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EDITORIALE
NASCE ANUBI MAGAZINE
E’ con immmenso piacere e orgoglio che annunciamo l’uscita di Anubi Magazine in versione
digitale. Dopo la messa on line della versione web eccoci con la versione scaricabile. Questa ri-
vista si differenzia per i contenuti accurati e approfonditi sulle tematiche riguardanti la Cultura,
la Storia e il Turismo dell’Egitto. Ci saranno interviste con le maggiori personalità Egiziane e
Italiane. La versione di lancio avrà come numero di uscita lo “0” e sarà liberamente scaricabile
sulle maggiori piattaforme on line. Uscirà bimestralmente e dal numero “1” sarà scaricabile in
versione Epub 3 leggibile sui tutti i reader e pc sul mercato. La nostra scelta editoriale parte dalla
considerazione che la civiltà Egizia è la base della cultura Occidentale, che spesso viene dimenti-
cata a vantaggio di culture più distanti da noi come origine. Da qui la volontà di ricercare le nostre
radici, per potare alla luce questo grande patrimonio culturale e sociale del passato.
DIGITALSOUL
Leonardo Paolo Lovari - Paola Agnolucci
2
SOMMARIO
ANUBI MAGAZINE
Settembre - Ottobre - N° 0 Anno 2018
Editore
DIGITALSOUL
Via Garibaldi 3
52022 Cavriglia
Arezzo
Tel: 055-0166201
Direttore Editoriale
Paola Agnolucci
Grafica
Leonardo Paolo Lovari
Hanno collaborato
a questo numero:
Pietro Testa
Andrea Di Lenardo
Nicola Bizzi
Paola Agnolucci
Leonardo Paolo Lovari
© Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o
parziale, in ogni genere e linguaggio è espressamente
vietata. Tutti i marchi citati nella rivista sono di pro-
prietà dei rispettivi aventi diritto.
CONTENUTI
Pag:04-10--LACOSMOGONIANELL’AN-
TICO EGITTO
Pag: 12 - 15 -- AMARNA PROJECT
Pag: 16 - 23 -- L’EGITTO E LA BIBBIA
Pag: 25 - 26 -- ILVIAGGIO DELLASACRA
FAMIGLIA IN EGITTO
Pag: 27 - 36 -- IPAZIA DI ALESSANDRIA,
MARTIRE DELLA TRADIZIONE E DEL
LIBERO PENSIERO
Pag: 37 - 38 -- NEWS
3
LA COSMOGONIA NELL’ANTICO EGITTO		
Introduzione
Gli antichi Egiziani s’interessarono fortemente alla problematica dell’origine del mondo e cercarono di spiegare l’esistenza del loro universo con
delle immagini riguardanti l’apparizione o la creazione degli elementi più importanti del creato e dei principi che lo reggevano.
L’immagine: la camera funeraria della piramide del re Unas (V dinastia) con i testi (ricostruzione dell’autore).
I Testi delle Piramidi,1
incisi dalla fine della V dinastia (ca. 2460 a. C.) sulle pareti delle camere funerarie delle piramidi dei re e delle regine, co-
stituiscono la più antica testimonianza della cosmogonia. Come sappiamo, queste composizioni sono un corpus di formule di vario genere: testi
relativi il rituale funerario o a quello quotidiano dei templi; testi destinati a garantire al defunto la sua rinascita e il suo status divino nell’aldilà,
formule magiche contro i pericoli dell’altro mondo.
L’immagine: un sarcofago del Medio Regno
Dalla fine dell’Antico Regno questo insieme di testi ebbe una seconda redazione, adattata e arricchita con elementi nuovi: quest’ampio corpus
di testi fu scritto sulle facce interne delle bare di membri dell’élite delle differenti città (tra il 2200 e il 1750 a.C. ca.). Anche se qualche passo
si trova sulle pareti dei sepolcri, su statue o oggetti funerari, queste composizioni sono conosciute con il nome di Testi dei Sarcofagi,2
costituiti
1 L’immagine: la camera funeraria della piramide del re Unas (V dinastia) con i testi (ricostruzione dell’autore).Sethe K., Die altaegyptischen Pyramidentexte, 2 voll., Leipzig,
1908; Faulkner R.O., The ancient Pyramid Texts, Oxford, 1969; Allen J. P., The ancient Egyptian Pyramid Texts, Atlanta, 2005. Nelle seguenti pagine abbreviato PT.	
2 L’immagine: un sarcofago del Medio Regno (DM, II, Bl.145). De Buck A., The Egyptian Coffin Texts, 8 voll., Chicago, 1935-1961; Faulkner R. O., The ancient Egyptian Coffin
Texts, 3 voll., Warminster, 1973. Nelle seguenti pagine abbreviato CT.	
4
da 1185 capitoli o formule. Queste composizioni cercano di facilitare in molti modi l’integrazione del defunto nell’universo dell’altro mondo.
Attraverso l’efficacia della parola scritta, permettono di restituire e mantenere l’integrità fisica del trapassato, ne assicurano la sussistenza, ne
garantiscono la libertà di movimenti, lo proteggono dai vari pericoli e forniscono delle guide geografiche dell’aldilà, preparando la sua integra-
zione nel mondo divino. Un gruppo di formule importanti per l’argomento in questione è costituito dai testi di trasformazione che permettono
al defunto di identificarsi in un dio per assorbirne lo status e i poteri. Il morto, dopo aver effettuato una trasformazione, afferma la sua nuova
identità e dichiara che è il tale dio. Questi scritti, chiamati aretalogie, contengono generalmente delle descrizioni dettagliate della natura del dio
al quale il defunto si è assimilato, descrizioni che costituiscono importanti informazioni sulla religione egiziana. Tali ‘autoritratti’ di divinità,
posti in bocca al defunto trasfigurato, portano a sostituire il nome del dio con quello del defunto. Per comprendere le concezioni espresse in
queste formule, bisogna dare astrazione da queste caratteristiche di utilizzo funerario. Un esempio è dato dalla formula 261, in cui il soggetto
s’identifica con il dio della magia Heka: 3	
Titolo
Trasformazione in Heka.
“Oh voi nobili che siete in presenza del Signore del Tutto, guardatemi!
Io sono venuto verso voi.
Temetemi per ciò che voi sapete:
Io sono colui che il signore unico ha creato prima che due cose uscissero esistenti in questo mondo,
quando egli inviò il suo occhio,
quando era solo,
quando qualcosa uscì dalla sua bocca,
quando i suoi milioni di ka divennero la protezione dei suoi sudditi,
quando parò con colui che è venuto all’esistenza da lui e che è più potente di lui,
quando afferrò Hu che è sulla sua bocca.
Certamente io sono questo figlio di colui che ha generato tutto,
io sono il protettore di ciò che l’unico signore ordina!
Sono io che faccio vivere l’Enneade,
colui che crea quando lo desidera,
il padre degli dei, elevato di stendardo, colui che abbellisce un dio secondo quanto ordina colui che generò tutto, questo nobile
dio che mangia e ce parla con la sua bocca.
Fate silenzio per me, inchinatevi davanti a me, poiché io sono venuto calzato, o toro del cielo!
I tori del cielo s’inginocchiano davanti a me in questa mia grande dignità di signore dei ka e erede di Atum.
Io sono venuto a prendere possesso del mio trono e prendere la mia dignità.
A me appartiene tutto prima che voi, dei, foste venuti all’esistenza, e verso voi scende colui che è venuto all’estremità!
Io sono Heka!”
Questi testi dovevano permettere al defunto reale o privato di riuscire a entrare nell’aldilà e di conquistarvi un posto sicuro e confortevole. Le
concezioni cosmogoniche non costituiscono mai il tema centrale di queste formule, per la semplice ragione che non c’era bisogno di spiegarle.
Cionondimeno i testi sono molto ricchi d’informazioni sull’origine del mondo poiché questa problematica offre delle numerose analogie con le
concezioni funerarie. Si tratta di un passaggio da un modo d’esistenza a un altro che suscita l’avvicinamento tra il processo creatore e la rinascita
nell’altra vita. Le due forme d’evoluzione necessitano di una grande quantità d’energia innovatrice e creatrice, e l’elemento generatore del Nun,
come vedremo, vi ha un ruolo principale. Del resto la descrizione dell’origine del mondo utilizza spesso un’immagine molto simile a quella del
percorso solare, che è ugualmente importante per il destino funerario. Le concezioni cosmogoniche sono così integrate in questi testi per l’ana-
logia delle idee e come fonte di comparazione con i meravigliosi processi dell’energia primordiale.
La preesistenza e il Nun
L’immagine da: Budge E. A. W., Facsimiles of the papyrus of Hunefer, Anhai, Kerasher and Netschemet, London, 1899, Pl.8.
3 Per la magia nell’antico Egitto: Testa P., Heka. La magia nell’antico Egitto, Harmakis Editrice, 2017.	
5
Gli antichi Egiziani non concepivano il loro universo come uscito dal nulla, ma immaginavano un mondo preesistente all’origine della creazio-
ne, chiamato Nun: si tratta di un’entità molto complessa, ora un elemento, ora un luogo, ora una divinità che personifica questi due aspetti. Tra
l’altro il Nun non è solamente il mondo della preesistenza, ma sussiste all’interno dell’universo creato, è integrante del mondo egiziano e ha
importanza nella rigenerazione del sole notturno e del defunto. Il Nun non è solamente un mondo acqueo. Il suo nome nww/nwnw/
nnw, potrebbe derivare da una radice significante ‘acqua’ che avrebbe dato il valore n al geroglifico . L’usuale pronuncia Nun riflette una
forma secondaria di epoca tarda, probabilmente fondata sull’associazione dell’acqua primordiale e dello stato d’inerzia nnwt, forma ripresa dal
greco e dal copto. Molte formule menzionano ‘le acque del Nun’. Il carattere acqueo di questo elemento è evidenziato da altre distese acquee,
specialmente con il fiotto Hehu. Ad esempio:“Oh Nun che è nello Hehu, e viceversa! “ 4
Come il Nun, il fiotto Hehu può essere per-
sonificato in con l’aggiunta del determinativo della divinità. Nun e Hehu continueranno a coesistere e formare una sola entità nel
Nuovo Regno e le loro personificazioni saranno dei membri dell’Ogdoade. Un altro elemento liquido parallelo al Nun, nei Testi delle Piramidi,
è il fiotto Agheb ( ), anch’esso personificato. Le acque del Nilo (Hapy) possono essere assimilate a quelle del Nun. Ad esempio, il
defunto asserisce,
“Certamente io sono questo spirito (akh) uscito da Hapy e uscito dal Nun!”5
I rapporti tra queste differenti stati acquei non sono percettibili, ma s’integrano nella concezione di un oceano primordiale la cui personificazione
può essere attiva. Il Nun è anche un luogo con una sua topografia, origine del mondo ed è quindi carico di energia creatrice capace di provocare
la rigenerazione del sole e dei defunti. Nei Testi delle Piramidi, Nun è luogo d’origine di Atum e di rinascita del re defunto. Ad esempio:
“Possa tu levarti sui seggi di Nun, possa tu venire all’esistenza con tuo padre Atum, possa tu elevarti con tuo padre Atum!”6
Gli esseri che sono nel Nun (il creatore nel mondo della preesistenza e i defunti nel luogo di rigenerazione) si trovano in uno stato d’inerzia e di
torpore (nenut), qualificati come fanciulli (nuu), che attendono, inerti e incoscienti, di uscire dal Nun e venire all’esistenza. Altro fattore impor-
tante è che il luogo della preesistenza è caratterizzato dall’oscurità, tenebra ( ) keku. Ad esempio:
“Il giorno in cui Atum è venuto all’esistenza nel fiotto Hehu, nel Nun, nelle tenebre (keku) e nel tumulto (tenemu)”.7
L’insieme di questi quattro fattori: Hehu, Nun, keku e tenemu, costituisce l’universo primordiale. Notare il termine tenemu, ‘tumulto’ et sim.:
esso indica chiaramente che questo mondo non possiede alcuna struttura né alcun punto di riferimento. I testi paralleli indicano chiaramente che
questi quattro fattori (entità) designano il luogo e lo stato di preesistenza in cui essi furono creati: il loro ruolo è prevalentemente cosmologico.
Nelle concezioni funerarie, essi aiutano il defunto a salire al cielo e la loro immagine dipinta sulla mano può servire come supporto magico della
recitazione della preghiera:
Parole dette sugli 8 Hehu dipinti con orpimento con ocra gialla sulla mano del nobile da sciacquare (?) ogni giorno all’alba.8
I passaggi dei Testi dei Sarcofagi possono essere considerati come la prima attestazione dell’Ogdoade. Bisogna notare, però, che le quattro entità
non hanno controparti femminili, tranne Nun-Nunet. Le acque primordiali del Nun spesso sono personificate e Nun appare come un’entità attiva
nel processo creatore. Sovente Nun e Atum sono associati e le loro azioni all’inizio della creazione sono complementari. I Testi dei Sarcofagi
sviluppano una nozione secondo la quale Nun fu all’origine dell’autogenesi di Atum attraverso un discorso che permise a questo di prendere
coscienza e di realizzarsi. Nun provocò la creazione del mondo essendo la fonte d’energia e il fattore determinante l’inizio della creazione. Le
acque del Nun fornirono il mezzo di gestazione del dio creatore Atum in cui egli era immerso in inerzia fino al momento in cui Nun lo stimola e
lo incita a prendere coscienza e inventare la vita. In definitiva, il mondo della preesistenza sussiste sotto una forma e un nome identici nel mondo
creato. Con il cielo e la terra, Nun rappresenta una terza grande regione dell’universo.	
Miti della creazione
Abbiamo visto come Nun fu la ragione da cui scaturì la vita. Ciò vale per il sole che riaffiora ogni giorno dagli abissi, e per il Nilo formato dalle
acque del sottosuolo. Ma la frase ‘colui che sorse dal Nun’è usata per molti altri dei e per il concilio delle divinità come gruppo. Non è necessario
cercare un mito dietro questa idea: la profondità delle acque primordiali è un concetto che non ha bisogno di una storia teologica.
Dobbiamo però dare maggior attenzione a uno dei racconti sulla vita che emerge dalle acque e che pone il luogo della creazione su una collina
primigenia. Quando la piena del Nilo raggiungeva il suo livello massimo, vaste distese d’acqua coprivano il suolo d’Egitto e, nella lenta decre-
scita, il fiume lasciava emergere qua e là delle collinette di fango pieno di limo fertilizzante, prime promesse di un nuovo anno agricolo e dello
schiudersi di nuova vita. Questo fenomeno diede inizio il mito sull’origine della vita sul colle primordiale: il dio creatore fece la sua prima appa-
rizione su questa collinetta solitaria. Almeno due teologie diverse pretesero il primato grazie al possesso di un colle primigenio e, nell’andar del
tempo, ogni tempio che potesse offrire un monticello al suo dio, si considerava il luogo della creazione. Anche le piramidi riflettono questa idea
4 CT II, 107 118f.	
5 CT VI, 703 334p	
6 PT, 207 b-c (Unas).	
7 CT II, 76 4c-d.	
8 CT II, 881 4c-d.	
6
di un colle elevato come promessa di rinascita per il defunto re inumato nel suo interno: se il sovrano, figlio divino ed erede del dio, in vita era
stato il garante del suo popolo, anche dopo morto poteva continuare nel suo compito in una ‘collina’ di pietra pregna di geometria cristallizzata,
parte dell’universo.
Il punto importante è il concetto di una collina della creazione: fosse situata a Heliopolis o Hermou polis, non era un problema per l’antico Egi-
ziano. Il capitolo XVII del Libro dei Morti accenna la prima solitaria apparizione del dio creatore Atum:
” Io sono Atum quale esistente solitario nell’Oceano Primordiale. Io sono Ra nella sua apparizione iniziando il suo governo che
egli ha creato”9
“Cosa significa dunque ciò?”
“È Ra nella sua apparizione iniziando il suo governo che egli ha creato. È Ra in Herakleou polis quale esistente, quando avvenne
l’elevazione di Shu mentre era sulla collina che è in Hermou polis.
Egli ha annientato i Figli della Debolezza sulla collina che è in Hermou polis”10
Il testo prosegue sottolineando l’autogenesi del dio e la sua creazione degli dei che ne formarono il seguito. Il geroglifico che rappresenta il
colle primordiale è , un colle con i raggi solari e significa anche ‘apparire in gloria’: prima apparizione del dio creatore. Il testo del Libro
dei Morti situa la creazione su una collinetta della città di Heliopolis, patria di certi dei esistiti prima della creazione. L’anomalia di un’esistenza
anteriore alla creazione non deve preoccupare, poiché i nomi di queste entità rappresentano l’informe caos che esisteva prima che il Creatore
traesse l’ordine dal disordine. Il termine ‘caos’ è di comodo, poiché codesti dei anteriori alla creazione erano divisi in quattro coppie, un dio e
una dea per ogni caratteristica del caos (amore egiziano per la simmetria). Le quattro coppie rimasero nella mitologia come ‘gli Otto’ed erano:
Nun e Nunet (acque primordiali); Huh e Huhet (il fiotto); Kek e Keket (l’oscurità); Amon e Amonet (intangibilità nascosta del caos). La somi-
glianza con ciò che narra la Genesi è interessante ma non seducente, poiché le due narrazioni divergono non appena si giunge ai singoli episodi
della creazione, in cui l’Egitto da risalto all’emersione autonoma del dio creatore, mentre quello della Bibbia esisteva accanto al caos. Seguire
il progressivo emergere di un colle primordiale in altri centri di culto e le conseguenze sulle credenze e sull’iconografia sarebbe lungo e noioso.
Piuttosto è bene affrontare un fenomeno mitologico più sviluppato importante nella narrazione della creazione. Nei tempi arcaici il sole Ra aveva
una sua famiglia di divinità, tra l’altro supremo consiglio degli dei. Questo gruppo, con centro di culto a Heliopolis, è l’Enneade (gruppo di nove)
costituita da coppie imparentate con un comune antenato. Questa Enneade si può opporre all’Ogdoade, poiché questa era composta di elementi
del disordine cosmico; l’Enneade, invece, comprendeva i successivi gradini dell’ordine cosmico: aria e umidità; terra e cielo; le creature della
terra. Da ciò deriva che la creazione segna la linea di demarcazione tra la precedente confusione e l’ordine presente. Il Creatore non distrusse gli
elementi del caos, anzi appare ovvio che gli dei anteriori alla creazione, Come Nun (le acque infere) e Kek (l’oscurità), continuarono a esistere
e poste al posto giusto.
Atum. L’immagine: da Champollion J. F., Panthéon Égyptien,
collection des personnages mythologiques de l’ancienne Egypte d’après les monuments, Paris,1823.
Il dio Atum, appollaiato sul colle primordiale, era auto creato o, per dirla all’egizia ‘entrò in essere da se stesso’. Il suo nome itmw, Atum, deriva
dal verbo tem,‘completare’; ‘non esistere’, due concetti contrapposti. Il significato del nome del dio potrebbe essere ‘l’indifferenziato’; l’’ine-
sistente’; ‘colui che completa’, il che è meno paradossale di quanto sembri, poiché questi termini sono positivi e negativi. Atum è l’onnicom-
9 Il defunto si assimila alla divinità e assume di volta in volta i ruoli del dio primordiale, dio creatore delle sue opere. Atum si identifica nell’Oceano Primordiale	
10 Shu è la forza del sole che ha trionfato sul caos con la sua vittoria sulle forze ostili, chiamate ‘figli della debolezza’. Inoltre Hermou polis (xmnw, la città degli 8) è il luogo
in cui risiedono gli 8 dei elementari della creazione che riassume la personalità di Thoth.Traduzione dall’originale in Lepsius R., Todtenbuch der Ägypter nach dem Papyrus in
Turin, Leipzig, 1842.	
7
prensività e il vuoto, all’inizio piuttosto che alla fine. Il Libro dei Morti afferma che il Demiurgo creò i suoi nomi, in quanto capo dell’Enneade.
Egli cioè assegnò un nome alle varie parti del suo corpo e in tal modo nacquero gli dei che formarono il suo seguito. Questo è una caratteristica
prettamente primitiva e ha una sua coerenza: le parti del corpo hanno un’esistenza separata e distinta, sicché possono essere in rapporto con
divinità diverse. Il nome appartiene all’individualità e alla potenza, e l’atto di pronunciare un nuovo nome è un atto creativo. Così ci si presenta
l’immagine di un creatore acquattato sulla sua collinetta intento a inventare nomi per le otto parti del suo corpo, mentre ogni parola fa nascere
un dio. I Testi delle Piramidi offrono un quadro diverso:
“Tu sputasti ciò che è Shu e espettorasti ciò che è Tefnut.
Ponesti il tuo braccio intorno a loro con un ka, poiché il tuo ka era in loro”.11
Qui la creazione è espressa come un’espulsione dei due primi dei: forse fu uno starnuto, poiché Shu è il dio dell’aria e Tefnut la dea dell’umidità.
Il concetto del ka ha qualcosa dell’alter ego e dello spirito custode delle braccia protettrici: ecco perché Atum pone il braccio come protezione
intorno ai suoi due figli, perché in loro era il suo ka come sua parte essenziale.
Nei Testi delle Piramidi una dichiarazione afferma:
Parole da dirsi:
“Atum è colui che venne all’esistenza e che si masturbò in Heliopolis.
Egli prese il suo pene nel suo pugno affinché potesse creare orgasmo per mezzo di esso, e così nacquesro i due gemelli Shu in-
sieme a Tefnut”.12
Si tratta di un tentativo di superare il problema della generazione per opera di un dio solo senza la presenza di una dea. La coppia Shu e Tefnut,
aria e umidità, procreò il cielo e la terra, rispettivamente la dea Nut e il dio Gheb. A loro volta essi si accoppiarono generando due coppie, Osiride
e Iside, Seth e Nephtis, che rappresentano le creature del mondo terreno, siano esse umane, divine o cosmiche.
Atum
Shu Tefnut
Geb Nut
Osiride-Iside Seth-Nepthis
Shu-Tefnut-Gheb-Nut-Osiride-Iside-Seth-Nepthis
Questa famiglia di dei ci offre una storia della creazione. Atum, il vuoto ipersaturato, si scisse nell’aria e nell’umidità come se in una nebulosa
questi elementi si fossero condensati in cielo e terra. Dalla terra e dal cielo vennero gli esseri che popolano l’universo.
Lasciando altre storie sulla creazione, è interessante notare che manca una narrazione della creazione dell’umanità. Ad esempio, del dio Khnum,
con ipostasi l’ariete, si diceva che avesse plasmato l’umanità sulla sua ruota di vasaio insufflandole poi l’alito di vita. Ma non è necessaria una
storia della creazione dell’uomo, poiché non esisteva una linea di demarcazione tra uomini e dei. Una volta che la creazione era iniziata ed erano
nati degli esseri, poteva proseguire, fossero questi essere dei, semidei, spiriti o uomini.
Uno dei testi che commenta incidentalmente la creazione dell’umanità, afferma che essa fu creata secondo l’immagine del dio:
130-
… che provvede abbondantemente la lastra d’offerta con iscrizione. È la guida del tuo nome.
Il dio capisce chi agisce per lui, prendendosi cura
131-
degli uomini, il bestiame del dio. Egli ha creato il cielo e la terra per il loro cuore,
ha scacciato il Vorace dell’Acqua, egli ha creato il respiro del cuore affinché vivano
132-
11 PT, 152-1653.	
12 PT, 1240.	
8
i loro nasi: sono la sua immagine uscita dal suo corpo. Egli sorge nel cielo per i loro cuori, egli ha creato
133-
per loro gli ortaggi, il bestiame, i volatili e i pesci che li nutrono. Egli trucida i suoi nemici e annienta i suoi figli 13
134-
poiché pensarono di creare ribellione …14
Il testo è interessante e non usuale nel far coincidere i fini della creazione con gli interessi degli uomini. Il passo dimostra forti intendimenti
morali, come la distruzione da parte del dio dell’umanità che si era ribellata.
Un documento importante è la cosiddetta Teologia Menfita, un testo strano e differente da ciò che fin’ora è stato tratteggiato: un esame più at-
tento, però, garantisce che la differenza è solo di grado e non di natura, poiché gli strani elementi che vi si trovano si riscontrano in punti isolati
di altri testi. Nella Teologia Menfita essi sono riuniti in un ampio sistema filosofico sulla natura dell’universo. Il documento in questione è la
cosiddetta Pietra di Shabaka.15
Pietra di Shabaka
Il faraone afferma di essersi limitato a ricopiare un’iscrizione degli antenati, e l’asserzione è confermata dal linguaggio e dalle condizioni del
testo. Si tratta quindi di un documento risalente agli albori della storia egiziana, quando le prime dinastie stabilirono la capitale a Menfi, città del
dio Ptah. Menfi, come centro di stato teocratico, era giovane non avendo mai avuto importanza nazionale. Per di più dista solo circa 25 km. da
Heliopolis, la capitale religiosa tradizionale, centro cultuale del sole Ra e di Atum-Ra. Il testo della pietra parte da una dimostrazione teologica
del primato del dio Ptah e della sua patria, Menfi.
Mentre gli scritti sulla creazione erano redatti in termini fisici, questo nuovo documento si avvicina, per quanto consentito
dalla mentalità dell’epoca, alla concezione di una creazione in termini filosofici: un pensiero si insinua nel cuore del dio dan-
dogli voce imperiosa che lo trasforma in realtà. Questa creazione, frutto di un pensiero espresso dalla parola, richiama alla
concreta esperienza dell’autorità del capo capace di creare attraverso il comando. L’unico legame tra la Pietra di Shabaka e
i testi precedenti è l’uso di termini fisici, quali il ‘cuore’ (che si può tradurre anche ‘pensiero’) e la ‘lingua’ (che in effetti è il
motore della parola). 16
Prima di tratteggiare il difficile testo, si devono precisare i fattori conoscibili che svolgono un ruolo
importante del documento. Per prima cosa esso prende le mosse dai racconti della creazione già esposti: Atum che nasce dal
Nun e che crea l’Enneade. Il testo menfita mostra di conoscere che queste concezioni erano prevalenti in Egitto e, invece di
scartarle come concorrenti, le assorbe entro una filosofia più alta, traendone vantaggio e dimostrando che appartengono a una
filosofia più alta e sottile. Il pensiero e il linguaggio erano attributi del potere, personificati in entità divine: Hu, ‘pronuncia
autorevole’ (linguaggio efficace al punto di creare) e Sia, ‘percezione’ (conoscenza recettiva di una situazione di fatto, di un
oggetto o di un’idea). Questi due attributi implicavano l’autorità suprema. Nei Testi delle Piramidi il dio consegna la sua
funzione al defunto monarca perché
egli si è impadronito di Hu e controlla Sia.17
Nel nostro testo menfita, questi due attributi del potere sono resi con termini materiali: il cuore è l’organo del pensiero, e la lingua che crea la
13 Dei nemici.	
14 Volten A., Zwei altägyptische politische Schriften, CØbenhavn, 1945.	
15 British Museum E498 (XXV dinastia). L’immagine: Breasted J. H., The Philosophy of a Memphite Priest, ZÄS 39,1901, pag.39-54- Pl.I;II; Sethe K., Das “Denkmal mem-
phitischer Theologie” der Schabakostein des Britischen Museums, Unters, z. Gesch . u. A1tertumskunde Ägyptens, Bd, X, 1, Leipzig, 1928; Lichtheim M., Ancient Egyptian
Literature, I, 1973, pag.51-57.	
16 L’immagine: il dio Ptah.	
17 PT, 300.	
9
realtà sulla base del pensiero. È al dio Ptah che è attribuita quest’attività: lui è il pensiero e il linguaggio di ogni cuore e di ogni lingua, primo
principio creatore. La parte del testo che c’interessa inizia con l’identificare Ptah con il Nun, il che rende Ptah anteriore a Atum, priorità chiara-
mente definita dal meccanismo mediante il quale il dio di Menfi produsse Atum:
“Ptah il Grande è il cuore e la lingua dell’Enneade degli dei …
Nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum”.
Ecco l’invenzione e la produzione di Atum: dal nulla nacque l’idea di un Atum, di un dio creatore; quell’idea ‘sorse nel cuore’del mondo divino,
e quel cuore (mente) era lo stesso Ptah. Poi l’idea ‘sorse sulla lingua’del mondo divino, e quella lingua (parola = Verbo) era Ptah stesso. L’antico
Egiziano usa un linguaggio pittorico e fisico che si esprime per ellisse:
“(ciò) ha preso forma nel cuore e ha preso forma nella lingua come immagine di Atum”.
e la concezione e il parto sono racchiusi in questi termini. Il potere creativo di Ptah non si arresta alla produzione del dio creatore tradizionale:
”Grandissimo è Ptah che ha dato vita a tutti gli dei e ai loro ka, dunque, con questo cuore e con questa lingua!”
Ma non basta:
“Avvenne che il cuore e la lingua avessero potere in tutte le membra attraverso l’insegnamento che egli (Ptah) è in ogni ventre e in ogni bocca
di tutti gli dei, di tutte le persone, di tutto il bestiame e di tutto ciò che striscia e che vive pensando e comandando ogni cosa che egli desidera”.
Quindi non abbiamo un singolo miracolo del pensiero concepito, e i principi della creazione che valsero a trarre Atum dalle acque primordiali
sono sempre validi e operanti. Ptah continua a operare ovunque vi sia pensiero e comando.
“L’Enneade di Atum fu nel suo sperma e nelle sue dita.
L’Enneade (di Ptah) fu nei suoi denti e (sulle) labbra di questa bocca che rivelarono il nome di ogni cosa, e nacquero Shu e Tefnut da lui!”
Come si vede, il testo fa una distinzione fra la creazione tradizionale in cui Atum fece nascere Shu e Tefnut e quello in cui Ptah fa nascere, par-
lando, l’aria e l’umidità. I denti e le labbra di Ptah sono gli organi che articolano il linguaggio produttivo. Il testo prosegue particolareggiando i
prodotti dell’attività del cuore che concepisce e della lingua che crea. Spiega anche la relazione meccanicistica dei vari sensi con il cuore e con la
lingua, affermando che le funzioni della vista, dell’udito e dell’olfatto devono essere riferite al cuore. Sulla base di ciò, è il cuore che libera tutti i
concetti e poi la lingua li annuncia. Il documento poi sunteggia le capacità creative di Ptah come cuore e lingua: nascita degli dei, dell’ordine di-
vino, i destini che forniscono cibi e provviste per l’umanità, la differenza tra giustizia e falsità, le arti, i mestieri, le città, i distretti e gli dei locali. 	
Riflessione
La creazione non fu una produzione di pezzi assortiti alla rinfusa distribuiti in una ruota della fortuna, ma fu accompagnata e diretta da una
parola che esprimeva un genere di ordine divino che permetteva di comprendere gli elementi creati.L’antico Egitto ebbe coscienza di se e del
proprio universo, concependo un cosmo in base all’attenta osservazione e conseguente esperienza: simile alla valle del Nilo, questo cosmo era
limitato nello spazio, ma dotato di un ritmo rassicurante. La sua struttura e il suo meccanismo permettevano un continuo rinnovamento della vita
grazie alle inesauribili energie vitali. I racconti della creazione degli antichi Egiziani erano fondati sulla particolare esperienza dei loro autori e
il progresso più interessante che essi compirono fu il tentativo assai precoce di porre la creazione in rapporto con il pensiero e con il linguaggio,
invece di attribuirla a un’entità meramente fisica. Ciò, e non solo questo, rivela le zone profonde del pensiero dei saggi dell’antico Egitto, cioè
coloro che espressero la loro sensibilità di fronte alla meraviglia misteriosa del Creato.
Pietro Testa
Dell’autore
Viaggio nell’aldilà dell’antico Egitto, Harmakis Edizioni, 2016.
Heka. La magia nell’antico Egitto, Harmakis Edizioni, 2017.
Dei e semidei dell’antico Egitto, Harmakis Edizioni, 2017.
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11
L’antica città egizia di Tell el-Amarna (o semplicemente Amarna) fu la capitale di breve durata costruita dal faraone “eretico” Akhenaton e ab-
bandonata poco dopo la sua morte (1332 a.C. circa). Fu qui che ha perseguito la sua visione di una società dedicata al culto di un dio, il potere
del sole (Aton). Oltre a questo interesse storico, Amarna rimane il più grande sito esistente facilmente accessibile dell’antico Egitto. È quindi
allo stesso tempo la chiave per un capitolo della storia dell’esperienza religiosa e per una comprensione più completa di come sarebbe stato un
egiziano antico. Non c’è nessun altro sito simile.	
Scopi della missione
Lavorando con l’accordo e la cooperazione del governo egiziano, e in particolare del Supremo Consiglio delle Antichità, il Progetto Amarna
cerca di:
•	 Esplorare archeologicamente l’antica città di Amarna e il suo contesto storico
•	 Conservare ciò che resta della città antica
•	 Promuovere lo studio e la registrazione della storia, l’archeologia, la vita tradizionale e l’artigianato della regione circostante
•	 Aumentare la conoscenza del pubblico, a tutti i livelli, della città di Amarna e del territorio circostante.	
Posizione
Amarna (Tell el-Amarna) si trova sulla riva orientale del Nilo, nella provincia di El-Minia. La città di El-Minia è a 58 km (36 miglia) a nord, il
Cairo a 312 km (194 miglia) a nord, Asyut a 75 km a sud, Luxor a 402 km (250 miglia) a il sud (distanze stradali approssimative).
Mappa dell’Egitto
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Amarna
Amarna occupa una grande insenatura di deserto quasi piatto, circondato per gran parte del suo perimetro da scogliere che si innalzano di circa
100 metri in un altopiano desertico. Dal promontorio settentrionale al promontorio meridionale, entrambi vicini al Nilo, si trova una distanza
di 10 km. La misura più ampia, tra il fiume e le scogliere, è di quasi 5 km. L’altopiano e le falesie sono tagliati da valli secche e letti di torrenti
(wadi) che conducono più indietro nel deserto.Asud-est le scogliere si ritirano per lasciare un’ampia valle piatta larga circa 3 km che inizia sopra
un bordo della terrazza basso e molto irregolare che continua la linea delle falesie.
Le singole parti della città occupano tre zone:
1.	 La linea delle scogliere è contrassegnata da due serie di monumenti rupestri del periodo di Amarna. Uno è una serie di tavolette e statue
intagliate (le Stele di confine) con le quali Akhenaten delimita i limiti di Akhetaton. L’altro comprende due gruppi di tombe rupestri (le
tombe nord e le tombe sud) che appartenevano ai cortigiani e agli alti funzionari di Akhenaton. Sono decorate con scene intagliate e dipinte
nello stile distintivo del regno di Akhenaton. Un terzo gruppo di tombe scavate nella roccia si trova molto più indietro, lungo uno degli uadi.
Queste erano destinati alla famiglia reale e includono la tomba reale. La superficie superiore dell’altopiano del deserto era anche utilizzata
per l’estrazione del calcare necessario per gli edifici reali e per le colonne e gli stipiti delle case private. Molte cave antiche sono conservate,
principalmente verso l’estremità settentrionale del sito.
2.	 Sparsi per la zona intermedia del deserto basso ci sono gli Altari del deserto, che si trovano tra la periferia a nord le tombe a nord, il villaggio
degli operai e il villaggio di pietra, che occupano posizioni sui fianchi di un altopiano che si protende nella pianura di Amarna quasi sulla
sua linea di mezzo.
3.	 L’antica città si estendeva lungo il fiume, che sembra aver seguito un percorso molto simile a quello attuale. In origine probabilmente si
estendeva direttamente alla riva del fiume, ma in epoche successive si sviluppò una striscia di terra coltivata che distrusse quasi completa-
mente il margine occidentale della città. Ciò che rimane è una striscia discontinua di edifici in rovina sul deserto che corrono per una distanza
di 6 km a sud dal promontorio settentrionale e hanno una larghezza massima vicino al centro di 1 km. La città è, per la maggior parte, coperta
di sabbia o gravemente erosa. Nessuno dei lavori in pietra dei templi o dei palazzi sopravvive, poiché questo fu rimosso dopo la fine del
periodo di Amarna. Ciò che restava sotto erano i muri di mattoni di fango essiccati al sole (adobe) dai quali erano state costruite le case e le
grandi parti dei palazzi. Queste sono state ridotte in rovina dal vento, da piogge occasionali e dal riutilizzo umano dei materiali da costruzio-
ne, e ora sono in gran parte levigate. Un programma continuo di pulizia e riparazione sta gradualmente rendendo accessibile la città. La città
si divide in una serie di zone, a cui sono stati dati nomi moderni. La città centrale ospitava i principali palazzi, i templi del sole e gli edifici
amministrativi. La parte a sud era una zona densa di case, la città principale, con un’estensione meridionale più sottilmente sviluppata, la
periferia sud. A nord della città centrale, dopo un dosso, arriva un’altra zona residenziale, la periferia nord. Più a nord giace ancora l’isolato
Palazzo Nord, e oltre questo, e adagiato su un terreno in pendenza ai piedi delle scogliere, la Città Nord. Nell’ultima parte del ventesimo
secolo un importante sviluppo agricolo ha trasformato la parte meridionale della pianura di Amarna in terreno agricolo. Nel corso di questo,
un tempio-giardino isolato dei Amarna, il Maru-Aten, è stato completamente distrutto. Un secondo edificio simile, Kom el-Nana, che era
stato in parte costruito in epoca paleocristiana da un monastero, sopravvive ancora come un’isola di deserto nei campi.	
Storia e natura
Tell el-Amarna (spesso abbreviato in Amarna) è un nome moderno che si applica a un vasto sito archeologico che è in primo luogo sono i resti
di una capitale effimera costruita e abbandonata in circa quindici anni durante la fine della diciottesima dinastia (nel Nuovo Regno), tra il 1347
e il 1332 a.C. circa.
Si trova nel deserto vicino alla sponda orientale del Nilo, nella provincia di el-Minia, all’incirca a metà strada tra il Cairo e Luxor (e quindi
anticamente tra Menfi e Tebe). Era il cuore di un sacro tratto di terra dedicato al culto del sole (Aton) che Akhenaton promosse escludendo altre
divinità. Poiché gran parte di essa si trova facilmente accessibile sotto una copertura sottile e sabbia e detriti, e grazie alle eccellenti proprietà
conservanti del suolo arido del deserto, Amarna è una fonte fondamentale di riferimento per l’architettura e il layout delle città nell’antico Egitto
e una fonte di prove per aspetti della vita in quel tempo.
I contorni della città furono mappati nel diciannovesimo secolo. Il primo scavo archeologico ebbe luogo nel 1892. Successivamente, con inter-
valli intermittenti, gli scavi procedettero fino al 1936, periodo in cui la maggior parte degli edifici reali e circa metà dell’area residenziale era
stata sgomberata. L’attuale lavoro di scavo, rilevamento e conservazione, sotto l’egida dell’Egypt Exploration Society, iniziò nel 1977.	
Quadro storico
Akhenaton apparteneva alla potente stirpe dei re, originaria di Tebe, che governò l’Egitto nella XVIII Dinastia e fu sepolta nella Valle dei Re.
Suo padre era Amenhotep (Amenofi) III, costruttore della parte posteriore del tempio di Luxor, dei Colossi di Memnone e del tempio di Soleb in
Sudan. Sua madre era la regina Tiy, figlia di una potente famiglia di provincia. Usando il grande potere e la ricchezza a sua disposizione, Akhe-
naton fece un audace allontanamento dalla tradizione dei re. Scelse la riforma religiosa. Cercò di sostituire la teologia complessa e colorata che
era cresciuta per più di duemila anni con il culto di un singolo dio del sole, Aton. La sua immagine era il disco da cui discendevano molti raggi,
ognuno dei quali terminava in una piccola mano. Come un re, Aton ha ricevuto due nomi nei cartigli. Aton era visto come il creatore universale
di tutta la vita, e questo è stato celebrato in inni di cui il più lungo si verifica nella tomba di Ay, no. 25 ad Amarna. Due brevi estratti illustreranno
lo stile e i sentimenti:
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Ti alzi con la bellezza nell’orizzonte del cielo,
O vivente Aton, creatore della vita.
Quando ti alzi all’orizzonte orientale,
Riempi ogni terra con la tua bellezza.
Sei bello, grande, luccicante, alto sopra ogni terra.
I tuoi raggi, abbracciano le terre
Ai limiti di tutto ciò che hai fatto.
Tu sei il dio del sole (Ra) e conquistali tutti;
Li sottometti per il tuo amato figlio.
Sei distante, eppure i tuoi raggi sono sulla terra.
Sei nei volti (dell’umanità), ma le tue vie non sono conosciute.
Tutte le greggi saltellano,
Tutta la creazione alata vive quando ti sei alzato per loro.
Le barche navigano a valle e a monte.
Ogni sentiero è aperto al tuo splendore.
Il pesce nel fiume balza alla tua presenza.
I tuoi raggi sono in mezzo al mare.
Questi sentimenti non erano nuovi in ​​Egitto. L’originalità di Akhenaton risiede nella sua percezione della semplicità della religione solare. Il
disco del sole divenne l’unica immagine divina nei nuovi templi di Akhenaton e nella sua stessa tomba. Le elaborate raffigurazioni di un univer-
so popolato da quasi infiniti esseri furono bandite. Al posto degli oscuri, cavernosi interni dei templi tradizionali, i templi di Aton erano cortili
aperti pieni di altari e piattaforme. Non era, tuttavia, l’intenzione di Akhenaton di diminuire il potere del faraone. Lui e la sua regina, Nefertiti,
si presentarono come gli unici adatti ad adorare Aton e nelle preghiere degli altri furono invocati come dei accanto ad Aton. Per ragioni che non
sono chiare, Akhenaton scelse di essere raffigurato in modi che esagerano alcune caratteristiche del suo viso e del suo corpo, forse sottolineando
la sua separazione dalla comune umanità. Ha anche incoraggiato i suoi artisti a rappresentare con dettagli e scene animate della vita che circonda
il re e la sua famiglia. I primi templi di Aton furono costruiti a Karnak (un muro ricostruito è ora nel Museo di Luxor). Ma nel quinto anno del
suo regno scelse Amarna come sito per un nuovo luogo di residenza reale dove i templi di Aton e i palazzi per la famiglia reale potevano essere
costruiti senza essere contestati dalle opere del passato. Chiamò il nuovo luogo Akhetaton, “L’orizzonte di Aton.”
I suoi confini erano delimitati con copie dei suoi decreti incisi su tavolette sulle rupi su entrambi i lati del fiume. Questi mostrano che Akhetaton,
includeva i campi e i villaggi sulla riva occidentale e la città a est. La città fu costruita in gran fretta e occupata da una popolazione consistente,
che si può stimare a circa 30.000 persone o forse più. Le tombe furono iniziate per i suoi cortigiani nelle adiacenti scogliere e una tomba per
Akhenaton e altri membri della sua famiglia in quella che doveva essere una nuova Valle dei Re.
Il re morì nel suo diciassettesimo anno di regno. Ciò che accadde subito dopo è oscuro, anche se coinvolge una persona enigmatica chiamata
Smenkhkara che appare come un consorte per la figlia maggiore di Akhenaton, Meritaton. Ma in breve tempo il giovane re Tutankhamon salì
al trono. Forse dopo soli due anni aveva lasciato Akhetaton per regnare da Menfi, e il culto di Akhenaton fu completamente abbandonato. Per
una città dipendente dalla corte per gran parte della sua esistenza questo è stato un colpo mortale. A parte un’area sul lungoriva, all’estremità
meridionale, la città sembra essere stata rapidamente abbandonata. Nei regni successivi i templi e i palazzi di Akhenaton furono completamente
demoliti per fornire pietre da costruzione economiche. Molte migliaia di pietre furono spedite al di là del fiume per un nuovo tempio a Hermo-
polis. Dobbiamo presumere che Akhenaton abbia subito l’ostilità dei sacerdoti delle antiche sette, in particolare i potenti sacerdoti del dio Amon
a Tebe. Ma l’ultimo re della diciottesima dinastia (Horemheb) e i re della XIX dinastia erano uomini di famiglie militari del nord. Sotto il loro
dominio prosperarono le antiche forme di religione.
Numerose scene nelle tombe di Amarna raffigurano la famiglia reale. Questa consisteva in Akhenaton, Nefertiti e sei figlie: la maggiore era
Meritaton, che divenne la consorte di Smenkhkara, l’erede ma effimero successore di Akhenaton; Meketaton, che morì giovane e fu sepolta
nella tomba reale; Ankhsenpa-aton, che alla fine sposò Tutankhamon e potrebbe persino, alla fine, aver sposato Ay che, come cortigiano, preparò
la tomba n. 25 ad Amarna e in seguito ebbe un breve regno dopo Tutankhamon; Nefernefruaten il monore (Nefernefruaten è il primo nome di
cartiglio di Nefertiti); Nefernefrura; e Setepenra. Altre persone importanti rappresentate sono la sorella di Nefertiti, Mutnedjmet, che potrebbe
essere diventata moglie di Horemheb, re dopo Ay; La regina Tiy (la madre di Akhenaton), che appare nella tomba n. 1 e fu probabilmente anche
sepolta nella tomba di Akhenaton presso Amarna; Ay, che possedeva la tomba n. 25. Tutankhamon non viene mai mostrato e la sua parentela
non è indicata chiaramente nelle fonti che abbiamo, sebbene possa essere stato figlio di Akhenaton da una moglie minore. Anche le altre mogli
di Akhenaton, incluso Kiya, non vengono mostrate.
Modello della città
Nell’autunno del 1999 è stata inaugurata una grande mostra d’arte del periodo Amarniano nel Museum of Fine Arts di Boston, nata da un’idea
della dottoressa Rita E. Freed, Norma-Jean Calderwood, curatrice dell’arte nell’antico Egitto, nubia e del Medio Oriente. Da Boston la mostra
si trasferì a Los Angeles County Museum of Art, all’Art Institute di Chicago e al Rijksmuseum van Oudheden, Leiden. Per completare la mostra
fu commissionato un modello di una parte della città di Amarna. È stato realizzato nell’estate del 1999, dallo studio di modellisti di architettura,
Tetra (Andy Ingham Associates), a Clapham, Londra (Regno Unito), su progetti di Michael Mallinson di Mallinson Architects. Barry Kemp e
14
Dr Kate Spence hanno agito come consulenti. Il punto di partenza era il set di fogli di mappa preparati dall’Indagine di Amarna della The Egypt
Exploration Society. Questi sono pubblicati nel libro di B.J. Kemp e S. Garfi, Un’indagine sull’antica città di El-’Amarna (Londra, The Egypt
Exploration Society 1993). ISBN 0 85698 122 2.
Cosa fa Amarna Project
Il Progetto Amarna è nato dall’indagine e dagli scavi di Amarna che sono stati effettuati sotto gli auspici dell’Egypt Exploration Society a partire
dal 1977.
Il Progetto è ora affiliato al McDonald Institute of Archaeological Research dell’Università di Cambridge.
Il rDirettore è Barry Kemp, CBE, FBA, Professore emerito di Egittologia presso l’Università di Cambridge e Senior Research Fellow, McDonald
Institute of Archaeological Research.
Email: bjk2@cam.ac.uk
https://orcid.org/0000-0002-8558-4417
L’assistente alla regia è la dott.ssa Anna Stevens, Senior Research Associate, McDonald Institute of Archaeological Research.
Email: aks52@cam.ac.uk
https://cambridge.academia.edu/AnnaStevens
Il progetto mantiene un ufficio nel centro del Cairo e una spedizione nel sito di Amarna stessa.
Il Progetto svolge il suo lavoro ad Amarna attraverso un permesso annuale del Ministero delle Antichità egiziano.
I nomi di coloro che fanno parte della squadra di ogni anno sono forniti in relazioni che sono pubblicate ogni anno nel Journal of Egyptian Ar-
chaeology (Egypt Exploration Society) e nei report nelle pagine del sito web nella sezione “La nostra ricerca”.
I fondi del Progetto provengono in parte da sovvenzioni e in parte da donazioni, raccolti dall’Amarna Trust (un ente di beneficenza registrato nel
Regno Unito) e dall’Amarna Research Foundation (USA). Vedi oltre:
www.amarnatrust.com
www.theamarnaresearchfoundation.org
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L’EGITTO E LA BIBBIA
Andrea Di Lenardo
Testa di Akenathon (Amenofi IV)
Mi sono occupato in particolare nel primo, Israeliti e Hyksos, dell’epoca dei Patriarchi biblici Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe, che ho messo
in relazione con gli Hyksos, capi di gruppi di lingua semitica occidentale che costituirono la XV e la XVI dinastia d’Egitto18
, mentre nel secondo,
Exodus19
, del contesto dell’Esodo di Mosè, che colloco verso la fine della XVIII dinastia, al termine del cosiddetto periodo eretico di Amarna, e dei
possibili rapporti tra atonismo e religione mosaica20
. Nel mio terzo21
e quarto22
saggio, Le guerre nascoste dalla Bibbia e Shardana e Shakalasa,
ho proseguito con la medesima metodologia occupandomi però dei secoli successivi all’Esodo e precedenti alla monarchia di Giuda e Israele. Il
riferimento alla Storia egizio anche per questi lavori resta costante, in particolare per quanto concerne i Popoli del Mare. Sul tema degli Hyksos e
dei Mittani sono tornato, proseguendo il mio lavoro di ricerca, ancora in Dall’India alla Bibbia23
.	
Per comprendere la formazione del monoteismo del popolo ebraico è necessario ripercorrere in primis la storia del popolo ebraico stesso.
Questa storia dovrebbe essere narrata nel libro dei libri, la Bibbia, o almeno così si credeva fino agli inizi del XX secolo. Dal II dopoguerra, come
reazione di ambienti intellettuali ai totalitarismi, interpretati da tali ambienti come espressione politica dell’irrazionalismo, si giunse a un iper-ra-
zionalismo che negava qualsivoglia valore di verità, non solo religiosa, di verbo rivelato, ma persino storica alla Bibbia. Questo stesso movimento
di pensiero portò a una necessaria critica del cosiddetto “comparatismo selvaggio”, tipico di antropologi come James Frazer24
o Laurence Austin
Waddell25
, che prevedeva talvolta improbabili analogie e, ancor più, derivazioni, in una prospettiva evoluzionistica per cui una cultura o una forma
religiosa dovesse derivare da un’altra più primitiva, escludendo così un ben più credibile intreccio di prestiti orizzontali. Reazione ne fu la nega-
zione di qual si voglia possibilità di comparare. Ogni cultura diveniva così un’isola nell’oceano. La Bibbia, dal canto sua, parallelamente diveniva
opera di fiction o racconto morale per i credenti.	
Le scienze umane furono sottoposte fortunatamente a una grande revisione per esempio con la teorizzazione della nuova etnologia di
Johannes Fabian, che sviluppa una critica del tempo antropologico, che porta seco un pregiudizio eurocentrico. La percezione della cultura altra
era in precedenza di una società “primitiva”, “aborigena” (ab origine), “selvaggia”, posta concettualmente prima rispetto a quella dell’analista
bianco, occidentale, cristiano in una prospettiva che ne è l’emblema dell’assolutamente altro, l’alieno, osservato diacronicamente nonostante l’ef-
fettiva sincronicità da un punto di vista del tempo oggettivo.	
Io ritengo vada allargata la presente critica della diacronia pregiudiziale anche alle culture oggettivamente diacroniche rispetto all’osser-
18 DI LENARDO 2016.
19 DE ANGELIS, DI LENARDO 2017 (2016).
20 FREUD 2013.
21 DI LENARDO 2017.
22 DI LENARDO, MELIS 2018.
23 BACCARINI, DI LENARDO 2018.
24 FRAZER 2016 (1915).
25 WADDELL 1927; WADDELL 1930.
16
vatore, travolgendo un pregiudizio altrettanto eurocentrico quale è quello del positivismo, che pecca di soggettivismo tanto quanto il letteralismo
biblico. È cioè d’uopo analizzare il mito senza prenderlo “alla lettera” da un lato, ma senza nemmeno negare in toto alla cultura studiata e alla
sua espressione orale o scritta il diritto alla formulazione veritiera, in potenza, come invece si tende a fare negli ultimi decenni, diritto che viene
calpestato in virtù del mero pregiudizio di superiorità soggettiva dettata dalla diacronia oggettiva.	
Plaudo comunque al superamento negli ultimi anni dell’impossibilità comparativa che ha regnato per troppi anni, sempre restando giusta-
mente fermo il rigetto per il c.d. “comparatismo selvaggio”, ma aprendo alla possibilità di comparare culture ed elementi temporalmente e geogra-
ficamente prossimi, o comunque entrati in contatto.
	
Un tanto era necessaria premessa metodologica prima di esporre ora un sunto della mia teoria sul popolo del monoteismo, i figli di Israele.	
Pare che il gruppo tribale diAbramo, a causa di una carestia, si sia spinto fino all’Egitto, dove si erano via, via insediati sempre più elementi
semitici occidentali. È in questa cospicua ondata migratoria – non una vera e propria invasione, a differenza di quanto dice, dal suo punto di vista
egittocentrico, lo storiografo ellenistico e sacerdote sebennita Manetone26
– che deve collocarsi l’entrata in Egitto di Abramo e dei suoi discendenti
alcuni anni più tardi, come Giuseppe, poi i suoi fratelli e suo padre Giacobbe.	
In un apocrifo dell’Antico Testamento, Qeturah, moglie di Abramo, è indicata come figlia del Re del Deserto. Una tradizione dei Midrašim
riferisce che Qeturah era figlia di un faraone. Giungiamo così agli Hyksos, grecizzazione dell’egiziano heqa ḫaswt, “capi delle terre desertiche
straniere”, i quali erano faraoni (XV e XVI dinastia). Abramo era un principe, secondo il modo in cui lo appellano i principi ittiti a Ebron e regnò
secondo il testo sacro etiope, così come suo figlio Isacco e Giacobbe figlio di Isacco. Sembrerebbe quindi che questo principe semita fosse un
Piccolo Hyksos, cioè un faraone vassallo, che abbia sposato la figlia di un Grande Hyksos, presumibilmente il primo, Šalek, Salatis27
o Silites28
.
Abramo potrebbe coincidere con il faraone Hyksos Maaybra Šeši. Isacco è un nome che originariamente si presentava come Yišaq-El. Dopo Ma-
aybra Šeši si trova Sakal-Hel, che potrebbe corrispondere a Isacco(-El), tanto più che il figlio e successore di Isacco era Giacobbe, anche questo in
origine un teoforo (cioè un nome contenente quello di un dio), Yakov-El. E dopo Sakal-Hel venne proprio Merwserra Yakob-Hel. La coincidenza
è davvero significativa.	
Giacobbe-Israele, eponimo degli Israeliti, ebbe dodici figli e una figlia, secondo la Bibbia. Il fatto che anche Ismaele, figlio di Abramo e
di Hagar, abbia avuto dodici figli, eponimi delle dodici tribù degli Ismaeliti, rende poco credibile questa affermazione. Comunque il primogenito
26 MANETONE; FLAVIO GIUSEPPE a; EUSEBIO; SOFRONIO EUSEBIO GEROLAMO.
27 FLAVIO GIUSEPPE a; EUSEBIO.
28 GIORGIO SINCELLO.
17
di Giacobbe, a causa del proprio peccato, perse la primogenitura, che andò a Giuseppe, vizir del faraone. Secondo una fonte, Giuseppe fu vizir
del faraone Hyksos chiamato nelle epitomi di Manetone29
Aphophis o Aphobis. Questo sovrano è attestato come l’heqa ḫaswt Apopi. Secondo un
apocrifo dell’Antico Testamento, intitolato Giuseppe e Aseneth, alla morte di questo faraone, lo stesso Giuseppe, già vizir, divenne faraone. Alla
morte di Giuseppe, salì al trono – evidentemente del solo Basso Egitto, l’Egitto settentrionale, dato che al tempo degli Hyksos il Paese del Nilo
era diviso in due Stati indipendenti – il figlio del faraone precedente a Giuseppe e per il quale il Patriarca biblico era stato primo ministro, vizir
appunto.	
Effettivamente la guerra per l’espulsione degli Hyksos dall’Egitto da parte dei principi tebani iniziò sotto la XVII dinastia con la lotta di
Seqenenra Tao contro Apopi. A Seqenenra Tao successe il fratello o figlio Kamose, che continuò la guerra, e a questi Ahmose, figlio di Seqenenra
Tao. Dal Canone reale di Torino, un elenco di età ramesside dei re d’Egitto, si apprende che i Grandi Hyksos della XV dinastia furono sei. Purtrop-
po soltanto il nome dell’ultimo di questi è ancora leggibile, e ci appare come Ḫamwdy. Ahmose concluse dunque la guerra, da vincitore, contro
Ḫamwdy. Pertanto Apopi deve essere stato il suo predecessore e figlio. L’apocrifo dell’Antico Testamento menzionato afferma chiaramente che
Giuseppe fu posto sul trono perché il figlio del precedente faraone era troppo giovane. È plausibile quindi che Giuseppe, faraone della XVI dinastia
dei Piccoli Hyksos, che fungevano da vassalli per i Grandi, non sia menzionato nel Canone reale. Apopi sarebbe dunque il sovrano sotto il quale
Giuseppe avrebbe servito da vizir, mentre Ḫamwdy il giovane successore di Giuseppe, nonché figlio di Apopi.	
La tradizione ebraica infatti ricorda una precedente uscita di Israeliti dall’Egitto, precedente all’Esodo di Mosè, durante la quale la tribù di
Ephraim, figlio di Giuseppe, uscì dalla terra del Delta del Nilo e si insediò in Canaan. Questo episodio cronologicamente e geograficamente com-
bacia perfettamente con l’espulsione degli Hyksos dall’Egitto sotto Ahmose, che conquistò la loro capitale, Avaris, oggi Tell el-Dab’a, nel nord del
Paese.	
Gli Hyksos si rifugiarono così a Šaruhen, vicino all’odiena Gaza, dove furono cinti d’assedio dagli Egizi per tre anni, alla fine dei quali
l’esercito del faraone deportò alcuni di loro come schiavi. Un tanto lo conosciamo grazie alle autobiografie tombali di due ufficiali dell’esercito
faraonico di nome – entrambi – Ahmose, lo stesso nomen del sovrano stesso. Secondo Manetone, gli Hyksos superstiti andarono a fondare Geru-
salemme, futura capitale del regno di Giuda.	
Da un testo egizio che parla della genesi del conflitto tra Seqenenra Tao, faraone della XVII dinastia tebana, e Apopi, apprendiamo che gli
Hyksos adoravano sopra tutti un solo dio. Erano cioè enoteisti, una “via intermedia” tra politeismo e monolatria. Il loro dio principale era la divini-
tà più importante dei Cananei e dei Fenici, Baal, corrispondente al mesopotamico Bel, che significa “signore”. In Egitto essi identificarono questo
con Seth, in accadico Swtekh. Altre deità adorate dagli Hyksos erano Ra, Amon-Ra, Astarte, Anath, El/Hel, Reshef e Teshup/Teshub. A queste se
Giuseppe fosse stato un Piccolo Hyksos e poi un Grande Hyksos come io ritengo, si aggiungerebbe Iah, dato che il suo nome “Yohseph” potrebbe
racchiudere i nomi di due dèi egizi: “Ioh” o “Iah”, dio della Luna, e “Seph”, variante di Seth attestata anche in Manetone. Ciò farebbe del dio degli
Israeliti il dio della Luna, chiamato ora con la parola egiziana per Luna, “Iah”. Infatti, come si è detto in precedenza, Abramo visse proprio nelle
uniche due città mesopotamiche dedite al culto, sopra tutti gli altri, della Luna, Nanna a Ur e l’equivalente accadico Sin a Ḫarran.	
Disgregata l’entità territoriale-amministrativa Hyksos, gli Israeliti si costituirono in una varietà di tribù di pastori semi-nomadi dediti alla
transumanza, di mercenari e di bande forse dedite a razziare. Sono attestati infatti in questo periodo e fino all’epoca di Amarna, che esamineremo
a breve, gruppi di mercenari e briganti chiamati Hapirw o Habirw, nella terra di Canaan. La radice è la stessa di Ebrei o Abarim, dall’eponimo
Hever, antenato di Abramo, tramite suo padre Terah.	
Nel frattempo l’Egitto giungeva, con la XVIII dinastia inaugurata da Ahmose, all’apogeo del suo splendore e della sua gloria, con i sovrani
Thutmosidi che si spinsero addirittura a conquistare la Mesopotamia. Si ha qui la massima espansione territoriale dell’impero egizio. Ad Ahmose
successe il figlio Amenhotep I, a cui successero, nell’ordine Thutmose I, Thutmose II, Hatshepsut, Thutmose III, Amenhotep II, Thutmose IV e
Nebmaatra Amenhotep III. Questi sposò Tiy, la Gran Sposa Reale, figlia di Yuya e di Tuta. Dalla coppia nacquero vari figli, tra cui Satamon, la
primogenita, Thutmose, il principe ereditario, e Amenhotep IV. Thutmose morì prima del padre e quindi non giunse mai al trono. Gli successe
invece il fratello minore Amenhotep IV, che, al quarto anno di regno (vi furono alcuni anni di coreggenza, in numero tuttora dibattuto), mutò il
proprio nome in Akhenaton e fondò, nel quinto anno, una nuova capitale, Akhetaton, “l’orizzonte di Aton”, nel deserto, nel sito moderno di Tell
el-Amarna, o, semplicemente, Amarna.	
Akhenaton abbandonò il culto degli altri dèi all’infuori di Aton, l’Unico Dio, cancellò molti riferimenti al nome di Amon, il più impor-
tante dio del pantheon egizio, la cui città dedicata era proprio la capitale Waset, chiamata Tebe dai Greci. Sposò una principessa mittanica, una
babilonese, Kiya, la Gran Sposa Reale Neferneferwaton Nefertjjtj (Nefertiti) e una sua sorella, figlia di Amenhotep III e di Tiy. Da Nefertiti ebbe
sei figlie, Merytaton, Maketaton, Ankhesenpaaton, Neferneferwaton tasherit, Neferneferwra e Setepenra. Da Kiya ebbe Kiya tasherit. Da una sua
sorella ebbe Tutankhaton. Sposò inoltre la primogenita e la terzogenita, le uniche sue figlie che non morirono in giovane età, Merytaton e Ankhe-
senpaaton, le quali gli generarono rispettivamente Merytaton tasherit e Ankhesenpaaton tasherit. Merytaton andò in seguito in sposa al successore
di Akhenaton, Smenkhkara.
	L’Inno ad Aton, scritto sulle pareti della tomba inutilizzata del vizir Ay ad Akhetaton, appare, per le moltissime similitudini, la versione da
cui il Salmista attinse per scrivere il centoquattresimo Salmo biblico. L’egittologo Arthur Edward Pearse Brome Weigall30
, il padre della psicana-
29 MANETONE.
30 WEIGALL 2000 (1923).
18
lisi Sigismund (detto Sigmund) Schlomo Freud31
, l’egittologo prof. Jan Assmann32
dell’Università di Costanza e molti altri hanno sottolineato le
numerose analogie tra la religione di Mosè e quella di Akhenaton, adoratore di Adonay l’uno, di Aton l’altro.	
Akhenaton regnò per diciassette anni, concentrò la sua attività sulla politica interna, sulla religione, l’edilizia e la riforma dello stile artisti-
co, ora impregnato di un forte realismo combinato con i significati simbolici della nuova religione che si volevano veicolare. Per quanto concerne
la politica estera, essa prestò il fianco alle incursioni di semi-nomadi Šasu e Hapirw nei domini siro-palestinesi formalmente sottoposti all’Egitto.
Represse invece una rivolta in Nubia, anch’essa territorio conquistato dai faraoni dal tempo di Ahmose, nel dodicesimo anno di regno, incaricando
dell’operazione di polizia il viceré di Nubia, Thutmose.	
La sua rivoluzione religiosa durò tredici anni, dal quarto al diciassettesimo. Non sono ancora note le cause della morte. Il suo corpo fu
sepolto ad Akhetaton e poi tradotto a Tebe, nella Valle dei Re, esattamente nella tomba KV55, ove KV sta per Valley of the Kings. Potrebbe essere
morto per l’epidemia di peste e di influenza suina che mieterono molte vittime ad Amarna e presumibilmente anche nella famiglia reale, consi-
derando le numerose morti negli ultimi anni di regno di Akhenaton, che comprendono Tiy, la regina madre, Kiya, Maketaton, Neferneferwaton
tasherit, Neferneferwra e Setepenra, e forse anche la bella Nefertiti, ancora viva nel sedicesimo anno di regno del marito, ma forse deceduta nel
diciassettesimo e ultimo. Pare, secondo gli egittologi Nicholas Reeves e Zahi Hawass, che Nefertiti stessa abbia regnato con il marito come faraone
correggente33
. Tale ipotesi mi trova concorde.	
Mosè, secondo Manetone, fu un sacerdote egizio del culto del Sole in Egitto per un periodo di tredici anni sotto il regno di un faraone di
nome Amenofi, prima di abbandonare con i suoi correligionari, di cui molti lebbrosi, la terra natia per recarsi nella terra di Canaan. Secondo le
Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe, Mosè fu incaricato dal faraone di reprimere una rivolta in Nubia e ottenne il governo della stessa. Qualche
anno dopo questo fatto morì il faraone che lo aveva incaricato dell’operazione di polizia contro i Nubiani e salì al trono il suo successore. Mosè
si scontrò con il nuovo faraone e vi furono, secondo le tradizioni ebraiche, mesi di trattative, dopo i quali Mosè e i suoi correligionari uscirono
dall’Egitto verso Canaan. Secondo la tradizione islamica, il faraone morì inseguendoli, quindi deve aver regnato per qualcosa come un anno e
mezzo, due.	
La rivoluzione atoniana durò proprio tredici anni sotto Akhenaton e comportò il culto del dio del Sole Aton, il disco solare. Akhenaton,
come già detto, fece sedare un insurrezione nubiana, nell’odierno Sudan, a un uomo di nome Thutmose, il cui diminutivo era Mose, nome egiziano
e non ebraico. Mose è attestato in vari testi egiziani. Questo fatto si ebbe nel dodicesimo anno di Akhenaton. Dopo cinque anni egli morì, e gli
successe Smenkhkara, che nel nome non ha riferimenti ad Aton, il che potrebbe suggerire un primo tentativo di tornare verso posizioni meno radi-
cali o addirittura più vicine al culto di Amon-Ra di Tebe. Quello di Smenkhkara fu un periodo di transizione durato un anno e mezzo, due, dopo il
quale evidentemente Smenkhkara morì, e gli successe Tutankhaton, figlio di Akhenaton e di una sorella del padre (anch’ella figlia di Amenhotep
III e di Tiy), che ripristinò il culto di Amon, come attestato dalla Stele della restaurazione, e cambiò il suo nome da Tutankhaton a Tutankhamon.
Parimenti la sua Gran Sposa Reale Ankhesenpaaton, figlia di Akhenaton e di Nefertiti, cambiò nome in Akhesenamon. Prima di sposare il suo
fratellastro pare avesse sposato il padre. Tutankhamon e Ankhesenamon non ebbero eredi.
Busto di Nefertiti - Neues Museum Berlino	
Morto Tutankhamon a diciannove anni per una frattura al ginocchio, complicata dalle pare ereditarie causate dai numerosi incesti della
XVIII dinastia, successe al faraone bambino, sepolto nella KV62, il vizir Ay, che pare abbia preliminarmente sposato la vedova Akhesenamon.
Ay era forse nonno e probabilmente prozio di Ankhesenamon, perché molti egittologi lo ritengono figlio di Yuya e di Tuya, fratello di Tiy e padre
31 FREUD 2013.
32 ASSMANN 2000.
33 QUILICI, HAWASS 2017.
19
di Nefertiti. Già anziano, morì dopo appena quattro anni di regno. Gli successe il generale Horemheb, capo dell’esercito sotto Tutankhamon. Ho-
remheb sposò Mutnodjemet, presumibilmente figlia di Ay avuta da una moglie precedente la sua probabile Gran Sposa Reale, nipote e pro-nipote
Ankhesenamon. La durata del suo regno è ancora dibattuta. Con lui si estingue la XVIII dinastia, che, dal punto di vista dei vincoli di sangue, si era
già estinta con Tutankhamon. A succedergli il designato generale del Delta nilotico Pramesse, poi Ramesse I, fondatore della XIX dinastia, senza
alcun legame con la casa reale. Già anziano, morì dopo un solo anno di regno, lasciando il trono a Sethi I. Con lui si ebbe finalmente una situa-
zione di stabilità, e il suo figlio e successore, il celebre e glorioso Ramesse II regnò per più di sessant’anni di regno. Con i successivi Merenptah e
Ramesse III fu l’ultimo grande faraone dell’antico Egitto.	
Tornando a Mosè, si è detto che, secondo quanto riferito da Manetone, egli visse come sacerdote del Sole in Egitto per un periodo di tredici
anni. Il riferimento ai tredici anni di supremazia del culto del disco solare Aton sotto Akhenaton sono evidenti. Il faraone che regnò durante que-
sto periodo si chiamava Amenofi, secondo Manetone. Amenofi, Amenophis in greco, è l’ellenizzazione del nome Amenhotep, portato da quattro
sovrani della XVIII dinastia. Per comprendere di quale si tratta è necessario incrociare i dati forniti da Flavio Giuseppe, secondo cui tale faraone
combatté contro i Nubiani, e quelli forniti da Manetone, secondo cui gli Hyksos , espulsi due secoli prima, attaccarono i domini nord-orientali
dell’Egitto. Dei quattro Amenhotep, il I, figlio di Ahmose, il II, figlio di Thutmose III, il III, figlio di Thutmose IV, e il IV, che cambiò nome in
Akhenaton, figlio di Amenhotep III, soltanto uno si scontrò sia contro i Nubiani che contro gli Asiatici, e questi fu proprio Amenhotep IV/Akhe-
naton. Nelle lettere di Amarna infatti si sono trovate epistole dei vassalli di Akhenaton che chiedevano aiuto al sovrano contro le incursioni degli
Apirw/Habiru.	
Mosè pertanto deve essere vissuto sotto Akhenaton. E deve essere identificato con il Thutmose che, al pari del Mosè di Flavio Giuseppe,
represse una rivolta in Nubia e governò questa zona. Dopo qualche anno, il tempo di generare due figli, Geršom ed Eliezer, Mosè seppe che il
faraone, quindi Akhenaton, era morto. Si scontrò con il suo successore, Smenkhkara, il quale morì inseguendo i correligionari egizi di Mosè e gli
Asiatici/Hyksos/Israeliti che si erano uniti a lui, forse come mercenari, morendo secondo la tradizione islamica in quello che la Bibbia chiama Yam
Suph, che va tradotto letteralmente come “mare di giunchi”, una zona paludosa, e non come Mar Rosso. Il fatto che si fosse in una zona di stagni
è suggerita anche dal fatto che, sempre secondo la tradizione islamica, il re dell’Egitto morì con della terra in bocca, fatto probabile in una zona
paludosa, ma non in mare aperto.	
Altri elementi che fanno propendere per questa ipotesi sono la frequenza di nomi egizi nelle tribù a capo degli Israeliti, vale a dire quella di
Levi e quella di Giuda. Mi riferisco a nomi come Mosè (il nome egizio Mose), Osarseph (altro nome di Mosè secondo Manetone, il quale specifica
che viene da Osiride – va aggiunto che la parte finale -seph è una variante di Seth), Miriam (forse dall’egizio Merytamon, “amata da Amon”: la
-t- più tardi in egiziano cadde e pare non si pronunciasse ma servisse solo come serinenza femminile singolare), Merari (Meryra II, “amato da Ra”
era un funzionario di Akhenaton), Hur (cfr. il nome del dio egizio Horo), Mered (cfr. Miled, marito di una principessa egizia secondo le cronache
irlandesi che fanno riferimento all’Esodo di Mosè), Aronne (in ebraico standard Ahàron, in ebraico tiberiense ʾAhărōn, forse da Har, variante di
Horo, e -on, associato alla luce solare, nome ebraico della città di Eliopoli, dedica al culto del Sole), Amminadab o Aminadab (cfr. Amenhotep,
da nome del dio Ammon o Amon), Eliezer ed Eleazar (nomi portati da un figlio di Mosè e da uno di Aronne, forse da El, “dio” in ebraico + Asar,
variante di Osiride, attestato, come Àsar anche come padre di Abramo nel Corano, a differenza del Terah del Libro della Genesi), Adonay, “mio
signore/Adon” (accostato da S. Freud ad Aton34
), ecc.	
Sia l’atonismo che l’ebraismo nascono già come contro-religioni, in contrapposizione, cioè, ad altri culti precedenti, in particolare quello
dell’ariete Amon. Nel Libro dell’Esodo si trova il sacrificio degli agnelli, in evidente sfregio ad Amon. Altro animale sacrificale ebraico era il toro,
anch’esso sacro a un dio egizio, Hapi. Aronne e altri Israeliti, uccisi dai Leviti di Mosè (Aronne fu risparmiato) si costruirono un simulacro aureo
di un vitello, il famoso “vitello d’oro”, palese effige di Hapi. Ancora secoli dopo, secondo la Bibbia, i re di Israele si costruivano vitelli d’oro da
venerare.	
Inoltre sia Aton che Adonay erano un “Unico Dio”, ma in entrambi i casi non si può parlare di un vero e proprio monoteismo, dato che in
Aton confluirono aspetti di altri dèi come Šw o Ra, presente per es. nel praenomen dello stesso Akhenaton, “Waenra”, “l’unico di Ra”, oltre che
in quello delle sue ultime due figlie avute dalla Grande Sposa Reale, Neferneferwra, “bella tra le belle di Ra” e Setepenra, “scelta da Ra”.	
Lo stesso si può affermare per l’ebraismo, in cui confluirono una pluralità di divinità o di tratti delle stesse nell’Unico Dio dell’ebraismo e
poi del giudaismo o quanto meno in suoi epiteti, caratteristiche, miti, ecc. Nelle versioni mesopotamiche della storia del Diluvio Universale per es.,
c’è un dio che manda la calamità e uno che salva un uomo con la sua famiglia, vale a dire Enlil, che manda il Diluvio, ed Enki che salva l’uomo.
Nella stessa Bibbia si parla dell’adorazione da parte degli Ebrei – non solo di alcune singole persone, ma da parte delle massime autorità dei regni
di Giuda, a sud, e di Israele, a nord – di altre deità: Salomone, re di Giuda e Israele secondo la Bibbia (ma ci sono forti dubbi che i due regni siano
veramente mai stati uniti35
) fa costruire un altare ad Astarte, i re di Israele adorano vitelli d’oro, Ezechia, re di Giuda, vieta il culto di Baal e i pali
sacri di Astarte, usanze evidentemente ben radicate, suo figlio e successore Manasse erige invece altari a Baal, costruisce altari per la religione
babilonese in due cortili del Tempio di Gerusalemme, sacrifica alcuni dei suoi figli facendogli passare attraverso il fuoco, pratica la magia, ricorre
alla divinazione e promuove lo spiritismo, suo padre Ezechia, re di Giuda, ecc. Tutti questi aspetti sono confermati dall’archeologia e dall’epigra-
fia: sono infatti state rinvenute iscrizioni riguardanti Yahweh posto in una triade divina con El (che poi diventerà un altro nome dell’Unico Dio
biblico) e Baal, il sommo dio degli Hyksos, e dedicate a Yahweh e alla «sua Ašerah», cioè a sua moglie Astarte. El, altro nome del Dio ebraico,
34 FREUD 2013.
35 LIVERANI 2012.
20
era marito di Astarte e padre di Baal e di Anat per i Cananei. Gli Hyksos, oltre a Baal, come già accennato, adoravano anche Astarte e Anat. In un
testo ugaritico Baal viene chiamato «Cavaliere delle nubi», lo stesso identico epiteto riferito a Yahweh nel Libro dei Salmi, attribuito a re Davide
di Giuda e Israele. L’elenco potrebbe continuare per molto.	
Io ritengo che i primi capitoli della Genesi siano tratti dall’Enûma Elîš, dalla storia di Adâpa e Khâwâh mesopotamici e dall’Epopea di
Gilgameš, in cui al posto di «YHWH» ci sono Enki (“signore della Terra”), Enlil (“signore del vento”) e Nîn-khursag (“signora delle colline”).	
Ma ritengo che questa fonte mesopotamica sia più tarda delle tradizioni orali, egizie le più antiche e cananee le meno antiche, e che vi si
abbia attinto dalla Biblioteca di Babilonia durante l’Esilio.	
Penso che le origini della religiosità ebraica siano sì da ricercarsi in Mesopotamia, comunque, ma non per i miti dell’inizio del Libro della
Genesi, che coincidono troppo con quelli mesopotamici (anche per dettagli numerici, i dieci prima del Duluvio, o il corvo e la colomba inviati
dall’Arca, ecc.) per essersi tramandati oralmente dal tempo di Abramo. Molto più probabile che siano divenuti accessibili con le deportazioni in
Mesopotamia di Israeliti e Giudaiti alla metà del I millennio a.C., pur essendo, secondo me,Abramo esistito realmente come adoratore del dio della
Luna Nanna/Sin.	
In ogni caso pare che l’Unico Dio sia il risultato di un articolato processo di teocrasia riguardante diverse divinità: Enki, Enlil (dei quali già
si è detto in relazione alla versione del Diluvio da cui gli scribi ebrei probabilmente attinsero durante la cosiddetta Cattività Babilonese), Saturno,
Yurba (dèi, di cui il primo del Sole, adorati da Abramo secondo i Mandei), Baal, Seth, Iah, Nanna, Sin, Aton, Adon, Adonay, El e Yahweh. El/
Yahweh per la religione della terra di Canaan era inserito in un contesto familiare, con moglie (Astarte) e figli, un maschio e una femmina (Baal e
Anat).	
A rafforzare il nesso con il culto solare di Aton, aggiungo ancora che vi sono tracce di un culto di un dio solare precedente alla redazione fi-
nale del Tanakh, la Bibbia ebraica, “declassato” a eroe nazionale. Sto parlando di Sansone, il cui nome in ebraico significa “piccolo Sole” (Šimšon).
Egli traeva la forza dai suoi capelli, il che ricorda il potere dei raggi, i “capelli” del Sole, una leggenda che giungerà fino a quella dei Merovingi,
i Re Taumaturghi, che avrebbero tratto i loro poteri sovrannaturali dai capelli, che non tagliavano mai. Infine, Sansone nacque a Beth-Šemeš, che
in ebraico significa proprio “dimora del Sole”. Il dio accadico del Sole si chiamava Šamaš, Utu in sumerico, ed era figlio di Nanna/Sin.	
Se il mio primo libro, Israeliti e Hyksos, si occupava della prima parte di questa ricostruzione, l’identificazione fra Patriarchi e Hyksos e
il “primo Esodo”, quello della tribù di Ephraim, il mio secondo, Exodus, tratta invece del contesto dell’Esodo di Mosè verso la fine della XVIII
dinastia e gli intensi legami tra atonismo e monoteismo mosaico.	
Ciò che ho cercato di fare è stato andare oltre la Bibbia, come intitola l’opera in punto del prof. Mario Liverani36
, analizzando la narrazio-
ne del Tanakh (Torah, profeti, salmi, libri di saggezza e annali detti storici, veterotestamentari), andando oltre il libro stesso, cercando un nucleo
36 LIVERANI 2012.
21
storico che può avere dato nome, per esempio, al secondo libro della Bibbia.	
Quello che ho cercato di fare è stato prendere da un lato la Bibbia e capire che cosa di questa, per quanto concerne il II millennio a.C.
in particolare, epoca più ardua da analizzare – per il I millennio i dati certi sono molti di più –, abbia a che fare con la Storia e che cosa con una
ricostruzione teologica37
. Andare oltre la Bibbia dunque significa approcciarsi a essa, penetrarne il testo, sottoporla a un approccio filologico, ve-
rificarne o falsificarne le affermazioni.	
La mia è dunque un’opera di comparazione tra il mito biblico e il contesto storico e archeologico del Vicino Oriente antico in senso esteso,
ciò che gli studiosi angloamericani esprimono una bella espressione che è quella di Greater Mesopotamia. Io penso, infatti, come è tendenza negli
ultimi anni, da parte degli accademici, studiosi del Vicino Oriente, che sia impossibile comprendere la storia, la metodologia o la cronologia di una
cultura senza confrontarla con quelle vicine.	
Questo ci permette di capire quando è avvenuto un evento, come si fa normalmente per il millennio successivo, per esempio nel caso della
presa, da parte degli Assiri, di Lakiš, la più grande fortezza della Giudea di I sec., oggetto di scavo archeologico dal 1973 fino al 1994 da parte di
David Ussishkin38
. Senza i riferimenti epigrafici assiri che l’archeologia ci ha restituito sarebbe stato impossibile collocare questo evento biblico
cronologicamente.	
Ecco dunque come sia fondamentale studiare la narrazione religiosa ebraica con un approccio comparativista che permetta di capire se,
dietro alla narrazione biblica, vi sia parzialmente un nucleo storico, a cui si sovrappongano valori, ideologia di altre epoche, e perché.	
Un esempio ne è l’Esodo, che io ritengo il ricordo di più eventi verificatisi nel II millennio, di cui in particolare la genesi della citata con-
tro-religione mosaica39
, come la definisce l’egittologo prof. Jan Assmann, la quale si oppone, come l’atonismo, a ciò che considera l’idolatria ca-
nanea (ma non solo), nel primo caso, ed egizia nel secondo, racconto che però è altresì carico del sentimento di quanti vissero il ritorno in Giudea
dopo la Cattività Babilonese.	
In conclusione, dal momento che buona parte della Siria-Palestina nel II millennio era spesso sottoposta all’influenza egizia, è al fertile
“vicino di casa” nilotico che ho ritenuto di guardare con maggior attenzione per tentare il mio percorso di comparazione tra storia, archeologica
ed epigrafia, da un lato, e mito e religione, dall’altro.
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CATALOGO GENERALE 3
harmakis EDIZIONI
In questo libro l’autore Ahmed Osman sostie-
ne che le radici della prima fede cristiana non
provengono dalla Giudea, ma dall’Egitto. Egli
paragona la cronologia del Vecchio Testamen-
to e il suo contenuto con antichi documenti
Egiziani per dimostrare che le vite dei perso-
naggi principali delle Scritture Ebraiche, tra
cui Salomone, Davide, Mosè e Giosuè, si ba-
sano su dati storici Egiziani.
Ahmed Osman
CRISTIANESIMO
UN’ANTICA
RELIGIONE EGIZIA
Pietro Testa
HEKA
LA MAGIA
nell’ANTICO
EGITTO
SAGGI
Nell’Antico Egitto il
confine tra Magia e
Religione è molto la-
bile e molto spesso le
due esperienze si fondono. La Magia nasce
con atto creativo del Demiurgo, forza natura-
le densa di vibrazioni tali da infondere vita al
creato esprimendosi e materializzandosi nella
parola. In ogni momento della cultura egizia-
na, nell’architettura sacra, nella religione, nel
vivere quotidiano, nella morte, la Magia è sem-
pre presente in forma immanente o latente.
L’argomento di questo
libro è un testo religio-
so dell’Antico Egitto
dal titolo Amy-Duat,
ciò che c’è nell’aldilà.
Lo studio di questo
grande testo che orna le camere funerarie dei
re della XVIII dinastia, e che proseguirà con
qualche variante nei secoli seguenti, non è dei
più semplici e richiede una conoscenza abba-
stanza approfondita della religione egiziana.
Anche se la lettura potrebbe sembrare alquan-
to noiosa, è pur vero che si tratta di penetrare
in un campo della religione funeraria destinato
e fruito dal sovrano e, in parte, anche dai co-
muni mortali.
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Il Periodo Amarniano
(1353-1336 a.C.). Indi-
ca una tappa nella storia
dell’Egitto durante la quale il faraone Akhena-
ton regnò nella sua nuova capitale, Akhetaton. Il
nome arabo del sito è Amarna, da cui il nome del
Periodo Amarniano. Sul piano religioso, questo
periodo è stato caratterizzato da un unico insie-
me di riforme nella storia dell’antico Egitto, “il re
eretico” proclamava il primato del dio sole Aton,
chiuse i templi del dio tebano Amon, vietò il cul-
to degli dei tradizionali e confiscò le proprietà
della Chiesa allo Stato.
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IL VIAGGIO DELLA SACRA FAMIGLIA IN EGITTO
L’arrivo di Gesù Cristo e della Sacra Famiglia è un evento importante avvenuto in Egitto. La storia ha inizio con un gruppo di saggi che pro-
clamano Gesù come nuovo re degli Ebrei. Questo è il motivo per cui il re Erode (a quel tempo re della Giudea) si sentì minacciato e decise di
ucciderlo.
La Sacra Famiglia era partita da Betlemme per l’Egitto dopo che un angelo aveva raccomandato a Giuseppe di partire con Gesù e la Vergine
Maria. Questi iniziarono il loro viaggio attraversando il nord del Sinai fino a raggiungere Farama. I posti in cui soggiornarono adesso sono stati
trasformati in chiese e monasteri.
La meta successiva del loro viaggio fu Tel Basta dove Gesù fece un miracolo. Benedì il posto creando una sorgente d’acqua a beneficio della
terra.
La Famiglia in seguito raggiunse Mostorod, conosciuta anche come el Mahamaah, ovvero “luogo del bagno”, nome che fu dato alla città perché
la Vergine Maria vi bagnò Gesù bambino e vi lavò i suoi vestiti.
In seguito, la Sacra Famiglia si diresse verso Belbeis, dove si sedette sotto l’ombra di un sicomoro, conosciuto anche come “L’albero della Ver-
gine Maria.”
Quando attraversarono il Nilo per raggiungere la città di Samanide, Gesù scavò un’altra sorgente d’acqua e quando furono a Sakha, si crede che
Gesù abbia toccato una pietra e che dell’acqua pura sia uscita da essa.
In seguito, la Sacra Famiglia viaggiò verso ovest nella Valle di Natroun, prima sede monacale a praticare la castità e la meditazione.
Infine, essi si diressero nei distretti di Matariyah e Ain Shams a Il Cairo, dove Gesù creò una fonte d’acqua e la benedì. Poi la Vergine Maria lavò
gli stracci di Gesù versando acqua sul terreno dove fiorì un abete balsamico, dalla cui essenza si ricava l’olio balsamico usato nei sacramenti
come battesimo e cresima.
La Sacra Famiglia continuò il suo viaggio per l’antica Il Cairo, dove trovò rifugio in una grotta. Qui, tra le mura della fortezza di Babilonia, fu
in seguito costruita la Chiesa di Abi Serja. Tutta l’area è diventata meta di pellegrinaggi per egiziani e cristiani da tutto il mondo.
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La Sacra Famiglia si diresse poi verso Al-Maadi, dove, da vicino al Nilo, si imbarcò diretta a sud e molti anni dopo fu costruita la Chiesa della
Vergine Maria.
In seguito, la famiglia si recò a Minya, da dove attraversarono la riva est del Nilo. Qui, sulla cima di Gabal Al-Kaf (la montagna della Palma),
sorge il Monastero della Vergine. Si crede che Gesù abbia lasciato l’impronta del suo palmo su una pietra della montagna.
Da lì, la famiglia attraversò il Nilo in direzione ovest per raggiungere Quaaquam in Assiut e vi restò per più di sei mesi, sosta più lunga fatta in
Egitto.
Dopo aver trascorso oltre 3 anni in Egitto, la Sacra Famiglia ripercorse circa lo stesso cammino per tornare in Palestina.
Per maggiori informazioni:
Ente del Turismo Egiziano a Roma
Via Barberini 47
00187 Roma
Tel.: 06 4874219
Fax.: 06 4874156
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IPAZIA DI ALESSANDRIA,
MARTIRE DELLA TRADIZIONE E DEL LIBERO PENSIERO
di Nicola Bizzi
L’uscita nelle sale cinematografiche, nel mese di Aprile del 2010, di Agorà, il film del regista spagnolo Alejandro Amenábar, sottoposto a forti
pressioni ecclesiastiche che in Italia ne hanno ritardato sensibilmente la distribuzione, ha avuto l’indiscusso merito di riportare all’attenzione
dell’opinione pubblica, dopo secoli di colpevole oblio, la figura della grande Filosofa, Iniziata e scienziata alessandrina, martire per eccellenza
di quella Tradizione Occidentale che, in epoca tardo-antica, ancora resisteva con dignità e fierezza all’affermarsi di un pensiero unico distruttivo
che si poneva con arroganza l’obiettivo di cancellare ed annientare millenni di civiltà, libero pensiero e idealità trascendente.
La stragrande maggioranza dei testi storici che prendono in esame l’ultima fase dell’Impero Romano, tende a sottolineare la decadenza della
civiltà tardo-antica, attribuendone le cause ad una non meglio precisata “crisi di identità” del mondo antico, ad una presunta crisi di valori spi-
rituali e religiosi della società “pagana” che sarebbe - a detta di certi storici - la principale responsabile della crisi politica, economica e militare
che portò progressivamente al cedimento e infine al tracollo della struttura statale imperiale e dei suoi ordinamenti. Ma si tratta di una visione
distorta e assolutamente fuorviante. Se crisi vi fu, essa fu soprattutto o principalmente di natura economica e sociale. La vera crisi “spirituale” di
quel periodo che va da Costantino fino alla caduta dell’Impero di Occidente nel 476 fu innescata non certo da una società “pagana” che gli storici
arrogantemente si ostinano a definire “decadente”, ma dalla diffusione e infine dalla forzata imposizione del Cristianesimo, e quindi del venir
meno di quel principio di rispetto, di tolleranza e di civile convivenza religiosa che aveva fino ad allora caratterizzato l’Impero, divenendone
uno dei punti di forza, una delle colonne portanti.
Roma, fin dai propri albori, pur avendo sviluppato un proprio peculiare sistema religioso, in buona misura derivato dalla civiltà etrusca, fon-
dato sull’equilibrio fra la Pietas (sentimento religioso) e la Religio («Religio - come scrisse Cicerone - è tutto ciò che riguarda la cura e la
venerazione rivolte ad esseri superiori la cui natura definiamo divina»40
) per il raggiungimento e il mantenimento della Pax Deorum, aveva
infatti sempre mostrato il massimo rispetto nei confronti degli Dei e delle tradizioni religiose dei popoli che man mano aveva assoggettato e
inglobato nella sua progressiva espansione territoriale. Uno dei punti di forza della Repubblica, e poi dell’Impero, era stato non solo il non in-
terferire con le istituzioni religiose dei popoli vinti, ma addirittura il tutelarne e difenderne la libertà di culto. Un’unica e sola eccezione era stata
fatta con la proibizione dei Baccanali nel 186 a.C., dovuta però - secondo la versione “ufficiale” - a motivi di ordine pubblico, in realtà al fatto
che i Collegi Sacerdotali dell’Urbe avevano ben compreso la pericolosità della figura di Dioniso, tanto che si coalizzarono per contrastarla, sia
con provvedimenti legali che mediante complesse funzioni rituali.
Con l’integrazione e l’assorbimento della cultura ellenica da parte dei Romani, questo “punto di forza” fondato sul rispetto e la tolleranza toccò
uno dei propri apici, determinando un notevole accrescimento morale, filosofico e spirituale della società. Grandi Imperatori come Lucio Domi-
zio Enobarbo, conosciuto comunemente come Nerone, e, successivamente, gli Antonini, in primis Marco Aurelio e Publio Elio Adriano, furono
fautori e artefici di uno splendido e vincente connubio fra la spiritualità e religiosità tradizionale latina e quella ellenica, cimentandosi in prima
persona nello studio della Filosofia e nella conoscenza - anche iniziatica - della Weltanschauung ellenica ed orientale.
A Roma e in tutte le città dell’Impero, dalla Gallia alle coste africane, dalla Pannonia alla Bitinia, dall’Illirico al Ponto Eusino, convivevano in
armonia, a fianco dei Templi dedicati alla Triade Capitolina, Templi di Iside, Mitrei, Serapei, Santuari di Artemide e di Astarte, di Cibele e di
Asclepio, di Demetra e Kore Persefone. Persino nell’ambito del più importante collegio sacerdotale di Roma, quello dei Fratres Arvales, del
quale l’Imperatore Ottaviano Augusto fu Pontefice Massimo, si celebravano i Riti ed i Misteri della Dea Dia, un’esoterica personificazione latina
della Dea Demetra.
Chi conosce un’opera fondamentale della storia tardo-antica quale la Historia Nea di Zosimo, può comprendere quale fosse realmente il clima
filosofico e religioso di quei tempi e quanto la responsabilità dell’inizio della decadenza sociale e politica di Roma sia da attribuire quindi non ad
una presunta “crisi” religiosa del “paganesimo”, ma proprio al venir meno del prezioso equilibrio del rispetto e della tolleranza innescatosi con
la presa del potere da parte di Costantino (306-337 d.C.) e con le sue devastanti politiche economiche, sociali e religiose.
Parliamoci chiaro: una pesante crisi sociale ed economica era già in atto da tempo entro i confini dell’Impero. Anni turbolenti di guerre intestine
e fratricide fra Imperatori spesso in carica per pochi anni e ancor più spesso destituiti con le armi da rivali militari e da usurpatori, invasioni
barbariche e progressiva perdita del controllo imperiale su intere province periferiche, riforme monetarie sbagliate o incompiute: tutto questo
e molti altri fattori ancora avevano portato alla necessità di una profonda riforma delle istituzioni imperiali e dell’esercito. Ma Costantino, una
volta assicuratosi il pieno controllo del potere, invece di porre rimedio a questa situazione con riforme tese al rafforzamento dello Stato e delle
istituzioni, sfaldò la compattezza delle legioni, mise l’esercito in condizione di non poter più difendere i confini, introdusse riforme economiche
e monetarie devastanti e spalancò le porte all’intolleranza religiosa e alla dittatura di un’unica religione di matrice orientale, peraltro abilmen-
te costruita a tavolino con l’introduzione in essa, in chiave sincretica, di elementi ed aspetti di altri culti dell’epoca, da quello isiaco a quello
mithraico, fino a quello dionisiaco. Una religione, quindi, artefatta e costruita, delineata da quella colossale farsa che fu il Concilio di Nicea, e
destinata ad essere imposta con la forza su tutte le altre.
Nell’anno 313 d.C., con il controverso Editto di Milano, Costantino (che mai fu realmente Cristiano e che si sarebbe convertito alla nuova super-
stitio, come vuole la tradizione, solo in punto di morte) aveva posto formalmente fine alle persecuzioni dei Cristiani, legittimandone il culto. Da
lì il passo fu breve per dichiarare (nel 324) il Cristianesimo l’unica religione ufficiale dell’Impero. Dal Concilio di Nicea, convocato e presieduto
dall’Imperatore l’anno seguente, nacque un perfetto connubio tra potere politico e potere religioso: Costantino si era in sintesi costruito in sede
conciliare un’inedita forma teocratica di potere. Potere politico e potere religioso avevano formato un connubio inscindibile e indissolubile che
presto avrebbe rivelato i suoi primi effetti.
40 Marco Tullio Cicerone: De Inventione, II°, 161.
27
È attestato che l›apice delle persecuzioni e dell›intolleranza nei confronti dei «gentili», come ipocritamente venivano bollati tutti coloro che
rifiutavano di assoggettarsi al battesimo cristiano, venne raggiunto sotto l›infausto regno di Teodosio «Il Grande» (379-395).
Sotto Teodosio le sedi episcopali di Roma e Alessandria divennero depositarie delle regole religiose basate sul Credo niceno e la lotta contro
l’Arianesimo si affiancò stabilmente alla lotta, sempre più spietata e brutale, contro tutti i culti non Cristiani.
Il 27 Febbraio del 380 Teodosio ribadì l’esclusività e unicità del Cristianesimo quale religione dell’Impero, emanando un nuovo editto, passato
tristemente alla storia come l’Editto di Tessalonica, o Cunctos Populos, avvallato congiuntamente, oltre che da Teodosio, da Graziano e da Va-
lentiniano II° (che all’epoca aveva solo nove anni). Questo provvedimento fu di natura epocale, perché spianò letteralmente la strada alla forzata
cristianizzazione dell’Impero Romano e non solo incrementò esponenzialmente le persecuzioni nei confronti delle altre religioni, con devastanti
conseguenze sul piano umano e sociale, ma di fatto dette a tali persecuzioni piena legittimità.
Esso dichiarava il Cristianesimo (secondo i canoni del credo niceno) la religione ufficiale dell’Impero, proibendo in primo luogo l’Arianesimo e
le altre eresie e, secondariamente, anche tutti i culti non cristiani. L’editto riconosceva alle due sedi episcopali di Roma e di Alessandria d’Egitto
il primato in materia di Teologia, ma di fatto spianava la strada al riconoscimento a tali autorità del vero potere politico e, insieme ad esso, del
potere di vita o di morte su tutti i cittadini dell’Impero.
Con questo inaudito editto, i non Cristiani, che ancora, nonostante quasi sessant’anni di libera diffusione della nefanda superstitio e di crescenti
persecuzioni, si contavano a milioni, vennero bollati come “detestabili, eretici, stupidi e ciechi”. In un altro editto successivo Teodosio definì
“insani” tutti coloro che non credevano nel Dio dei Cristiani e dichiarò fuorilegge tutti i dissensi dai dogmi imposti dalla Chiesa.
L’azione persecutoria dilagò presto anche in Egitto, con la distruzione di Templi, statue e biblioteche e con l’uccisione di migliaia di Sacerdoti.
Ad Alessandria, fra il 389 e il 390 il Patriarca Teofilo dette il via ad una pesante persecuzione contro i “gentili”, trasformando il Tempio di Dio-
niso in una chiesa cristiana, facendo incendiare il Mitreo cittadino e il Tempio di Zeus e ridicolizzando pubblicamente i Sacerdoti (che vennero
poi lapidati dalla folla).
Alessandria d’Egitto rappresentava all’epoca, nonostante fossero già da tempo iniziate le persecuzioni cristiane contro i “gentili”, ancora una
straordinaria fucina di fermento culturale, filosofico e scientifico, e la Scuola Neoplatonica costituiva un ponte ideale di collegamento fra idee
e dottrine solo apparentemente contrastanti, ma che in realtà comunicavano più di quanto si possa immaginare. La tendenza erudita, che aveva
man mano acquistato rilevanza nelle Scuole Neoplatoniche che la precedettero, era diventata qui prevalente, respingendo in secondo piano la
speculazione prettamente metafisica. Il disinteresse per la costruzione della gerarchia emanatistica che era stata concepita nei suoi tre momenti
della permanenza in sé, dell’uscita da sé e del ritorno in sé, aveva condotto all’abbandono di quel politeismo classico che in tale gerarchia era
stato inquadrato, soprattutto ad opera della Scuola Siriaca.
E proprio ad Alessandria, come alcuni storici delle religioni hanno sottolineato, le possibilità d’intesa del Neoplatonismo con alcune correnti
del Cristianesimo (soprattutto con la Scuola Catechetica Alessandrina e con i movimenti gnostici) sembravano essere maggiori che altrove. Ma
proprio la sensazione che il Neoplatonismo alessandrino potesse costituire un’alternativa valida al Cristianesimo intollerante allora al potere, ca-
talizzando attorno a sé il vasto mondo delle dottrine gnostiche e delle correnti “eretiche” che mal sopportavano le azioni persecutorie dei seguaci
di Cirillo, e il timore quindi che il potere teocratico dei Vescovi venisse minato dal basso e finisse per sgretolarsi, non altro fece che accentuare
e accelerare l’azione persecutoria di questi ultimi.
Si ebbero di conseguenza ad Alessandria numerose rivolte dei “gentili”, guidati dal Filosofo Olympius. Dopo una serie di cruenti scontri per le
vie della città, essi si asserragliarono all’interno del Serapeion (il Tempio del Dio Serapide), decisi a resistere ad ogni costo. Ma, dopo, un lungo
assedio, i Cristiani riuscirono ad espugnare l’edificio e a distruggerlo, dando così alle fiamme la più importante e famosa Biblioteca dell’anti-
chità.
Mappa di Alessandria d’Egitto al tempo di Ipazia (IV°-V° secolo). Si notino sulla destra il Tempio di Demetra e Kore-Persefone,
la cosiddetta “Pianura Eleusina” e il grande Complesso Sotterraneo Eleusino
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Anubi Magazine - Numero 0 - Settembre/Ottobre 2018

  • 1.
  • 2. EDITORIALE NASCE ANUBI MAGAZINE E’ con immmenso piacere e orgoglio che annunciamo l’uscita di Anubi Magazine in versione digitale. Dopo la messa on line della versione web eccoci con la versione scaricabile. Questa ri- vista si differenzia per i contenuti accurati e approfonditi sulle tematiche riguardanti la Cultura, la Storia e il Turismo dell’Egitto. Ci saranno interviste con le maggiori personalità Egiziane e Italiane. La versione di lancio avrà come numero di uscita lo “0” e sarà liberamente scaricabile sulle maggiori piattaforme on line. Uscirà bimestralmente e dal numero “1” sarà scaricabile in versione Epub 3 leggibile sui tutti i reader e pc sul mercato. La nostra scelta editoriale parte dalla considerazione che la civiltà Egizia è la base della cultura Occidentale, che spesso viene dimenti- cata a vantaggio di culture più distanti da noi come origine. Da qui la volontà di ricercare le nostre radici, per potare alla luce questo grande patrimonio culturale e sociale del passato. DIGITALSOUL Leonardo Paolo Lovari - Paola Agnolucci 2
  • 3. SOMMARIO ANUBI MAGAZINE Settembre - Ottobre - N° 0 Anno 2018 Editore DIGITALSOUL Via Garibaldi 3 52022 Cavriglia Arezzo Tel: 055-0166201 Direttore Editoriale Paola Agnolucci Grafica Leonardo Paolo Lovari Hanno collaborato a questo numero: Pietro Testa Andrea Di Lenardo Nicola Bizzi Paola Agnolucci Leonardo Paolo Lovari © Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale, in ogni genere e linguaggio è espressamente vietata. Tutti i marchi citati nella rivista sono di pro- prietà dei rispettivi aventi diritto. CONTENUTI Pag:04-10--LACOSMOGONIANELL’AN- TICO EGITTO Pag: 12 - 15 -- AMARNA PROJECT Pag: 16 - 23 -- L’EGITTO E LA BIBBIA Pag: 25 - 26 -- ILVIAGGIO DELLASACRA FAMIGLIA IN EGITTO Pag: 27 - 36 -- IPAZIA DI ALESSANDRIA, MARTIRE DELLA TRADIZIONE E DEL LIBERO PENSIERO Pag: 37 - 38 -- NEWS 3
  • 4. LA COSMOGONIA NELL’ANTICO EGITTO Introduzione Gli antichi Egiziani s’interessarono fortemente alla problematica dell’origine del mondo e cercarono di spiegare l’esistenza del loro universo con delle immagini riguardanti l’apparizione o la creazione degli elementi più importanti del creato e dei principi che lo reggevano. L’immagine: la camera funeraria della piramide del re Unas (V dinastia) con i testi (ricostruzione dell’autore). I Testi delle Piramidi,1 incisi dalla fine della V dinastia (ca. 2460 a. C.) sulle pareti delle camere funerarie delle piramidi dei re e delle regine, co- stituiscono la più antica testimonianza della cosmogonia. Come sappiamo, queste composizioni sono un corpus di formule di vario genere: testi relativi il rituale funerario o a quello quotidiano dei templi; testi destinati a garantire al defunto la sua rinascita e il suo status divino nell’aldilà, formule magiche contro i pericoli dell’altro mondo. L’immagine: un sarcofago del Medio Regno Dalla fine dell’Antico Regno questo insieme di testi ebbe una seconda redazione, adattata e arricchita con elementi nuovi: quest’ampio corpus di testi fu scritto sulle facce interne delle bare di membri dell’élite delle differenti città (tra il 2200 e il 1750 a.C. ca.). Anche se qualche passo si trova sulle pareti dei sepolcri, su statue o oggetti funerari, queste composizioni sono conosciute con il nome di Testi dei Sarcofagi,2 costituiti 1 L’immagine: la camera funeraria della piramide del re Unas (V dinastia) con i testi (ricostruzione dell’autore).Sethe K., Die altaegyptischen Pyramidentexte, 2 voll., Leipzig, 1908; Faulkner R.O., The ancient Pyramid Texts, Oxford, 1969; Allen J. P., The ancient Egyptian Pyramid Texts, Atlanta, 2005. Nelle seguenti pagine abbreviato PT. 2 L’immagine: un sarcofago del Medio Regno (DM, II, Bl.145). De Buck A., The Egyptian Coffin Texts, 8 voll., Chicago, 1935-1961; Faulkner R. O., The ancient Egyptian Coffin Texts, 3 voll., Warminster, 1973. Nelle seguenti pagine abbreviato CT. 4
  • 5. da 1185 capitoli o formule. Queste composizioni cercano di facilitare in molti modi l’integrazione del defunto nell’universo dell’altro mondo. Attraverso l’efficacia della parola scritta, permettono di restituire e mantenere l’integrità fisica del trapassato, ne assicurano la sussistenza, ne garantiscono la libertà di movimenti, lo proteggono dai vari pericoli e forniscono delle guide geografiche dell’aldilà, preparando la sua integra- zione nel mondo divino. Un gruppo di formule importanti per l’argomento in questione è costituito dai testi di trasformazione che permettono al defunto di identificarsi in un dio per assorbirne lo status e i poteri. Il morto, dopo aver effettuato una trasformazione, afferma la sua nuova identità e dichiara che è il tale dio. Questi scritti, chiamati aretalogie, contengono generalmente delle descrizioni dettagliate della natura del dio al quale il defunto si è assimilato, descrizioni che costituiscono importanti informazioni sulla religione egiziana. Tali ‘autoritratti’ di divinità, posti in bocca al defunto trasfigurato, portano a sostituire il nome del dio con quello del defunto. Per comprendere le concezioni espresse in queste formule, bisogna dare astrazione da queste caratteristiche di utilizzo funerario. Un esempio è dato dalla formula 261, in cui il soggetto s’identifica con il dio della magia Heka: 3 Titolo Trasformazione in Heka. “Oh voi nobili che siete in presenza del Signore del Tutto, guardatemi! Io sono venuto verso voi. Temetemi per ciò che voi sapete: Io sono colui che il signore unico ha creato prima che due cose uscissero esistenti in questo mondo, quando egli inviò il suo occhio, quando era solo, quando qualcosa uscì dalla sua bocca, quando i suoi milioni di ka divennero la protezione dei suoi sudditi, quando parò con colui che è venuto all’esistenza da lui e che è più potente di lui, quando afferrò Hu che è sulla sua bocca. Certamente io sono questo figlio di colui che ha generato tutto, io sono il protettore di ciò che l’unico signore ordina! Sono io che faccio vivere l’Enneade, colui che crea quando lo desidera, il padre degli dei, elevato di stendardo, colui che abbellisce un dio secondo quanto ordina colui che generò tutto, questo nobile dio che mangia e ce parla con la sua bocca. Fate silenzio per me, inchinatevi davanti a me, poiché io sono venuto calzato, o toro del cielo! I tori del cielo s’inginocchiano davanti a me in questa mia grande dignità di signore dei ka e erede di Atum. Io sono venuto a prendere possesso del mio trono e prendere la mia dignità. A me appartiene tutto prima che voi, dei, foste venuti all’esistenza, e verso voi scende colui che è venuto all’estremità! Io sono Heka!” Questi testi dovevano permettere al defunto reale o privato di riuscire a entrare nell’aldilà e di conquistarvi un posto sicuro e confortevole. Le concezioni cosmogoniche non costituiscono mai il tema centrale di queste formule, per la semplice ragione che non c’era bisogno di spiegarle. Cionondimeno i testi sono molto ricchi d’informazioni sull’origine del mondo poiché questa problematica offre delle numerose analogie con le concezioni funerarie. Si tratta di un passaggio da un modo d’esistenza a un altro che suscita l’avvicinamento tra il processo creatore e la rinascita nell’altra vita. Le due forme d’evoluzione necessitano di una grande quantità d’energia innovatrice e creatrice, e l’elemento generatore del Nun, come vedremo, vi ha un ruolo principale. Del resto la descrizione dell’origine del mondo utilizza spesso un’immagine molto simile a quella del percorso solare, che è ugualmente importante per il destino funerario. Le concezioni cosmogoniche sono così integrate in questi testi per l’ana- logia delle idee e come fonte di comparazione con i meravigliosi processi dell’energia primordiale. La preesistenza e il Nun L’immagine da: Budge E. A. W., Facsimiles of the papyrus of Hunefer, Anhai, Kerasher and Netschemet, London, 1899, Pl.8. 3 Per la magia nell’antico Egitto: Testa P., Heka. La magia nell’antico Egitto, Harmakis Editrice, 2017. 5
  • 6. Gli antichi Egiziani non concepivano il loro universo come uscito dal nulla, ma immaginavano un mondo preesistente all’origine della creazio- ne, chiamato Nun: si tratta di un’entità molto complessa, ora un elemento, ora un luogo, ora una divinità che personifica questi due aspetti. Tra l’altro il Nun non è solamente il mondo della preesistenza, ma sussiste all’interno dell’universo creato, è integrante del mondo egiziano e ha importanza nella rigenerazione del sole notturno e del defunto. Il Nun non è solamente un mondo acqueo. Il suo nome nww/nwnw/ nnw, potrebbe derivare da una radice significante ‘acqua’ che avrebbe dato il valore n al geroglifico . L’usuale pronuncia Nun riflette una forma secondaria di epoca tarda, probabilmente fondata sull’associazione dell’acqua primordiale e dello stato d’inerzia nnwt, forma ripresa dal greco e dal copto. Molte formule menzionano ‘le acque del Nun’. Il carattere acqueo di questo elemento è evidenziato da altre distese acquee, specialmente con il fiotto Hehu. Ad esempio:“Oh Nun che è nello Hehu, e viceversa! “ 4 Come il Nun, il fiotto Hehu può essere per- sonificato in con l’aggiunta del determinativo della divinità. Nun e Hehu continueranno a coesistere e formare una sola entità nel Nuovo Regno e le loro personificazioni saranno dei membri dell’Ogdoade. Un altro elemento liquido parallelo al Nun, nei Testi delle Piramidi, è il fiotto Agheb ( ), anch’esso personificato. Le acque del Nilo (Hapy) possono essere assimilate a quelle del Nun. Ad esempio, il defunto asserisce, “Certamente io sono questo spirito (akh) uscito da Hapy e uscito dal Nun!”5 I rapporti tra queste differenti stati acquei non sono percettibili, ma s’integrano nella concezione di un oceano primordiale la cui personificazione può essere attiva. Il Nun è anche un luogo con una sua topografia, origine del mondo ed è quindi carico di energia creatrice capace di provocare la rigenerazione del sole e dei defunti. Nei Testi delle Piramidi, Nun è luogo d’origine di Atum e di rinascita del re defunto. Ad esempio: “Possa tu levarti sui seggi di Nun, possa tu venire all’esistenza con tuo padre Atum, possa tu elevarti con tuo padre Atum!”6 Gli esseri che sono nel Nun (il creatore nel mondo della preesistenza e i defunti nel luogo di rigenerazione) si trovano in uno stato d’inerzia e di torpore (nenut), qualificati come fanciulli (nuu), che attendono, inerti e incoscienti, di uscire dal Nun e venire all’esistenza. Altro fattore impor- tante è che il luogo della preesistenza è caratterizzato dall’oscurità, tenebra ( ) keku. Ad esempio: “Il giorno in cui Atum è venuto all’esistenza nel fiotto Hehu, nel Nun, nelle tenebre (keku) e nel tumulto (tenemu)”.7 L’insieme di questi quattro fattori: Hehu, Nun, keku e tenemu, costituisce l’universo primordiale. Notare il termine tenemu, ‘tumulto’ et sim.: esso indica chiaramente che questo mondo non possiede alcuna struttura né alcun punto di riferimento. I testi paralleli indicano chiaramente che questi quattro fattori (entità) designano il luogo e lo stato di preesistenza in cui essi furono creati: il loro ruolo è prevalentemente cosmologico. Nelle concezioni funerarie, essi aiutano il defunto a salire al cielo e la loro immagine dipinta sulla mano può servire come supporto magico della recitazione della preghiera: Parole dette sugli 8 Hehu dipinti con orpimento con ocra gialla sulla mano del nobile da sciacquare (?) ogni giorno all’alba.8 I passaggi dei Testi dei Sarcofagi possono essere considerati come la prima attestazione dell’Ogdoade. Bisogna notare, però, che le quattro entità non hanno controparti femminili, tranne Nun-Nunet. Le acque primordiali del Nun spesso sono personificate e Nun appare come un’entità attiva nel processo creatore. Sovente Nun e Atum sono associati e le loro azioni all’inizio della creazione sono complementari. I Testi dei Sarcofagi sviluppano una nozione secondo la quale Nun fu all’origine dell’autogenesi di Atum attraverso un discorso che permise a questo di prendere coscienza e di realizzarsi. Nun provocò la creazione del mondo essendo la fonte d’energia e il fattore determinante l’inizio della creazione. Le acque del Nun fornirono il mezzo di gestazione del dio creatore Atum in cui egli era immerso in inerzia fino al momento in cui Nun lo stimola e lo incita a prendere coscienza e inventare la vita. In definitiva, il mondo della preesistenza sussiste sotto una forma e un nome identici nel mondo creato. Con il cielo e la terra, Nun rappresenta una terza grande regione dell’universo. Miti della creazione Abbiamo visto come Nun fu la ragione da cui scaturì la vita. Ciò vale per il sole che riaffiora ogni giorno dagli abissi, e per il Nilo formato dalle acque del sottosuolo. Ma la frase ‘colui che sorse dal Nun’è usata per molti altri dei e per il concilio delle divinità come gruppo. Non è necessario cercare un mito dietro questa idea: la profondità delle acque primordiali è un concetto che non ha bisogno di una storia teologica. Dobbiamo però dare maggior attenzione a uno dei racconti sulla vita che emerge dalle acque e che pone il luogo della creazione su una collina primigenia. Quando la piena del Nilo raggiungeva il suo livello massimo, vaste distese d’acqua coprivano il suolo d’Egitto e, nella lenta decre- scita, il fiume lasciava emergere qua e là delle collinette di fango pieno di limo fertilizzante, prime promesse di un nuovo anno agricolo e dello schiudersi di nuova vita. Questo fenomeno diede inizio il mito sull’origine della vita sul colle primordiale: il dio creatore fece la sua prima appa- rizione su questa collinetta solitaria. Almeno due teologie diverse pretesero il primato grazie al possesso di un colle primigenio e, nell’andar del tempo, ogni tempio che potesse offrire un monticello al suo dio, si considerava il luogo della creazione. Anche le piramidi riflettono questa idea 4 CT II, 107 118f. 5 CT VI, 703 334p 6 PT, 207 b-c (Unas). 7 CT II, 76 4c-d. 8 CT II, 881 4c-d. 6
  • 7. di un colle elevato come promessa di rinascita per il defunto re inumato nel suo interno: se il sovrano, figlio divino ed erede del dio, in vita era stato il garante del suo popolo, anche dopo morto poteva continuare nel suo compito in una ‘collina’ di pietra pregna di geometria cristallizzata, parte dell’universo. Il punto importante è il concetto di una collina della creazione: fosse situata a Heliopolis o Hermou polis, non era un problema per l’antico Egi- ziano. Il capitolo XVII del Libro dei Morti accenna la prima solitaria apparizione del dio creatore Atum: ” Io sono Atum quale esistente solitario nell’Oceano Primordiale. Io sono Ra nella sua apparizione iniziando il suo governo che egli ha creato”9 “Cosa significa dunque ciò?” “È Ra nella sua apparizione iniziando il suo governo che egli ha creato. È Ra in Herakleou polis quale esistente, quando avvenne l’elevazione di Shu mentre era sulla collina che è in Hermou polis. Egli ha annientato i Figli della Debolezza sulla collina che è in Hermou polis”10 Il testo prosegue sottolineando l’autogenesi del dio e la sua creazione degli dei che ne formarono il seguito. Il geroglifico che rappresenta il colle primordiale è , un colle con i raggi solari e significa anche ‘apparire in gloria’: prima apparizione del dio creatore. Il testo del Libro dei Morti situa la creazione su una collinetta della città di Heliopolis, patria di certi dei esistiti prima della creazione. L’anomalia di un’esistenza anteriore alla creazione non deve preoccupare, poiché i nomi di queste entità rappresentano l’informe caos che esisteva prima che il Creatore traesse l’ordine dal disordine. Il termine ‘caos’ è di comodo, poiché codesti dei anteriori alla creazione erano divisi in quattro coppie, un dio e una dea per ogni caratteristica del caos (amore egiziano per la simmetria). Le quattro coppie rimasero nella mitologia come ‘gli Otto’ed erano: Nun e Nunet (acque primordiali); Huh e Huhet (il fiotto); Kek e Keket (l’oscurità); Amon e Amonet (intangibilità nascosta del caos). La somi- glianza con ciò che narra la Genesi è interessante ma non seducente, poiché le due narrazioni divergono non appena si giunge ai singoli episodi della creazione, in cui l’Egitto da risalto all’emersione autonoma del dio creatore, mentre quello della Bibbia esisteva accanto al caos. Seguire il progressivo emergere di un colle primordiale in altri centri di culto e le conseguenze sulle credenze e sull’iconografia sarebbe lungo e noioso. Piuttosto è bene affrontare un fenomeno mitologico più sviluppato importante nella narrazione della creazione. Nei tempi arcaici il sole Ra aveva una sua famiglia di divinità, tra l’altro supremo consiglio degli dei. Questo gruppo, con centro di culto a Heliopolis, è l’Enneade (gruppo di nove) costituita da coppie imparentate con un comune antenato. Questa Enneade si può opporre all’Ogdoade, poiché questa era composta di elementi del disordine cosmico; l’Enneade, invece, comprendeva i successivi gradini dell’ordine cosmico: aria e umidità; terra e cielo; le creature della terra. Da ciò deriva che la creazione segna la linea di demarcazione tra la precedente confusione e l’ordine presente. Il Creatore non distrusse gli elementi del caos, anzi appare ovvio che gli dei anteriori alla creazione, Come Nun (le acque infere) e Kek (l’oscurità), continuarono a esistere e poste al posto giusto. Atum. L’immagine: da Champollion J. F., Panthéon Égyptien, collection des personnages mythologiques de l’ancienne Egypte d’après les monuments, Paris,1823. Il dio Atum, appollaiato sul colle primordiale, era auto creato o, per dirla all’egizia ‘entrò in essere da se stesso’. Il suo nome itmw, Atum, deriva dal verbo tem,‘completare’; ‘non esistere’, due concetti contrapposti. Il significato del nome del dio potrebbe essere ‘l’indifferenziato’; l’’ine- sistente’; ‘colui che completa’, il che è meno paradossale di quanto sembri, poiché questi termini sono positivi e negativi. Atum è l’onnicom- 9 Il defunto si assimila alla divinità e assume di volta in volta i ruoli del dio primordiale, dio creatore delle sue opere. Atum si identifica nell’Oceano Primordiale 10 Shu è la forza del sole che ha trionfato sul caos con la sua vittoria sulle forze ostili, chiamate ‘figli della debolezza’. Inoltre Hermou polis (xmnw, la città degli 8) è il luogo in cui risiedono gli 8 dei elementari della creazione che riassume la personalità di Thoth.Traduzione dall’originale in Lepsius R., Todtenbuch der Ägypter nach dem Papyrus in Turin, Leipzig, 1842. 7
  • 8. prensività e il vuoto, all’inizio piuttosto che alla fine. Il Libro dei Morti afferma che il Demiurgo creò i suoi nomi, in quanto capo dell’Enneade. Egli cioè assegnò un nome alle varie parti del suo corpo e in tal modo nacquero gli dei che formarono il suo seguito. Questo è una caratteristica prettamente primitiva e ha una sua coerenza: le parti del corpo hanno un’esistenza separata e distinta, sicché possono essere in rapporto con divinità diverse. Il nome appartiene all’individualità e alla potenza, e l’atto di pronunciare un nuovo nome è un atto creativo. Così ci si presenta l’immagine di un creatore acquattato sulla sua collinetta intento a inventare nomi per le otto parti del suo corpo, mentre ogni parola fa nascere un dio. I Testi delle Piramidi offrono un quadro diverso: “Tu sputasti ciò che è Shu e espettorasti ciò che è Tefnut. Ponesti il tuo braccio intorno a loro con un ka, poiché il tuo ka era in loro”.11 Qui la creazione è espressa come un’espulsione dei due primi dei: forse fu uno starnuto, poiché Shu è il dio dell’aria e Tefnut la dea dell’umidità. Il concetto del ka ha qualcosa dell’alter ego e dello spirito custode delle braccia protettrici: ecco perché Atum pone il braccio come protezione intorno ai suoi due figli, perché in loro era il suo ka come sua parte essenziale. Nei Testi delle Piramidi una dichiarazione afferma: Parole da dirsi: “Atum è colui che venne all’esistenza e che si masturbò in Heliopolis. Egli prese il suo pene nel suo pugno affinché potesse creare orgasmo per mezzo di esso, e così nacquesro i due gemelli Shu in- sieme a Tefnut”.12 Si tratta di un tentativo di superare il problema della generazione per opera di un dio solo senza la presenza di una dea. La coppia Shu e Tefnut, aria e umidità, procreò il cielo e la terra, rispettivamente la dea Nut e il dio Gheb. A loro volta essi si accoppiarono generando due coppie, Osiride e Iside, Seth e Nephtis, che rappresentano le creature del mondo terreno, siano esse umane, divine o cosmiche. Atum Shu Tefnut Geb Nut Osiride-Iside Seth-Nepthis Shu-Tefnut-Gheb-Nut-Osiride-Iside-Seth-Nepthis Questa famiglia di dei ci offre una storia della creazione. Atum, il vuoto ipersaturato, si scisse nell’aria e nell’umidità come se in una nebulosa questi elementi si fossero condensati in cielo e terra. Dalla terra e dal cielo vennero gli esseri che popolano l’universo. Lasciando altre storie sulla creazione, è interessante notare che manca una narrazione della creazione dell’umanità. Ad esempio, del dio Khnum, con ipostasi l’ariete, si diceva che avesse plasmato l’umanità sulla sua ruota di vasaio insufflandole poi l’alito di vita. Ma non è necessaria una storia della creazione dell’uomo, poiché non esisteva una linea di demarcazione tra uomini e dei. Una volta che la creazione era iniziata ed erano nati degli esseri, poteva proseguire, fossero questi essere dei, semidei, spiriti o uomini. Uno dei testi che commenta incidentalmente la creazione dell’umanità, afferma che essa fu creata secondo l’immagine del dio: 130- … che provvede abbondantemente la lastra d’offerta con iscrizione. È la guida del tuo nome. Il dio capisce chi agisce per lui, prendendosi cura 131- degli uomini, il bestiame del dio. Egli ha creato il cielo e la terra per il loro cuore, ha scacciato il Vorace dell’Acqua, egli ha creato il respiro del cuore affinché vivano 132- 11 PT, 152-1653. 12 PT, 1240. 8
  • 9. i loro nasi: sono la sua immagine uscita dal suo corpo. Egli sorge nel cielo per i loro cuori, egli ha creato 133- per loro gli ortaggi, il bestiame, i volatili e i pesci che li nutrono. Egli trucida i suoi nemici e annienta i suoi figli 13 134- poiché pensarono di creare ribellione …14 Il testo è interessante e non usuale nel far coincidere i fini della creazione con gli interessi degli uomini. Il passo dimostra forti intendimenti morali, come la distruzione da parte del dio dell’umanità che si era ribellata. Un documento importante è la cosiddetta Teologia Menfita, un testo strano e differente da ciò che fin’ora è stato tratteggiato: un esame più at- tento, però, garantisce che la differenza è solo di grado e non di natura, poiché gli strani elementi che vi si trovano si riscontrano in punti isolati di altri testi. Nella Teologia Menfita essi sono riuniti in un ampio sistema filosofico sulla natura dell’universo. Il documento in questione è la cosiddetta Pietra di Shabaka.15 Pietra di Shabaka Il faraone afferma di essersi limitato a ricopiare un’iscrizione degli antenati, e l’asserzione è confermata dal linguaggio e dalle condizioni del testo. Si tratta quindi di un documento risalente agli albori della storia egiziana, quando le prime dinastie stabilirono la capitale a Menfi, città del dio Ptah. Menfi, come centro di stato teocratico, era giovane non avendo mai avuto importanza nazionale. Per di più dista solo circa 25 km. da Heliopolis, la capitale religiosa tradizionale, centro cultuale del sole Ra e di Atum-Ra. Il testo della pietra parte da una dimostrazione teologica del primato del dio Ptah e della sua patria, Menfi. Mentre gli scritti sulla creazione erano redatti in termini fisici, questo nuovo documento si avvicina, per quanto consentito dalla mentalità dell’epoca, alla concezione di una creazione in termini filosofici: un pensiero si insinua nel cuore del dio dan- dogli voce imperiosa che lo trasforma in realtà. Questa creazione, frutto di un pensiero espresso dalla parola, richiama alla concreta esperienza dell’autorità del capo capace di creare attraverso il comando. L’unico legame tra la Pietra di Shabaka e i testi precedenti è l’uso di termini fisici, quali il ‘cuore’ (che si può tradurre anche ‘pensiero’) e la ‘lingua’ (che in effetti è il motore della parola). 16 Prima di tratteggiare il difficile testo, si devono precisare i fattori conoscibili che svolgono un ruolo importante del documento. Per prima cosa esso prende le mosse dai racconti della creazione già esposti: Atum che nasce dal Nun e che crea l’Enneade. Il testo menfita mostra di conoscere che queste concezioni erano prevalenti in Egitto e, invece di scartarle come concorrenti, le assorbe entro una filosofia più alta, traendone vantaggio e dimostrando che appartengono a una filosofia più alta e sottile. Il pensiero e il linguaggio erano attributi del potere, personificati in entità divine: Hu, ‘pronuncia autorevole’ (linguaggio efficace al punto di creare) e Sia, ‘percezione’ (conoscenza recettiva di una situazione di fatto, di un oggetto o di un’idea). Questi due attributi implicavano l’autorità suprema. Nei Testi delle Piramidi il dio consegna la sua funzione al defunto monarca perché egli si è impadronito di Hu e controlla Sia.17 Nel nostro testo menfita, questi due attributi del potere sono resi con termini materiali: il cuore è l’organo del pensiero, e la lingua che crea la 13 Dei nemici. 14 Volten A., Zwei altägyptische politische Schriften, CØbenhavn, 1945. 15 British Museum E498 (XXV dinastia). L’immagine: Breasted J. H., The Philosophy of a Memphite Priest, ZÄS 39,1901, pag.39-54- Pl.I;II; Sethe K., Das “Denkmal mem- phitischer Theologie” der Schabakostein des Britischen Museums, Unters, z. Gesch . u. A1tertumskunde Ägyptens, Bd, X, 1, Leipzig, 1928; Lichtheim M., Ancient Egyptian Literature, I, 1973, pag.51-57. 16 L’immagine: il dio Ptah. 17 PT, 300. 9
  • 10. realtà sulla base del pensiero. È al dio Ptah che è attribuita quest’attività: lui è il pensiero e il linguaggio di ogni cuore e di ogni lingua, primo principio creatore. La parte del testo che c’interessa inizia con l’identificare Ptah con il Nun, il che rende Ptah anteriore a Atum, priorità chiara- mente definita dal meccanismo mediante il quale il dio di Menfi produsse Atum: “Ptah il Grande è il cuore e la lingua dell’Enneade degli dei … Nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum”. Ecco l’invenzione e la produzione di Atum: dal nulla nacque l’idea di un Atum, di un dio creatore; quell’idea ‘sorse nel cuore’del mondo divino, e quel cuore (mente) era lo stesso Ptah. Poi l’idea ‘sorse sulla lingua’del mondo divino, e quella lingua (parola = Verbo) era Ptah stesso. L’antico Egiziano usa un linguaggio pittorico e fisico che si esprime per ellisse: “(ciò) ha preso forma nel cuore e ha preso forma nella lingua come immagine di Atum”. e la concezione e il parto sono racchiusi in questi termini. Il potere creativo di Ptah non si arresta alla produzione del dio creatore tradizionale: ”Grandissimo è Ptah che ha dato vita a tutti gli dei e ai loro ka, dunque, con questo cuore e con questa lingua!” Ma non basta: “Avvenne che il cuore e la lingua avessero potere in tutte le membra attraverso l’insegnamento che egli (Ptah) è in ogni ventre e in ogni bocca di tutti gli dei, di tutte le persone, di tutto il bestiame e di tutto ciò che striscia e che vive pensando e comandando ogni cosa che egli desidera”. Quindi non abbiamo un singolo miracolo del pensiero concepito, e i principi della creazione che valsero a trarre Atum dalle acque primordiali sono sempre validi e operanti. Ptah continua a operare ovunque vi sia pensiero e comando. “L’Enneade di Atum fu nel suo sperma e nelle sue dita. L’Enneade (di Ptah) fu nei suoi denti e (sulle) labbra di questa bocca che rivelarono il nome di ogni cosa, e nacquero Shu e Tefnut da lui!” Come si vede, il testo fa una distinzione fra la creazione tradizionale in cui Atum fece nascere Shu e Tefnut e quello in cui Ptah fa nascere, par- lando, l’aria e l’umidità. I denti e le labbra di Ptah sono gli organi che articolano il linguaggio produttivo. Il testo prosegue particolareggiando i prodotti dell’attività del cuore che concepisce e della lingua che crea. Spiega anche la relazione meccanicistica dei vari sensi con il cuore e con la lingua, affermando che le funzioni della vista, dell’udito e dell’olfatto devono essere riferite al cuore. Sulla base di ciò, è il cuore che libera tutti i concetti e poi la lingua li annuncia. Il documento poi sunteggia le capacità creative di Ptah come cuore e lingua: nascita degli dei, dell’ordine di- vino, i destini che forniscono cibi e provviste per l’umanità, la differenza tra giustizia e falsità, le arti, i mestieri, le città, i distretti e gli dei locali. Riflessione La creazione non fu una produzione di pezzi assortiti alla rinfusa distribuiti in una ruota della fortuna, ma fu accompagnata e diretta da una parola che esprimeva un genere di ordine divino che permetteva di comprendere gli elementi creati.L’antico Egitto ebbe coscienza di se e del proprio universo, concependo un cosmo in base all’attenta osservazione e conseguente esperienza: simile alla valle del Nilo, questo cosmo era limitato nello spazio, ma dotato di un ritmo rassicurante. La sua struttura e il suo meccanismo permettevano un continuo rinnovamento della vita grazie alle inesauribili energie vitali. I racconti della creazione degli antichi Egiziani erano fondati sulla particolare esperienza dei loro autori e il progresso più interessante che essi compirono fu il tentativo assai precoce di porre la creazione in rapporto con il pensiero e con il linguaggio, invece di attribuirla a un’entità meramente fisica. Ciò, e non solo questo, rivela le zone profonde del pensiero dei saggi dell’antico Egitto, cioè coloro che espressero la loro sensibilità di fronte alla meraviglia misteriosa del Creato. Pietro Testa Dell’autore Viaggio nell’aldilà dell’antico Egitto, Harmakis Edizioni, 2016. Heka. La magia nell’antico Egitto, Harmakis Edizioni, 2017. Dei e semidei dell’antico Egitto, Harmakis Edizioni, 2017. 10
  • 11. 11
  • 12. L’antica città egizia di Tell el-Amarna (o semplicemente Amarna) fu la capitale di breve durata costruita dal faraone “eretico” Akhenaton e ab- bandonata poco dopo la sua morte (1332 a.C. circa). Fu qui che ha perseguito la sua visione di una società dedicata al culto di un dio, il potere del sole (Aton). Oltre a questo interesse storico, Amarna rimane il più grande sito esistente facilmente accessibile dell’antico Egitto. È quindi allo stesso tempo la chiave per un capitolo della storia dell’esperienza religiosa e per una comprensione più completa di come sarebbe stato un egiziano antico. Non c’è nessun altro sito simile. Scopi della missione Lavorando con l’accordo e la cooperazione del governo egiziano, e in particolare del Supremo Consiglio delle Antichità, il Progetto Amarna cerca di: • Esplorare archeologicamente l’antica città di Amarna e il suo contesto storico • Conservare ciò che resta della città antica • Promuovere lo studio e la registrazione della storia, l’archeologia, la vita tradizionale e l’artigianato della regione circostante • Aumentare la conoscenza del pubblico, a tutti i livelli, della città di Amarna e del territorio circostante. Posizione Amarna (Tell el-Amarna) si trova sulla riva orientale del Nilo, nella provincia di El-Minia. La città di El-Minia è a 58 km (36 miglia) a nord, il Cairo a 312 km (194 miglia) a nord, Asyut a 75 km a sud, Luxor a 402 km (250 miglia) a il sud (distanze stradali approssimative). Mappa dell’Egitto 12
  • 13. Amarna Amarna occupa una grande insenatura di deserto quasi piatto, circondato per gran parte del suo perimetro da scogliere che si innalzano di circa 100 metri in un altopiano desertico. Dal promontorio settentrionale al promontorio meridionale, entrambi vicini al Nilo, si trova una distanza di 10 km. La misura più ampia, tra il fiume e le scogliere, è di quasi 5 km. L’altopiano e le falesie sono tagliati da valli secche e letti di torrenti (wadi) che conducono più indietro nel deserto.Asud-est le scogliere si ritirano per lasciare un’ampia valle piatta larga circa 3 km che inizia sopra un bordo della terrazza basso e molto irregolare che continua la linea delle falesie. Le singole parti della città occupano tre zone: 1. La linea delle scogliere è contrassegnata da due serie di monumenti rupestri del periodo di Amarna. Uno è una serie di tavolette e statue intagliate (le Stele di confine) con le quali Akhenaten delimita i limiti di Akhetaton. L’altro comprende due gruppi di tombe rupestri (le tombe nord e le tombe sud) che appartenevano ai cortigiani e agli alti funzionari di Akhenaton. Sono decorate con scene intagliate e dipinte nello stile distintivo del regno di Akhenaton. Un terzo gruppo di tombe scavate nella roccia si trova molto più indietro, lungo uno degli uadi. Queste erano destinati alla famiglia reale e includono la tomba reale. La superficie superiore dell’altopiano del deserto era anche utilizzata per l’estrazione del calcare necessario per gli edifici reali e per le colonne e gli stipiti delle case private. Molte cave antiche sono conservate, principalmente verso l’estremità settentrionale del sito. 2. Sparsi per la zona intermedia del deserto basso ci sono gli Altari del deserto, che si trovano tra la periferia a nord le tombe a nord, il villaggio degli operai e il villaggio di pietra, che occupano posizioni sui fianchi di un altopiano che si protende nella pianura di Amarna quasi sulla sua linea di mezzo. 3. L’antica città si estendeva lungo il fiume, che sembra aver seguito un percorso molto simile a quello attuale. In origine probabilmente si estendeva direttamente alla riva del fiume, ma in epoche successive si sviluppò una striscia di terra coltivata che distrusse quasi completa- mente il margine occidentale della città. Ciò che rimane è una striscia discontinua di edifici in rovina sul deserto che corrono per una distanza di 6 km a sud dal promontorio settentrionale e hanno una larghezza massima vicino al centro di 1 km. La città è, per la maggior parte, coperta di sabbia o gravemente erosa. Nessuno dei lavori in pietra dei templi o dei palazzi sopravvive, poiché questo fu rimosso dopo la fine del periodo di Amarna. Ciò che restava sotto erano i muri di mattoni di fango essiccati al sole (adobe) dai quali erano state costruite le case e le grandi parti dei palazzi. Queste sono state ridotte in rovina dal vento, da piogge occasionali e dal riutilizzo umano dei materiali da costruzio- ne, e ora sono in gran parte levigate. Un programma continuo di pulizia e riparazione sta gradualmente rendendo accessibile la città. La città si divide in una serie di zone, a cui sono stati dati nomi moderni. La città centrale ospitava i principali palazzi, i templi del sole e gli edifici amministrativi. La parte a sud era una zona densa di case, la città principale, con un’estensione meridionale più sottilmente sviluppata, la periferia sud. A nord della città centrale, dopo un dosso, arriva un’altra zona residenziale, la periferia nord. Più a nord giace ancora l’isolato Palazzo Nord, e oltre questo, e adagiato su un terreno in pendenza ai piedi delle scogliere, la Città Nord. Nell’ultima parte del ventesimo secolo un importante sviluppo agricolo ha trasformato la parte meridionale della pianura di Amarna in terreno agricolo. Nel corso di questo, un tempio-giardino isolato dei Amarna, il Maru-Aten, è stato completamente distrutto. Un secondo edificio simile, Kom el-Nana, che era stato in parte costruito in epoca paleocristiana da un monastero, sopravvive ancora come un’isola di deserto nei campi. Storia e natura Tell el-Amarna (spesso abbreviato in Amarna) è un nome moderno che si applica a un vasto sito archeologico che è in primo luogo sono i resti di una capitale effimera costruita e abbandonata in circa quindici anni durante la fine della diciottesima dinastia (nel Nuovo Regno), tra il 1347 e il 1332 a.C. circa. Si trova nel deserto vicino alla sponda orientale del Nilo, nella provincia di el-Minia, all’incirca a metà strada tra il Cairo e Luxor (e quindi anticamente tra Menfi e Tebe). Era il cuore di un sacro tratto di terra dedicato al culto del sole (Aton) che Akhenaton promosse escludendo altre divinità. Poiché gran parte di essa si trova facilmente accessibile sotto una copertura sottile e sabbia e detriti, e grazie alle eccellenti proprietà conservanti del suolo arido del deserto, Amarna è una fonte fondamentale di riferimento per l’architettura e il layout delle città nell’antico Egitto e una fonte di prove per aspetti della vita in quel tempo. I contorni della città furono mappati nel diciannovesimo secolo. Il primo scavo archeologico ebbe luogo nel 1892. Successivamente, con inter- valli intermittenti, gli scavi procedettero fino al 1936, periodo in cui la maggior parte degli edifici reali e circa metà dell’area residenziale era stata sgomberata. L’attuale lavoro di scavo, rilevamento e conservazione, sotto l’egida dell’Egypt Exploration Society, iniziò nel 1977. Quadro storico Akhenaton apparteneva alla potente stirpe dei re, originaria di Tebe, che governò l’Egitto nella XVIII Dinastia e fu sepolta nella Valle dei Re. Suo padre era Amenhotep (Amenofi) III, costruttore della parte posteriore del tempio di Luxor, dei Colossi di Memnone e del tempio di Soleb in Sudan. Sua madre era la regina Tiy, figlia di una potente famiglia di provincia. Usando il grande potere e la ricchezza a sua disposizione, Akhe- naton fece un audace allontanamento dalla tradizione dei re. Scelse la riforma religiosa. Cercò di sostituire la teologia complessa e colorata che era cresciuta per più di duemila anni con il culto di un singolo dio del sole, Aton. La sua immagine era il disco da cui discendevano molti raggi, ognuno dei quali terminava in una piccola mano. Come un re, Aton ha ricevuto due nomi nei cartigli. Aton era visto come il creatore universale di tutta la vita, e questo è stato celebrato in inni di cui il più lungo si verifica nella tomba di Ay, no. 25 ad Amarna. Due brevi estratti illustreranno lo stile e i sentimenti: 13
  • 14. Ti alzi con la bellezza nell’orizzonte del cielo, O vivente Aton, creatore della vita. Quando ti alzi all’orizzonte orientale, Riempi ogni terra con la tua bellezza. Sei bello, grande, luccicante, alto sopra ogni terra. I tuoi raggi, abbracciano le terre Ai limiti di tutto ciò che hai fatto. Tu sei il dio del sole (Ra) e conquistali tutti; Li sottometti per il tuo amato figlio. Sei distante, eppure i tuoi raggi sono sulla terra. Sei nei volti (dell’umanità), ma le tue vie non sono conosciute. Tutte le greggi saltellano, Tutta la creazione alata vive quando ti sei alzato per loro. Le barche navigano a valle e a monte. Ogni sentiero è aperto al tuo splendore. Il pesce nel fiume balza alla tua presenza. I tuoi raggi sono in mezzo al mare. Questi sentimenti non erano nuovi in ​​Egitto. L’originalità di Akhenaton risiede nella sua percezione della semplicità della religione solare. Il disco del sole divenne l’unica immagine divina nei nuovi templi di Akhenaton e nella sua stessa tomba. Le elaborate raffigurazioni di un univer- so popolato da quasi infiniti esseri furono bandite. Al posto degli oscuri, cavernosi interni dei templi tradizionali, i templi di Aton erano cortili aperti pieni di altari e piattaforme. Non era, tuttavia, l’intenzione di Akhenaton di diminuire il potere del faraone. Lui e la sua regina, Nefertiti, si presentarono come gli unici adatti ad adorare Aton e nelle preghiere degli altri furono invocati come dei accanto ad Aton. Per ragioni che non sono chiare, Akhenaton scelse di essere raffigurato in modi che esagerano alcune caratteristiche del suo viso e del suo corpo, forse sottolineando la sua separazione dalla comune umanità. Ha anche incoraggiato i suoi artisti a rappresentare con dettagli e scene animate della vita che circonda il re e la sua famiglia. I primi templi di Aton furono costruiti a Karnak (un muro ricostruito è ora nel Museo di Luxor). Ma nel quinto anno del suo regno scelse Amarna come sito per un nuovo luogo di residenza reale dove i templi di Aton e i palazzi per la famiglia reale potevano essere costruiti senza essere contestati dalle opere del passato. Chiamò il nuovo luogo Akhetaton, “L’orizzonte di Aton.” I suoi confini erano delimitati con copie dei suoi decreti incisi su tavolette sulle rupi su entrambi i lati del fiume. Questi mostrano che Akhetaton, includeva i campi e i villaggi sulla riva occidentale e la città a est. La città fu costruita in gran fretta e occupata da una popolazione consistente, che si può stimare a circa 30.000 persone o forse più. Le tombe furono iniziate per i suoi cortigiani nelle adiacenti scogliere e una tomba per Akhenaton e altri membri della sua famiglia in quella che doveva essere una nuova Valle dei Re. Il re morì nel suo diciassettesimo anno di regno. Ciò che accadde subito dopo è oscuro, anche se coinvolge una persona enigmatica chiamata Smenkhkara che appare come un consorte per la figlia maggiore di Akhenaton, Meritaton. Ma in breve tempo il giovane re Tutankhamon salì al trono. Forse dopo soli due anni aveva lasciato Akhetaton per regnare da Menfi, e il culto di Akhenaton fu completamente abbandonato. Per una città dipendente dalla corte per gran parte della sua esistenza questo è stato un colpo mortale. A parte un’area sul lungoriva, all’estremità meridionale, la città sembra essere stata rapidamente abbandonata. Nei regni successivi i templi e i palazzi di Akhenaton furono completamente demoliti per fornire pietre da costruzione economiche. Molte migliaia di pietre furono spedite al di là del fiume per un nuovo tempio a Hermo- polis. Dobbiamo presumere che Akhenaton abbia subito l’ostilità dei sacerdoti delle antiche sette, in particolare i potenti sacerdoti del dio Amon a Tebe. Ma l’ultimo re della diciottesima dinastia (Horemheb) e i re della XIX dinastia erano uomini di famiglie militari del nord. Sotto il loro dominio prosperarono le antiche forme di religione. Numerose scene nelle tombe di Amarna raffigurano la famiglia reale. Questa consisteva in Akhenaton, Nefertiti e sei figlie: la maggiore era Meritaton, che divenne la consorte di Smenkhkara, l’erede ma effimero successore di Akhenaton; Meketaton, che morì giovane e fu sepolta nella tomba reale; Ankhsenpa-aton, che alla fine sposò Tutankhamon e potrebbe persino, alla fine, aver sposato Ay che, come cortigiano, preparò la tomba n. 25 ad Amarna e in seguito ebbe un breve regno dopo Tutankhamon; Nefernefruaten il monore (Nefernefruaten è il primo nome di cartiglio di Nefertiti); Nefernefrura; e Setepenra. Altre persone importanti rappresentate sono la sorella di Nefertiti, Mutnedjmet, che potrebbe essere diventata moglie di Horemheb, re dopo Ay; La regina Tiy (la madre di Akhenaton), che appare nella tomba n. 1 e fu probabilmente anche sepolta nella tomba di Akhenaton presso Amarna; Ay, che possedeva la tomba n. 25. Tutankhamon non viene mai mostrato e la sua parentela non è indicata chiaramente nelle fonti che abbiamo, sebbene possa essere stato figlio di Akhenaton da una moglie minore. Anche le altre mogli di Akhenaton, incluso Kiya, non vengono mostrate. Modello della città Nell’autunno del 1999 è stata inaugurata una grande mostra d’arte del periodo Amarniano nel Museum of Fine Arts di Boston, nata da un’idea della dottoressa Rita E. Freed, Norma-Jean Calderwood, curatrice dell’arte nell’antico Egitto, nubia e del Medio Oriente. Da Boston la mostra si trasferì a Los Angeles County Museum of Art, all’Art Institute di Chicago e al Rijksmuseum van Oudheden, Leiden. Per completare la mostra fu commissionato un modello di una parte della città di Amarna. È stato realizzato nell’estate del 1999, dallo studio di modellisti di architettura, Tetra (Andy Ingham Associates), a Clapham, Londra (Regno Unito), su progetti di Michael Mallinson di Mallinson Architects. Barry Kemp e 14
  • 15. Dr Kate Spence hanno agito come consulenti. Il punto di partenza era il set di fogli di mappa preparati dall’Indagine di Amarna della The Egypt Exploration Society. Questi sono pubblicati nel libro di B.J. Kemp e S. Garfi, Un’indagine sull’antica città di El-’Amarna (Londra, The Egypt Exploration Society 1993). ISBN 0 85698 122 2. Cosa fa Amarna Project Il Progetto Amarna è nato dall’indagine e dagli scavi di Amarna che sono stati effettuati sotto gli auspici dell’Egypt Exploration Society a partire dal 1977. Il Progetto è ora affiliato al McDonald Institute of Archaeological Research dell’Università di Cambridge. Il rDirettore è Barry Kemp, CBE, FBA, Professore emerito di Egittologia presso l’Università di Cambridge e Senior Research Fellow, McDonald Institute of Archaeological Research. Email: bjk2@cam.ac.uk https://orcid.org/0000-0002-8558-4417 L’assistente alla regia è la dott.ssa Anna Stevens, Senior Research Associate, McDonald Institute of Archaeological Research. Email: aks52@cam.ac.uk https://cambridge.academia.edu/AnnaStevens Il progetto mantiene un ufficio nel centro del Cairo e una spedizione nel sito di Amarna stessa. Il Progetto svolge il suo lavoro ad Amarna attraverso un permesso annuale del Ministero delle Antichità egiziano. I nomi di coloro che fanno parte della squadra di ogni anno sono forniti in relazioni che sono pubblicate ogni anno nel Journal of Egyptian Ar- chaeology (Egypt Exploration Society) e nei report nelle pagine del sito web nella sezione “La nostra ricerca”. I fondi del Progetto provengono in parte da sovvenzioni e in parte da donazioni, raccolti dall’Amarna Trust (un ente di beneficenza registrato nel Regno Unito) e dall’Amarna Research Foundation (USA). Vedi oltre: www.amarnatrust.com www.theamarnaresearchfoundation.org 15
  • 16. L’EGITTO E LA BIBBIA Andrea Di Lenardo Testa di Akenathon (Amenofi IV) Mi sono occupato in particolare nel primo, Israeliti e Hyksos, dell’epoca dei Patriarchi biblici Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe, che ho messo in relazione con gli Hyksos, capi di gruppi di lingua semitica occidentale che costituirono la XV e la XVI dinastia d’Egitto18 , mentre nel secondo, Exodus19 , del contesto dell’Esodo di Mosè, che colloco verso la fine della XVIII dinastia, al termine del cosiddetto periodo eretico di Amarna, e dei possibili rapporti tra atonismo e religione mosaica20 . Nel mio terzo21 e quarto22 saggio, Le guerre nascoste dalla Bibbia e Shardana e Shakalasa, ho proseguito con la medesima metodologia occupandomi però dei secoli successivi all’Esodo e precedenti alla monarchia di Giuda e Israele. Il riferimento alla Storia egizio anche per questi lavori resta costante, in particolare per quanto concerne i Popoli del Mare. Sul tema degli Hyksos e dei Mittani sono tornato, proseguendo il mio lavoro di ricerca, ancora in Dall’India alla Bibbia23 . Per comprendere la formazione del monoteismo del popolo ebraico è necessario ripercorrere in primis la storia del popolo ebraico stesso. Questa storia dovrebbe essere narrata nel libro dei libri, la Bibbia, o almeno così si credeva fino agli inizi del XX secolo. Dal II dopoguerra, come reazione di ambienti intellettuali ai totalitarismi, interpretati da tali ambienti come espressione politica dell’irrazionalismo, si giunse a un iper-ra- zionalismo che negava qualsivoglia valore di verità, non solo religiosa, di verbo rivelato, ma persino storica alla Bibbia. Questo stesso movimento di pensiero portò a una necessaria critica del cosiddetto “comparatismo selvaggio”, tipico di antropologi come James Frazer24 o Laurence Austin Waddell25 , che prevedeva talvolta improbabili analogie e, ancor più, derivazioni, in una prospettiva evoluzionistica per cui una cultura o una forma religiosa dovesse derivare da un’altra più primitiva, escludendo così un ben più credibile intreccio di prestiti orizzontali. Reazione ne fu la nega- zione di qual si voglia possibilità di comparare. Ogni cultura diveniva così un’isola nell’oceano. La Bibbia, dal canto sua, parallelamente diveniva opera di fiction o racconto morale per i credenti. Le scienze umane furono sottoposte fortunatamente a una grande revisione per esempio con la teorizzazione della nuova etnologia di Johannes Fabian, che sviluppa una critica del tempo antropologico, che porta seco un pregiudizio eurocentrico. La percezione della cultura altra era in precedenza di una società “primitiva”, “aborigena” (ab origine), “selvaggia”, posta concettualmente prima rispetto a quella dell’analista bianco, occidentale, cristiano in una prospettiva che ne è l’emblema dell’assolutamente altro, l’alieno, osservato diacronicamente nonostante l’ef- fettiva sincronicità da un punto di vista del tempo oggettivo. Io ritengo vada allargata la presente critica della diacronia pregiudiziale anche alle culture oggettivamente diacroniche rispetto all’osser- 18 DI LENARDO 2016. 19 DE ANGELIS, DI LENARDO 2017 (2016). 20 FREUD 2013. 21 DI LENARDO 2017. 22 DI LENARDO, MELIS 2018. 23 BACCARINI, DI LENARDO 2018. 24 FRAZER 2016 (1915). 25 WADDELL 1927; WADDELL 1930. 16
  • 17. vatore, travolgendo un pregiudizio altrettanto eurocentrico quale è quello del positivismo, che pecca di soggettivismo tanto quanto il letteralismo biblico. È cioè d’uopo analizzare il mito senza prenderlo “alla lettera” da un lato, ma senza nemmeno negare in toto alla cultura studiata e alla sua espressione orale o scritta il diritto alla formulazione veritiera, in potenza, come invece si tende a fare negli ultimi decenni, diritto che viene calpestato in virtù del mero pregiudizio di superiorità soggettiva dettata dalla diacronia oggettiva. Plaudo comunque al superamento negli ultimi anni dell’impossibilità comparativa che ha regnato per troppi anni, sempre restando giusta- mente fermo il rigetto per il c.d. “comparatismo selvaggio”, ma aprendo alla possibilità di comparare culture ed elementi temporalmente e geogra- ficamente prossimi, o comunque entrati in contatto. Un tanto era necessaria premessa metodologica prima di esporre ora un sunto della mia teoria sul popolo del monoteismo, i figli di Israele. Pare che il gruppo tribale diAbramo, a causa di una carestia, si sia spinto fino all’Egitto, dove si erano via, via insediati sempre più elementi semitici occidentali. È in questa cospicua ondata migratoria – non una vera e propria invasione, a differenza di quanto dice, dal suo punto di vista egittocentrico, lo storiografo ellenistico e sacerdote sebennita Manetone26 – che deve collocarsi l’entrata in Egitto di Abramo e dei suoi discendenti alcuni anni più tardi, come Giuseppe, poi i suoi fratelli e suo padre Giacobbe. In un apocrifo dell’Antico Testamento, Qeturah, moglie di Abramo, è indicata come figlia del Re del Deserto. Una tradizione dei Midrašim riferisce che Qeturah era figlia di un faraone. Giungiamo così agli Hyksos, grecizzazione dell’egiziano heqa ḫaswt, “capi delle terre desertiche straniere”, i quali erano faraoni (XV e XVI dinastia). Abramo era un principe, secondo il modo in cui lo appellano i principi ittiti a Ebron e regnò secondo il testo sacro etiope, così come suo figlio Isacco e Giacobbe figlio di Isacco. Sembrerebbe quindi che questo principe semita fosse un Piccolo Hyksos, cioè un faraone vassallo, che abbia sposato la figlia di un Grande Hyksos, presumibilmente il primo, Šalek, Salatis27 o Silites28 . Abramo potrebbe coincidere con il faraone Hyksos Maaybra Šeši. Isacco è un nome che originariamente si presentava come Yišaq-El. Dopo Ma- aybra Šeši si trova Sakal-Hel, che potrebbe corrispondere a Isacco(-El), tanto più che il figlio e successore di Isacco era Giacobbe, anche questo in origine un teoforo (cioè un nome contenente quello di un dio), Yakov-El. E dopo Sakal-Hel venne proprio Merwserra Yakob-Hel. La coincidenza è davvero significativa. Giacobbe-Israele, eponimo degli Israeliti, ebbe dodici figli e una figlia, secondo la Bibbia. Il fatto che anche Ismaele, figlio di Abramo e di Hagar, abbia avuto dodici figli, eponimi delle dodici tribù degli Ismaeliti, rende poco credibile questa affermazione. Comunque il primogenito 26 MANETONE; FLAVIO GIUSEPPE a; EUSEBIO; SOFRONIO EUSEBIO GEROLAMO. 27 FLAVIO GIUSEPPE a; EUSEBIO. 28 GIORGIO SINCELLO. 17
  • 18. di Giacobbe, a causa del proprio peccato, perse la primogenitura, che andò a Giuseppe, vizir del faraone. Secondo una fonte, Giuseppe fu vizir del faraone Hyksos chiamato nelle epitomi di Manetone29 Aphophis o Aphobis. Questo sovrano è attestato come l’heqa ḫaswt Apopi. Secondo un apocrifo dell’Antico Testamento, intitolato Giuseppe e Aseneth, alla morte di questo faraone, lo stesso Giuseppe, già vizir, divenne faraone. Alla morte di Giuseppe, salì al trono – evidentemente del solo Basso Egitto, l’Egitto settentrionale, dato che al tempo degli Hyksos il Paese del Nilo era diviso in due Stati indipendenti – il figlio del faraone precedente a Giuseppe e per il quale il Patriarca biblico era stato primo ministro, vizir appunto. Effettivamente la guerra per l’espulsione degli Hyksos dall’Egitto da parte dei principi tebani iniziò sotto la XVII dinastia con la lotta di Seqenenra Tao contro Apopi. A Seqenenra Tao successe il fratello o figlio Kamose, che continuò la guerra, e a questi Ahmose, figlio di Seqenenra Tao. Dal Canone reale di Torino, un elenco di età ramesside dei re d’Egitto, si apprende che i Grandi Hyksos della XV dinastia furono sei. Purtrop- po soltanto il nome dell’ultimo di questi è ancora leggibile, e ci appare come Ḫamwdy. Ahmose concluse dunque la guerra, da vincitore, contro Ḫamwdy. Pertanto Apopi deve essere stato il suo predecessore e figlio. L’apocrifo dell’Antico Testamento menzionato afferma chiaramente che Giuseppe fu posto sul trono perché il figlio del precedente faraone era troppo giovane. È plausibile quindi che Giuseppe, faraone della XVI dinastia dei Piccoli Hyksos, che fungevano da vassalli per i Grandi, non sia menzionato nel Canone reale. Apopi sarebbe dunque il sovrano sotto il quale Giuseppe avrebbe servito da vizir, mentre Ḫamwdy il giovane successore di Giuseppe, nonché figlio di Apopi. La tradizione ebraica infatti ricorda una precedente uscita di Israeliti dall’Egitto, precedente all’Esodo di Mosè, durante la quale la tribù di Ephraim, figlio di Giuseppe, uscì dalla terra del Delta del Nilo e si insediò in Canaan. Questo episodio cronologicamente e geograficamente com- bacia perfettamente con l’espulsione degli Hyksos dall’Egitto sotto Ahmose, che conquistò la loro capitale, Avaris, oggi Tell el-Dab’a, nel nord del Paese. Gli Hyksos si rifugiarono così a Šaruhen, vicino all’odiena Gaza, dove furono cinti d’assedio dagli Egizi per tre anni, alla fine dei quali l’esercito del faraone deportò alcuni di loro come schiavi. Un tanto lo conosciamo grazie alle autobiografie tombali di due ufficiali dell’esercito faraonico di nome – entrambi – Ahmose, lo stesso nomen del sovrano stesso. Secondo Manetone, gli Hyksos superstiti andarono a fondare Geru- salemme, futura capitale del regno di Giuda. Da un testo egizio che parla della genesi del conflitto tra Seqenenra Tao, faraone della XVII dinastia tebana, e Apopi, apprendiamo che gli Hyksos adoravano sopra tutti un solo dio. Erano cioè enoteisti, una “via intermedia” tra politeismo e monolatria. Il loro dio principale era la divini- tà più importante dei Cananei e dei Fenici, Baal, corrispondente al mesopotamico Bel, che significa “signore”. In Egitto essi identificarono questo con Seth, in accadico Swtekh. Altre deità adorate dagli Hyksos erano Ra, Amon-Ra, Astarte, Anath, El/Hel, Reshef e Teshup/Teshub. A queste se Giuseppe fosse stato un Piccolo Hyksos e poi un Grande Hyksos come io ritengo, si aggiungerebbe Iah, dato che il suo nome “Yohseph” potrebbe racchiudere i nomi di due dèi egizi: “Ioh” o “Iah”, dio della Luna, e “Seph”, variante di Seth attestata anche in Manetone. Ciò farebbe del dio degli Israeliti il dio della Luna, chiamato ora con la parola egiziana per Luna, “Iah”. Infatti, come si è detto in precedenza, Abramo visse proprio nelle uniche due città mesopotamiche dedite al culto, sopra tutti gli altri, della Luna, Nanna a Ur e l’equivalente accadico Sin a Ḫarran. Disgregata l’entità territoriale-amministrativa Hyksos, gli Israeliti si costituirono in una varietà di tribù di pastori semi-nomadi dediti alla transumanza, di mercenari e di bande forse dedite a razziare. Sono attestati infatti in questo periodo e fino all’epoca di Amarna, che esamineremo a breve, gruppi di mercenari e briganti chiamati Hapirw o Habirw, nella terra di Canaan. La radice è la stessa di Ebrei o Abarim, dall’eponimo Hever, antenato di Abramo, tramite suo padre Terah. Nel frattempo l’Egitto giungeva, con la XVIII dinastia inaugurata da Ahmose, all’apogeo del suo splendore e della sua gloria, con i sovrani Thutmosidi che si spinsero addirittura a conquistare la Mesopotamia. Si ha qui la massima espansione territoriale dell’impero egizio. Ad Ahmose successe il figlio Amenhotep I, a cui successero, nell’ordine Thutmose I, Thutmose II, Hatshepsut, Thutmose III, Amenhotep II, Thutmose IV e Nebmaatra Amenhotep III. Questi sposò Tiy, la Gran Sposa Reale, figlia di Yuya e di Tuta. Dalla coppia nacquero vari figli, tra cui Satamon, la primogenita, Thutmose, il principe ereditario, e Amenhotep IV. Thutmose morì prima del padre e quindi non giunse mai al trono. Gli successe invece il fratello minore Amenhotep IV, che, al quarto anno di regno (vi furono alcuni anni di coreggenza, in numero tuttora dibattuto), mutò il proprio nome in Akhenaton e fondò, nel quinto anno, una nuova capitale, Akhetaton, “l’orizzonte di Aton”, nel deserto, nel sito moderno di Tell el-Amarna, o, semplicemente, Amarna. Akhenaton abbandonò il culto degli altri dèi all’infuori di Aton, l’Unico Dio, cancellò molti riferimenti al nome di Amon, il più impor- tante dio del pantheon egizio, la cui città dedicata era proprio la capitale Waset, chiamata Tebe dai Greci. Sposò una principessa mittanica, una babilonese, Kiya, la Gran Sposa Reale Neferneferwaton Nefertjjtj (Nefertiti) e una sua sorella, figlia di Amenhotep III e di Tiy. Da Nefertiti ebbe sei figlie, Merytaton, Maketaton, Ankhesenpaaton, Neferneferwaton tasherit, Neferneferwra e Setepenra. Da Kiya ebbe Kiya tasherit. Da una sua sorella ebbe Tutankhaton. Sposò inoltre la primogenita e la terzogenita, le uniche sue figlie che non morirono in giovane età, Merytaton e Ankhe- senpaaton, le quali gli generarono rispettivamente Merytaton tasherit e Ankhesenpaaton tasherit. Merytaton andò in seguito in sposa al successore di Akhenaton, Smenkhkara. L’Inno ad Aton, scritto sulle pareti della tomba inutilizzata del vizir Ay ad Akhetaton, appare, per le moltissime similitudini, la versione da cui il Salmista attinse per scrivere il centoquattresimo Salmo biblico. L’egittologo Arthur Edward Pearse Brome Weigall30 , il padre della psicana- 29 MANETONE. 30 WEIGALL 2000 (1923). 18
  • 19. lisi Sigismund (detto Sigmund) Schlomo Freud31 , l’egittologo prof. Jan Assmann32 dell’Università di Costanza e molti altri hanno sottolineato le numerose analogie tra la religione di Mosè e quella di Akhenaton, adoratore di Adonay l’uno, di Aton l’altro. Akhenaton regnò per diciassette anni, concentrò la sua attività sulla politica interna, sulla religione, l’edilizia e la riforma dello stile artisti- co, ora impregnato di un forte realismo combinato con i significati simbolici della nuova religione che si volevano veicolare. Per quanto concerne la politica estera, essa prestò il fianco alle incursioni di semi-nomadi Šasu e Hapirw nei domini siro-palestinesi formalmente sottoposti all’Egitto. Represse invece una rivolta in Nubia, anch’essa territorio conquistato dai faraoni dal tempo di Ahmose, nel dodicesimo anno di regno, incaricando dell’operazione di polizia il viceré di Nubia, Thutmose. La sua rivoluzione religiosa durò tredici anni, dal quarto al diciassettesimo. Non sono ancora note le cause della morte. Il suo corpo fu sepolto ad Akhetaton e poi tradotto a Tebe, nella Valle dei Re, esattamente nella tomba KV55, ove KV sta per Valley of the Kings. Potrebbe essere morto per l’epidemia di peste e di influenza suina che mieterono molte vittime ad Amarna e presumibilmente anche nella famiglia reale, consi- derando le numerose morti negli ultimi anni di regno di Akhenaton, che comprendono Tiy, la regina madre, Kiya, Maketaton, Neferneferwaton tasherit, Neferneferwra e Setepenra, e forse anche la bella Nefertiti, ancora viva nel sedicesimo anno di regno del marito, ma forse deceduta nel diciassettesimo e ultimo. Pare, secondo gli egittologi Nicholas Reeves e Zahi Hawass, che Nefertiti stessa abbia regnato con il marito come faraone correggente33 . Tale ipotesi mi trova concorde. Mosè, secondo Manetone, fu un sacerdote egizio del culto del Sole in Egitto per un periodo di tredici anni sotto il regno di un faraone di nome Amenofi, prima di abbandonare con i suoi correligionari, di cui molti lebbrosi, la terra natia per recarsi nella terra di Canaan. Secondo le Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe, Mosè fu incaricato dal faraone di reprimere una rivolta in Nubia e ottenne il governo della stessa. Qualche anno dopo questo fatto morì il faraone che lo aveva incaricato dell’operazione di polizia contro i Nubiani e salì al trono il suo successore. Mosè si scontrò con il nuovo faraone e vi furono, secondo le tradizioni ebraiche, mesi di trattative, dopo i quali Mosè e i suoi correligionari uscirono dall’Egitto verso Canaan. Secondo la tradizione islamica, il faraone morì inseguendoli, quindi deve aver regnato per qualcosa come un anno e mezzo, due. La rivoluzione atoniana durò proprio tredici anni sotto Akhenaton e comportò il culto del dio del Sole Aton, il disco solare. Akhenaton, come già detto, fece sedare un insurrezione nubiana, nell’odierno Sudan, a un uomo di nome Thutmose, il cui diminutivo era Mose, nome egiziano e non ebraico. Mose è attestato in vari testi egiziani. Questo fatto si ebbe nel dodicesimo anno di Akhenaton. Dopo cinque anni egli morì, e gli successe Smenkhkara, che nel nome non ha riferimenti ad Aton, il che potrebbe suggerire un primo tentativo di tornare verso posizioni meno radi- cali o addirittura più vicine al culto di Amon-Ra di Tebe. Quello di Smenkhkara fu un periodo di transizione durato un anno e mezzo, due, dopo il quale evidentemente Smenkhkara morì, e gli successe Tutankhaton, figlio di Akhenaton e di una sorella del padre (anch’ella figlia di Amenhotep III e di Tiy), che ripristinò il culto di Amon, come attestato dalla Stele della restaurazione, e cambiò il suo nome da Tutankhaton a Tutankhamon. Parimenti la sua Gran Sposa Reale Ankhesenpaaton, figlia di Akhenaton e di Nefertiti, cambiò nome in Akhesenamon. Prima di sposare il suo fratellastro pare avesse sposato il padre. Tutankhamon e Ankhesenamon non ebbero eredi. Busto di Nefertiti - Neues Museum Berlino Morto Tutankhamon a diciannove anni per una frattura al ginocchio, complicata dalle pare ereditarie causate dai numerosi incesti della XVIII dinastia, successe al faraone bambino, sepolto nella KV62, il vizir Ay, che pare abbia preliminarmente sposato la vedova Akhesenamon. Ay era forse nonno e probabilmente prozio di Ankhesenamon, perché molti egittologi lo ritengono figlio di Yuya e di Tuya, fratello di Tiy e padre 31 FREUD 2013. 32 ASSMANN 2000. 33 QUILICI, HAWASS 2017. 19
  • 20. di Nefertiti. Già anziano, morì dopo appena quattro anni di regno. Gli successe il generale Horemheb, capo dell’esercito sotto Tutankhamon. Ho- remheb sposò Mutnodjemet, presumibilmente figlia di Ay avuta da una moglie precedente la sua probabile Gran Sposa Reale, nipote e pro-nipote Ankhesenamon. La durata del suo regno è ancora dibattuta. Con lui si estingue la XVIII dinastia, che, dal punto di vista dei vincoli di sangue, si era già estinta con Tutankhamon. A succedergli il designato generale del Delta nilotico Pramesse, poi Ramesse I, fondatore della XIX dinastia, senza alcun legame con la casa reale. Già anziano, morì dopo un solo anno di regno, lasciando il trono a Sethi I. Con lui si ebbe finalmente una situa- zione di stabilità, e il suo figlio e successore, il celebre e glorioso Ramesse II regnò per più di sessant’anni di regno. Con i successivi Merenptah e Ramesse III fu l’ultimo grande faraone dell’antico Egitto. Tornando a Mosè, si è detto che, secondo quanto riferito da Manetone, egli visse come sacerdote del Sole in Egitto per un periodo di tredici anni. Il riferimento ai tredici anni di supremazia del culto del disco solare Aton sotto Akhenaton sono evidenti. Il faraone che regnò durante que- sto periodo si chiamava Amenofi, secondo Manetone. Amenofi, Amenophis in greco, è l’ellenizzazione del nome Amenhotep, portato da quattro sovrani della XVIII dinastia. Per comprendere di quale si tratta è necessario incrociare i dati forniti da Flavio Giuseppe, secondo cui tale faraone combatté contro i Nubiani, e quelli forniti da Manetone, secondo cui gli Hyksos , espulsi due secoli prima, attaccarono i domini nord-orientali dell’Egitto. Dei quattro Amenhotep, il I, figlio di Ahmose, il II, figlio di Thutmose III, il III, figlio di Thutmose IV, e il IV, che cambiò nome in Akhenaton, figlio di Amenhotep III, soltanto uno si scontrò sia contro i Nubiani che contro gli Asiatici, e questi fu proprio Amenhotep IV/Akhe- naton. Nelle lettere di Amarna infatti si sono trovate epistole dei vassalli di Akhenaton che chiedevano aiuto al sovrano contro le incursioni degli Apirw/Habiru. Mosè pertanto deve essere vissuto sotto Akhenaton. E deve essere identificato con il Thutmose che, al pari del Mosè di Flavio Giuseppe, represse una rivolta in Nubia e governò questa zona. Dopo qualche anno, il tempo di generare due figli, Geršom ed Eliezer, Mosè seppe che il faraone, quindi Akhenaton, era morto. Si scontrò con il suo successore, Smenkhkara, il quale morì inseguendo i correligionari egizi di Mosè e gli Asiatici/Hyksos/Israeliti che si erano uniti a lui, forse come mercenari, morendo secondo la tradizione islamica in quello che la Bibbia chiama Yam Suph, che va tradotto letteralmente come “mare di giunchi”, una zona paludosa, e non come Mar Rosso. Il fatto che si fosse in una zona di stagni è suggerita anche dal fatto che, sempre secondo la tradizione islamica, il re dell’Egitto morì con della terra in bocca, fatto probabile in una zona paludosa, ma non in mare aperto. Altri elementi che fanno propendere per questa ipotesi sono la frequenza di nomi egizi nelle tribù a capo degli Israeliti, vale a dire quella di Levi e quella di Giuda. Mi riferisco a nomi come Mosè (il nome egizio Mose), Osarseph (altro nome di Mosè secondo Manetone, il quale specifica che viene da Osiride – va aggiunto che la parte finale -seph è una variante di Seth), Miriam (forse dall’egizio Merytamon, “amata da Amon”: la -t- più tardi in egiziano cadde e pare non si pronunciasse ma servisse solo come serinenza femminile singolare), Merari (Meryra II, “amato da Ra” era un funzionario di Akhenaton), Hur (cfr. il nome del dio egizio Horo), Mered (cfr. Miled, marito di una principessa egizia secondo le cronache irlandesi che fanno riferimento all’Esodo di Mosè), Aronne (in ebraico standard Ahàron, in ebraico tiberiense ʾAhărōn, forse da Har, variante di Horo, e -on, associato alla luce solare, nome ebraico della città di Eliopoli, dedica al culto del Sole), Amminadab o Aminadab (cfr. Amenhotep, da nome del dio Ammon o Amon), Eliezer ed Eleazar (nomi portati da un figlio di Mosè e da uno di Aronne, forse da El, “dio” in ebraico + Asar, variante di Osiride, attestato, come Àsar anche come padre di Abramo nel Corano, a differenza del Terah del Libro della Genesi), Adonay, “mio signore/Adon” (accostato da S. Freud ad Aton34 ), ecc. Sia l’atonismo che l’ebraismo nascono già come contro-religioni, in contrapposizione, cioè, ad altri culti precedenti, in particolare quello dell’ariete Amon. Nel Libro dell’Esodo si trova il sacrificio degli agnelli, in evidente sfregio ad Amon. Altro animale sacrificale ebraico era il toro, anch’esso sacro a un dio egizio, Hapi. Aronne e altri Israeliti, uccisi dai Leviti di Mosè (Aronne fu risparmiato) si costruirono un simulacro aureo di un vitello, il famoso “vitello d’oro”, palese effige di Hapi. Ancora secoli dopo, secondo la Bibbia, i re di Israele si costruivano vitelli d’oro da venerare. Inoltre sia Aton che Adonay erano un “Unico Dio”, ma in entrambi i casi non si può parlare di un vero e proprio monoteismo, dato che in Aton confluirono aspetti di altri dèi come Šw o Ra, presente per es. nel praenomen dello stesso Akhenaton, “Waenra”, “l’unico di Ra”, oltre che in quello delle sue ultime due figlie avute dalla Grande Sposa Reale, Neferneferwra, “bella tra le belle di Ra” e Setepenra, “scelta da Ra”. Lo stesso si può affermare per l’ebraismo, in cui confluirono una pluralità di divinità o di tratti delle stesse nell’Unico Dio dell’ebraismo e poi del giudaismo o quanto meno in suoi epiteti, caratteristiche, miti, ecc. Nelle versioni mesopotamiche della storia del Diluvio Universale per es., c’è un dio che manda la calamità e uno che salva un uomo con la sua famiglia, vale a dire Enlil, che manda il Diluvio, ed Enki che salva l’uomo. Nella stessa Bibbia si parla dell’adorazione da parte degli Ebrei – non solo di alcune singole persone, ma da parte delle massime autorità dei regni di Giuda, a sud, e di Israele, a nord – di altre deità: Salomone, re di Giuda e Israele secondo la Bibbia (ma ci sono forti dubbi che i due regni siano veramente mai stati uniti35 ) fa costruire un altare ad Astarte, i re di Israele adorano vitelli d’oro, Ezechia, re di Giuda, vieta il culto di Baal e i pali sacri di Astarte, usanze evidentemente ben radicate, suo figlio e successore Manasse erige invece altari a Baal, costruisce altari per la religione babilonese in due cortili del Tempio di Gerusalemme, sacrifica alcuni dei suoi figli facendogli passare attraverso il fuoco, pratica la magia, ricorre alla divinazione e promuove lo spiritismo, suo padre Ezechia, re di Giuda, ecc. Tutti questi aspetti sono confermati dall’archeologia e dall’epigra- fia: sono infatti state rinvenute iscrizioni riguardanti Yahweh posto in una triade divina con El (che poi diventerà un altro nome dell’Unico Dio biblico) e Baal, il sommo dio degli Hyksos, e dedicate a Yahweh e alla «sua Ašerah», cioè a sua moglie Astarte. El, altro nome del Dio ebraico, 34 FREUD 2013. 35 LIVERANI 2012. 20
  • 21. era marito di Astarte e padre di Baal e di Anat per i Cananei. Gli Hyksos, oltre a Baal, come già accennato, adoravano anche Astarte e Anat. In un testo ugaritico Baal viene chiamato «Cavaliere delle nubi», lo stesso identico epiteto riferito a Yahweh nel Libro dei Salmi, attribuito a re Davide di Giuda e Israele. L’elenco potrebbe continuare per molto. Io ritengo che i primi capitoli della Genesi siano tratti dall’Enûma Elîš, dalla storia di Adâpa e Khâwâh mesopotamici e dall’Epopea di Gilgameš, in cui al posto di «YHWH» ci sono Enki (“signore della Terra”), Enlil (“signore del vento”) e Nîn-khursag (“signora delle colline”). Ma ritengo che questa fonte mesopotamica sia più tarda delle tradizioni orali, egizie le più antiche e cananee le meno antiche, e che vi si abbia attinto dalla Biblioteca di Babilonia durante l’Esilio. Penso che le origini della religiosità ebraica siano sì da ricercarsi in Mesopotamia, comunque, ma non per i miti dell’inizio del Libro della Genesi, che coincidono troppo con quelli mesopotamici (anche per dettagli numerici, i dieci prima del Duluvio, o il corvo e la colomba inviati dall’Arca, ecc.) per essersi tramandati oralmente dal tempo di Abramo. Molto più probabile che siano divenuti accessibili con le deportazioni in Mesopotamia di Israeliti e Giudaiti alla metà del I millennio a.C., pur essendo, secondo me,Abramo esistito realmente come adoratore del dio della Luna Nanna/Sin. In ogni caso pare che l’Unico Dio sia il risultato di un articolato processo di teocrasia riguardante diverse divinità: Enki, Enlil (dei quali già si è detto in relazione alla versione del Diluvio da cui gli scribi ebrei probabilmente attinsero durante la cosiddetta Cattività Babilonese), Saturno, Yurba (dèi, di cui il primo del Sole, adorati da Abramo secondo i Mandei), Baal, Seth, Iah, Nanna, Sin, Aton, Adon, Adonay, El e Yahweh. El/ Yahweh per la religione della terra di Canaan era inserito in un contesto familiare, con moglie (Astarte) e figli, un maschio e una femmina (Baal e Anat). A rafforzare il nesso con il culto solare di Aton, aggiungo ancora che vi sono tracce di un culto di un dio solare precedente alla redazione fi- nale del Tanakh, la Bibbia ebraica, “declassato” a eroe nazionale. Sto parlando di Sansone, il cui nome in ebraico significa “piccolo Sole” (Šimšon). Egli traeva la forza dai suoi capelli, il che ricorda il potere dei raggi, i “capelli” del Sole, una leggenda che giungerà fino a quella dei Merovingi, i Re Taumaturghi, che avrebbero tratto i loro poteri sovrannaturali dai capelli, che non tagliavano mai. Infine, Sansone nacque a Beth-Šemeš, che in ebraico significa proprio “dimora del Sole”. Il dio accadico del Sole si chiamava Šamaš, Utu in sumerico, ed era figlio di Nanna/Sin. Se il mio primo libro, Israeliti e Hyksos, si occupava della prima parte di questa ricostruzione, l’identificazione fra Patriarchi e Hyksos e il “primo Esodo”, quello della tribù di Ephraim, il mio secondo, Exodus, tratta invece del contesto dell’Esodo di Mosè verso la fine della XVIII dinastia e gli intensi legami tra atonismo e monoteismo mosaico. Ciò che ho cercato di fare è stato andare oltre la Bibbia, come intitola l’opera in punto del prof. Mario Liverani36 , analizzando la narrazio- ne del Tanakh (Torah, profeti, salmi, libri di saggezza e annali detti storici, veterotestamentari), andando oltre il libro stesso, cercando un nucleo 36 LIVERANI 2012. 21
  • 22. storico che può avere dato nome, per esempio, al secondo libro della Bibbia. Quello che ho cercato di fare è stato prendere da un lato la Bibbia e capire che cosa di questa, per quanto concerne il II millennio a.C. in particolare, epoca più ardua da analizzare – per il I millennio i dati certi sono molti di più –, abbia a che fare con la Storia e che cosa con una ricostruzione teologica37 . Andare oltre la Bibbia dunque significa approcciarsi a essa, penetrarne il testo, sottoporla a un approccio filologico, ve- rificarne o falsificarne le affermazioni. La mia è dunque un’opera di comparazione tra il mito biblico e il contesto storico e archeologico del Vicino Oriente antico in senso esteso, ciò che gli studiosi angloamericani esprimono una bella espressione che è quella di Greater Mesopotamia. Io penso, infatti, come è tendenza negli ultimi anni, da parte degli accademici, studiosi del Vicino Oriente, che sia impossibile comprendere la storia, la metodologia o la cronologia di una cultura senza confrontarla con quelle vicine. Questo ci permette di capire quando è avvenuto un evento, come si fa normalmente per il millennio successivo, per esempio nel caso della presa, da parte degli Assiri, di Lakiš, la più grande fortezza della Giudea di I sec., oggetto di scavo archeologico dal 1973 fino al 1994 da parte di David Ussishkin38 . Senza i riferimenti epigrafici assiri che l’archeologia ci ha restituito sarebbe stato impossibile collocare questo evento biblico cronologicamente. Ecco dunque come sia fondamentale studiare la narrazione religiosa ebraica con un approccio comparativista che permetta di capire se, dietro alla narrazione biblica, vi sia parzialmente un nucleo storico, a cui si sovrappongano valori, ideologia di altre epoche, e perché. Un esempio ne è l’Esodo, che io ritengo il ricordo di più eventi verificatisi nel II millennio, di cui in particolare la genesi della citata con- tro-religione mosaica39 , come la definisce l’egittologo prof. Jan Assmann, la quale si oppone, come l’atonismo, a ciò che considera l’idolatria ca- nanea (ma non solo), nel primo caso, ed egizia nel secondo, racconto che però è altresì carico del sentimento di quanti vissero il ritorno in Giudea dopo la Cattività Babilonese. In conclusione, dal momento che buona parte della Siria-Palestina nel II millennio era spesso sottoposta all’influenza egizia, è al fertile “vicino di casa” nilotico che ho ritenuto di guardare con maggior attenzione per tentare il mio percorso di comparazione tra storia, archeologica ed epigrafia, da un lato, e mito e religione, dall’altro. Bibliografia essenziale Assmann J. 2000, Mosè l’egizio. Decrifrazione di una traccia di memoria, Milano, Adelphi. Assmann J. 2011, La distinzione mosaica ovvero Il prezzo del monoteismo, Milano, Adelphi. Atti degli apostoli, in C.E.I. 2009 (2008) b. Baccarini E., Di Lenardo A. 2018, Dall’India alla Bibbia. Remoti contatti tra India e Vicino Oriente antico, Firenze, Enigma. Burnett J.S. 2001, A Reassessment of Biblical Elohim, Atlanta, SBL Dissertation Series. Conferenza Episcopale Italiana, C.E.I. (a cura di), 2009 (2008) a, La Sacra Bibbia, vol. I, Milano, Mondadori. Conferenza Episcopale Italiana, C.E.I. (a cura di), 2009 (2008) b, La Sacra Bibbia, vol. III, Milano, Mondadori. De Angelis A., Di Lenardo A. 2017 (2016), Exodus. Dagli Hyksos a Mosè: analisi storia sull’Esodo biblico, Tivoli (Rm), Altera Veritas. Di Lenardo A. 2016, Israeliti e Hyksos. Ipotesi sul II Periodo Intermedio e la sua cronologia, Patti (Me), Kimerik. Di Lenardo A. 2017, Le guerre nascoste dalla Bibbia. La confederazione dei Nove Archi, Messina, Eterne Verità. Di Lenardo A., Melis L. 2018, Shardana e Shakalasa. I Popoli del Mare, Messina, Eterne Verità. Enciclopedia della Bibbia, Ed. LDC, vol. II, coll. 1289-1290. Eusebio, Cronaca. Evemero, Storia sacra. Flavio Giuseppe, Contro Apione. Frazer J. 2016 (1915), Il ramo d’oro, Newton Compton, Roma. Freud S. 2013, L’uomo Mosè e la nascita della religione monoteistica, Torino, Bollati Boringhieri. Giorgio Sincello, Selezione di cronografia. Izre’el Sh., Amurru Akkadian. A Linguistic Study, vol. I. Joüon P., Muraoka T. 2008, A grammar of Biblical Hebrew, Sub. Bib. 27. Krauss R. 1978, Das Ende der Amarna-Zeit, Gerstenberg, Hildesheim. Libro della Genesi, in C.E.I. 2009 (2008) a. Liverani M. 2012, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Roma-Bari, Laterza. Manetone, Storia d’Egitto. Meyer E. 1904, Ägyptische Chronologie, Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, Lipsia, Hinrichs. 37 SATLOW 2015. 38 USSISHKIN 1983, pp. 160-163; USSISHKIN 2004. 39 ASSMANN 2000; ASSMANN 2011. 22
  • 23. Pharaonic King-Lists, Annals and Day-Books. A Contribution to the Study of the Egyptian Sense of History 1986, Missisauga, Benben Publica- tions. Quilici B., Hawass Z. 2017, Enigma Nefertiti. Il più grande mistero dell’antico Egitto, Mondadori. Rainey A.F., Canaanite in the Amarna Tablets, vol. I, Leiden, Brill. Redford D.B. 1970, The Hyksos Invasion in History and Tradition, in «Orientalia», XXXIX. Röllig W. 1959, El als Gottesbezeichnung im Phönizischen, in von Kienle R., Festschrift Johannes Friedrich. Satlow M.L. 2015, E il Signore parlò a Mosè. Come la Bibbia divenne sacra, Torino, Bollati Boringhieri. Sofronio Eusebio Gerolamo, Cronaca. Tabor J.D. 2009., La dinastia di Gesù, Casale Monferrato (Al), Piemme. Ussishkin D. 1983, Excavations at Tel Lachish 1978-1983, second preliminary report, in «Tel Aviv», vol. X, n. 2. Ussishkin D. 2004, The Renewed Archaeological Excavations at Lachish (1973 – 1994), vol. IV, Tel Aviv, Tel Aviv University. Waddell L.A. 1927, Sumer-Aryan Dictionary. An Etymological Lexicon of the English and other Aryan Languages Ancient and Modern and the Sumerian Origin of Egyptian and its Hieroglyphs. Waddell L.A. 1930, Egyptian Civilization Its Sumerian Origin and Real Chronology. Weigall A. 2000 (1923), The Life and Times of Akhnaton, Cooper Square Press. 23
  • 24. www.harmakisedizioni.org CATALOGO GENERALE 3 harmakis EDIZIONI In questo libro l’autore Ahmed Osman sostie- ne che le radici della prima fede cristiana non provengono dalla Giudea, ma dall’Egitto. Egli paragona la cronologia del Vecchio Testamen- to e il suo contenuto con antichi documenti Egiziani per dimostrare che le vite dei perso- naggi principali delle Scritture Ebraiche, tra cui Salomone, Davide, Mosè e Giosuè, si ba- sano su dati storici Egiziani. Ahmed Osman CRISTIANESIMO UN’ANTICA RELIGIONE EGIZIA Pietro Testa HEKA LA MAGIA nell’ANTICO EGITTO SAGGI Nell’Antico Egitto il confine tra Magia e Religione è molto la- bile e molto spesso le due esperienze si fondono. La Magia nasce con atto creativo del Demiurgo, forza natura- le densa di vibrazioni tali da infondere vita al creato esprimendosi e materializzandosi nella parola. In ogni momento della cultura egizia- na, nell’architettura sacra, nella religione, nel vivere quotidiano, nella morte, la Magia è sem- pre presente in forma immanente o latente. L’argomento di questo libro è un testo religio- so dell’Antico Egitto dal titolo Amy-Duat, ciò che c’è nell’aldilà. Lo studio di questo grande testo che orna le camere funerarie dei re della XVIII dinastia, e che proseguirà con qualche variante nei secoli seguenti, non è dei più semplici e richiede una conoscenza abba- stanza approfondita della religione egiziana. Anche se la lettura potrebbe sembrare alquan- to noiosa, è pur vero che si tratta di penetrare in un campo della religione funeraria destinato e fruito dal sovrano e, in parte, anche dai co- muni mortali. Pietro Testa VIAGGIO nell’ALDILÀ dell’ANTICO EGITTO Prezzo: € 22,00 - ISBN 978-88-98301-49-2 E-book ISBN 978-88-98301-94-2 € 8,99 Prezzo: 19,90 - ISBN 978-88-98301-9-80 E-book ISBN 978-88-85519-06-0 € 9,99 Prezzo: € 26,00 - ISBN 978-88-98301-58-4 E-book ISBN 978-88-85519-07-7 € 10,99 Il Periodo Amarniano (1353-1336 a.C.). Indi- ca una tappa nella storia dell’Egitto durante la quale il faraone Akhena- ton regnò nella sua nuova capitale, Akhetaton. Il nome arabo del sito è Amarna, da cui il nome del Periodo Amarniano. Sul piano religioso, questo periodo è stato caratterizzato da un unico insie- me di riforme nella storia dell’antico Egitto, “il re eretico” proclamava il primato del dio sole Aton, chiuse i templi del dio tebano Amon, vietò il cul- to degli dei tradizionali e confiscò le proprietà della Chiesa allo Stato. Carl Niebuhr Leonardo Lovari IL PERIODO AMARNIANO Prezzo: 10,00 - ISBN 978-88-98301-95-9 E-book ISBN 978-88-85519-02-2 € 4,49 24
  • 25. IL VIAGGIO DELLA SACRA FAMIGLIA IN EGITTO L’arrivo di Gesù Cristo e della Sacra Famiglia è un evento importante avvenuto in Egitto. La storia ha inizio con un gruppo di saggi che pro- clamano Gesù come nuovo re degli Ebrei. Questo è il motivo per cui il re Erode (a quel tempo re della Giudea) si sentì minacciato e decise di ucciderlo. La Sacra Famiglia era partita da Betlemme per l’Egitto dopo che un angelo aveva raccomandato a Giuseppe di partire con Gesù e la Vergine Maria. Questi iniziarono il loro viaggio attraversando il nord del Sinai fino a raggiungere Farama. I posti in cui soggiornarono adesso sono stati trasformati in chiese e monasteri. La meta successiva del loro viaggio fu Tel Basta dove Gesù fece un miracolo. Benedì il posto creando una sorgente d’acqua a beneficio della terra. La Famiglia in seguito raggiunse Mostorod, conosciuta anche come el Mahamaah, ovvero “luogo del bagno”, nome che fu dato alla città perché la Vergine Maria vi bagnò Gesù bambino e vi lavò i suoi vestiti. In seguito, la Sacra Famiglia si diresse verso Belbeis, dove si sedette sotto l’ombra di un sicomoro, conosciuto anche come “L’albero della Ver- gine Maria.” Quando attraversarono il Nilo per raggiungere la città di Samanide, Gesù scavò un’altra sorgente d’acqua e quando furono a Sakha, si crede che Gesù abbia toccato una pietra e che dell’acqua pura sia uscita da essa. In seguito, la Sacra Famiglia viaggiò verso ovest nella Valle di Natroun, prima sede monacale a praticare la castità e la meditazione. Infine, essi si diressero nei distretti di Matariyah e Ain Shams a Il Cairo, dove Gesù creò una fonte d’acqua e la benedì. Poi la Vergine Maria lavò gli stracci di Gesù versando acqua sul terreno dove fiorì un abete balsamico, dalla cui essenza si ricava l’olio balsamico usato nei sacramenti come battesimo e cresima. La Sacra Famiglia continuò il suo viaggio per l’antica Il Cairo, dove trovò rifugio in una grotta. Qui, tra le mura della fortezza di Babilonia, fu in seguito costruita la Chiesa di Abi Serja. Tutta l’area è diventata meta di pellegrinaggi per egiziani e cristiani da tutto il mondo. 25
  • 26. La Sacra Famiglia si diresse poi verso Al-Maadi, dove, da vicino al Nilo, si imbarcò diretta a sud e molti anni dopo fu costruita la Chiesa della Vergine Maria. In seguito, la famiglia si recò a Minya, da dove attraversarono la riva est del Nilo. Qui, sulla cima di Gabal Al-Kaf (la montagna della Palma), sorge il Monastero della Vergine. Si crede che Gesù abbia lasciato l’impronta del suo palmo su una pietra della montagna. Da lì, la famiglia attraversò il Nilo in direzione ovest per raggiungere Quaaquam in Assiut e vi restò per più di sei mesi, sosta più lunga fatta in Egitto. Dopo aver trascorso oltre 3 anni in Egitto, la Sacra Famiglia ripercorse circa lo stesso cammino per tornare in Palestina. Per maggiori informazioni: Ente del Turismo Egiziano a Roma Via Barberini 47 00187 Roma Tel.: 06 4874219 Fax.: 06 4874156 http://it.egypt.travel 26
  • 27. IPAZIA DI ALESSANDRIA, MARTIRE DELLA TRADIZIONE E DEL LIBERO PENSIERO di Nicola Bizzi L’uscita nelle sale cinematografiche, nel mese di Aprile del 2010, di Agorà, il film del regista spagnolo Alejandro Amenábar, sottoposto a forti pressioni ecclesiastiche che in Italia ne hanno ritardato sensibilmente la distribuzione, ha avuto l’indiscusso merito di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica, dopo secoli di colpevole oblio, la figura della grande Filosofa, Iniziata e scienziata alessandrina, martire per eccellenza di quella Tradizione Occidentale che, in epoca tardo-antica, ancora resisteva con dignità e fierezza all’affermarsi di un pensiero unico distruttivo che si poneva con arroganza l’obiettivo di cancellare ed annientare millenni di civiltà, libero pensiero e idealità trascendente. La stragrande maggioranza dei testi storici che prendono in esame l’ultima fase dell’Impero Romano, tende a sottolineare la decadenza della civiltà tardo-antica, attribuendone le cause ad una non meglio precisata “crisi di identità” del mondo antico, ad una presunta crisi di valori spi- rituali e religiosi della società “pagana” che sarebbe - a detta di certi storici - la principale responsabile della crisi politica, economica e militare che portò progressivamente al cedimento e infine al tracollo della struttura statale imperiale e dei suoi ordinamenti. Ma si tratta di una visione distorta e assolutamente fuorviante. Se crisi vi fu, essa fu soprattutto o principalmente di natura economica e sociale. La vera crisi “spirituale” di quel periodo che va da Costantino fino alla caduta dell’Impero di Occidente nel 476 fu innescata non certo da una società “pagana” che gli storici arrogantemente si ostinano a definire “decadente”, ma dalla diffusione e infine dalla forzata imposizione del Cristianesimo, e quindi del venir meno di quel principio di rispetto, di tolleranza e di civile convivenza religiosa che aveva fino ad allora caratterizzato l’Impero, divenendone uno dei punti di forza, una delle colonne portanti. Roma, fin dai propri albori, pur avendo sviluppato un proprio peculiare sistema religioso, in buona misura derivato dalla civiltà etrusca, fon- dato sull’equilibrio fra la Pietas (sentimento religioso) e la Religio («Religio - come scrisse Cicerone - è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolte ad esseri superiori la cui natura definiamo divina»40 ) per il raggiungimento e il mantenimento della Pax Deorum, aveva infatti sempre mostrato il massimo rispetto nei confronti degli Dei e delle tradizioni religiose dei popoli che man mano aveva assoggettato e inglobato nella sua progressiva espansione territoriale. Uno dei punti di forza della Repubblica, e poi dell’Impero, era stato non solo il non in- terferire con le istituzioni religiose dei popoli vinti, ma addirittura il tutelarne e difenderne la libertà di culto. Un’unica e sola eccezione era stata fatta con la proibizione dei Baccanali nel 186 a.C., dovuta però - secondo la versione “ufficiale” - a motivi di ordine pubblico, in realtà al fatto che i Collegi Sacerdotali dell’Urbe avevano ben compreso la pericolosità della figura di Dioniso, tanto che si coalizzarono per contrastarla, sia con provvedimenti legali che mediante complesse funzioni rituali. Con l’integrazione e l’assorbimento della cultura ellenica da parte dei Romani, questo “punto di forza” fondato sul rispetto e la tolleranza toccò uno dei propri apici, determinando un notevole accrescimento morale, filosofico e spirituale della società. Grandi Imperatori come Lucio Domi- zio Enobarbo, conosciuto comunemente come Nerone, e, successivamente, gli Antonini, in primis Marco Aurelio e Publio Elio Adriano, furono fautori e artefici di uno splendido e vincente connubio fra la spiritualità e religiosità tradizionale latina e quella ellenica, cimentandosi in prima persona nello studio della Filosofia e nella conoscenza - anche iniziatica - della Weltanschauung ellenica ed orientale. A Roma e in tutte le città dell’Impero, dalla Gallia alle coste africane, dalla Pannonia alla Bitinia, dall’Illirico al Ponto Eusino, convivevano in armonia, a fianco dei Templi dedicati alla Triade Capitolina, Templi di Iside, Mitrei, Serapei, Santuari di Artemide e di Astarte, di Cibele e di Asclepio, di Demetra e Kore Persefone. Persino nell’ambito del più importante collegio sacerdotale di Roma, quello dei Fratres Arvales, del quale l’Imperatore Ottaviano Augusto fu Pontefice Massimo, si celebravano i Riti ed i Misteri della Dea Dia, un’esoterica personificazione latina della Dea Demetra. Chi conosce un’opera fondamentale della storia tardo-antica quale la Historia Nea di Zosimo, può comprendere quale fosse realmente il clima filosofico e religioso di quei tempi e quanto la responsabilità dell’inizio della decadenza sociale e politica di Roma sia da attribuire quindi non ad una presunta “crisi” religiosa del “paganesimo”, ma proprio al venir meno del prezioso equilibrio del rispetto e della tolleranza innescatosi con la presa del potere da parte di Costantino (306-337 d.C.) e con le sue devastanti politiche economiche, sociali e religiose. Parliamoci chiaro: una pesante crisi sociale ed economica era già in atto da tempo entro i confini dell’Impero. Anni turbolenti di guerre intestine e fratricide fra Imperatori spesso in carica per pochi anni e ancor più spesso destituiti con le armi da rivali militari e da usurpatori, invasioni barbariche e progressiva perdita del controllo imperiale su intere province periferiche, riforme monetarie sbagliate o incompiute: tutto questo e molti altri fattori ancora avevano portato alla necessità di una profonda riforma delle istituzioni imperiali e dell’esercito. Ma Costantino, una volta assicuratosi il pieno controllo del potere, invece di porre rimedio a questa situazione con riforme tese al rafforzamento dello Stato e delle istituzioni, sfaldò la compattezza delle legioni, mise l’esercito in condizione di non poter più difendere i confini, introdusse riforme economiche e monetarie devastanti e spalancò le porte all’intolleranza religiosa e alla dittatura di un’unica religione di matrice orientale, peraltro abilmen- te costruita a tavolino con l’introduzione in essa, in chiave sincretica, di elementi ed aspetti di altri culti dell’epoca, da quello isiaco a quello mithraico, fino a quello dionisiaco. Una religione, quindi, artefatta e costruita, delineata da quella colossale farsa che fu il Concilio di Nicea, e destinata ad essere imposta con la forza su tutte le altre. Nell’anno 313 d.C., con il controverso Editto di Milano, Costantino (che mai fu realmente Cristiano e che si sarebbe convertito alla nuova super- stitio, come vuole la tradizione, solo in punto di morte) aveva posto formalmente fine alle persecuzioni dei Cristiani, legittimandone il culto. Da lì il passo fu breve per dichiarare (nel 324) il Cristianesimo l’unica religione ufficiale dell’Impero. Dal Concilio di Nicea, convocato e presieduto dall’Imperatore l’anno seguente, nacque un perfetto connubio tra potere politico e potere religioso: Costantino si era in sintesi costruito in sede conciliare un’inedita forma teocratica di potere. Potere politico e potere religioso avevano formato un connubio inscindibile e indissolubile che presto avrebbe rivelato i suoi primi effetti. 40 Marco Tullio Cicerone: De Inventione, II°, 161. 27
  • 28. È attestato che l›apice delle persecuzioni e dell›intolleranza nei confronti dei «gentili», come ipocritamente venivano bollati tutti coloro che rifiutavano di assoggettarsi al battesimo cristiano, venne raggiunto sotto l›infausto regno di Teodosio «Il Grande» (379-395). Sotto Teodosio le sedi episcopali di Roma e Alessandria divennero depositarie delle regole religiose basate sul Credo niceno e la lotta contro l’Arianesimo si affiancò stabilmente alla lotta, sempre più spietata e brutale, contro tutti i culti non Cristiani. Il 27 Febbraio del 380 Teodosio ribadì l’esclusività e unicità del Cristianesimo quale religione dell’Impero, emanando un nuovo editto, passato tristemente alla storia come l’Editto di Tessalonica, o Cunctos Populos, avvallato congiuntamente, oltre che da Teodosio, da Graziano e da Va- lentiniano II° (che all’epoca aveva solo nove anni). Questo provvedimento fu di natura epocale, perché spianò letteralmente la strada alla forzata cristianizzazione dell’Impero Romano e non solo incrementò esponenzialmente le persecuzioni nei confronti delle altre religioni, con devastanti conseguenze sul piano umano e sociale, ma di fatto dette a tali persecuzioni piena legittimità. Esso dichiarava il Cristianesimo (secondo i canoni del credo niceno) la religione ufficiale dell’Impero, proibendo in primo luogo l’Arianesimo e le altre eresie e, secondariamente, anche tutti i culti non cristiani. L’editto riconosceva alle due sedi episcopali di Roma e di Alessandria d’Egitto il primato in materia di Teologia, ma di fatto spianava la strada al riconoscimento a tali autorità del vero potere politico e, insieme ad esso, del potere di vita o di morte su tutti i cittadini dell’Impero. Con questo inaudito editto, i non Cristiani, che ancora, nonostante quasi sessant’anni di libera diffusione della nefanda superstitio e di crescenti persecuzioni, si contavano a milioni, vennero bollati come “detestabili, eretici, stupidi e ciechi”. In un altro editto successivo Teodosio definì “insani” tutti coloro che non credevano nel Dio dei Cristiani e dichiarò fuorilegge tutti i dissensi dai dogmi imposti dalla Chiesa. L’azione persecutoria dilagò presto anche in Egitto, con la distruzione di Templi, statue e biblioteche e con l’uccisione di migliaia di Sacerdoti. Ad Alessandria, fra il 389 e il 390 il Patriarca Teofilo dette il via ad una pesante persecuzione contro i “gentili”, trasformando il Tempio di Dio- niso in una chiesa cristiana, facendo incendiare il Mitreo cittadino e il Tempio di Zeus e ridicolizzando pubblicamente i Sacerdoti (che vennero poi lapidati dalla folla). Alessandria d’Egitto rappresentava all’epoca, nonostante fossero già da tempo iniziate le persecuzioni cristiane contro i “gentili”, ancora una straordinaria fucina di fermento culturale, filosofico e scientifico, e la Scuola Neoplatonica costituiva un ponte ideale di collegamento fra idee e dottrine solo apparentemente contrastanti, ma che in realtà comunicavano più di quanto si possa immaginare. La tendenza erudita, che aveva man mano acquistato rilevanza nelle Scuole Neoplatoniche che la precedettero, era diventata qui prevalente, respingendo in secondo piano la speculazione prettamente metafisica. Il disinteresse per la costruzione della gerarchia emanatistica che era stata concepita nei suoi tre momenti della permanenza in sé, dell’uscita da sé e del ritorno in sé, aveva condotto all’abbandono di quel politeismo classico che in tale gerarchia era stato inquadrato, soprattutto ad opera della Scuola Siriaca. E proprio ad Alessandria, come alcuni storici delle religioni hanno sottolineato, le possibilità d’intesa del Neoplatonismo con alcune correnti del Cristianesimo (soprattutto con la Scuola Catechetica Alessandrina e con i movimenti gnostici) sembravano essere maggiori che altrove. Ma proprio la sensazione che il Neoplatonismo alessandrino potesse costituire un’alternativa valida al Cristianesimo intollerante allora al potere, ca- talizzando attorno a sé il vasto mondo delle dottrine gnostiche e delle correnti “eretiche” che mal sopportavano le azioni persecutorie dei seguaci di Cirillo, e il timore quindi che il potere teocratico dei Vescovi venisse minato dal basso e finisse per sgretolarsi, non altro fece che accentuare e accelerare l’azione persecutoria di questi ultimi. Si ebbero di conseguenza ad Alessandria numerose rivolte dei “gentili”, guidati dal Filosofo Olympius. Dopo una serie di cruenti scontri per le vie della città, essi si asserragliarono all’interno del Serapeion (il Tempio del Dio Serapide), decisi a resistere ad ogni costo. Ma, dopo, un lungo assedio, i Cristiani riuscirono ad espugnare l’edificio e a distruggerlo, dando così alle fiamme la più importante e famosa Biblioteca dell’anti- chità. Mappa di Alessandria d’Egitto al tempo di Ipazia (IV°-V° secolo). Si notino sulla destra il Tempio di Demetra e Kore-Persefone, la cosiddetta “Pianura Eleusina” e il grande Complesso Sotterraneo Eleusino 28