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Forza al femminile

NUMERO 7

1984. Ogni storia porta con sè e rivela tutto il sentire
umano, la scienza e la coscienza, ragione ed emozione.
Questa storia, quindi, come le altre, è ricca, ed è piena
ed è soprattutto vissuta, proprio attraverso emozioni,
sudore e sudori, gioie e fatiche, quindi davvero tutto lo
scibile umano. Tutto cominciò nel 1984, quando il Congresso della IWF approvò la pratica del sollevamento
pesi femminile, includendolo nella costituzione così come
nel regolamento tecnico del ciclo olimpico 1984-1988.
Al Congresso IWF di Los Angeles fu abolito, inoltre, il
termine ‘per soli uomini’ aprendo definitivamente le porte alla donna nel sollevamento pesi. Dovevano essere
risolti prima delle competizioni ufficiali di sollevamento
pesi i dettagli, come categorie di peso, procedura di
pesatura, arbitri e attrezzatura.
1986. Il primo torneo internazionale
Il primo torneo internazionale IWF femminile fu organizzato in concomitanza con la Pannonia Cup a Budapest,
il 21-23 marzo del 1986. Già da un paio di anni prima
di questo torneo, le donne pesiste erano state molto
attive a livello nazionale. Campionati furono organizzati
in USA, Cina, India, Australia e in diversi paesi europei.
Alla prima gara organizzata IWF ufficiale a Budapest, 23
donne gareggiarono, in rappresentanza di Cina, Ungheria, Gran Bretagna, Canada e USA. Fu di Arlys Kovac,
USA, il miglior risultato tecnico, con una performance di
75 kg nello strappo e 90 kg nello slancio nella categoria
di 67,5 kg.
1987. Il primo campionato mondiale femminile
L
’anno successivo al torneo di Budapest fu organizzato il primo campionato mondiale per sole donne. Fu abbastanza naturale che la Federazione statunitense di
pesistica organizzasse questo primo Campionato del
Mondo a Daytona Beach, Florida, perché il sollevamento
pesi femminile in quel Paese aveva già sviluppato davvero
un alto livello, in termini sia organizzativi, che di successi sportivi. Parteciparono 100 donne provenienti da 23
Paesi, 38 delle quali provenienti da 9 Paesi dell’Europa,
in rappresentanza cioè di: Gran Bretagna, Spagna, Norvegia, Ungheria, Bulgaria, Italia (eccola, eccoci!), Francia, Finlandia e Islanda. Nove dei vincitori provenivano
dalla Cina, una dagli Stati Uniti d’America, Karyn Tarter.
1988. Il primo campionato europeo
Il primo Campionato Europeo Senior fu organizzato nel
1988 a San Marino sotto l’organizzazione della EWF; il
motore del comitato organizzatore fu Marino Ercolani
Casadei. Gareggiarono 67 donne pesiste provenienti da
13 Nazioni. Le nazioni presenti a San Marino in questo
primo campionato continentale organizzato dalla EWF

EDITORIALE
Antonio Urso

Presidente FIPE

furono: Italia, Grecia, Gran Bretagna, Finlandia, Ungheria, Spagna, Portogallo, Austria, Bulgaria, Francia, Germania, San Marino e la Norvegia. Tra i vincitori emersero
Maria Christoforidi, Grecia, e Milena Trendafilova, Bulgaria. Queste due donne in seguito divennero due delle
donne di maggior successo nella storia della pesistica
europea di sollevamento insieme all’ungherese Maria.
L
’Italia vinse il primo oro nella categoria 48 Kg con la
genovese Roberta Sforza. Le edizioni del 1989 e 1990
furono organizzate con la stessa formula, ovvero campionati separati da quelli maschili, successivamente a
Varna, nel 1991, fu organizzata una competizione unitamente ai Campionati Europei Junior maschili. È solo dal
1998, dall’edizione di Riesa, Germania, che le pesiste
della classe senior gareggiarono insieme ai Campionati
senior maschili nello stesso tempo e luogo. La più grande
partecipazione delle donne ad un campionato continentale fino ad allora fu registrata nell’edizione organizzata
a Kiev, Ucraina, nel 2004, con 110 concorrenti, grazie
soprattutto al fatto che il Campionato aveva valenza di
qualificazione olimpica. Anche Nazioni forti come la Russia e la Polonia nel sollevamento si organizzarono portando una squadra femminile agli europei nel 1993 e nel
1996. Valentina Popova è una delle più famose pesiste
russe, mentre Agata Wrobel è la più conosciuta donna
atleta polacca fino ad ora. Oggi l’EWF ha ben 48 federazioni affiliate, ciascuna espressione di un Paese, e tutte
prevedono la pesistica femminile nel loro programma.
2000. Pesistica femminile ai Giochi Olimpici
Il CIO accettò il programma del sollevamento pesi femminile ai Giochi Olimpici per la prima volta a Sydney nel
2000. Da questa prima edizione, il 2000 appunto, si può
parlare di piena parità di condizione con il sollevamento
maschile. A Sydney nel 2000, ben 85 pesiste provenienti da 47 Nazioni hanno gareggiato per conquistare una
medaglia, di queste 26 furono le atlete provenienti da
14 Nazioni europee. Nessuna atleta europea vinse una
medaglia d’oro, ma Popova (Russia), Markus (Ungheria)
e la Polacca Wrobel, vinsero medaglie d’argento, mentre
la greca Chatziioannou vinse il bronzo. I dati provenienti
dalle Olimpiadi di Atene 2004 furono esattamente come
l’edizione del 2000: 85 pesiste presenti, provenienti da
tutto il mondo: 28 di esse erano europee provenienti da
11 Nazioni. Il medagliere fu più favorevole per le pesiste
europee: 2 medaglie d’oro, Taylan, Turchia, nella categoria dei 48 kg, e Skakun, Ucraina, oro nella categoria
63 kg.

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 3-4

I primi trent’anni della
pesistica in rosa

1998. European Junior Women Championships
Il primo Campionato Europeo femminile Junior fu invece
organizzato a Sofia, in Bulgaria, in concomitanza con i
Campionati Europei Junior Men nel 1998.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

3
La macchina
che c’è in me

S&C

LA FORZA NELLA
TERZA E QUARTA ETÀ
Menotti Calvani

Introduzione
La forza è una grandezza fisica vettoriale, in quanto caratterizzata da una direzione e da una intensità, che
si manifesta nella interazione di due o più corpi capace di modificare lo stato di quiete o di moto degli stessi corpi. Il muscolo, con la sua capacità di contrarsi, manifesta la sua proprietà fisica di opporsi ad una
resistenza: in poche parole, è capace di produrre lavoro facendo muovere l’individuo o sollevando pesi.
Il lavoro fondamentale di Maughan del 1983 ha dimostrato che la forza è proporzionale alla sezione
trasversa dei muscoli.
Il tipo di forza che il muscolo può produrre dipende dalla composizione delle sue fibre (vedi Tab. n.1).
Ma la forza è anche legata alla frequenza con la quale i nervi stimolano le fibre muscolari e alla quantità di unità motorie (neurone + le fibre muscolari innervate dal neurone stesso) che vengono attivate
simultaneamente.
È osservazione comune che il nostro corpo cambia con l’età ed è intuibile che nell’arco della vita cambi
anche la forza.
Classificazione delle fibre muscolari
Tipo di fibra

I

IIA

IIB

Colore

rossa

rosa

bianca

Contrazione

lenta

rapida

rapida

Metabolismo

ossidativo

glicolitico / ossidativo

glicolitico

Affaticabilità

scarsa

intermedia

MENOTTI CALVANI
Medico,
specializzato
in neurologia,
farmacologia
clinica oltre che in
tossicologia
medica, si è
laureato in scienza
della nutrizione
umana.
Ha pubblicato
oltre 200 articoli
scientifici su riviste
internazionali
prevalentemente
sui temi del
metabolismo, sui
mitocondri e sulle
patologie
degenerative.

elevata

Tab. n.1 - Classif icazione delle f ibre muscolari

Per quanto riguarda i sessi, gli uomini, che in
media hanno una massa muscolare più grande di
quella della donna, con l’avanzare degli anni perdono più muscolo. Tra i 60 e i 69 anni, tale perdita
può raggiungere il 10% contro l’8% della donna
e dopo gli 80 anni la forbice si allarga portandosi
al 40% e 18% rispettivamente nell’ uomo e nella
donna.
La massa muscolare è direttamente correlata
all’aspettativa di vita e ha una correlazione inversa con la non autonomia: non perdere muscolo
significa vivere più a lungo e senza malattie debilitanti. Le donne che notoriamente sono più longeve degli uomini mantengono più a lungo il proprio
patrimonio muscolare.
La perdita muscolare superiore alla media + 2 deviazioni standard della massa muscolare dei soggetti di pari età ed in salute, è definita sarcopenia:
ne è affetta in media il 13±24% della popolazione
tra i 60 e i 70 anni, il 50% delle persone con età
>80 anni. Anche in questo caso, tra gli over 75,
il 58% sono uomini contro il 45% delle donne. Il
maggiore declino maschile è stato imputato alla
minore produzione di ormoni ad attività anabolica
quali gli androgeni, l’ormone della crescita, l’Insulin like Growth Factor.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 5-9

Andamento della forza nel tempo
La forza raggiunge il suo apice verso i 30-35 anni
e si mantiene fino verso i 40, successivamente
decresce in maniera lenta, ma senza averne percezione in assenza di lavori gravosi, fino a 50-60
anni.
Il decrescere della forza se non ci sono malattie è,
comunque, legato allo stato di allenamento ma, in
assenza di attività fisica adeguata, già a partire
dai 30 anni la forza si riduce di circa il 10±15%
per decade. A 65 anni, la perdita di forza può arrivare al 25% e superare il 40% negli ultra ottuagenari.
L
’uso di mezzi diagnostici quali la DEXA, l’ecografia, la risonanza magnetica o i reperti autoptici
hanno permesso di stabilire che la massa muscolare rappresenta il 50% in peso dell’intero organismo, ma ne hanno anche evidenziato una riduzione
fino al 40% tra i 20 e i 40 anni, in condizioni di
abitudini sedentarie.
L
’uso di strumenti che forniscono immagini capaci
di discriminare le strutture anatomiche degli arti
e/o del tronco si rendono indispensabili in quanto
il tessuto muscolare col passare degli anni viene
sostituito dai tessuti connettivo e adiposo, non
apprezzabili con le misurazioni antropometriche.
La presenza di tessuto adiposo nel muscolo è ad
esempio tipico degli obesi e contribuisce alla riduzione della massa contrattile a qualsiasi età.

5
8/13 12.45

S&C
Antonio Paoli
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Padova

DIETA CHETOGENICA:

ANTONIO PAOLI
Diploma
ISEF, Laurea
in Medicina
e Chirurgia,
Specializzazione
in Medicina dello
Sport. Professore
associato
di Metodi e
Didattiche
delle attività
Motorie presso
il Dipartimento
di Scienze
Biomediche
dell’Università di
Padova.

facciamo il punto.

Cos’è la dieta chetogenica
apporto proteico adeguato, in modo da mantenere la massa magra, e sono state spesso chiamate, infatti, anche digiuno modificato “modified
fasting diet” (4) o diete a bassi carboidrati ed a
risparmio proteico, “low carbohydrate protein sparing modified diet” (3). Ma queste diete hanno conosciuto una forte diffusione, a partire dal 1972,
con la pubblicazione del libro Dr. Atkins (2), che
proponeva una drastica riduzione dei carboidrati
ai fini di un rapido ed efficace dimagrimento. Dalla
pubblicazione di quel libro, gli studi sulle diete chetogeniche si sono moltiplicati ma, nonostante la
dimostrata efficacia sulla riduzione del peso corporeo nonchè sulla riduzione dei markers dell’infiammazione e del rischio cardiovascolare (35),
quest’arma terapeutica viene spesso ignorata o
rifiutata da molti professionisti del campo della
nutrizione. Questo rifiuto aprioristico è spesso
motivato da una scarsa conoscenza dei meccanismi legati alla chetosi.

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 11-16

Con il termine dieta chetogenica si definisce un
regime alimentare basato su una drastica riduzione dell’assunzione di carboidrati, associata o
meno con un relativo aumento della quota di proteine e grassi (23). Lo stato metabolico delle diete chetogeniche è riconducibile, per molti versi,
al digiuno; anche nel digiuno, infatti, si instaura
quello stato metabolico particolare conosciuto
sotto il nome di chetosi. I primi studi scientifici
approfonditi su questa condizione metabolica furono quelli condotti dal gruppo di Cahill negli anni
‘60, partendo appunto dalla condizione di “fasted”
o “a digiuno” (9, 22).
Quella del digiuno è infatti una pratica, o meglio
una tecnica, usata da millenni per raggiungere
particolari stati di benessere spirituali durante
rituali o pratiche religiose. Anche nell’Antico Testamento, come nel Corano e nel Mahabharata,
si fa cenno a questa pratica ascetica. Possiamo
trovare un riferimento al digiuno, ad esempio, in
Matteo (17,14-21) dove, nell’episodio dell’epilettico guarito, si dice: “Questa razza di demòni non si
scaccia se non con la preghiera e il digiuno”; e non
a caso si parla di digiuno a proposito di epilessia,
in quanto è noto fin dagli anni 20 del secolo scorso
come la chetosi (e quindi il digiuno) sia in grado di
migliorare alcuni tipi di epilessia (28). Ovviamente,
uno dei problemi del digiuno è il progressivo depauperamento delle riserve proteiche dell’organismo.
Le diete chetogeniche moderne, invece, cercano
di indurre uno stato di chetosi, fornendo però un

Che cos’è la chetosi
Senza carboidrati, il nostro corpo non può seguire
le vie metaboliche che utilizza solitamente per assimilare i grassi. Dopo pochi giorni di digiuno o di
dieta con riduzione drastica dei carboidrati (meno
di 20 g al giorno), il glucosio di riserva del corpo
diventa insufficiente per consentire sia la normale ossidazione dei grassi attraverso la fornitura

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

11
S&C
Gian Nicola Bisciotti

).

GIAN NICOLA
BISCIOTTI
Physiologist
Lead c/o Qatar
Orthopaedic and
Sport Medicine
Hospital, FiFA
Center, Doha (Q).
Senior Coordinator
Kinemove
Rehabilitation
Centers,
Pontremoli, Parma,
La Spezia (I).

alc
2.
rio-

w
e-

uee

ed
7-

PAROLE CHIAVE
tendinopatia,
nervo sciatico,
sindrome
compressiva.

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L’HAMSTRING SYNDROME
(La sindrome degli ischiocrurali)

Introduzione
L
’hamstring syndrome (HS) venne descritta per
la prima volta da Puranen ed Horawa nel 1988 ed
inquadrata nell’ambito di una tendinopatia inserzionale prossimale degli hamstring. Classicamente con il termine di HS s’intende appunto una tendinopatia inserzionale prossimale degli hamstring
in cui la formazione di un tessuto fibrotico, associato ad una pregressa lesione della componente
tendinea o una sua degenerazione che comporti
un aumento del calibro del tendine stesso, causi una compressione a livello dell’adiacente nervo
sciatico (Puranen e Horawa, 1988, Sherry 2012).
Molto spesso, quindi, la HS rappresenta un esito
di lesione parziale della UMT prossimale degli hamstring (Puranen e Horawa, 1988; Askling e coll.,
2006; Lempainen e coll., 2009; Saikku e coll.,
2010; Cacchio e coll., 2011). In letteratura, la

HS si ritrova associata a pregressi eventi lesivi indiretti della UMT degli hamstring in una percentuale compresa tra il 76% ed il 19% dei casi
(Agre, 1985; Hartig, 1999; Fredericson e coll.,
2005; Clark, 2008; Young e coll., 2008; Lempainen e coll., 2009; Benazzo e coll., 2013).
Anche se inizialmente l’HS è stata descritta in
una popolazione di sprinter (Puranen e Horawa,
1988), le evidenze più recenti suggeriscono di
come sia invece di maggior riscontro nei mezzofondisti, nei calciatori e negli sciatori di fondo (Puranen e Horawa, 1988; Fredericson e coll., 2005;
Lempainen e coll., 2009; Cacchio e coll., 2011).
L
’età di maggior frequenza è compresa tra i 29 ed
i 37 anni (Young e coll., 2008; Lempainen e coll.,
2009; Zissen e coll., 2010).

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 17-20

al
h
ni-

17
S&C

Quello stile di vita
chiamato allenamento

Pasquale Bellotti, medico

Non mi è mai capitato di iniziare a scrivere un testo, scusandomi con chi mi legge. E però lo faccio,
senza remore. Mi scuso perché affronto un argomento all’apparenza inconsueto, al quale sono arrivato dopo quaranta anni e più di pratica e di teoria, stanco del presente ed incuriosito dalla prospettiva di parlare di movimento e di allenamento
da un punto di vista nuovo, io credo mai tentato
prima. L
’argomento ed il suo sviluppo può apparire
astruso: non lo è, al vero esperto del moto apparirà che non lo è davvero – astruso – ; può annoiare: sì credo, non si può essere interessati a tutte
ed a certe modalità; può creare problemi: sì, certo, è così. Ma questo è proprio un mio obiettivo
dichiarato: creare problemi in chi ascolta, dubbi
e problemi. Non vogliatemene, però, per questo;
è fatto in spirito di servizio, per una causa anch’essa dichiarata, cioè di porre quest’arte (non
un mestiere, non una professione), quest’arte al
livello che merita. Alto, il più alto. Il livello delle
cose serie, perché la più seria delle professioni è
quella in cui persone si prendono cura del benessere – nel nostro caso un benessere del tutto
speciale, che rapidamente può però sfociare in
malessere – di altre persone: persone “allenatori”
che si prendono cura di persone “atleti”, persone
che sanno del moto e lo utilizzano perché altri se
ne avvantaggino individualmente.
Di una visione antropologica dell’allenamento, di
questo si tratta qui, di una visione di cui io penso
che vi sia grande bisogno, in tempi incerti come
questi che stiamo vivendo. Incerti anche per la
conoscenza e la pratica dell’allenamento, non solo
per la crisi di valori della società e per la crisi dei
rapporti e delle relazioni tra le persone. Si tratta,
per quanto mi consta, di un aspetto (a me sembra davvero quello più importante) mai trattato in
precedenza da altri, assolutamente non scontato, come sembrerebbe dover essere, e comunque
necessario ed opportuno, oggi.
Da tutto quanto precede è seguito il tentativo
della combinazione e dell’integrazione dei due concetti (antropologia ed allenamento) e ne è derivata questa speciale locuzione: antropologia dell’allenamento.
Ma per accostare i concetti di antropologia e di
allenamento, non vi è dubbio che occorra procedere, preliminarmente, alla esatta definizione di
entrambi da isolati e separati, proprio per poter
valutare la liceità e la reale proponibilità di una antropologia legata al fenomeno così tanto studiato
e così sconosciuto (e misconosciuto) ai più che si
chiama allenamento. Basta cogliere l’essenza dei
due, non serve altro, in realtà, per cominciare e
giustificare un percorso. Quel percorso, cioè, che

Scienza per eccellenza l’antropologia, riguarda
l’uomo che studia se stesso, l’uomo che si interroga sulla sua natura e sulla sua vita, in quanto
espressione di una volontà manifestata da un corpo e da uno spirito, facce obbligate della medaglia
“umano”. L
’uomo che compone la sintesi di sé ed
in maniera sistematica la espone e la consegna al
presente ed al futuro. L
’antropologia è lo studio
che della vita fa l’uomo mentre la vive, domandandosene il perché. L
’antropologia è un’esposizione
di perché. L
’allenamento è una possibile risposta
al ed ai perché. Lo è perché è una maniera di intendere e di vivere la vita. L
’allenamento è vita, è
la vita, una parte di vita, ma vita a tutti gli effetti.
L
’antropologia dell’allenamento affronta temi della
vita. Ne derivano alcune considerazioni ed alcune
riflessioni che anticipano l’enunciazione di una serie concatenata ed articolata di princìpi.
Chiarirò tra un istante il significato ed il ruolo dei
princìpi e princìpi proverò ad enunciare, per costruire una base (almeno elementare) di antropologia dell’allenamento.
Prima riflessione. Antropologia dell’allenamento significa anche antropologia dell’uomo che si
prepara, si prepara per avere consapevolezza del
futuro che verrà. Un futuro umano o disumano, dipendendo queste modalità di condursi dalla maniera umana o disumana con la quale viene condotta
tale preparazione: vedremo che dovremo parlare
addirittura di una assai peculiare anticipazione della vita. L
’allenamento lo è, è una progressiva anticipazione della vita, la prefigurazione di un obiettivo con la sua sperimentazione quasi quotidiana
o più.
Ma sarebbe impensabile preparare con comportamenti disumani un’attività umana e viceversa
con comportamenti umani un’attività disumana:
chi froda – ovviamente in mille modi diversi – preparandosi, implicitamente froderà nel comportamento preparato; chi resta umano, resterà umano nel comportamento preparato e predisposto,
cioè pre-visto, visto prima.

PASQUALE
BELLOTTI
(pasquale.bellotti@
gmail.com;
pasquale.bellotti@
unito.it), medico,
esperto di
movimento e di
allenamento,
insegna
attualmente Etica
e Bioetica dello
Sport a Torino,
nella SUISM.
Molti libri e molti
articoli al suo attivo.
È anche Presidente
de L’Amàca Onlus,
associazione con
numerosi progetti
di assistenza e di
supporto in Africa
(ed in Italia):
www.amacaonlus.
org.

Seconda riflessione. Un’antropologia dell’allenamento può fondarsi su princìpi, per essere proposta e compresa e, io direi, riconosciuta. Sostanzialmente riconosciuta, poiché nei princìpi ci si
può rifugiare, sui princìpi si può fare affidamento,
sui princìpi basare il seguito delle esperienze e il
progresso del pensiero e dell’azione. Dai princìpi
si comincia sempre, poiché essi sono la base reale
delle conoscenze. Gli inizi, i primi passi, l’incedere iniziale. Le radici del pensare e del riflettere,
le radici degli obiettivi. Nell’allenamento - così io
credo - si entra attraverso princìpi che agevolano
il primo passo ed accompagnano poi, per sempre,
in tutti i successivi passi. I princìpi non restano
indietro nel cammino, non scompaiono dietro di
noi, ma camminano insieme con noi, non potendoli
mai dimenticare e dovendo spesso, come si fa con
bussola, ricorrervi. Ricordandoli, riproponendoli,
insegnandoli e trasmettendoli a chi segue. Nessuna scienza può farne a meno, non esisterebbero le scienze. Nessun essere umano potrebbe ri-

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 21-22

ANTROPOLOGIA
DELL’ALLENAMENTO
(prima parte)

mira a comprendere cosa realmente sia l’allenamento, nelle sue implicazioni e nel suo dipanarsi.
Antropologico dipanarsi. Per fare quel percorso
servono essenze e, vedremo, occorrono princìpi.

21
S&C
ATO
BLIC
PUB

1. Introduzione

Introduzione

È uso oramai comune che molti atleti delle più diverse discipline sportive utilizzino dei dispositivi
occlusali intraorali, tipo bite o placche di svincolo,
per migliorare la prestazione atletica.
È da alcuni anni che si è dimostrata la stretta
correlazione che esiste tra muscolatura cranio-mandibolare e suoi segmenti scheletrici (apparato stomatognatico) con il resto dell’apparato
muscolo-scheletrico dell’intero corpo; e d’altronde non è difficile intuire che l’intero nostro organismo non è composto da apparati ed organi scollegati tra loro, ma il loro funzionamento “armonico”
è la risultante di un perfetto equilibrio sinergico.
Si è ancora dimostrato, anche se diverse sono le
teorie applicative, come le malocclusioni possono
creare in alcuni soggetti, in senso discendente,
un alterato equilibrio posturale, una variazione
dell’intensità della forza espressa e di conseguenza della resa lavorativa muscolare.
In soggetti in ottime condizioni degli apparati cardiocircolatorio, respiratorio, neurologico ed internistico generale, la postura, l’equilibrio, la forza
e la resa muscolare sono i pilastri fondamentali
della prestazione sportiva.
Lo studio e la sperimentazione che sono stati intrapresi sono finalizzati a capire e valutare oggettivamente quanto il riequilibrio dell’occlusione
incida sulla forza e la resa muscolare.
Un importante contributo valutativo ci è stato
fornito dall’utilizzo di un EMG (elettromiografo) di
superficie wireless, che fornisce in modo oggettivo informazioni funzionali sulle alterazioni neuromuscolari indotte dal contatto occlusale e più
precisamente l’influenza della funzione occlusale
tramite indici validati.

È un esame assolutamente non invasivo, che consiste nell’applicare sui punti motori dei muscoli
temporali, massetere anteriore e sternocleidomastoideo, con delle patch adesive, 6 sonde wireless del peso ciascuna di 9 grammi, rispettivamente 3 per ciascun lato destro e sinistro.
Altra caratteristica fondamentale di questo sistema è la standardizzazione del segnale elettromiografico e, quindi, l’accuratezza e (ancora
più importante) la ripetitività dei valori ottenuti
dall’esame.
Un’altra caratteristica è la rapidità dell’esecuzione, da 5 a 15 secondi, a seconda dell’esercizio
che si vuole analizzare. Totale libertà dei movimenti da parte dell’atleta per la mancanza di fili (si
tratta, come detto, di sonde wireless).
Lo studio ha preso spunto da un fatto clinico realmente verificatosi ad un’atleta italiana olimpionica
che, a seguito del posizionamento di un bite, ha
perso immediatamente il 20% della propria forza
muscolare.
L
’aver verificato, studiato ed infine risolto il problema di questa nostra atleta olimpionica ci ha
spinto come GRUPPO di STUDIO dei CENTRI
ODONTOIATRICI SAN GIORGIO di Roma assieme
al Presidente della F.I.PE (Federazione Italiana
Pesistica), il Dr. Antonio Urso, ad allargare lo
studio a molti degli atleti della Squadra Nazionale
Italiana di Pesistica, per verificare la possibilità
di dare un valido contributo alla normale preparazione atletica, con l’ottimizzazione dell’armonia
fisica, riequilibrando una malocclusione.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

ANTONIO
DEL VECCHIO
Laureato in Medicina e Chirurgia con
specializzazione in
Clinica Odontostomatologica. Ha seguito numerosi corsi
di Odontostomatologia parodontologia e Gnatologia
in Italia e negli USA.
Dal 2000 al 2009 Ha
diretto la META MEDICA, centro per la
Chirurgia Ambulatoriale e Day Surgery
di Roma.
Attualmente svolge
la sua attività
professionale presso
i Centri Odontoiatrici San Giorgio di
Roma, dei quali è il
Direttore Sanitario
e Responsabile
Scientifico.

ANTONIO URSO
Presidente della
Federazione Italiana
Pesistica e della
European Weightlifting Federation.
Componente
dell’Esecutivo della
IWF International
Weightlifting Federation.
Laurea in Scienze
Motorie;
Laurea Magistrale
in Attività Motorie
Preventive e Adattate; Master 1° livello
Scienze Motorie
Preventive Adattate
e Recupero Atletico;
Maestro di Pesistica.
Ha allenato la
nazionale maschile
e femminile di
pesistica.
è stato più volte
campione italiano.

23

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 23-31

PRIMA
VOL
TA

PU
BB
LI

Occlusione dentale
e resa muscolare

A
VOLT
MA
PRI

O
AT
C

C

S&

V

PUBBL
ICA
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“A DENTI STRETTI”

PR
IM
A

O ER
OR P
AV ALE
L IN
IG
OR

A
LT
O

Antonio Del Vecchio, Antonio Urso, Eugenio Cilento, Raffaello Del Vecchio
(si ringraziano i due tecnici FIPE Angelo Mannironi e Domenico Marzullo per la preziosa collaborazione)
S&C
Alberto Andorlini

Continu
a collab a
ora
con S&C re
Alberto
A
per alm ndorlini,
eno 3 te
sti
originali
, per tu
il 2014. tto

ltre l’allenamento
2. Forma e funzione.
Del corpo e del movimento

Introduzione
Continuiamo nel nostro lento incedere. Nel precedente articolo si accenna alla possibilità di pensare
all’allenamento come ad un processo integrale, rivolto a sottosistemi integrati (le reti olistiche, neurale, fluida e fibrosa). Dall’ipotesi - se non “evidente”, quantomeno “sostenibile” - può nascere una
proposta, tesa a filtrare gli elementi tradizionali,
spostando focalizzazione teorica e tensione pratica,
dal Muscolo al Corpo, dall’Esercizio al Movimento
e dall’Allenamento alla Vita. Le riflessioni che alimentano la formulazione di una tale tesi nascono
dall’improvvisa ed imprevista intrusione dell’aggettivo “funzionale” nel vocabolario dell’Allenamento. Il
tentativo di spiegarne il significato è argomento ed
argomentazione per eccellenza, terreno inesplorato d’incontro e di scontro. Due parole - Functional
Training - hanno catturato la nostra attenzione per
il semplice fatto di rappresentare una sintesi tanto
precisa quanto inusuale. Per qualche anno, abbiamo citato definizioni provenienti da enciclopedie e
dizionari con l’intento di definire l’area entro la quale
ci saremmo dovuti, voluti, potuti muovere. Poi con
il tempo, soddisfatta la nostra ansia da traduttori
inesperti, e, soprattutto, definita la provenienza dei
termini, ci siamo lasciati trascinare da altri aspet-

ti, più immediati forse, ma meno facili da chiarire.
Oggi, quello che può orientare la comprensione,
non solo dell’excursus terminologico (quando richiesto), ma anche e soprattutto della ratio operativa (quando esista la volontà di costruirne una) è
l’intima relazione che esiste tra due poli: la Forma
e la Funzione. Forma, Funzione, oltre a Corpo e
Movimento, rappresentano i punti cardinali di una
bussola, inusuale ma sensibile. Capire le strette relazioni tra i 4 termini di riferimento significa
percorrere una rotta già solcata (dalla Forma alla
Funzione) o navigare in una direzione diversa (dalla
Funzione alla Forma).
Ci stiamo accorgendo, ne sono convinto, che non
esiste una direzione obbligata, ma tanti possibili
percorsi. Uno dei possibili itinerari, quello che prenderà corpo nelle pagine seguenti, suggerisce poche
tappe ed una sola meta. È una Funzione del Corpo
ben orientata a dover dirigere il Corpo stesso verso
un allineamento Formale dei volumi e dei segmenti
che lo compongono. E all’interno di un tale processo devono venire utilizzate Forme di Movimento rispondenti e corrispondenti alla Funzione che il Movimento è chiamato ad assolvere.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 33-37

O

SECONDA PARTE

ALBERTO
ANDORLINI
Dopo una lunga
esperienza come
Insegnante di
Educazione Fisica,
è oggi Preparatore
Atletico e
Riabilitatore. La
sua attività si
lega da sempre
all’interesse per
l’evoluzione del
Movimento e per
lo sviluppo della
Performance.
Ha lavorato per
A.C. Fiorentina,
A.C. Siena, Al
Arabi Sports
Club, Chelsea
F.C. e Nazionale
Femminile
Calcio in qualità
di Terapista e
Preparatore
Atletico.
Attualmente è
Riabilitatore presso
l’U.S.Palermo.
Collabora con
il Training Lab di
Firenze e svolge
attività didattica
nel corso di
Laurea in Scienza
e Tecnica dello
Sport e delle
Attività Motorie
Preventive e
Adattative
dell’Università di
Firenze.

33
S&C
Massimiliano Gollin, Alessandro Guerra

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PRIMA PARTE

e variazioni circadiane
dell’eff icienza f isica nella lotta
Greco Romana

Introduzione
Come tutti gli sport, anche la lotta ha subito nel tempo una graduale e costante evoluzione che la
colloca tra le discipline olimpiche più spettacolari. Nelle sue varianti, greco romana e stile libero,
ha un carattere interdisciplinare e un orientamento proteso al perfezionamento morfo-funzionale,
motorio, psichico e sociale dell’atleta (Petrov 1991).
La lotta greco romana è uno sport di combattimento e di situazione caratterizzato da azioni e gesti
tecnici aciclici, cioè distinti da un’azione non continua che la situano, dal punto di vista degli obiettivi
fondamentali della tecnica, nella macrofamiglia degli sport di “combattimento-opposizione diretta”
(Scotton 2003). Durante il combattimento il lottatore deve essere in grado di adattarsi alle varie
situazioni che si vengono a creare, reagendo prontamente agli attacchi dell’avversario e trovando la
soluzione più adatta per condurre un’azione di offesa efficace. In questa disciplina olimpica non è ammesso l’uso di tecniche e prese portate agli arti inferiori. Infatti, sono proibiti dal regolamento internazionale tutti i tipi di attacco alle gambe. Gli incontri sono strutturati sulla base delle tre riprese
della durata di due minuti ciascuna, separate da trenta secondi di recupero. L
’incontro è assegnato
a colui che vince due riprese conquistando un numero maggiore di punti tramite l’effettuazione di
tecniche specifiche portate ai danni dell’avversario oppure se riesce ad “atterrare” l’antagonista,
cioè a mantenerlo con le spalle contro il tappeto per un periodo di tempo sufficiente da permettere
all’arbitro di constatare il controllo della schienata. In questo secondo caso, l’incontro termina nel
momento stesso dell’atterramento.
Oltre le pause di recupero tra una ripresa e l’altra codificate dal regolamento, anche durante le fasi di
combattimento si manifestano numerose variazioni di ritmo che conferiscono al carico di lavoro richiesto al lottatore il carattere di attività di tipo intervallato. Gli aspetti fondamentali della preparazione
fisica del lottatore riguardano lo sviluppo delle capacità di resistenza (Petrov 1991) e di forza specifica
(Petrov 1991, Novikov 1991) dei flessori dell’avambraccio, basilari sia per difendersi sia per attaccare
il proprio avversario. L
’importanza dello sviluppo della forza dei flessori dell’avambraccio è evidenziata
ancora di più dal fatto che, essendo la lotta uno sport praticato quasi completamente a torso nudo,
le prese sull’avversario sono rese più problematiche dalla sudorazione. Per quanto riguarda l’allenamento della forza, l’attenzione deve essere rivolta oltre che al periodo di preparazione generale e specifico, anche al periodo competitivo. È stato dimostrato che la forza muscolare dei lottatori subisce
una riduzione statisticamente significativa negli esercizi di back squat (-5%; p<0,01) e bench press
squat (-4%; p<0,01) durante la stagione agonistica rispetto al periodo pre-competitivo (Schmidt et
al. 2005).

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

MASSIMILIANO
GOLLIN
Ricercatore
Dipartimento di
Scienze Cliniche e
Biologiche; Centro
Ricerche Scienze
Motorie, Università
di Torino, Italia

ALESSANDRO
GUERRA
Laureato
in Scienze
e Tecniche
dello Sport e
dell’Allenamento,
SUISM di
Torino, Scuola
Universitaria
Interfacoltà in
Scienze Motorie,
Università di Torino,
Italia

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 39-41

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39
S&C
Alberto Cei
Università di Tor Vergata

ALBERTO CEI
Docente di
“Coaching”
all’Università di Tor
Vergata di Roma
e di Psicologia
alla Scuola dello
Sport del Coni.
Svolge attività
di consulenza
nell’ottimizzazione
delle prestazioni
sportive a livello
internazionale.
Si interessa di
etica come
fattore alla base
delle prestazioni
eccellenti.
È editorial
manager di
International
Journal of Sport
Psychology. Web:
www.ceiconsulting.it
Blog: www.albertocei.
com

* Parte di questo articolo è
tratta dal libro:
A. Cei (2011).
Imparare a
vincere,
Calzetti &
Mariucci
Editori.

L

e competenze dell’allenatore*

Sono gli atleti a gareggiare ma la qualità della loro
prestazione viene forgiata in allenamento, che è
una situazione centrata sull’interazione fra tecnico e atleta, del cui valore di questo rapporto sono
ambedue pienamente consapevoli.

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 42-43

Tanto è vero che l’unica ricerca condotta su un
numero significativo di atleti (N=817) e che comprende coloro che hanno fatto parte della squadra
olimpica statunitense nel periodo 1984-1998,
ne ha evidenziato la convinzione nel ritenere che
il loro successo è stato determinato in notevole
misura dalla interazione con allenatori eccellenti
(Ricvald e Peterson, 2003).
Avere sottolineato l’importanza della persona-allenatore eccellente e non solo del programma-eccellente permette di porre l’accento sulla componente esistenziale del ruolo di allenatore, intesa
come fattore fondante questo rapporto accanto
a quella più squisitamente tecnica-professionale.
Analogamente l’attività di coaching che svolgo con
gli allenatori nello sviluppo delle loro competenze
psicologiche mi ha permesso di evidenziare che le
aree psicologiche in cui desiderano migliorare riguardano principalmente: le abilità interpersonali,

42

PRIMA PARTE

la fiducia in se stessi e in misura minore i processi
decisionali (Figura 1).
Nel dettaglio la Figura 2 illustra le competenze
specifiche che sono comprese in queste tre più
grandi categorie.
Sulla base di questi risultati, si può affermare
che le aree che sono continuamente sollecitate
dal rapporto allenatore-atleta sono identificabili in
tre ampi fattori.
La prima si riferisce alla dimensione scientifico-metodologica dell’allenamento. Infatti, durante il lavoro sul campo, vengono applicate le conoscenze che si sono dimostrate valide per sviluppare programmi efficaci. La dimensione scientifica
della metodologia dell’allenamento è insegnata nei
corsi universitari e nei corsi di formazione organizzati dal Coni e dalle Federazioni Sportive.
Inoltre, a tale riguardo gli allenatori hanno dedicato la maggior parte della loro formazione e dell’aggiornamento a questa componente professionale.
L
’insieme di queste competenze pone l’allenatore
in grado di gestire in modo razionale l’allenamento,
attraverso l’utilizzo intelligente e flessibile delle

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014
S&C
Duane Knudson, PhD

Duane Knudson
è professoressa
e direttrice del
Department of
Health and Human
Performance
alla Texas State
University.

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rogrammare lo
stretching dopo
un allenamento
fisico vigoroso

Introduzione
Il tempo che i professionisti del condizionamento
fisico e di allenamento della forza passano con i
loro atleti è spesso limitato, pertanto è importante massimizzare gli effetti delle attività di allenamento. Un campo di ricerca che ha modificato
la prescrizione degli esercizi è quello riguardante
gli effetti biomeccanici dello stretching. La prescrizione dello stretching da parte degli allenatori
della forza dovrebbe essere guidata da questi risultati della ricerca che dimostrano le differenze
tra gli effetti meccanici a breve termine e quelli a
lungo termine e gli effetti attesi dello stretching
sulla prestazione e sul rischio di lesioni.

Ricerche recenti sullo stretching
Circa 10 anni fa, i risultati della ricerca scientifica
di base iniziarono a sollevare dubbi sul principio
che lo stretching eseguito durante il riscaldamento migliorasse la successiva prestazione muscolare massimale (8). Da allora, evidenze coerenti e
probanti provenienti da dozzine di studi successivi
hanno dimostrato che lo stretching durante il riscaldamento provoca una riduzione a breve termine (5–28%) nella maggior parte dei casi di prestazione muscolare massimale (15, 17). Circa 20-30
secondi di stretching statico è la dose minima per
provocare una riduzione immediata del 5% della
forza e quanto maggiore è la durata totale del-

lo stretching, tanto maggiore è l’inibizione della
prestazione (9). E questa inibizione della prestazione muscolare può durare fino a 60 minuti per
dosaggi molto elevati di stretching ed è correlata
all’inibizione neuromuscolare e alla riduzione della
forza contrattile (4).
Data la mancanza di evidenze a sostegno di un
effetto positivo dello stretching eseguito prima
dell’attività fisica e dati i numerosi studi che riferiscono effetti negativi, lo stretching statico
durante il riscaldamento è controindicato per la
maggior parte delle attività che implicano una
prestazione muscolare massimale per gli atleti
di tutte le età e di tutti i livelli di abilità [il grassetto è del curatore]. Per esempio, se un allenatore della forza facesse eseguire agli atleti esercizi di stretching prima di sottoporli a test sulla
forma fisica, otterrebbe solo un miglioramento
dei punteggi riguardanti la flessibilità e probabilmente una riduzione dei punteggi ai test per la
forza, la resistenza e la corsa. Un allenatore che
utilizzasse esercizi di stretching statico vigoroso
con gli atleti prima di una competizione potrebbe facilmente ridurre la forza che non solamente
provocherebbe una diminuzione della prestazione
massimale per circa 30 minuti, ma potrebbe anche ridurre la capacità di un atleta di resistere
al sovraccarico, eventualmente contribuendo a un
rischio più elevato di lesioni muscolo-scheletriche.
È interessante notare che questa conclusione basata sulle evidenze non è stata universalmente
accettata, poiché alcuni non sono disposti a fare
ampie raccomandazioni sullo stretching o a pre-

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 47-49

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ORIG: PROGRAM STRETCHING AFTER
VIGOROUS PHYSICAL TRAINING, SCJ,
VOL.32, N°6, NOVEMBER 2010, 55-57

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ack wall squat test:
postura e grado di
piegamento al ginocchio
nell’esercizio di squat

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SECONDA PARTE

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GIAMPIETRO
ALBERTI
Professore
Associato di
Metodi e
Didattiche delle
Attività Sportive
Facoltà di
Scienze Motorie,
Dipartimento
di Scienze
Biomediche per la
Salute
Università degli
Studi di Milano
giampietro.
alberti@unimi.it

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Dallo squat al “BWST”
L
’introduzione del “Back Wall Squat Test” ha lo
scopo di confermare la validità del movimento di
squat quale metodo “gold standard” nell’analisi
funzionale e di proporre alcune linee guida per un
approccio semplice ed immediato per autorizzare
l’utilizzo di sovraccarico per eseguire l’esercizio di
squat con diversi gradi di piegamento al ginocchio.
Alla base di questo test, vi è la dichiarata volontà
di costruire una modalità di screening che consenta l’esplorazione dei comuni aspetti posturali
legati alla simmetria, alla propriocezione e all’allineamento corporeo, così discriminando posizione
e grado di piegamento.
Infatti, a differenza di altri test di valutazione che
utilizzano il movimento dello squat in varie forme
(bipodaliche, monopodaliche) e con diverse posizioni degli arti superiori, il BWST consente di fornire
indicazioni specifiche (posturali e funzionali) circa
l’angolo di piegamento al ginocchio da raggiungere
ed utilizzare. Quest’ultima considerazione diventa
rilevante quando ci si riferisce a soggetti che, di
routine, eseguono esercizi di potenziamento con
sovraccarichi sulle spalle.
Un altro aspetto innovativo del BWST, però, è l’introduzione del “muro” come “guida” al rispetto
dell’allineamento corporeo durante tutte le fasi
del movimento: un soggetto posto di fronte a un
piano rigido e invalicabile, è obbligato ad effettuare un piegamento sugli arti seguendo i “binari”

della linearità (in accordo con quanto suggerito
da “Alexander”4) imposti dal muro stesso: così
facendo, sarà immediatamente possibile apprezzare visivamente l’uniformità del gesto nella sua
interezza.
Il modello presentato in questo articolo trae
spunto da quanto già presente nella letteratura
specialistica e propone, in un’unica soluzione di
movimento, di raccogliere valutazioni dal punto di
vista sia morfologico posturale sia funzionale, aggiungendo precise indicazioni circa la capacità e/o
la possibilità del soggetto di eseguire con sovraccarico tutte le posizioni di squat, dal ½ squat fino
alla posizione del full squat.

LUCA
CAVAGGIONI
Laurea Magistrale
in Scienza Tecnica
e Didattica dello
Sport,
Dottorando in
Scienze dello
Sport, Università
degli Studi di
Milano

Protocollo del “BWST”
Il “Back Wall Squat Test” (BWST) si definisce
come un movimento eseguito in una progressione graduale dalla stazione eretta alle posizioni
rispettivamente: di ½ squat, di deep squat e di
piegamento completo (full squat): si tratta di un
percorso eseguito in 4 livelli crescenti di difficoltà
nei quali, attraverso l’uso di indicazioni gestuali, si
può valutare se, a livello funzionale, il soggetto è in
grado di raggiungere e mantenere correttamente
la posizione richiesta, autorizzando il soggetto ad
eseguire la fase successiva soltanto quando ella/
egli è in grado di mantenere la postura richiesta,
rispettando ogni item (senza o con ausilio di rialzo
sotto i talloni).

e

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

ATHOS TRECROCI
Laurea Magistrale
in Scienza Tecnica
e Didattica dello
Sport,
Dottorando in
Scienze dello
Sport, Università
degli Studi di
Milano

51

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 51-57

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Giampietro Alberti, Luca Cavaggioni, Athos Trecroci, Roberto Bianchi, Lucio Ongaro
Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

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Giulio Rattazzi
con prefazione di Roberto Trinchero

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atturare
l’evoluzione dei
fenomeni con il
ricalcolo dei
punteggi “z” (a)
Prefazione di Roberto Trinchero*
Un tempo sui 100 metri di 10,5 secondi è un tempo alto o
un tempo basso? Dipende. Se a farlo è Usain Bolt nel pieno
della sua forma fisica e nel periodo migliore della sua attività
agonistica è sicuramente un tempo alto. Al contrario, per la
maggior parte di coloro che non praticano atletica a livello
professionistico un tempo simile sarebbe il migliore ottenibile nella propria vita.
Questo semplice aneddoto ci insegna che in analisi dei dati
(nelle scienze motorie come in altre discipline) non esistono grandezze assolute ma solo grandezze relative, utili per
comparare l’andamento di fenomeni analoghi riferiti a più
soggetti (comparazione sincronica: ad esempio le prestazioni di un gruppo di atleti che concorrono in una gara) o allo
stesso soggetto in tempi differenti (comparazione diacronica: ad esempio le prestazioni dello stesso atleta nel tempo).
In questo secondo caso però ciascuna prestazione assume
un senso solo in relazione all’insieme complessivo delle prestazioni dell’atleta e, visto che l’insieme delle prestazioni si
arricchisce con il passare del tempo, il “senso” di ogni singola prestazione passata cambia continuamente. Possiamo
essere sicuri, senza timore di smentita, che vi è stato un
momento della vita di Usain Bolt in cui egli ha gioito per aver
fatto un tempo di 10,5 secondi sui 100 metri, ma la sua
crescita personale ed atletica ha fatto cadere quel momento
nel dimenticatoio perché quella che, in quell’istante, è stata la miglior prestazione della sua vita è stata ampiamente
superata.
L’interessante proposta formulata da Giulio Rattazzi nel presente articolo ci aiuta a sistematizzare e a formalizzare in
termini statistici questa forma di “oblio”. Attraverso la tecnica del ricalcolo dei punti Z ci aiuta a descrivere l’evoluzione
delle prestazioni di un atleta, assegnando un significato alle
nuove prestazioni sulla base delle prestazioni precedenti ma
anche riassegnando significato alle prestazioni precedenti
sulla base di quelle attuali. In tal modo è possibile stimare le
potenzialità “medie” di un soggetto in un certo tipo di competizione e descriverne l’evoluzione.

GIULIO RATTAZZI
laureato in
Scienze Motorie
all’Università di
Torino e Master
post lauream
in Diritto e
Management
dello sport presso
L’Università degli
studi di Salerno,
è inventore e
realizzatore
di software e
strumentazione
per la valutazione
funzionale
dell’atleta.

ROBERTO
TRINCHERO
insegna
Pedagogia
Sperimentale
e Metodologia
della Ricerca
Educativa presso
il Dipartimento di
Filosofia e Scienze
dell’Educazione
dell’Università degli
Studi di Torino.

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 59-64

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PRIMA VOLTA

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PUBBLICATO

È una tecnica che apre prospettive interessanti non solo nelle scienze motorie ma in tutti quegli ambiti del sapere in cui
è necessario studiare l’evoluzione temporale di fenomeni che
fluttuano intorno ad “attrattori” ignoti a priori ma stimabili
sulla base delle rilevazioni stesse. Se l’analisi dei dati implica
il contrasto e il confronto tra situazioni, la tecnica illustrata
si propone come una promettente modalità per la comparazione diacronica e per la reinterpretazione, mediante un’analisi a posteriori, delle tappe evolutive di un fenomeno.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

59
S&C
Vincenzo Canali

PRIMA PARTE

roposta di sviluppo
di un progetto di
ginnastica
posturale come
prevenzione dei
traumi da
carico iterativo

INTRODUZIONE AL CANALI POSTURAL METHOD
Il Canali Postural Method è un sistema di lavoro che permette di bilanciare le sinergie muscolari utilizzate dalle persone durante i gesti comuni della vita di relazione ed anche durante l’esecuzione di
specifici movimenti sportivi.
Camminare, salire e scendere le scale, raccogliere qualcosa da terra, piuttosto che raggiungere un
oggetto posizionato più in alto rispetto all’altezza del soggetto, significa utilizzare un insieme di strutture muscolari che compongono varie catene funzionali al gesto che stiamo eseguendo.
L
’azione muscolare, intesa come somma delle azioni finalizzate all’ottenimento dello scopo, si avvale
di ampiezze articolari multiple, fornite al gesto finale da tutte le articolazioni interagenti nella catena.
Ad esempio, nel dare la mano ad una persona, utilizziamo il tronco, che a sua volta è posizionato sugli
arti inferiori; al tronco sono collegate più articolazioni direttamente ed indirettamente; utilizzeremo,
quindi, la spalla, il gomito, il polso e le articolazioni delle dita.
Questo significa che, per ogni gesto, la motilità necessaria viene suddivisa tra varie articolazioni per
rendere il gesto più economico e per non sovraccaricare un’unica struttura.
Il nostro sistema di utilizzo delle strutture deputate al movimento è fortemente conservativo ed il
nostro SNC tende a non esporle ad azioni di eccessivo carico o ad eccessiva ampiezza articolare.
Questo aspetto tende a specializzare le articolazioni in angoli d’azione ed a ridurli nel tempo, producendo degli atteggiamenti di compensazione che – inevitabilmente – portano danni al sistema muscolo-tendineo ed osseo, quando la ripetizione iterativa di un gesto arriva ad essere un vero e proprio
sovraccarico funzionale.
Ciò accade perché l’organismo, diminuendo gli angoli d’azione, riduce la capacità statica di supporto
all’azione dinamica.
L
’utilizzo dei rapporti di flesso-estensione, il cui studio è stato realizzato e codificato all’interno del
Canali Postural Method, permette di opporre ad ogni azione di estensione un’azione di attivazione/
contrazione, di una struttura muscolare, che stabilizza l’azione in fase di svolgimento, superando il
concetto di azione antagonista.
In altre parole, lo studio rispetto alle posizioni assunte dal corpo e rispetto ai decubiti utilizzati, permette di stabilire quali muscoli devono essere attivi e sinergici alle varie azioni, affinché la specializzazione di dette azioni non “trascini” l’organismo verso atteggiamenti più “chiusi“ e meno attivi.
Il rapporto di flesso-estensione è uno scambio statico/dinamico tra strutture appartenenti alle stesse
catene cinetiche che, attraversando le differenti composizioni delle catene cinetiche stesse, mantiene
l’ampiezza articolare esaltando la funzionalità del movimento, mantenendo inalterata la stabilità delle
funzioni utilizzate.
STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

VINCENZO CANALI
Docente a.c.
di posturologia
applicata allo
sport nel corso
di Teoria e
Metodologia
dell’attività
motoria - Scienze
Motorie - Facoltà
di Medicina e
Chirurgia Università
di Parma.
Tecnico IAAF (Fed.
Internazionale
Atletica Leggera)
e preparatore
posturale di
Elena Isimbaeva,
campionessa
olimpica di salto
con l’asta ad
Atene 2004 e a
Pechino 2008.
È anche titolare
di quattro brevetti
internazionali
di macchine
isotoniche
a rotazione
e posturali
“defense”, per il
potenziamento
muscolare e per la
mobilità articolare.
Nella sua carriera
di preparatore
posturale e
di ginnastica
annovera anche
gli olimpionici
Gibilisco, Baldini,
Di Martino e la
collaborazione
con varie
squadre nazionali
e federazioni
sportive.

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 65-67

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Comincia la
ne
sua collaborazio
con S&C
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Vincenzo Cana
ticoli
per almeno 3 ar
originali, per tutto
il 2014.

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S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 68-74

EUGENIO MARIA
PISTONE
Laureato in
Scienze Motorie
e Sportive,
svolge la sua
attività di libero
professionista
nell’ambito
dell’Educazione
e Rieducazione
Motoria. Dopo
aver conseguito
la laurea
Magistrale in
Scienze e Tecnica
delle Attività
Motorie Preventive
e Adattate, sta
completando il
Master di II Livello
in Diritto Economia
ed Etica dello
Sport.

68

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sercizio fisico e diabete.
Studio della funzione
neuromuscolare.

Il diabete mellito può essere definito come un
gruppo di malattie con disordine metabolico ad
eziologia multipla caratterizzato da una iperglicemia cronica con alterazione del metabolismo,
oltre che dei carboidrati, anche dei lipidi e delle
proteine, conseguentemente a un deficit della secrezione o dell’azione dell’insulina o entrambe (cfr.
linee guida dell’European Society of Cardiology e
European Association for the Study of Diabetes,
2007). Il diabete mellito è una malattia di grande
rilievo sociale ed esercita un notevole impatto sulla salute pubblica per l’entità della sua diffusione e
la gravità delle sue complicanze. Nel 2000 è stato
stimato che 171 milioni di persone erano affette
da diabete, numero che si prevede aumenterà a
c.ca 366 milioni nel 2030 (Wild, 2004).
Fondamentali per il buon trattamento terapeutico
del diabete, oltre ai farmaci previsti, sono la dieta
e l’esercizio fisico. In particolare, l’esercizio fisico
è considerato da decenni un importante componente per la gestione del diabete (Joslin et al.,
1959), poiché la partecipazione regolare a programmi di esercizio fisico può migliorare il controllo glicemico e ridurre la mortalità cardiovascolare
(Boule et al. 2001; Gregg et al., 2003), oltre che
migliorare la forza e l’equilibrio negli arti inferiori,
riducendo notevolmente il rischio di caduta negli
anziani (Moreland et al., 2003). Ma l’esercizio fisico, oltre che svolgere un ruolo fondamentale nella

prevenzione terziaria del diabete, svolge un ruolo chiave soprattutto nella prevenzione primaria
in particolar modo per il diabete di tipo 2, molto
spesso conseguenza di uno stile di vita sedentario
e di abitudini alimentari poco sane.
Una delle complicanze del diabete è la neuropatia anche motoria. Purtuttavia, uno dei parametri
fondamentali alla base della contrazione muscolare, la velocità di conduzione delle fibre muscolari
(MFCV), non è stata adeguatamente investigata nei soggetti diabetici. MFCV, conosciuto anche come velocità di propagazione del potenziale
d’azione delle fibre muscolari, è la velocità con la
quale il potenziale d’azione si muove attraverso la
fibra muscolare. In condizioni fisiologiche, la velocità di propagazione del potenziale d’azione va dai
3 m/s a 5 m/s.
Cosi come nelle fibre nervose, anche in quelle muscolari sembra che la velocità di conduzione dipenda soprattutto dal diametro della fibra (Kleinpenning et al., 1990; Waxman, 1980), ed è stato
dimostrato che esiste una correlazione lineare tra
il diametro e la MFCV (Blijham et al., 2006).
Tuttavia, la MFCV fornisce indicazioni sulla proprietà contrattile della fibra (Andreassen et al.,
1987), sulla fatica muscolare (Merletti et al..,
1990), sulla proporzione del tipo di fibre (Sadoyama et al., 1988) e inoltre può essere indicativo di
condizioni patologiche.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

V

PUBBL
ICA
TO

MARCO INFUSINO
laureato in Scienze
Motorie e Sportive,
è tecnico AMPA e
lavora come libero
professionista
nell’ambito
dell’Educazione
e Rieducazione
Motoria. Collabora
in qualità di
trainer con la FiM
Europe (European
Motorcycle Union)
per la selezione
di giovani piloti
per il Campionato
Europeo Honda
MX 150. Sta
completando il
Master di II Livello
in Diritto Economia
ed Etica dello
Sport.
infusinomarco@
gmail.com

PR
IM
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IG
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LT
O

Marco Infusino, Eugenio Maria Pistone
S&C
Luca Marin, Matteo Vandoni, Massimiliano Febbi, Sara Ottobrini

ATO
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L IN
IG
OR

SECONDA PARTE

bili si diventa

L’attività fisica secondo il modello biopsicosociale

Livello I
Iniziano l’attività da questo livello gli utenti che,
al termine della valutazione funzionale, hanno ottenuto un punteggio da 3 a 99. Preme sottolineare che anche individui inquadrati con lo stesso
punteggio non presenteranno necessariamente programmi di lavoro identici. Basandosi sulla
fondamentale regola dell’individualità, è probabile
che non tutti gli obiettivi dell’elenco saranno da
perseguire; andranno sviluppati solo quelli corrispondenti alle necessità di quella persona in quello
specifico momento.
Obiettivi
• Incremento della Percezione Corporea.
• Apprendimento delle tecniche di respirazione.
• Apprendimento dei corretti schemi di coordinazione neuromotoria.
• Percezione e interpretazione dell’intensità della fatica.
• Adattamento all’ambiente.
• Addestramento all’uso delle attrezzature,
compresi i passaggi posturali.
• Recupero/stabilizzazione delle corrette escursioni (ROM) sia delle articolazioni che delle
catene di coordinazione neuromuscolare fisiologica.
• Controllo posturale sia in statica che in dinamica.
• Miglioramento dell’esecuzione dei passaggi posturali “atipici”.
• Sviluppo del controllo del tronco, in statica e in
dinamica.
• Incremento della forza resistente e massimale.
• Aumento della capacità aerobica.
• Motivazione all’adesione e alla prosecuzione
dell’attività.
Livello II
A questo livello accedono gli utenti che, al termine della valutazione funzionale, hanno ottenuto un
punteggio compreso tra 100 e 138. È evidente
che i soggetti inseriti in questo protocollo devono

presentare capacità superiori a quelle degli utenti
inseriti al Livello I, anche dal punto di vista psicologico e di integrazione sociale. Le esercitazioni
proposte richiedono, infatti, la sicurezza personale sufficiente ad accettare anche la difficoltà
e/o la non capacità ad eseguirne alcune. Risulta
necessario ribadire che anche individui inquadrati
con lo stesso punteggio non presenteranno necessariamente programmi di lavoro identici. Anche in questo protocollo è probabile che non tutti
gli obiettivi dell’elenco saranno da perseguire; ancora una volta andranno sviluppati solo quelli corrispondenti alle necessità individuali.
Obiettivi
• Incremento della Percezione Corporea.
• Apprendimento delle tecniche di respirazione.
• Apprendimento dei corretti schemi di coordinazione neuromotoria.
• Percezione e interpretazione dell’intensità della fatica.
• Adattamento all’ambiente.
• Recupero/stabilizzazione delle corrette escursioni (ROM) sia delle articolazioni che
•
delle catene di coordinazione neuromuscolare fisiologica.
• Incremento dell’equilibrio e del controllo dei timing attivatori in esercizio.
• Incremento della forza: resistente, veloce e
massimale.
• Aumento della capacità aerobica.

LUCA MARIN
Dottore in
Fisioterapia.
Docente presso il
Corso di Laurea in
Scienze Motorie
dell’Università degli
Studi di Pavia.
Docente e
Tecnico
della Federazione
Italiana Pesistica.

MATTEO VANDONI
Ricercatore
presso il
Dipartimento di
Sanità Pubblica,
Medicina
Sperimentale e
Forense (Università
di Pavia).

METODOLOGIA

FILIP
Dott
in Sc
Istru

Prima di accedere all’attività in ambiente fitness
il soggetto deve essere stato valutato dal medico
specialista e preferibilmente avere svolto un ciclo riabilitativo in ambiente protetto. Deve inoltre
possedere l’autonomia di base nella gestione della
carrozzina e dei passaggi posturali primari.
L
’obiettivo prefissato ha portato ad utilizzare inizialmente esercizi a carico naturale finalizzati a
migliorare le capacità funzionali al gesto e la percezione corporea.
Durante l’esecuzione degli esercizi viene costantemente sottolineato il ruolo della corretta dinamica respiratoria, sia come componente integrante la pratica che come arma di prevenzione di
alcune patologie secondarie.

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp.75-78

Nel numero precedente di S&C abbiamo descritto
gli strumenti utilizzabili per effettuare una valutazione delle abilità individuali. In questa seconda
parte, correleremo i risultati della valutazione ai
relativi programmi di allenamento ed esporremo
brevemente le tecniche e gli esercizi utilizzati.

75
David O Sword
PT, DPT, CSCS
ORIG: EXERCISE AS A MANAGEMENT STRATEGY FOR THE
OVERWEIGHT AND OBESE: WHERE DOES RESISTANCE
EXERCISE FIT IN?, SCJ, VOL.34, N°5, OCTOBER 2012, 47-55

L’

SECONDA PARTE

PUB
B

esercizio fisico
come strategia
di gestione del
sovrappeso e
dell’obesità:
dove è adatto
l’esercizio con
resistenze da
vincere?

Esercizi con resistenze da vincere
per la gestione del peso
Gli esercizi con resistenze vengono in genere eseguiti allo scopo di aumentare la forza, la massa
muscolare o entrambi (20). Oltre ai miglioramenti
nella forza e massa muscolare, gli esercizi con resistenze portano anche a cambiamenti favorevoli
nelle aree della composizione corporea, resistenza muscolare, densità ossea, fattori di rischio
cardiaco, benessere psicosociale e metabolismo
(4, 7, 20, 35-37, 39). Nel loro esauriente articolo, Strasser e Schobersberger hanno concluso
che gli esercizi con resistenze danno luogo a cambiamenti favorevoli nella composizione corporea
(diminuzione della massa grassa ed aumento della
massa magra [LBM]), possono aiutare a “conservare una ridotta massa grassa in pazienti obesi
dopo l’allenamento o la limitazione dell’apporto
energetico “e sono efficaci nel ridurre l’obesità
addominale (35)”. Modalità comuni di esercizi con
resistenze includono l’uso di bilancieri, manubri,
elastici, macchine di allenamento della forza e vari
esercizi a corpo libero. Raccomandazioni di sanità
pubblica sull’attività fisica e sulla salute incoraggiano l’inclusione di una regolare attività di sviluppo della forza (7,16,19,21,33).
Nonostante i significativi benefici sia sulla salute
sia funzionali forniti dagli esercizi con resistenze, questi ultimi non possono costituire l’unica
efficace strategia per ridurre l’eccesso di peso
corporeo. Per di più, la combinazione di eserci-

DAVID O SWORD
College of Health
Professions
and Weight
Management
Center, Università
di Medicina del
South Carolina,
Charleston,
South Carolina.
PAROLE CHIAVE
obesità ; controllo
del peso; esercizio
aerobico; esercizio
di resistenza;
eccessivo
consumo di
ossigeno postesercizio

zi con resistenze con una dieta ipocalorica non
fornisce ulteriori benefici in perdita di peso oltre
quello visto con la sola dieta (10). Questo non dovrebbe in alcun modo scoraggiare l’uso di esercizi
con resistenze come parte di un piano di gestione
del peso, piuttosto che della perdita di peso. Anche se l’inserimento di tali esercizi potrebbe non
migliorare la perdita di peso a breve termine, può
comportare cambiamenti salutari nella composizione corporea (diminuzione della massa grassa
e aumento della LBM) e può svolgere un ruolo importante nel successo della gestione del peso a
lungo termine.
Un notevole studio di Kirk et al. (25) ha illustrato
il potenziale valore della gestione del peso di brevi
ma intense sessioni di esercizi con resistenze. In
questo studio di 6 mesi, giovani adulti in sovrappeso sono stati impegnati in 3 sessioni di esercizi
a settimana, effettuando una serie di 9 esercizi
diversi con carichi equivalenti al 85-90% di 1 RM.
Il pesante carico ha limitato il numero di ripetizioni
effettuate a 3-6 per ogni esercizio. La quantità
media di tempo necessario per completare ogni
sessione di allenamento è stata di circa 11 minuti. Nel gruppo impegnato nell’allenamento con resistenze, la forza della parte superiore del corpo e
di quella inferiore è aumentata di circa il 50% e la
massa magra (FFM) è aumentata del 2,7%.
I soggetti allenati alla resistenza hanno sperimentato un significativo aumento sia del tasso metabolico a riposo (RMR) che del tasso metabolico
durante il sonno (SMR) rispetto a soggetti di controllo. Inoltre, c’è stato un incoraggiante aumen-

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 79-82

ATO PER L
LIC

1

A IN ITALIA
LT

A

S&C

PRIMA VO

79
La Professione

S&C

RIFLESSIONI

Pasquale Bellotti

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 83-84

Pasquale Bellotti & Davide Tessaro,
ma qui soprattutto il secondo
S&C, cioè queste pagine, rappresentano – tutti
coloro che la realizzano ne sono convinti, anche il
sottoscritto – una maniera di stabilire un dialogo
con i lettori, gli esperti e i veri addetti ai lavori
del movimento. Può capitare, di questo vi parlo,
che un dialogo si instauri sul dialogo e che si possa, con naturalezza, passare alla comunicazione
diretta. Dalle comunicazioni dirette assai spesso
si impara. Almeno, a me capita così: di imparare da chi mi raggiunge con un messaggio. Il 3 luglio mi scrive da Aosta Davide Tessaro (“sono un
preparatore atletico … dopo anni di “calcio a 5”
ora mi occupo di preparazione atletica di tiro con
l’arco olimpico - settore giovanile in una società
sportiva …, senza togliere mai lo sguardo dagli
sport estremi in quota che mi hanno dato tante
soddisfazioni”), per manifestare il suo gradimento
per la rivista, nella quale egli si ritrova, segnalando la sua particolare esperienza di allenatore ed il
suo punto di vista (“io sono fermamente convinto che… solo noi allenatori, tecnici, preparatori
possiamo dare gli input giusti per far emergere
il talento [quale che sia, NdR] dei nostri ragazzi;
certo questo implica una grande responsabilità,
conoscenza, … il sapere di essere i fautori delle
vittorie e delle sconfitte altrui, … la presa di coscienza che determinerà il futuro dei ragazzi. Ma
che soddisfazione quando arriva da te un ragazzo
sul quale neanche i genitori scommettono e dopo
tre anni che lavori con lui lo vedi gareggiare con
fierezza, entusiasmo, gioia a testa alta” [quale
che sia il valore, NdR]).
Il 4 luglio rispondevo a Davide (ci siamo dati subito del tu), ringraziandolo e mettendo in evidenza
“la sintonia, la simpatia, il sentire comune ed il
comune soffrire, nel nostro caso per i tanti mali
che affliggono il sistema movimento/sport nel nostro Paese, ma in fondo in tutto il mondo. Quando
l’uomo è in crisi, sono sempre in crisi le visioni
dell’uomo che si muove e di quello che compete”.
Gli chiedevo anche di poter parlare di lui brevemente (per ragioni di spazio) nella rivista, come
uno degli esempi tra tanti, di “persone esperte”
su cui la Nazione può contare, in un ambito così
rilevante come quello del movimento che serve non
allo sport, o non solo allo sport, ma a tutta la vita.
Il 4 ottobre, Davide ancora mi scrive (ha letto l’ultimo numero della rivista e si è identificato nelle Riflessioni di quel numero: “ho letto “RIFLESSIONI”.
Non devi scrivere di me sul tuo prossimo articolo
– così dice – perché lo hai già fatto in questo. Pazzesco, mi hai riconosciuto e scoperto, hai scritto esattamente il mio essere in questo momento
storico della mia vita. Chiamala sincronicità, chiamalo intuito, chiamala esperienza di vita, chiamala come vuoi, io lo chiamo semplicemente Davide.
Mi sono visto al lume di lanterna a studiare, a sti-

PASQUALE
BELLOTTI
(pasquale.bellotti@
gmail.com;
pasquale.bellotti@
unito.it), medico,
esperto di
movimento e di
allenamento,
insegna
attualmente Etica
e Bioetica dello
Sport a Torino,
nella SUISM.
Molti libri e molti
articoli al suo attivo.
È anche Presidente
de L’Amàca Onlus,
associazione con
numerosi progetti
di assistenza e di
supporto in Africa
(ed in Italia):
www.amacaonlus.
org.

83
S&C
Francesco Riccardo

L’perfezione
inganno della

corporea

L’unico bene, la condizione
fondamentale per una vita
felice, è la �iducia in se stessi.
. . nè può renderti felice la
bellezza o la forza del corpo:
nessuno di quei beni resiste al
passare del tempo.
Lucio Anneo Seneca

Da sempre il corpo rappresenta un campo privilegiato di indagine, autoriflessione ed analisi. Attraverso l’accettazione del proprio corpo si sviluppano infatti, in particolare durante la fase adolescenziale, l’autoconoscenza e l’autoaccettazione,
determinanti per una piena e positiva maturità.
Intorno al corpo si concentrano credenze, pregiudizi, falsi miti, che storicamente sono stati
responsabili dell’atteggiamento culturale di popoli ed epoche. Il corpo possiede caratteristiche peculiari che lo rendono facilmente oggetto
di considerazioni, critiche e influenze culturali: in
primo luogo, esso è il nostro biglietto da visita nel
contatto con il mondo, facilmente visibile e prima parte di noi ad essere conosciuta dagli altri;
in secondo luogo, esso si modifica visibilmente e
costantemente durante la nostra vita, rendendo
pubbliche quelle fasi di cambiamento estreme che
ci conducono dalla nascita, all’infanzia, all’adolescenza, fino all’età adulta e alla vecchiaia.
La superficiale familiarità che ognuno di noi ha col
proprio e altrui corpo fa sì che risulti perfettamente naturale, soprattutto nella nostra cultura,
avere da un lato un modello di riferimento “ideale”
di bellezza caratterizzato da canoni rigidi e immo-

FRANCESCO
RICCARDO
è laureato
in Psicologia
dinamica e clinica
dell’infanzia,
adolescenza
e famiglia; è
Psicologo delle
squadre nazionali
di pesistica e
docente presso i
corsi di formazione
per Personal
Trainer della FIPE.
È Personal Trainer
1° livello FIPE,
Maestro di Karate
e cintura nera 5°
Dan FIJLKAM.

dificabili, che prescindono dal naturale processo
biologico-fisiologico di “trasformazione”, dall’altro
la convinzione di poter controllare, modificare,
cancellare e ricostruire ciò che del corpo non ci
piace, in ogni momento e in ogni situazione.
L
’appartenenza alla cultura occidentale determina
di per sè l’adozione spesso inconsapevole ed acritica dei modelli proposti attraverso la capillare
diffusione di simboli di bellezza ideale, associati ad
appetitosi richiami quali ricchezza, potere, felicità, benessere, appartenenza ad una speciale élite
e via discorrendo.
La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea
e bellezza, contribuendo a creare e diffondere gli
stereotipi ben noti su corpo e immagine. La cultura mediatica facilita e sveltisce la diffusione di
messaggi ambivalenti, nonché antinomici, intorno
ai temi del benessere, della salute e dell’aspetto
fisico ideale.
I mass media diffondono, come ideale di perfezione, un’immagine corporea magra ed essenziale
per la donna, tonica e asciutta per l’uomo, caratterizzando, d’altro canto, una reale “lotta al
grasso” che progressivamente sfocia, in modo
incalzante ed incessante, in un vero e proprio fenomeno di stigmatizzazione.
Quanto sia forte il dominio, la dittatura del corpo,
come risulta oggi immaginato, è confermato dalla
tendenza a raffigurare immagini femminili, spesso modelle, con visi completamente inespressivi,
senza sorrisi e con sguardi smarriti, a sottolineare che l’attenzione è tutta sul corpo, su quel
corpo magrissimo, a rafforzare l’orientamento
che “magro è bello”.
Ma tutto questo a discapito del piacere di “sentire
il corpo”.
Negli ultimi decenni, è andata affermandosi la
magrezza femminile come ideale sia estetico che

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

85
S&C
Guido Martinelli

”.

L

a Fipe, la professionalità
e i chinesiologi

Credo si debba dare merito alla Fipe, fra l’altro,
di avere sempre scelto la strada della chiarezza sotto il profilo dell’inquadramento giuridico-amministrativo delle attività sportive dalla
stessa amministrate. Di non essersi, pertanto,
nascosta con la foglia di fico del dilettantismo
sportivo.
Come ho già avuto modo di scrivere su questa
rivista, dilettantismo significa “anche” attività
svolte per diletto, per hobby, da persone che hanno attività lavorative diverse dallo sport, ma “anche” attività svolta “professionalmente” da soggetti che, per cultura e attitudini, vedono questa
strada come “lavoro” principale, anche se a volte
non esclusivo.
In questa direzione, dobbiamo evidenziare due importanti novità, l’una esterna al mondo federale
e l’altra interna. Partiamo dalla prima. Da tempo dichiaravo che l’inerzia del legislatore nel farsi
carico di una soluzione legislativa alla tematica
dell’assoggettamento a contribuzione previdenziale dei compensi corrisposti agli istruttori di
associazioni e società sportive dilettantistiche
avrebbe lasciato il campo a soluzioni giurisprudenziali che, come si sa, hanno la pretesa del “prendere o lasciare”.
Dopo una lunga giurisprudenza ondivaga e poco
convincente, nelle decisioni sia favorevoli all’assoggettamento a contribuzione che contrarie,

sono state pubblicate recentemente 4 sentenze
di merito che brillano per la chiarezza della motivazione e per l’autorità dei Giudicanti e che, pertanto, ci consentono di fare nuovamente chiarezza sul punto partendo anche dal presupposto di
una Giurisprudenza che si sta consolidando.
La prima di queste è stata pubblicata il sei giugno
scorso ed emessa dalla sezione lavoro del Tribunale di Firenze (sent. n. 671/2013). Il Giudicante
fiorentino, dopo aver determinato che sarebbe
spettato alla associazione sportiva dimostrare
che non era tenuta al versamento dei contributi
previdenziali sui compensi erogati agli istruttori,
ritenendo che detta prova non era stata data e
che, invece, “tutti i 55 collaboratori oggetto della
residua pretesa contributiva appaiono aver svolto
la loro attività con carattere di continuità e ripetitività (risultano aver lavorato per almeno tre annualità
con cadenza periodica) percependo compensi di
natura sicuramente non marginale rispetto al reddito medio”, concludeva escludendo l’applicabilità
dell’art. 67 primo comma lett. m e conseguentemente la non debenza di contributi previdenziali.
A ruota seguiva il Tribunale di Roma (sent. n.
9284/2013) il successivo 11 luglio c.a. Questi, in
fattispecie analoga, dopo aver affermato che per
l’applicabilità delle agevolazioni sui compensi degli istruttori debbono sussistere due condizioni:
“le prestazioni remunerate devono avere carattere
non professionale e devono essere rese nell’eser-

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014

S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp.89-90

Foto ©Vanda Biffani

GUIDO MARTINELLI
avvocato,
consulente della
FIPE, professore
aggregato di
legislazione
sportiva presso
l’Università degli
studi di Ferrara,
docente nazionale
della Scuola
Centrale dello
sport del CONI,
è autore di diverse
pubblicazioni in
materia di diritto
sportivo.

89

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  • 1. Forza al femminile NUMERO 7 1984. Ogni storia porta con sè e rivela tutto il sentire umano, la scienza e la coscienza, ragione ed emozione. Questa storia, quindi, come le altre, è ricca, ed è piena ed è soprattutto vissuta, proprio attraverso emozioni, sudore e sudori, gioie e fatiche, quindi davvero tutto lo scibile umano. Tutto cominciò nel 1984, quando il Congresso della IWF approvò la pratica del sollevamento pesi femminile, includendolo nella costituzione così come nel regolamento tecnico del ciclo olimpico 1984-1988. Al Congresso IWF di Los Angeles fu abolito, inoltre, il termine ‘per soli uomini’ aprendo definitivamente le porte alla donna nel sollevamento pesi. Dovevano essere risolti prima delle competizioni ufficiali di sollevamento pesi i dettagli, come categorie di peso, procedura di pesatura, arbitri e attrezzatura. 1986. Il primo torneo internazionale Il primo torneo internazionale IWF femminile fu organizzato in concomitanza con la Pannonia Cup a Budapest, il 21-23 marzo del 1986. Già da un paio di anni prima di questo torneo, le donne pesiste erano state molto attive a livello nazionale. Campionati furono organizzati in USA, Cina, India, Australia e in diversi paesi europei. Alla prima gara organizzata IWF ufficiale a Budapest, 23 donne gareggiarono, in rappresentanza di Cina, Ungheria, Gran Bretagna, Canada e USA. Fu di Arlys Kovac, USA, il miglior risultato tecnico, con una performance di 75 kg nello strappo e 90 kg nello slancio nella categoria di 67,5 kg. 1987. Il primo campionato mondiale femminile L ’anno successivo al torneo di Budapest fu organizzato il primo campionato mondiale per sole donne. Fu abbastanza naturale che la Federazione statunitense di pesistica organizzasse questo primo Campionato del Mondo a Daytona Beach, Florida, perché il sollevamento pesi femminile in quel Paese aveva già sviluppato davvero un alto livello, in termini sia organizzativi, che di successi sportivi. Parteciparono 100 donne provenienti da 23 Paesi, 38 delle quali provenienti da 9 Paesi dell’Europa, in rappresentanza cioè di: Gran Bretagna, Spagna, Norvegia, Ungheria, Bulgaria, Italia (eccola, eccoci!), Francia, Finlandia e Islanda. Nove dei vincitori provenivano dalla Cina, una dagli Stati Uniti d’America, Karyn Tarter. 1988. Il primo campionato europeo Il primo Campionato Europeo Senior fu organizzato nel 1988 a San Marino sotto l’organizzazione della EWF; il motore del comitato organizzatore fu Marino Ercolani Casadei. Gareggiarono 67 donne pesiste provenienti da 13 Nazioni. Le nazioni presenti a San Marino in questo primo campionato continentale organizzato dalla EWF EDITORIALE Antonio Urso Presidente FIPE furono: Italia, Grecia, Gran Bretagna, Finlandia, Ungheria, Spagna, Portogallo, Austria, Bulgaria, Francia, Germania, San Marino e la Norvegia. Tra i vincitori emersero Maria Christoforidi, Grecia, e Milena Trendafilova, Bulgaria. Queste due donne in seguito divennero due delle donne di maggior successo nella storia della pesistica europea di sollevamento insieme all’ungherese Maria. L ’Italia vinse il primo oro nella categoria 48 Kg con la genovese Roberta Sforza. Le edizioni del 1989 e 1990 furono organizzate con la stessa formula, ovvero campionati separati da quelli maschili, successivamente a Varna, nel 1991, fu organizzata una competizione unitamente ai Campionati Europei Junior maschili. È solo dal 1998, dall’edizione di Riesa, Germania, che le pesiste della classe senior gareggiarono insieme ai Campionati senior maschili nello stesso tempo e luogo. La più grande partecipazione delle donne ad un campionato continentale fino ad allora fu registrata nell’edizione organizzata a Kiev, Ucraina, nel 2004, con 110 concorrenti, grazie soprattutto al fatto che il Campionato aveva valenza di qualificazione olimpica. Anche Nazioni forti come la Russia e la Polonia nel sollevamento si organizzarono portando una squadra femminile agli europei nel 1993 e nel 1996. Valentina Popova è una delle più famose pesiste russe, mentre Agata Wrobel è la più conosciuta donna atleta polacca fino ad ora. Oggi l’EWF ha ben 48 federazioni affiliate, ciascuna espressione di un Paese, e tutte prevedono la pesistica femminile nel loro programma. 2000. Pesistica femminile ai Giochi Olimpici Il CIO accettò il programma del sollevamento pesi femminile ai Giochi Olimpici per la prima volta a Sydney nel 2000. Da questa prima edizione, il 2000 appunto, si può parlare di piena parità di condizione con il sollevamento maschile. A Sydney nel 2000, ben 85 pesiste provenienti da 47 Nazioni hanno gareggiato per conquistare una medaglia, di queste 26 furono le atlete provenienti da 14 Nazioni europee. Nessuna atleta europea vinse una medaglia d’oro, ma Popova (Russia), Markus (Ungheria) e la Polacca Wrobel, vinsero medaglie d’argento, mentre la greca Chatziioannou vinse il bronzo. I dati provenienti dalle Olimpiadi di Atene 2004 furono esattamente come l’edizione del 2000: 85 pesiste presenti, provenienti da tutto il mondo: 28 di esse erano europee provenienti da 11 Nazioni. Il medagliere fu più favorevole per le pesiste europee: 2 medaglie d’oro, Taylan, Turchia, nella categoria dei 48 kg, e Skakun, Ucraina, oro nella categoria 63 kg. S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 3-4 I primi trent’anni della pesistica in rosa 1998. European Junior Women Championships Il primo Campionato Europeo femminile Junior fu invece organizzato a Sofia, in Bulgaria, in concomitanza con i Campionati Europei Junior Men nel 1998. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 3
  • 2. La macchina che c’è in me S&C LA FORZA NELLA TERZA E QUARTA ETÀ Menotti Calvani Introduzione La forza è una grandezza fisica vettoriale, in quanto caratterizzata da una direzione e da una intensità, che si manifesta nella interazione di due o più corpi capace di modificare lo stato di quiete o di moto degli stessi corpi. Il muscolo, con la sua capacità di contrarsi, manifesta la sua proprietà fisica di opporsi ad una resistenza: in poche parole, è capace di produrre lavoro facendo muovere l’individuo o sollevando pesi. Il lavoro fondamentale di Maughan del 1983 ha dimostrato che la forza è proporzionale alla sezione trasversa dei muscoli. Il tipo di forza che il muscolo può produrre dipende dalla composizione delle sue fibre (vedi Tab. n.1). Ma la forza è anche legata alla frequenza con la quale i nervi stimolano le fibre muscolari e alla quantità di unità motorie (neurone + le fibre muscolari innervate dal neurone stesso) che vengono attivate simultaneamente. È osservazione comune che il nostro corpo cambia con l’età ed è intuibile che nell’arco della vita cambi anche la forza. Classificazione delle fibre muscolari Tipo di fibra I IIA IIB Colore rossa rosa bianca Contrazione lenta rapida rapida Metabolismo ossidativo glicolitico / ossidativo glicolitico Affaticabilità scarsa intermedia MENOTTI CALVANI Medico, specializzato in neurologia, farmacologia clinica oltre che in tossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana. Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifici su riviste internazionali prevalentemente sui temi del metabolismo, sui mitocondri e sulle patologie degenerative. elevata Tab. n.1 - Classif icazione delle f ibre muscolari Per quanto riguarda i sessi, gli uomini, che in media hanno una massa muscolare più grande di quella della donna, con l’avanzare degli anni perdono più muscolo. Tra i 60 e i 69 anni, tale perdita può raggiungere il 10% contro l’8% della donna e dopo gli 80 anni la forbice si allarga portandosi al 40% e 18% rispettivamente nell’ uomo e nella donna. La massa muscolare è direttamente correlata all’aspettativa di vita e ha una correlazione inversa con la non autonomia: non perdere muscolo significa vivere più a lungo e senza malattie debilitanti. Le donne che notoriamente sono più longeve degli uomini mantengono più a lungo il proprio patrimonio muscolare. La perdita muscolare superiore alla media + 2 deviazioni standard della massa muscolare dei soggetti di pari età ed in salute, è definita sarcopenia: ne è affetta in media il 13±24% della popolazione tra i 60 e i 70 anni, il 50% delle persone con età >80 anni. Anche in questo caso, tra gli over 75, il 58% sono uomini contro il 45% delle donne. Il maggiore declino maschile è stato imputato alla minore produzione di ormoni ad attività anabolica quali gli androgeni, l’ormone della crescita, l’Insulin like Growth Factor. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 5-9 Andamento della forza nel tempo La forza raggiunge il suo apice verso i 30-35 anni e si mantiene fino verso i 40, successivamente decresce in maniera lenta, ma senza averne percezione in assenza di lavori gravosi, fino a 50-60 anni. Il decrescere della forza se non ci sono malattie è, comunque, legato allo stato di allenamento ma, in assenza di attività fisica adeguata, già a partire dai 30 anni la forza si riduce di circa il 10±15% per decade. A 65 anni, la perdita di forza può arrivare al 25% e superare il 40% negli ultra ottuagenari. L ’uso di mezzi diagnostici quali la DEXA, l’ecografia, la risonanza magnetica o i reperti autoptici hanno permesso di stabilire che la massa muscolare rappresenta il 50% in peso dell’intero organismo, ma ne hanno anche evidenziato una riduzione fino al 40% tra i 20 e i 40 anni, in condizioni di abitudini sedentarie. L ’uso di strumenti che forniscono immagini capaci di discriminare le strutture anatomiche degli arti e/o del tronco si rendono indispensabili in quanto il tessuto muscolare col passare degli anni viene sostituito dai tessuti connettivo e adiposo, non apprezzabili con le misurazioni antropometriche. La presenza di tessuto adiposo nel muscolo è ad esempio tipico degli obesi e contribuisce alla riduzione della massa contrattile a qualsiasi età. 5
  • 3. 8/13 12.45 S&C Antonio Paoli Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Padova DIETA CHETOGENICA: ANTONIO PAOLI Diploma ISEF, Laurea in Medicina e Chirurgia, Specializzazione in Medicina dello Sport. Professore associato di Metodi e Didattiche delle attività Motorie presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova. facciamo il punto. Cos’è la dieta chetogenica apporto proteico adeguato, in modo da mantenere la massa magra, e sono state spesso chiamate, infatti, anche digiuno modificato “modified fasting diet” (4) o diete a bassi carboidrati ed a risparmio proteico, “low carbohydrate protein sparing modified diet” (3). Ma queste diete hanno conosciuto una forte diffusione, a partire dal 1972, con la pubblicazione del libro Dr. Atkins (2), che proponeva una drastica riduzione dei carboidrati ai fini di un rapido ed efficace dimagrimento. Dalla pubblicazione di quel libro, gli studi sulle diete chetogeniche si sono moltiplicati ma, nonostante la dimostrata efficacia sulla riduzione del peso corporeo nonchè sulla riduzione dei markers dell’infiammazione e del rischio cardiovascolare (35), quest’arma terapeutica viene spesso ignorata o rifiutata da molti professionisti del campo della nutrizione. Questo rifiuto aprioristico è spesso motivato da una scarsa conoscenza dei meccanismi legati alla chetosi. S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 11-16 Con il termine dieta chetogenica si definisce un regime alimentare basato su una drastica riduzione dell’assunzione di carboidrati, associata o meno con un relativo aumento della quota di proteine e grassi (23). Lo stato metabolico delle diete chetogeniche è riconducibile, per molti versi, al digiuno; anche nel digiuno, infatti, si instaura quello stato metabolico particolare conosciuto sotto il nome di chetosi. I primi studi scientifici approfonditi su questa condizione metabolica furono quelli condotti dal gruppo di Cahill negli anni ‘60, partendo appunto dalla condizione di “fasted” o “a digiuno” (9, 22). Quella del digiuno è infatti una pratica, o meglio una tecnica, usata da millenni per raggiungere particolari stati di benessere spirituali durante rituali o pratiche religiose. Anche nell’Antico Testamento, come nel Corano e nel Mahabharata, si fa cenno a questa pratica ascetica. Possiamo trovare un riferimento al digiuno, ad esempio, in Matteo (17,14-21) dove, nell’episodio dell’epilettico guarito, si dice: “Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno”; e non a caso si parla di digiuno a proposito di epilessia, in quanto è noto fin dagli anni 20 del secolo scorso come la chetosi (e quindi il digiuno) sia in grado di migliorare alcuni tipi di epilessia (28). Ovviamente, uno dei problemi del digiuno è il progressivo depauperamento delle riserve proteiche dell’organismo. Le diete chetogeniche moderne, invece, cercano di indurre uno stato di chetosi, fornendo però un Che cos’è la chetosi Senza carboidrati, il nostro corpo non può seguire le vie metaboliche che utilizza solitamente per assimilare i grassi. Dopo pochi giorni di digiuno o di dieta con riduzione drastica dei carboidrati (meno di 20 g al giorno), il glucosio di riserva del corpo diventa insufficiente per consentire sia la normale ossidazione dei grassi attraverso la fornitura STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 11
  • 4. S&C Gian Nicola Bisciotti ). GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FiFA Center, Doha (Q). Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, Parma, La Spezia (I). alc 2. rio- w e- uee ed 7- PAROLE CHIAVE tendinopatia, nervo sciatico, sindrome compressiva. e o 2- es 0: e gy of tt or 2: os es A, ht e bh 1: C, c e 1. ud ts ox s, ee ty d a- ei- on pi7. r- L’HAMSTRING SYNDROME (La sindrome degli ischiocrurali) Introduzione L ’hamstring syndrome (HS) venne descritta per la prima volta da Puranen ed Horawa nel 1988 ed inquadrata nell’ambito di una tendinopatia inserzionale prossimale degli hamstring. Classicamente con il termine di HS s’intende appunto una tendinopatia inserzionale prossimale degli hamstring in cui la formazione di un tessuto fibrotico, associato ad una pregressa lesione della componente tendinea o una sua degenerazione che comporti un aumento del calibro del tendine stesso, causi una compressione a livello dell’adiacente nervo sciatico (Puranen e Horawa, 1988, Sherry 2012). Molto spesso, quindi, la HS rappresenta un esito di lesione parziale della UMT prossimale degli hamstring (Puranen e Horawa, 1988; Askling e coll., 2006; Lempainen e coll., 2009; Saikku e coll., 2010; Cacchio e coll., 2011). In letteratura, la HS si ritrova associata a pregressi eventi lesivi indiretti della UMT degli hamstring in una percentuale compresa tra il 76% ed il 19% dei casi (Agre, 1985; Hartig, 1999; Fredericson e coll., 2005; Clark, 2008; Young e coll., 2008; Lempainen e coll., 2009; Benazzo e coll., 2013). Anche se inizialmente l’HS è stata descritta in una popolazione di sprinter (Puranen e Horawa, 1988), le evidenze più recenti suggeriscono di come sia invece di maggior riscontro nei mezzofondisti, nei calciatori e negli sciatori di fondo (Puranen e Horawa, 1988; Fredericson e coll., 2005; Lempainen e coll., 2009; Cacchio e coll., 2011). L ’età di maggior frequenza è compresa tra i 29 ed i 37 anni (Young e coll., 2008; Lempainen e coll., 2009; Zissen e coll., 2010). STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 17-20 al h ni- 17
  • 5. S&C Quello stile di vita chiamato allenamento Pasquale Bellotti, medico Non mi è mai capitato di iniziare a scrivere un testo, scusandomi con chi mi legge. E però lo faccio, senza remore. Mi scuso perché affronto un argomento all’apparenza inconsueto, al quale sono arrivato dopo quaranta anni e più di pratica e di teoria, stanco del presente ed incuriosito dalla prospettiva di parlare di movimento e di allenamento da un punto di vista nuovo, io credo mai tentato prima. L ’argomento ed il suo sviluppo può apparire astruso: non lo è, al vero esperto del moto apparirà che non lo è davvero – astruso – ; può annoiare: sì credo, non si può essere interessati a tutte ed a certe modalità; può creare problemi: sì, certo, è così. Ma questo è proprio un mio obiettivo dichiarato: creare problemi in chi ascolta, dubbi e problemi. Non vogliatemene, però, per questo; è fatto in spirito di servizio, per una causa anch’essa dichiarata, cioè di porre quest’arte (non un mestiere, non una professione), quest’arte al livello che merita. Alto, il più alto. Il livello delle cose serie, perché la più seria delle professioni è quella in cui persone si prendono cura del benessere – nel nostro caso un benessere del tutto speciale, che rapidamente può però sfociare in malessere – di altre persone: persone “allenatori” che si prendono cura di persone “atleti”, persone che sanno del moto e lo utilizzano perché altri se ne avvantaggino individualmente. Di una visione antropologica dell’allenamento, di questo si tratta qui, di una visione di cui io penso che vi sia grande bisogno, in tempi incerti come questi che stiamo vivendo. Incerti anche per la conoscenza e la pratica dell’allenamento, non solo per la crisi di valori della società e per la crisi dei rapporti e delle relazioni tra le persone. Si tratta, per quanto mi consta, di un aspetto (a me sembra davvero quello più importante) mai trattato in precedenza da altri, assolutamente non scontato, come sembrerebbe dover essere, e comunque necessario ed opportuno, oggi. Da tutto quanto precede è seguito il tentativo della combinazione e dell’integrazione dei due concetti (antropologia ed allenamento) e ne è derivata questa speciale locuzione: antropologia dell’allenamento. Ma per accostare i concetti di antropologia e di allenamento, non vi è dubbio che occorra procedere, preliminarmente, alla esatta definizione di entrambi da isolati e separati, proprio per poter valutare la liceità e la reale proponibilità di una antropologia legata al fenomeno così tanto studiato e così sconosciuto (e misconosciuto) ai più che si chiama allenamento. Basta cogliere l’essenza dei due, non serve altro, in realtà, per cominciare e giustificare un percorso. Quel percorso, cioè, che Scienza per eccellenza l’antropologia, riguarda l’uomo che studia se stesso, l’uomo che si interroga sulla sua natura e sulla sua vita, in quanto espressione di una volontà manifestata da un corpo e da uno spirito, facce obbligate della medaglia “umano”. L ’uomo che compone la sintesi di sé ed in maniera sistematica la espone e la consegna al presente ed al futuro. L ’antropologia è lo studio che della vita fa l’uomo mentre la vive, domandandosene il perché. L ’antropologia è un’esposizione di perché. L ’allenamento è una possibile risposta al ed ai perché. Lo è perché è una maniera di intendere e di vivere la vita. L ’allenamento è vita, è la vita, una parte di vita, ma vita a tutti gli effetti. L ’antropologia dell’allenamento affronta temi della vita. Ne derivano alcune considerazioni ed alcune riflessioni che anticipano l’enunciazione di una serie concatenata ed articolata di princìpi. Chiarirò tra un istante il significato ed il ruolo dei princìpi e princìpi proverò ad enunciare, per costruire una base (almeno elementare) di antropologia dell’allenamento. Prima riflessione. Antropologia dell’allenamento significa anche antropologia dell’uomo che si prepara, si prepara per avere consapevolezza del futuro che verrà. Un futuro umano o disumano, dipendendo queste modalità di condursi dalla maniera umana o disumana con la quale viene condotta tale preparazione: vedremo che dovremo parlare addirittura di una assai peculiare anticipazione della vita. L ’allenamento lo è, è una progressiva anticipazione della vita, la prefigurazione di un obiettivo con la sua sperimentazione quasi quotidiana o più. Ma sarebbe impensabile preparare con comportamenti disumani un’attività umana e viceversa con comportamenti umani un’attività disumana: chi froda – ovviamente in mille modi diversi – preparandosi, implicitamente froderà nel comportamento preparato; chi resta umano, resterà umano nel comportamento preparato e predisposto, cioè pre-visto, visto prima. PASQUALE BELLOTTI (pasquale.bellotti@ gmail.com; pasquale.bellotti@ unito.it), medico, esperto di movimento e di allenamento, insegna attualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM. Molti libri e molti articoli al suo attivo. È anche Presidente de L’Amàca Onlus, associazione con numerosi progetti di assistenza e di supporto in Africa (ed in Italia): www.amacaonlus. org. Seconda riflessione. Un’antropologia dell’allenamento può fondarsi su princìpi, per essere proposta e compresa e, io direi, riconosciuta. Sostanzialmente riconosciuta, poiché nei princìpi ci si può rifugiare, sui princìpi si può fare affidamento, sui princìpi basare il seguito delle esperienze e il progresso del pensiero e dell’azione. Dai princìpi si comincia sempre, poiché essi sono la base reale delle conoscenze. Gli inizi, i primi passi, l’incedere iniziale. Le radici del pensare e del riflettere, le radici degli obiettivi. Nell’allenamento - così io credo - si entra attraverso princìpi che agevolano il primo passo ed accompagnano poi, per sempre, in tutti i successivi passi. I princìpi non restano indietro nel cammino, non scompaiono dietro di noi, ma camminano insieme con noi, non potendoli mai dimenticare e dovendo spesso, come si fa con bussola, ricorrervi. Ricordandoli, riproponendoli, insegnandoli e trasmettendoli a chi segue. Nessuna scienza può farne a meno, non esisterebbero le scienze. Nessun essere umano potrebbe ri- STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 21-22 ANTROPOLOGIA DELL’ALLENAMENTO (prima parte) mira a comprendere cosa realmente sia l’allenamento, nelle sue implicazioni e nel suo dipanarsi. Antropologico dipanarsi. Per fare quel percorso servono essenze e, vedremo, occorrono princìpi. 21
  • 6. S&C ATO BLIC PUB 1. Introduzione Introduzione È uso oramai comune che molti atleti delle più diverse discipline sportive utilizzino dei dispositivi occlusali intraorali, tipo bite o placche di svincolo, per migliorare la prestazione atletica. È da alcuni anni che si è dimostrata la stretta correlazione che esiste tra muscolatura cranio-mandibolare e suoi segmenti scheletrici (apparato stomatognatico) con il resto dell’apparato muscolo-scheletrico dell’intero corpo; e d’altronde non è difficile intuire che l’intero nostro organismo non è composto da apparati ed organi scollegati tra loro, ma il loro funzionamento “armonico” è la risultante di un perfetto equilibrio sinergico. Si è ancora dimostrato, anche se diverse sono le teorie applicative, come le malocclusioni possono creare in alcuni soggetti, in senso discendente, un alterato equilibrio posturale, una variazione dell’intensità della forza espressa e di conseguenza della resa lavorativa muscolare. In soggetti in ottime condizioni degli apparati cardiocircolatorio, respiratorio, neurologico ed internistico generale, la postura, l’equilibrio, la forza e la resa muscolare sono i pilastri fondamentali della prestazione sportiva. Lo studio e la sperimentazione che sono stati intrapresi sono finalizzati a capire e valutare oggettivamente quanto il riequilibrio dell’occlusione incida sulla forza e la resa muscolare. Un importante contributo valutativo ci è stato fornito dall’utilizzo di un EMG (elettromiografo) di superficie wireless, che fornisce in modo oggettivo informazioni funzionali sulle alterazioni neuromuscolari indotte dal contatto occlusale e più precisamente l’influenza della funzione occlusale tramite indici validati. È un esame assolutamente non invasivo, che consiste nell’applicare sui punti motori dei muscoli temporali, massetere anteriore e sternocleidomastoideo, con delle patch adesive, 6 sonde wireless del peso ciascuna di 9 grammi, rispettivamente 3 per ciascun lato destro e sinistro. Altra caratteristica fondamentale di questo sistema è la standardizzazione del segnale elettromiografico e, quindi, l’accuratezza e (ancora più importante) la ripetitività dei valori ottenuti dall’esame. Un’altra caratteristica è la rapidità dell’esecuzione, da 5 a 15 secondi, a seconda dell’esercizio che si vuole analizzare. Totale libertà dei movimenti da parte dell’atleta per la mancanza di fili (si tratta, come detto, di sonde wireless). Lo studio ha preso spunto da un fatto clinico realmente verificatosi ad un’atleta italiana olimpionica che, a seguito del posizionamento di un bite, ha perso immediatamente il 20% della propria forza muscolare. L ’aver verificato, studiato ed infine risolto il problema di questa nostra atleta olimpionica ci ha spinto come GRUPPO di STUDIO dei CENTRI ODONTOIATRICI SAN GIORGIO di Roma assieme al Presidente della F.I.PE (Federazione Italiana Pesistica), il Dr. Antonio Urso, ad allargare lo studio a molti degli atleti della Squadra Nazionale Italiana di Pesistica, per verificare la possibilità di dare un valido contributo alla normale preparazione atletica, con l’ottimizzazione dell’armonia fisica, riequilibrando una malocclusione. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 ANTONIO DEL VECCHIO Laureato in Medicina e Chirurgia con specializzazione in Clinica Odontostomatologica. Ha seguito numerosi corsi di Odontostomatologia parodontologia e Gnatologia in Italia e negli USA. Dal 2000 al 2009 Ha diretto la META MEDICA, centro per la Chirurgia Ambulatoriale e Day Surgery di Roma. Attualmente svolge la sua attività professionale presso i Centri Odontoiatrici San Giorgio di Roma, dei quali è il Direttore Sanitario e Responsabile Scientifico. ANTONIO URSO Presidente della Federazione Italiana Pesistica e della European Weightlifting Federation. Componente dell’Esecutivo della IWF International Weightlifting Federation. Laurea in Scienze Motorie; Laurea Magistrale in Attività Motorie Preventive e Adattate; Master 1° livello Scienze Motorie Preventive Adattate e Recupero Atletico; Maestro di Pesistica. Ha allenato la nazionale maschile e femminile di pesistica. è stato più volte campione italiano. 23 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 23-31 PRIMA VOL TA PU BB LI Occlusione dentale e resa muscolare A VOLT MA PRI O AT C C S& V PUBBL ICA TO “A DENTI STRETTI” PR IM A O ER OR P AV ALE L IN IG OR A LT O Antonio Del Vecchio, Antonio Urso, Eugenio Cilento, Raffaello Del Vecchio (si ringraziano i due tecnici FIPE Angelo Mannironi e Domenico Marzullo per la preziosa collaborazione)
  • 7. S&C Alberto Andorlini Continu a collab a ora con S&C re Alberto A per alm ndorlini, eno 3 te sti originali , per tu il 2014. tto ltre l’allenamento 2. Forma e funzione. Del corpo e del movimento Introduzione Continuiamo nel nostro lento incedere. Nel precedente articolo si accenna alla possibilità di pensare all’allenamento come ad un processo integrale, rivolto a sottosistemi integrati (le reti olistiche, neurale, fluida e fibrosa). Dall’ipotesi - se non “evidente”, quantomeno “sostenibile” - può nascere una proposta, tesa a filtrare gli elementi tradizionali, spostando focalizzazione teorica e tensione pratica, dal Muscolo al Corpo, dall’Esercizio al Movimento e dall’Allenamento alla Vita. Le riflessioni che alimentano la formulazione di una tale tesi nascono dall’improvvisa ed imprevista intrusione dell’aggettivo “funzionale” nel vocabolario dell’Allenamento. Il tentativo di spiegarne il significato è argomento ed argomentazione per eccellenza, terreno inesplorato d’incontro e di scontro. Due parole - Functional Training - hanno catturato la nostra attenzione per il semplice fatto di rappresentare una sintesi tanto precisa quanto inusuale. Per qualche anno, abbiamo citato definizioni provenienti da enciclopedie e dizionari con l’intento di definire l’area entro la quale ci saremmo dovuti, voluti, potuti muovere. Poi con il tempo, soddisfatta la nostra ansia da traduttori inesperti, e, soprattutto, definita la provenienza dei termini, ci siamo lasciati trascinare da altri aspet- ti, più immediati forse, ma meno facili da chiarire. Oggi, quello che può orientare la comprensione, non solo dell’excursus terminologico (quando richiesto), ma anche e soprattutto della ratio operativa (quando esista la volontà di costruirne una) è l’intima relazione che esiste tra due poli: la Forma e la Funzione. Forma, Funzione, oltre a Corpo e Movimento, rappresentano i punti cardinali di una bussola, inusuale ma sensibile. Capire le strette relazioni tra i 4 termini di riferimento significa percorrere una rotta già solcata (dalla Forma alla Funzione) o navigare in una direzione diversa (dalla Funzione alla Forma). Ci stiamo accorgendo, ne sono convinto, che non esiste una direzione obbligata, ma tanti possibili percorsi. Uno dei possibili itinerari, quello che prenderà corpo nelle pagine seguenti, suggerisce poche tappe ed una sola meta. È una Funzione del Corpo ben orientata a dover dirigere il Corpo stesso verso un allineamento Formale dei volumi e dei segmenti che lo compongono. E all’interno di un tale processo devono venire utilizzate Forme di Movimento rispondenti e corrispondenti alla Funzione che il Movimento è chiamato ad assolvere. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 33-37 O SECONDA PARTE ALBERTO ANDORLINI Dopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea F.C. e Nazionale Femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico. Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo. Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze. 33
  • 8. S&C Massimiliano Gollin, Alessandro Guerra ATO BLIC PUB A VOLT MA PRI PRIMA VOL TA O AT C PUBBL ICA TO C S& V A LT O PU BB LI PRIMA PARTE e variazioni circadiane dell’eff icienza f isica nella lotta Greco Romana Introduzione Come tutti gli sport, anche la lotta ha subito nel tempo una graduale e costante evoluzione che la colloca tra le discipline olimpiche più spettacolari. Nelle sue varianti, greco romana e stile libero, ha un carattere interdisciplinare e un orientamento proteso al perfezionamento morfo-funzionale, motorio, psichico e sociale dell’atleta (Petrov 1991). La lotta greco romana è uno sport di combattimento e di situazione caratterizzato da azioni e gesti tecnici aciclici, cioè distinti da un’azione non continua che la situano, dal punto di vista degli obiettivi fondamentali della tecnica, nella macrofamiglia degli sport di “combattimento-opposizione diretta” (Scotton 2003). Durante il combattimento il lottatore deve essere in grado di adattarsi alle varie situazioni che si vengono a creare, reagendo prontamente agli attacchi dell’avversario e trovando la soluzione più adatta per condurre un’azione di offesa efficace. In questa disciplina olimpica non è ammesso l’uso di tecniche e prese portate agli arti inferiori. Infatti, sono proibiti dal regolamento internazionale tutti i tipi di attacco alle gambe. Gli incontri sono strutturati sulla base delle tre riprese della durata di due minuti ciascuna, separate da trenta secondi di recupero. L ’incontro è assegnato a colui che vince due riprese conquistando un numero maggiore di punti tramite l’effettuazione di tecniche specifiche portate ai danni dell’avversario oppure se riesce ad “atterrare” l’antagonista, cioè a mantenerlo con le spalle contro il tappeto per un periodo di tempo sufficiente da permettere all’arbitro di constatare il controllo della schienata. In questo secondo caso, l’incontro termina nel momento stesso dell’atterramento. Oltre le pause di recupero tra una ripresa e l’altra codificate dal regolamento, anche durante le fasi di combattimento si manifestano numerose variazioni di ritmo che conferiscono al carico di lavoro richiesto al lottatore il carattere di attività di tipo intervallato. Gli aspetti fondamentali della preparazione fisica del lottatore riguardano lo sviluppo delle capacità di resistenza (Petrov 1991) e di forza specifica (Petrov 1991, Novikov 1991) dei flessori dell’avambraccio, basilari sia per difendersi sia per attaccare il proprio avversario. L ’importanza dello sviluppo della forza dei flessori dell’avambraccio è evidenziata ancora di più dal fatto che, essendo la lotta uno sport praticato quasi completamente a torso nudo, le prese sull’avversario sono rese più problematiche dalla sudorazione. Per quanto riguarda l’allenamento della forza, l’attenzione deve essere rivolta oltre che al periodo di preparazione generale e specifico, anche al periodo competitivo. È stato dimostrato che la forza muscolare dei lottatori subisce una riduzione statisticamente significativa negli esercizi di back squat (-5%; p<0,01) e bench press squat (-4%; p<0,01) durante la stagione agonistica rispetto al periodo pre-competitivo (Schmidt et al. 2005). STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 MASSIMILIANO GOLLIN Ricercatore Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche; Centro Ricerche Scienze Motorie, Università di Torino, Italia ALESSANDRO GUERRA Laureato in Scienze e Tecniche dello Sport e dell’Allenamento, SUISM di Torino, Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie, Università di Torino, Italia S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 39-41 L PR IM A O ER OR P AV ALE L IN IG OR 39
  • 9. S&C Alberto Cei Università di Tor Vergata ALBERTO CEI Docente di “Coaching” all’Università di Tor Vergata di Roma e di Psicologia alla Scuola dello Sport del Coni. Svolge attività di consulenza nell’ottimizzazione delle prestazioni sportive a livello internazionale. Si interessa di etica come fattore alla base delle prestazioni eccellenti. È editorial manager di International Journal of Sport Psychology. Web: www.ceiconsulting.it Blog: www.albertocei. com * Parte di questo articolo è tratta dal libro: A. Cei (2011). Imparare a vincere, Calzetti & Mariucci Editori. L e competenze dell’allenatore* Sono gli atleti a gareggiare ma la qualità della loro prestazione viene forgiata in allenamento, che è una situazione centrata sull’interazione fra tecnico e atleta, del cui valore di questo rapporto sono ambedue pienamente consapevoli. S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 42-43 Tanto è vero che l’unica ricerca condotta su un numero significativo di atleti (N=817) e che comprende coloro che hanno fatto parte della squadra olimpica statunitense nel periodo 1984-1998, ne ha evidenziato la convinzione nel ritenere che il loro successo è stato determinato in notevole misura dalla interazione con allenatori eccellenti (Ricvald e Peterson, 2003). Avere sottolineato l’importanza della persona-allenatore eccellente e non solo del programma-eccellente permette di porre l’accento sulla componente esistenziale del ruolo di allenatore, intesa come fattore fondante questo rapporto accanto a quella più squisitamente tecnica-professionale. Analogamente l’attività di coaching che svolgo con gli allenatori nello sviluppo delle loro competenze psicologiche mi ha permesso di evidenziare che le aree psicologiche in cui desiderano migliorare riguardano principalmente: le abilità interpersonali, 42 PRIMA PARTE la fiducia in se stessi e in misura minore i processi decisionali (Figura 1). Nel dettaglio la Figura 2 illustra le competenze specifiche che sono comprese in queste tre più grandi categorie. Sulla base di questi risultati, si può affermare che le aree che sono continuamente sollecitate dal rapporto allenatore-atleta sono identificabili in tre ampi fattori. La prima si riferisce alla dimensione scientifico-metodologica dell’allenamento. Infatti, durante il lavoro sul campo, vengono applicate le conoscenze che si sono dimostrate valide per sviluppare programmi efficaci. La dimensione scientifica della metodologia dell’allenamento è insegnata nei corsi universitari e nei corsi di formazione organizzati dal Coni e dalle Federazioni Sportive. Inoltre, a tale riguardo gli allenatori hanno dedicato la maggior parte della loro formazione e dell’aggiornamento a questa componente professionale. L ’insieme di queste competenze pone l’allenatore in grado di gestire in modo razionale l’allenamento, attraverso l’utilizzo intelligente e flessibile delle STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014
  • 10. S&C Duane Knudson, PhD Duane Knudson è professoressa e direttrice del Department of Health and Human Performance alla Texas State University. PUB B P rogrammare lo stretching dopo un allenamento fisico vigoroso Introduzione Il tempo che i professionisti del condizionamento fisico e di allenamento della forza passano con i loro atleti è spesso limitato, pertanto è importante massimizzare gli effetti delle attività di allenamento. Un campo di ricerca che ha modificato la prescrizione degli esercizi è quello riguardante gli effetti biomeccanici dello stretching. La prescrizione dello stretching da parte degli allenatori della forza dovrebbe essere guidata da questi risultati della ricerca che dimostrano le differenze tra gli effetti meccanici a breve termine e quelli a lungo termine e gli effetti attesi dello stretching sulla prestazione e sul rischio di lesioni. Ricerche recenti sullo stretching Circa 10 anni fa, i risultati della ricerca scientifica di base iniziarono a sollevare dubbi sul principio che lo stretching eseguito durante il riscaldamento migliorasse la successiva prestazione muscolare massimale (8). Da allora, evidenze coerenti e probanti provenienti da dozzine di studi successivi hanno dimostrato che lo stretching durante il riscaldamento provoca una riduzione a breve termine (5–28%) nella maggior parte dei casi di prestazione muscolare massimale (15, 17). Circa 20-30 secondi di stretching statico è la dose minima per provocare una riduzione immediata del 5% della forza e quanto maggiore è la durata totale del- lo stretching, tanto maggiore è l’inibizione della prestazione (9). E questa inibizione della prestazione muscolare può durare fino a 60 minuti per dosaggi molto elevati di stretching ed è correlata all’inibizione neuromuscolare e alla riduzione della forza contrattile (4). Data la mancanza di evidenze a sostegno di un effetto positivo dello stretching eseguito prima dell’attività fisica e dati i numerosi studi che riferiscono effetti negativi, lo stretching statico durante il riscaldamento è controindicato per la maggior parte delle attività che implicano una prestazione muscolare massimale per gli atleti di tutte le età e di tutti i livelli di abilità [il grassetto è del curatore]. Per esempio, se un allenatore della forza facesse eseguire agli atleti esercizi di stretching prima di sottoporli a test sulla forma fisica, otterrebbe solo un miglioramento dei punteggi riguardanti la flessibilità e probabilmente una riduzione dei punteggi ai test per la forza, la resistenza e la corsa. Un allenatore che utilizzasse esercizi di stretching statico vigoroso con gli atleti prima di una competizione potrebbe facilmente ridurre la forza che non solamente provocherebbe una diminuzione della prestazione massimale per circa 30 minuti, ma potrebbe anche ridurre la capacità di un atleta di resistere al sovraccarico, eventualmente contribuendo a un rischio più elevato di lesioni muscolo-scheletriche. È interessante notare che questa conclusione basata sulle evidenze non è stata universalmente accettata, poiché alcuni non sono disposti a fare ampie raccomandazioni sullo stretching o a pre- STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 47-49 ATO PER L LIC 1 A IN ITALIA LT A ORIG: PROGRAM STRETCHING AFTER VIGOROUS PHYSICAL TRAINING, SCJ, VOL.32, N°6, NOVEMBER 2010, 55-57 PRIMA VO 47
  • 11. ATO BLIC PUB PRIMA VOL TA O AT C C PU BB LI ack wall squat test: postura e grado di piegamento al ginocchio nell’esercizio di squat S& V A VOLT MA PRI B SECONDA PARTE PR IM A O ER OR P AV ALE L IN IG OR PUBBL ICA TO GIAMPIETRO ALBERTI Professore Associato di Metodi e Didattiche delle Attività Sportive Facoltà di Scienze Motorie, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute Università degli Studi di Milano giampietro. alberti@unimi.it :tset tauqs llaw kca id odarg e arutsop oihcconig la otnemageip tauqs id oizicrese’llen Dallo squat al “BWST” L ’introduzione del “Back Wall Squat Test” ha lo scopo di confermare la validità del movimento di squat quale metodo “gold standard” nell’analisi funzionale e di proporre alcune linee guida per un approccio semplice ed immediato per autorizzare l’utilizzo di sovraccarico per eseguire l’esercizio di squat con diversi gradi di piegamento al ginocchio. Alla base di questo test, vi è la dichiarata volontà di costruire una modalità di screening che consenta l’esplorazione dei comuni aspetti posturali legati alla simmetria, alla propriocezione e all’allineamento corporeo, così discriminando posizione e grado di piegamento. Infatti, a differenza di altri test di valutazione che utilizzano il movimento dello squat in varie forme (bipodaliche, monopodaliche) e con diverse posizioni degli arti superiori, il BWST consente di fornire indicazioni specifiche (posturali e funzionali) circa l’angolo di piegamento al ginocchio da raggiungere ed utilizzare. Quest’ultima considerazione diventa rilevante quando ci si riferisce a soggetti che, di routine, eseguono esercizi di potenziamento con sovraccarichi sulle spalle. Un altro aspetto innovativo del BWST, però, è l’introduzione del “muro” come “guida” al rispetto dell’allineamento corporeo durante tutte le fasi del movimento: un soggetto posto di fronte a un piano rigido e invalicabile, è obbligato ad effettuare un piegamento sugli arti seguendo i “binari” della linearità (in accordo con quanto suggerito da “Alexander”4) imposti dal muro stesso: così facendo, sarà immediatamente possibile apprezzare visivamente l’uniformità del gesto nella sua interezza. Il modello presentato in questo articolo trae spunto da quanto già presente nella letteratura specialistica e propone, in un’unica soluzione di movimento, di raccogliere valutazioni dal punto di vista sia morfologico posturale sia funzionale, aggiungendo precise indicazioni circa la capacità e/o la possibilità del soggetto di eseguire con sovraccarico tutte le posizioni di squat, dal ½ squat fino alla posizione del full squat. LUCA CAVAGGIONI Laurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Dottorando in Scienze dello Sport, Università degli Studi di Milano Protocollo del “BWST” Il “Back Wall Squat Test” (BWST) si definisce come un movimento eseguito in una progressione graduale dalla stazione eretta alle posizioni rispettivamente: di ½ squat, di deep squat e di piegamento completo (full squat): si tratta di un percorso eseguito in 4 livelli crescenti di difficoltà nei quali, attraverso l’uso di indicazioni gestuali, si può valutare se, a livello funzionale, il soggetto è in grado di raggiungere e mantenere correttamente la posizione richiesta, autorizzando il soggetto ad eseguire la fase successiva soltanto quando ella/ egli è in grado di mantenere la postura richiesta, rispettando ogni item (senza o con ausilio di rialzo sotto i talloni). e STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 ATHOS TRECROCI Laurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Dottorando in Scienze dello Sport, Università degli Studi di Milano 51 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 51-57 ng Giampietro Alberti, Luca Cavaggioni, Athos Trecroci, Roberto Bianchi, Lucio Ongaro Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano A LT O e S&C
  • 12. o e . 5 t t PRI MA VO LT A O AT LIC BB PU Giulio Rattazzi con prefazione di Roberto Trinchero C atturare l’evoluzione dei fenomeni con il ricalcolo dei punteggi “z” (a) Prefazione di Roberto Trinchero* Un tempo sui 100 metri di 10,5 secondi è un tempo alto o un tempo basso? Dipende. Se a farlo è Usain Bolt nel pieno della sua forma fisica e nel periodo migliore della sua attività agonistica è sicuramente un tempo alto. Al contrario, per la maggior parte di coloro che non praticano atletica a livello professionistico un tempo simile sarebbe il migliore ottenibile nella propria vita. Questo semplice aneddoto ci insegna che in analisi dei dati (nelle scienze motorie come in altre discipline) non esistono grandezze assolute ma solo grandezze relative, utili per comparare l’andamento di fenomeni analoghi riferiti a più soggetti (comparazione sincronica: ad esempio le prestazioni di un gruppo di atleti che concorrono in una gara) o allo stesso soggetto in tempi differenti (comparazione diacronica: ad esempio le prestazioni dello stesso atleta nel tempo). In questo secondo caso però ciascuna prestazione assume un senso solo in relazione all’insieme complessivo delle prestazioni dell’atleta e, visto che l’insieme delle prestazioni si arricchisce con il passare del tempo, il “senso” di ogni singola prestazione passata cambia continuamente. Possiamo essere sicuri, senza timore di smentita, che vi è stato un momento della vita di Usain Bolt in cui egli ha gioito per aver fatto un tempo di 10,5 secondi sui 100 metri, ma la sua crescita personale ed atletica ha fatto cadere quel momento nel dimenticatoio perché quella che, in quell’istante, è stata la miglior prestazione della sua vita è stata ampiamente superata. L’interessante proposta formulata da Giulio Rattazzi nel presente articolo ci aiuta a sistematizzare e a formalizzare in termini statistici questa forma di “oblio”. Attraverso la tecnica del ricalcolo dei punti Z ci aiuta a descrivere l’evoluzione delle prestazioni di un atleta, assegnando un significato alle nuove prestazioni sulla base delle prestazioni precedenti ma anche riassegnando significato alle prestazioni precedenti sulla base di quelle attuali. In tal modo è possibile stimare le potenzialità “medie” di un soggetto in un certo tipo di competizione e descriverne l’evoluzione. GIULIO RATTAZZI laureato in Scienze Motorie all’Università di Torino e Master post lauream in Diritto e Management dello sport presso L’Università degli studi di Salerno, è inventore e realizzatore di software e strumentazione per la valutazione funzionale dell’atleta. ROBERTO TRINCHERO insegna Pedagogia Sperimentale e Metodologia della Ricerca Educativa presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino. S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 59-64 T PRIMA VOLTA o C S& PUB BL ICA TO R O RO R VO PE LA ALE N I RIG A LT VO o A IM PR R S&C PUBBLICATO È una tecnica che apre prospettive interessanti non solo nelle scienze motorie ma in tutti quegli ambiti del sapere in cui è necessario studiare l’evoluzione temporale di fenomeni che fluttuano intorno ad “attrattori” ignoti a priori ma stimabili sulla base delle rilevazioni stesse. Se l’analisi dei dati implica il contrasto e il confronto tra situazioni, la tecnica illustrata si propone come una promettente modalità per la comparazione diacronica e per la reinterpretazione, mediante un’analisi a posteriori, delle tappe evolutive di un fenomeno. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 59
  • 13. S&C Vincenzo Canali PRIMA PARTE roposta di sviluppo di un progetto di ginnastica posturale come prevenzione dei traumi da carico iterativo INTRODUZIONE AL CANALI POSTURAL METHOD Il Canali Postural Method è un sistema di lavoro che permette di bilanciare le sinergie muscolari utilizzate dalle persone durante i gesti comuni della vita di relazione ed anche durante l’esecuzione di specifici movimenti sportivi. Camminare, salire e scendere le scale, raccogliere qualcosa da terra, piuttosto che raggiungere un oggetto posizionato più in alto rispetto all’altezza del soggetto, significa utilizzare un insieme di strutture muscolari che compongono varie catene funzionali al gesto che stiamo eseguendo. L ’azione muscolare, intesa come somma delle azioni finalizzate all’ottenimento dello scopo, si avvale di ampiezze articolari multiple, fornite al gesto finale da tutte le articolazioni interagenti nella catena. Ad esempio, nel dare la mano ad una persona, utilizziamo il tronco, che a sua volta è posizionato sugli arti inferiori; al tronco sono collegate più articolazioni direttamente ed indirettamente; utilizzeremo, quindi, la spalla, il gomito, il polso e le articolazioni delle dita. Questo significa che, per ogni gesto, la motilità necessaria viene suddivisa tra varie articolazioni per rendere il gesto più economico e per non sovraccaricare un’unica struttura. Il nostro sistema di utilizzo delle strutture deputate al movimento è fortemente conservativo ed il nostro SNC tende a non esporle ad azioni di eccessivo carico o ad eccessiva ampiezza articolare. Questo aspetto tende a specializzare le articolazioni in angoli d’azione ed a ridurli nel tempo, producendo degli atteggiamenti di compensazione che – inevitabilmente – portano danni al sistema muscolo-tendineo ed osseo, quando la ripetizione iterativa di un gesto arriva ad essere un vero e proprio sovraccarico funzionale. Ciò accade perché l’organismo, diminuendo gli angoli d’azione, riduce la capacità statica di supporto all’azione dinamica. L ’utilizzo dei rapporti di flesso-estensione, il cui studio è stato realizzato e codificato all’interno del Canali Postural Method, permette di opporre ad ogni azione di estensione un’azione di attivazione/ contrazione, di una struttura muscolare, che stabilizza l’azione in fase di svolgimento, superando il concetto di azione antagonista. In altre parole, lo studio rispetto alle posizioni assunte dal corpo e rispetto ai decubiti utilizzati, permette di stabilire quali muscoli devono essere attivi e sinergici alle varie azioni, affinché la specializzazione di dette azioni non “trascini” l’organismo verso atteggiamenti più “chiusi“ e meno attivi. Il rapporto di flesso-estensione è uno scambio statico/dinamico tra strutture appartenenti alle stesse catene cinetiche che, attraversando le differenti composizioni delle catene cinetiche stesse, mantiene l’ampiezza articolare esaltando la funzionalità del movimento, mantenendo inalterata la stabilità delle funzioni utilizzate. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 VINCENZO CANALI Docente a.c. di posturologia applicata allo sport nel corso di Teoria e Metodologia dell’attività motoria - Scienze Motorie - Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Parma. Tecnico IAAF (Fed. Internazionale Atletica Leggera) e preparatore posturale di Elena Isimbaeva, campionessa olimpica di salto con l’asta ad Atene 2004 e a Pechino 2008. È anche titolare di quattro brevetti internazionali di macchine isotoniche a rotazione e posturali “defense”, per il potenziamento muscolare e per la mobilità articolare. Nella sua carriera di preparatore posturale e di ginnastica annovera anche gli olimpionici Gibilisco, Baldini, Di Martino e la collaborazione con varie squadre nazionali e federazioni sportive. S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 65-67 P Comincia la ne sua collaborazio con S&C li Vincenzo Cana ticoli per almeno 3 ar originali, per tutto il 2014. 65
  • 14. S&C ATO BLIC PUB PRIMA VOL TA PU BB LI S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 68-74 EUGENIO MARIA PISTONE Laureato in Scienze Motorie e Sportive, svolge la sua attività di libero professionista nell’ambito dell’Educazione e Rieducazione Motoria. Dopo aver conseguito la laurea Magistrale in Scienze e Tecnica delle Attività Motorie Preventive e Adattate, sta completando il Master di II Livello in Diritto Economia ed Etica dello Sport. 68 E A VOLT MA PRI O AT C C S& sercizio fisico e diabete. Studio della funzione neuromuscolare. Il diabete mellito può essere definito come un gruppo di malattie con disordine metabolico ad eziologia multipla caratterizzato da una iperglicemia cronica con alterazione del metabolismo, oltre che dei carboidrati, anche dei lipidi e delle proteine, conseguentemente a un deficit della secrezione o dell’azione dell’insulina o entrambe (cfr. linee guida dell’European Society of Cardiology e European Association for the Study of Diabetes, 2007). Il diabete mellito è una malattia di grande rilievo sociale ed esercita un notevole impatto sulla salute pubblica per l’entità della sua diffusione e la gravità delle sue complicanze. Nel 2000 è stato stimato che 171 milioni di persone erano affette da diabete, numero che si prevede aumenterà a c.ca 366 milioni nel 2030 (Wild, 2004). Fondamentali per il buon trattamento terapeutico del diabete, oltre ai farmaci previsti, sono la dieta e l’esercizio fisico. In particolare, l’esercizio fisico è considerato da decenni un importante componente per la gestione del diabete (Joslin et al., 1959), poiché la partecipazione regolare a programmi di esercizio fisico può migliorare il controllo glicemico e ridurre la mortalità cardiovascolare (Boule et al. 2001; Gregg et al., 2003), oltre che migliorare la forza e l’equilibrio negli arti inferiori, riducendo notevolmente il rischio di caduta negli anziani (Moreland et al., 2003). Ma l’esercizio fisico, oltre che svolgere un ruolo fondamentale nella prevenzione terziaria del diabete, svolge un ruolo chiave soprattutto nella prevenzione primaria in particolar modo per il diabete di tipo 2, molto spesso conseguenza di uno stile di vita sedentario e di abitudini alimentari poco sane. Una delle complicanze del diabete è la neuropatia anche motoria. Purtuttavia, uno dei parametri fondamentali alla base della contrazione muscolare, la velocità di conduzione delle fibre muscolari (MFCV), non è stata adeguatamente investigata nei soggetti diabetici. MFCV, conosciuto anche come velocità di propagazione del potenziale d’azione delle fibre muscolari, è la velocità con la quale il potenziale d’azione si muove attraverso la fibra muscolare. In condizioni fisiologiche, la velocità di propagazione del potenziale d’azione va dai 3 m/s a 5 m/s. Cosi come nelle fibre nervose, anche in quelle muscolari sembra che la velocità di conduzione dipenda soprattutto dal diametro della fibra (Kleinpenning et al., 1990; Waxman, 1980), ed è stato dimostrato che esiste una correlazione lineare tra il diametro e la MFCV (Blijham et al., 2006). Tuttavia, la MFCV fornisce indicazioni sulla proprietà contrattile della fibra (Andreassen et al., 1987), sulla fatica muscolare (Merletti et al.., 1990), sulla proporzione del tipo di fibre (Sadoyama et al., 1988) e inoltre può essere indicativo di condizioni patologiche. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 V PUBBL ICA TO MARCO INFUSINO laureato in Scienze Motorie e Sportive, è tecnico AMPA e lavora come libero professionista nell’ambito dell’Educazione e Rieducazione Motoria. Collabora in qualità di trainer con la FiM Europe (European Motorcycle Union) per la selezione di giovani piloti per il Campionato Europeo Honda MX 150. Sta completando il Master di II Livello in Diritto Economia ed Etica dello Sport. infusinomarco@ gmail.com PR IM A RO PER VO E LA INAL IG OR A LT O Marco Infusino, Eugenio Maria Pistone
  • 15. S&C Luca Marin, Matteo Vandoni, Massimiliano Febbi, Sara Ottobrini ATO BLIC PUB A VOLT MA PRI PRIMA VOL TA O AT C PUBBL ICA TO C S& V A LT O PU BB LI A PR IM A O ER OR P AV ALE L IN IG OR SECONDA PARTE bili si diventa L’attività fisica secondo il modello biopsicosociale Livello I Iniziano l’attività da questo livello gli utenti che, al termine della valutazione funzionale, hanno ottenuto un punteggio da 3 a 99. Preme sottolineare che anche individui inquadrati con lo stesso punteggio non presenteranno necessariamente programmi di lavoro identici. Basandosi sulla fondamentale regola dell’individualità, è probabile che non tutti gli obiettivi dell’elenco saranno da perseguire; andranno sviluppati solo quelli corrispondenti alle necessità di quella persona in quello specifico momento. Obiettivi • Incremento della Percezione Corporea. • Apprendimento delle tecniche di respirazione. • Apprendimento dei corretti schemi di coordinazione neuromotoria. • Percezione e interpretazione dell’intensità della fatica. • Adattamento all’ambiente. • Addestramento all’uso delle attrezzature, compresi i passaggi posturali. • Recupero/stabilizzazione delle corrette escursioni (ROM) sia delle articolazioni che delle catene di coordinazione neuromuscolare fisiologica. • Controllo posturale sia in statica che in dinamica. • Miglioramento dell’esecuzione dei passaggi posturali “atipici”. • Sviluppo del controllo del tronco, in statica e in dinamica. • Incremento della forza resistente e massimale. • Aumento della capacità aerobica. • Motivazione all’adesione e alla prosecuzione dell’attività. Livello II A questo livello accedono gli utenti che, al termine della valutazione funzionale, hanno ottenuto un punteggio compreso tra 100 e 138. È evidente che i soggetti inseriti in questo protocollo devono presentare capacità superiori a quelle degli utenti inseriti al Livello I, anche dal punto di vista psicologico e di integrazione sociale. Le esercitazioni proposte richiedono, infatti, la sicurezza personale sufficiente ad accettare anche la difficoltà e/o la non capacità ad eseguirne alcune. Risulta necessario ribadire che anche individui inquadrati con lo stesso punteggio non presenteranno necessariamente programmi di lavoro identici. Anche in questo protocollo è probabile che non tutti gli obiettivi dell’elenco saranno da perseguire; ancora una volta andranno sviluppati solo quelli corrispondenti alle necessità individuali. Obiettivi • Incremento della Percezione Corporea. • Apprendimento delle tecniche di respirazione. • Apprendimento dei corretti schemi di coordinazione neuromotoria. • Percezione e interpretazione dell’intensità della fatica. • Adattamento all’ambiente. • Recupero/stabilizzazione delle corrette escursioni (ROM) sia delle articolazioni che • delle catene di coordinazione neuromuscolare fisiologica. • Incremento dell’equilibrio e del controllo dei timing attivatori in esercizio. • Incremento della forza: resistente, veloce e massimale. • Aumento della capacità aerobica. LUCA MARIN Dottore in Fisioterapia. Docente presso il Corso di Laurea in Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Pavia. Docente e Tecnico della Federazione Italiana Pesistica. MATTEO VANDONI Ricercatore presso il Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense (Università di Pavia). METODOLOGIA FILIP Dott in Sc Istru Prima di accedere all’attività in ambiente fitness il soggetto deve essere stato valutato dal medico specialista e preferibilmente avere svolto un ciclo riabilitativo in ambiente protetto. Deve inoltre possedere l’autonomia di base nella gestione della carrozzina e dei passaggi posturali primari. L ’obiettivo prefissato ha portato ad utilizzare inizialmente esercizi a carico naturale finalizzati a migliorare le capacità funzionali al gesto e la percezione corporea. Durante l’esecuzione degli esercizi viene costantemente sottolineato il ruolo della corretta dinamica respiratoria, sia come componente integrante la pratica che come arma di prevenzione di alcune patologie secondarie. STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp.75-78 Nel numero precedente di S&C abbiamo descritto gli strumenti utilizzabili per effettuare una valutazione delle abilità individuali. In questa seconda parte, correleremo i risultati della valutazione ai relativi programmi di allenamento ed esporremo brevemente le tecniche e gli esercizi utilizzati. 75
  • 16. David O Sword PT, DPT, CSCS ORIG: EXERCISE AS A MANAGEMENT STRATEGY FOR THE OVERWEIGHT AND OBESE: WHERE DOES RESISTANCE EXERCISE FIT IN?, SCJ, VOL.34, N°5, OCTOBER 2012, 47-55 L’ SECONDA PARTE PUB B esercizio fisico come strategia di gestione del sovrappeso e dell’obesità: dove è adatto l’esercizio con resistenze da vincere? Esercizi con resistenze da vincere per la gestione del peso Gli esercizi con resistenze vengono in genere eseguiti allo scopo di aumentare la forza, la massa muscolare o entrambi (20). Oltre ai miglioramenti nella forza e massa muscolare, gli esercizi con resistenze portano anche a cambiamenti favorevoli nelle aree della composizione corporea, resistenza muscolare, densità ossea, fattori di rischio cardiaco, benessere psicosociale e metabolismo (4, 7, 20, 35-37, 39). Nel loro esauriente articolo, Strasser e Schobersberger hanno concluso che gli esercizi con resistenze danno luogo a cambiamenti favorevoli nella composizione corporea (diminuzione della massa grassa ed aumento della massa magra [LBM]), possono aiutare a “conservare una ridotta massa grassa in pazienti obesi dopo l’allenamento o la limitazione dell’apporto energetico “e sono efficaci nel ridurre l’obesità addominale (35)”. Modalità comuni di esercizi con resistenze includono l’uso di bilancieri, manubri, elastici, macchine di allenamento della forza e vari esercizi a corpo libero. Raccomandazioni di sanità pubblica sull’attività fisica e sulla salute incoraggiano l’inclusione di una regolare attività di sviluppo della forza (7,16,19,21,33). Nonostante i significativi benefici sia sulla salute sia funzionali forniti dagli esercizi con resistenze, questi ultimi non possono costituire l’unica efficace strategia per ridurre l’eccesso di peso corporeo. Per di più, la combinazione di eserci- DAVID O SWORD College of Health Professions and Weight Management Center, Università di Medicina del South Carolina, Charleston, South Carolina. PAROLE CHIAVE obesità ; controllo del peso; esercizio aerobico; esercizio di resistenza; eccessivo consumo di ossigeno postesercizio zi con resistenze con una dieta ipocalorica non fornisce ulteriori benefici in perdita di peso oltre quello visto con la sola dieta (10). Questo non dovrebbe in alcun modo scoraggiare l’uso di esercizi con resistenze come parte di un piano di gestione del peso, piuttosto che della perdita di peso. Anche se l’inserimento di tali esercizi potrebbe non migliorare la perdita di peso a breve termine, può comportare cambiamenti salutari nella composizione corporea (diminuzione della massa grassa e aumento della LBM) e può svolgere un ruolo importante nel successo della gestione del peso a lungo termine. Un notevole studio di Kirk et al. (25) ha illustrato il potenziale valore della gestione del peso di brevi ma intense sessioni di esercizi con resistenze. In questo studio di 6 mesi, giovani adulti in sovrappeso sono stati impegnati in 3 sessioni di esercizi a settimana, effettuando una serie di 9 esercizi diversi con carichi equivalenti al 85-90% di 1 RM. Il pesante carico ha limitato il numero di ripetizioni effettuate a 3-6 per ogni esercizio. La quantità media di tempo necessario per completare ogni sessione di allenamento è stata di circa 11 minuti. Nel gruppo impegnato nell’allenamento con resistenze, la forza della parte superiore del corpo e di quella inferiore è aumentata di circa il 50% e la massa magra (FFM) è aumentata del 2,7%. I soggetti allenati alla resistenza hanno sperimentato un significativo aumento sia del tasso metabolico a riposo (RMR) che del tasso metabolico durante il sonno (SMR) rispetto a soggetti di controllo. Inoltre, c’è stato un incoraggiante aumen- STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 79-82 ATO PER L LIC 1 A IN ITALIA LT A S&C PRIMA VO 79
  • 17. La Professione S&C RIFLESSIONI Pasquale Bellotti STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp. 83-84 Pasquale Bellotti & Davide Tessaro, ma qui soprattutto il secondo S&C, cioè queste pagine, rappresentano – tutti coloro che la realizzano ne sono convinti, anche il sottoscritto – una maniera di stabilire un dialogo con i lettori, gli esperti e i veri addetti ai lavori del movimento. Può capitare, di questo vi parlo, che un dialogo si instauri sul dialogo e che si possa, con naturalezza, passare alla comunicazione diretta. Dalle comunicazioni dirette assai spesso si impara. Almeno, a me capita così: di imparare da chi mi raggiunge con un messaggio. Il 3 luglio mi scrive da Aosta Davide Tessaro (“sono un preparatore atletico … dopo anni di “calcio a 5” ora mi occupo di preparazione atletica di tiro con l’arco olimpico - settore giovanile in una società sportiva …, senza togliere mai lo sguardo dagli sport estremi in quota che mi hanno dato tante soddisfazioni”), per manifestare il suo gradimento per la rivista, nella quale egli si ritrova, segnalando la sua particolare esperienza di allenatore ed il suo punto di vista (“io sono fermamente convinto che… solo noi allenatori, tecnici, preparatori possiamo dare gli input giusti per far emergere il talento [quale che sia, NdR] dei nostri ragazzi; certo questo implica una grande responsabilità, conoscenza, … il sapere di essere i fautori delle vittorie e delle sconfitte altrui, … la presa di coscienza che determinerà il futuro dei ragazzi. Ma che soddisfazione quando arriva da te un ragazzo sul quale neanche i genitori scommettono e dopo tre anni che lavori con lui lo vedi gareggiare con fierezza, entusiasmo, gioia a testa alta” [quale che sia il valore, NdR]). Il 4 luglio rispondevo a Davide (ci siamo dati subito del tu), ringraziandolo e mettendo in evidenza “la sintonia, la simpatia, il sentire comune ed il comune soffrire, nel nostro caso per i tanti mali che affliggono il sistema movimento/sport nel nostro Paese, ma in fondo in tutto il mondo. Quando l’uomo è in crisi, sono sempre in crisi le visioni dell’uomo che si muove e di quello che compete”. Gli chiedevo anche di poter parlare di lui brevemente (per ragioni di spazio) nella rivista, come uno degli esempi tra tanti, di “persone esperte” su cui la Nazione può contare, in un ambito così rilevante come quello del movimento che serve non allo sport, o non solo allo sport, ma a tutta la vita. Il 4 ottobre, Davide ancora mi scrive (ha letto l’ultimo numero della rivista e si è identificato nelle Riflessioni di quel numero: “ho letto “RIFLESSIONI”. Non devi scrivere di me sul tuo prossimo articolo – così dice – perché lo hai già fatto in questo. Pazzesco, mi hai riconosciuto e scoperto, hai scritto esattamente il mio essere in questo momento storico della mia vita. Chiamala sincronicità, chiamalo intuito, chiamala esperienza di vita, chiamala come vuoi, io lo chiamo semplicemente Davide. Mi sono visto al lume di lanterna a studiare, a sti- PASQUALE BELLOTTI (pasquale.bellotti@ gmail.com; pasquale.bellotti@ unito.it), medico, esperto di movimento e di allenamento, insegna attualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM. Molti libri e molti articoli al suo attivo. È anche Presidente de L’Amàca Onlus, associazione con numerosi progetti di assistenza e di supporto in Africa (ed in Italia): www.amacaonlus. org. 83
  • 18. S&C Francesco Riccardo L’perfezione inganno della corporea L’unico bene, la condizione fondamentale per una vita felice, è la �iducia in se stessi. . . nè può renderti felice la bellezza o la forza del corpo: nessuno di quei beni resiste al passare del tempo. Lucio Anneo Seneca Da sempre il corpo rappresenta un campo privilegiato di indagine, autoriflessione ed analisi. Attraverso l’accettazione del proprio corpo si sviluppano infatti, in particolare durante la fase adolescenziale, l’autoconoscenza e l’autoaccettazione, determinanti per una piena e positiva maturità. Intorno al corpo si concentrano credenze, pregiudizi, falsi miti, che storicamente sono stati responsabili dell’atteggiamento culturale di popoli ed epoche. Il corpo possiede caratteristiche peculiari che lo rendono facilmente oggetto di considerazioni, critiche e influenze culturali: in primo luogo, esso è il nostro biglietto da visita nel contatto con il mondo, facilmente visibile e prima parte di noi ad essere conosciuta dagli altri; in secondo luogo, esso si modifica visibilmente e costantemente durante la nostra vita, rendendo pubbliche quelle fasi di cambiamento estreme che ci conducono dalla nascita, all’infanzia, all’adolescenza, fino all’età adulta e alla vecchiaia. La superficiale familiarità che ognuno di noi ha col proprio e altrui corpo fa sì che risulti perfettamente naturale, soprattutto nella nostra cultura, avere da un lato un modello di riferimento “ideale” di bellezza caratterizzato da canoni rigidi e immo- FRANCESCO RICCARDO è laureato in Psicologia dinamica e clinica dell’infanzia, adolescenza e famiglia; è Psicologo delle squadre nazionali di pesistica e docente presso i corsi di formazione per Personal Trainer della FIPE. È Personal Trainer 1° livello FIPE, Maestro di Karate e cintura nera 5° Dan FIJLKAM. dificabili, che prescindono dal naturale processo biologico-fisiologico di “trasformazione”, dall’altro la convinzione di poter controllare, modificare, cancellare e ricostruire ciò che del corpo non ci piace, in ogni momento e in ogni situazione. L ’appartenenza alla cultura occidentale determina di per sè l’adozione spesso inconsapevole ed acritica dei modelli proposti attraverso la capillare diffusione di simboli di bellezza ideale, associati ad appetitosi richiami quali ricchezza, potere, felicità, benessere, appartenenza ad una speciale élite e via discorrendo. La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere gli stereotipi ben noti su corpo e immagine. La cultura mediatica facilita e sveltisce la diffusione di messaggi ambivalenti, nonché antinomici, intorno ai temi del benessere, della salute e dell’aspetto fisico ideale. I mass media diffondono, come ideale di perfezione, un’immagine corporea magra ed essenziale per la donna, tonica e asciutta per l’uomo, caratterizzando, d’altro canto, una reale “lotta al grasso” che progressivamente sfocia, in modo incalzante ed incessante, in un vero e proprio fenomeno di stigmatizzazione. Quanto sia forte il dominio, la dittatura del corpo, come risulta oggi immaginato, è confermato dalla tendenza a raffigurare immagini femminili, spesso modelle, con visi completamente inespressivi, senza sorrisi e con sguardi smarriti, a sottolineare che l’attenzione è tutta sul corpo, su quel corpo magrissimo, a rafforzare l’orientamento che “magro è bello”. Ma tutto questo a discapito del piacere di “sentire il corpo”. Negli ultimi decenni, è andata affermandosi la magrezza femminile come ideale sia estetico che STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 85
  • 19. S&C Guido Martinelli ”. L a Fipe, la professionalità e i chinesiologi Credo si debba dare merito alla Fipe, fra l’altro, di avere sempre scelto la strada della chiarezza sotto il profilo dell’inquadramento giuridico-amministrativo delle attività sportive dalla stessa amministrate. Di non essersi, pertanto, nascosta con la foglia di fico del dilettantismo sportivo. Come ho già avuto modo di scrivere su questa rivista, dilettantismo significa “anche” attività svolte per diletto, per hobby, da persone che hanno attività lavorative diverse dallo sport, ma “anche” attività svolta “professionalmente” da soggetti che, per cultura e attitudini, vedono questa strada come “lavoro” principale, anche se a volte non esclusivo. In questa direzione, dobbiamo evidenziare due importanti novità, l’una esterna al mondo federale e l’altra interna. Partiamo dalla prima. Da tempo dichiaravo che l’inerzia del legislatore nel farsi carico di una soluzione legislativa alla tematica dell’assoggettamento a contribuzione previdenziale dei compensi corrisposti agli istruttori di associazioni e società sportive dilettantistiche avrebbe lasciato il campo a soluzioni giurisprudenziali che, come si sa, hanno la pretesa del “prendere o lasciare”. Dopo una lunga giurisprudenza ondivaga e poco convincente, nelle decisioni sia favorevoli all’assoggettamento a contribuzione che contrarie, sono state pubblicate recentemente 4 sentenze di merito che brillano per la chiarezza della motivazione e per l’autorità dei Giudicanti e che, pertanto, ci consentono di fare nuovamente chiarezza sul punto partendo anche dal presupposto di una Giurisprudenza che si sta consolidando. La prima di queste è stata pubblicata il sei giugno scorso ed emessa dalla sezione lavoro del Tribunale di Firenze (sent. n. 671/2013). Il Giudicante fiorentino, dopo aver determinato che sarebbe spettato alla associazione sportiva dimostrare che non era tenuta al versamento dei contributi previdenziali sui compensi erogati agli istruttori, ritenendo che detta prova non era stata data e che, invece, “tutti i 55 collaboratori oggetto della residua pretesa contributiva appaiono aver svolto la loro attività con carattere di continuità e ripetitività (risultano aver lavorato per almeno tre annualità con cadenza periodica) percependo compensi di natura sicuramente non marginale rispetto al reddito medio”, concludeva escludendo l’applicabilità dell’art. 67 primo comma lett. m e conseguentemente la non debenza di contributi previdenziali. A ruota seguiva il Tribunale di Roma (sent. n. 9284/2013) il successivo 11 luglio c.a. Questi, in fattispecie analoga, dopo aver affermato che per l’applicabilità delle agevolazioni sui compensi degli istruttori debbono sussistere due condizioni: “le prestazioni remunerate devono avere carattere non professionale e devono essere rese nell’eser- STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 7 / Gennaio-Aprile 2014 S&C (Ita) n.7, Gennaio-Aprile 2014, pp.89-90 Foto ©Vanda Biffani GUIDO MARTINELLI avvocato, consulente della FIPE, professore aggregato di legislazione sportiva presso l’Università degli studi di Ferrara, docente nazionale della Scuola Centrale dello sport del CONI, è autore di diverse pubblicazioni in materia di diritto sportivo. 89