere impatti sulla sua vita; la società è rappresenta dai visitatori che arrivano nel castello con l’intenzione di curare Enrico IV da una pazzia che non esiste. Le maschere sono un’altra Forma della società, le maschere che i vari personaggi indossano; le maschere esteriori che mostrano i desideri della società e le maschere interiori che nascondono la verità. Le maschere sono illusioni, sia illusioni dell’identità, sia illusioni del mondo, che danno un significato e un ordine alle vite delle persone. La vita senza le maschere è impossibile perché le maschere sono il modo in cui le persone capiscono la nostra realtà. Neanche Enrico IV può vivere senza una maschera, ma lui abbraccia la sua maschera della pazzia. Enrico IV indossa la maschera della pazzia, come il suo ritratto nella sala di trono, tutte le sue azioni e tutti le sue parole creano l’illusione di qualcosa che non c’è. I ritratti nella sala di trono “rappresentano un signore e una signora, giovani entrambi, camuffati in costume carnevalesco, l’uno da ‘Enrico IV’ e l’altra da ‘Marchesa Matilde di Toscana’”.31 Questi ritratti non mostrano la verità, invece i ritratti del passato mostrano questi due protagonisti in un momento fisso del passato, e un uomo fisso nel passato è quello che i visitatori si aspettano dai loro incontri con Enrico IV. Di fatti, la maschera della pazzia è il ruolo che Enrico IV recita per questi visitatori, una maschera che rappresenta l’ordine sociale convenzionale. Comunque, la faccia vera di Enrico IV è la faccia di un uomo che non è pazzo nel senso della definizione che lo spazio della società usa. Invece la faccia vera di Enrico IV è un uomo intelligente che ha capito che il migliore modo di lottare contro lo spazio della società e di adottare la pazzia come un’armatura. Enrico IV non solo è il personaggio che indossa una maschera – tutti i personaggi indossano una o più maschere che nascondono la verità delle loro identità sia dalla società, sia 31 Pirandello, Enrico IV, 6.
  • 36. 33 dai loro stessi. Gli attori usano le maschere del passato allo scopo di aiutare e mantenere l’illusione di Enrico IV. Donna Matilde indossa la maschera esteriore di una signora dal medioevo ma anche una maschera interiore di una donna nel fiore della sua vita. Donne Matilde Spine è sui 45 anni; ancora bella e formosa, per quanto con troppa evidenza ripari gl’inevitabili guasti dell’età con una violenta ma sapiente truccatura, che le compone una fiera testa di walkiria. Questa truccatura assume un rilievo che contrasta e conturba profondamente nella bocca, bellissima e dolorosa.32 Per Donna Matilde questa visita è un’opportunità a rivivere la sua bella gioventù. Lei vuole il passato fisso che esiste nella maschera di Enrico IV, un tempo quando lei era un’eroina tragica che ha il potere sulla sanità di mente degli uomini. La società offre meno opportunità ad una donna matura; senza il potere della giovinezza, rappresentata dalla sua figlia Frida, Donna Matilde è una figura sociale debole. Belcredi, il rivale di Enrico IV, indossa la maschera di un amico, ma la sua maschera interiore è di un’ostilità che dura da, al meno, diciotto anni. Il dottore indossa la maschera dello scienziato ma è chiaro agli altri che la sua conoscenza medica non ha il potere di curare Enrico IV, ed è il personaggio più ridicolo di tutti. Per tutti i personaggi, le maschere nascondono le identità vere e frantumate, ma solo Enrico IV è capace di vedere e capire la sua verità e questa differenza costringe lui di recitare “per sempre” il ruolo del pazzo. Il conflitto dell’opera ha origine nell’idea che c’è una cura per la pazzia e che i pazzi hanno bisogno di e vogliono questa cura affinché ritornino alla società. Se la pazzia rappresenta un pericolo alla società, una cura significa il ritorno al ordine sociale. Il problema con questa teoria è che Enrico non ha bisogno di né vuole una cura; lui è contento di vivere nel suo spazio 32 Pirandello, Enrico IV, 20.
  • 37. 34 isolato, fuori dagli obblighi della società. La sua pazzia non è una perdita di ragione – lui è il più ragionevole di tutti – invece lui usa l’etichetta del pazzo perché nello spazio della pazzia Enrico IV ha l’opportunità di distruggere la struttura presente della società e ricostruire il mondo secondo la sua voluta. Il dottore pensa che la cura sia di annullare il desiderio di Enrico IV di essere un’altra persona; ma il dottore non capisce che l’isolamento di Enrico IV è una scelta che ha origine prima della sua caduta. Donna Matilde ha veduto questo diciotto anni prima, quando lei ha riconosciuto che lui “non era come gli altri!”33 . Prima della sua pazzia, Enrico IV vedeva la verità; l’isolamento inizia prima della pazzia, e adesso, l’etichetta del pazzo è solo il modo in cui Enrico IV separa se stesso dal mondo in modo assoluto. La cura che il dottore vuole per Enrico IV obbliga Enrico IV a interagirsi con gli altri esseri umani della società civile ma Enrico IV non vuole interagirsi con gli altri. La società contro di cui Enrico lotta gli obbligherà a credere in un’illusione – l’illusione che la ragione e la sanità mentale esistano – quando lui sa che lo stato della pazzia è più vicino alla verità. Nella pazzia lui ha l’abilità di capire e dire la verità e “una cura”, un ritorno in società, lo costringerebbero a tacere. Enrico IV esiste in una categoria unica – quella della persona che capisce la verità della vita, e che ha il potere sul proprio destino. Enrico IV capisce che il suo comportamento sembra pazzo ma quest’atto è progettato per separarlo dalle altre persone; la sua insistenza nel fingere di essere un re tedesco è una maschera che si mette sulla faccia in contrasto agli altri personaggi che non riconoscono le illusioni in cui vivono ogni giorno delle loro vite. Questa verità che Enrico riconosce è che la pazzia, come una definizione stabile o universale, non esiste. Nella sua “pazzia” Enrico IV può vedere e capire che la pazzia è una questione di potere, al contrario di una questione della sanità mentale. L’abilità di un pazzo di capire questa importante distinzione 33 Pirandello, Enrico IV, 32.
  • 38. 35 ha origine nella posizione di essere separati come un pazzo dalla società civile; i pazzi non sono parti della società e nello spazio emarginato loro hanno l’abilità di giudicare in un modo che le persone “sane di mente” non hanno. La pazzia di Enrico IV non è una pazzia che un dottore diagnostica. La sua pazzia gli permette di riconoscere l’illusione e rifiutare le convenzioni sociali e il sistema illusorio della ragione, nonostante questa riconoscenza lo isoli. Enrico IV vive una bugia, perché lui finge di essere pazzo, ma è meglio conoscere la verità che vivere nell’ignoranza. La ragione per cui Enrico IV abbraccia la sua pazzia falsa è il potere che la follia gli dà; libero dal potere della società, Enrico IV ha l’abilità di vivere secondo la sua volontà. Il momento in cui la pazzia è più vera, è il momento in cui Enrico IV ha più potere. Il potere di Enrico IV è nella sua abilità di controllare la sua realtà, che include la storia della sua caduta e la verità del suo stato mentale. Quando tutti i personaggi conoscono la storia – la verità della caduta, la verità dello stato mentale di Enrico IV – Enrico IV perde il suo potere. La realtà che Enrico IV ha costruito è a rischio e per proteggere la sua creazione, Enrico IV è spinto all’azione. Di Nolli, suo nipote, paga per tutta la vita di Enrico IV – per la villa, per gli attori, per i costumi, - e senza la pazzia tutto questo non ci sarebbe. La sola possibilità per Enrico IV in questo momento è di dimostrare che la sua pazzia è vera, nonostante sotto la maschera Enrico IV sia senz’altro il più intelligente e il più sano. L’assalto di Belcredi è l’azione di un uomo sano di mente e il prezzo di vivere fuori della società. A differenza dei personaggi nelle altre opere studiate qui, Enrico IV è l’unico personaggio per cui il costo dell'auto-reinvenzione non è la perdita della sua vita prima della pazzia ma la perdita dell’opportunità di cambiare la sua scelta. È chiaro al pubblico che Enrico IV non vuole ritornare in società, una società che non ebbe molta considerazione per lui prima
  • 39. 36 della sua pazzia e non avrà considerazione per Enrico IV se lui ritornerà con lo stigma della follia. Comunque, prima della fine dell’opera, Enrico IV ha l’abilità di ritornarci e questa capacità è molto importante perché il potere di Enrico IV sta nel fatto che, a differenza degli altri pazzi, Enrico IV vive la sua pazzia nel modo più conscio e fa quello che vuole fare. Dopo la fine dell’opera, dopo il tentato assassinio di Belcredi , Enrico IV è costretto a indossare per sempre la maschera della sua pazzia fino alla fine dei suoi giorni. L’atto di violenza contro Belcredi è anche un atto contro la società; la società cerca di rigettare la pazzia di Enrico IV, ma Enrico IV uccide Belcredi con una spada per convincere gli altri personaggi che, infatti, lui è pazzo. Lui ha scelto la pazzia, ma in questa scelta lui ha perso la capacità di essere più della maschera che la società vede. Enrico IV non solo finisce con la morte della scelta, ma anche con la violenza contra Belcredi. Non è chiaro se lui morirà, ma quest’ambiguità è meno importante del fatto che una lotta contro il sistema inevitabile finisce con la violenza. Enrico IV lotta contro la società: sia il suo ritorno nel mondo civile, sia l’impatto della società nella sua vita. Nel dramma Enrico IV è un uomo ragionevole, nonostante la sua maschera della pazzia, ma alla fine, quando lui aggredisce Belcredi, Enrico IV non è un uomo ragionevole ma un pazzo negli occhi della società. Lui mostra il pericolo e la violenza che la società associa con la pazzia. Il suo atto violento contro Belcredi è la giustificazione con cui la società chiude i pazzi nello spazio della pazzia. La società spinge Enrico IV alla violenza e nell’atto della violenza lui perde la differenza fra l’identità vera e la maschera che indossa.
  • 40. 37 Le libere donne di Magliano Le libere donne di Magliano ci offre un punto di vista che non appare negli altri testi; quello del dottore che cura la pazzia. Il libro è pubblicato nel 1953, scritto da Mario Tobino, il quale si laurea con una specializzazione in psichiatria prima di accettare un posto come medico in un manicomio rurale, ci mostra le vite delle persone che lavorano e vivono nello spazio della pazzia senza l’etichetta della pazzia: queste persone sono i custodi, le persone responsabili per la protezione e l’applicazione delle Forme. Non ci sono eventi straordinari nel libro, il quale parla delle vite quotidiane delle malate di mente, degli infermieri, delle suore e del medico che vivono, lavorano e muoiono fra le mura del manicomio. Questo libro ha anche molti personaggi – 1039 pazienti, fra cui ci sono circa duecento infermieri e diciannove suore – che sono visti e giudicati attraverso gli occhi di un dottore anonimo. Per quest’analisi, mi concentro su due individui e due gruppi di persone; il dottore, nel suo ruolo di custode, la Lella, la domestica ma anche una paziente, le donne pazze che vivono come animali, e infine le suore e le infermiere, che rappresentano le persone che accettano le Forme senza fare resistenza. Questi personaggi mostrano il modo in cui le Forme della società toccano le vite delle persone, ma anche il collegamento tra la pazzia e la resistenza al potere sociale. Il dottore è un personaggio interessante perché il suo lavoro con le pazze e i suoi pensieri sulla pazzia sono in conflitto. Lui rappresenta il potere delle Forme nel manicomio sia per le pazienti sia per il personale, ma, come individuo, dubita che la pazzia sia una vera malattia. La sua esperienza come satellite dello spazio della pazzia – e spesso toccato dalle stesse forze che hanno un impatto sulle matte – gli insegna che non c’è una vera differenza tra la pazzia e la sanità.
  • 41. 38 Il ruolo del dottore nel manicomio è quello di custode dell’ospedale; l’uomo responsabile del rispetto delle Forme. Il custode, nelle teorie di Foucault, è la figura dell’autorità nello spazio della pazzia: The space reserved by society for insanity would now be haunted by those who were ‘from the other side’ and who represented both the prestige of authority that confines and the rigor of the reason that judges. The keeper intervenes, without weapons, without instruments of constraint, with observation and language only.34 Il dottore è quest’uomo dall’altro lato – il suo lavoro è di osservare e di giudicare le donne che vivono nel manicomio. L’ambientazione del libro è un manicomio rurale, nella provincia di Lucca, dopo la seconda guerra mondiale. La società rurale in questo periodo non è molto differente dalla società all’inizio del secolo; per gli abitanti della provincia le tradizioni e le regole sociali sono rigide e interiorizzate come verità assoluta. Molte delle donne pazze sono nel manicomio perché, in un modo o nell’altro, hanno trasgredito le regole – spesso riguardo le norme sull’espressione della sessualità – e il trattamento è la scomunica in manicomio. La differenza tra il dottore e gli infermieri e le suore, i quali anche rappresentano il potere sociale, è che il dottore dubita della verità della pazzia. Lui vede le pazienti con una pietà che gli infermieri e le suore non hanno. Una ragione è la differenza nella distanza tra il dottore e le pazienti e il personale e le pazienti: il dottore è il direttore – non è la persona che ha bisogno di entrare nelle celle e interagire con le pazze. Un’altra ragione è la differenza nell’istruzione: il dottore è un nuovo venuto, relativamente, nel manicomio – non è nato nel villaggio ma ci si è trasferito dieci anni prima – mentre gli infermieri fanno parte di una tradizione: “l’esperienza e la sapienza degli 34 Foucault, Madness and Civilization, 252.
  • 42. 39 infermieri vecchi si trasmette ai giovani”35 . L’istruito medico non ha un posto in questo mondo tradizionale, dove i modi di guarigione non cambiano. Il manicomio funziona all’interno di un tempo ciclico, come la cultura agricola che lo circonda; in quest’ambiente naturale, il dottore vede che la vita e il tempo seguono un ritmo naturale e ciclico. Questa distanza tra il dottore moderno e il personale tradizionale spinge il dottore a una nuova considerazione della pazzia, una prospettiva della pazzia come differenza tra seguire le regole naturali e seguire le regole della società. Le pazze sono anormali agli occhi della società perché loro seguono le regole naturali invece delle regole della società. Anche il suo rapporto con la Lella, la sua domestica, mostra al dottore che la pazzia nel manicomio spesso non è una malattia. Nonostante il dottore sia un uomo sano, le stesse forze che toccano le vite delle sue pazienti toccano anche lui. La sua vita è limitata in modo simile, se non uguale, a quella delle pazze. Fisicamente, il dottore è isolato come le sue pazienti; vive all’interno degli stessi muri del manicomio, e condivide la loro inabilità di andarsene. Il suo posto richiede che il dottore c’è nel manicomio, richiede che lui vive fuori dai suoi amici e dalla società più moderna. È vero che lui ha la possibilità di prendersi una vacanza ma deve ritornare al posto che lui chiama “mio dominatore”.36 In un certo senso lui è tanto prigioniero quanto le pazze, intrappolato nel suo ruolo di custode; finché le pazze sono tenute nello spazio della pazzia, un custode deve essere con loro. Socialmente, il dottore è alienato dalle altre persone, sia le pazze, sia il personale. C’è una distanza tra lui e le altre persone che gli permette di raccontare le loro storie. Come unico dottore del manicomio, non ha una controparte, non c’è un amico o un collega con cui parlare al 35 Mario Tobino, Le libere donne di Magliano (Milano: Mondadori, 2001), 26. 36 Tobino Le libere donne, 134.
  • 43. 40 suo stesso livello – lui ha solo le donne pazze e i rustici infermieri. Quest’isolamento sociale dentro al manicomio rispecchia il suo isolamento all’interno della cultura rurale di Lucca. La sua istruzione e i due anni da lui trascorsi in Libia durante la guerra separano il dottore dagli altri personaggi e lo costringono a essere una rarità. Lui non è pazzo, ma soffre dalla stessa sconnessione di cui soffrono le donne. Il dottore è il più perplesso sul trattamento delle sue pazienti perché dubita che la pazzia sia una malattia e crede invece che le pazze seguano regole diverse, più vicine al ritmo naturale. Cosa significa essere matti? Perché si è matti? Una malattia della quale non si sa l’origine né il meccanismo, né perché finisce o perché continua. E questa malattia che non si sa se è una malattia, la nostra superbia ha denominato pazzia.37 Il dottore, e per estensione Tobino, ha pietà per le pazze, perché per lui il loro fallimento nella società non è solamente colpa loro. Infatti, anche la società è colpevole perché il reato delle pazze è di trasgredire le regole culturali, ma non le regole di Dio. Questi pensieri eretici del dottore sull’origine della pazzia non possono essere condivisi con nessuno perché il dottore rappresenta le istituzioni disciplinari – lui è il custode del manicomio, delle pazze. Le istituzioni disciplinari sono, nelle teorie di Foucault, “the institutions emerging in nineteenth-century Europe, such as workhouses, schools and barracks, which took hold of the bodies and minds of their inhabitants and shaped them according to disciplinary procedures and ‘quiet coercions’”.38 Il manicomio è un’istituzione disciplinare, e le persone dentro anche sono formate dalle altre istituzioni. A tutti i personaggi, in un modo o nell’altro, erano insegnate sulle procedure disciplinari. La differenza tra il dottore e le pazze è che le pazze non nascondono la loro inabilità 37 Tobino, Le libere donne, 99. 38 Schirato, Danaher and Webb, Understanding Foucault, pg xix.
  • 44. 41 di conformarsi a queste procedure disciplinari. L’unico posto dove lui può esprimere le sue opinioni è nel suo diario che il lettore ha il privilegio di leggere. Foto 3: La Lella con Mario Tobino Mentre il dottore rappresenta il custode istruito, la Lella rappresenta l’opposto: una donna rurale che vive con l’etichetta della pazzia, nonostante lavori come domestica per il dottore. La storia della Lella non viene raccontata fino all’ultimo terzo del libro, ma è importante per capire come la Lella sia il simbolo delle idee anticonformiste sulla pazzia del dottore. La Lella entra nel manicomio all’età di vent’anni perché odia sua madre, ma ancora di più perché vive secondo le regole “naturali”, le regole che non hanno un posto nella società. Mentre crescevano gli anni a non aver capacità di astrarre, far differenza tra i sentimenti, essendo nello stato che solo ciò che commuove è verità, continuava a vivere sulla campagna e tra le bestie e tanto queste che i frutti le sembravano più veritiere delle persone, bestie e frutti senza peccato, senza l’ombra del diavolo; e, col progredire dei giorni, senza giudicarlo e mai più essendo capace di indicar con
  • 45. 42 le parole, cominciò a idolatrare l’innocenza, ciò che era genuino, schietto, diretta legge di Dio.39 La Lella è, come il dottore, una singolarità perché, nonostante la sua pazzia, ha l’abilità di lavorare. Quest’abilità di lavorare le permette di vivere nello spazio tra la pazzia e la sanità. Il suo comportamento e il suo ruolo materno nei confronti del dottore cambiano le opinioni del dottore sulla pazzia non solo di Lella ma anche di tutte le pazienti. La Lella, nonostante la sua condizione di domestica, vive sotto le stesse forze delle altre pazienti. Come ogni paziente, la Lella ha perso la sua libertà fisica quando è entrata nel manicomio – lei non ha la possibilità di andare dove vuole, o di lasciare l’ospedale, e neanche di dormire dove vuole. Le pazze non hanno il diritto di privacy – la regola del manicomio è che le pazze devono essere guardate da un custode ogni momento del giorno. Questa perdita è messa in luce in un episodio verso l’inizio del libro: quando la malinconia dell’altra malata che aiuta il medico ritorna, lei deve andare dentro il manicomio e così anche la Lella perde la sua libertà. Per un’infrazione alla tecnica manicomiale era accaduto che queste due ammalate, la Lella e la signora Alfonsa, non andavano a dormire insieme alle altre malate, in un reparto, ma riposavano libere, uguali a villeggianti, in una cameretta che c’è quassù, in cima all’abitazione dei medici; e ora anche la libertà della Lella si è troncata, non essendo possibile che una malata sola abiti un luogo del tutto non vigilato.40 Questa vigilanza continua mette in luce il cambiamento che il custode porta allo spazio della pazzia. Prima del diciannovesimo secolo le pazze non erano sorvegliate; dopo la nascita del 39 Tobino, Le libere donne, 113. 40 Tobino, Le libere donne, 23.
  • 46. 43 ruolo del custode nel manicomio le pazze sono sorvegliate costantemente, e sotto quest’osservazione non è permessa nessuna libertà fisica. Diversamente dalla protagonista di Una donna o da Enrico IV che non vivono in manicomi, ma come Alda Merini, la Lella ha perso la sua privacy. Socialmente, la Lella è alienata perché la sua pazzia la rende incapace di relazionarsi con gli esseri umani nello stesso modo in cui si relaziona con gli animali. La Lella capisce gli animali ma non capisce il modo in cui le persone si comportano perché la Lella e gli animali seguono regole diverse dalle altre persone. Questo elemento rispecchia la visione che ha il dottore della pazzia come di un ritorno al “mondo animale e dell’animalità come condizione di purezza e libertà primigenia”.41 La Lella ha seguito le leggi più naturali, ma questo ritorno a un mondo più semplice deve essere punito con l’alienazione sociale. Il resto del mondo segue le regole sociali, e la Lella non ha l’abilità di trovarsi in sintonia con le altre persone sane perché loro seguono una via diversa. È importante capire che la Lella non tenta di essere differente, lei non ha lo stesso tipo di pensieri della protagonista di Una donna o di Alda Merini. La sua pazzia ha le radici nel suo fallimento di incorporare le istruzioni delle istituzioni disciplinari. Lei è una pazza non perché si ribella contro la società, ma perché il suo punto di vista è più semplice, più infantile, e questa perspettiva non ha un posto nella società. La Lella vive nel manicomio perché nella sua vita fuori, lei “vide qualche cosa…che le ingiuriò la sua religione, l’innocenza del mondo, e tale spettacolo lacerò quel fragile velo che riusciva a mantenerla tra i normali”.42 La sua innocenza la 41 Marianna Gualazzi, "Follia e animalità ne Le libere donne di Magliano di Mario Tobino." Poetiche (2004), 94. 42 Tobino, Le libere donne, 110.
  • 47. 44 spinge fuori dalla società e dentro lo spazio della pazzia perché questo tipo di comportamento innocento non c’è nella società. Mentre la Lella è la matta fuori dall’ordinario nel manicomio, tutte le altre donne non hanno l’abilità di lavorare e perciò vivono nelle celle del manicomio. Mentre il manicomio ospita malati di mente di entrambi i sessi, analizzo solo le pazienti femminili, le quali nel manicomio spesso non hanno una diagnosi medica, nonostante che l’autore stesso sia un medico. Le donne sono incarcerate perché non riescono a vivere secondo le regole di comportamento tradizionale per le donne, in particolare il comportamento sessuale. La questione del controllo della sessualità da parte del potere sociale è, a mio parere, più interessante delle esperienze dei pochi pazienti maschi. Ci sono due tipi di pazze nel manicomio: le donne semplicemente pazze e quelle pericolose. Le donne pazze spesso sono mandate in manicomio dalle loro famiglie – i genitori per le donne zitelle o giovani, o il marito per le donne sposate. Loro si trovano lì perché il loro comportamento è in qualche modo sbagliato. L’altro tipo di pazze sono pericolose, le donne più animalesche che non possono stare con le altre pazienti. Queste donne si comportano come animali, e sono trattate come animali – non hanno abiti né mobili ma vivono e dormono nelle alghe, totalmente nude. Come bestie nelle tane le malate infreddolite dentro le celle; poiché sono laceratrici e non finirebbero di stracciare e rompere non è possibile dar loro il letto o un materasso e neppure un lenzuolo o coperta, e così stanno, ‘all’alga’, quell’erba marina che ondeggia i baffi presso certe scogliere.43 Non c’è una ragione medica per privare le donne pazze dei mobili e dei vestiti, ma le donne che vivono nelle alghe sono trattate come loro non vogliano questi aspetti umani. Questo trattamento bestiale rispecchia il giudizio sociale che le pazze pericolose ricevono dal resto della società. 43 Tobino, Le libere donne, 8.
  • 48. 45 Come gli altri personaggi, le pazze di Magliano sono isolate fisicamente, in due modi. Il primo è nella loro localizzazione – Magliano, il villaggio vicino al manicomio, è rurale ed il manicomio è in luogo particolarmente solitario, isolato “su un colle, un piccolo colle, nella vasta pianura lucchese”44 . Il secondo modo in cui le donne sono isolate è nella loro incarcerazione all’interno del manicomio. Loro sono trattate come prigioniere invece di pazienti: Le celle sono il luogo più doloroso. Piccole stanze dalle pareti nude, con una porta molto robusta nella quale è infisso un vetro spesso per guardare dentro; nella parete di fronte la finestra per la luce. Nelle celle di sicurezza, dove si mettono i malati eccezionalmente pericolosi, la finestra è aperta così in alto che non vi possono arrivare neppure saltando, e, a ogni buon conto, il davanzale scorre inclinato, sì che non è possibile alcun appiglio.45 Quest’isolamento non cura la pazzia, ma crea una situazione in cui la pazze, in particolare le pazze pericolose, sono tratte come se non avessero diritti umani. Alle pazze pericolose mancano gli abiti e i mobili delle celle per le altre pazze e hanno solo alghe. Queste donne senza abiti, i quali differenziano una persona da un animale, sono trattate e descritte come bestie. Il trattamento fisico è lo specchio del giudizio sociale – il modo in cui le istituzioni disciplinari affermano che le donne pazze appartengono alla stessa categoria degli animali. In molti dei libri che trattano della pazzia nelle donne ritorna l’idea che queste donne non scelgono di andare in manicomio, ma ci sono mandate. È possibile che le donne soffrano di una malattia diagnosticabile, ma la maggioranza delle donne soffre di una malattia generica, una pazzia non specificata. La verità è che la società fuori dal manicomio non ha un posto per queste 44 Tobino, Le libere donne, 3. 45 Tobino, Le libere donne, 32.
  • 49. 46 donne e usa il manicomio come una scomunica sociale. Con questo rifiuto della società, le donne all’interno del manicomio formano una nuova comunità in cui hanno l’opportunità di assumere i ruoli che sono a loro proibiti fuori dalle mura dell’ospedale. La Lella assume il ruolo di una madre a una matta giovane, e altre donne creano legami di amicizia e di amore. La scomunica sociale non è la fine per queste donne perché loro creano una nuova comunità nello spazio della follia. Le donne sono anticonformiste non perché loro sono intellettuali o perché vogliono cambiare la struttura della società, ma perché trasgrediscono le regole della sessualità e del comportamento per le donne nell’Italia nel ventesimo secolo. Diversamente da Sibilla Aleramo, o di Alda Merini, di cui parlerò più avanti, le pazze di Magliano non sono istruite, ma donne semplici – e la loro ribellione è diretta soprattutto contro la tradizione. Le donne vivono in una cultura che richiede sottomissione passiva alle Forme tradizionali, ma queste donne, per vari motivi, non si sottomettono. La punizione per questa ribellione è l’isolamento nel manicomio affinché cambino la loro mentalità, ma in questa situazione le donne pazze trovano un tipo di libertà. “L’alienato nella cella è libero, sbandiera, non tralasciando alcun grano, la sua pazzia, la cella suo regno dove dichiara sé stesso, che è il compito dalla persona umana”.46 Nello spazio della pazzia le donne non sono controllate delle stesse regole che controllano le donne fuori il manicomio. Come la madre della protagonista di Una donna, o le donne nella letteratura femminile in Madwoman in the Attic, queste donne scelgono non solo una fuga nella pazzia ma anche di essere parte di una comunità all’interno del manicomio. Le suore e gli infermieri rappresentano l’opposto delle pazze; loro provengono dalla stessa cultura, ma queste persone sono normali. Loro sono i prodotti degli istituti disciplinari – 46 Tobino, Le libere donne, 34.
  • 50. 47 loro credono nelle regole e nelle Forme e sottomettono le pazienti a queste regole. Il personale non è toccato dalle forze fisiche o sociali perché loro, a differenza del dottore, fanno parte dello spazio della società. La differenza sta nella loro passività: le suore e gli infermieri credono nelle tradizioni e nelle regole sociali e il loro compito è applicare queste regole allo spazio della pazzia. La loro fede contrasta con i dubbi del dottore e la ribellione delle pazze. Per questi personaggi non c’è una scelta di reinvenzione fuori dallo spazio della pazzia perché loro vivono in un ciclo più antico del significato della pazzia nella metà del ventesimo secolo. Il custode e il manicomio appaiono solo nell’Illuminismo, ma il ciclo agricolo che domina la società è più vecchio. Questo ciclo, rappresentato dal tempo e dalla vita del dottore, non permette alle donne di fuggire dalla pazzia dopo esserci entrate. Comunque il manicomio offre l’opportunità di avere una vita diversa dalla vita fuori dallo spazio della pazzia. Lo spazio della pazzia, per queste donne, è un luogo in cui loro fuggono dalle loro vite e uno spazio in cui ricreano una società nuova, una società basata su Forme differenti, le Forme che le donne pazze hanno scelto e hanno creato. Foto 4: Il manicomio di Magliano
  • 51. 48 L’altra verità L’altra verità è un’opera autobiografica della poetessa Alda Merini che tratta dei suoi dieci anni in un ospedale psichiatrico, Paolo Pini, a Milano. Il testo inizia con il suo arrivo nel manicomio nel 1965, quando lei è già una giovane moglie e madre e una poetessa molto conosciuta. Alda entra il manicomio dopo una lotta con il marito che finisce con una chiamata alle autorità. Non è chiaro che Alda ha una vera malattia mentale, ma il suo tempo nel manicomio sforza la sua ragione e la sua fede nella società. In questo spazio della pazzia Alda è solo una pazza tra le altre. Il libro non è sequenziale, ma rappresenta il senso della confusione che sia la pazzia sia l’ambiente dell’ospedale creano. Alda descrive molti aspetti diversi che costituiscono i dieci anni nell’ospedale psichiatrico; lo spazio fisico, gli altri pazienti all’interno, la terapia, i suoi sintomi, e le sue due gravidanze. Tutti questi elementi sostengono l’idea che il tempo nel manicomio è tempo perso, precisamente tempo perso allo spazio della pazzia, dove Alda vive, ama e fa esperienza di numerose perdite. In questo spazio della pazzia le tre forze – fisica, sociale e mentale – hanno la funzione di spingere le pazze all’interno dello spazio della pazzia e ne ostacolano l’uscita. Alda Merini crede che il manicomio, dove lei vive per dieci anni, sia “una terra maledetta da Dio” e per lei, e molte delle altre donne, il manicomio è veramente un inferno terreno; i sensi della vista, dell’odore, dell’udito si combinano a creare uno spazio di orrore. Il manicomio sembra una prigione con un odore terribile, “era saturo di fortissimi odori. Molta gente orinava e defecava per terra”47 . C’è silenzio di giorno e di notte, si sentono le gride delle folle “come se si 47 Alda Merini, L'altra verità: diario di una diversa (Milano: Rizzoli, 2006), 15.
  • 52. 49 fosse in un connubio di streghe”48 . Questo manicomio non è un luogo di guarigione ma una prigione per le persone pazze. I pazienti sono trattati come bestie, sono obbligati a usare un lavello comune dove le infermiere li lavano e tutti indossano un “camicione dell’ospedale di lino grezzo eguale per tutti, che aveva dei cordonicini ai lati e che lasciava filtrare aria da tutte le parti”49 . La forza fisica funziona a privare le donne pazze dell'indipendenza, e senza l'indipendenza le persone non possono avere un’identità al di fuori della loro pazzia. La forza fisica riduce le persone pazze a uno stato più primitivo dove si perde l’opportunità di distinguere una persona dall’altra, e l’identità comune, l’unica identità che esiste nel manicomio, è la pazzia. Alda e le altre donne pazze perdono più della loro etichetta di sanità di mente quando entrano nel manicomio; perdono l’abilità di scegliere e, ancora più importante, l’abilità di compiere qualsiasi azione o prendere una decisione da sole. Le regole e la struttura del manicomio fanno le scelte per Alda e le altre donne come il manicomio di Magliano fa le scelte per quelle donne. Alda perde la scelta del suo orario – quando mangia, quando dorme, quando va fuori – tutti gli aspetti della sua vita sono determinati dai medici. Alda non ha voce in nessuna decisione sul suo trattamento, l’uso dei farmaci e gli elettroshock. Le infermiere trattano i pazienti come bambini che non possono scegliere i vestiti o lavarsi. Questo trattamento rispecchia il modo in cui la pazzia era vista – le pazze come animali e i medici come curatori e badanti. In Civilization and Madness, Foucault mostra che questa prospettiva sulla pazzia e sulle cure all’inizia nel diciannovesimo secolo. Questa prospettiva non cambia perché “the asylum, always orientated to anachronistic structures and symbols, would be, par excellence, inadapted and out of time50 ”. Il manicomio del diciannovesimo secolo diventa una Forma della società; il 48 Merini, L’altra verità, 20. 49 Merini, L’altra verità, 37. 50 Foucault, Madness and Civilization, 255.
  • 53. 50 manicomio di Magliano descritto da Tobino funziona come il manicomio di Milano descritto da Merini. Alla fine, Alda perde l’abilità di visitare le persone che lei vuole vedere – il marito e le figlie. Lei è separata dal suo passato e costretta a essere con le persone pazze in uno spazio che anche aumenta la sua pazzia. Quest’abilità di fare una scelta definisce l'indipendenza e senza l'indipendenza Alda perde la sua identità. Alda non è una poetessa, non è una madre o una moglie, lei non è una donna in questo spazio fisico – lei è solo una pazza. Le donne pazze sono tutte uguali – indossano gli stessi camicioni dell’ospedale, si lavano nello stesso lavello. In questo spazio, dove la pazzia è l’unico aspetto, le donne sono obbligate ad abbracciare la loro pazzia in modo da creare un’identità. Per loro è meglio essere una donna schizofrenica o una donna con la depressione che essere totalmente invisibili. Per loro non è possibile essere nient’altro che una donna pazza e la forza fisica spinge le donne all’interno allo spazio della pazzia e più lontano dallo spazio della società. La forza sociale funziona in due modi diversi: il primo serve a rimuovere i ruoli che l’individuo aveva prima della pazzia; il secondo serve a mettere l’individuo pazzo in una categoria di valore minore, simile all’animalità delle donne nel manicomio di Magliano. Agli occhi della società le pazze non sono allo stesso livello delle altre persone, loro sono inferiori – come bambini o animali. Quest’opinione ha radici nella nascita del manicomio, nell’osservazione e nel giudizio della pazzia. La pazzia non è l’opposto della ragione, ma rappresenta “a minority status, an aspect of itself that does not have the right to autonomy, and can live only grafted onto the world of reason. Madness is childhood” 51 . 51 Foucault, Madness and Civilization, 252.
  • 54. 51 Fuori dal manicomio una donna è definita dal suo ruolo nella società, soprattutta dal suo ruolo di madre. Questa importanza data alla maternità non è cambiata dall’inizio del ventesimo secolo quando la protagonista di Una donna anche è definita dalla sua maternità. Appena una persona è dichiarata pazza, il suo ruolo cambia perché una persona pazza è prima di tutto pazza e non è possibile fuggire questo nuovo ruolo neanche se lei è curata. Lo stigma del manicomio esiste anche dopo che una persona ha lasciato questo spazio della pazzia. Quando Alda ha un periodo di recesso durante la sua terza gravidanza, lei sa che il ritorno della sanità mentale esiste solo mentre lei occupa il ruolo di madre. Dopo la nascita della figlia, Alda perde la sua fragile sanità mentale e ritorna al manicomio. Nel manicomio, Alda soffre molto della perdita del suo ruolo di madre – la distanza dalle sue figlie, la sua inabilità di essere una madre per loro e questo la spinge a pensare ad una paziente, chiamata La C., come una figlia, una sostituta per le vere figlie a casa. Per Alda non è possibile ritornare dalle sue figlie perché ha perso la sua occasione di essere mamma quando lei è entrata nel manicomio per la prima volta – “al momento dell’internamento, l’ammalato sente sopra di sé il peso della condanna, condanna che non può non riversare sulla società tutta ed anche sui congiunti”52 . La seconda funzione dello spazio sociale è di mettere le pazze in una categoria di valore minore, dove le pazze sono considerate non umane. Qualcuno pensa che le pazze siano come bambini, non dannosi, ma che non possano controllare le loro azioni, mentre altri pensano che le pazze siano come bestie, dannosi alla struttura della società. La pazzia è un modo in cui la società nasconde le persone, in particolare le donne non accettabili per la società. Alda incontra questi due tipi di persone nel periodo trascorso nel manicomio, sia fuori sia all’interno dell’ospedale. Un prete che Alda incontra nel giardino del manicomio anche paragona le pazze ai 52 Merini, L’altra verità, 56.