La stimolazione elettrica e il circolo vizioso dell'appagamento in François Morellet
1. La stimolazione elettrica e il circolo vizioso dell'appagamento in François
Morellet
di Marco Caccavo
Un'ampia retrospettiva è quella che il museo parigino Beaubourg dedica,
fino al 4 luglio, a François Morellet, padre fondatore del Groupe de
recherche d'art visuel (GRAV) che oscillò tra il rigore geometrico e l'aspetto
dadaista in cui la componente di caso e precarietà giocava un ruolo
fondante.
Morellet, riprendendo le intuizioni di Fontana innestate sulla scia dell'opera
di Pesanek, giunge ad un personale linguaggio visivo basato sul rigore
geometrico delle forme e lo shock elettrico cadenzato dei neon che
spiazza e assuefà il fruitore d'arte.
L'esposizione, intitolata Réinstallations, pone l'accento sull'aleatorio e il
fallace che fondano le installazioni che "devono morire per eventualmente
rinascere1". Queste opere, contaminate e ri-vitalizzate dallo spazio
circostante, anche se limitate dallo stesso, tentano di imprigionarlo per poi
rimodellarlo. I lavori di Morellet cedono al contesto, vero soggetto
d'esposizione, la propria finitezza e incapacità comprensiva, come in
L'avalanche o in Structure infinie de tétraeèdres limitée par les murs, sol,
plafond d'une pièce dove lo spazio è catturato, ma il cui nulla spaziale
sfugge. Le re-installazioni vivono in un colpo d'occhio, per poi andarsi a
ricostituirsi altrove, perchè sono composte "di elementi leggeri disposti in
maniera diversa a seconda dell'architettura di ciascun luogo espositivo".
Di assoluto valore sono le opere presentate alla Biennale parigina del '63,
qui riproposte, tra cui spicca la celeberrima Neon 0°-45°-90°-135° avec 4
rhytmes interférents, il cui scopo era, ed è, quello di far interagire
psichicamente lo spettatore fino a fargli perdere l'equilibrio, eliminando le
vie di fuga che creano e ordinano il contesto visivo. La prima stanza nera, in
cui si è inghiottiti, è illuminata da una serie intermittente di scariche
elettriche che attirano ed impegnano l'occhio. Lo spegnersi e l'accendersi
seriale dei neon imprigiona lo sguardo in un circolo vizioso visivo dal sapore,
per chi scrive, biancoacidonero che crea una giustapposizione di tracce
luminose aggressive e disarmanti. L'occhio, stimolato in maniera inconscia
dall'isterico balletto, viene addormentato e indotto al girarsi e rigirarsi come
assuefatto alla visione elettrica su sfondo nero. Velocità intermittente e
luce/acida provocano la perdita del perno, le vie di fuga di cui si parlava
un momento fa, sul quale innestare l'intero sistema di riferimento percettivo
ovvero il punto "0", fisso geometricamente e atemporale, da cui far partire il
ragionamento visivo.
Morellet canta il corpo elettrico tramite la simpatia di percezioni che
1 François Morellet, conversazione con Alfred Pacquement, estratto da CODE COULEUR 9 – gennaio/marzo 2011
2. stimolano il soggetto senziente rendendolo assolutamente conscio della
propria natura elettrica e del proprio linguaggio nervoso fatto di impulsi. I
tubi al neon colpiscono e attirano, ma anche turbano come nell'opera
Rouge, del 1964, incastrata nel fondo di una cabina nera e costituita da un
pannello bianco con la scritta omonima. Azionata dallo spettatore, tramite
una leva, l'opera subisce lampi di luce verdastra che contrastano
semanticamente con l'illuminare la parola Rouge/Rosso. Forma di sublime
repulsione/avvicinamento è quest'opera, essendo lo stesso spettatore ad
azionare coscientemente la leva che propone il cortocircuito
nervoso/emotivo.
L'opera estetica di Morellet è parsa un richiamo al corpo elettrico con cui il
nostro organismo s'intende per affinità: l'elettricità è svelata essere il nostro
linguaggio fatto d'impulsi che ci rendono assimilabili ad altri sistemi viventi,
come quello d'ordine vegetale.
Se l'occhio umano risponde meccanicamente agli on/off - acceso/spento
dei neon e si lascia guidare dagli stessi, potremmo abbandonarci al circolo
vizioso stimolo-reazione prevedibile del comportamentismo di skinneriana
memoria. Lo stesso psicologo, nel suo romanzo Walden Due2, suggerisce
altresì che la libertà umana non esiste, anche se ciò risulta di difficile
dimostrazione3.
L'impressione che l'opera di Morellet ha suscitato è esattamente il porre in dubbio
la propria libertà di andare oltre lo stimolo appagato che imprigiona la visione.
Tuttavia una riflessione si impone, ovvero quella riguardo il perchè lo spettatore
dell'opera di Morellet ora sia qui, a scrivere e ragionare di un circolo e, quindi, fuori
dallo stesso. Si potrebbe postulare un moto d'orgoglio superomistico che, pur nella
piacevole assuefazione allo stimolo, ci spinge ad uscir-fuori-di-noi tralasciando il
corpo all'impulso, offrendo così la coscienza al ragionamento. Un motivo in più per
credere, sposando le tesi della Gestalt, che il tutto è più della somma delle parti e
l'uomo pensante sia un più, un inafferrabile e divino più, della semplice somma
algebrica di stimolazioni esterne impresse in una tabula rasa senziente.
Marco Caccavo è laureato in Filosofia, giornalista pubblicista, insegna lingua e
letteratura italiana in Francia, si occupa di estetica del XVIII secolo ed
attualmente è impegnato in un dottorato di ricerca in estetica e letteratura
francese presso l'Université Lyon 2 Lumière.
2 B. F. Skinner, Walden Due. Utopia per una nuova società, La Nuova Italia, Firenze, 1975 (ed. or. 1948),
3 "La mia risposta è abbastanza semplice», disse Frazier. «Nego completamente che esista la libertà. Devo negarla...
altrimenti il mio programma sarebbe assurdo. Non ci può essere una scienza riguardante un settore che salta
capricciosamente qua e là. Forse non potremo mai dimostrare che l'uomo non è libero; è una supposizione. Ma il
sempre maggior successo di una scienza del comportamento rende tale supposizione via via più plausibile". Ibid. p.
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