2. La nascita delle prime forme di giornalismo politico può essere temporalmente collocata a cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, allorquando, in coerenza con i principi oramai diffusi della Rivoluzione francese, la libertà di pensiero e di opinione cominciarono ad affermarsi come diritti inalienabili dell’uomo. A lasciar profeticamente intravedere che i rapporti tra informazione e politica non fossero comunque destinati ad un idillio più o meno duraturo, vale quanto accadde nella Repubblica Cisalpina, allorquando nel 1797 il Direttorio impose la consegna prevntiva di un certo numero di copie di un qualsiasi periodico in uscita, contravvenendo a quanto stabilito dallo stesso Statuto e sancendo di fatto la “morte in culla” della libertà di stampa. Episodio, questo appena descritto, di come, almeno in quella fase, i rapporti di forza di fatto fossero chiaramente sbilanciati dalla parte della politica.
3. In ogni caso, gli anni del triennio rivoluzionario 1796-1799 furono caratterizzati da una certa vivacità culturale e movimenti di opinione tali da dare alla stampa, se non altro, una parvenza di democrazia, sebbene non vada dimenticata una generalizzata tendenza da parte delle autorità francesi alla protezione politica e finanziaria nei confronti della stampa medesima. La situazione cambiò drasticamente con la cacciata delle forze francesi. Restaurazione e non autosufficienza finanziaria rappresentarono terreno fertile per la censura preventiva e per una generale assuefazione al potere politico. La presenza di regimi assolutistici non impedì, tuttavia, il nascere di quotidiani clandestini che furono i paladini della lotta partigiana e della guerra al potere temporale della Chiesa.
4. Bisogna comunque attendere il 1848 con la promulgazione dello Statuto Albertino, per intravedere spiragli nella, fino a quel momento, compromessa libertà di stampa e di pensiero. Negli anni che vanno dal 1848 fino all’Unità d’Italia (1861), stretti furono i rapporti tra giornalismo e politica. Si può assumere che la stampa fu sostanzialmente funzionale alla politica che cercava di utilizzarla come arma di propaganda al servizio di una parte politica piuttosto che dell’altra (emblematico è il caso de La Gazzetta di Venezia che divenne organo ufficiale della Repubblica di San Marco nella sua breve vita negli anni 1848-1849). Gli anni immediatamente successivi alla proclamazione dell’Unità d’Italia furono quelli in cui germogliò il seme del giornalismo moderno. Esempio lampante di ciò fu Il Secolo fondato a Milano nel 1866, di orientamento democratico, ma che si caratterizzò anche per una sostanziale affrancatura dalla politica stessa, dando ampio risalto a notizie di cronaca ed aprendo in modo sistematico ed organizzato alla pubblicità, gestita autonomamente a garanzia di efficienza ed autosufficienza finanziaria. Tuttavia forte resta il connubio tra giornalismo e politica, prova ne è il fatto che poco dopo (1876), sempre a Milano nasce Il Corriere della Sera, che si pone come obiettivo proprio quello di contrapporsi a Il Secolo, su posizioni politicamente moderate se non propriamente conservatrici, anch’esso però con una chiara intenzione, almeno in linea di principio, di affrancarsi dalla politica governativa (estratto dall'editoriale del nº 1 del Il Corriere della Sera Al Pubblico : … Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo… ).
5. Gli inizi del Novecento, con i governi liberali di Giolitti, furono caratterizzati da significative trasformazioni della figura del giornalista che acquista una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e dei propri diritti. Non a caso, infatti, è in questi anni (1908) che nasce la Federazione Nazionale della Stampa. Tuttavia, sebbene non si possa parlare di asservimento della stampa alla politica, la tendenza all’indipendenza del giornalista trovò non raramente ostacoli alla sua realizzazione, in virtù degli interessi politici ed economici dei gruppi proprietari dei maggiori quotidiani dell’epoca (ai sopra citati Il Secolo e Il corriera della Sera, si aggiunge la Tribuna, fondato a Roma nel 1893). Contestualmente agli inizi della prima guerra mondiale nacque il cosiddetto giornalismo nazionalista. I giornali si fanno di volta in volta portavoce delle istanze neutraliste piuttosto che interventiste. Mussolini fu tra i più abili giornalisti interventisti, all’Avanti prima ed al Popolo d’Italia poi, da lui fondato nel 1914.
6. La Grande Guerra, tra le altre ben più drammatiche, comportò importanti conseguenze nella stampa e nel giornalismo. Cambiarono gran parte delle proprietà dei giornali (sopravvissero solo i gruppi finanziariamente più solidi). Ritornò la censura preventiva con pesanti influenze sull’opinione pubblica nel periodo di crisi politica e del culto della forza. Gli anni successivi alla Grande Guerra possono essere sintetizzati come la “grande notte” del giornalismo libero. Durante tutto il ventennio fascista (1922-1943), l’attività della censura si svolse senza soluzione di continuità, fu sistematicamente violenta e tesa a scoraggiare sul nascere qualsivoglia contenuto ideologico alieno al fascismo. Poco o nulla poterono, in tale contesto, giornali di opposizione al fascismo (fra tutti Il Popolo, organo di stampa del partito popolare di Don Sturzo e l’Unità, giornale del partito comunista). Durante la seconda guerra mondiale prima della caduta di Mussolini, totale fu il controllo e l’influenza del regime nei confronti dei giornalisti che si trovarono ad essere, in buona sostanza, nulla più che messaggeri degli ordini del regime. Ovviamente, con il governo Badoglio, le cose almeno in apparenza, cominciarono a cambiare: pur persistendo l’attività della censura, si intravedeva qualche spiraglio verso una maggiore libertà di stampa. Da sottolineare infine, durante tali anni, l’attività della stampa clandestina e partigiana.