Intervento di Giovanni Caliceti, Studio Legale Tributario Martelli Caliceti e Associati, al 19° Meeting Nazionale ACEF - Sotto i cieli d'Europa. 8 - 15 - 22 - 29 novembre 2019, Bologna, Confindustria Emilia Area Centro
1. Avv. Mario Martelli
Avv. Eleonora Addarii
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Avv. Giovanni Caliceti
Avv. Roberto Clarizia
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Qualche mese fa mi è capitato di tenere un intervento ad un Corso di formazione per gestori della
crisi da sovraindebitamento e il tema fu ovviamente incentrato sui profili tributari delle procedure
previste dalla L. n. 3/2012.
Ebbene fu una occasione assai interessante di confronto con molti avvocati e commercialisti sia su
aspetti più squisitamente giuridici ma anche su aspetti per così dire metagiuridici e cioè economico
sociali.
Ci trovammo concordi intanto sulla portata complessiva del fenomeno genericamente inteso come
sovraindebitamento e cioè sui numeri elevatissimi che potenzialmente compongono la platea di
consumatori, lavoratori autonomi, ditte individuali e società c.d. sotto soglia.
D'altronde per capire la portata economico sociale del fenomeno forse qualche dato aiuta.
Se è vero che a fronte di:
- N. fallimenti aperti nei primi sei mesi del 2019 circa 5.600;
- Concordati preventivi aperti nei primi sei mesi del 2019 n. 700;
- Liquidazioni coatte nei primi sei mesi del 2019 n. 160;
E’ pure vero che troviamo anche:
- Liquidazioni volontarie nei primi sei mesi del 2019 n. 30.000;
- Esecuzioni immobiliari nel 2018 n. 245.000 di cui il 75% riguarda immobili abitativi;
- Esecuzioni mobiliari pure esse in aumento e con numeri circa doppi rispetto a quelle
immobiliari
Difficile stabilire con esattezza quante liquidazioni volontarie riguardino società non fallibili e quante
di quelle liquidazioni si chiudono con debiti impagati.
Forse più facile intuire, all’interno delle procedure esecutive individuali, che la più gran parte
riguardano persone fisiche o comunque soggetti non fallibili.
Quel che è certo che la platea dei soggetti potenzialmente rientranti nel perimetro della legge sul
sovraindebitamento è vastissimo.
Dunque un fenomeno non certo di serie B e di cui si dovrà tenere conto nei prossimi anni anche solo
per l’impatto sull’attività professionale che potrebbe avere.
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Ci trovammo anche concordi nel rilevare che la disciplina ancora in vigore ha profili ed aspetti di
assoluta miopia e manca di coraggio perché, all’atto pratico, esclude dalla procedura di
sovraindebitamento una gran parte proprio dei soggetti pensando ai quali il Legislatore italiano aveva
introdotto la legge - buono ultimo tra i paesi più avanzati che già conoscono istituti similari da un
trentennio almeno -.
Ciò nonostante fosse fin da subito chiaro che il Legislatore con le norme del 2012 avesse tentato di
rincorre il furore di certa opinione pubblica e di tutta la politica introducendo rimedi e strumenti che
venissero incontro a situazioni oramai insostenibili per un numero importante di cittadini.
Non mi riferisco solo al mancato inserimento nella legge delle società sotto soglia.
Ma soprattutto all’interno di quelle norme non compaiono interventi significativi o convincenti
proprio verso quella categoria di debiti che più spesso affligge il soggetto non fallibile o sotto soglia.
Mi riferisco soprattutto a uno degli argomenti preferiti dai talk show e dalle ultime campagne
elettorali: l’indebitamento fiscale dei cittadini e delle piccole imprese che, sarebbe effettivamente
sbagliato negarcelo, è uno degli elementi più spesso caratterizzanti quelle «situazioni di
sovraindebitamento» a cui quella legge diceva di voler porre rimedio.
E’ l’esperienza quotidiana a dirci che i debiti latu senso tributari e previdenziali sono, per ragioni più
o meno confessabili, il vero motivo del default del consumatore e ancora di più del lavoratore
autonomo, del piccolo imprenditore e della piccola società.
Dunque tutto consigliava, con le opportune cautele e nel rispetto del principio della indisponibilità
dell’obbligazione tributaria, che già nel 2012 si fossero previsti anche per questi soggetti non fallibili
strumenti e procedure che consentissero di uscire davvero dall’empasse verso il creditore più
importante e spesso unico tramite accordi chiari oggettivamente sopportabili e soprattutto sotto il
controllo di un giudice.
Ciò non poteva avvenire con la L. n. 3/2012 il cui articolo 7 è chiaro: «Il debitore in stato di
sovraindebitamento può proporre ai creditori… un accordo di ristrutturazione dei debiti e di
soddisfazione dei crediti…. In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie
dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano
può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento...».
Nemmeno era percorribile la transazione fiscale e ciò per una ragione assai semplice.
Era condizione di ammissibilità del piano che i tributi unionali, l’Iva e le ritenute fossero pagate per
intero.
E tale obbligo è addirittura rafforzato dall’altra espressa previsione per cui il loro mancato pagamento
sempre per intero è causa immediata di cessazione degli effetti dell’omologazione.
Chiaramente era una scelta del tutto controcorrente o, quanto meno, non coerente con l’evoluzione
avuta dall’istituto in ambito più prettamente concorsuale, la Legge 3/2012 è rimasta a difesa serrata
della posizione di privilegio del Amministrazione fiscale.
3. 3
Unica via d’uscita vigente la L. 3/2012 restava la Liquidazione totale del patrimonio che sì permette
la falcidiabilità di tutti indistintamente i tributi compresa iva e ritenute ma al prezzo di dismettere
l’intero patrimonio di cui al termine della procedura nulla resta al debitore di fatto messo in
condizione, qualora imprenditore, di non risollevarsi più.
Oltre alla miopia di cui dicevo, da più parti si lamentavano profili di incoerenza di irragionevolezza
e diseguaglianza tra i due comparti - sovraindebitamento e fallimento - all’interno dei quali non era
difficile individuare violazioni dei principi costituzionali di uguaglianza art. 3 e di capacità
contributiva art. 56.
Il consumatore e il piccolo imprenditore non fallibili avevano un trattamento fiscale palesemente
deteriore rispetto ai “fortunati” che potevano fallire.
Ebbene, guardando il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza si può senz’altro dire che
un grande passo in avanti è stato fatto.
Intanto il Legislatore ci dice di aver compreso che il problema “sovraindebitamento” è una questione
epocale.
E ce lo dice mettendo a sistema gli strumenti per la sua soluzione. Cioè inserendo la relativa disciplina
all’interno di un corpus di norme che prende il nome di “codice della crisi”.
Non una disciplina raffazzonata o residuale ma ben 35 articoli espressamente dedicati e raggruppati
in 4 sezioni.
Dunque la crisi del consumatore del lavoratore autonomo della ditta individuale e della società sotto
soglia hanno, per il legislatore del Codice, pari dignità ed importanza rispetto alla crisi
dell’imprenditore più grande.
Già l’art. 2 che il Codice dedica alle “definizioni” è di assoluto significato:
«Ai fini del presente codice si intende per:
… omissis…
c) «sovraindebitamento»: lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista,
dell'imprenditore minore, dell'imprenditore agricolo, delle start-up innovative… e di ogni altro
debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa
o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o
insolvenza;
d) «impresa minore»: l'impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo
patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi
antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio
dell'attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare
complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di
deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata
inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; …;
e) «consumatore»: la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale,
commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società
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appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile,
per i debiti estranei a quelli sociali».
Due dati sono confermati: 1) l’ampiezza della platea di soggetti potenzialmente interessabili dal
Codice della Crisi; 2) in un sistema come l’Italia fondato su partite Iva e piccole e piccolissime realtà
economiche, l’importanza quali quantitativa della definizione di “impresa minore” che anche in veste
societaria oggi potrà avvalersi dei sistemi di soluzione delle crisi fissati dal codice.
Ma soprattutto, ed è quello che in questa sede più mi importa di sottolineare, il Legislatore del Codice
ha avuto il coraggio mancato con la L. 3/2012.
Dunque con le opportune cautele e nel rispetto del principio della indisponibilità dell’obbligazione
tributaria è consentito oggi al debitore di cui sia verificata la meritevolezza di uscire davvero
dall’empasse con tutti i creditori compreso quello più importante e spesso unico cioè il Fisco tramite
un procedimento vagliato e vigilato dagli Organismi di Composizione della Crisi con accordi chiari
oggettivamente sopportabili e soprattutto sotto il controllo di un giudice.
E se è imprenditore o professionista gli è offerta la possibilità di ricominciare la propria attività.
Scompaiono distinzioni tra creditori di serie a) e creditori di serie b) scompaiono pure crediti ex lege
non falcidiabili e da pagare per intero come Iva e ritenute.
Compaiano anche in questo ambito i “normali” criteri di distinzione e di potenziale falcidia tra crediti
validi anche per le procedure maggiori. E, questo è di assoluto rilievo, non solo all’interno della
procedura di liquidazione controllata del patrimonio.
Il consumatore potrà ristrutturare i propri debiti con un piano in cui «E' possibile prevedere che i
crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti non integralmente, allorché
ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della
collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato
attribuibile ai beni o ai diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dall'OCC» (art. 67,
comma 4);
Il concordato minore potrà «prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano
essere soddisfatti non integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore
a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione,
avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di
prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi» (art. 75, comma 2).
Il concordato minore verrà omologato anche «Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato
contesta la convenienza della proposta, il giudice, sentiti il debitore e l'OCC, omologa il concordato
minore se ritiene che il credito dell'opponente possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in
misura non inferiore all'alternativa liquidatoria. Il giudice omologa altresì il concordato minore
anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria quando l'adesione è
decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui all'art. 79, comma 1, e, anche sulla base
delle risultanze, sul punto, della specifica relazione dell'OCC, la proposta di soddisfacimento
dell'amministrazione è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria» (art. 80, comma 3).
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Ad onor del vero credo che lo sforzo innovativo del Legislatore sia stato indotto anche dalla più
recente evoluzione giurisprudenziale sia unionale che nazionale.
E’ stata la Corte di Giustizia che con la sentenza Degano Trasporti del 7 aprile 2016 (C-546/14)
pronunciata su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Udine, a chiarire la portata e i limiti del principio
di “intangibilità” o per meglio dire di “irrinunciabilità” dell’IVA come imposta comunitaria:
«…. l’ammissione di un pagamento parziale di un credito Iva, da parte di un imprenditore in stato di
insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo che, a differenza delle misure di
cui trattasi nelle cause che hanno dato origine alle sentenze Commissione/Italia (C132/06,
EU:C:2008:412) e Commissione / I t a l i a (C174/07, EU:C:2008:704) cui fa riferimento il giudice
del rinvio, non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’Iva, non è
contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’Iva nel loro territorio,
nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione».
L’impatto di questa pronuncia è stato sicuramente grande, dal momento che ha tolto qualsiasi
fondamento al principio di intangibilità del credito IVA, introdotto dal legislatore in via prudenziale
sulla scorta delle pronunce europee in tema di condoni.
Quasi contemporaneamente si è quindi verificata:
1) il radicale mutamento della giurisprudenza nazionale che ha recepito i principi affermati dai
giudici europei (cfr. Cass., SS.UU. 27 dicembre 2016, n. 26988);
2) la presa d’atto da parte del Legislatore che i crediti privilegiati anche di fonte erariale possono
essere falcidiati laddove sia dimostrabile che una liquidazione integrale del patrimonio non
porterebbe alcun vantaggio ai creditori tra i quali vi è il Fisco.
Ma non è tutto.
Sempre in un quadro di opportune cautele è oggi consentito a quei debitori impropriamente definiti
minori di ricominciare davvero vedendosi azzerati i debiti verso qualunque creditore Fisco compreso.
Il Legislatore della crisi ha infatti dedicato 6 norme all’istituto dell’esdebitazione per i casi della
liquidazione controllata del patrimonio e pure per i casi del procedimento da sovraindebitamento.
Bene evidenziare che correttamente il Legislatore non la concede a zero condizioni ma meritevolezza
e buona condotta del debitore restano sempre sullo sfondo delle norme e devono essere valutate e
accertate dal giudice.
E al giudice resta sempre l’ultima parola. Insomma nessun automatismo.
Ecco allora che l’esdebitazione nella liquidazione controllata del patrimonio si avrà a patto che il
debitore:
«a) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per
delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione
con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per essi sia intervenuta la riabilitazione…;
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b) non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto
rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto
ricorso abusivo al credito;
c) non abbia ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura e abbia fornito agli organi ad
essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento;
d) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine
per l'esdebitazione;
e) non abbia già beneficiato dell'esdebitazione per due volte» (art. 280).
Anche la persona fisica sovraindebitata potrà ottenere l’esdebitazione completa a patto che:
«1. Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità,
diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta,
fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove
sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non
inferiore al dieci per cento. Non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i
finanziamenti, in qualsiasi forma erogati.
2. La valutazione di rilevanza di cui al comma 1 deve essere condotta su base annua, dedotte le spese
di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in
misura pari all'assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente
al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell'ISEE di cui al decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159.
…
7. Il giudice, assunte le informazioni ritenute utili, valutata la meritevolezza del debitore e verificata,
a tal fine, l'assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione
dell'indebitamento, concede con decreto l'esdebitazione…
…
9. L'OCC, nei quattro anni successivi al deposito del decreto che concede l'esdebitazione, vigila sulla
tempestività del deposito della dichiarazione di cui al comma 7 e, se il giudice ne fa richiesta, compie
le verifiche necessarie per accertare l'esistenza di sopravvenienze rilevanti ai sensi dei commi 1 e 2»
(art. 283).
Da queste poche notazioni mi sembra di poter trarre alcune considerazioni che sono poi il motivo per
cui, leggendo il Codice della Crisi la mia attenzione è caduta sul sovraindebitamento.
Un corpus vero e proprio di norme innovative soprattutto sotto il profilo dei futuri e tutti da costruire
rapporti tra cittadino e piccoli imprenditori in crisi e Fisco.
Un corpus di norme che ha la potenzialità di intercettare numeri ben maggiori di crisi rispetto alle
procedure concorsuali per così dire storiche e, in un sistema Italia fatto di partite iva e piccole realtà,
con ricadute sul tessuto economico e sociale imprevedibile ma potenzialmente assai positive.
Ma, come sempre, sarà la pratica applicativa a darci il responso.
Bologna, 15 novembre 2019
Giovanni Caliceti